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TUTTO JOBS ACT

eBook
LICENZIAMENTO
E CONTRATTO
A TUTELE CRESCENTI
D.Lgs n. 4 marzo 2015, n. 23

Pierluigi RAUSEI

Di prossima pubblicazione:
• NASPI, ASDI, DIS-COLL E CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE
• CONTRATTI DI LAVORO E TUTELE GENITORIALI
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• POLITICHE ATTIVE E ISPEZIONI

2015
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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

© 2015 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI)

ISBN: 978-88-217-5246-9

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tuali errori o inesattezze.
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

PRESENTAZIONE
Questo volume intende offrire una sintesi dei contenuti del primo decreto legi-
slativo delegato attuativo della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (c.d. “Jobs Act”)
che riscrive la disciplina sanzionatoria dei licenziamenti individuali e collettivi
per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del decreto delegato ampliando
l’area di applicazione della tutela solo risarcitoria, con costi sensibilmente ridot-
ti per le imprese di maggiori dimensioni, e limitando notevolmente le ipotesi di
reintegrazione nel posto di lavoro.
In verità il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 detta norme in materia di “contratto di
lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”.
L’idea di fondo consiste nel rendere più appetibile e vantaggiosa l’assunzione
con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato attraverso una signi-
ficativa riduzione del peso sanzionatorio dei licenziamenti, ma anche agevolan-
done finanziariamente l’attivazione mediante un apposito incentivo introdotto
dall’art. 1, comma 118, della legge n. 190/2014 (Legge di stabilità 2015).
Il mix delle misure che accantonano, per i nuovi assunti dal 1° gennaio 2015 ri-
spetto all’esonero contributivo e dal 7 marzo 2015 per le tutele crescenti, qual-
siasi ipotesi di reintegrazione nel caso di licenziamento per motivi economici –
sia esso individuale, plurimo o collettivo – portando alle estreme conseguenze il
percorso avviato con la legge n. 92/2012, come pure la forte limitazione della
reintegrazione per i licenziamenti disciplinari (conseguenti ormai alla sola in-
sussistenza del fatto materiale), insieme all’incentivo occupazionale
dell’esonero contributivo, potrebbe spingere le aziende a investire su rapporti di
lavoro a tempo indeterminato, almeno dove forme di lavoro non subordinato
hanno occultato prestazioni lavorative contrassegnate da vincoli di obiettiva ete-
rodirezione ovvero dove più costosi contratti a tempo determinato possono esse-
re sostituiti da un indeterminato a tutele crescenti.
Più difficile, invece, immaginare che la riforma ora licenziata dal Governo pos-
sa impattare su un incremento occupazionale “puro”. In questo senso rileva la
necessità di una valutazione di effettività e, quindi, di una verifica in termini di
efficacia, giacché sovente il legislatore rimane «vittima di una presunzione di
efficacia, che porta a ricondurre a un incentivo tutti gli effetti che si osservano
successivamente alla sua introduzione. Un’ormai consolidata letteratura, fon-
data sull'analisi cosiddetta “controfattuale” (tesa cioè ad indagare cosa sareb-
be comunque accaduto in assenza dell'intervento), mostra che gli effetti netti
degli incentivi per l’occupazione sono spesso assai inferiori a quanto comune-
mente si ritiene» (XI Commissione – Camera dei deputati “sulle misure per
fronteggiare l’emergenza occupazionale con particolare riguardo alla disoccu-
pazione giovanile”, Indagine conoscitiva 16 ottobre 2013).

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

NOTA SULL’AUTORE
Pierluigi Rausei Dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Avvocato. Docente di “Diritto sanzionatorio del lavoro” presso la Scuola di dot-
torato in Formazione della persona e mercato del lavoro di ADAPT e CQIA
dell’Università degli studi di Bergamo. Collaboratore del Centro Studi Interna-
zionali e Comparati DEAL del Dipartimento di Economia “Marco Biagi” della
Università di Modena e Reggio Emilia. ADAPT professional fellow. Componen-
te del Comitato scientifico della rivista “Diritto & Pratica del Lavoro”. Membro
del Comitato di redazione della rivista “Diritto delle Relazioni Industriali”. Col-
labora con le riviste “ISL Igiene & Sicurezza del lavoro”, “Guida alle Paghe”,
“Esperto”, “Diritto e lavoro nelle Marche” e “Bollettino Adapt”, ed anche con
“Il Quotidiano Ipsoa” e con il quotidiano “Il Sole 24 Ore”. Dirige, con Michele
Tiraboschi, la collana ADAPT professional series - ADAPT law school. Docente
in corsi di formazione e di aggiornamento professionale. Autore di numerosi
saggi e volumi sui temi del diritto del lavoro, della sicurezza sul lavoro e della
amministrazione del personale. Twitter @RauseiP Sito web www.rausei.it

Si segnala che le considerazioni contenute nel presente volume sono frutto esclusivo del pensiero
dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene. Inoltre
l’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabi-
lità per eventuali involontari errori o inesattezze.

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1. LEGGE DELEGA, OBIETTIVO DELLA RIFORMA


E GIUSTIFICATEZZA DEI LICENZIAMENTI
Nell’affrontare l’analisi del D.Lgs. n. 23/2015, primo decreto attuativo della
legge n. 183/2014, c.d. Jobs Act, e precisamente del comma 7, lett. c),
dell’articolo unico della legge delega, in materia di «contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti», approvato in via definitiva dal Consiglio dei
Ministri del 20 febbraio 2015, a fronte del dubbio se si tratti di una nuova tipo-
logia contrattuale a tempo indeterminato (come sembrava desumersi dalla legge
delega e dal titolo del D.Lgs. n. 23/2015) ovvero più limitatamente si preveda
(come sembrerebbe evincersi dal contenuto del provvedimento e dal fatto che
non trova applicazione per i lavoratori di qualifica dirigenziale) una nuova di-
sciplina, relativamente alle nuove assunzioni effettuate con il vigente contratto a
tempo indeterminato, delle sole conseguenze del licenziamento illegittimo, il te-
sto normativo depone essenzialmente per la seconda soluzione.
D’altra parte, le “tutele crescenti” rappresentano la ennesima “scissione” del
mondo del lavoro italiano, destinata a perpetuarne l’asimmetria, ora fra vecchi e
nuovi assunti: ancora tutelati i primi, licenziabili a costi sensibilmente ridotti i
secondi.
In effetti, le nuove regole trovano applicazione, dal 7 marzo 2015 (essendo stato
il D.Lgs. n. 23/2015 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 marzo), soltanto per i
nuovi assunti, mentre per i lavoratori che verranno occupati entro la mezzanotte
del giorno precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015seguiteranno ad
operare le regole sancite dall’art. 8 della legge n. 604/1966 e dall’art. 18 della
legge n. 300/1970, rispettivamente nelle piccole e nelle grandi imprese, per i re-
gimi di tutela, a partire da quelle sul regime sanzionatorio dei licenziamenti in-
giustificati.

1.1. Principi e criteri di delega


A ben guardare, infatti, lo scenario che la legge n. 183/2014 delineava nella lett.
c) del comma 7, si caratterizzava per un quadro di regole rivolte esclusivamente
alle sole nuove assunzioni, con contratto di lavoro subordinato a tempo inde-
terminato nel quale le tutele crescono in relazione all’anzianità di servizio, con
specifico riguardo alla fase di risoluzione del rapporto di lavoro:
• per l’esclusione nei licenziamenti economici della possibilità di reintegra-
zione del lavoratore nel posto di lavoro;
• per la previsione di un indennizzo economico certo, crescente in proporzio-
ne all’anzianità di servizio nei licenziamenti economici;
• per la limitazione del diritto di reintegrazione nei soli licenziamenti nulli, li-
cenziamenti discriminatori e in “specifiche fattispecie” di licenziamento di-
sciplinare ingiustificato;
• per la previsione di nuovi termini per l’impugnazione di qualsiasi licenzia-
mento, che dovranno essere “certi” e, presumibilmente, più brevi.

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In base alla nella lett. c) del comma 7 della legge delega, a prescindere dalle
dimensioni aziendali - e qui si ribadisce si situava una delle novità gestionali di
maggior peso -, i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (cosiddetti
economici) non dovevano mai più dare luogo alla reintegrazione del lavoratore
ingiustificatamente licenziato. La norma di delega prevedeva, infatti, la indivi-
duazione, da parte del decreto attuativo, di un indennizzo economico certo, il
cui importo doveva crescere progressivamente, in proporzione all’anzianità di
servizio.
La sfida del legislatore delegato, dunque, è stata quella di individuare parametri
che fossero, al contempo, idonei a condizionare le scelte gestionali delle aziende
più grandi (che quindi avrebbero dovuto ricevere un disincentivo congruo in
termini di sanzione), senza penalizzare tuttavia le aziende più piccole (che da un
aggravio progressivo dell’importo da riconoscere al lavoratore avrebbero potuto
ricevere una condanna esiziale per la stessa permanenza in attività a causa di
una onerosità eccessiva, evitata nei confronti dei vecchi assunti dai massimali
espressamente individuati dalla legge n. 604/1966).
L’intendimento della legge delega di parificare i licenziamenti delle piccole e
medie imprese con quelli delle grandi, d’altra parte, è in stretta continuità (e in
diretta applicazione) con quanto aveva formato esplicita richiesta normativa al
Governo da parte di Confindustria, nel documento «Proposte per il mercato del
lavoro e per la contrattazione» di maggio 2014.

1.2. Giustificatezza del licenziamento


D’altro canto, vale la pena sottolineare che il D.Lgs. n. 23/2015 non interviene
sulla disciplina sostanziale della giustificazione del licenziamento che permane
individuata in ragione delle previsioni contenute nell’art. 3 della legge n.
604/1966.
Con la legge n. 604/1966 viene anzitutto affermato il principio che, nel rapporto
di lavoro a tempo indeterminato, se la stabilità non è assicurata da norme di leg-
ge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del
prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa, ai sensi dell'art. 2119
cod. civ., o per giustificato motivo (art. 1, legge n. 604/1966) e viene esclusa
l'applicabilità delle norme della legge n. 604/1966 ai licenziamenti collettivi per
riduzione di personale (art. 11, comma 2, legge n. 604/1966).
1.2.1. Licenziamento per giusta causa
L’art. 1 della legge n. 604/1966 fa in ogni caso salva la possibilità del datore di
lavoro di procedere al licenziamento del lavoratore «per giusta causa» ai sensi
dell'art. 2119 cod. civ. in base al quale ciascuno dei contraenti può recedere dal
contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato
o senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi
una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto,
precisando che «non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fal-
limento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda».

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In presenza di una giusta causa, non occorre dare preavviso all'altra parte e,
di conseguenza, non è neppure dovuta l'indennità sostitutiva del preavviso.
Nell’individuare i fatti che possono costituire «giusta causa» di licenziamento,
partendo dalla definizione contenuta nell’art. 2119 cod. civ., si può affermare, in
prima approssimazione, che costituiscono giusta causa di licenziamento quei
fatti, comportamenti e situazioni per i quali i contratti collettivi prevedono il li-
cenziamento senza preavviso (c.d. licenziamento in tronco). La previsione da
parte della contrattazione collettiva di una specifica ipotesi di giusta causa di li-
cenziamento del lavoratore, non esime il giudice dal procedere alla valutazione
della proporzione della sanzione adottata in relazione alla gravità del fatto in
concreto addebitato (Cass. 3 novembre 1980, n. 5880).
In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra fatto
addebitato e recesso, viene preso in considerazione ogni comportamento che,
per la sua gravità, sia suscettibile di minare la fiducia del datore di lavoro e di
far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli
scopi aziendali. Ai fini del giudizio di proporzionalità è ritenuto determinante,
infatti, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il compor-
tamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di rife-
rimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adem-
pimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi
assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e cor-
rettezza. Spetta al giudice valutare la congruità della sanzione espulsiva non sul-
la base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni
aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento
unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile
prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo
alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione col-
lettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento
richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attua-
zione del rapporto, alla sua natura e tipologia (Cass. 22 giugno 2009, n. 14586).
Per dimostrare la legittimità della interruzione ex abrupto di un rapporto con-
trattuale di lavoro subordinato, occorre precisare e chiarire l'interesse che ragio-
nevolmente solleciti il datore di lavoro a porre in essere tale interruzione. In
questo senso il vanificarsi della fiducia che il datore di lavoro deve poter osser-
vare nel suo dipendente risponde ad un criterio di ragionevolezza che il giudice
ha il compito di approfondire, procedendo ad una raccolta completa degli ele-
menti di fatto inerenti alla fattispecie concreta (qualità del rapporto contrattuale;
circostanze modali e temporali del fatto riprovevole commesso dal dipendente;
grado dell'affidamento; intenzionalità della condotta; proporzionalità tra fatto e
sanzione), onde pervenire, attraverso il filtro di tutti questi elementi, alla con-
clusione che il datore di lavoro, a tutela del proprio legittimo interesse, non po-
teva fare altrimenti che adottare il più grave provvedimento di natura disciplina-
re, recedendo in tronco dal rapporto di lavoro (Cass. 5 ottobre 1985, n. 4829).

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Il licenziamento per giusta causa in tanto può considerarsi legittimo quando «at-
traverso un’attenta considerazione di tutte le circostanze del caso concreto,
qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l'interesse dell'azienda»
(Cass. 16 luglio 1980, n. 4632). Fatti e comportamenti del lavoratore estra-
nei all'ambito strettamente contrattuale, non verificatisi nel corso e nel luogo
dell'attività lavorativa, sono, in linea generale, irrilevanti ai fini della valutazio-
ne degli addebiti quando non hanno alcuna incidenza sulla sfera contrattuale.
Se, al contrario, tali fatti e comportamenti sono collegati, anche indirettamente,
con l'esecuzione della prestazione lavorativa oppure assumono un rilievo tal-
mente grave da far ritenere il lavoratore professionalmente inidoneo alla prose-
cuzione del rapporto, non è dubbio che essi valgono a determinare una irrepara-
bile compromissione dell'elemento fiduciario, che costituisce la base del rappor-
to di lavoro subordinato, specialmente quando, per le sue caratteristiche e pecu-
liarità, richiede una collaborazione qualitativamente elevata e una fiducia che
può estendersi anche alla serietà dei comportamenti privati del lavoratore (Cass.
23 luglio 1985, n. 4336).
La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, di quello della
fiducia, che deve necessariamente sussistere fra le parti, con riferimento non già
al fatto astrattamente in sé considerato, bensì agli aspetti concreti di esso, alle
circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed all'intensità dell'elemento intenzio-
nale o di quello colposo (Cass. 12 luglio 1985, n. 4135).
Per stabilire, dunque, l'esistenza della giusta causa di licenziamento occorre ac-
certare in concreto se (in relazione alla qualità del rapporto intercorso tra le par-
ti, alla posizione che in esso ha avuto il lavoratore e alla qualità e al grado del
vincolo di fiducia che il rapporto comporta) la specifica mancanza commessa
dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma
anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circo-
stanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all'in-
tensità dell'elemento psicologico che ha mosso il lavoratore, risulti obiettiva-
mente e soggettivamente idonea a ledere, in modo grave, al punto da farla veni-
re meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel dipendente e tale da esigere
sanzioni non minori di quelle massime, definitivamente espulsiva.
L’entità materiale del danno subito dal datore di lavoro, a causa della condotta
del lavoratore, ha un rilievo del tutto secondario, dovendosi tener conto delle
modalità di tale condotta e della sua idoneità a scuotere irreparabilmente l'ele-
mento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro (Cass. 1° febbraio 1990,
n. 659). D’altronde perché sia configurabile una giusta causa di licenziamento
possono rilevare anche i comportamenti del lavoratore anteriori a quello conte-
stato, che devono essere considerati non come ulteriori cause autonome di re-
cesso, ma come circostanze confermative della mancanza contestata, in quanto
aiutano a valutare sia la gravità dell'azione del lavoratore, sia la proporzionalità
del provvedimento adottato dal datore di lavoro (Cass. 26 agosto 1987, n.
7042).

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Deve in ogni caso sussistere un nesso di proporzionalità fra il fatto e la sanzio-


ne. Il giudizio sulla gravità dell'infrazione commessa dal dipendente deve essere
improntato al criterio di proporzionalità fra la mancanza e la sanzione applicata,
per cui in caso di licenziamento in tronco il giudice deve verificare se l'infrazio-
ne non sia di entità e portata limitata, tale da comportare una sanzione minore.
Peraltro l’indagine giudiziale non può passare attraverso il preventivo accerta-
mento della possibilità di impiegare il lavoratore in altre mansioni; tuttavia rite-
nuta la gravità del fatto, tale da giustificare la crisi dell'elemento fiduciario, non
può più esservi spazio per la possibilità di prosecuzione del rapporto stesso in
mansioni diverse (Cass. 29 aprile 1983, n. 2981).
Non è sufficiente l'astratta idoneità del fatto a ledere in qualche misura il vinco-
lo di fiducia tra le parti del rapporto di lavoro, occorrendo che la specifica man-
canza del dipendente risulti gravemente lesiva, così da farla venir meno, della
fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel proprio dipendente, rendendo il
rapporto non proseguibile, anche solo provvisoriamente (Cass. 2 novembre
2011, n. 2692; Cass. 27 febbraio 2008, n. 5116; Cass. 8 settembre 2006, n.
19270).
D’altronde, il grave inadempimento degli obblighi contrattuali – che costituisce
il presupposto della nozione legale di giusta causa – risulta incompatibile con
comportamenti del lavoratore che, per le loro concrete modalità e per il contesto
di riferimento, ed in particolare per l’esistenza di una conforme prassi aziendale,
appaiono insuscettibili di porre in dubbio la futura correttezza
dell’adempimento e di determinare la irreparabile lesione del vincolo fiduciario
che ispira la relazione di lavoro (Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).
Con riferimento al licenziamento giustificato da fatti estranei all'attività lavora-
tiva del dipendente è stato ritenuto dalla giurisprudenza che il datore di lavoro
possa valutare, ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, fat-
ti e comportamenti privati del dipendente che siano tali da incidere sull'elemen-
to fiduciario del rapporto e siano diventati di pubblico dominio in quanto sotto-
posti a vaglio in sede di dibattimento penale.
Il comportamento del lavoratore nella sua vita privata, ancorché non sia di rego-
la idoneo ad incidere sull'elemento fiduciario del rapporto di lavoro, essendo
estraneo alla prestazione lavorativa, può costituire giusta causa di licenziamento
ove, per la sua gravità e natura, sia tale da far ritenere il lavoratore professio-
nalmente inidoneo alla prosecuzione del rapporto, specialmente allorché, per la
sua peculiarità, la prestazione lavorativa richieda un ampio margine di fiducia,
esteso alla serietà e onestà della condotta privata (Cass. 3 aprile 1990, n. 2683;
Cass. 14 luglio 2001, n. 9590).
Come ricordato, il licenziamento per giusta causa implica un fatto che non per-
mette la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto di lavoro. Ne conse-
gue che il provvedimento deve intervenire con immediatezza, appena il datore
di lavoro viene a conoscenza della causa che comporta il licenziamento: se il
datore di lavoro procrastina l'adozione del provvedimento dimostra, per ciò so-
lo, che il fatto è stato giudicato tale da permettere la prosecuzione, anche soltan-

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to temporanea, del rapporto stesso. Il principio della immediatezza va però inte-


so con una certa elasticità, non potendosi negare rilevanza al decorso di un in-
tervallo di tempo necessario per la riorganizzazione degli elementi di fatto e del-
le notizie, nonché per la predisposizione degli elementi probatori validi a giusti-
ficare e sostenere la determinazione conclusiva (Cass. 15 ottobre 1985, n.
5060).
Inoltre con riguardo ad infrazioni del lavoratore penalmente rilevanti, non è
configurabile violazione del principio dell’immediatezza fra contestazione e
provvedimento disciplinare ancorché questo sia intervenuto dopo un lungo in-
tervallo temporale dalla contestazione in conseguenza dell’emissione di ordi-
nanza di rinvio a giudizio da parte del giudice penale che implica un accerta-
mento sulla sussistenza di sufficienti prove a carico del lavoratore (Cass. 18 lu-
glio 1990, n. 7343).
Altro principio fondamentale è quello della immutabilità dei motivi di licen-
ziamento, in base al quale si possono prendere in considerazione soltanto i mo-
tivi contestati con la lettera di licenziamento. Anche tale principio non è però
assoluto; viene, infatti, osservato che il principio dell'immutabilità della conte-
stazione impedisce di attribuire rilevanza ad altre mancanze non addebitate al
prestatore nella lettera di licenziamento, ma non preclude la valutazione dei pre-
cedenti disciplinari, cioè di altri fatti pregressi che non vengono considerati co-
me cause autonome di recesso, ma come circostanze confermative dei fatti con-
testati e della loro gravità: la benevola considerazione che il datore di lavoro
ebbe in occasione di precedenti mancanze del dipendente non esclude che, in
una valutazione complessiva del comportamento, tali mancanze siano comprese,
come indice rivelatore della idoneità del fatto singolo ultimo contestato a costi-
tuire giusta causa di recesso (Cass. 18 novembre 1978, n. 5386; Cass. 23 luglio
1985, n. 4336).
D’altro canto, affrontando l’altra questione relativa alla possibilità per il giudi-
ce di convertire il provvedimento del licenziamento in tronco per giusta cau-
sa in un provvedimento di licenziamento per giustificato motivo soggettivo con
preavviso (o pagamento della relativa indennità sostitutiva), la giurisprudenza
ha sancito che la conversione può essere operata anche d'ufficio, ma incontra un
limite nella regola generale dell'immutabilità della contestazione e non può aver
luogo quando vengono mutati i motivi posti a base dell'iniziale contestazione e
quando implica l'accertamento di fatti nuovi e diversi da quelli inizialmente ad-
dotti dal datore di lavoro a sostegno del suo recesso (Cass. 6 giugno 2000, n.
7617).
In materia di conversione, peraltro, la Suprema Corte ammette la liceità della
conversione affermando che nel riscontro in concreto degli estremi della giusta
causa di licenziamento (la quale riveste carattere di grave negazione degli ele-
menti essenziali del rapporto di lavoro, quali la collaborazione, la subordinazio-
ne e la fiducia), si deve tener nel debito conto anche le previsioni contenute nei
contratti collettivi di categoria e nei regolamenti del personale, mentre è certo
che il licenziamento per giustificato motivo trova la sua disciplina normativa

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

unicamente nell'art. 3 della legge n. 604/1966, per cui qualora il giudice riscon-
tri nel licenziamento per giusta causa gli estremi del giustificato motivo, e con-
verta l’una nell’altro, la richiesta dell’indennità sostitutiva del preavviso deve
intendersi ricompresa nella più ampia domanda di risarcimento dei danni per li-
cenziamento illegittimo proposta dal lavoratore (Cass. 27 ottobre 1973, n.
2800).
1.2.2. Licenziamento per giustificato motivo
La definizione di giustificato motivo di licenziamento individuale è rinvenibile
nell'art. 3 della legge n. 604/1966 dove si legge che «il licenziamento per giusti-
ficato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli
obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti l'attivi-
tà produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di es-
sa».
Si configurano quindi due tipi di «giustificato motivo»:

- giustificato motivo di carattere soggettivo, quando il motivo è conseguenza


del comportamento del lavoratore (notevole inadempimento dei suoi obblighi
contrattuali);
- giustificato motivo di carattere oggettivo o economico quando il motivo non
dipende dal comportamento del lavoratore, bensì da ragioni inerenti l'attività
produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento dell'attività
produttiva stessa.

Specifiche norme di legge, peraltro, stabiliscono espressamente che non costi-


tuiscono giustificato motivo di licenziamento, come, ad esempio, il rifiuto del
lavoratore con contratto a tempo parziale di effettuare lavoro supplementare e di
sottoscrivere clausole elastiche, nonché il rifiuto di passare dal tempo pieno al
tempo parziale e viceversa, ovvero il rifiuto di prestare lavoro notturno in tutti i
casi in cui non ne esiste l’obbligo.
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo (soggettivo od oggettivo) non
è richiesta l'immediatezza del provvedimento di recesso. Manca, infatti, una
causa tale da non permettere la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto.
Anche nel caso di licenziamento per giustificato motivo, comunque, i motivi
addotti a supporto del licenziamento non possono essere mutati nel corso del
procedimento. Tale principio non esclude, di fatto, che la qualificazione giuridi-
ca del motivo di licenziamento possa essere corretta o che possano essere suc-
cessivamente addotte nuove circostanze specificative o confermative dei fatti
già contestati. In particolare, il datore di lavoro può ulteriormente specificare i
motivi che hanno determinato il recesso, purché l’integrazione della motivazio-
ne non si concreti in una diversa motivazione del licenziamento rispetto a quella
resa nota all'atto della comunicazione del licenziamento stesso o dei motivi che
lo hanno determinato.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

1.2.3. Giustificato motivo soggettivo


Costituiscono giustificato motivo soggettivo di licenziamento quei comporta-
menti del lavoratore per i quali i contratti collettivi prevedono il licenzia-
mento con preavviso.
Si può infatti argomentare che si tratta di comportamenti che presuppongono un
«notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro».
D’altro canto, la previsione periodo di del preavviso evidenzia che la mancanza
non è giudicata così grave da non permettere la prosecuzione del rapporto, nep-
pure per il limitato periodo del preavviso, e quindi non viene a configurare una
giusta causa.
Il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse dal lavoratore e la loro at-
titudine a costituire giustificato motivo di licenziamento si risolve in un apprez-
zamento di fatto (Cass. 23 febbraio 1983, n. 1340).
In particolare, quando vi sono rapporti di lavoro il cui contenuto si risolve nel
promuovere e stipulare affari per il datore di lavoro (come nelle assicurazioni),
comportando che la prestazione si svolga fuori della sede dell'impresa, senza al-
cuna possibilità di sorveglianza nel momento dell'esecuzione dell'attività lavora-
tiva, resta salva solo la possibilità di controllare la diligenza del lavoratore con il
determinare un rendimento economico minimo, che deve essere raggiunto. In
questi casi, nel valutare il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, ai
fini della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento, deve aversi ri-
guardo non tanto ai minimi previsti dalla contrattazione, ma a quelli che in con-
creto appaiono raggiungibili da parte della media dei lavoratori addetti alla spe-
cifica attività ed operanti nella medesima zona, verificando adeguatamente, in
rapporto ai concreti interessi della controparte, la gravità dell'inadempimento
del lavoratore comportata dalla misura del sottorendimento rispetto ai predetti
minimi di produzione e se tale sottorendimento derivi dalla negligenza del lavo-
ratore nell'espletamento delle prestazioni formanti oggetto del contratto, senza
che tale valutazione possa risultare preclusa dalla circostanza che il contratto
individuale o collettivo preveda il mancato raggiungimento dei ripetuti minimi
come giustificato motivo di licenziamento (Cass. 21 novembre 1984, n. 5967).
Il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale o d’uso, non integra ex
se l’inesatto adempimento che si presume, fino a prova contraria, imputabile a
colpa del debitore (ex art. 1218 cod. civ.), dato che, nonostante la previsione di
minimi quantitativi, il lavoratore è obbligato ad un facere e non ad un risultato e
la inadeguatezza della prestazione resa può essere imputabile alla stessa orga-
nizzazione dell'impresa o comunque a fattori non dipendenti dal lavoratore.
Il datore di lavoro che intende far valere lo scarso rendimento quale giustificato
motivo soggettivo di licenziamento non può limitarsi a provare il mancato rag-
giungimento del risultato atteso ed eventualmente la sua oggettiva esigibilità,
ma è onerato della dimostrazione di un notevole inadempimento degli obblighi
contrattuali del lavoratore, quale fatto complesso alla cui valutazione deve con-
correre anche l'apprezzamento degli aspetti concreti del fatto addebitato, tra cui

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il grado di diligenza richiesto dalla prestazione e quello usato dal lavoratore


(Cass. 19 agosto 2000, n. 11001).
Il giudice può anche trasformare un licenziamento per giusta causa in un licen-
ziamento per giustificato motivo soggettivo (e quindi con preavviso o relativa
indennità sostitutiva): la giusta causa e il giustificato motivo sono qualificazioni
giuridiche di comportamenti egualmente idonei a legittimare la cessazione del
rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso, pertanto
è ammissibile la conversione d'ufficio da parte del giudice il quale, adito con
l'impugnativa del licenziamento, attribuisca al fatto, che è stato posto a fonda-
mento del recesso del datore di lavoro, la minor gravità propria del giustificato
motivo soggettivo (Cass. 5 novembre 1985, n. 5384).
1.2.4. Giustificato motivo oggettivo
Anche in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cosiddetto
“licenziamento economico”, il giudice può controllare l'esistenza di un nesso di
causalità fra il fatto addotto ed il licenziamento al fine di accertare che la giusti-
ficazione non sia falsa o pretestuosa; tuttavia non può estendere il controllo del-
la valutazione delle conseguenze organizzative che l'imprenditore ha ritenuto di
trarre dai fatti.
Dalla giurisprudenza in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggetti-
vo risulta che si ritiene sussistere un obbligo del datore di lavoro ad utilizzare il
dipendente ove non provi rigorosamente l'esistenza del motivo oggettivo che ha
determinato il licenziamento: il datore di lavoro deve, quindi, provare che vi è
stata soppressione del posto di lavoro del dipendente ed anche che vi è impos-
sibilità ad utilizzare il dipendente in altro settore dell'azienda.
Costituiscono giustificato motivo oggettivo di licenziamento sia la cessazione
della gestione di una sede dell’attività, sia l'impossibilità di utilizzare il dipen-
dente licenziato presso altra unità rimasta al datore di lavoro, né può avere alcun
pregio la tesi secondo cui il dipendente licenziato, essendo più anziano ed esper-
to nello svolgimento delle mansioni richieste, avrebbe dovuto essere preferito,
nella continuazione dell'attività lavorativa, agli altri lavoratori addetti all’unità
produttiva, la cui gestione non era cessata; un siffatto obbligo, infatti, non è pre-
visto dalla legge, la quale non vincola i poteri del datore di lavoro nell'organiz-
zazione dell'impresa, né gli impone di strutturare l'organizzazione in modo da
mantenere al lavoro il lavoratore direttamente colpito dal motivo inerente all'or-
ganizzazione produttiva e di sacrificare altro lavoratore la cui attività non sia
stata resa superflua dall'indicato motivo (Cass. 21 giugno 1985, n. 3752).
Per la legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo
consistente nella chiusura o soppressione del reparto o dell'attività alla quale era
addetto il dipendente, il datore di lavoro è tenuto a provare, oltre l'obiettivo veri-
ficarsi di detta situazione, l'impossibilità di utilizzare il dipendente medesimo in
altre mansioni equivalenti, ma non anche a dimostrare che quella ristrutturazio-
ne aziendale sia derivata da validi ed apprezzabili motivi: la prova dell'impossi-
bilità dell'utilizzazione del lavoratore va fornita sulla base di inequivoci elemen-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

ti volti a dimostrare che nell'ambito dell'organizzazione aziendale, esistente al


momento del licenziamento, non vi erano altre possibilità per evitare la risolu-
zione del rapporto di lavoro se non quella vietata di adibire il lavoratore in una
mansione dequalificante rispetto a quella esercitata prima della ristrutturazione
dell’azienda (Cass. 26 gennaio 1984, n. 624).
Le sentenze appena citate si riferiscono alle ipotesi di chiusura di unità produtti-
ve, ma se la chiusura riguarda aziende con oltre 15 dipendenti che licenziano
almeno 5 dipendenti nell'arco di 120 giorni, si rientra nella fattispecie del licen-
ziamento collettivo. Tornando al licenziamento individuale per giustificato mo-
tivo oggettivo, la soppressione di un posto di lavoro per documentata antieco-
nomicità costituisce giustificato motivo di licenziamento del lavoratore che vi
era addetto, allorché non esista la possibilità di utilizzarlo in altro posto, com-
portante analoghe mansioni: in caso di licenziamento dovuto a ristrutturazione
aziendale, il giudice non può sindacare le ragioni che hanno indotto l'imprendi-
tore a ristrutturare la sua azienda, anche se tale ristrutturazione comporta la sop-
pressione di posti di lavoro e il conseguente licenziamento di lavoratori (Cass. 8
luglio 1982, n. 4050).
Quanto alla definizione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento indi-
viduale è rinvenibile nella seconda parte dell'art. 3 della legge n. 604/1966, non
modificato dalla legge n. 92/2012, dove si legge che «il licenziamento per giu-
stificato motivo con preavviso è determinato (…) da ragioni inerenti l'attività
produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa».
Si evince chiaramente che il «giustificato motivo» di carattere oggettivo non di-
pende dal comportamento del lavoratore, bensì da ragioni inerenti l'attività
produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento dell'attivi-
tà produttiva stessa.
Secondo Cass. n. 11465 del 9 luglio 2012 il licenziamento per giustificato moti-
vo oggettivo determinato da ragioni inerenti l'attività produttiva rimane una
scelta riservata all'imprenditore, nella sua concreta qualità di responsabile della
corretta gestione dell'azienda, anche sul piano economico ed organizzativo, per
cui quando la motivazione addotta è effettiva e non simulata o pretestuosa, essa
non è sindacabile dal giudice in merito ai profili della sua congruità ed opportu-
nità.
In questo senso la Circolare n. 3/2013 del Ministero del Lavoro, esemplifican-
do, evidenzia fra le ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento i
casi di: ristrutturazione di reparti, soppressione del posto di lavoro, terziarizza-
zione, esternalizzazione di attività. Con riferimento ai casi di ristrutturazione e
di soppressione (di reparto o di posto), il Ministero sottolinea che tali giustifica-
zioni «non possono essere genericamente individuate ma debbono essere ricon-
dotte all'esigenza di dover, necessariamente, "cancellare" o ridurre quel repar-
to o, a maggior ragione, quel posto di lavoro nel quale si trova ad operare il
dipendente, con l'impossibilità di una utilizzazione in altre mansioni compatibili
con quella precedentemente svolta».

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Nella portata qualificatoria dei “licenziamenti economici” non sembra possano


rientrare, stante il mancato esplicito richiamo, i licenziamenti per scarso rendi-
mento, nonostante le argomentazioni già fatte proprie da Cass. Civ., Sez. Lav., 4
settembre 2014, n. 18678. Secondo la sentenza richiamata, infatti, deve ritenersi
«legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualo-
ra sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività
resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di la-
voro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipen-
dente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli
obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effetti-
vamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei
risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed
indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione. Ne
consegue che è legittimo il licenziamento del lavoratore in presenza di assenze
per malattia che pure non superino il periodo di comporto, ove queste, anche se
incolpevoli, diano luogo a scarso rendimento e rendano la prestazione non più
utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulle esigenze di organiz-
zazione e funzionamento dell'azienda, dando luogo a scompensi organizzativi.
(Nella fattispecie, le assenze venivano comunicate all'ultimo momento determi-
nando la difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un
sostituto, considerato, fra l'altro che il dipendente risultava assente proprio al-
lorché doveva effettuare il turno di fine settimana o il turno notturno, il che
causava ulteriore difficoltà nella sostituzione - oltre che malumori nei colleghi
che dovevano provvedere alla sostituzione - ciò anche in ragione del verificarsi
delle assenze "a macchia di leopardo")».

Licenziamento disciplinare
Dopo l’entrata in vigore dell’art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto
dei lavoratori), sono cominciati a sorgere dubbi circa l'applicabilità delle norme
in materia di sanzioni disciplinari al licenziamento per motivi disciplinari,
soprattutto quando le norme contrattuali non includono espressamente fra le
sanzioni disciplinari i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo
soggettivo.
La situazione attuale deriva da una importante sentenza della Corte
Costituzionale, precisamente la n. 204 del 30 novembre 1982, che ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo, secondo e terzo comma
dell'art. 7 della legge n. 300/1970 proprio in quanto interpretati nel senso della
loro inapplicabilità ai licenziamenti disciplinari, per i quali essi non siano
espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente
posta dal datore di lavoro. Sulla base della citata sentenza della Corte
Costituzionale, dunque, i licenziamenti disciplinari, indipendentemente dal
fatto che le norme dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori siano o meno
espressamente richiamate, possono essere legittimamente intimati solo nel

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rispetto della procedura disposta da tale norma, con riguardo ai suoi primi tre
commi: comma 1 (pubblicità ed affissione della relativa normativa), comma 2
(preventiva comunicazione dell'addebito e difesa del lavoratore) e comma 3
(possibilità del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale). Le
conseguenze dell'inosservanza di tali garanzie procedurali, peraltro, non
consistono soltanto nel risarcimento del danno, ma, in quanto coincidenti con
quelle previste dall'art. 18 della legge n. 300/1970, implicano il diritto alla
reintegrazione nel posto di lavoro.
Per i licenziamenti disciplinari, e, in modo particolare, per il licenziamento
senza preavviso nell'ipotesi di «giusta causa», non è necessario attendere il
trascorrere dei 5 giorni dalla contestazione scritta per dare esecuzione al
provvedimento, occorre tuttavia rispettare eventuali normative contrattuali
più favorevoli (alcuni contratti collettivi prevedono, ad esempio, che nel caso
di licenziamento senza preavviso per giusta causa, il lavoratore sia sospeso dal
lavoro, con decorrenza della retribuzione, per 5 giorni nel corso dei quali può
presentare le sue giustificazioni).
Anche dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale si sono
presentati due contrastanti orientamenti giurisprudenziali: secondo un primo
filone l’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge n. 300/1970 devono trovare
applicazione in tutti i casi nei quali il licenziamento sia intimato a seguito di una
colpa (o presunta colpa) del lavoratore, e quindi sia concretamente di natura
disciplinare, indipendentemente dalla sussistenza di una previsione di natura
formale di «sanzione disciplinare» da parte della normativa legale o
contrattuale, applicabile al rapporto; secondo un diverso orientamento, per
l’applicazione delle norme anzidette occorre comunque che la normativa
collettiva, o altra norma validamente posta in atto dal datore di lavoro,
permetta di ricomprendere formalmente il licenziamento in questione tra le
«sanzioni disciplinari».
La giurisprudenza, inoltre, è prevalentemente orientata nel senso di
ritenere applicabile ai licenziamenti disciplinari la procedura di cui all'art. 7
della legge n. 300/1970 indipendentemente dal numero dei dipendenti in forza
all'azienda, sulla considerazione che la norma non rientra fra quelle che
trovano applicazione soltanto nelle sedi, stabilimenti, filiali, uffici o reparti
autonomi che occupano più di 15 dipendenti per quanto riguarda le imprese
industriali e commerciali o più di 5 dipendenti per quanto riguarda le imprese
agricole.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

2. CAMPO DI APPLICAZIONE
Ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. n. 23/2015 sulle tutele crescenti il nuovo regime
di tutela nel caso di licenziamento illegittimo trova applicazione per i lavoratori
che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata
in vigore del decreto legislativo stesso, vale a dire dal 7 marzo 2015.
La prima considerazione, quindi, riguarda l’esclusione dal campo di applicazio-
ne del D.Lgs. n. 23/2015 dei dirigenti, il cui licenziamento individuale rimane
governato dal regime sanzionatorio già vigente, così come integrato per i licen-
ziamenti collettivi dalla legge n. 161/2014.
Nel silenzio della norma la nuova disciplina dovrebbe comunque tenere fermi i
regimi speciali di libera recedibilità (c.d. recesso ad nutum) previsti per presta-
tori di lavoro domestico, per gli sportivi professionisti e, in particolare, per i la-
voratori assunti in prova (in forza dell’art. 2096, comma 3, cod. civ. secondo cui
«durante il periodo di prova ciascuna delle due parti può recedere dal contrat-
to, senza obbligo di preavviso o d’indennità», in qualunque momento) e per i
lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile.
Ancora nel silenzio normativo (nonostante le esplicite richieste di chiarimento,
di segno contrapposto ben è vero, recate nei pareri resi dal Senato della Repub-
blica l’11 febbraio e dalla Camera dei Deputati il 17 febbraio) sembrano doversi
escludere dal campo di applicazione i dipendenti delle Pubbliche Amministra-
zioni anche in considerazione della declaratoria di inquadramento declinata dal-
la norma che non trova riscontro nelle Amministrazioni Pubbliche (operai, im-
piegati, quadri).
Il secondo comma, entrato nel testo del decreto in fase di approvazione finale su
sollecitazione del parere del Senato, stabilisce che il regime sanzionatorio dei li-
cenziamenti in oggetto si applica anche nei casi di conversione del contratto a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato o di stabilizzazione del
contratto di apprendistato, se avvenuta successivamente all’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 23/2015.
Ciò sta a significare che la stabilizzazione dei contratti a termine come quella di
un contratto di apprendistato intervenuta dal 7 marzo 2015 in poi rientra nel
campo di applicazione del D.Lgs. n. 23/2015 per quanto attiene alla monetizza-
zione progressiva e certa delle indennità risarcitorie in caso di licenziamento il-
legittimo. D’altro canto analogo effetto hanno le stabilizzazioni che provengono
da contratti di lavoro non subordinato (contratti di collaborazione coordinata e
continuativa anche a progetto o associazioni in partecipazione) i quali assunti
con lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 entrano a pieno
titolo nel regime delle tutele crescenti.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

2.1. Soglie dimensionali delle aziende


L’art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015 dispone che la nuova disciplina dei li-
cenziamenti trova applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro, in con-
seguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente
all’entrata in vigore del decreto stesso, vale a dire a partire dal 7 marzo 2015,
raggiunga il requisito occupazionale di cui all’art.18, commi 8 e 9, della legge
20 maggio 1970, n. 300 (superamento della soglia dei 15 dipendenti).
D’altra parte, il D.Lgs. n. 23/2015 prevede espressamente un regime sanzionato-
rio ordinario per le aziende al di sopra della soglia tracciata dallo Statuto dei
Lavoratori e un regime speciale, ridotto, parificato a quello previsto dall’art. 8
della legge n. 604/1966, per le aziende al di sotto della soglia.
L’art. 18, comma 8, della legge n. 300/1970 prevede la distinzione della soglia
di applicazione delle tutele maggiori in ragione delle dimensioni aziendali, con
riferimento al datore di lavoro (imprenditore e non imprenditore) che in ciascu-
na sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luo-
go il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di 15 prestatori di lavoro o
più di 5 se trattasi di imprenditore agricolo. Il riferimento si estende anche ai da-
tori di lavoro (imprenditore e non imprenditore) che nell'ambito dello stesso
Comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel mede-
simo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti, anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso
al datore di lavoro (imprenditore e non imprenditore) che occupa alle sue dipen-
denze più di 60 prestatori di lavoro.
Non è ritenuta sufficiente la circostanza che il datore di lavoro abbia una qual-
che unità o uno stabilimento in un Comune nel quale viene superato il limite
numerico (15 dipendenti, 5 nel settore agricolo), ma occorre che tale limite sia
superato nell'unità o nel Comune dove è occupato il lavoratore cui si riferisce il
licenziamento.
2.1.1. Numero dei dipendenti
Agli effetti dell’identificazione della normativa da applicare in merito alle limi-
tazioni del potere di recesso da parte del datore di lavoro (e, particolarmente,
delle conseguenze dell'esercizio di tale potere) è essenziale determinare il nu-
mero dei dipendenti.
A questo proposito l’art. 18, comma 9, della legge n. 300/1970 fissa specifici
criteri.
Si stabilisce, anzitutto, che ai fini del computo del numero dei prestatori di
lavoro si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto a tempo inde-
terminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a
tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario
previsto dalla contrattazione collettiva di settore.
Inoltre si prevede che non si computano il coniuge e i parenti del datore di la-
voro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Non esistono dubbi in merito al computo dei lavoratori di qualsiasi categoria


(dirigenti, quadri, impiegati ed operai) stabilmente occupati dal datore di lavoro.
Ai fini del computo dei dipendenti occorre fare riferimento al numero dei dipenden-
ti normalmente occupati in modo continuativo, compresi gli assenti per malattia,
infortunio, maternità. La determinazione del numero va operata secondo le esi-
genze medie, normali, complessive dell'azienda nel corso del periodo del lavoro del
dipendente licenziato, per cui nel numero medio degli occupati nell'impresa devono
essere considerati i lavoratori assenti durante più o meno lunghi intervalli di tempo
per malattia, in quanto stabilmente inseriti nell'organizzazione imprenditoriale, non
possono, invece, essere compresi nel computo i lavoratori assunti per contingenti
necessità stagionali, le persone che prestano la loro attività solo saltuariamente ed
occasionalmente (Cass. 20 ottobre 1983, n. 6165). Va escluso che debba tenersi
conto dei soli lavoratori presenti nell'unità produttiva, dovendosi invece ammettere
al computo tutti i soggetti legati all'imprenditore da un rapporto di lavoro, anche se
sospeso, come nel caso delle lavoratrici assenti per gravidanza, ancorché queste non
siano inserite nell'organizzazione generale produttiva dell'azienda (Cass. 9 settem-
bre 1982, n. 4864).
Al contrario, non sono compresi nel computo i dipendenti assunti per breve
tempo e per contingenze provvisorie ed occasionali, ma occorre tener conto
di tutti quelli che, con riferimento al periodo del licenziamento, pur non essendo
occupati in modo continuo, risultano comunque inseriti nella organizzazione
produttiva (Cass. 3 novembre 1980, n. 5861). Si deve tener conto non solo dei
lavoratori occupati all'interno dell'impresa, ma anche di quelli esterni che, adibi-
ti a lavori da svolgersi, per loro natura, fuori dell'unità produttiva, ad essa fac-
ciano necessariamente capo per riceverne direttive e controlli e per rendere con-
to della attività da loro svolta, nonché dei dipendenti assenti per malattia od al-
tra causa, con esclusione dei lavoratori temporaneamente impiegati in sostitu-
zione di quelli assenti (Cass. 21 giugno 1980, n. 3922). Rientrano, ancora, nel
computo, i dipendenti che, pur considerati autonomi dal contratto collettivo,
siano realmente impegnati nel ciclo produttivo normale dell'articolazione
aziendale e i lavoratori stranieri assunti all'estero.
Per quanto riguarda gli apprendisti si ritiene che non debbano essere conteg-
giati, per effetto dell'art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 167/2011. Parimenti non de-
vono essere computati i contratti di inserimento (oggi soppressi per effetto
dell’art. 1, commi 14-15, della legge n. 92/2012) per specifica previsione
dell’art. 59 del D.Lgs. n. 276/2003. Quanto ai soci lavoratori di una coopera-
tiva la legge n. 142/2001 che, all’art. 1, comma 3, stabilisce che dalla scelta del
tipo di lavoro (subordinato, autonomo o in qualsiasi altra forma) derivano i rela-
tivi effetti di natura fiscale e previdenziale previsti dalla legge n. 142/2001 e da
altre leggi o da qualsiasi altra fonte: quindi se è stata scelta la forma di lavoro
subordinato, il socio lavoratore è un lavoratore dipendente come gli altri, da
conteggiare fra i dipendenti della cooperativa. I lavoratori somministrati non
sono conteggiati nell'organico dell'impresa utilizzatrice.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Lavoratori non computabili Lavoratori computabili


- apprendisti - dipendenti assenti per malattia,
- coniuge e parenti del datore di maternità, servizio militare o altre
lavoro entro il secondo grado in cause che non si concretino in un
linea retta e in linea collaterale allontanamento definitivo del
- lavoratori assunti con contratto di lavoratore
reinserimento - dipendenti in prova
- lavoratori temporaneamente - dipendenti esterni, lavoratori non
impiegati in sostituzione degli occupati all'interno dell'impresa,
assenti perché svolgono lavori che per loro
- lavoratori occasionalmente ed natura devono essere condotti e
eccezionalmente occupati in portati a termine fuori dello
attività diverse dall'attività stabilimento o dell'ufficio, ma che ad
normale dell'azienda essa fanno necessariamente capo
- soci di cooperative - dipendenti che, pur considerati
- amministratore unico di società di autonomi in forza di previsioni
capitali inquadrato come contrattuali, sono realmente
dipendente di essa impegnati nel ciclo produttivo
- lavoratori stagionali normale dell'articolazione aziendale
- lavoratore che svolge funzioni di - lavoratori stranieri assunti all'estero
alter ego fiduciario
dell'imprenditore
- lavoratore in attesa della
reintegrazione nel posto di lavoro;
- lavoratori a domicilio, purché non
vi sia una continuità nelle loro
prestazioni
2.1.2. Concetto di unità produttiva
Secondo la giurisprudenza prevalente deve intendersi per unità produttiva un
complesso aziendale che, pur non essendo necessariamente un soggetto auto-
nomo dal punto di vista giuridico, cioè un’impresa a sé stante, sia però una uni-
tà autonoma dal punto di vista produttivo. Il concetto di «unità produttiva»
non va confuso con quello di «sede secondaria», né con quella di «sede o uffi-
cio, con autonomia giuridica», ma deve essere riferito unicamente al fine che la
unità persegue, nel senso che deve trattarsi di un fine produttivo proprio, anche
se integrato nella più vasta attività dell'impresa.
A tal proposito deve pertanto escludersi il carattere di unità produttiva autono-
ma ad una sede periferica che, pur ricevendo ordinazioni e provvedendo alle
consegne non si approvvigioni autonomamente, bensì presso la sede principale,
alla quale peraltro facciano capo anche la contabilità, la fatturazione e i paga-
menti da parte dei clienti; si tratta di un semplice magazzino, di un deposito di
materiale della società, creato non certo per esigenze produttive autonome, e

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

che l'unità produttiva sia costituita dall'intera azienda (Cass. 16 gennaio 1984, n.
354).
I magazzini e i luoghi di deposito devono considerarsi unità produttive ogni
qualvolta vi sia preposto un capo-deposito, iscritto alla locale Camera di com-
mercio fra gli imprenditori, il quale abbia supremazia disciplinare ed organizza-
tiva sui dipendenti piazzisti e svolga l'attività aziendale con larga autonomia
operativa (Cass. 18 dicembre 1982, n. 7007).
2.1.3. Dimensioni aziendali e calcolo del personale secondo la
Circolare n. 3/2013 del Ministero del Lavoro
Il Ministero del Lavoro nella Circolare n. 3 del 16 gennaio 2013 ha segnalato
che la giurisprudenza è uniforme nell’affermare, riguardo all’onere della prova
sul numero dei dipendenti che determina limitazioni alla facoltà di recesso, che
grava sul datore di lavoro l'onere di eccepire e provare l'inesistenza del re-
quisito occupazionale (Cass. 19 gennaio 2012, n. 755; Cass., Sez. Un., 10 gen-
naio 2006, n. 141); tenendo altresì conto del fatto che tale presupposto, concer-
nendo le dimensioni occupazionali dell'impresa, con riferimento alle eventuali
articolazioni organizzative e alla distribuzione su territori diversi, riguarda con-
notazioni proprie dell'imprenditore e perciò, sicuramente rientranti nella sua
consapevolezza, ma non altrettanto sicuramente conosciute e percepibili dal la-
voratore dipendente (Cass. 22 gennaio 1999, n. 613).
A proposito di dimensioni aziendali, peraltro, la stessa Circolare n. 3/2013 chia-
risce, che «il calcolo della base numerica deve essere effettuato non già nel
momento in cui avviene il licenziamento, ma avendo quale parametro di riferi-
mento la c.d. "normale occupazione" nel periodo antecedente (gli ultimi 6 me-
si), senza tener conto di temporanee contrazioni di personale».
Il Ministero precisa ulteriormente che in quelle aziende in cui, «per motivi di
mercato o di attività svolta in periodi predeterminati», l’occupazione risulta
«fluttuante», si possono seguire le indicazioni giurisprudenziali che variano dal
concetto di «media» a quello di «normalità della forza lavoro riferita all'orga-
nico necessario in quello specifico momento dell'anno».
Per il computo occorre fare riferimento al numero dei dipendenti normalmente
occupati in modo continuativo, compresi gli assenti per malattia, infortunio, ma-
ternità. La determinazione del numero va operata secondo le esigenze medie,
normali, complessive dell'azienda nel corso del periodo del lavoro del dipenden-
te licenziato, per cui nel numero medio degli occupati nell'impresa devono esse-
re considerati i lavoratori assenti durante più o meno lunghi intervalli di tempo
per malattia, in quanto stabilmente inseriti nell'organizzazione imprenditoriale,
non possono, invece, essere compresi nel computo i lavoratori assunti per con-
tingenti necessità stagionali, le persone che prestano la loro attività solo saltua-
riamente ed occasionalmente (Cass. 14 ottobre 2011, n. 21280; Cass. 20 ottobre
1983, n. 6165). Si deve tener conto non solo dei lavoratori occupati all'interno
dell'impresa, ma anche di quelli esterni che, adibiti a lavori da svolgersi, per lo-
ro natura, fuori dell'unità produttiva, ad essa facciano capo per riceverne diretti-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

ve e controlli e per rendere conto della attività svolta, nonché dei dipendenti as-
senti per malattia od altra causa, con esclusione dei lavoratori temporaneamente
impiegati in sostituzione di quelli assenti (Cass. 21 giugno 1980, n. 3922). Non
sussistono dubbi circa l’esigenza di considerare l’intera forza lavoro occupata in
azienda, a prescindere dalla circostanza che una parte dei lavoratori siano as-
soggettati a differenti trattamenti normativi, retributivi e previdenziali: la giuri-
sprudenza sul punto ha già chiarito che se l’impresa svolge attività distinte, deve
tenersi necessariamente conto del numero complessivo dei lavoratori occupati
nello stesso Comune con riguardo a tutti i settori di attività, perché tutti riferibili
allo stesso datore di lavoro (Cass. 29 gennaio 1997, n. 879; Cass. 19 dicembre
1991, n. 13719).
Un’altra importante puntualizzazione operata dalla Circolare n. 3/2013, in meri-
to alle modalità di computo del personale, attiene al chiarimento secondo cui le
previsioni riferite espressamente dalla legge n. 92/2012 ai soli lavoratori a tem-
po parziale, da calcolarsi "pro-quota" in relazione all'orario pieno contrattuale,
devono intendersi riguardanti anche i lavoratori occupati con forme di lavoro
flessibili per modulazione di orario. Il Ministero afferma infatti che le indica-
zioni sul part-time devono estendersi anche ai lavoratori intermittenti e a quelli
in lavoro ripartito, che devono quindi essere «computati complessivamente in
relazione all'orario svolto e che vanno considerati come un'unità allorquando
l'orario complessivo coincida con il tempo pieno».
Non tutti i lavoratori, peraltro, sono da computare nell’organico aziendale.
La Circolare n. 3/2013 elenca espressamente le tipologie contrattuali che, in
conseguenza di specifiche disposizioni legislative, non sono computabili nel
novero dell’organico aziendale al fine di determinare la soglia di insorgenza
dell’obbligo di conciliazione preventiva:
a) assunti con rapporto di apprendistato;
b) assunti con contratto di inserimento, fino a quando il contratto risulterà
operativo;
c) assunti con contratto di reinserimento;
d) assunti già impiegati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità;
e) lavoratori somministrati (che non rientrano nell'organico dell'utilizzatore).
Inoltre, in base alle previsioni dell’art. 18, comma 9, della legge n.
300/1970, non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro en-
tro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

2.2. Organizzazioni di tendenza


L’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2015 prevede che la disciplina in esso con-
tenuta trovi applicazione anche nei confronti delle c.d. organizzazioni di ten-
denza, ossia con riguardo ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono sen-
za scopo di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione
ovvero di religione o di culto.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

2.3. Licenziamenti individuali e collettivi


Secondo le previsioni contenute nel D.Lgs. n. 23/2015 le norme introdotte dal
Jobs Act non trovano applicazione soltanto con riferimento ai licenziamenti in-
dividuali disciplinati dalla legge n. 604/1966 e dall’art. 18 della legge n.
300/1970, rispettivamente per le piccole e per le grandi imprese, ma anche rela-
tivamente ai licenziamenti collettivi intimati a seguito della procedura di cui
agli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991.

2.4. Licenziamento ad nutum


Fuori dal campo di applicazione del D.Lgs. n. 23/2015 in materia di tutele cre-
scenti sono le fattispecie in cui non esistono limitazioni al potere di recedere dal
contratto di lavoro a tempo indeterminato da parte del datore di lavoro. Pertanto,
anche dopo il Jobs Act, il datore di lavoro rimane libero di licenziare il lavorato-
re, nei confronti del quale è in atto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
semplicemente dando il preavviso contrattualmente previsto senza la necessità
di fornire alcuna motivazione (recesso ad nutum), nei casi consentiti dalla legge.
In tali casi, infatti, trova applicazione unicamente l'art. 2118 cod. civ., secon-
do il quale il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro a tempo inde-
terminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalla contrattazio-
ne collettiva, dagli usi o secondo equità. Va comunque tenuto presente che tale
tipologia di recesso rappresenta una eccezione, in quanto il licenziamento senza
che esista una giusta causa o un giustificato motivo rimane possibile unicamente
nei seguenti casi:
• nel rapporto di lavoro domestico;
• per i dirigenti;
• per i lavoratori in prova;
• per i lavoratori che abbiano raggiunto i requisiti pensionistici purché non
abbiano optato per la prosecuzione del rapporto.
Il fatto che il datore di lavoro, in questi casi, non sia tenuto a dare
una motivazione al licenziamento intimato non significa, tuttavia, che il
giudice non possa essere chiamato a giudicare in merito alla liceità del
licenziamento, e cioè a stabilire che il licenziamento non sia stato
intimato in presenza di un divieto assoluto o comunque per una causa
illecita. Infatti anche il licenziamento ad nutum soggiace alla norma
dell'art. 1418 cod. civ. che prevede la nullità dei negozi privi di causa
lecita, tenendo presente che la causa è illecita quando risulta contraria a
norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1343 cod.
civ.).
In materia di licenziamenti ad nutum deve ritenersi invalido il licen-
ziamento per motivi illeciti, tra i quali va compreso quello concernente la
ritorsione all'azione giudiziaria proposta dal lavoratore per ottenere una
pronuncia giudiziaria in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

e conseguenti arretrati retributivi (Cass. 29 giugno 1981, n. 4241; Cass. 9


luglio 1979, n. 3930). Si ritiene ammissibile l'indagine diretta ad accerta-
re l'eventuale nullità del licenziamento ad nutum perché intimato per ra-
gioni politiche o religiose o determinate dalla partecipazione ad attività
sindacali o dall'appartenenza ad un sindacato (Cass. 6 novembre 1976, n.
4061).
Poiché, quando non sono applicabili le norme della legge n.
604/1966, non è prevista l'inversione dell'onere della prova, è evidente
che il lavoratore che intende far dichiarare inefficace il licenziamento in-
timatogli per una causa da lui ritenuta illecita, dovrà provare la causa del
licenziamento e la sua illegittimità.

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3. LICENZIAMENTI NULLI E DISCRIMINATORI

3.1.Tutela reale e risarcimento del danno


Secondo la lett. c) del comma 7 della legge n. 183/2014, prescindendo dalle di-
mensioni aziendali, come già nel quadro regolatorio precedente, per i licenzia-
menti nulli e per quelli discriminatori seguiterà ad operare la reintegrazione del
lavoratore illegittimamente licenziato.
L’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015 disciplina il licenziamento discriminatorio, nul-
lo e intimato in forma orale, riproducendo sostanzialmente i contenuti della
disciplina vigente, recata dall’art. 18, commi 1-3, della legge n. 300/1970, che
prevede la tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro) del lavoratore ille-
gittimamente licenziato.
Il primo comma dell’art. 2, in particolare, dispone che il giudice, con la pronun-
cia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai
sensi dell’art. 15 della legge n. 300/1970 o riconducibile agli altri casi di nullità
espressamente previsti dalla legge, ovvero inefficace perché intimato in forma
orale, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegra-
zione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo for-
malmente addotto.
In ragione dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto
quando il lavoratore non ha ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito formula-
to dal datore di lavoro, salvo che il lavoratore richieda l’indennità sostitutiva
prevista (art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015).
Il secondo comma stabilisce che il giudice condanna altresì il datore di lavoro al
risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui è stata
accertata la nullità o l’inefficacia, stabilendo una indennità commisurata
all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rap-
porto (art. 2120, comma 2, cod.civ.).
Si noti che il testo finale del D.Lgs. n. 23/2015 sostituisce, su sollecitazione del
parere del Senato, questo parametro di calcolo a quello recato dallo schema di
decreto approvato il 24 dicembre 2014 che menzionava la retribuzione globale
di fatto, presente, peraltro, anche nell’art. 18 della legge n. 300/1970.

Art. 2120, comma 2, Codice civile


Disciplina del trattamento di fine rapporto
Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma
precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in
natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con
esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.

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Dato il parametro l’indennità risarcitoria deve tener conto della re-


tribuzione di riferimento, appunto, maturata dal giorno del licenziamento
fino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel
periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative
(aliunde perceptum). In ogni caso il risarcimento non potrà essere infe-
riore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo
del TFR.

In base all’art. 2120 cod. civ. la nozione di retribuzione utile ai fini del TFR concerne la
natura e la tipologia degli emolumenti da prendere in considerazione, escludendo
soltanto quelle erogazioni che hanno natura sporadica ed occasionale, conseguenti a
condizioni peculiari dell’azienda non prevedibili o del tutto fortuite.
Rientrano, pertanto, nella retribuzione utile ai fini del TFR gli emolumenti derivanti da
situazioni connesse al rapporto di lavoro come pure alle caratteristiche della
organizzazione del lavoro (Cass. 19 giugno 2004, n. 11448) ovvero che dipendono
strettamente dalle mansioni svolte in maniera stabile dal lavoratore (Cass. 14 giugno
2005, n. 12778). Non è richiesto che l’emolumento sia definitivo, essendo sufficiente che
il lavoratore ne sia stato destinatario in modo del tutto normale durante il rapporto di
lavoro, a prescindere dal tempo nel quale il compenso è stato percepito (Cass. 25
novembre 2005, n. 24875).
Alla luce di tali considerazioni nella retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR vanno
ricompresi tutti i compensi con carattere continuativo, che trovano nel rapporto di lavoro
la causa tipica: minimo contrattuale, indennità di contingenza, elemento distinto della
retribuzione, superminimi, scatti di anzianità, mensilità aggiuntive.
La giurisprudenza ha inoltre considerato elementi integranti della retribuzione ai fini del
calcolo del TFR, fra gli altri:
- l’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 22.2.1993, n. 2144);
- i premi di produzione benché variabili (Cass. 21.8.1987, n. 6986);
il compenso per tempo di viaggio o casa–lavoro (Trib. Milano 8.6.1986);
- l’indennità per il lavoro notturno ed il compenso per turni avvicendati (Cass. S.U.
24.2.1986, n. 1102; Cass. 5.11.1986, n. 6472; Cass. 5.12.1985, n. 6115);
- l’indennità sostitutiva di ferie e festività (Cass. 8.6.2005, n. 11936);
- i compensi percepiti per lavoro straordinario prestato con frequenza in base alla
particolare organizzazione del lavoro (Cass. 5.2.1994, n. 1002);
- il valore d’uso dell’autovettura (Cass. 15.11.2002, n. 16129);
- l’equivalente dei canoni di locazione dell’abitazione concessa in uso in via continuativa
ed il rimborso delle spese telefoniche private (Cass. 22.6.2004, n. 11644).
Esempi di contratti collettivi che elencano i compensi utili ai fini del calcolo del TFR:
ALIMENTARI: minimo contrattuale, ex indennità di contingenza, aumenti periodici di
anzianità e scatti consolidati, aumenti di merito e/o superminimi, premio di produzione,

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

indennità di turno continuativa, cottimi, tredicesima e quattordicesima mensilità,


indennità sostitutiva della mensa, indennità di alloggio, di maneggio denaro, indennità
sostitutiva di generi in natura.
CHIMICI: minimo contrattuale, indennità di posizione organizzativa, aumenti periodici di
anzianità, elemento retributivo individuale, aumenti di merito ed altre eccedenze mensili
sul minimo contrattuale, indennità di contingenza, elemento aggiuntivo della
retribuzione, premio di produzione ed elemento retributivo scorporato per viaggiatori e
piazzisti, indennità di turno, indennità di alloggio, indennità per lavorazioni nocive,
indennità di mensa, compenso per lavoro discontinuo fino a 50 ore settimanali,
provvigioni, interessenze, cottimo, mensilità aggiuntive, indennità sostitutiva del
preavviso.
METALMECCANICI: retribuzione fissata dalla legge, con l’esclusione di: compensi e
relative maggiorazioni per le prestazioni effettuate oltre l’orario di lavoro, equivalente del
costo della mensa e, dal 1° gennaio 1998 fino al 31 dicembre 1999, tredicesima mensilità.
TERZIARIO: retribuzione fissata dalla legge, incluso il compenso per lavoro supplementare
corrisposto ai lavoratori a tempo parziale, con esclusione di: rimborsi spese, somme
concesse occasionalmente a titolo di una tantum, gratificazioni straordinarie non
contrattuali e simili, compensi per lavoro straordinario e per lavoro festivo, indennità
sostitutiva del preavviso, indennità sostitutiva delle ferie, indennità di trasferta e diarie
non aventi carattere continuativo, prestazioni in natura quando sia previsto un
corrispettivo a carico del lavoratore, elementi espressamente esclusi dalla contrattazione
collettiva integrativa.
GOMMA E PLASTICA: minimo di retribuzione, aumenti di merito ed altre eccedenze
mensili sul minimo contrattuale, aumenti periodici di anzianità e scatti congelati,
indennità di contingenza ed E.D.R., maggiorazioni per lavoro a turni avvicendati, relativo
importo aggiuntivo per turno notturno e ad personam per mantenimento del guadagno
di cottimo, cottimo o compenso sostitutivo del cottimo, premio di produzione, compenso
per lavoro discontinuo fino a 48 ore settimanali, indennità di mensa, mensilità aggiuntive,
indennità sostitutivo del preavviso.
Rielaborazione da www.wikilabour.it voce “TFR (Trattamento di Fine Rapporto)”

Per quanto attiene alla nozione di “ultima” appare ragionevole interpretare la


norma nel senso di voler prendere a riferimento la retribuzione annuale
precedente alla data del licenziamento sulla quale è stato determinato,
calcolato e accantonato il TFR. Prendere a riferimento, infatti, l’ultima mensilità
tout court potrebbe esporre datore di lavoro e lavoratore all’alea della variabilità
di alcuni elementi a carattere stagionale o comunque oscillanti in ragione di
specifici fattori.
Il datore di lavoro è condannato, per l’intero periodo considerato, anche al ver-
samento dei contributi previdenziali e assistenziali.
L’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015 riconosce al lavoratore, fermo restan-
do il diritto al risarcimento del danno, la facoltà di chiedere al datore di lavoro,
in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro (c.d. opting out), una in-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

dennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento


per il calcolo del TFR, non assoggettata a contribuzione previdenziale.
L’esercizio dell’opzione sostitutiva fa scaturire evidentemente la risoluzione del
rapporto di lavoro.
La richiesta della indennità sostitutiva va effettuata, in ogni caso, entro 30 giorni
dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di la-
voro a riprendere servizio, se precedente alla comunicazione.

3.2. Disabilità (inidoneità) fisica o psichica


L’ultimo comma dell’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015 rappresenta la trasposizione
nella giusta sede normativa delle previsioni già contenute nell’art. 3, comma 3,
dello schema di decreto e dispone (analogamente a quanto previsto dalla norma-
tiva precedente) che la tutela reale (reintegrazione del lavoratore) trova applica-
zione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione
per motivo consistente nella “disabilità” (o meglio inidoneità) fisica o psichica
del lavoratore, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge
12 marzo 1999, n. 68.
Con riferimento a tale fattispecie il regime sanzionatorio della reintegra con tu-
tela reale piena anche ai fini risarcitori sostituisce una tutela molto meno incisi-
va che riguarda una tutela reale ridotta (con indennità minore, non superiore a
12 mensilità) per i datori di lavoro con più di 15 dipendenti e quello della tutela
obbligatoria per i datori con meno di 15 dipendenti (tra un minimo di 2,5 ed un
massimo di 6 mensilità).

3.3. Sanzioni per licenziamenti discriminatori e nulli nello Statuto


dei lavoratori
Il primo comma dell’art. 18 della legge n. 300/1970 stabilisce che i licenzia-
menti di tipo discriminatorio, operati da qualsiasi datore di lavoro (imprenditore
o non imprenditore, «quale che sia il numero dei dipendenti occupati») verso
qualsiasi lavoratore (compresi i dirigenti), indipendentemente dal motivo che sia
stato formalmente addotto, obbligano il giudice, con la sentenza con la quale di-
chiara la nullità del licenziamento, ad ordinare al datore di lavoro la reintegra-
zione del lavoratore nel posto di lavoro, riconoscendo al lavoratore illegittima-
mente licenziato una tutela reale piena.
La norma, oltre a quanto già sancito dall’art. 3 della legge 11 maggio 1990, n.
108, comprende il licenziamento nullo perché discriminatorio (intimato in vio-
lazione dei divieti di licenziamento per causa di matrimonio o per fruizione dei
congedi di maternità, paternità e parentali), nonché i licenziamenti affetti da
nullità (per espresse previsioni di legge come nel caso della fruizione di congedi
per eventi e cause particolari oppure per la formazione) o che derivino da un
motivo illecito determinante (art. 1345 cod. civ., come nell’ipotesi del cosiddet-
to «licenziamento per ritorsione» intimato dal datore di lavoro per reagire in
modo arbitrario ad una condotta non illecita né antidoverosa del lavoratore). Lo

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

stesso regime sanzionatorio trova applicazione anche nei confronti del licen-
ziamento che sia dichiarato inefficace perché intimato in forma orale anzi-
ché scritta.
In conseguenza dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro deve inten-
dersi risolto se il lavoratore non ha ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito
del datore di lavoro, salvo che il lavoratore, chieda al datore di lavoro (in sosti-
tuzione della reintegrazione) la corresponsione di una indennità pari a 15
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (non assoggettata a contri-
buzione previdenziale), fermo restando il diritto al risarcimento del danno (in-
dennità che non può essere inferiore a 5 mensilità, commisurata all’ultima retri-
buzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino a quello del-
la reintegrazione, diminuita di quanto percepito per lo svolgimento di altre atti-
vità lavorative nel periodo di illegittima estromissione dal rapporto di lavoro).

3.4. Divieti assoluti di licenziamento


L'art. 4 della legge n. 604/1966 stabilisce che «il licenziamento determinato da
ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e
dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo, indipendentemente dalla mo-
tivazione adottata».
L'art. 15 della legge n. 300/1970 dispone che «è nullo qualsiasi patto od atto di-
retto a: […] b) licenziare un lavoratore [...] a causa della sua affiliazione o at-
tività sindacale ovvero alla sua partecipazione ad uno sciopero».
Infine, l'art. 3 della legge n. 108/1990 precisa che «il licenziamento determinato
da ragioni discriminatorie ai sensi dell'art. 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604,
e dell'art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300 [...] è nullo indipendentemente
dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti
occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'art. 18 della legge
20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge»; tali disposizio-
ni che si applicano anche ai dirigenti valgono anche per il licenziamento che
avviene «a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di
sesso» (Cass. 17 maggio 1979, n. 2856; Cass. 11 aprile 1980, n. 2314; Cass. 4
luglio 1984, n. 3916).
In base all’art. 26, comma 3, del D.Lgs. n. 198/2006 e all’art. 3 legge n.
108/1990 è nullo perché discriminatorio il licenziamento di un lavoratore o di
una lavoratrice vittima di discriminazioni per ragioni connesse al sesso o mole-
stie sessuali.
Gli altri casi nei quali vige un divieto assoluto di licenziamento sono quelli che
interessano:
• la lavoratrice in gravidanza e puerperio nel periodo intercorrente dall’inizio
del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal la-
voro previsti dalla legge, nonché fino al compimento di un anno di età del
bambino (art. 54, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001);

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

• il padre lavoratore nel periodo di durata del congedo di paternità e fino al


compimento di un anno di età del bambino (art. 54, commi 5 e 7, D.Lgs. n.
151/2001);
• i genitori lavoratori a causa della domanda o della fruizione del congedo pa-
rentale e per la malattia del bambino (art. 54, comma 6, D.Lgs. n.
151/2001);
• i genitori adottivi o affidatari nel periodo di durata dell’astensione obbliga-
toria e in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità fino a un
anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare (art. 54, comma 9,
D.Lgs. n. 151/2001);
• la lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pub-
blicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la
celebrazione stessa (art. 35, commi 2 e 6-7, D.Lgs. n. 198/2006).
I divieti di licenziamento annotati sono da considerare divieti “assoluti” non
soltanto perché interessano tutti i datori di lavoro, ma anche in quanto inte-
ressano sia i licenziamenti individuali che i licenziamenti collettivi.
L'art. 18, commi 1, 2, 3, della legge n. 300/1970, così come modificato dall'art.
1, comma 42, della legge n. 92/2012, contiene una disciplina del licenziamento
nullo che sostanzialmente conferma la normativa precedente, prevedendo la nul-
lità del licenziamento:
• discriminatorio ai sensi dell'art. 3 della legge n. 108/1990 (determinato da
ragioni di credo politico o fede religiosa, dell'appartenenza ad un sindacato
e dalla partecipazione ad attività sindacali);
• intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'art. 35 del D.Lgs. n.
198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna);
• in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'art. 54, commi 1, 6, 7 e 9,
del D.Lgs. n. 151/2001 (T.U. in materia di tutela e sostegno della maternità
e della paternità);
• perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge;
• determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 cod.
civ.
Le conseguenze derivanti dalla declaratoria di nullità, si applicano anche al li-
cenziamento intimato in forma orale.

LICENZIAMENTI NULLI E DISCRIMINATORI


Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
Licenziamento inefficace Tutela reale piena Tutela reale piena
senza forma scritta Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
Per avere il datore di la- trice ha diritto a: trice ha diritto a:
voro intimato il licenzia- - reintegrazione o inden- - reintegrazione o inden-
mento al lavoratore sol- nità sostitutiva pari a 15 nità sostitutiva pari a 15

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

LICENZIAMENTI NULLI E DISCRIMINATORI


Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
tanto verbalmente e mensilità; mensilità dell’ultima re-
senza forma scritta. - pagamento tribuzione di riferimento
dell’indennità risarcitoria per il calcolo del tratta-
non inferiore a 5 mensili- mento di fine rapporto;
tà dell’ultima retribuzio- - pagamento
ne globale di fatto matu- dell’indennità risarcitoria
rata dal giorno del licen- non inferiore a 5 mensili-
ziamento fino a quello tà dell’ultima retribuzio-
dell’effettiva reintegra- ne di riferimento per il
zione, diminuita calcolo del trattamento di
dell’aliunde perceptum; fine rapporto maturata
- versamento dei contri- dal giorno del licenzia-
buti previdenziali ed as- mento fino a quello
sistenziali per lo stesso dell’effettiva reintegra-
periodo; zione, diminuita
- pagamento delle san- dell’aliunde perceptum;
zioni per omesso o ritar- - versamento dei contri-
dato versamento contri- buti previdenziali ed as-
butivo. sistenziali per lo stesso
periodo;
- pagamento delle san-
zioni per omesso o ritar-
dato versamento contri-
butivo.
Licenziamento Tutela reale piena Tutela reale piena
discriminatorio Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
Per avere licenziato il trice ha diritto a: trice ha diritto a:
prestatore di lavoro per - reintegrazione o inden- - reintegrazione o inden-
ragioni di credo politico o nità sostitutiva pari a 15 nità sostitutiva pari a 15
fede religiosa, o per mensilità; mensilità;
l’appartenenza ad un - pagamento - pagamento
sindacato e la partecipa- dell’indennità risarcitoria dell’indennità risarcitoria
zione ad attività sindacali non inferiore a 5 mensili- non inferiore a 5 mensili-
o per questioni razziali o tà (con riferimento tà (con riferimento
sessuali. all’ultima retribuzione all’ultima retribuzione di
globale di fatto maturata riferimento per il calcolo
dal giorno del licenzia- del trattamento di fine
mento fino a quello rapporto maturata dal

32 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

LICENZIAMENTI NULLI E DISCRIMINATORI


Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
dell’effettiva reintegra- giorno del licenziamento
zione, diminuita fino a quello dell’effettiva
dell’aliunde perceptum); reintegrazione, diminuita
- versamento dei contri- dell’aliunde perceptum);
buti previdenziali ed as- - versamento dei contri-
sistenziali per lo stesso buti previdenziali ed as-
periodo; sistenziali per lo stesso
- pagamento delle san- periodo;
zioni per omesso o ritar- - pagamento delle san-
dato versamento contri- zioni per omesso o ritar-
butivo. dato versamento contri-
butivo.
Licenziamento nullo Tutela reale piena Tutela reale piena
Per avere il datore di la- Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
voro effettuato illegitti- trice ha diritto a: trice ha diritto a:
mamente il licenziamen- - reintegrazione o inden- - reintegrazione o inden-
to: nità sostitutiva pari a 15 nità sostitutiva pari a 15
- avendolo intimato in mensilità; mensilità dell’ultima re-
violazione dei divieti di - pagamento tribuzione di riferimento
licenziamento per causa dell’indennità risarcitoria per il calcolo del tratta-
di matrimonio o per frui- non inferiore a 5 mensili- mento di fine rapporto;
zione dei congedi di ma- tà (con riferimento - pagamento
ternità, paternità e pa- all’ultima retribuzione dell’indennità risarcitoria
rentali; globale di fatto maturata non inferiore a 5 mensili-
- essendo nullo per dal giorno del licenzia- tà dell’ultima retribuzio-
espressa previsione di mento fino a quello ne di riferimento per il
legge; dell’effettiva reintegra- calcolo del trattamento di
- avendolo intimato per zione, diminuita fine rapporto maturata
motivo illecito determi- dell’aliunde perceptum); dal giorno del licenzia-
nante. - versamento dei contri- mento fino a quello
buti previdenziali ed as- dell’effettiva reintegra-
sistenziali per lo stesso zione, diminuita
periodo; dell’aliunde perceptum;
- pagamento delle san- - versamento dei contri-
zioni per omesso o ritar- buti previdenziali ed as-
dato versamento contri- sistenziali per lo stesso
butivo. periodo;
- pagamento delle san-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

LICENZIAMENTI NULLI E DISCRIMINATORI


Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
zioni per omesso o ritar-
dato versamento contri-
butivo.

LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO PER IDONEITA’ FISICA O PSICHICA NEGATA

Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7


6 marzo 2015) marzo 2015)
Licenziamento illegitti- DATORI DI LAVORO CON Tutela reale piena
mo per mancanza di giu- PIU’ DI 15 DIPENDENTI Il lavoratore o la lavora-
stificato motivo relativo Tutela reale ridotta trice ha diritto a:
a inidoneità fisica o psi- Il lavoratore o la lavora- - reintegrazione o inden-
chica trice ha diritto a: nità sostitutiva pari a 15
Per avere il datore di la- - annullamento del licen- mensilità dell’ultima re-
voro effettuato illegitti- ziamento; tribuzione di riferimento
mamente il licenziamen- - reintegrazione del lavo- per il calcolo del tratta-
to per mancanza di giu- ratore nel posto di lavo- mento di fine rapporto;
stificazione del licenzia- ro o indennità sostitutiva - pagamento
mento per motivo ogget- pari a 15 mensilità; dell’indennità risarcitoria
tivo consistente nella - pagamento non inferiore a 5 mensili-
inidoneità fisica o psichi- dell’indennità risarcitoria tà dell’ultima retribuzio-
ca del lavoratore. non superiore a 12 men- ne di riferimento per il
silità (pari all’ultima re- calcolo del trattamento di
tribuzione globale di fat- fine rapporto maturata
to maturata dal giorno dal giorno del licenzia-
del licenziamento fino a mento fino a quello
quello dell’effettiva rein- dell’effettiva reintegra-
tegrazione, diminuita zione, diminuita
dell’aliunde perceptum e dell’aliunde perceptum;
dell’aliunde percipiendi); - versamento dei contri-
- versamento dei contri- buti previdenziali ed as-
buti previdenziali ed as- sistenziali per lo stesso
sistenziali per lo stesso periodo;
periodo, maggiorati degli - pagamento delle san-
interessi nella misura le- zioni per omesso o ritar-
gale, in misura pari al dif- dato versamento contri-
ferenziale fra la contri- butivo.
buzione che sarebbe ma-

34 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

turata nel rapporto ces-


sato per l’illegittimo li-
cenziamento e quella ef-
fettivamente accreditata
per lo svolgimento di al-
tre attività lavorative du-
rante il periodo di
estromissione.
DATORI DI LAVORO CON
MENO DI 15
DIPENDENTI
Tutela obbligatoria
Il lavoratore o la lavora-
trice ha diritto a:
- essere riassunto entro il
termine di 3 giorni
- in mancanza, ha diritto
a una indennità risarcito-
ria di importo compreso
tra un minimo di 2,5 ed
un massimo di 6 mensili-
tà dell’ultima retribuzio-
ne globale di fatto (avuto
riguardo al numero dei
dipendenti occupati, alle
dimensioni dell’impresa,
all’anzianità di servizio
del prestatore di lavoro,
al comportamento e alle
condizioni delle parti).

© Wolters Kluwer 35
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

4. LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO


OGGETTIVO: TUTELA OBBLIGATORIA
L’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 disciplina il licenziamento per giustificato motivo
oggettivo (c.d. licenziamento economico), giustificato motivo soggettivo o giu-
sta causa (c.d. licenziamento disciplinare), nel senso di una ulteriore riduzione,
rispetto a quanto già operato dalla legge n. 92/2012, dell’area della tutela reale
(vale a dire della reintegrazione nel posto di lavoro) e, contemporaneamente, di
un netto ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità) in caso di li-
cenziamento illegittimo, con forte riduzione, per le imprese più grandi, della mi-
sura delle indennità risarcitorie.
Il primo comma dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 regola la tutela obbligatoria,
prevedendo che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico), il
giudice deve dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e
condannare il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a
contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribu-
zione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura
comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
In questo senso l’indennità risarcitoria si colloca, dunque, nello schema delle
“tutele crescenti”, vale a dire nella prospettiva di una maggiorazione progressi-
va, in misura predeterminata, in conseguenza della crescente anzianità di servi-
zio, a partire però dal terzo anno, primo scaglione superiore al minimo indero-
gabile.
Ferma restando la misura massima della indennità, va rilevato che nella misura
minima il D.Lgs. n. 23/2015 riduce esattamente di due terzi quella prevista
dall’art. 18 della legge n. 300/1970, escludendo, peraltro, qualsiasi valutazione
discrezionale del giudice nell’effettuazione delle operazioni di calcolo.

4.1. Piccole imprese


L’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015 dispone, per le aziende fino a 15 di-
pendenti, il dimezzamento delle indennità dovute dal datore di lavoro nei casi
di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dichiarato illegittimo (art. 3,
comma 1), fissando il limite massimo non superabile di 6 mensilità.
La norma non chiarisce espressamente se il dimezzamento vale come criterio di
calcolo delle indennità o solo con riferimento al limite minimo e al tetto massi-
mo previsto per ciascuna indennità, ma dal tenore letterale della stessa sembre-
rebbe doversi optare per la prima soluzione.
Applicando, pertanto, il dimezzamento come criterio di calcolo con riferimento
all’art. 3, comma 1, si applicherà una indennità pari a una mensilità (anziché
due) dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Il limite minimo risul-
terà pari a due mensilità per l’indennità risarcitoria relativa al licenziamento
ingiustificato (art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015).

36 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

4.2. Sanzioni per licenziamenti economici nello Statuto dei


lavoratori (aziende con più di 15 dipendenti)
Il comma 7 dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavora-
tori) – come riscritto dall’art. 1, comma 42, lett. a) e b), della legge 28 giugno
2012, n. 92 (Riforma Fornero) che ha cancellato l’originaria rubrica «Reintegra-
zione nel posto di lavoro», sostituendola con l’attuale: «Tutela del lavoratore in
caso di licenziamento illegittimo» – si occupa della sanzione relativa ai licen-
ziamenti per giustificato motivo oggettivo ovvero «per motivi economici» di-
chiarati illegittimi e si applica al datore di lavoro che in ciascuna sede occupa
più di 15 dipendenti (più di 5 se agricolo) o che nello stesso Comune occupa più
di 15 dipendenti (5 per l’impresa agricola) o se occupa più di 60 dipendenti.
Se il giudice accerta il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per
motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore o
che il licenziamento è stato intimato prima che fosse superato il periodo di con-
servazione del posto di lavoro per malattia, infortunio, gravidanza o puerperio
(art. 2110, comma 2, cod. civ.) ovvero che vi è manifesta insussistenza del fatto
posto a base del licenziamento, si ha una tutela reale ridotta consistente
nell’annullamento del licenziamento e nella condanna del datore di lavoro alla
reintegrazione nel posto di lavoro (o alla indennità sostitutiva, a scelta del lavo-
ratore, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto non assogget-
tata a contribuzione previdenziale) e al pagamento di una indennità risarcitoria
commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto non superiore a 12 mensili-
tà, diminuita di quanto percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative
nel periodo di illegittima estromissione dal rapporto di lavoro e di quanto
avrebbe potuto percepire, con il relativo pagamento dei contributi.
Quando il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
oggettivo, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenzia-
mento, senza alcuna reintegra, ma riconoscendo una tutela obbligatoria piena,
con condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onni-
comprensiva, determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e
tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività
economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di speci-
fica motivazione al riguardo (art. 18, comma 5, legge n. 300/1970), ma anche va-
lutando le iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazio-
ne e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura conciliativa obbli-
gatoria di cui all’art. 7 della legge n. 604/1966.

4.3. Sanzioni per licenziamenti economici nella legge n. 604/1966


(aziende con meno di 15 dipendenti)
L’art. 8 della legge n. 604/1966, come modificato dalla legge n.
108/1990, prevede che quando risulti accertato che non ricorrono gli

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore


di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine
di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità
di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei
dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa (uno strano riferimento
alla «impresa», pure se la norma riguarda anche non imprenditori),
all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle
condizioni delle parti. Invero la misura massima dell’indennità può
essere aumentata fino a 10 mensilità se il lavoratore possiede
un’anzianità superiore a 10 anni, oppure fino a 14 mensilità se il
lavoratore possiede un’anzianità di servizio superiore a 20 anni, quando il
datore di lavoro occupa complessivamente più di 15 dipendenti.
In merito all'individuazione dell'ammontare della «mensilità», la
norma fa riferimento alla «retribuzione globale di fatto», per cui il
risarcimento del danno subito per l'illegittimo recesso deve essere
determinato sia con riferimento al periodo antecedente alla sentenza che
ha pronunciato la nullità del licenziamento (c.d. danno attuale), sia con
riferimento al periodo successivo alla sentenza stessa (c.d. danno futuro).
Per quanto riguarda il danno attuale, deve ritenersi che al lavoratore
vadano liquidati tutti gli emolumenti che egli avrebbe avuto diritto a
percepire se fosse rimasto in servizio, per l’entità del danno futuro,
invece, occorre determinarla facendo ricorso ai criteri stabiliti dagli artt.
1223 cod. civ. e seguenti, e quindi mediante presunzioni che potrebbero
anche essere desunte dai prevedibili sviluppi della dinamica salariale
(qualora tale determinazione risulti impossibile o particolarmente
difficile, potrà farsi ricorso, in via sussidiaria, alla liquidazione equitativa
di cui agli artt. 1226 cod. civ. e seguenti).

38 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Datori di lavoro con più di 15 dipendenti

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO


(AZIENDE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
Licenziamento illegitti- Tutela reale ridotta Tutela obbligatoria pie-
mo per mancanza di giu- Il lavoratore o la lavora- na
stificato motivo oggetti- trice ha diritto a: Il lavoratore o la lavora-
vo (c.d. licenziamento - annullamento del licen- trice ha diritto a:
per motivi economici) ziamento; - pagamento di una in-
Per avere il datore di la- - reintegrazione del lavo- dennità risarcitoria onni-
voro effettuato illegitti- ratore nel posto di lavo- comprensiva non assog-
mamente il licenziamen- ro o indennità sostitutiva gettata a contribuzione
to per manifesta insussi- pari a 15 mensilità; previdenziale di importo
stenza del fatto produtti- - pagamento pari a 2 mensilità
vo o organizzativo posto dell’indennità risarcitoria dell’ultima retribuzione
a fondamento del licen- non superiore a 12 men- di riferimento per il cal-
ziamento. silità (pari all’ultima re- colo del trattamento di
tribuzione globale di fat- fine rapporto per ogni
to maturata dal giorno anno di servizio;
del licenziamento fino a - l’indennità deve essere
quello dell’effettiva rein- compresa tra un minimo
tegrazione, diminuita di 4 ed un massimo di 24
dell’aliunde perceptum e mensilità;
dell’aliunde percipiendi); - non opera la reintegra-
- versamento dei contri- zione e il rapporto di la-
buti previdenziali ed as- voro viene dichiarato
sistenziali per lo stesso estinto alla data del li-
periodo, maggiorati degli cenziamento.
interessi nella misura le-
gale, in misura pari al dif-
ferenziale fra la contri-
buzione che sarebbe ma-
turata nel rapporto ces-
sato per l’illegittimo li-
cenziamento e quella ef-
fettivamente accreditata

© Wolters Kluwer 39
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO


(AZIENDE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
per lo svolgimento di al-
tre attività lavorative du-
rante il periodo di
estromissione.

Vale anche per:


- mancanza di giustifica-
zione del licenziamento
per motivo oggettivo
consistente nella inido-
neità fisica o psichica del
lavoratore;
- intimazione del licen-
ziamento durante il pe-
riodo di conservazione
del posto di lavoro per
malattia, infortunio, gra-
vidanza o puerperio (art.
2110 cod. civ.)
Licenziamento Tutela obbligatoria pie- Tutela obbligatoria pie-
ingiustificato na na
Per avere il datore di la- Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
voro effettuato illegitti- trice ha diritto a: trice ha diritto a:
mamente il licenziamen- - indennità risarcitoria - pagamento di una in-
to per ipotesi differenti onnicomprensiva tra 12 dennità risarcitoria onni-
da quelle elencate in cui e 24 mensilità dell’ultima comprensiva non assog-
manca il giustificato mo- retribuzione globale di gettata a contribuzione
tivo oggettivo, quando vi fatto (in relazione previdenziale di importo
è insussistenza non ma- all’anzianità del lavora- pari a 2 mensilità
nifesta. tore e tenuto conto del dell’ultima retribuzione
numero dei dipendenti di riferimento per il cal-
occupati, delle dimen- colo del trattamento di
sioni dell’attività econo- fine rapporto per ogni
mica, del comportamen- anno di servizio;

40 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO


(AZIENDE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
to e delle condizioni del- - l’indennità deve essere
le parti, con onere di compresa tra un minimo
specifica motivazione a di 4 ed un massimo di 24
tale riguardo, nonché mensilità;
tenendo conto delle ini- - non opera la reintegra-
ziative assunte dal lavo- zione e il rapporto di la-
ratore per la ricerca di voro viene dichiarato
una nuova occupazione estinto alla data del li-
e del comportamento cenziamento.
delle parti nell’ambito
della procedura di conci-
liazione obbligatoria da-
vanti alla Commissione
presso la Direzione Terri-
toriale del Lavoro);
- non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato ri-
solto con effetto dalla
data del licenziamento.

© Wolters Kluwer 41
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Datori di lavoro con meno di 15 dipendenti

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO


(AZIENDE CON MENO DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
Licenziamento illegitti- Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria pie-
mo per mancanza di giu- Il lavoratore o la lavora- na
stificato motivo oggetti- trice ha diritto a: Il lavoratore o la lavora-
vo (c.d. licenziamento - essere riassunto entro il trice ha diritto a:
per motivi economici) termine di 3 giorni - pagamento di una in-
Per avere il datore di la- - in mancanza, ha diritto dennità risarcitoria onni-
voro effettuato illegitti- a una indennità risarcito- comprensiva non assog-
mamente il licenziamen- ria di importo compreso gettata a contribuzione
to per insussistenza del tra un minimo di 2,5 ed previdenziale di importo
motivo oggettivo, del fat- un massimo di 6 mensili- pari a 1 mensilità
to produttivo o organiz- tà dell’ultima retribuzio- dell’ultima retribuzione
zativo posto a fonda- ne globale di fatto (avuto di riferimento per il cal-
mento del licenziamento. riguardo al numero dei colo del trattamento di
dipendenti occupati, alle fine rapporto per ogni
dimensioni dell’impresa, anno di servizio;
all’anzianità di servizio - l’indennità deve essere
del prestatore di lavoro, compresa tra un minimo
al comportamento e alle di 2 ed un massimo di 6
condizioni delle parti). mensilità;
- non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato
estinto alla data del li-
cenziamento.

42 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

5. LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO


E GIUSTA CAUSA: TUTELA OBBLIGATORIA E REALE
Come già rilevato, l’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 disciplina il licenziamento per
giustificato motivo soggettivo o giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare),
nel senso di una ulteriore riduzione, rispetto a quanto già operato dalla legge n.
92/2012, dell’area della tutela reale (vale a dire della reintegrazione nel posto di
lavoro) e per un ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità) in
caso di licenziamento illegittimo.

5.1.Tutela obbligatoria
Il primo comma dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 regola la tutela obbligatoria,
prevedendo che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del
licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa
(licenziamento disciplinare), il giudice deve dichiarare estinto il rapporto di
lavoro alla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento
di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari
a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per
ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore
a 24 mensilità.

5.2. Tutela reale


Col secondo comma dello stesso art. 3 viene disciplinata la tutela reale, limitan-
dola alle sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per
giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare) in cui sia direttamente dimostrata
in giudizio la non sussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispet-
to alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenzia-
mento.
Per quanto attiene alla insussistenza del fatto contestato la norma attuativa della
legge n. 183/2014 introduce, dunque, la previsione del riferimento esclusiva-
mente al “fatto materiale” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 6 novembre 2014, n.
23669), eliminando, pertanto, la discrezionalità del giudice rispetto alla indivi-
duazione della insussistenza del “fatto giuridico”, vale a dire la mancanza di
colpevolezza, come pure la non esatta corrispondenza fra la contestazione disci-
plinare e il fatto.

In questo senso il legislatore delegato ha fatto proprio il recente portato giurisprudenziale


della Suprema Corte che, con Cass. Civ., Sez. Lav., 6 novembre 2014, n. 23669, ha
espressamente affermato: «Il nuovo articolo 18 ha tenuto distinta, invero, dal fatto
materiale la sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo, sicché occorre
operare una distinzione tra l'esistenza del fatto materiale e la sua qualificazione. La
reintegrazione trova ingresso in relazione alla verifica della sussistenza/insussistenza del

© Wolters Kluwer 43
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, così che tale verifica si risolve e si
esaurisce nell'accertamento, positivo o negativo, dello stesso fatto, che dovrà essere
condotto senza margini per valutazioni discrezionali, con riguardo alla individuazione
della sussistenza o meno del fatto della cui esistenza si tratta, da intendersi quale fatto
materiale, con la conseguenza che esula dalla fattispecie che è alla base della
reintegrazione ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione
rispetto alla gravità del comportamento addebitato».
La nuova formulazione, dunque, fa venire meno l’occasione di pronunce
giurisprudenziali come quella contenuta nella ordinanza del Tribunale di
Bologna del 15 ottobre 2012 che ha ritenuto illegittimo il licenziamento
disciplinare intimato ad un lavoratore ordinando la reintegrazione pure a fronte
della dimostrata sussistenza del fatto materiale contestato. Nella pronuncia
menzionata, infatti, si è affermato che l'art. 18 della legge n. 300/1970, pur
prevedendo espressamente la reintegra soltanto in caso di «insussistenza del
fatto contestato», invero parlando di “fatto” fa necessariamente riferimento al
“fatto giuridico” inteso come “il fatto globalmente accertato, nell'unicum della
sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l'elemento
soggettivo”. Sul punto, peraltro, l’ordinanza del giudice del lavoro di Bologna
insiste sottolineando come non sia possibile ritenere «che l'espressione
“insussistenza del fatto contestato” utilizzata dal legislatore facesse riferimento
al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in
violazione dei principi generali dell'ordinamento civilistico, relativi alla
diligenza e alla buona fede nell'esecuzione del rapporto lavorativo, posto che
potrebbe giungere a ritenere applicabile la sanzione del licenziamento
indennizzato, anche a comportamenti esistenti sotto l'aspetto materiale ed
oggettivo, ma privi dell'elemento psicologico, o addirittura privi dell'elemento
della coscienza e volontà dell'azione». A tal fine si precisa che «la
qualificazione e la valutazione di tale fatto, come di qualunque fatto storico,
richiede la contestualizzazione del fatto medesimo e la sua collocazione nel
tempo, nello spazio, nella situazione psicologica dei soggetti operanti, nonché
nella sequenza degli avvenimenti e nelle condotte degli altri soggetti che hanno
avuto un ruolo nel fatto storico in esame».
D’altra parte, nel nuovo scenario regolatorio disegnato dall’art. 3 del D.Lgs. n.
23/2015, il fatto materiale non è indicizzato rispetto ai profili di gravità o di
proporzionalità, né collegato a ipotesi previste dalla contrattazione collettiva,
escludendo, quindi, ogni valutazione discrezionale del giudice anche in merito
alla sproporzione del licenziamento rispetto alla effettiva gravità del fatto
contestato (sebbene un margine di operatività, anche sul piano sanzionatorio,
sebbene indiretto, venga mantenuto dai contratti collettivi, in quanto
l’applicazione integrale della parte normativa dei contratti collettivi è
condizione essenziale, fra l’altro, per la fruizione delle agevolazioni e degli
incentivi in materia contributiva e non solo; più difficile, invece, ma non
esclusa, appare la possibile azionabilità della lesione diretta dei diritti del

44 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

lavoratore rispetto ad una azione risarcitoria per la violazione delle norme


contrattuali collettive).
La norma, per come scritta, sancisce una innovativa inversione dell’onere pro-
batorio rispetto alla giustificatezza del licenziamento intimato: a dimostrare la
“insussistenza” del fatto materiale contestato, infatti, ha interesse esclusivamen-
te il lavoratore licenziato e non il datore di lavoro, sul quale grava, in via gene-
rale, l’onere della prova in materia di licenziamenti (secondo le previsioni
dell’art. 5 della legge n. 604/1966). Il D.Lgs. n. 23/2015, quindi, sembrerebbe
fare carico al lavoratore della “dimostrazione diretta” in sede processuale della
non sussistenza del fatto addebitatogli al fine di poter ottenere la reintegrazione.

Onere della prova


Assume grande importanza il fatto che sia l'una o l'altra parte a dover
provare l'esistenza delle condizioni che giustificano l'adozione del
licenziamento. Se il datore di lavoro ritiene di procedere al licenziamento in
quanto, a suo parere, ne ricorrono le condizioni, è obbligato a fornirne le
prove, trattandosi, per le situazioni previste dalle leggi n. 604/1966, n.
300/1970 e n. 108/1990, di un provvedimento non lecito in senso assoluto, ma
che diviene tale soltanto se si verificano ben determinate situazioni
espressamente individuate dalle norme.
Al fine di evitare ogni possibile diversa interpretazione, l'art. 5 della legge
n. 604/1966 stabilisce che «l'onere della prova della sussistenza della giusta
causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro».
D’altro canto possono verificarsi situazioni in cui ci si trova di fronte ad un fatto
o atteggiamento astrattamente costituente «giusta causa» di licenziamento,
ma che, nel caso concreto, può non configurarsi come tale. In tali casi, come ad
esempio per una assenza idonea a costituire causa di risoluzione del rapporto
di lavoro, grava sul lavoratore l'onere di provare gli elementi di giustificazione
di essa, mentre il datore di lavoro, a norma del principio sancito dall'art. 2697
cod. civ., non deve provare se non la circostanza oggettiva di detta assenza
(Cass. 17 novembre 1984, n. 5889; Cass. 17 gennaio 1980, n. 400).
Mentre nella controversia avente ad oggetto la legittimità del
licenziamento intimato ad un lavoratore per essersi rifiutato di eseguire una
determinata prestazione, si è sancita l’incombenza sul datore di lavoro
dell'onere della prova circa l'esigibilità o meno della prestazione rifiutata,
essendo questi tenuto a dimostrare che quella prestazione rientrava fra le
incombenze dovute dal lavoratore, e così la sussistenza della giusta causa o del
giustificato motivo del licenziamento (Cass. 22 giugno 1985, n. 3775).
Peraltro, qualora il lavoratore non possa più svolgere le mansioni cui sia
addetto e l'impedimento sia a lui imputabile per dolo o colpa, è legittimo il
licenziamento intimato dal datore di lavoro per giustificato motivo oggettivo
consistente nella sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa in

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

relazione alle mansioni suddette, senza che il recedente debba fornire la prova
di non aver potuto adibire il lavoratore ad altro posto nell'azienda, anche con
mutamento di mansioni, essendo tale prova necessaria solo quando
l'impedimento non sia addebitabile al lavoratore (Cass. 6 giugno 2005, n.
11753, per il caso di licenziamento di due dipendenti ai quali era stato ritirato il
tesserino di accesso all'area aeroportuale in seguito a denuncia in flagranza per
tentato furto di bagagli).

5.3. Insussistenza del fatto materiale e sanzioni


Nel caso in cui, pertanto, non sussista il fatto materiale, secondo quanto previsto
dall’art. 3, comma 2, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di
lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di
una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento
per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva
reintegrazione.
Dalla indennità così determinata deve essere sottratto quanto il lavoratore abbia
percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum),
nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavo-
ro ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 181/2000 (aliunde perci-
piendi).
In ogni caso la misura della indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente
alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a 12 mensilità
dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il datore di lavoro
è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, ma sen-
za applicazione di qualsiasi sanzione per omissione contributiva.
Al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in luogo della
reintegrazione nel posto di lavoro, una indennità sostitutiva pari a 15 mensili-
tà dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, non assoggetta-
ta a contribuzione previdenziale (art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015, c.d.
opting out). L’esercizio dell’opzione sostitutiva fa scaturire evidentemente la ri-
soluzione del rapporto di lavoro. La richiesta della indennità sostitutiva va effet-
tuata, in ogni caso, entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pro-
nuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se precedente alla
comunicazione.

5.4. Piccole imprese


L’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015 dispone, per le aziende fino a 15 di-
pendenti, la non applicabilità della tutela reale (reintegrazione del lavoratore) in
caso di licenziamento disciplinare illegittimo e il dimezzamento delle indenni-
tà dovute dal datore di lavoro nei casi di licenziamento per giustificato motivo
soggettivo o giusta causa dichiarato illegittimo (art. 3, comma 1), fissando il li-
mite massimo non superabile di 6 mensilità.

46 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Applicando, pertanto, il dimezzamento come criterio di calcolo con riferimento


all’art. 3, comma 1, si applicherà una indennità pari a una mensilità (anziché
due) dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Il limite minimo risul-
terà pari a due mensilità per l’indennità risarcitoria relativa al licenziamento
ingiustificato (art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015).

5.5. Sanzioni per licenziamenti disciplinari nello Statuto dei


lavoratori (aziende con più di 15 dipendenti)
Ai licenziamenti “disciplinari”, intimati per giustificato motivo soggettivo o per
giusta causa o per mancanze personali del lavoratore, sono dedicati i commi 4, 5
e 6 dell’art. 18, che si applicano al datore di lavoro che in ciascuna sede, stabi-
limento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupa più di 15 dipendenti (più di 5
se imprenditore agricolo), ovvero che nell’ambito dello stesso Comune occupa
più di 15 dipendenti (5 dipendenti nel medesimo ambito territoriale per
l’impresa agricola) e in ogni caso se occupa più di 60 dipendenti.
Se il giudice dichiara insussistenti i fatti contestati o il fatto contestato rientra tra
le condotte punibili con una sanzione conservativa secondo quanto previsto dai
contratti collettivi o dai codici disciplinari, la sanzione consiste in una tutela
reale ridotta, e precisamente nell’annullamento del licenziamento e nella con-
danna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro (o alla indenni-
tà sostitutiva, a scelta del lavoratore, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto non assoggettata a contribuzione previdenziale) e al pagamento
di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto
(anche qui dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegra), che non
potrà essere superiore a 12 mensilità, diminuita di quanto percepito per lo svol-
gimento di altre attività lavorative nel periodo di illegittima estromissione dal
rapporto di lavoro, ma anche di quanto avrebbe potuto percepire se si fosse de-
dicato con diligenza a ricercare una nuova occupazione. Il datore di lavoro è
inoltre condannato anche al versamento dei contributi previdenziali e assisten-
ziali, maggiorati degli interessi legali senza applicazione di sanzioni per omes-
sa o ritardata contribuzione»,
Quando il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo o della giusta causa addotti nel licenziamento, deve dichiarare risolto il
rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, condannando il datore
di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata
tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei di-
pendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e
delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione al riguardo, se-
condo l’art. 18, comma 5, che riconosce in tal caso una tutela obbligatoria piena,
quindi senza reintegra.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

5.6. Sanzioni per licenziamenti disciplinari nella legge


n. 604/1966 (aziende con meno di 15 dipendenti)
Anche per i licenziamenti “disciplinari” ingiustificati presso le aziende più pic-
cole, per i quali non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o
giustificato motivo soggettivo, l’art. 8 della legge n. 604/1966, prevede che il
datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3
giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli una indennità di importo
compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retri-
buzione globale di fatto (con riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle
dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al
comportamento e alle condizioni delle parti).

Datori di lavoro con più di 15 dipendenti

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO E GIUSTA CAUSA


(AZIENDE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
Licenziamento illegitti- Tutela reale ridotta Tutela reale ridotta
mo per mancanza di Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
giusta causa o di giusti- trice ha diritto a: trice ha diritto a:
ficato motivo soggetti- - annullamento del licen- - annullamento del licen-
vo (c.d. licenziamento ziamento ziamento
disciplinare) - reintegrazione del - reintegrazione o
Per avere il datore di la- lavoratore o indennità indennità sostitutiva pari
voro effettuato illegitti- sostitutiva pari a 15 a 15 mensilità;
mamente il licenziamen- mensilità; - pagamento
to in quanto il fatto ma- - pagamento dell’indennità risarcitoria
teriale addotto a fonda- dell’indennità risarcitoria non superiore a 12
mento della giusta causa non superiore a 12 mensilità dell'ultima
o del giustificato motivo mensilità (con retribuzione di
soggettivo è insussisten- riferimento all’ultima riferimento per il calcolo
te, esclusa ogni valuta- retribuzione globale di del TFR (dal giorno del
zione circa la sproporzio- fatto maturata dal licenziamento fino a
ne del licenziamento. giorno del licenziamento quello dell’effettiva
fino a quello reintegra, diminuita
dell’effettiva reintegra, dell’aliunde perceptum e
diminuita dell’aliunde dell’aliunde percipiendi);

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LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO E GIUSTA CAUSA


(AZIENDE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
perceptum e dell’aliunde - versamento dei contri-
percipiendi); buti previdenziali ed as-
- versamento dei contri- sistenziali dal giorno del
buti previdenziali ed as- licenziamento fino a
sistenziali, maggiorati quello dell’effettiva rein-
degli interessi nella mi- tegrazione senza appli-
sura legale, per la diffe- cazione di sanzioni per
renza fra la contribuzio- omissione contributiva.
ne che sarebbe maturata
nel rapporto cessato per
licenziamento e quella
effettivamente accredi-
tata per lo svolgimento
di altre attività lavorative
durante il periodo di li-
cenziamento, senza ap-
plicazione delle sanzioni
per omesso o ritardato
versamento contributi-
vo.

Opera:
- in quanto manca la giu-
sta causa o il giustificato
motivo soggettivo;
- per l’insussistenza dei
fatti contestati;
- perché il fatto rientra
tra le condotte punibili
con sanzione conservati-
va secondo i contratti
collettivi o i codici disci-
plinari.

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(AZIENDE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
Licenziamento Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria
ingiustificato piena piena
Per avere il datore di la- Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
voro effettuato illegitti- trice ha diritto a: trice ha diritto a:
mamente il licenziamen- - pagamento di una in- - pagamento di una in-
to per ipotesi in cui man- dennità risarcitoria onni- dennità risarcitoria onni-
ca il giustificato motivo comprensiva tra un mi- comprensiva non assog-
soggettivo o la giusta nimo di 12 ed un massi- gettata a contribuzione
causa ma il fatto mate- mo di 24 mensilità previdenziale di importo
riale è sussistente. dell’ultima retribuzione pari a 2 mensilità
globale di fatto (in rela- dell’ultima retribuzione
zione all’anzianità del la- di riferimento per il cal-
voratore e tenuto conto colo del trattamento di
del numero dei dipen- fine rapporto per ogni
denti occupati, delle di- anno di servizio;
mensioni dell’attività - l’indennità deve essere
economica, del compor- compresa tra un minimo
tamento e delle condi- di 4 ed un massimo di 24
zioni delle parti, con mensilità;
onere di specifica moti- - non opera la reintegra-
vazione a tale riguardo); zione e il rapporto di la-
- non opera la reintegra- voro viene dichiarato
zione e il rapporto di la- estinto alla data del li-
voro viene dichiarato ri- cenziamento.
solto con effetto dalla
data del licenziamento.

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Datori di lavoro con meno di 15 dipendenti

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO E GIUSTA CAUSA


(AZIENDE CON MENO DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
Licenziamento Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria
ingiustificato Il lavoratore o la lavora- piena
Per avere il datore di la- trice ha diritto a: Il lavoratore o la lavora-
voro effettuato illegitti- - essere riassunto entro il trice ha diritto a:
mamente il licenziamen- termine di 3 giorni - pagamento di una in-
to per ipotesi in cui man- - in mancanza, ha diritto dennità risarcitoria onni-
ca il giustificato motivo a una indennità risarcito- comprensiva non assog-
soggettivo o la giusta ria di importo compreso gettata a contribuzione
causa anche quando il tra un minimo di 2,5 ed previdenziale di importo
fatto materiale è insussi- un massimo di 6 mensili- pari a 1 mensilità
stente. tà dell’ultima retribuzio- dell’ultima retribuzione
ne globale di fatto (avuto di riferimento per il cal-
riguardo al numero dei colo del trattamento di
dipendenti occupati, alle fine rapporto per ogni
dimensioni dell’impresa, anno di servizio;
all’anzianità di servizio - l’indennità deve essere
del prestatore di lavoro, compresa tra un minimo
al comportamento e alle di 2 ed un massimo di 6
condizioni delle parti). mensilità;
- non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato
estinto alla data del li-
cenziamento.

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6. LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
PER VIZI FORMALI E PROCEDURALI
Se il licenziamento è intimato con violazione del requisito di motivazione di
cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966 (perché la comunicazione del li-
cenziamento risulta priva della specificazione dei motivi che lo hanno deter-
minato) ovvero della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/1970 (per-
ché non sono state rispettate le regole del procedimento disciplinare), in base
all’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2015 il giudice dichiara estinto il rapporto di lavo-
ro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento
di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pa-
ri a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR
per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non supe-
riore a 12 mensilità, salvo che il giudice, in base ai contenuti della domanda
del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tu-
tele di cui agli articoli 2 e 3, ritenendo il licenziamento discriminatorio, nullo,
inefficace o ingiustificato ovvero (solo per giusta causa e per giustificato motivo
soggettivo) fondato su un fatto materiale insussistente.
Anche qui l’indennità risarcitoria rientra nello schema delle “tutele crescenti”
per la maggiorazione progressiva, in misura predeterminata, in conseguenza
della crescente anzianità di servizio, a partire sempre dal terzo anno, primo sca-
glione superiore al minimo inderogabile. Pure confermando la misura massima
della indennità, nella misura minima il D.Lgs. n. 23/2015 riduce di due terzi
quella prevista dall’art. 18 della legge n. 300/1970, escludendo ogni discrezio-
nalità del giudice riguardo alle operazioni di calcolo.

6.1. Piccole imprese


L’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015 dispone, per le aziende fino a 15 di-
pendenti, il dimezzamento delle indennità dovute dal datore di lavoro nei casi
di licenziamento illegittimo, meglio inefficace, per vizi formali o procedurali
(art. 4), fissando il limite massimo non superabile di 6 mensilità.
Applicando, pertanto, il dimezzamento come criterio di calcolo con riferimento
all’art. 4 si applicherà una indennità pari a mezza mensilità (anziché una)
dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Il limite minimo risulterà
pari a una mensilità per l’indennità risarcitoria relativa al licenziamento ineffi-
cace per vizi formali o procedurali.

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6.2. Le sanzioni per i licenziamenti illegittimo per vizi formali e


procedurali nello Statuto dei lavoratori (aziende con più di 15
dipendenti)
Il comma 6 dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavora-
tori) – come riscritto dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero) – si
occupa della sanzione relativa ai licenziamenti dichiarati illegittimi, in quanto
irregolari perché viziati formalmente e proceduralmente. La norma si applica al
datore di lavoro che in ciascuna sede occupa più di 15 dipendenti (più di 5 se
agricolo) o che nello stesso Comune occupa più di 15 dipendenti (più di 5 per
l’impresa agricola) o se occupa più di 60 dipendenti complessivamente.
Non si ha nessuna reintegra, ma una tutela obbligatoria ridotta, se il licenzia-
mento per giustificato motivo oggettivo è dichiarato inefficace, ma valido, per
violazione del requisito di motivazione (art. 2, comma 2, legge n. 604/1966) o
per inosservanza della procedura di conciliazione obbligatoria (art. 7, legge n.
604/1966) ovvero se il licenziamento disciplinare è dichiarato inefficace, ma va-
lido, per violazione del requisito di motivazione (art. 2, comma 2, della legge n.
604/1966) o per difetto di procedura (procedimento disciplinare di cui all’art. 7
della legge n. 300/1970).
In tal caso il giudice di chiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data
del licenziamento, condannando il datore di lavoro al pagamento di una indenni-
tà risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di
12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione alla gravità
della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, con one-
re di specifica motivazione (art. 18, comma 6, legge n. 300/1970).

6.3. Sanzioni per licenziamenti illegittimi per vizi formali e


procedurali nella legge n. 604/1966 (aziende con meno di 15
dipendenti)
In base all’art. 8 della legge n. 604/1966, se risultano accertati vizi
formali relativi alla mancata indicazione dei motivi ovvero al mancato rispetto
delle procedure disciplinari nell’intimazione del licenziamento, il datore di
lavoro deve riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in
mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso
tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle
dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al
comportamento e alle condizioni delle parti.

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LICENZIAMENTI INEFFICACI PER VIZI FORMALI E PROCEDURALI


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Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
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se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
Licenziamento Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria
inefficace per mancata ridotta ridotta
comunicazione dei moti- Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
vi trice ha diritto a: trice ha diritto a:
Per avere il datore di la- - pagamento di una in- - pagamento di una in-
voro effettuato un licen- dennità risarcitoria onni- dennità risarcitoria onni-
ziamento inefficace per comprensiva tra un mi- comprensiva non assog-
violato il requisito di mo- nimo di 6 ed un massimo gettata a contribuzione
tivazione obbligatoria del di 12 mensilità dell’ultima previdenziale di importo
licenziamento (art. 2, retribuzione globale di pari a 1 mensilità
comma 2, legge n. fatto (ai fini della deter- dell’ultima retribuzione
604/1966). minazione in concreto di riferimento per il cal-
dell’indennità il giudice colo del trattamento di
deve tenere conto della fine rapporto per ogni
gravità della violazione anno di servizio;
formale o procedurale - l’indennità deve essere
commessa dal datore di compresa tra un minimo
lavoro, e motivare in mo- di 2 ed un massimo di 12
do specifico al riguardo); mensilità;
- non opera la reintegra- - non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la- zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato ri- voro viene dichiarato
solto con effetto dalla estinto alla data del li-
data del licenziamento. cenziamento.
Licenziamento Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria
inefficace per violazione ridotta ridotta
procedimento Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
disciplinare trice ha diritto a: trice ha diritto a:
Per avere il datore di la- - pagamento di una in- - pagamento di una in-
voro effettuato un licen- dennità risarcitoria onni- dennità risarcitoria onni-
ziamento inefficace per comprensiva tra un mi- comprensiva non assog-
violato le norme che di- nimo di 6 ed un massimo gettata a contribuzione

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Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
sciplinano il procedimen- di 12 mensilità dell’ultima previdenziale di importo
to disciplinare di cui retribuzione globale di pari a 1 mensilità
all’art. 7, legge n. fatto (ai fini della deter- dell’ultima retribuzione
300/1970). minazione in concreto di riferimento per il cal-
dell’indennità il giudice colo del trattamento di
deve tenere conto della fine rapporto per ogni
gravità della violazione anno di servizio;
formale o procedurale - l’indennità deve essere
commessa dal datore di compresa tra un minimo
lavoro, e motivare in mo- di 2 ed un massimo di 12
do specifico al riguardo); mensilità;
- non opera la reintegra- - non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la- zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato ri- voro viene dichiarato
solto con effetto dalla estinto alla data del li-
data del licenziamento. cenziamento.
Opera anche per:
- Licenziamento ineffica-
ce per inosservanza della
procedura di conciliazio-
ne preventiva obbligato-
ria (art. 7, legge n.
604/1966).

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LICENZIAMENTI INEFFICACI PER VIZI FORMALI E PROCEDURALI


(AZIENDE CON MENO DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
Licenziamento inefficace Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria
per mancata comunica- Il lavoratore o la lavora- ridotta
zione dei motivi trice ha diritto a: Il lavoratore o la lavora-
Per avere il datore di la- - essere riassunto entro il trice ha diritto a:
voro effettuato un licen- termine di 3 giorni - pagamento di una in-
ziamento inefficace per - in mancanza, ha diritto dennità risarcitoria onni-
violato il requisito di mo- a una indennità risarcito- comprensiva non assog-
tivazione obbligatoria del ria di importo compreso gettata a contribuzione
licenziamento (art. 2, tra un minimo di 2,5 ed previdenziale di importo
comma 2, legge n. un massimo di 6 mensili- pari a 1/2 mensilità
604/1966). tà dell’ultima retribuzio- dell’ultima retribuzione
ne globale di fatto (avuto di riferimento per il cal-
riguardo al numero dei colo del trattamento di
dipendenti occupati, alle fine rapporto per ogni
dimensioni dell’impresa, anno di servizio;
all’anzianità di servizio - l’indennità deve essere
del prestatore di lavoro, compresa tra un minimo
al comportamento e alle di 1 ed un massimo di 6
condizioni delle parti). mensilità;
- non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato
estinto alla data del li-
cenziamento.
Licenziamento inefficace Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria ri-
per violazione procedi- Il lavoratore o la lavora- dotta
mento disciplinare trice ha diritto a: Il lavoratore o la lavora-
Per avere il datore di la- - essere riassunto entro il trice ha diritto a:
voro effettuato un licen- termine di 3 giorni - pagamento di una in-
ziamento inefficace per - in mancanza, ha diritto dennità risarcitoria onni-
violato le norme che di- a una indennità risarcito- comprensiva non assog-
sciplinano il procedimen- ria di importo compreso gettata a contribuzione
to disciplinare di cui tra un minimo di 2,5 ed previdenziale di importo
all’art. 7, legge n. un massimo di 6 mensili- pari a 1/2 mensilità
300/1970). tà dell’ultima retribuzio- dell’ultima retribuzione

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(AZIENDE CON MENO DI 15 DIPENDENTI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015)
ne globale di fatto (avuto di riferimento per il cal-
riguardo al numero dei colo del trattamento di
dipendenti occupati, alle fine rapporto per ogni
dimensioni dell’impresa, anno di servizio;
all’anzianità di servizio - l’indennità deve essere
del prestatore di lavoro, compresa tra un minimo
al comportamento e alle di 1 ed un massimo di 6
condizioni delle parti). mensilità;
- non opera la reintegra-
zione e il rapporto di la-
voro viene dichiarato
estinto alla data del li-
cenziamento.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

7. LICENZIAMENTO COLLETTIVO
Nell’art. 10 del D.Lgs. n. 23/2015 è contenuta la disciplina delle conseguenze
del licenziamento collettivo (articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991) illegittimo
o inefficace, nella medesima prospettiva della revisione del sistema sanzionato-
rio per i licenziamenti individuali, vale a dire nel senso di una riduzione
dell’area della tutela reale (ossia della reintegrazione) e, contestualmente, di un
ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità risarcitoria).
La norma prevede l’applicazione del regime sanzionatorio introdotto con l’art. 2
(tutela reale piena) nel solo caso in cui il licenziamento sia stato intimato senza
l’osservanza della forma scritta e l’applicazione dell’art. 3, comma 1 (tutela
obbligatoria piena), con il riconoscimento della sola indennità risarcitoria pro-
gressiva in base all’anzianità di servizio dei singoli lavoratori licenziati, nel caso
di violazione delle disposizioni relative alla procedura sindacale (art. 4, comma
12, della legge n. 223/1991) e ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (art.
5, comma 1, della legge n. 223/1991).
D’altro canto, va sottolineato che nel caso in cui la procedura di licenziamento
collettivo coinvolga lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 23/2015 e lavoratori assunti successivamente, il trattamento riserva-
to a ciascuna categoria di lavoratori sarà differente, essendo i primi vincolati al
regime sanzionatorio pregresso e i secondi a quello delle “tutele crescenti”, con
la sola eccezione del datore di lavoro che abbia superato la soglia dimensionale
per l’accesso alla procedura di licenziamento collettivo a seguito di assunzioni
successive al 7 marzo 2015, vale a dire all’entrata in vigore del D.Lgs. n.
23/2015, giacché in tal caso le nuove norme sanzionatorie disciplinerebbero le
vicende di tutti i lavoratori licenziati collettivamente.
Più precisamente l’art. 10 del D.Lgs. n. 23/2015 disciplina le seguenti due di-
stinte fattispecie sanzionatorie:
licenziamento privo di forma scritta: per effetto dell’art. 2, comma 1, il giudi-
ce, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento, ordina al
datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipenden-
temente dal motivo formalmente addotto. In ragione dell’ordine di reintegrazio-
ne, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non ha ripreso
servizio entro 30 giorni dall’invito formulato dal datore di lavoro, salvo che il
lavoratore richieda l’indennità sostitutiva prevista (art. 2, comma 3, del D.Lgs.
n. 23/2015). Il secondo comma stabilisce che il giudice condanna altresì il dato-
re di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento
di cui è stata accertata la nullità, stabilendo una indennità commisurata
all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rap-
porto (art. 2120, comma 2, cod. civ.). L’indennità risarcitoria deve tener conto
della retribuzione di riferimento, appunto, maturata dal giorno del licenziamento
fino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel perio-
do di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde per-
ceptum). In ogni caso il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il datore di lavoro


è condannato, per l’intero periodo considerato, anche al versamento dei contri-
buti previdenziali e assistenziali. L’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015 rico-
nosce al lavoratore, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, la facoltà
di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di
lavoro (c.d. opting out), una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima
retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, non assoggettata a contribu-
zione previdenziale. L’esercizio dell’opzione sostitutiva fa scaturire evidente-
mente la risoluzione del rapporto di lavoro. La richiesta della indennità sostitu-
tiva va effettuata, in ogni caso, entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito
della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se prece-
dente alla comunicazione;
licenziamento intimato in violazione delle procedure di comunicazione pre-
ventiva di riduzione del personale e di consultazione sindacale, ma anche in
caso di licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta: ai sensi del
primo comma dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 si applica la tutela obbligatoria
piena, per cui il giudice deve dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del
licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di una indennità
non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità
dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (art. 2120, comma
2, cod. civ.) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e
non superiore a 24 mensilità. In questo senso l’indennità risarcitoria si colloca
nello schema delle “tutele crescenti” in una prospettiva di maggiorazione pro-
gressiva, in misura predeterminata, in conseguenza della crescente anzianità di
servizio, a partire però dal terzo anno, primo scaglione superiore al minimo in-
derogabile.

7.1. Nozione di licenziamento collettivo


In base a quanto dispone l'art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (come illu-
strato dal Ministero del Lavoro con la Circolare n. 155 del 29 novembre 1991)
le norme in materia di licenziamenti collettivi si applicano alle imprese che oc-
cupino più di 15 dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasforma-
zione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti,
nell'arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive
nell'ambito del territorio di una stessa Provincia. Tali disposizioni si applicano
per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito,
siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.
Le disposizioni stesse si applicano anche quando le imprese intendano cessare
l'attività, non si applicano invece nei casi di scadenza dei rapporti di lavoro a
termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e nei casi di attività stagionali e
saltuarie. Si tenga presente che il D.Lgs. 8 aprile 2004, n. 110 (a seguito della
sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea C-32/02 del 16 ottobre
2003) ha modificato l'art. 24 della legge n. 223/1991 stabilendo l’applicabilità
della procedura dei licenziamenti collettivi alla generalità dei datori di lavoro

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

che occupano più di 15 dipendenti, ricomprendendo nell’ambito di applicazione


della disciplina anche i non imprenditori, come sindacati, fondazioni, organiz-
zazioni senza scopo di lucro e partiti politici.
I requisiti numerici, affinché possa configurarsi un licenziamento collettivo,
sono i seguenti:
- i licenziamenti che il datore di lavoro intende effettuare devono essere
almeno cinque, nell'arco di 120 giorni, nell'unica unità produttiva o in più
unità produttive, se ubicate nell'ambito della stessa Provincia;
- deve trattarsi di impresa con più di 15 dipendenti.
Per quanto riguarda il computo dei licenziamenti si ritiene che deb-
bano sommarsi tutti quelli che, nel suddetto arco di tempo e nell’ambito
territoriale provinciale, siano riconducibili alla medesima riduzione o tra-
sformazione di attività o di lavoro. Per quanto riguarda il calcolo del nu-
mero dei dipendenti occorre fare riferimento, per analogia di materia, alla
giurisprudenza formatasi in ordine alle soglie numeriche dei licenziamen-
ti individuali. In pratica la soglia numerica dei 15 dipendenti, richiesta ai
fini dell'applicabilità della disciplina dei licenziamenti collettivi, deve es-
sere calcolata con riferimento alla normale occupazione, cioè all'organi-
gramma produttivo, o, in mancanza di questo, per ragioni di sistematicità
interna alla legge n. 223/1991 (art. 1, comma 1), all'occupazione media
dell'ultimo semestre; nel computo vanno inclusi anche i lavoratori assunti
con contratto di inserimento e gli apprendisti. (Circolari Ministero del
Lavoro n. 62/1996 e n. 155/1991).
Per i datori di lavoro con meno di 16 dipendenti, o che intendano
effettuare un numero di licenziamenti inferiore a quello previsto dalla
legge ovvero in un arco di tempo più lungo, non potrà applicarsi la disci-
plina dei licenziamenti collettivi, ma quella dei licenziamenti per giustifi-
cato motivo oggettivo. Anche nei casi in cui ricorrono i requisiti numerici
propri del licenziamento collettivo, ove la circostanza che determina il li-
cenziamento non sia la riduzione o trasformazione di attività o di lavoro,
ma quella di cui all'art. 3 della legge n. 604/1966 (ragioni inerenti all'atti-
vità produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento
di essa) non si avrà licenziamento collettivo bensì licenziamento indivi-
duale plurimo per giustificato motivo oggettivo.
Occorre naturalmente che esista un nesso fra il motivo (riduzione o
trasformazione di attività o di lavoro) e l'effetto (licenziamento dei lavo-
ratori eccedentari). Il Ministero del Lavoro (Circolare n. 155/1991) sotto-
linea che i motivi che determinano l'eccedenza devono essere effettivi,
non addotti cioè come pretesto per liberarsi di personale comunque sgra-
dito e che, ferma restando tale regola fondamentale, l'eccedenza può es-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

sere determinata anche da innovazioni che ammodernino tecnologica-


mente il processo produttivo e comportino quindi una diversa combina-
zione dei fattori della produzione che incida sulla forza lavoro.
Le procedure previste per il licenziamento collettivo si applicano an-
che in caso di cessazione dell'attività (e, quindi, di tutte le unità produt-
tive). La soppressione di una sola unità produttiva può, invece, non com-
portare di per sé il licenziamento di tutti i lavoratori addetti, se questi
possono essere reimpiegati in altre unità produttive ovvero essere co-
munque interessati alle misure alternative prospettate allo scopo di evita-
re la risoluzione traumatica del rapporto di lavoro.
Dal 25 novembre 2014 il licenziamento collettivo include anche i di-
rigenti, per effetto dell’art. 16 della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (c.d.
legge europea 2013-bis), che modifica gli artt. 4 e 24 della legge n.
223/1991, inserendo, appunto, i dirigenti fra le categorie di lavoratori da
conteggiare in caso di esubero del personale ai fini dell’applicabilità della
procedura collettiva. L’intervento legislativo, conseguente alla sentenza
di condanna della Corte di Giustizia europea C-596/2012 del 13 febbraio
2014, stabilisce, dunque, che i dirigenti devono essere computati nella
soglia dimensionale dell’azienda e nel numero dei lavoratori interessati
dal licenziamento collettivo.

7.2. Procedure per il licenziamento collettivo


Le procedure del licenziamento collettivo ed i criteri che il datore di lavoro deve
osservare nella individuazione dei lavoratori da licenziare sono gli stessi previsti
per la messa in mobilità dei lavoratori in CIGS. Dette procedure e criteri riguar-
dano anche i soci lavoratori delle cooperative di produzione e lavoro. In tema di
procedure si richiama l'attenzione sulla rilevanza giuridica che il Legislatore ha
voluto attribuire sia alla procedura in sede sindacale che a quella in sede pubbli-
ca: «la puntuale specificazione delle materie che ne devono costituire l'oggetto,
e tutto il complesso delle disposizioni che disciplinano le procedure in questio-
ne, esprimono non soltanto l'esplicita volontà del Legislatore di favorire il dia-
logo fra le parti sociali, sia diretto sia attraverso l'intermediazione dell'Ufficio
pubblico, ma si saldano anche con la disposizione che sanziona con l'inefficacia
(rectius nullità) il licenziamento collettivo che sia intervenuto in violazione di
tali procedure (legge n. 223/1991, art. 5, terzo comma)» (Ministero del Lavoro,
Circolare n. 155/1991). È necessario, pertanto, che dette procedure vengano
scrupolosamente osservate allo scopo di evitare che il conflitto collettivo si tra-
sferisca in sede giudiziaria, con incremento del contenzioso e possibilità di una
pronunzia di inefficacia che comporterebbe l'obbligo di reintegrazione. Ciò
premesso, la legge stabilisce (art. 4, comma 2) che il datore di lavoro che inten-
da procedere al licenziamento collettivo è tenuto a darne comunicazione pre-
ventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali, nonché alle rispettive as-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

sociazioni di categoria. Alla comunicazione deve essere allegata ricevuta del


versamento all'Inps, a titolo di anticipazione del contributo per i lavoratori li-
cenziati, di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione sa-
lariale moltiplicato per il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti.
La comunicazione, che deve essere “contestualmente” inviata al competente Uf-
ficio dell’Amministrazione provinciale o della Regione qualora siano interessate
più unità produttive ubicate in diverse province della stessa Regione, ovvero al
Ministro del Lavoro se la procedura interessa unità produttive ubicate in più
Regioni, deve contenere le seguenti indicazioni:
- motivi che determinano la situazione di eccedenza,
- motivi tecnici organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter
adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare,
in tutto o in parte, i licenziamenti,
- il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale
eccedente,
- i tempi di attuazione del programma di licenziamento,
- le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul pia-
no sociale dei licenziamenti programmati.
Il tutto per consentire alla controparte sindacale una adeguata valutazione delle
ragioni che, dal punto di vista aziendale, rendono necessari i licenziamenti.
L’art. 1, comma 45, della legge n. 92/2012 giunge per modificare la previsione
contenuta nell’art. 4, comma 12, della legge n. 223/1991, aggiungendovi un pe-
riodo che, in ottica di reale semplificazione dei regimi di contenzioso, prevede
testualmente che «gli eventuali vizi della comunicazione (…) possono essere
sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso
nel corso della procedura di licenziamento collettivo». La legge n. 92/2012,
dunque, consente di recuperare mediante l’accordo sindacale successivamente
concluso qualsiasi difetto procedurale possa essersi configurato nella comunica-
zione, in assenza di ulteriori specificazioni si ritiene che i “vizi” che l’accordo
sindacale secondo la proposta riformatrice andrebbe a sanare possono essere sia
di carattere formale (per l’errato invio) che di tipo sostanziale (con riguardo ai
contenuti, perché non completi o non specifici).
La previsione della legge n. 92/2012 sulla riforma del lavoro, che fa riferimento
espresso «ad ogni effetto di legge», consente di ritenere che i vizi della comuni-
cazione non potranno essere più ragione di impugnazione e di declaratoria di
inefficacia dei licenziamenti intimati al termine della procedura.
Tornando alla procedura, le rappresentanze sindacali e le rispettive associazioni
hanno facoltà di avviare, entro 7 giorni dalla data di ricevimento della comuni-
cazione, un esame congiunto per esaminare le cause dell'eccedenza e la possi-
bilità di utilizzazione diversa di tale personale al fine ultimo di attenuare sul
piano sociale le conseguenze dell'eccedenza individuata dall'azienda. Ove tale
facoltà venga esercitata, si instaura la procedura sindacale che deve esaurirsi en-
tro complessivi 45 giorni (qualora il numero dei lavoratori interessati al licen-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

ziamento sia inferiore a 10, il termine è ridotto a metà). L’esame congiunto non
potrebbe ritenersi avvenuto ove ai sindacati dei lavoratori non fosse stata data la
possibilità di discutere i contenuti della comunicazione dell'azienda ed even-
tualmente di chiedere chiarimenti su determinati aspetti di essa (Ministero del
Lavoro, Circolare n. 155/1991). Se si raggiunge un accordo il datore di lavoro
ne dà comunicazione scritta all’Ufficio compente; se nei 45 giorni (o nel termi-
ne dimezzato se sono interessati meno di 10 lavoratori) non si raggiunge l'ac-
cordo il datore di lavoro dà parimenti comunicazione scritta sul risultato della
consultazione e sui motivi dell'esito negativo in modo che ne risulti l'effettività
dell'esame congiunto.
L’Ufficio competente, ricevuta la comunicazione del mancato accordo, convoca
le parti per tentare la conciliazione della controversia, anche formulando pro-
poste per la realizzazione dell'accordo; la legge quindi attribuisce
all’Amministrazione un ruolo attivo e non puramente di conciliazione delle con-
trapposte istanze delle parti. La legge dispone che la procedura di conciliazione
di competenza dell'Amministrazione deve esaurirsi entro 30 giorni (15 se sono
interessati meno di 10 lavoratori) dalla comunicazione del datore di lavoro (art.
4, comma 7, legge n. 223/1991).
Trascorsi i 30 giorni (o i 15), il datore di lavoro riprende la propria libertà di
azione e può legittimamente intimare il recesso ai lavoratori eccedentari (art. 4,
comma 9), e ciò non deve essere inteso nel senso che con l'inutile decorso del
termine si consumi la potestà di mediazione dell'Ufficio, ma soltanto che la con-
tinuazione della mediazione è rimessa alla disponibilità del datore di lavoro
(Circolare Ministero del Lavoro n. 155/1991). La facoltà di licenziare deve es-
sere esercitata per tutti i lavoratori assoggettati alla procedura nel termine di
120 giorni dalla sua conclusione, ovvero entro il diverso termine previsto
dall'accordo sindacale. L’art. 1, comma 44, della legge n. 92/2012 interviene per
modificare proprio la previsione contenuta nell’art. 4, comma 9 della legge n.
223/1991, sostituendo la dimensione temporale della comunicazione dei licen-
ziamenti intimati all’Ufficio regionale competente. Nel quadro normativo pre-
riforma, infatti, il datore di lavoro che intimava i licenziamenti ai lavoratori
coinvolti nella procedura, aveva l’obbligo di comunicare «contestualmente» alla
Amministrazione regionale e alle associazioni di categoria l’elenco dei lavorato-
ri licenziati collettivamente e collocati in mobilità, con espressa indicazione dei
dati identificativi anagrafici e quelli relativi all’inquadramento professionale di
ciascun lavoratore licenziato, accanto alla esplicazione puntuale delle modalità
con le quali sono stati operativamente applicati i criteri di scelta dei lavoratori.
La legge n. 92/2012 interviene, propriamente, a sostituire l’avverbio temporale
provvedendo ad inserire un termine più ampio per l’invio della comunicazione
all’Ufficio regionale e alle organizzazioni datoriali, stabilendo che essa debba
essere effettuata «entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi». Tale pre-
visione si lascia apprezzare per una obiettiva semplificazione procedurale anche
con riferimento agli inevitabili dubbi operativi che sono scaturiti dalla scarsa
chiarezza e dall’incerto campo di applicazione del concetto di “contestualità”.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

In merito al comportamento che l’Amministrazione deve tenere, andrà esamina-


ta la possibilità di ricorrere alla CIGS, la possibilità di utilizzazione diversa del
personale eccedentario, nonché il ricorso alla solidarietà interna o il ricorso al
tempo parziale; potrà altresì concordarsi, in caso di riassorbimento totale o par-
ziale dei lavoratori eccedentari, la loro assegnazione a mansioni diverse (anche
inferiori) da quelle svolte, in deroga all'art. 2103 cod. civ. (art. 4, comma 11,
legge n. 223/1991; Ministero del Lavoro, Circolare n. 155/1991). Nell'ambito
delle procedure sindacali previste per i licenziamenti collettivi, l’art. 8, comma
3, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148 (legge 19 luglio 1993, n. 236), ha introdotto
la possibilità di instaurare comandi o distacchi di uno o più lavoratori da un da-
tore di lavoro ad un altro, per una durata temporanea; la regolamentazione di tali
comandi e distacchi, che devono essere finalizzati ad evitare le riduzioni di per-
sonale, è demandata agli accordi da raggiungere in sede sindacale nel corso del-
la procedura prevista per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale.
Per quanto attiene al licenziamento collettivo che coinvolga lavoratori dirigenti
la legge n. 161/2014 ha stabilito che all’avvio della procedura l’obbligo di invio
della comunicazione scritta deve interessare anche le Organizzazioni di rappre-
sentanza sindacale dei dirigenti e manager (specificamente l’associazione terri-
torialmente competente in base alla sede dell’azienda che attiva la procedura).
Le Organizzazioni sindacali dei dirigenti sono coinvolte in tutte le fasi della
procedura collettiva a partire dall’obbligo di svolgere l’esame congiunto. La
legge n. 161/2014 prevede «appositi incontri» con le rappresentanze sindacali
dirigenziali, da attuarsi presumibilmente in sede separata rispetto a quelli di
confronto con le rappresentanze degli altri lavoratori, nel contesto dei medesimi
termini e nella identità delle procedure. Il prevedere incontri separati e distinti
per il sindacato dei dirigenti sembra con evidenza voluto dal legislatore per af-
frontare le specificità e le peculiarità del lavoro dei dirigenti, anche con riguardo
ai criteri di scelta e alle possibili soluzioni alternative anche differenti da quelle
individuate per gli altri lavoratori. In caso di accordo in sede di esame congiunto
i dirigenti sono licenziati alle condizioni stabilite nell’accordo. Ove manchi
l’intesa l’azienda procede al licenziamento dei dirigenti in eccesso comunicando
a ciascuno, in forma scritta, il recesso rispettando il termine di preavviso.

7.3. Criteri di scelta dei lavoratori da licenziare


La scelta dei lavoratori da licenziare, secondo quanto dispone l'art. 5 della legge
n. 223/1991, deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive e or-
ganizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai con-
tratti collettivi stipulati con i sindacati, o, in mancanza, nel rispetto dei seguen-
ti criteri, in concorso tra loro:
a) carichi di famiglia;
b) anzianità;
c) esigenze tecnico-produttive e organizzative.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

È espressamente previsto (art. 5, comma 2, legge n. 223/1991) che, nell'operare


la scelta dei lavoratori da licenziare, il datore di lavoro deve far sì che il nume-
ro dei disabili, soggetti alla disciplina del collocamento obbligatorio, da licen-
ziare non sia superiore alle percentuali previste dalle norme sulle assunzioni ob-
bligatorie. La stessa norma, così come integrata dall’art. 6, comma 5-bis, del
D.L. n. 148/1993, convertito nella legge n. 236/1993, dispone che il datore di
lavoro non possa altresì licenziare una percentuale di manodopera femminile
superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle
mansioni prese in considerazione.
Sia nella fase sindacale dell'esame congiunto, sia in quella eventuale pubblica
amministrativa, è da ritenere che si possa discutere e contrarre anche in ordine alla
determinazione di criteri alternativi rispetto a quelli di legge; con riferimento alla
mediazione pubblica, il Ministero del Lavoro ha individuato alcune linee direttive
in merito ai criteri di scelta dei lavoratori (Circolare n. 155/1991):

1) l'efficienza del singolo lavoratore non può costituire criterio idoneo di


scelta;
2) si deve tener conto che le norme generali in materia di licenziamento non
permettono discriminazioni, con particolare riguardo alla manodopera
femminile;
3) se le parti decidono di attenersi ai criteri di legge, di norma deve proce-
dersi ad una valutazione globale di tali criteri soprattutto quando, trattan-
dosi di lavoratori che non hanno diritto all'indennità di mobilità, debba
darsi rilievo particolare ai criteri «sociali» dell’anzianità e del carico di
famiglia.
I criteri contrattati devono essere, in ogni caso, esplicitati con chiarezza in
una apposita sezione dell'accordo, nella consapevolezza che, in una eventuale
sede giudiziaria, incomberà sul datore di lavoro l'onere della prova in ordine
alle ragioni che giustificano il peso predominante od esclusivo dato al criterio
tecnico-produttivo rispetto a criteri sociali. La illegittimità dei criteri ha effetto
invalidante del licenziamento impugnato, con conseguente reintegrazione. La
Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza n. 4667 del 25 febbraio 2013 ha
stabilito che nell’ambito di un licenziamento collettivo, qualora il criterio di
scelta dei lavoratori da licenziare sia unico ed oggettivo, non è necessario indi-
care le modalità con cui tale criterio è stato applicato, né effettuare alcuna com-
parazione con l’intera platea dei lavoratori occupati dal datore di lavoro.
In merito al licenziamento collettivo dei dirigenti la legge n. 161/2014 ha esteso
ai dirigenti i criteri di scelta previsti dall’art. 5 della legge n. 223/1991, sebbene
appaiano scarsamente coerenti con la particolare natura fiduciaria del rapporto
di lavoro tra dirigente e datore di lavoro, rendendo desiderabile un impegno di-
retto delle organizzazioni sindacali per la definizione di criteri più adatti in sede
di accordo.

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7.4. Inefficacia, annullabilità e regime sanzionatorio ai sensi


dell’art. 18 della legge n. 300/1970
Nel testo previgente, l’art. 5, comma 3, della legge n. 223/1991 prevedeva che il
licenziamento risultasse inefficace se intimato senza l'osservanza della forma
scritta o in violazione delle procedure previste e fosse annullabile in caso di vio-
lazione delle norme riguardanti i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. A
parte il caso di mancata comunicazione del licenziamento per iscritto (in questo
caso il provvedimento risulta nullo), il recesso poteva essere impugnato anche
attraverso l'intervento delle organizzazioni sindacali. Al licenziamento del quale
era stata dichiarata l'inefficacia o l'invalidità «si applica l’art. 18 della legge 20
maggio 1970, n. 300», con riguardo al principio della c.d. “stabilità reale” con
reintegro del lavoratore nel posto di lavoro.
Tuttavia, la tutela reale di cui al previgente art. 18 dello Statuto dei lavoratori,
non trovava applicazione nel caso di recesso intimato da datori di lavoro non
imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sinda-
cale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, nel caso di inefficacia
o di annullabilità dei licenziamenti disposti da tali soggetti si applicano le di-
sposizioni di cui alla legge n. 604/1966.
Come accennato in precedenza, la legge n. 92/2012 è intervenuta sul regime di
inefficacia ed impugnazione del recesso in caso di licenziamenti collettivi. Il
comma 46 dell’art. 1 della legge n. 92/2012, infatti, sostituisce e riscrive inte-
gralmente l’art. 5, comma 3, della legge n. 223/1991 con specifiche previsioni
sanzionatorie per le differenti tipologie di vizi ed anche con riguardo al re-
gime di impugnazione.
Il nuovo primo periodo del terzo comma dell’art. 5 della legge n. 223/1991, co-
me novellato dall’art. 15, comma 3, della legge n. 92/2012, stabilisce che se il
licenziamento è stato intimato senza l’osservanza della forma scritta trova
applicazione il regime sanzionatorio di cui all’art. 18, comma 1, della legge n.
300/1970, come novellato dall’art. 1, comma 42, lett. b), della stessa legge n.
92/2012. Vale a dire che il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nul-
lità del licenziamento intimato senza forma scritta, ordina al datore di lavoro la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. In base all’art. 18, comma 2,
della legge n. 300/1970, come sostituito dall’art. 1, comma 42, lett. b), della
legge n. 92/2012, inoltre, il giudice, con la sentenza anzidetta, condanna il dato-
re di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento
di cui è stata accertata la nullità, stabilendo una indennità commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fi-
no a quello dell’effettiva reintegrazione non inferiore a cinque mensilità della
retribuzione globale di fatto (dedotto quanto percepito, nel periodo di estromis-
sione dal posto di lavoro, per lo svolgimento di altre attività lavorative), nonché
al versamento integrale dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti per lo
stesso arco temporale.
Peraltro, dopo l’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende comun-
que risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito del

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

datore di lavoro, salvo che richieda l’indennità sostitutiva di cui al novellato art.
18, comma 3, della legge n. 300/1970, secondo cui il lavoratore ha facoltà di
chiedere al datore di lavoro (entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito
della sentenza o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio se anterio-
re), in sostituzione della reintegrazione (fermo restando il risarcimento anzidet-
to), una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto,
non assoggettata a contribuzione previdenziale, determinando la risoluzione del
rapporto di lavoro.
Il secondo periodo del terzo comma dell’art. 5 della legge n. 223/1991, nel testo
risultante dalla novella dell’art. 1, comma 46, della legge n. 92/2012, in caso di
violazione delle procedure previste dall’art. 4, comma 12, della legge n.
223/1991, si applica il regime di cui all’art. 18, comma 7, terzo periodo, della
legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012. Ne consegue che il
giudice applica la disciplina di cui all’art. 18, comma 5, della legge n. 300/1970
per cui dichiara risolto il rapporto di lavoro (con effetto dalla data del licenzia-
mento), ma condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcito-
ria onnicomprensiva determinata tra un minimo di sei e un massimo di dodici
mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Qui la riforma sembra inter-
venire in maniera importate sul regime sanzionatorio dei licenziamenti collettivi
che attualmente, nei casi di vizi procedurali rispetto alle disposizioni contenute
nell’art. 4 della legge n. 223/1991, sono ritenuti inefficaci e determinano la im-
mediata reintegrazione del lavoratore licenziato.
Permane il regime di tutela più forte, in base al terzo periodo del novellato art.
5, comma 3, della legge n. 223/1991, se vi è stata violazione dei criteri di scel-
ta, dovendosi applicare il regime di cui all’art. 18, comma 4, della legge n.
300/1970, come novellato dall’art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92/2012.
In tale circostanza, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di la-
voro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità ri-
sarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del li-
cenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione – dedotto l’aliunde per-
ceptum ed anche quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi “con diligenza”
alla ricerca di una nuova occupazione –, nella misura massima di 12 mensilità.
Ma anche qui la riforma incide in maniera rilevante sull’effettività della misura
risarcitoria giacché scompare il limite minimo delle 5 mensilità, oggi vigente, e
si pone un limite massimo di 12 mensilità.
Più fumoso, invece, appare il tentativo di ridurre l’ammontare quantificato de-
curtando quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire, mancando qualsiasi pa-
rametro oggettivo di riferimento per operare un calcolo attendibile e non total-
mente discrezionale e arbitrario. Il datore di lavoro è comunque condannato an-
che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso perio-
do, «maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di san-
zioni per omessa o ritardata contribuzione», seppure con riguardo ad un impor-
to inferiore a quanto sarebbe stato dovuto in costanza di rapporto di lavoro, fa-
cendo riferimento la legge n. 92/2012 alla differenza contributiva derivante dal

© Wolters Kluwer 67
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

rapporto fra la contribuzione che sarebbe maturata nel rapporto cessato per li-
cenziamento e quella effettivamente accreditata al lavoratore per lo svolgimento
di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione (se questi ultimi
contributi sono stati versati in una altra gestione previdenziale, vengono imputa-
ti d’ufficio alla gestione previdenziale di provenienza del lavoratore licenziato,
con addebito dei costi procedurali al datore di lavoro).
Dopo l’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende comunque risol-
to se il lavoratore non ha ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito ovvero non
abbia formulato richiesta della indennità sostitutiva della reintegrazione di cui si
è detto (art. 18, comma 3, legge n. 300/1970).
Con riferimento al licenziamento collettivo dei dirigenti la legge n. 161/2014 ha
previsto che qualora siano violate le procedure o i criteri di scelta, il datore di
lavoro debba corrispondere al dirigente illegittimamente licenziato di una in-
dennità risarcitoria compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione glo-
bale di fatto, determinata dal giudice in base alla natura e alla gravità della vio-
lazione, fatte salve specifiche differenti previsioni fissate dai contratti collettivi.

Licenziamento collettivo di operai, impiegati e quadri

LICENZIAMENTO COLLETTIVO INEFFICACE O ILLEGITTIMO


(OPERAI, IMPIEGATI, QUADRI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
Licenziamento Tutela reale piena Tutela reale piena
collettivo senza forma Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
scritta: trice ha diritto a: trice ha diritto a:
Per avere licenziato ope- - reintegrazione o inden- - reintegrazione o inden-
rai, impiegati e quadri, a nità sostitutiva pari a 15 nità sostitutiva pari a 15
seguito delle procedure mensilità; mensilità dell’ultima re-
di licenziamento colletti- - pagamento tribuzione di riferimento
vo intimando il recesso dell’indennità risarcitoria per il calcolo del tratta-
senza l’osservanza della non inferiore a 5 mensili- mento di fine rapporto;
forma scritta. tà (con riferimento - pagamento
all’ultima retribuzione dell’indennità risarcitoria
globale di fatto maturata non inferiore a 5 mensili-
dal giorno del licenzia- tà dell’ultima retribuzio-
mento fino a quello ne di riferimento per il
dell’effettiva reintegra- calcolo del trattamento di

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LICENZIAMENTO COLLETTIVO INEFFICACE O ILLEGITTIMO


(OPERAI, IMPIEGATI, QUADRI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
zione, diminuita fine rapporto maturata
dell’aliunde perceptum); dal giorno del licenzia-
- versamento dei contri- mento fino a quello
buti previdenziali ed as- dell’effettiva reintegra-
sistenziali per lo stesso zione, diminuita
periodo; dell’aliunde perceptum;
- pagamento delle san- - versamento dei contri-
zioni per omesso o ritar- buti previdenziali ed as-
dato versamento contri- sistenziali per lo stesso
butivo. periodo;
- pagamento delle san-
zioni per omesso o ritar-
dato versamento contri-
butivo.
Licenziamento Tutela reale ridotta Tutela obbligatoria
collettivo in violazione Il lavoratore o la lavora- piena
dei criteri di scelta trice ha diritto a: Il lavoratore o la lavora-
Per avere licenziato im- - annullamento del licen- trice ha diritto a:
piegati, operai e quadri, ziamento - pagamento di una in-
violando i criteri di scelta - reintegrazione del lavo- dennità risarcitoria onni-
dei lavoratori da licenzia- ratore o indennità sosti- comprensiva non assog-
re previsti dalla legge in tutiva pari a 15 mensilità; gettata a contribuzione
materia di licenziamenti - pagamento previdenziale di importo
collettivi. dell’indennità risarcitoria pari a 2 mensilità
non superiore a 12 men- dell’ultima retribuzione
silità (con riferimento di riferimento per il cal-
all’ultima retribuzione colo del trattamento di
globale di fatto maturata fine rapporto per ogni
dal giorno del licenzia- anno di servizio;
mento fino a quello - l’indennità deve essere
dell’effettiva reintegra, compresa tra un minimo
diminuita dell’aliunde di 4 ed un massimo di 24
perceptum e dell’aliunde mensilità;
percipiendi); - non opera la reintegra-

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(OPERAI, IMPIEGATI, QUADRI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
- versamento dei contri- zione e il rapporto di la-
buti previdenziali ed assi- voro viene dichiarato
stenziali, maggiorati degli estinto alla data del li-
interessi nella misura le- cenziamento.
gale, per la differenza fra
la contribuzione che sa-
rebbe maturata nel rap-
porto cessato per licen-
ziamento e quella effetti-
vamente accreditata per
lo svolgimento di altre at-
tività lavorative durante il
periodo di licenziamento,
senza applicazione delle
sanzioni per omesso o ri-
tardato versamento con-
tributivo.
Licenziamento Tutela obbligatoria Tutela obbligatoria
collettivo senza il piena piena
rispetto delle procedure Il lavoratore o la lavora- Il lavoratore o la lavora-
Per avere operato un re- trice ha diritto a: trice ha diritto a:
cesso intimato senza il ri- - pagamento di una in- - pagamento di una in-
spetto della procedura dennità risarcitoria onni- dennità risarcitoria onni-
sindacale prevista per i comprensiva tra un mi- comprensiva non assog-
licenziamenti collettivi. nimo di 12 ed un massi- gettata a contribuzione
mo di 24 mensilità previdenziale di importo
dell’ultima retribuzione pari a 2 mensilità
globale di fatto (in rela- dell’ultima retribuzione
zione all’anzianità del la- di riferimento per il cal-
voratore e tenuto conto colo del trattamento di
del numero dei dipen- fine rapporto per ogni
denti occupati, delle di- anno di servizio;
mensioni dell’attività - l’indennità deve essere
economica, del compor- compresa tra un minimo

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(OPERAI, IMPIEGATI, QUADRI)
Illecito Sanzione (assunti fino al Sanzione (assunti dal 7
6 marzo 2015) marzo 2015 anche as-
sunti precedentemente
se azienda supera soglia
dal 7 marzo 2015)
tamento e delle condi- di 4 ed un massimo di 24
zioni delle parti, con mensilità;
onere di specifica moti- - non opera la reintegra-
vazione a tale riguardo); zione e il rapporto di la-
- non opera la voro viene dichiarato
reintegrazione e il estinto alla data del li-
rapporto di lavoro viene cenziamento.
dichiarato risolto con
effetto dalla data del
licenziamento.

Licenziamento collettivo dei dirigenti (non si applica D.lgs. n. 23/2015)

LICENZIAMENTO COLLETTIVO ILLEGITTIMO


(DIRIGENTI)
Illecito Sanzione
Licenziamento Tutela obbligatoria
collettivo in violazione dei piena
criteri di scelta Il lavoratore o la lavoratrice ha diritto a:
Per avere licenziato il diri- - pagamento di una indennità risarcitoria onni-
gente, violando i criteri di comprensiva tra un minimo di 12 ed un massimo
scelta dei lavoratori da li- di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
cenziare previsti dalla legge fatto (in relazione alla natura e alla gravità della
in materia di licenziamenti violazione);
collettivi. - non opera la reintegrazione e il rapporto di lavo-
ro viene dichiarato risolto con effetto dalla data
del licenziamento.

Licenziamento Tutela obbligatoria


collettivo senza il piena
rispetto delle procedure Il lavoratore o la lavoratrice ha diritto a:
Per avere licenziato il diri- - pagamento di una indennità risarcitoria onni-
gente senza il rispetto della comprensiva tra un minimo di 12 ed un massimo

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

LICENZIAMENTO COLLETTIVO ILLEGITTIMO


(DIRIGENTI)
Illecito Sanzione
procedura sindacale previ- di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
sta per i licenziamenti col- fatto (in relazione alla natura e alla gravità della
lettivi. violazione);
- non opera la reintegrazione e il rapporto di lavo-
ro viene dichiarato risolto con effetto dalla data
del licenziamento.

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8. OFFERTA DI CONCILIAZIONE

8.1. Conciliazione volontaria


Se dal comma 3 dell’art. 3 si ha la espressa previsione della non applicazione
dell’art. 7 della legge n. 604/1966, per il licenziamento dei lavoratori assunti
con contratto a tempo indeterminato nel regime delle tutele crescenti delineato
dal D.Lgs. n. 23/2015, i quali, dunque, sono sottratti alla specifica procedura di
conciliazione preventiva obbligatoria presso la Direzione territoriale del lavoro
per i licenziamenti economici individuali introdotta dalla legge n. 92/2012, l’art.
6 del D.Lgs. n. 23/2015 introduce una nuova ipotesi di conciliazione volonta-
ria per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti ille-
gittimi, dichiaratamente finalizzata allo scopo di “evitare il giudizio”.
Il comma 1 prevede che il datore di lavoro può offrire al lavoratore, mediante
consegna di un assegno circolare, entro il termine previsto dall’art. 6, comma
1, della legge n. 604/1966 per la impugnazione stragiudiziale del licenziamento
(60 giorni dalla ricezione della comunicazione in forma scritta del recesso) un
importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calco-
lo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e
non superiore a 18 mensilità, che non costituisce reddito imponibile ai fini
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettata a contribu-
zione previdenziale.
La caratteristica della non imponibilità fiscale della somma riconosciuta al la-
voratore in sede di conciliazione, connessa all’accesso del lavoratore licenziato
agli strumenti di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria (NA-
SpI), dovrebbe spingere verso una più agevole adesione allo strumento concilia-
tivo, anche a fronte dell’alea dell’impugnazione in sede giudiziale e della lun-
ghezza del processo.
Anche la somma offerta in conciliazione (al pari delle indennità risarcitorie
connesse alla tutela obbligatoria per i licenziamenti ingiustificati) rientra nello
schema delle “tutele crescenti” in ragione della maggiorazione progressiva della
stessa, in misura predeterminata, conseguentemente alla crescente anzianità di
servizio, a partire dal terzo anno, primo scaglione superiore al minimo indero-
gabile.
L’accettazione da parte del lavoratore dell’assegno circolare (non della somma
in sé, ma dello specifico titolo di credito espressamente richiamato dal legislato-
re delegato) comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licen-
ziamento e la rinunzia alla impugnazione del licenziamento (anche se il lavo-
ratore ha già proposto il ricorso).
La conciliazione deve avvenire in una delle sedi assistite di cui all’art. 2113,
comma 4, del Codice civile o presso le Commissioni di certificazione di cui
all’art. 82, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003. Si tratta concretamente di:

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- Commissione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del


lavoro;
- tentativo di conciliazione in sede sindacale;
- sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali
maggiormente rappresentative;
- Collegio di conciliazione e arbitrato irrituale;
- Commissioni di certificazione costituite presso:
1) gli Enti bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento, ovvero
a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita
nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;
2) le Direzioni territoriali del lavoro;
3) le Province;
4) le Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie;
5) la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministe-
ro del Lavoro nei casi in cui il datore di lavoro abbia almeno due sedi in
province differenti ovvero aderisca ad organizzazioni o associazioni dato-
riali, che hanno stipulato apposito schema di convenzione nazionale;
6) i Consigli provinciali dei Consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gen-
naio 1979, n. 12, per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale
di riferimento unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del
lavoro chiamato a svolgere funzioni di coordinamento e di vigilanza per
tutti gli aspetti organizzativi.
Il comma 2 quantifica gli oneri finanziari derivanti dalla nuova procedura di
conciliazione volontaria, mentre il primo periodo del terzo comma dell’art. 6 del
D.Lgs. n. 23/2015 prevede che l’attuazione della norma formi oggetto del si-
stema permanente di monitoraggio e valutazione istituito dall’art. 1, comma 2,
della legge n. 92/2012.

8.2. Conciliazione modulare


Il primo comma dell’art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015 specifica che rimane possibile
per le parti giungere a qualsiasi differente modalità di conciliazione prevista
dalla legge, come pure stabilisce la legittimità di una conciliazione unitaria con
caratteristiche “modulari” (a più moduli distinti), che ricomprenda sia l’offerta
di conciliazione ora esaminata, sia la transazione su altri e ulteriori aspetti ri-
guardanti il rapporto di lavoro cessato.
In prospettiva di semplificazione, si è ritenuto, dunque, che la procedura conci-
liativa insorta sulla circostanza dell’offerta del datore di lavoro al lavoratore li-
cenziato sia a tutti gli effetti valida anche per comporre le ulteriori questioni
controverse, tanto in funzione di specifiche transazioni quanto in esito a reci-
proche rinunce.
Ne consegue che attraverso una unica soluzione mediatoria le parti possono
raggiungere una intesa omnibus, fermo restando che il lavoratore abbia una
completa e piena consapevolezza dei diversi termini e dei singoli aspetti

74 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

dell’intesa, con particolare riferimento al carattere definitivo della soluzione da-


ta alle questioni poste e, conseguentemente, alla inoppugnabilità della concilia-
zione compositiva, ai sensi e per gli effetti dell’ultimo comma dell’art. 2113
cod. civ., che riconosce tale valenza anche alle conciliazioni amministrative in
quanto trattasi di «conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore viene ad
essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto
dell’intervento in funzione garantista del terzo (Autorità amministrativa) diretto
al superamento della presunzione di condizionamento della libertà d'espressio-
ne del consenso da parte del lavoratore» (Cass. civ., sez. lav., 18 agosto 2004,
n. 16168).
D’altra parte, le somme che devono essere corrisposte al lavoratore a titoli diffe-
renti, devono essere opportunamente evidenziate in modo distinto e separato, af-
finché nel verbale di accordo si possano agevolmente distinguere le somme de-
stinate a definire controversie attinenti a crediti vantati dal lavoratore in costan-
za del rapporto di lavoro ovvero in forza della cessazione di esso e le somme
che sono invece palesemente finalizzate alla risoluzione del rapporto di lavoro e
alla rinuncia da parte del lavoratore di impugnare il licenziamento.
Con riferimento a tale circostanza, peraltro, il legislatore delegato ha
puntualmente chiarito che le eventuali diverse somme concordate nella
medesima sede conciliativa per la definizione di altri profili vertenziali o di
contenzioso («ogni altra pendenza»secondo la lettera della norma) derivanti dal
rapporto di lavoro del cui licenziamento si tratta rimangono assoggettate al
regime fiscale ordinario.

8.3. Piccole imprese


Quanto alla somma che deve essere offerta al lavoratore, l’art. 9, comma 1, del
D.Lgs. n. 23/2015 dispone, per le aziende fino a 15 dipendenti, il dimezzamen-
to delle indennità dovute dal datore di lavoro a seguito di accettazione della of-
ferta di conciliazione (art. 6), fissando il limite massimo non superabile di 6
mensilità.
La norma non chiarisce espressamente se il dimezzamento vale come criterio di
calcolo delle indennità o solo con riferimento al limite minimo e al tetto massi-
mo previsto per ciascuna indennità, ma dal tenore letterale della stessa sembre-
rebbe doversi optare per la prima soluzione.
Applicando, pertanto, il dimezzamento come criterio di calcolo con riferimento
all’art. 6 si applicherà una indennità pari a mezza mensilità (anziché una)
dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Il limite minimo risulterà
pari a una mensilità per l’offerta di conciliazione.

Conciliazione a tutele Conciliazione preventiva


crescenti per vecchi assunti
Sede DTL, sede sindacale, sedi Commissione di concilia-
contrattuali collettive, col- zione istituita presso la Di-

© Wolters Kluwer 75
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Conciliazione a tutele Conciliazione preventiva


crescenti per vecchi assunti
legio di conciliazione e ar- rezione territoriale del la-
bitrato irrituale, commis- voro
sioni di certificazione
Campo di Generalità dei datori di la- Solo datori di lavoro con
applicazione voro più di 15 dipendenti
Tipologia di Qualsiasi tipologia di licen- Licenziamenti per giustifi-
licenziamento ziamento cato motivo oggettivo
Termine Entro 60 giorni dal licen- Precede il licenziamento
ziamento
Strumenti di Assegno circolare Qualsiasi
pagamento
Contenuto Corresponsione di una Corresponsione di una
dell’intesa somma di denaro con ri- somma di denaro con riso-
nuncia ad impugnare il li- luzione consensuale del
cenziamento rapporto
Vantaggi per il Somma non costituisce Ammissione alla NASpI
lavoratore reddito imponibile ai fini
dell’imposta sul reddito
delle persone fisiche. Am-
missione alla NASpI
Vantaggi per il Somma non assoggettata a Somma non assoggettata
datore di lavoro contribuzione previdenzia- a contribuzione previden-
le. Definizione stragiudizia- ziale. Definizione stragiu-
le della controversia. One- diziale della controversia.
re finanziario predetermi-
nato.

8.4. Tentativo obbligatorio di conciliazione preventiva


Per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015
sulle “tutele crescenti”, vale a dire fino al 6 marzo 2015, rimane pienamente
operativo, limitatamente ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (c.d.
“licenziamenti economici”) intimati nelle aziende di maggiori dimensioni (sopra
ai 15 dipendenti) il tentativo obbligatorio di conciliazione.
In effetti l’art. 1, comma 40, della legge n. 92/2012, nel sostituire il testo
dell’art. 7 della legge n. 604/1966, poi ulteriormente modificato dal D.L. n.
76/2013, convertito in legge n. 99/2013, ha sancito che il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo (art. 3, seconda parte, della legge n. 604/1966)
deve essere necessariamente preceduto da una comunicazione effettuata dallo
stesso datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro competente in ra-
gione del luogo dove il lavoratore presta la sua attività, che deve essere trasmes-

76 © Wolters Kluwer
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

sa per conoscenza al lavoratore sempre a cura del datore di lavoro (art. 7, com-
ma 1, legge n. 604/1966), al fine di attivare un apposito tentativo obbligatorio di
conciliazione. Con riferimento specifico alla competenza della DTL, la Circola-
re del Ministero del Lavoro n. 3 del 16 gennaio 2013 sottolinea come «la pro-
cedura compositoria in questione si può svolgere soltanto davanti la Commis-
sione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro», sot-
tolineando come la scelta esclusiva operata dalla legge n. 92/2012 trovi fonda-
mento nella composizione della Commissione provinciale di cui all’art. 410
cod. proc. civ., dopo la riforma operata dalla legge n. 183/2010, vale a dire il
suo essere «espressione delle Organizzazioni datoriali e sindacali maggiormen-
te rappresentative a livello territoriale», caratterizzazione che viene assicurata
anche quando l’Organo conciliativo opera in Sottocommissioni «composte da
un rappresentante di parte datoriale, da uno di parte sindacale e da un funzio-
nario della DTL delegato dal proprio dirigente». D’altro canto, la stessa circo-
lare ministeriale evidenzia come, a differenza di quanto previsto dall'art. 413
cod. proc. civ., «il nuovo art. 7 della legge n. 604/1966 individua attraverso il
solo luogo di svolgimento dell'attività del dipendente» la DTL esclusivamente
competente per ragioni territoriali.
8.4.1. Campo di applicazione
L’obbligo di conciliazione riguarda esclusivamente il licenziamento per giusti-
ficato motivo oggettivo disposto da un datore di lavoro che in ciascuna sede
occupa alle sue dipendenze più di 15 lavoratori (più di 5 se imprenditore agri-
colo) o che nell’ambito dello stesso Comune occupa più di 15 dipendenti (se
impresa agricola più di 5 dipendenti nel medesimo ambito territoriale) ovvero
che occupa più di 60 dipendenti complessivamente. Il Trib. Milano, con ordi-
nanza del 16 ottobre 2014 ha stabilito che «qualora l’intenzione del datore, cir-
ca la necessità di riorganizzazione, riguarda più di quattro dipendenti nell’arco
di 120 giorni, la procedura di conciliazione deve cedere obbligatoriamente il
passo alla specifica procedura collettiva prevista per i casi di riduzione di per-
sonale individuata dagli articoli 4, 5, 16 e 24 della legge n. 223/1991 (ciò an-
che se il numero dei licenziamenti risulti inferiore alle cinque unità all’esito
della proceduta).».Rispetto alle categorie dei datori di lavoro soggetti
all’obbligo di attivare la procedura di conciliazione presso la Direzione territo-
riale del lavoro competente il Ministero del Lavoro è intervenuto con la risposta
ad Interpello n. 27 del 20 settembre 2013 per affermare esplicitamente che la di-
sposizione si anche quando il datore di lavoro che procede al licenziamento per
giustificato motivo oggettivo è una Agenzia per il lavoro autorizzata alla som-
ministrazione di lavoro, se sussistono i requisiti dimensionali e si tratta di licen-
ziamento «nei confronti dei dipendenti dell’agenzia assunti a tempo indetermi-
nato, siano essi alle dirette dipendenze dell’agenzia o inviati in missione
nell’ambito di un contratto di somministrazione».

© Wolters Kluwer 77
Licenziamento e contratto a tutele crescenti

8.4.2. Cause di licenziamento escluse dalla procedura


L’art. 7, comma 4, del D.L. n. 76/2013, convertito dalla legge n. 99/2013, sosti-
tuisce il comma 6 dell’art. 7 della legge n. 604/1966, per esonerare dal tentativo
obbligatorio alcune fattispecie difficilmente compatibili con la natura e lo spiri-
to della procedura conciliativa. Vale la pena osservare che secondo la giurispru-
denza (Cass. 9 luglio 2012, n. 11465), il licenziamento per giustificato motivo
oggettivo è una scelta riservata all’imprenditore, per cui se effettiva e non simu-
lata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice per profili di congruità ed op-
portunità.
Così in primo luogo si stabilisce che non deve attivare la procedura preventiva
in esame il datore di lavoro che intima il licenziamento individuale per
l’avvenuto superamento del periodo di comporto di cui all’art. 2110 codice
civile. Il legislatore recepisce qui quanto anticipato dalla prassi amministrativa
(il Ministero del Lavoro nella Circolare n. 3/2013 aveva argomentato
l’esclusione in considerazione della specificità di questa causale di
licenziamento) e risolve una querelle giurisprudenziale che aveva visto
contrapporsi anche pronunce emanate dal medesimo Tribunale (così, ad
esempio, era avvenuto nel Tribunale di Milano dove con ordinanza del 5 marzo
2013 si era deliberata l’esclusione della fattispecie dal tentativo obbligatorio,
mentre con ordinanza del 22 marzo 2013 si era affermato l’obbligo di attivare la
procedura conciliativa).
Altre due fattispecie vengono evidenziate come meritevoli di non formare og-
getto della procedura conciliativa obbligatoria e sono individuate mediante rin-
vio all’art. 2, comma 34, della legge n. 92/2012.
Si tratta dei licenziamenti, ovvero delle “interruzioni di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato”, che vengono intimati: in conseguenza di cambi di ap-
palto, quando fanno seguito alla cessazione del rapporto di lavoro col primo da-
tore le assunzioni presso altro datore di lavoro, per effetto di apposite clausole
sociali che assicurano la continuità occupazionale sancita dai contratti collettivi
stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro com-
parativamente più rappresentative sul piano nazionale; per completamento del-
le attività e per chiusura del cantiere nel settore delle costruzioni edili.
8.4.3. Finalità della procedura compositoria
La scelta legislativa della legge n. 92/2012 (pienamente confermata e addirittura
rilanciata dal D.L. n. 76/2013) di introdurre nell’Ordinamento giuslavoristico
questo nuovo tentativo obbligatorio di conciliazione – sia pure limitatamente ai
soli licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo delle imprese di
maggiori dimensioni – può essere letta (a nemmeno due anni di distanza dalla
opzione per la facoltatività generalizzata del tentativo di conciliazione in mate-
ria di lavoro operata dalla legge n. 183/2010) secondo un caleidoscopio di opi-
nioni differenti.
Se, dunque, non è mancata una valutazione nettamente negativa volta a sottoli-
neare il carattere di appesantimento burocratico e di inefficacia strutturale della

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

procedura ritenuta scarsamente utile se non propriamente inutile, d’altro canto si


è registrata la posizione di chi ha identificato il tentativo compositorio dinanzi
alla Direzione territoriale del lavoro come una sorta di stanza di compensazione
ovvero di luogo di decantazione che precede il licenziamento e consente ad en-
trambe le parti della controversia di instaurare, davanti a un organo terzo e im-
parziale, un utile confronto, discutendo le reciproche posizioni e valutando le
ragioni addotte per motivare l’intenzione di licenziare.
In questo senso si è mossa la Circolare n. 3/2013 del Ministero del Lavoro, la
quale si è espressa nel senso di individuare la procedura di conciliazione come
una fase della procedura di licenziamento volta a porre «un intervallo temporale
tra il momento in cui il datore di lavoro manifesta la propria volontà di recede-
re dal rapporto (…) e quello nel quale il licenziamento esplica i propri effetti».
Secondo le valutazioni ministeriali, in effetti, da questo segmento temporale, da
questo interstizio procedurale, può derivare la obiettiva utilità del tentativo che
«consente alle parti di confrontarsi presso una sede che offre garanzie di terzie-
tà e di trovare soluzioni alternative al licenziamento».
D’altra parte, si è sottolineato come la conciliazione obbligatoria prelicenzia-
mento possa agevolmente ritenersi finalizzata a risolvere la vertenza insorta fra
il datore di lavoro che intende procedere al licenziamento e il lavoratore licen-
ziando nei termini di una composizione della lite che fa fondamento sulla
monetizzazione della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. A que-
sto scopo, peraltro, pare orientarsi la stessa legge n. 92/2012 laddove sancisce
che qualora il tentativo di conciliazione abbia esito positivo, con accordo rag-
giunto per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, trovano applicazio-
ne le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI).

8.5. Comunicazione obbligatoria dell’intenzione di licenziare


La comunicazione obbligatoria deve contenere la espressa dichiarazione
dell’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indica-
re i motivi del licenziamento e le eventuali misure di assistenza alla ricollo-
cazione del lavoratore interessato (art. 7, comma 2, legge n. 604/1966).
Il Ministero del Lavoro nella Circolare n. 3/2013 ribadisce che «il contenuto de-
ve far riferimento all'intenzione di procedere al licenziamento per un motivo
oggettivo, deve indicarne le motivazioni, nonché le eventuali misure di assisten-
za finalizzate ad una ricollocazione» per poi evidenziare l’utilità «di indicare
nella comunicazione, qualora il datore di lavoro ne sia in possesso, l'indirizzo
di posta elettronica certificata». La Circolare stessa n. 3/2013, in merito alle
«misure alternative di ricollocazione o di assistenza alla ricollocazione», preci-
sa che rileva quanto sancito in giurisprudenza (Cass. 23 marzo 2011, n. 6625)
secondo cui la proposta datoriale può consistere anche in «una prospettiva di
lavoro autonomo o in cooperativa».
Riguardo al lavoratore la Circolare n. 3/2013 precisa che «la comunicazione si
intende trasmessa a "buon fine", nei confronti del lavoratore, se spedita al do-
micilio indicato nel contratto o quello successivamente indicato o, infine, se

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

consegnata a mano con ricezione attestata da una firma sulla copia». Come
chiarito dal Ministero, «la procedura pone un intervallo temporale tra il mo-
mento in cui il datore di lavoro manifesta la propria volontà di recedere dal
rapporto - comunicata al lavoratore interessato - e quello nel quale il licenzia-
mento esplica i propri effetti» e secondo le indicazioni ministeriali proprio que-
sto stacco temporale potrebbe acquisire «una propria "utilità" in quanto con-
sente alle parti di confrontarsi presso una sede che offre garanzie di terzietà e
di trovare soluzioni alternative al licenziamento».
Soltanto con la comunicazione obbligatoria avanzata dal datore di lavoro alla
DTL e per conoscenza al lavoratore può e deve attivarsi la Commissione o la
sottocommissione di conciliazione.
Peraltro la comunicazione datoriale deve necessariamente contenere una serie di
elementi essenziali: la espressa dichiarazione dell’intenzione di procedere al li-
cenziamento per motivo oggettivo, l’individuazione del lavoratore da licenziare,
l’indicazione dei motivi del licenziamento, la specificazione delle eventuali mi-
sure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato (art. 7, comma 2,
legge n. 604/1966).
La modalità con la quale la legge caratterizza i contenuti della comunicazione
preventiva del datore di lavoro fa ragionevolmente supporre che laddove
l’informativa datoriale risulti gravemente incompleta, perché priva di ta-
luno degli elementi essenziali espressamente richiesti dalla legge e sopra ri-
chiamati, la Direzione territoriale del lavoro non potrà ritenersi obbligata ad av-
viare il tentativo obbligatorio di conciliazione, giacché il termine perentorio dei
7 giorni entro i quali procedere a convocare lavoratore e datore di lavoro può
decorrere soltanto a far data dalla ricezione di una comunicazione completa di
tutti i suoi elementi caratterizzanti.
Non così, invece, nel caso in cui la comunicazione risulti completa di tutti i
suoi elementi ma non sia stata inviata al lavoratore da licenziarsi (cui deve
essere diretta per conoscenza), ma soltanto alla Direzione territoriale del lavoro.
In tal caso, in effetti, ove la Direzione territoriale del lavoro provveda all’atto
della convocazione del lavoratore ad enucleare dettagliatamente i contenuti che
formeranno oggetto del tentativo obbligatorio di conciliazione il lavoratore po-
trà dirsi senza meno soddisfatto riguardo all’esigenza di conoscere l’intenzione
del datore di lavoro e le motivazioni addotte dallo stesso per determinarsi al li-
cenziamento individuale. Diversamente anche in questa ipotesi la Direzione ter-
ritoriale del lavoro non potrà ritenersi obbligata a procedere se nella convoca-
zione delle parti non vengono fornite, neppure per estratto e sinteticamente, le
ragioni enucleate dal datore di lavoro nella comunicazione all’ufficio territoriale
del lavoro.
D’altro canto, con riguardo alle misure alternative di ricollocazione o di assi-
stenza alla ricollocazione il Ministero del Lavoro nella richiamata Circolare n.
3/2013 ha specificato quanto affermato dalla Suprema Corte (Cass. 23 marzo
2011, n. 6625) in merito alla circostanza che la proposta datoriale di accordo

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

conciliativo potrebbe consistere finanche in «una prospettiva di lavoro autono-


mo o in cooperativa».

8.6. Termini della procedura


A seguito della comunicazione la DTL procede a trasmettere la convocazione
al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di 7 giorni dalla
ricezione della richiesta, davanti alla Commissione provinciale di conciliazio-
ne di cui all’art. 410 cod. proc. civ. (art. 7, comma 3, legge n. 604/1966). Sul
punto la Circolare n. 3/2013 puntualizza attentamente il momento di avvio della
procedura e le responsabilità conseguenti per gli uffici territoriali del Ministero:
«dalla data di ricezione della comunicazione trasmessa da parte del datore di
lavoro all'ufficio si intende dunque avviata la procedura in esame; va infatti ri-
cordato che la stessa comunicazione è trasmessa "per conoscenza" al lavorato-
re (…) e pertanto, ai fini della individuazione del momento di avvio della pro-
cedura, assume valore preponderante la data di ricezione da parte della DTL».
L’unica data di riferimento per il computo dei 7 giorni per effettuare la
convocazione delle parti è quella della effettiva ricezione da parte della
Direzione territoriale del lavoro competente della comunicazione effettuata dal
datore di lavoro.
Per tale ragione, quindi, la Circolare n. 3/2013 ribadisce non solo che «la comu-
nicazione datoriale va effettuata per iscritto», ma anche che deve essere inviata
alla DTL con «raccomandata con avviso di ricevimento» o in alternativa me-
diante «posta elettronica certificata».
In merito alla attivazione tempestiva della procedura di conciliazione, mediante
apposita convocazione, da parte dell’Ufficio territoriale del Ministero del Lavo-
ro, la Circolare n. 3/2013 rammenta che la legge n. 92/2012 «impone un preciso
onere alla Direzione territoriale del lavoro che ha ricevuto la comunicazione
datoriale».
Si tratta, appunto, di procedere tempestivamente a convocare le parti dinanzi al-
la Commissione o alla eventuale Sottocommissione, «trasmettendo l'invito a
comparire entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell'istanza».
In questo senso, al fine di garantire la tempestività dell’azione amministrativa in
merito alla procedura conciliativa obbligatoria che precede il licenziamento in-
dividuale, la Circolare n. 3/2013 sottolinea l’obbligo per la DTL di provvedere
«a cadenza almeno settimanale» ad inviare apposita comunicazione «ai compo-
nenti della Commissione» circa «i nominativi delle parti convocate presso la
stessa Commissione per il tentativo di conciliazione».
Le indicazioni ministeriali sottolineano altresì che la nota di convocazione della
DTL, la quale deve contenere necessariamente il giorno e l'ora dell’incontro, va-
le a dire della seduta della Commissione fissata per esperire il tentativo, va «tra-
smessa con la massima celerità al fine di non vanificare la procedura obbliga-
toria di conciliazione», inviandola alle parti «con lettera raccomandata o prefe-
ribilmente attraverso posta elettronica certificata». La stessa Circolare n.
3/2013 esclude qualsiasi altra modalità di trasmissione della nota («forme alter-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

native di invio della comunicazione, attesa la necessità di coniugare la certezza


dell'invio con l'effettiva conoscenza della data della riunione da parte degli in-
teressati, non risultano possibili»), facendo eccezione soltanto per «i casi spo-
radici di consegna a mano» (quando ciò ovviamente permetta di acquisire cer-
tezza dell’avvenuta consegna).
La perentorietà del termine dei 7 giorni, prevista espressamente dalla legge, è,
peraltro, fortemente ribadita dalla circostanza che decorso il termine il datore di
lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore, come espressamente pre-
visto dall’art. 7, comma 6, ultimo periodo, della legge n. 604/1966, misura con-
fermata anche nel nuovo testo come sostituito dall’art. 7, comma 4, del D.L. n.
76/2013, convertito dalla legge n. 99/2013. La Circolare n. 35 del 29 agosto
2013 afferma sul punto «altro importante chiarimento introdotto dal D.L. n.
76/2013 è quello secondo il quale (…), comunque, decorso il termine di sette
giorni per la trasmissione, da parte della DTL, della convocazione al datore di
lavoro e al lavoratore, “il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al
lavoratore” (…)» (sebbene tale previsione fosse già contenuta nel testo origina-
riamente introdotto dalla legge n. 92/2012).
Nel fissare la convocazione delle parti, d’altro canto, secondo la Circolare n.
3/2013, la DTL non deve limitarsi a rispettare il termine perentorio dei 7 giorni,
ma anche assicurare che la data del previsto tentativo di conciliazione permanga
abbondantemente all’interno del limite temporale dei 20 giorni dalla convoca-
zione (sancito dalla legge n. 92/2012 come termine finale) al fine di non «vani-
ficare la procedura conciliativa».
I tempi della procedura sono particolarmente stringenti giacché nel computo dei
20 giorni complessivamente riconosciuti dal Legislatore come termine mas-
simo di esaurimento del tentativo di conciliazione deve essere necessariamente
compreso anche il tempo necessario affinché la lettera di convocazione in-
viata dalla DTL pervenga effettivamente al datore di lavoro e al lavoratore.
A questo scopo preciso, dunque, la DTL deve provvedere «con immediatezza» a
convocare le parti non appena pervenuta la comunicazione preventiva del datore
di lavoro «indicando una data molto ravvicinata per l'incontro e, possibilmente,
prevedendo riunioni "straordinarie" dell'Organo conciliativo». Gli stringenti
parametri procedurali attuativi dettati dalla Circolare n. 3/2013 sono accompa-
gnati da un fermo richiamo alle responsabilità dirigenziali a norma del D.Lgs. n.
165/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 150/2009: «Codesti uffici dovranno
pertanto organizzarsi in modo tale da assolvere a tale preciso onere normativo
e dell'osservanza di tali indicazioni si terrà conto ai fini della valutazione del
comportamento organizzativo dei dirigenti delle rispettive strutture».
8.6.1. Deroghe alla durata massima della procedura
Durante la procedura – che di norma deve concludersi entro 20 giorni dalla tra-
smissione della convocazione – le parti, con l’ausilio (“partecipazione attiva”)
della Commissione, esaminano soluzioni alternative al licenziamento.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Due soltanto sono i momenti previsti dalla legge nei quali la procedura concilia-
tiva preventiva obbligatoria può subire una dilatazione dei termini:
- il primo è determinato dalla manifestazione di volontà delle parti di pro-
seguire le trattative per addivenire ad un utile accordo dinanzi alla
Commissione in data successiva, e non ha una limitazione temporale fis-
sata dalla legge;
- il secondo consiste nella rappresentazione documentata da parte del lavora-
tore di un legittimo impedimento a presenziare e a partecipare al tentativo
di conciliazione, ed è limitato ad un massimo di 15 giorni.
8.6.2. Accordo fra le parti per proseguire le trattative
La procedura può proseguire oltre il ventesimo giorno se entrambe le parti, “di
comune avviso”, dichiarino l’intenzione di proseguire la discussione al fine
di raggiungere un accordo (art. 7, comma 6, primi due periodi, legge n.
604/1966).
In tal caso la legge non prevede un limite temporale massimo entro il quale le
parti devono presentarsi dinanzi alla Commissione per raggiungere una intesa
ovvero per formalizzare il mancato raggiungimento di un accordo.
8.6.3. Impedimento del lavoratore
Riguardo alla durata della procedura, va precisato, peraltro, che in caso di legit-
timo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro pres-
so la DTL, la procedura può essere sospesa per un massimo di 15 giorni
(nuovo art. 7, comma 9, legge n. 604/1966). Secondo la Circolare n. 3/2013
l’impedimento del lavoratore può consistere «in uno stato di malattia ma anche
in un motivo diverso afferibile alla propria sfera familiare», e deve comunque
«trovare la propria giustificazione in una tutela prevista dalla legge (…) o dal
contratto».
Il motivo, secondo i chiarimenti del Ministero, deve essere comunicato dal lavo-
ratore alla Commissione o alla Sottocommissione davanti alla quale deve esple-
tarsi il tentativo di conciliazione “che, se lo ritiene valido, accorda la sospen-
sione per il tempo richiesto”.

8.7. Organo conciliatore


Come sottolineato dalla Circolare del Ministero del Lavoro n. 3 del 16 gennaio
2013 la procedura compositoria di cui all’art. 7 della legge n. 604/1966 può e
deve svolgersi esclusivamente dinanzi alla Commissione di conciliazione isti-
tuita presso la Direzione territoriale del lavoro.
I chiarimenti ministeriali enucleano le ragioni fondanti della scelta esclusivista,
operata dalla legge n. 92/2012, per il nuovo tentativo obbligatorio di concilia-
zione nella stessa composizione della Commissione provinciale di cui all’art.
410 cod. proc. civ., essendo l’organo conciliativo collegiale composto con de-
creto del Direttore territoriale del lavoro legittima ed effettiva espressione delle
rappresentanze liberamente designate dalle organizzazioni sindacali dei lavora-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

tori e dei datori di lavoro che vantano la maggiore rappresentatività a livello ter-
ritoriale.
Quanto alla identificazione della Commissione di conciliazione competente
territorialmente va altresì evidenziato che a differenza di quanto previsto
dall'art. 413 cod. proc. civ. per la ordinaria conciliazione facoltativa pregiudizia-
le, la conciliazione obbligatoria che precede il licenziamento radica la compe-
tenza dell’organo di conciliazione esclusivamente con riguardo al solo luogo di
svolgimento dell'attività lavorativa da parte del dipendente che si intende li-
cenziare.

8.8. Esito favorevole del tentativo con accordo


Nel caso in cui le parti pervengano alla risoluzione consensuale del rapporto,
l’organo di conciliazione, secondo le indicazioni ministeriali, dovrà dare atto
della intesa mediante il verbale «riportandone tutti i contenuti, ivi compresi
quelli di natura economica», evidenziando che in deroga alla disciplina ordina-
ria, per effetto della risoluzione consensuale del rapporto al termine della proce-
dura obbligatoria di conciliazione preventiva al lavoratore l’art. 7, comma 7,
della legge n. 604/1966, riconosce il diritto a godere dell’ASpI (ora NASpI).
Sul punto, per quanto la Circolare n. 3/2013 ometta qualsiasi riferimento, appare
utile ricordare che, opportunamente, l’Inps, con il Messaggio n. 20830 del 18
dicembre 2012, ha chiarito come la procedura di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo, conclusa in sede conciliativa con risoluzione consensuale,
configuri una fattispecie di cessazione involontaria del rapporto di lavoro, costi-
tuendo titolo di accesso alla tutela del reddito corrispondente.
La Circolare n. 3/2013 sottolinea come la tentata conciliazione possa concluder-
si positivamente con scelte «diverse, anche alternative alla risoluzione del rap-
porto», che i conciliatori devono provvedere a verbalizzare nella specificità dei
contenuti dell’accordo «che divengono inoppugnabili, trattandosi di una conci-
liazione avvenuta ex art. 410 cod. proc. civ.».
Inoltre, può essere previsto l’affidamento del lavoratore ad una Agenzia per il
lavoro (art. 4, comma 1, lett. a) e b), del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276), al
fine di favorirne la ricollocazione professionale (nuovo art. 7, comma 7, legge n.
604/1966).
Altro aspetto pure trattato dalla Circolare n. 3/2013 è quello che attiene
all’ipotesi di un accordo per la risoluzione consensuale del rapporto nel quale le
parti compongono «altre questioni di natura economica afferenti il rapporto di
lavoro». L’esempio offerto dal Ministero riguarda il pagamento di differenze re-
tributive, o di eventuali ore di lavoro straordinario od anche del trattamento di
fine rapporto.
In questo caso, le indicazioni ministeriali, in ottica semplificatrice, riconoscono
la validità della procedura conciliativa a comporre la controversia in una
unica soluzione mediatoria, tuttavia condiziona tale affermazione alla circo-
stanza che il lavoratore deve avere «piena consapevolezza» riguardo alla «defi-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

nitività della questione» e, dunque, alla «conseguente inoppugnabilità» della


stessa.
Tale consapevolezza ampia e piena dovrà risultare evidentemente, in modo
esplicito ed espresso, dal verbale, dal quale, al contrario, «sarà necessario stral-
ciare la parte relativa alla chiusura delle pendenze economiche» se dalla di-
scussione emerge che il lavoratore non ha la richiesta consapevolezza.
Da ultimo, la Circolare n. 3/2013 ritiene «opportuno evidenziare separatamen-
te» nel verbale di accordo le «somme corrisposte a vario titolo al lavoratore”,
distinguendo separatamente quelle «finalizzate all'accettazione del licenziamen-
to». Invero, il lavoratore che firma l’accordo a conclusione del tentativo obbli-
gatorio preventivo di conciliazione introdotto dalla legge n. 92/2012 non accet-
terà il licenziamento individuale, ma accederà alla proposta di risoluzione con-
sensuale (ovvero ad altra proposta conservativa, sebbene modificativa, del rap-
porto di lavoro), per cui le somme saranno riconosciute da una parte e accettata
dall’altra quale soddisfacimento per l’intesa raggiunta non per il licenziamento
che non avrà luogo.

8.9. Partecipazione attiva dei conciliatori


Durante la procedura preventiva di conciliazione – che si conclude entro 20
giorni dalla trasmissione della convocazione – le parti, con l’ausilio («parteci-
pazione attiva») della Commissione, esaminano, dunque, soluzioni alternative
al licenziamento. La procedura può proseguire oltre il ventesimo giorno solo se
entrambe le parti, «di comune avviso», dichiarino l’intenzione di proseguire la
discussione al fine di raggiungere un accordo (nuovo art. 7, comma 6, primi due
periodi, legge n. 604/1966).
Secondo le indicazioni della Circolare n. 3/2013, nel giorno e nell'ora fissata le
parti devono presentarsi dinanzi alla Commissione o Sottocommissione, in caso
di assenza di una delle parti che non risulti «sorretta da alcun elemento giustifi-
cativo» l’organo conciliativo provvedere a redigere un verbale di assenza. La
Circolare ministeriale n. 3/2013 precisa che soltanto «la mancata presenza del
lavoratore abilita il datore di lavoro ad attuare il recesso», mentre la medesima
cosa non potrebbe dirsi nel caso in cui ad essere assente fosse il datore di lavo-
ro, tuttavia tale passaggio non trova esatta corrispondenza nel testo normativo,
giacché a fronte della mancata definizione di un accordo nel termine massimo
non dilatabile assegnato dalla legge n. 92/2012 il licenziamento individuale può
senz’altro essere intimato.
Sul punto specifico, peraltro, è intervenuto l’art. 7, comma 4, del D.L. n.
76/2013, convertito nella legge n. 99/2013, per sancire – quale stimolo e pungo-
lo alla definizione stragiudiziale delle vertenze in materia di licenziamenti indi-
viduali – che «la mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo
di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 116 del codice di
procedura civile». In proposito la Circolare n. 35 del 29 agosto 2013 del Mini-
stero del Lavoro afferma sul punto che nel caso di assenza di una ovvero di en-
trambe le parti la legge «considera chiusa la procedura conciliativa, eviden-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

ziando tuttavia come l’assenza debba essere valutata in un eventuale giudizio ai


sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., concernente la “valutazione delle prove”» da
parte del giudice adito.
Ne deriva, pertanto, che per effetto della mancata partecipazione di una o di tut-
te e due le parti, indipendentemente dal fatto che l’assente sia il datore di lavoro
piuttosto che il lavoratore, sarà redatto un apposito verbale di mancata com-
parizione, mentre da tale circostanza obiettiva (dall’assenza e quindi dalla
mancata partecipazione al tentativo di conciliazione) il D.L. n. 76/2013 fa deri-
vare la facoltà per il giudice chiamato a decidere la controversia in merito
all’intimato licenziamento di desumere argomenti di prova, ai sensi e per gli ef-
fetti dell’art. 116 cod. proc. civ., e, dunque, di valutare ai fini probatori, secondo
il proprio prudente apprezzamento, il peso dell’assenza delle parti.
Riguardo al ruolo di “partecipazione attiva” (art. 7, comma 6, legge n.
604/1966) dell’Organo conciliativo, la Circolare n. 3/2013, sulla scorta del ca-
rattere evidentemente “deflativo” del tentativo preventivo di conciliazione – ri-
levabile, fra l’altro, proprio dalla circostanza che «le parti possono continuare
la discussione (se sono d'accordo) senza alcuna limitazione temporale» –, pre-
cisa che la Commissione o la Sottocommissione è chiamata ad una «attività
mediatoria sia in ordine all'accordo sull'indennità incentivante, che riguardo
all'individuazione di forme alternative al recesso».
La Commissione di conciliazione non deve attivarsi per giungere ad indagare e
ad affermare la legittimità delle ragioni dell’una o dell’altra parte – profilo deci-
sorio di esclusiva competenza giudiziale nell’Ordinamento giuridico italiano –,
ma al contempo non può senz’altro sottrarsi allo specifico compito affidatole
dalla legge di partecipare attivamente al confronto dinamico fra le parti allo
scopo di agevolare una possibile e ragionevole composizione della vertenza.
Su tale percorso, d’altronde, non sarà sufficiente la mera prospettazione di plau-
sibili soluzioni di tipo economico o finanziario, giacché i conciliatori sono
chiamati ad individuare ipotetiche soluzioni praticabili quali alternative alla ri-
soluzione del rapporto.
Proprio fra le soluzioni alternative al licenziamento sembra poter fare ingresso
un consolidato orientamento giurisprudenziale che vuole valutare la legittimità
del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo alla luce
dell’essersi il datore di lavoro effettivamente adoperato – fornendone la prova
nel processo – per individuare soluzioni occupazionali alternative all’interno
dell’azienda in posizioni e mansioni anche differenti rispetto a quelle attualmen-
te rivestite dal lavoratore interessato (cosiddetto obbligo di repêchage).
In questa prospettiva compositoria e mediatoria rileva la circostanza che per
espressa previsione di legge nell’espletamento della procedura di conciliazione,
le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni sindacali e associative di
rappresentanza alle quali risultano iscritte o conferiscono mandato, oppure da
un avvocato o da un consulente del lavoro regolarmente iscritti al rispettivo Al-
bo professionale (nuovo art. 7, comma 5, legge n. 604/1966).

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Pure a fronte della mancata esplicita previsione da parte della legge n. 92/2012
(la norma si limita ad affermare la possibilità di assistenza «da un componente
della rappresentanza sindacale dei lavoratori») si ritiene che il lavoratore possa
del tutto legittimamente affidare l’assistenza durante l’intera procedura di conci-
liazione obbligatoria ad un componente della rappresentanza sindacale azienda-
le o unitaria (R.S.A. o R.S.U.).
La Circolare n. 3/2013 precisa che «pur non escludendo che in linea di princi-
pio le parti possano delegare altre persone alla trattazione» dal dettato norma-
tivo sembra emergere «l'opportunità che i soggetti interessati siano tutti presen-
ti e, in particolar modo, il lavoratore», anche per consentire di esaminare «solu-
zioni alternative al licenziamento che possono essere diverse ed articolate”
emerse durante la discussione dinanzi all’Organo conciliativo.
Nel merito delle prospettive solutorie e mediatorie da contrapporre alla manife-
stata intenzione di procedere al licenziamento, la Circolare ministeriale n.
3/2013 offre una serie di esempi puntuali quali possibili soluzioni alternative al
licenziamento che i conciliatori potrebbero favorire nell’esame delle posizioni
di ambo le parti, pur «senza la necessità di una formalizzazione di una vera e
propria proposta conciliativa», come pure sottolinea il Ministero.

8.10. Esito negativo del tentativo e licenziamento


Se il tentativo di conciliazione obbligatorio fallisce ovvero se è inutilmente de-
corso il termine il datore di lavoro può procedere a comunicare il licenziamento
al lavoratore (nuovo art. 7, comma 6, ultimo periodo, legge n. 604/1966).
Sul punto la Circolare n. 3/2013 precisa anzitutto che il fallimento del tentativo
di conciliazione si può avere sia quando «le parti non hanno trovato un accor-
do», sia quando «si è verificata l'assenza o l'abbandono da parte di una di es-
se», aspetti che dovranno trovare comunque chiara evidenziazione nel verbale
redatto dall’Organo conciliativo: nelle singole fattispecie segnalate, peraltro, il
datore di lavoro potrà procedere al licenziamento individuale del lavoratore.
Pur nel silenzio della circolare ministeriale, va rilevato che l’abbandono deciso
dal datore di lavoro o da entrambe le parti può preludere anche ad una rinuncia
al licenziamento individuale e alla scelta conservativa, senza nessun accordo
transattivo, da parte del datore di lavoro.
In ogni caso, il datore di lavoro «può procedere con proprio atto di recesso uni-
laterale» quando «per una qualsiasi ragione» non risulta essere effettuata la
convocazione per il tentativo di conciliazione trascorsi i 7 giorni dalla ricezione
della comunicazione preventiva alla DTL.
Peraltro, in tutti i casi in cui la Commissione o la Sottocommissione di
conciliazione «non riesce ad arrivare ad una composizione della controversia»,
deve procedere, secondo le indicazioni della Circolare n. 3/2013, a «redigere un
verbale di mancato accordo che (…) non può essere generico e privo di
contenuti».
La legge n. 604/1966, come modificata dalla legge n. 92/2012, prevede espres-
samente che «il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal

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verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla pro-


posta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determi-
nazione dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della
legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione
degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile" (art. 7, comma 8).
Così, in particolare, dal verbale redatto dall’Organo di conciliazione, secondo i
chiarimenti ministeriali, dovrà desumersi, «con sufficiente approssimazione»,
quale sia stato «il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa».
Il Ministero precisa, tuttavia, che ciò non obbliga i conciliatori a «riportare tutte
le questioni sollevate» ma ad assicurare che dal verbale emergano le «questioni
sostanziali riferibili, ad esempio, ad eccezioni sollevate dal lavoratore o da chi
lo assiste (…) o alla assoluta indisponibilità a trovare una soluzione di natura
economica alla controversia o ad accettare soluzioni alternative al recesso».
In buona sostanza il verbale dovrà consentire di comprendere con chiarezza
le ragioni per le quali le parti non abbiano provveduto a raggiungere un
accordo alternativo al licenziamento, con particolare riferimento alla eventua-
le inerzia e alla condotta non collaborativa del datore di lavoro che si sia volu-
tamente limitato ad una semplice offerta economica senza verificare un eventua-
le impiego alternativo del dipendente in azienda, ma anche ad un atteggiamento
di scarsa cooperazione ovvero di rifiuto pregiudiziale opposto dal lavoratore
all’eventuale proposta di essere adibito ad altre mansioni in seno all’azienda.

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9. NUOVO OBBLIGO DI COMUNICAZIONE


IN CASO DI LICENZIAMENTO
Il secondo periodo del comma 3 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015 introduce un
nuovo onere amministrativo per i datori di lavoro che licenziano, stabilendo che
entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro a seguito di licenzia-
mento deve essere effettuata una ulteriore comunicazione obbligatoria tele-
matica di cessazione indicando se la conciliazione a seguito di offerta concilia-
tiva sia avvenuta oppure no.
L’omessa comunicazione è punita con la sanzione amministrativa da euro
100 a euro 500 per ogni lavoratore. La norma richiama l’art. 4-bis del D.Lgs. n.
181/2000, invero la fonte normativa dell’obbligo di comunicare la cessazione
del rapporto di lavoro è l’art. 21, comma 1, della legge n. 264/1949, come sosti-
tuito dall’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 297/2002, come sanzionato dall’art. 19,
comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003.
L’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015 prevede che il modulo “Unificato
Lav”, utilizzato per comunicare la cessazione del rapporto di lavoro, sia “conse-
guentemente riformulato”.

9.1. Obbligo di comunicare la cessazione del rapporto di lavoro


La vigente disciplina della cessazione del rapporto di lavoro risente di un signi-
ficativo intervento di rimodellamento dell’apparato normativo e sanzionatorio
con riguardo alla modifica del sistema delle comunicazioni di cessazione, con-
seguita per effetto delle modifiche introdotte a far data dal 1° gennaio 2007 dal-
la legge 27 dicembre 2006, n. 296, tenendo conto delle novità apportate dall’art.
5 della legge 4 novembre 2010, n. 183 che ha riformato le comunicazioni obbli-
gatorie delle Pubbliche Amministrazioni, ma anche delle innovazioni introdotte
dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 che ha istituito una sanzione specifica in ma-
teria di dimissioni e risoluzioni consensuali e regole procedurali in materia di
cessazione dei rapporti di lavoro che inevitabilmente influiscono sulle modalità
e sui tempi di adempimento degli obblighi di comunicazione.

9.2. Comunicazione “eventuale” di cessazione


La legge n. 296/2006 non interviene direttamente a modificare la normativa in
materia di comunicazione della cessazione dei rapporti di lavoro introdotta dal
D.Lgs. n. 297/2002, che tuttavia, per effetto del comma 1181, come meglio si
dirà più sotto, è entrata finalmente in vigore. Or bene, secondo la previsione
dell’art. 21, comma 1, della legge 29 aprile 1949, n. 264, nel testo modificato
dall’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 297/2002:

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Art. 21, comma 1, legge 29 aprile 1949, n. 264


I datori di lavoro sono tenuti altresì a comunicare la cessazione dei rapporti di lavoro,
entro i cinque giorni successivi, quando trattasi di rapporti a tempo indeterminato
ovvero nei casi in cui la cessazione sia avvenuta in data diversa da quella comunicata
all'atto dell'assunzione.

Ne consegue che all’atto della cessazione del rapporto di lavoro in atto con un
proprio dipendente o collaboratore o tirocinante il datore di lavoro, quale che sia
la causa che ha determinato la cessazione, dovrà valutare se il rapporto di la-
voro è a tempo indeterminato ovvero se, trattandosi di contratto a termine,
la cessazione è avvenuta in data diversa da quella originariamente prevista
e già comunicata preventivamente all’atto dell’assunzione.
Una comunicazione che, dunque, da obbligatoria sic et simpliciter, come è stata
fino al 31 dicembre 2006, si trasforma in “eventuale” a seconda delle condizioni
contrattuali originarie e della coincidenza o meno della data di cessazione con
quella risultante fin dall’atto di assunzione. Soltanto in tali casi, infatti, il datore
di lavoro, ex post, sarà tenuto ad inviare al Centro per l’Impiego competente per
territorio, entro cinque giorni dal verificarsi dell’evento che ha comportato la
cessazione del rapporto di lavoro, mediante apposito modello, una comunica-
zione contenente i dati del lavoratore di cui è cessato il rapporto di lavoro, la ti-
pologia del rapporto stesso e la data di cessazione.
In questo senso si esprime, di fatto, lo stesso Ministero del Lavoro nella Nota
n. 4746 del 14 febbraio 2007, laddove annota:

[…] La comunicazione relativa alla cessazione del rapporto di lavoro va effettuata solo
nel caso di rapporto a tempo indeterminato oppure nei casi di risoluzione anticipata del
contratto a termine per qualsiasi causa (consensuale, recesso durante il periodo di
prova, dimissioni, licenziamento per giusta causa, ecc.). In caso di rapporto a tempo
determinato che si protrae oltre il termine inizialmente fissato dovrà essere effettuata
entro cinque giorni da tale data una comunicazione di proroga.[…].

Quanto alla scadenza dell’obbligo di comunicazione in argomento i cinque


giorni decorrono dal giorno successivo a quello dell’evento (dies a quo non
computatur in terminis) e vanno calcolati secondo il calendario, per cui se
l’ultimo giorno cade di domenica o in altro giorno festivo, il termine è da inten-
dersi automaticamente prorogato al primo giorno successivo non festivo, come
chiarito anche dalla citata Nota ministeriale n. 4746/2007.
Peraltro, secondo le indicazioni fornite dalla Nota n. 440/2007 del Ministero del
Lavoro, per quanto attiene ai lavoratori assunti obbligatoriamente, in forza
della legge n. 68/1999, il termine unico per la comunicazione non è quello gene-
rale di cinque giorni, ma quello più ampio di dieci giorni fissato dall’art. 10,
comma 5, della legge n. 68/1999 («In caso di risoluzione del rapporto di lavo-
ro, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione, nel termine di dieci
giorni, agli uffici competenti, al fine della sostituzione del lavoratore con altro

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avente diritto all'avviamento obbligatorio») che per l’effetto diviene obbligo


autonomamente sanzionabile.
La novità non consiste nella natura o nelle caratteristiche dell’adempimento ri-
chiesto al datore di lavoro, che vengono invece confermate, ma piuttosto dalla
portata dell’ambito di operatività dell’obbligo di comunicare la cessazione del
rapporto di lavoro: in effetti, non si può tacere, anzitutto, che la norma fa riferi-
mento alla generalità dei rapporti di lavoro, senza distinguere fra autonomi e
subordinati, ma limitandosi a dirimere le fattispecie a termine da quelle a tempo
indeterminato in ragione della inutilità di una doppia comunicazione al Centro
per l’impiego di una data di cessazione già nota e rispettata senza proroghe e
senza anticipazioni. Invero, dal punto di vista lessicale la scelta del Legislatore
di utilizzare il termine “assunzione” al posto di quello precedentemente conte-
nuto nella norma (“instaurazione”) sembrerebbe deporre più verso un obbligo di
comunicare la cessazione per i soli rapporti di natura subordinata, ma, alla luce
di una interpretazione chiaramente coerente e sistematica dell’intero apparato
normativo sul collocamento come riformato dall’art. 1, comma 1180, della leg-
ge n. 296/2006, appare necessario concludere per l’assoggettamento all’obbligo
di tutte le esperienze lavorative fatte oggetto dell’omologo obbligo di comuni-
cazione dell’instaurazione del rapporto.
Quanto alla nuova modulistica, va rilevato che la cessazione del rapporto di
lavoro deve essere comunicata utilizzando il modulo “Unificato Lav”. Qui
oltre alle tre sezioni relative al datore di lavoro, al lavoratore e ai dati invio, che
vanno compilate alla medesima stregua della comunicazione di instaurazione, di
fondamentale importanza è il quadro 4 “Cessazione”. La sezione che interessa si
suddivide in due distinte parti, la prima riferita all’evento (4.1. “Dati cessazio-
ne”) e la seconda riferita al rapporto di lavoro (4.2. “Dati Rapporto”). Quanto
alla prima parte, accanto alla indicazione della data, rileva la specifica indica-
zione della causale della cessazione che si comunica.
Questa andrà selezionata da un apposito menu a tendina, che utilizza la correlata
tabella “Codice causa”, con valore meramente statistico, e fa esplicito richiamo
delle seguenti fattispecie: licenziamento individuale, licenziamento collettivo,
dimissioni, dimissioni per giusta causa, dimissioni durante il periodo di prova,
mancato superamento del periodo di prova, modifica del termine inizialmente
fissato, decesso, pensionamento (c’è poi un’ultima opzione “altro” in cui an-
dranno classificati eventi diversi da quelli nominati). La parte dedicata al rap-
porto di lavoro fa riferimento al rapporto al momento della cessazione ma ri-
guarda la generalità dei dati che già hanno formato oggetto di comunicazione
con riferimento all’assunzione.
Il Ministero precisa, inoltre, che la comunicazione di cessazione va effettuata
«anche in caso di rapporto di lavoro a termine, di durata o comunque con sca-
denza temporale, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rappor-
to comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione».
Allo stesso modo deve essere comunicata anche la risoluzione posticipata nel

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caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fat-
to (art. 5, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 368/2001).
Il Ministero del Lavoro ha altresì specificato che la sezione in argomento del modu-
lo “Unificato Lav” deve essere compilata anche in occasione di eventi che compor-
tano la sospensione legale del rapporto di lavoro, facendo slittare il termine finale
dello stesso così come già comunicato al momento della instaurazione del rapporto
(l’esempio offerto è quello della malattia di lungo periodo).
Inoltre, è stato precisato anche che in caso di “cessazione anticipata di un la-
voratore distaccato o comandato il datore di lavoro dovrà re-inoltrare l’intera
comunicazione con l’indicazione del nuovo periodo”, dal tenore letterale della
Nota ministeriale si è portati a ritenere che il modulo “Unificato Lav” debba es-
sere compilato nuovamente con riferimento a tutti i dati del lavoratore che rien-
tra anticipatamente in azienda dopo l’esperienza del distacco, con indicazione
del nuovo periodo lavorativo. Infine, va rilevato che tutte le informazioni relati-
ve al rapporto di lavoro, come precisato dalla Nota del 21 dicembre 2007, si ri-
feriscono alla data di cessazione, ad eccezione dei campi “data inizio”, e “data
fine rapporto”.
Per quanto attiene all’apparato sanzionatorio, l’espresso richiamo dell’art. 19,
comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003 all’art. 21, comma 1, della legge n. 264/1949,
nel testo modificato dall’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 297/2002, fa sì che il da-
tore di lavoro inadempiente (o che adempie in ritardo o con indicazioni errate o
incomplete) venga assoggettato, per ogni lavoratore interessato, alla sanzione
pecuniaria amministrativa da 100 a 500 euro, che in misura ridotta è pari a
166,66 euro (art. 16 della legge n. 689/1981).
Per quel che concerne l’applicabilità della diffida obbligatoria (art. 13 D.Lgs.
n. 124/2004, come sostituito dall’art. 33 della legge n. 183/2010) alla sanzione
in materia di omessa comunicazione di cessazione, si segnala, sulla scorta delle
precisazioni fornite dalle Circolari ministeriali n. 9 del 23 marzo 2006 e n. 24
del 24 giugno 2004, che l’inosservanza in parola è da ritenersi senza dubbio sa-
nabile, trattandosi di adempimento omesso, in tutto o in parte, che può essere
materialmente realizzabile anche in conseguenza dell’accertamento ispettivo,
pure se la legge stabilisce un preciso termine (5 giorni) per l’effettuazione della
comunicazione. Da qui la possibilità per il datore di lavoro inadempiente che
regolarizza in ritardo ovvero che viene diffidato a regolarizzare e ottempera alla
diffida, di procedere col pagamento della sanzione in misura minima pari a 100
euro.

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Comunicazione di cessazione

COMUNICAZIONE DI CESSAZIONE
Illecito Sanzione
Art. 6, c. 3, D.Lgs. n. 23/2015 Art. 19, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003
Per non aver comunicato al Centro per Sanzione amministrativa da euro 100 a
l’Impiego competente, entro 65 giorni dalla euro 500 per ogni lavoratore.
cessazione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato a seguito di licenziamento, Diffida (art. 13, D.Lgs. n. 124/2004,
l’essere avvenuta o non avvenuta come sost. da art. 33, legge n.
conciliazione a seguito dell’offerta 183/2010): sanzione pari a 100 euro per
conciliativa. ogni lavoratore
Sanzione ridotta (art. 16, legge n.
689/1981): è pari a 166,66 per ogni
lavoratore
Codice tributo (per versamento su
Mod. F23): 791 T
Art. 21, c. 1, legge n. 264/1949 come sost. Art. 19, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003
dall’art. 6, c. 3, D.Lgs. n. 297/2002 Sanzione amministrativa da euro 100 a
Per non aver comunicato al Centro per euro 500 per ogni lavoratore.
l’Impiego competente, entro 5 giorni dalla
cessazione del rapporto di lavoro a tempo Diffida (art. 13, D.Lgs. n. 124/2004,
indeterminato ovvero di rapporto cessato in come sost. da art. 33, legge n.
data diversa da quella inizialmente 183/2010): sanzione pari a 100 euro per
comunicata, il nome e la qualifica dei ogni lavoratore
lavoratori di cui per qualunque motivo sia Sanzione ridotta (art. 16, legge n.
cessato il rapporto di lavoro. 689/1981): è pari a 166,66 per ogni
lavoratore
Codice tributo (per versamento su
Mod. F23): 791 T
Art. 10, c. 5, legge n,. 68/1999 - Art. 21 c. Art. 19, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003
1, legge n. 264/1949 come sost. dall’art. 6, Sanzione amministrativa da euro 100 a
c. 3, D.Lgs. n. 297/2002 euro 500 per ogni lavoratore.
Per non aver comunicato al Centro per
l’Impiego competente, entro 10 giorni dalla Diffida (art. 13, D.Lgs. n. 124/2004,
cessazione del rapporto di lavoro a tempo come sost. da art. 33, legge n.
indeterminato ovvero di rapporto cessato in 183/2010): sanzione pari a 100 euro per
data diversa da quella inizialmente ogni lavoratore
comunicata, il nome e la qualifica del Sanzione ridotta (art. 16, legge n.
lavoratore disabile assunto 689/1981): è pari a 166,66 per ogni
obbligatoriamente di cui per qualunque lavoratore
motivo sia cessato il rapporto di lavoro. Codice tributo (per versamento su
Mod. F23): 791 T

9.3. Agenzia di somministrazione


Dopo le novità introdotte dalla legge n. 296/2006, il nuovo testo dell’art. 9-bis,
comma 2, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito nella legge 28 novembre
1996, n. 608, come sostituito dall’art. 1, comma 1180, della legge n. 296/2006,
nell’ultimo periodo, obbliga le Agenzie per il lavoro autorizzate alla sommi-
nistrazione di comunicare al Centro per l’Impiego territorialmente compe-
tente (rispetto alla sede operativa dell’agenzia), mediante il modello Unificato

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Somm da trasmettersi esclusivamente in via telematica al “Sistema informatico


CO”, entro il giorno venti del mese successivo alla data dell’evento,
l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro con i lavoratori temporanei. Seb-
bene la norma faccia riferimento al mese successivo alla «data di assunzione»,
evidentemente il parametro temporale deve intendersi esteso anche alla effettiva
data di cessazione del rapporto di lavoro instaurato con il lavoratore inviato in
somministrazione. Circa la scadenza dell’obbligo di comunicazione il «ventesi-
mo giorno del mese successivo» è tassativamente indicato dalla legge, senza ne-
cessità di calcoli, essendo previsto a data certa di calendario; il termine slitta al
primo giorno successivo non festivo, qualora il giorno venti del mese cada di
domenica o in giorno festivo. Secondo le indicazioni ministeriali, a fronte del
dato legislativo già annotato, la compilazione e l’invio, deve avvenire non oltre
il giorno 20 del mese successivo. Per quel che concerne la reazione sanziona-
toria, deve farsi riferimento all’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, per
cui l’Agenzia inadempiente o che adempie in ritardo all’obbligo di comunica-
zione della cessazione del rapporto di lavoro del lavoratore somministrato è as-
soggettata, per ciascun lavoratore interessato, alla sanzione pecuniaria ammini-
strativa da 100 a 500 euro, che in misura ridotta è pari a 166,66 euro (art. 16
della legge n. 689/1981), con la possibilità di vedersi diffidata a regolarizzare
con l’ammissione al pagamento della sanzione in misura minima pari a 100 euro
(art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004).

Agenzie di somministrazione

COMUNICAZIONE DI CESSAZIONE DELLE AGENZIE DI SOMMINISTRAZIONE


Illecito Sanzione
Art. 9-bis, c. 2, D.L. 510/1996 conv. da Art. 19, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003
legge n. 608/1996 come modif. dall’art. 1, Sanzione amministrativa da euro 100 a euro
comma 1180, legge n. 296/2006 500 per ogni lavoratore.
Per aver omesso di inviare al Centro per
l’Impiego competente, mediante il Diffida (art. 13, D.Lgs. n. 124/2004, come
modello Unificato Somm da trasmettersi sost. da art. 33, legge n. 183/2010):
esclusivamente in via telematica al sanzione pari a 100 euro per ogni lavoratore
“Sistema informatico CO”, entro il giorno Sanzione ridotta (art. 16, legge n.
venti del mese successivo all’avvenuta 689/1981): è pari a 166,66 per ogni
cessazione del rapporto di lavoro del lavoratore
lavoratore somministrato, una Codice tributo (per versamento su Mod.
comunicazione contenente il nominativo F23): 791 T
del lavoratore, la tipologia contrattuale, la
qualifica ed il trattamento economico e
normativo.

9.4. Comunicazione obbligatoria in caso di licenziamento,


dimissioni e risoluzione consensuale
La materia dei licenziamenti individuali, con particolare riferimento alle dispo-
sizioni contenute negli articoli 2, 6 e 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 nonché
nell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), nel te-

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sto riformato dall’art. 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92, rappresenta uno dei
segmenti normativi di più complessa attuazione, anche a causa della pressoché
imprevedibile consistenza degli esiti contenziosi, anche con riguardo
all’indubbio incremento di oneri amministrativi a carico delle imprese. Il Mini-
stero del Lavoro è intervenuto a risolvere tempestivamente qualsiasi querelle in
ordine al contenzioso amministrativo relativo agli obblighi di comunicazione
della cessazione dei rapporti di lavoro, dettando, con la Lettera circolare n.
18273 del 12 ottobre 2012 chiare indicazioni sulle modalità di adempimento
delle comunicazioni obbligatorie a seguito di licenziamento individuale, ma an-
che dopo le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale.
L’intervento ministeriale giunge a dirimere gravi complicanze operative deri-
vanti dalla riforma del mercato del lavoro in materia di comunicazioni obbliga-
torie della cessazione del rapporto di lavoro in occasione di licenziamenti, di-
missioni e risoluzioni consensuali.
La Lettera circolare n. 18273/2012 detta chiarimenti procedurali in ordine ai li-
cenziamenti individuali (per giustificato motivo oggettivo e disciplinari, ex art.
1, commi 40 e 41, della legge n. 92/2012) e in merito alle dimissioni e alle riso-
luzioni consensuali dei rapporti di lavoro (ex art. 4, commi 16-22), per chiarire
l’insorgenza dell’obbligo di comunicazione della cessazione del rapporto di la-
voro (di cui all’art. 21 della legge 29 aprile 1949, n. 264) in specie con riferi-
mento alla decorrenza dei 5 giorni entro i quali l’adempimento deve essere ef-
fettuato al fine di evitare l’irrogazione delle relative sanzioni pecuniarie ammi-
nistrative.
Anzitutto, a proposito di licenziamento individuale, va segnalato che l’art. 1,
comma 40, della legge n. 92/2012, infatti, sostituisce integralmente il testo
dell’art. 7 della legge n. 604/1966, per sancire che ai licenziamenti per giusta
causa e per giustificato motivo soggettivo si applica l’art. 7 della legge n.
300/1970, mentre al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 3, se-
conda parte, della legge n. 604/1966) – quando venga disposto da un datore di
lavoro che in ciascuna sede occupa alle sue dipendenze più di 15 lavoratori (più
di 5 se imprenditore agricolo) o che nell’ambito dello stesso Comune occupa
più di 15 dipendenti (se impresa agricola più di 5 dipendenti nel medesimo am-
bito territoriale) ovvero che occupa più di 60 dipendenti complessivamente –
deve essere necessariamente preceduto da una comunicazione effettuata dallo
stesso datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro territorialmente
competente in ragione del luogo dove il lavoratore presta la sua attività, che de-
ve essere trasmessa per conoscenza al lavoratore sempre a cura del datore di la-
voro (nuovo art. 7, comma 1, legge n. 604/1966). Inoltre, per contrastare il fe-
nomeno confermato dalla prassi quotidiana, anche giurisprudenziale, secondo
cui appresa la notizia dell’intenzione del datore di lavoro di licenziarlo il lavora-
tore ben potrebbe avvalersi di condizioni soggettive a lui favorevoli che gli
permettano di procrastinare l’evento del recesso annunciato (si pensi ad esempio
all’insorgenza di una malattia), l’art. 1, comma 41, della legge n. 92/2012 pre-
vede che il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare di cui

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all’art. 7 della legge n. 300/1970 oppure di quello previsto all’art. 7 della legge
n. 604/1966, produce effetto «dal giorno della comunicazione con cui il proce-
dimento medesimo è stato avviato», fatto salvo l’eventuale diritto del lavoratore
al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; si ha effetto sospensivo esclu-
sivamente in conseguenza delle norme a tutela della maternità e della paternità
(D.Lgs. n. 151/2001) ovvero a causa di impedimento derivante da infortunio oc-
corso sul lavoro; in ogni caso il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza
della procedura si considera come preavviso lavorato (nuovo art. 7, comma 10,
legge n. 604/1966).
Su tale premessa la Lettera circolare n. 18273/2012 sancisce che per «esigenze
di certezza in ordine agli esiti delle procedure di licenziamento» la decorrenza
del termine per effettuare le comunicazioni obbligatorie di cessazione del rap-
porto mediante il Sistema delle Comunicazioni Obbligatorie va individuata, nel
dies a quo, con il giorno della definitiva risoluzione del rapporto di lavoro, sen-
za tener conto del fatto che la risoluzione in realtà ha efficacia anticipata, pro-
ducendo «effetti retroattivi» – secondo l’esplicita indicazione ministeriale – al
momento di avvio e quindi della comunicazione del procedimento che ha porta-
to alla risoluzione stessa.
Il Ministero afferma che gli «effetti retroattivi» non devono «incidere sui termi-
ni di effettuazione» della comunicazione obbligatoria al Centro per l’Impiego, in
quanto una interpretazione in senso contrario renderebbe inevitabile la successi-
va modifica delle comunicazioni di cessazione già effettuate, con un inutile ag-
gravio di oneri amministrativi a carico delle imprese e, più in generale, dei dato-
ri di lavoro, ma anche dei professionisti e delle associazioni di categoria che li
assistono ai sensi della legge n. 12/1979.
D’altro canto la stessa Lettera circolare n. 18273/2012 stabilisce espressamente
che nel modulo di invio della comunicazione di cessazione del rapporto di lavo-
ro deve essere indicata anche «la data a partire dalla quale si producono gli ef-
fetti del licenziamento», pur restando fermo che l’obbligo di comunicazione de-
ve essere adempiuto «dal momento in cui si risolve il rapporto» essendo soltan-
to quello il tempo nel quale «si ha certezza in ordine all’esito delle procedure di
licenziamento».
Con riguardo alla generalità delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali
del rapporto di lavoro (al di fuori delle ipotesi di gravidanza, adozione e affida-
mento) l’efficacia nei confronti della lavoratrice o del lavoratore è sospensiva-
mente condizionata alla convalida effettuata presso la Direzione Territoriale del
Lavoro o il Centro per l’Impiego territorialmente competenti, ovvero presso le
sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 4,
comma 17, della legge n. 92/2012).
Quale misura alternativa, nel tentativo di semplificazione, l’efficacia delle di-
missioni ovvero della risoluzione consensuale è sospensivamente condizionata
alla sottoscrizione di una apposita dichiarazione della lavoratrice o del lavorato-
re (art. 4, comma 18, della legge n. 92/2012) apposta in calce alla ricevuta di

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trasmissione della comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di la-


voro (prevista dall’art. 21 della legge n. 264/1949) che deve essere obbligato-
riamente allegata all’invito che il datore di lavoro deve rivolgere in forma scritta
alla lavoratrice o al lavoratore (per procedere validamente alla convalida o alla
sottoscrizione della dichiarazione alternativa ex art. 4, comma 19, della legge n.
92/2012).
Sul punto la Lettera circolare n. 18273/2012 afferma che l’obbligo di comunica-
zione della cessazione del rapporto di lavoro decorre dal momento «a partire
dal quale il lavoratore (nel caso di dimissioni) o le parti (nel caso di risoluzione
consensuale) intendono far decorrere giuridicamente la stessa risoluzione».
Il Ministro illustra tale previsione con una chiara esemplificazione, per cui lad-
dove la lettera di dimissioni del lavoratore presentata al datore di lavoro il 1°
giugno indichi come data di ultimo giorno lavorativo il 30 giugno i 5 giorni per
effettuare la comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro
decorrono a partire dal 1° luglio.
D’altra parte la stessa Lettera circolare n. 18273/2012 chiarisce che deve rite-
nersi ammissibile l’effettuazione della comunicazione di cessazione «anche
molto tempo prima rispetto alla decorrenza giuridica della risoluzione del rap-
porto».
Il Ministero giustifica tale facoltà con la esigenza di consentire appieno la «cor-
retta operatività della procedura di convalida» in quanto la legge n. 92/2012
prevede anche la possibilità di “convalidare” le dimissioni o la risoluzione con-
sensuale e, quindi, «ribadire la volontà di risolvere il rapporto», mediante la ri-
cordata dichiarazione che deve essere necessariamente apposta sulla ricevuta
della comunicazione di cessazione al Sistema delle CO.
D’altra parte, la facoltà di effettuare la comunicazione di cessazione del rappor-
to di lavoro prima della effettiva decorrenza giuridica degli effetti delle dimis-
sioni o della risoluzione consensuale trova un evidente fondamento normativo
nella previsione contenuta nella stessa legge n. 92/2012 che obbliga il datore di
lavoro ad allegare all’invito scritto rivolto al lavoratore o alla lavoratrice proprio
la stampa della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro già effettua-
ta in via telematica.
Qualora il lavoratore o la lavoratrice intenda revocare le dimissioni ovvero il
consenso alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in capo al datore di
lavoro che abbia già effettuato la comunicazione di cessazione insorgerà “un
nuovo obbligo comunicazionale”, rispetto al quale la competente Direzione ge-
nerale del Ministero del Lavoro (quella per le politiche dei servizi per il lavoro)
ha adottato le misure di adeguamento del sistema telematico necessarie per
«consentire l’annullamento delle comunicazioni di cessazione del rapporto di
lavoro in tutti i casi di revoca» (D.D. n. 235 del 5 ottobre 2012 e Nota n. 8371
del 21 dicembre 2007).
Poiché l’art. 4, comma 22, della legge n. 92/2012 prevede che se il datore di la-
voro (mancando la convalida o la dichiarazione sottoscritta) non provvede a tra-
smettere alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l’invito en-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

tro il termine di 30 giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consen-
suale, i medesimi atti si considerano definitivamente privi di effetto, la Lettera
circolare ministeriale n. 18273/2012 chiarisce che il ricordato termine di 30
giorni decorre giuridicamente dalla cessazione effettiva del rapporto di lavoro
(nell’esempio formulato dal Ministero dal 1° luglio), mentre resta naturalmente
possibile trasmettere l’invito «anche in data antecedente», allo scopo evidente
di dare con sollecitudine certezza alla risoluzione del rapporto di lavoro per la
quale vi è già una prima manifestazione di volontà da parte del lavoratore o del-
la lavoratrice.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

10. REVOCA DEL LICENZIAMENTO E CRITERI DI CALCOLO


Anche il sistema sanzionatorio per i licenziamenti degli assunti nel regime con-
trattuale a tutele crescenti riceve dal legislatore specifiche indicazioni di profilo
tecnico per quanto attiene alla revoca del licenziamento, come pure ai criteri di
calcolo degli anni di servizio.

10.1. Revoca del licenziamento


Secondo l’art. 5 del D.Lgs. n. 23/2015 in caso di revoca del licenziamento, pur-
ché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di la-
voro dell’impugnazione dello stesso, il rapporto di lavoro deve intendersi ripri-
stinato senza soluzione di continuità, con il riconoscimento espresso del diritto
in capo al lavoratore di ricevere la retribuzione maturata nel periodo precedente
alla revoca, ma senza che possano trovare applicazione i regimi sanzionatori in-
trodotti dallo stesso D.Lgs. n. 23/2015.

10.2. Computo dell’anzianità negli appalti


L’art. 7 del D.Lgs. n. 23/2015, a maggior tutela del lavoratore impiegato nei
servizi in appalto, prevede che ai fini del calcolo delle indennità dovute dal da-
tore di lavoro l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze
dell’impresa che subentra in un appalto deve essere computata tenendo conto
dell’intero periodo nel quale il lavoratore è stato occupato nell’attività appaltata.

10.3. Computo delle indennità per frazioni di anno


Il D.Lgs. n. 23/2015 con l’art. 8 disciplina il computo delle somme dovute al la-
voratore (a titolo di indennità risarcitorie ovvero in sede di offerta conciliativa)
e corrisposte dal datore di lavoro per frazioni di anno, stabilendo il riproporzio-
namento degli importi e, specificamente, prevedendo che le frazioni di mese
uguali o superiori a 15 giorni devono essere computate come mese intero.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

11. PROFILI PROCESSUALI


Sul piano processuale l’art. 11 del D.Lgs. n. 23/2015 esclude per i licenziamenti
dei lavoratori assunti a tempo indeterminato a tutele crescenti l’applicazione
dell’art. 1, commi da 48 a 68, della legge n. 92/2012 (c.d. “rito Fornero”), che
prevede una speciale disciplina processuale per le controversie derivanti dai li-
cenziamenti di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970.
Il D.Lgs. n. 23/2015 anziché intervenire sul piano delle previsioni contenute
nella legge n. 183/2014, c.d. Jobs Act, e precisamente del comma 7, lett. c), se-
condo cui il legislatore delegato avrebbe dovuto dettare norme per la previsione
di nuovi termini per l’impugnazione di qualsiasi licenziamento, che fossero
“certi” e, presumibilmente, più brevi, si limita a sottrarre i licenziamenti dei la-
voratori assunti nel regime a tutele crescenti dal “rito Fornero”. Invero a dover
ricorrere al rito ordinario saranno anche i lavoratori licenziati da datori di lavoro
che hanno superato la soglia dei 15 dipendenti dopo il 7 marzo 2015 pur essen-
do stati assunti antecedentemente all’entrata in vigore delle tutele crescenti (art.
1, comma 3, D.Lgs. n. 23/2015).
L’effetto concreto diviene quello di affidare all’ordinario rito del lavoro la trat-
tazione delle controversie giudiziarie in sede di impugnazione dei licenziamenti,
allontanando la pronuncia di merito di primo grado rispetto alla tempistica acce-
lerata imposta dalla legge n. 92/2012, la quale pure delinea un rito speciale gra-
vido di difficoltà gestionali ed operative.

11.1. Controversia sul licenziamento dell’assunto a tutele


crescenti
Le controversie in materia di licenziamento degli assunti dopo l’entrata in vi-
gore del D.Lgs. n. 23/2015, quindi, vanno introdotte con il rito “ordinario” del
lavoro mediante ricorso ex 414 cod. proc. civ., atto introduttivo che rappresenta
l’unico momento documentale processuale nel quale il ricorrente può sostenere
la domanda davanti al giudice.
Nel ricorso introduttivo devono essere individuati in modo definitivo sia
l’oggetto della domanda, sia le ragioni di fatto e di diritto che la sostengono, ma
anche, sotto pena di decadenza, le istanze istruttorie con le quali il ricorrente ri-
tiene di riuscire a fornire la prova della sussistenza delle ragioni della domanda.
Gli elementi essenziali del ricorso sono elencati dall’art. 414 cod. proc. civ.:
– indicazione del Giudice competente;
– generalità delle parti, con indicazione di codice fiscale, residenza o domici-
lio eletto e, per la persona giuridica, denominazione sociale, sede e dati
identificativi del legale rappresentante;
– oggetto della domanda;
– esposizione degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda e
delle conclusioni;
– indicazione specifica dei mezzi di prova.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

A seguito della introduzione del ricorso il processo del lavoro di primo grado
dinanzi al Tribunale si conclude con una sentenza impugnabile con ricorso in
appello motivato, il quale deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazio-
ne delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che
vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo gra-
do (art. 434, comma 1, n. 1, cod. proc. civ.), nonché l'indicazione delle circo-
stanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della
decisione impugnata (art. 434, comma 1, n. 2, cod. proc. civ.). Nel ricorso di
appello, peraltro, non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento
estimatorio, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini
della decisione della causa (art. 437, comma 2, cod. proc. civ.).
Il secondo grado dinanzi alla Corte d’Appello si conclude con sentenza ricorri-
bile in Cassazione, oltre che per questioni di legittimità sulla competenza e sulla
giurisdizione (art. 360, comma 1, nn. 1 e 2, cod. proc. civ.), anche per violazio-
ne o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi na-
zionali di lavoro, (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) o per nullità della
sentenza o del procedimento (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) ovvero
per l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito ogget-
to di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (art. 360, comma 1, n. 5,
cod. proc. civ., Cass., Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881).

11.2. Processo breve per i licenziamenti


I licenziamenti degli assunti prima dell’entrata in vigore del regime delle tu-
tele crescenti, seguiteranno ad essere trattati nella sede processuale delineata
dai commi 47-69 dell’art. 1 della legge n. 92/2012, interamente dedicati alla in-
troduzione nell’Ordinamento di un «rito speciale per le controversie in tema di
licenziamenti», volto, nelle intenzioni del Legislatore ad accelerare con corsia
preferenziale i processi che hanno ad oggetto invocazione di tutela nei confronti
di licenziamenti ritenuti illegittimi.
Il rito si presenta apparentemente snello, prevedendo, come rilevato nella rela-
zione illustrativa, citando implicitamente gli attuali commi 57 e 60 dell’art. 1
della legge n. 92/2012, «l’eliminazione delle formalità non essenziali
all’instaurazione di un pieno contraddittorio», al fine di raggiungere l’obiettivo
ambizioso di una maggiore e più rapida certezza del diritto, consentendo al la-
voratore di ottenere celermente una tutela efficace (se il licenziamento è illegit-
timo) e, corrispondentemente, al datore di lavoro di non permanere sub iudice
per lungo tempo (quando il licenziamento è giustificato e legittimo).
La struttura del rito speciale si compone di due fasi distinte: una necessaria,
con caratteristiche di urgenza, nella quale il giudice è chiamato ad accogliere o
rigettare, con propria ordinanza, il ricorso del lavoratore; la seconda fase è
solo eventuale, in quanto rimessa alla attivazione da parte dell’interessato (il
lavoratore in caso di ordinanza di rigetto e il datore di lavoro in caso di ordinan-
za di accoglimento), consistente nell’opposizione proposta contro l’ordinanza

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

(parificabile al «giudizio di merito di primo grado davanti al giudice del lavo-


ro» secondo la relazione illustrativa).
L’art. 1, comma 47, della legge n. 92/2012 individua l’ambito di applicazione
sancendo espressamente che le disposizioni sul «processo breve» si applicano
alle controversie che hanno ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle
ipotesi disciplinate dall’art. 18 della legge n. 300/1970, anche nei casi in cui
le stesse presuppongono che vengano risolte questioni afferenti alla qualifica-
zione del rapporto di lavoro (come ad esempio nel caso di un contratto di colla-
borazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto o una associazio-
ne in partecipazione o una collaborazione in regime di partita IVA di cui si vo-
glia riconoscere la natura di lavoro subordinato).
D’altro canto, l’art. 1, comma 67, della legge n. 92/2012 nel dettare una specifi-
ca disciplina transitoria stabilisce che le disposizioni contenute nei commi 47-69
dell’art. 1 della legge n. 92/2012 devono trovare applicazione per la generalità
delle controversie comunque instaurate dopo l’entrata in vigore della riforma,
estendendo, quindi, la sua portata normativa anche ai licenziamenti intimati in
precedenza.

IL RITO PER I LICENZIAMENTI DEGLI ASSUNTI SENZA TUTELE CRESCENTI


Le disposizioni sul “processo breve” si applicano alle controversie che hanno
ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi disciplinate dall’art.
18 della legge n. 300/1970, anche nei casi in cui presuppongono questioni
afferenti alla qualificazione del rapporto di lavoro.
La trattazione delle controversie deve avere una specifica priorità in quanto
ad esse devono essere riservati particolari giorni nel calendario delle udien-
ze sul quale i capi degli uffici giudiziari devono vigilare
Le disposizioni sul rito speciale si applicano alla generalità delle controversie
comunque instaurate dopo l’entrata in vigore della riforma, estendendo,
quindi, la sua portata normativa anche ai licenziamenti intimati in
precedenza.
Tutela urgente: la domanda che ha per oggetto l’impugnativa del licenzia-
mento va proposta con ricorso al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro,
sottoscritto dalla parte o dal difensore, con gli elementi di cui all’art. 125
cod. proc. civ.
Il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti non oltre 40 giorni dal
deposito del ricorso e in udienza, sentite le parti e omessa ogni formalità
non strettamente essenziale al contraddittorio, può procedere nel modo ri-
tenuto più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti
o disposti d’ufficio. Terminata la fase istruttoria il giudice accoglie o rigetta il
ricorso con ordinanza immediatamente esecutiva.
Opposizione: contro l’ordinanza adottata in sede di tutela urgente può esse-
re proposta opposizione con ricorso (entro 30 giorni dalla notificazione del

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

provvedimento o dalla comunicazione se anteriore) che deve contenere i


requisiti di cui all’art. 414 cod. proc. civ.
All’udienza, il giudice, dopo aver sentito le parti, omesse tutte le formalità
non essenziali al contraddittorio, procede, nel modo che considera più op-
portuno, agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti, così come richiesti dal-
le parti ovvero disposti d’ufficio ai sensi dall’art. 421 cod. proc. civ. Termina-
ta la fase istruttoria, il giudice accoglie o rigetta il ricorso con sentenza che,
completa di motivazione, deve essere depositata in Cancelleria entro i 10
giorni successivi all’udienza di discussione, ed è provvisoriamente esecutiva,
costituendo titolo per iscrivere ipoteca giudiziale.
Reclamo in appello: contro la sentenza che decide sul ricorso in opposizione
è ammesso reclamo davanti alla Corte d’Appello che va proposto con ricorso
da depositare (a pena di decadenza) entro 30 giorni dalla comunicazione o
dalla notificazione della decisione.
La Corte, alla prima udienza, se ricorrono “gravi motivi”, può sospendere
l’efficacia della sentenza reclamata. Dopo aver sentito le parti, omessa qual-
siasi formalità non essenziale al contraddittorio, procede, poi, alla istrutto-
ria, terminata la quale accoglie o rigetta il reclamo con sentenza che deve
essere depositata, completa di motivazione, entro i 10 giorni successivi
all’udienza di discussione.
Ricorso per Cassazione: contro la sentenza della Corte d’Appello che decide
sul reclamo deve essere proposto, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla
comunicazione della stessa, o dalla notificazione se avvenuta anteriormente.
La Corte deve fissare l’udienza di discussione non oltre il termine massimo di
6 mesi dalla proposizione del ricorso.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

12. ESONERO CONTRIBUTIVO E TUTELE CRESCENTI

12.1. Contratto a tempo indeterminato a confronto


La lettera b) del comma 7 dell’art. 1 della legge delega n. 183/2014, cosiddetto
“Jobs Act”, indirizza il Governo verso la promozione del contratto a tempo in-
determinato come forma comune per il contratto di lavoro, coerentemente a
quanto sancito dalle regolamentazioni comunitarie, rendendo il contratto a tem-
po indeterminato più conveniente rispetto alle altre tipologie contrattuali, sia
con riguardo agli oneri diretti (retributivi, contributivi e fiscali), sia con riguardo
a quelli indiretti (flessibilità della prestazione, conflittualità e contenzioso). Ri-
guardo alla convenienza del contratto a tempo indeterminato il Jobs Act sembra
rinviare, implicitamente, ai contenuti della legge di stabilità per il 2015.
In effetti, il comma 118 della legge n. 190/2014 introduce uno specifico esone-
ro dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (fino a un mas-
simo di 8.060 euro annui per tre anni) per i contratti a tempo determinato in-
staurati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015, mentre il comma 20, modifican-
do l’art. 11 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, prevede la piena deducibilità
ai fini Irap delle somme relative al costo complessivo per il personale dipen-
dente con contratto a tempo indeterminato.
La combinazione delle previsioni economico-finanziarie contenute nella legge 23
dicembre 2014, n. 190 con le misure in materia di licenziamento contenute nel
D.Lgs. n. 23/2015 recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti, esaminate nei capitoli che precedono, pone le
imprese e i datori di lavoro in genere, nonché i loro consulenti legali, dinanzi a una
scelta gestionale che avvantaggia il nuovo contratto a tutele progressive (sia
pure limitatamente agli assunti nell’anno 2015), ponendo in secondo piano il ben
più costoso contratto di lavoro a tempo determinato e, ciò che è peggio, relegando
in un angolo buio il contratto di apprendistato a cui era stato affidato il compito di
rilanciare l’occupazione giovanile in Italia mediante robusti percorsi di transizione
dalla scuola al lavoro.
Nondimeno analogo impatto differenziale, nelle scelte gestionali, si avrà rispetto
alle collaborazioni coordinate e continuative, specialmente nella modalità a
progetto, almeno fintantoché persisteranno e non verranno “superate”, come pure
un impatto potrebbe avere il nuovo sistema di incentivazione nei confronti
dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, specialmente rispetto
al rischio del contenzioso cui tali rapporti possono essere esposti, anche a seguito di
costose (in termini organizzativi e gestionali, prima ancora che finanziari) vicende
ispettive e giudiziarie.
La legge delega n. 183/2014 prevede, in effetti, il superamento delle collaborazioni
coordinate e continuative: sia il comma 2, lett. b), n. 3, che il comma 7, lett. g),
dell’articolo unico parlano espressamente di “superamento” di tale tipologia
contrattuale. Al momento, tuttavia, non solo non si conosce la data a partire dalla

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

quale la decretazione delegata attuativa della legge delega di riforma del mercato
del lavoro procederà ad avviare la fase di superamento delle collaborazioni, ma nel
D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22, recante disposizioni in materia di strumenti di sostegno
in caso di disoccupazione involontaria, in attuazione dell’art. 1, comma 2, lett. b),
della legge n. 183/2014, l’art. 16 introduce una specifica «indennità di
disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa e a progetto» (DIS-COLL), riconosciuta ai collaboratori coordinati e
continuativi e a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non
pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria
occupazione, in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere
dal 1° gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2015, con esplicita possibile estensione
agli anni successivi. Sopravvivenza che si deve riconoscere confermata nello sche-
ma di decreto delegato approvato dal Consiglio dei Ministri del 20 febbraio 2015
contenente il Testo organico delle tipologie contrattuali.

12.2. Esonero contributivo


All’esonero contributivo previsto dai commi 118-124 dell’articolo unico della
legge 23 dicembre 2014, n. 190 (riferito ai contributi previdenziali a carico del
datore di lavoro), fino a un massimo di 8.060 euro annui per tre anni, per i
contratti a tempo determinato instaurati dal 1° gennaio al 31 dicembre
2015, concorre la generalità dei datori di lavoro privati, anche non imprenditori,
esclusi i datori di lavoro agricoli, con limitazione, secondo l’ordine cronologico
delle istanze, in caso di risorse insufficienti. In proposito la Circolare Inps n. 17
del 29 gennaio 2015 ha precisato che sono datori di lavoro imprenditori anche
gli enti pubblici economici e organismi pubblici interessati da processi di priva-
tizzazione (trasformazione in società di capitali), mentre fra i datori di lavoro
non imprenditori rientrano: associazioni culturali, politiche o sindacali, associa-
zioni di volontariato, studi professionali.
L’esonero contributivo opera soltanto per i nuovi contratti di lavoro su-
bordinato a tempo indeterminato stipulati nel 2015. La Circolare Inps n. 17
del 29 gennaio 2015 specifica che il beneficio riguarda le nuove assunzioni (a
tempo indeterminato) con decorrenza dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015,
precisando anche che può fruire dell’esonero contributivo il datore di lavoro
privato che, in attuazione dell’obbligo previsto dall’art. 5, comma 4-quater, del
D.Lgs. n. 368/2001, assuma a tempo indeterminato il lavoratore con diritto di
precedenza (nei 12 mesi precedenti uno o più rapporti di lavoro a termine per un
periodo complessivo di attività lavorativa superiore a 6 mesi). Ovviamente lo
stesso vale per i casi di trasformazione di un rapporto di lavoro a termine in un
rapporto a tempo indeterminato.
Rimangono in ogni caso esclusi i contratti di apprendistato e quelli di lavoro
domestico.
La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 ha chiarito che nel novero delle ti-
pologie contrattuali incentivate rientrano anche: il lavoro ripartito a tempo in-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

determinato (condizioni possedute da tutti e due i lavoratori); lavoro a tempo


indeterminato con personale con qualifica dirigenziale; rapporti di lavoro su-
bordinato a tempo indeterminato in attuazione del vincolo associativo con una
cooperativa di lavoro; assunti a tempo indeterminato a scopo di somministra-
zione. Lavoratore assunto TI da acquirente o affittuario di azienda o di ramo (ex
art. 47, comma 6, legge n. 428/1990, entro un anno dal trasferimento). Non rien-
tra fra le tipologie incentivate l’assunzione con contratto di lavoro intermittente
o a chiamata ancorché stipulato a tempo indeterminato.
Sotto il profilo soggettivo, la misura di esonero contributivo introdotta dai
commi 118 e seguenti della Legge di stabilità 2015 è rivolta all’assunzione di
lavoratori che, nei sei mesi precedenti, risultano privi di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato. Pertanto, essa assume la natura tipica di in-
centivo all’occupazione.
La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 esclude l’applicazione della disci-
plina comunitaria degli aiuti di Stato e del regime c.d. «de minimis» di cui ai
Regolamenti CE n. 1407/2013 e n. 1408/2013 (cfr. anche la Circolare Inps n.
15 del 29 gennaio 2014): si tratta di misura di carattere generale e non selettivo
per cui si ritiene non applicabile il regime «de minimis» posto che non si do-
vrebbe trattare di aiuto di Stato (art. 107 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea - aiuti concessi dallo Stato ovvero mediante risorse stata-
li).
La definizione quale «esonero contributivo» e la natura di «incentivo» e non di
«sgravio» per quanto incerta come classificazione sembra deporre per la non
applicazione del principio dell’incremento netto dell’occupazione, rispetto alla
media della forza lavoro occupata nell’anno precedente (c.d. “metodo Unità di
Lavoro Annuo - ULA”), riferito all’azienda nel suo complesso e non alla sin-
gola unità produttiva (Circolari Inps n. 111 del 24 luglio 2013, n. 131 del 17 set-
tembre 2013 e n. 17 del 29 gennaio 2015).
Trovano invece applicazione, secondo la Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio
2015, accanto ai criteri stabiliti dalla stessa legge n. 190/2014, i parametri an-
tielusivi previsti in materia di fruizione di incentivi dall’art. 4, comma 12,
della legge 28 giugno 2012, n. 92 anche se non sono stati espressamente ri-
chiamati dalla legge di stabilità per il 2015 (Circolare Inps n. 137 del 12 dicem-
bre 2012) per cui l’esonero non spetta se:
a) l’assunzione viola il diritto di precedenza, fissato dalla legge o dal contratto
collettivo di lavoro, alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato
nell’ambito di un rapporto a tempo indeterminato ovvero cessato da un rap-
porto a termine. La violazione del predetto diritto di precedenza sussiste
anche nel caso di utilizzazione con contratto di somministrazione senza la
preventiva offerta di riassunzione al lavoratore licenziato in relazione ad un
rapporto a tempo indeterminato ovvero cessato da un rapporto a termine;
b) il datore di lavoro ovvero l’utilizzatore con contratto di somministrazione
sia interessato da sospensioni dal lavoro con interventi di integrazione sala-
riale straordinaria e/o in deroga, fatti salvi i casi in cui l’assunzione o la

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

somministrazione siano finalizzate all’acquisizione di professionalità diver-


se rispetto a quelle in possesso dei lavoratori interessati dai predetti prov-
vedimenti. Al riguardo, si ricorda che il rispetto della presente condizione
interessa esclusivamente le assunzioni riferite all’unità produttiva interessa-
ta dai sopra citati interventi di integrazione salariale;
c) l’assunzione riguarda lavoratori licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte
di un datore di lavoro che, alla data del licenziamento, presentava elementi
di relazione con il datore di lavoro, sotto il profilo della sostanziale coinci-
denza degli assetti proprietari o di sussistenza di rapporti di controllo o col-
legamento. Anche se con utilizzatore del lavoratore somministrato;
d) l’inoltro della comunicazione telematica obbligatoria di cui al D.M. 30 ot-
tobre 2007 (Unilav, Unisomm, ecc.) inerente l’assunzione risulta effettuata
decorsi i termini di legge. Si ricorda che, in tal caso, la perdita dell’esonero
attiene al periodo compreso fra la data di decorrenza del rapporto di lavoro
agevolato e quella dell’inoltro tardivo della comunicazione obbligatoria.
Imprescindibile, come confermato dalla Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio
2015, il rispetto della regolarità contributiva, delle norme in materia di sicu-
rezza sul lavoro, dei trattamenti economici e normativi previsti dalla contratta-
zione collettiva anche di secondo livello ai sensi dell’art. 1, commi 1175 e 1176
della legge n. 296/2006:
a) regolarità degli obblighi di contribuzione previdenziale e assenza delle vio-
lazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro. Si trat-
ta delle condizioni alle quali è subordinato il rilascio del Documento unico
di regolarità contributiva (DURC);
b) rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regio-
nali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizza-
zioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale.
L’esonero contributivo riguarda i soli contributi previdenziali a carico dei datori
di lavoro e interessa un arco temporale massimo di 36 mesi per un importo
complessivamente non superiore nel massimo a 8.060 euro su base annua. La
Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 in proposito ha specificato che allo
scopo di agevolare l’applicazione dell’incentivo, la soglia massima di esonero
contributivo è riferita al periodo di paga mensile ed è pari a euro 671,66
(€ 8.060,00/12) e, per rapporti di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso del
mese, detta soglia va riproporzionata assumendo a riferimento la misura di euro
22,08 (€ 8.060,00/365 gg.) per ogni giorno di fruizione dell’esonero contributi-
vo. Sul piano operativo, l’esonero va applicato in relazione alla misura dei con-
tributi a carico del datore di lavoro, fino al limite della predetta soglia mensile,
opportunamente adeguata in caso di part-time o ripartito. La contribuzione ec-
cedente la predetta soglia mensile potrà formare comunque oggetto di esonero
nel corso di ogni anno solare del rapporto agevolato, nel rispetto della soglia
massima pari a euro 8.060,00 su base annua. Secondo l’esempio riportato nella
Circolare Inps n. 17/2015, se nei primi tre mesi del rapporto agevolato l’importo

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

dei contributi è pari ad euro 500,00 mensili e nel corso del quarto mese (ad es.
dicembre), assume il valore di euro 900,00, il datore di lavoro potrà fruire
dell’esonero per l’intero ammontare dei contributi previdenziali del quarto me-
se, dal momento che l’eccedenza (€ 228,34 = 900,00-671,66) è inferiore rispetto
all’importo dell’esonero non fruito nei tre mesi precedenti (€ 514,98 = 171,66 x 3).
La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 chiarisce che l’esonero non può es-
sere superiore alla misura massima di 8.060,00 euro su base annua. In relazione
ai rapporti di lavoro part-time (di tipo orizzontale, verticale ovvero misto), la
misura della predetta soglia massima va adeguata in diminuzione sulla base del-
la durata dello specifico orario ridotto di lavoro in rapporto a quella ordinaria
stabilita da legge o contratti collettivi. Analoga operazione di adeguamento è da
effettuare in relazione ai contratti di lavoro ripartito in base alla durata effet-
tiva delle prestazioni rese dai lavoratori coobbligati in rapporto a quella ordina-
ria stabilita da legge o contratti collettivi.
Il Messaggio Inps n. 1144 del 13 febbraio 2015 ribadisce che in relazione ai
rapporti di lavoro part-time (di tipo orizzontale, verticale ovvero misto), la mi-
sura della predetta soglia massima va ridotta sulla base della durata dello speci-
fico orario ridotto di lavoro in rapporto a quella ordinaria stabilita dalla legge
ovvero dai contratti collettivi di lavoro. Analoga operazione di adeguamento è
da effettuare in relazione ai contratti di lavoro ripartito sulla base della durata
effettiva delle prestazioni rese da ognuno dei due lavoratori coobbligati, in rap-
porto a quella ordinaria stabilita dalla legge, ovvero dai contratti collettivi di la-
voro.
In ogni caso l’esonero non riguarda i premi e contributi dovuti all’Inail, la
Circolare Inps n. 17/2015 specifica meglio che l’esonero contributivo è pari ai
contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con eccezione delle se-
guenti forme di contribuzione:
- i premi e i contributi dovuti all’Inail;
- il contributo, ove dovuto, al «fondo per l’erogazione ai lavoratori dipenden-
ti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del
cod. civ.» (commi 755-765 della legge n. 296/2006);
- il contributo, ove dovuto, ai fondi di cui all’art. 3, commi 3, 14 e 19, della
legge n. 92/2012.
L’esonero contributivo non spetta se il lavoratore è stato occupato a tempo
indeterminato nei 6 mesi precedenti presso qualsiasi datore di lavoro. La Cir-
colare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 precisa che il contratto di apprendistato
costituisce un rapporto a tempo indeterminato. Analoghe considerazioni valgo-
no nel caso in cui il lavoratore assunto abbia avuto un rapporto di lavoro a tem-
po indeterminato a scopo di somministrazione ovvero un rapporto di lavoro
domestico a tempo indeterminato. La sussistenza di un rapporto di lavoro in-
termittente a tempo indeterminato nell’arco dei sei mesi precedenti la data di as-
sunzione non costituisca condizione ostativa per il diritto all’esonero contributi-
vo triennale recato dalla norma in esame. Per avere contezza della precedente
assunzione a tempo indeterminato del lavoratore il datore di lavoro che inten-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

de assumere con l’esonero contributivo ha l’onere di farsi rilasciare dal la-


voratore una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (ex D.P.R. n.
445/2000) ma la tutela è solo risarcitoria del datore verso il lavoratore in caso di
pretese Inps, pertanto più opportuno acquisire, immediatamente prima
dell’assunzione con “esonero”, una attestazione rilasciata al lavoratore dal Cen-
tro per l’impiego.
L’esonero contributivo non spetta se il lavoratore è stato occupato dallo stesso
datore o da società controllate o collegate in un precedente rapporto di lavoro a
tempo indeterminato nei mesi da ottobre a dicembre 2014 (3 mesi precedenti
l’entrata in vigore della legge n. 190/2014). Secondo la Circolare Inps n. 17 del
29 gennaio 2015 il campo di osservazione attiene:
- alle società controllate o collegate, ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., dal/al
datore di lavoro che assume;
- a soggetti comunque “facenti capo” al datore di lavoro che assume,
come nel caso di eterodirezione attraverso persona fisica o per via di
assetti proprietari coincidenti sotto il profilo sostanziale.
L’esonero contributivo non spetta se il lavoratore per il quale il beneficio è
stato usufruito in relazione ad una precedente assunzione a tempo inde-
terminato. La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 chiarisce che tale limite
fa riferimento all’assunzione presso lo stesso datore di lavoro, riconoscendo una
eccezione in caso di somministrazione. L’assunzione a tempo indeterminato di
un lavoratore che ha già prestato la sua opera presso il datore di lavoro nella
qualità di lavoratore somministrato, godendo dell’esonero contributivo in ogget-
to, fruisce dell’esonero contributivo triennale a condizione che il lavoratore me-
desimo non sia stato occupato a tempo indeterminato, nel corso degli ultimi sei
mesi presso qualsiasi datore di lavoro, ivi incluso il somministratore, e per il pe-
riodo residuo di utilizzo dell’esonero.
L’esonero non è cumulabile con altri incentivi, sgravi, esoneri o riduzioni previ-
sti dalla normativa. La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 chiarisce che
l’esonero contributivo non è cumulabile con l’incentivo per l’assunzione di la-
voratori con più di 50 anni di età disoccupati da oltre 12 mesi e di donne prive
di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi ovvero prive di impiego
da almeno 6 mesi e appartenenti a particolari aree, di cui all’art. 4, commi 8 e
seguenti, della legge n. 92/2012.
L’esonero contributivo introdotto dalla legge di Stabilità 2015 è invece cumula-
bile con gli incentivi che assumono natura economica, fra i quali:
- l’incentivo per l’assunzione dei lavoratori disabili di cui all’art. 13, della
legge n. 68/1999;
- l’incentivo per l’assunzione di giovani genitori di cui al decreto del Mini-
stro della gioventù 19 novembre 2010, pari a euro 5.000,00 fruibili, dal da-
tore di lavoro, in quote mensili non superiori alla misura della retribuzione
lorda, per un massimo di cinque lavoratori (subordinata al rispetto del “de
minimis”);

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

- l’incentivo all’assunzione di beneficiari del trattamento ASpI di cui all’art.


2, comma 10-bis, della Legge n. 92/2012, pari al 50% dell’indennità che sa-
rebbe spettata al lavoratore se non fosse stato assunto per la durata residua
del trattamento (soggetto al c.d. “de minimis”);
- l’incentivo inerente il “Programma Garanzia Giovani”, di cui al D.D. del
Ministero del Lavoro 8 agosto 2014, n. 1709, come modificato dal D.D. del
23 gennaio 2015, n. 11. Il nuovo art. 7, comma 3, prevede che l’incentivo è
cumulabile con altri incentivi all’assunzione di natura economica o contri-
butiva non selettivi rispetto ai datori di lavoro o ai lavoratori.

12.3. Esonero contributivo in agricoltura


L’esonero contributivo previsto dalla legge n. 190/2014 (comma 119) per da-
tori di lavoro agricolo riguarda la generalità dei datori di lavoro agricoli; si ri-
tiene che in tale categoria non siano comprese le industrie di trasformazione dei
prodotti agricoli o di allevamento.
La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015, con riferimento alla corretta indi-
viduazione dei rapporti di lavoro agricoli, fa presente che, in linea con la prassi
previdenziale, nella nozione di rapporti di lavoro agricolo rientrano esclusiva-
mente i rapporti di lavoro instaurati dai datori di lavoro con gli operai del settore
agricolo. Pertanto, ai fini delle presenti disposizioni, ai rapporti di lavoro con di-
rigenti, quadri e impiegati del settore agricolo si applica la disciplina generale di
cui al comma 118.
L’esonero contributivo riguarda i soli contributi previdenziali a carico dei da-
tori di lavoro e interessa un arco temporale massimo di 36 mesi per un impor-
to complessivamente non superiore nel massimo a 8.060 euro su base annua.
In ogni caso l’esonero non riguarda i premi e contributi dovuti all’Inail.
E’ previsto un tetto massimo di fruizione, a livello nazionale.
In caso di risorse insufficienti, si procede secondo l’ordine cronologico delle
istanze.
La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 precisa che ai fini del diritto alla
fruizione dell’esonero contributivo, la nuova assunzione di un operaio agricolo
deve essere realizzata nel rispetto: del quadro ordinamentale previsto dall’art. 4
della legge n. 92/2012 e della regolamentazione dettata dall’art. 1, commi 1175-
1176, della legge n. 296/2006.
L’esonero contributivo non spetta se il lavoratore è stato occupato nel 2014
presso qualsiasi datore di lavoro agricolo a tempo indeterminato.
In base alla Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 il contratto di apprendista-
to costituisce un rapporto a tempo indeterminato. Analoghe considerazioni val-
gono nel caso in cui il lavoratore assunto abbia avuto un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato a scopo di somministrazione. Viceversa, la sussistenza di
un rapporto di lavoro intermittente a tempo indeterminato nel corso dell’anno
2014 non costituisce condizione ostativa per il diritto all’esonero contributivo in
esame.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

L’esonero contributivo non spetta se il lavoratore è stato occupato nel 2014


presso qualsiasi datore di lavoro agricolo a tempo determinato per almeno 250
giorni.
La Circolare Inps n. 17 del 29 gennaio 2015 ha chiarito che l’esonero contribu-
tivo è cumulabile anche con l’incentivo per l’assunzione di giovani lavoratori
agricoli di cui all’art. 5 D.L. 91/2014, convertito con modificazioni dalla legge
n. 116/2014, limitatamente agli operai agricoli.
Esonero contributivo in sintesi

Generale
Datori di La generalità dei datori di lavoro privati, anche non imprendito-
lavoro ri, anche datori di lavoro agricoli per impiegati, quadri, dirigenti.
Assunzioni Solo per i nuovi contratti di lavoro subordinato a tempo inde-
terminato stipulati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015. Riman-
gono in ogni caso esclusi i contratti di apprendistato e quelli di
lavoro domestico.
Beneficio L’esonero contributivo riguarda i soli contributi previdenziali a
carico dei datori di lavoro e interessa un arco temporale mas-
simo di 36 mesi per un importo complessivamente non superio-
re nel massimo a 8.060 euro su base annua. In ogni caso
l’esonero non riguarda i premi e contributi dovuti all’Inail.
Status dei L’esonero contributivo non spetta se:
lavoratori - il lavoratore è stato occupato a tempo indeterminato nei 6
mesi precedenti presso qualsiasi datore di lavoro;
- il lavoratore è stato occupato dallo stesso datore di lavoro o
da società controllate o collegate in un precedente rapporto di
lavoro a tempo indeterminato nei mesi da ottobre a dicembre
2014 (vale a dire nei 3 mesi precedenti l’entrata in vigore della
legge n. 190/2014);
- per il lavoratore per il quale il beneficio è stato usufruito in re-
lazione ad una precedente assunzione a tempo indeterminato
con lo stesso datore di lavoro (Circ. Inps n. 17/2015).
Divieto di L’esonero non è cumulabile con altri incentivi, sgravi, esoneri o
cumulo riduzioni previsti dalla normativa, fatte salve le eccezioni speci-
ficate nella Circ. Inps n. 17/2015.
Operai agricoli
Datori di la- La generalità dei datori di lavoro agricoli (si ritiene che in tale
voro categoria non siano comprese le industrie di trasformazione dei
prodotti agricoli o di allevamento) per gli operai.
Assunzioni Solo per i nuovi contratti di lavoro subordinato a tempo inde-
terminato stipulati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Generale
Esclusi i contratti di apprendistato.
Beneficio L’esonero contributivo riguarda i soli contributi previdenziali a
carico dei datori di lavoro e interessa un arco temporale mas-
simo di 36 mesi per un importo complessivamente non superio-
re nel massimo a 8.060 euro su base annua. In ogni caso
l’esonero non riguarda i premi e contributi dovuti all’Inail.
Limite di E’ stabilito un tetto massimo di fruizione, a livello nazionale.
spesa In caso di risorse insufficienti, si procede secondo l’ordine cro-
nologico delle istanze.
Status dei L’esonero contributivo non spetta se il lavoratore è stato occu-
lavoratori pato nel 2014 presso qualsiasi datore di lavoro (anche non del
settore agricolo):
- a tempo indeterminato;
- a tempo determinato per almeno 250 giorni.
Divieto di L’esonero non è cumulabile con altri incentivi, sgravi, esoneri o
cumulo riduzioni previsti dalla normativa, fatte salve le eccezioni speci-
ficate nella Circ. Inps n. 17/2015.

12.4.Convenienze in base alle tipologie di aziende


Per le aziende non artigiane e per tutte le aziende che occupano più di 15
dipendenti il sistema di incentivazione derivante dall’esonero contributivo
della legge 23 dicembre 2014, n. 190 e dal nuovo regime sanzionatorio dei
licenziamenti individuali e collettivi spinge fortemente sia sul piano degli oneri
diretti (retributivi, contributivi e fiscali) sia su quello degli oneri indiretti
(flessibilità della prestazione, conflittualità e contenzioso) verso l’assunzione
nel 2015 con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Le tabelle
proposte nel paragrafo che precede, infatti, illustrano in maniera evidente le
convenienze economiche e finanziarie delle scelte gestionali alternative nelle
possibilità dei datori di lavoro.
D’altro canto, occorre domandarsi cosa convenga in concreto all’azienda che in-
tende assumere un giovane, ad esempio. Posta la possibilità di ricorrere a istituti
come il tirocinio ovvero a un contratto formativo come l’apprendistato, merita
un approfondimento la effettiva e complessiva vantaggiosità della assunzione
con contratto a tutele crescenti.
Nelle tabelle proposte in questa prima analisi, in effetti, il riferimento
all’apprendistato è stato compiuto con una identità di retribuzione annua lorda
con l’esemplificata assunzione a tempo indeterminato incentivata, tuttavia oc-
corre sottolineare che con quel livello retributivo l’azienda che assume potrà
acquisire una professionalità ben differente (e superiore) rispetto a quella che
gode di esonero contributivo, stante il regime proporzionale o di sotto-
inquadramento che governa il fattore retribuzione nel contratto di apprendistato.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Inoltre il lavoratore apprendista riceve, attraverso il percorso di addestramento e


di formazione, una attenzione mirata che lo colloca in prospettiva di pieno ed
efficace adeguamento rispetto alle esigenze aziendali. Peraltro la scelta
dell’apprendistato appare ragionevolmente più impegnativa sul piano degli
oneri gestionali (piano formativo individuale, seppure nella forma semplificata
oggi richiesta dal Testo Unico, formazione), ma consente un sensibile vantag-
gio sul piano economico-finanziario e, soprattutto, sul piano organizzativo
aziendale, non essendo il datore di lavoro che assume limitato ad un range
basso di profilazione professionale.
Sotto tutt’altra luce, qualora il datore di lavoro volesse “correre il rischio” di ge-
stire un contenzioso amministrativo (a partire dalla fase ispettiva) ovvero anche
giudiziario (con il lavoratore) potrebbe azzardare l’utilizzo del tirocinio che
senza costituire un rapporto di lavoro di fatto, per come a tutt’oggi disciplinato
nel caos generato dalla differenziazione nei singoli ambiti regionali (stanti le
competenze delineate dalla Costituzione), sembra ancora rappresentare una
agevole via di fuga, deresponsabilizzante e a bassissimo costo gestionale ed
economico, per l’azienda che voglia avvantaggiarsi di buone professionalità
giovanili senza particolari investimenti.
Una convenienza marginale, nella tipologia di aziende che qui si considera,
esprime ancora la collaborazione coordinata e continuativa, anche nella mo-
dalità a progetto, laddove – come evidenziato nelle tabelle precedentemente il-
lustrate – l’inesistenza di costi “in uscita” (mancando un “indennizzo” prede-
terminato per la cessazione del rapporto e non essendo dovuto alcun ticket
ASpI) eleva il vantaggio, seppure marginale come si è detto, della collaborazio-
ne in complessi aziendali di più vaste dimensioni dove anche il controllo ispet-
tivo e di vigilanza, in materia di lavoro e di previdenza, è tradizionalmente me-
no diffuso e, comunque, meno incisivo, stanti i ridotti organici operativi degli
uffici preposti (segnatamente uffici territoriali di Ministero del Lavoro, Inps e
Inail).
Decisamente vantaggioso, invece, permane il ricorso alla collaborazione in re-
gime di partita IVA rispetto al datore di lavoro che necessita di prestazioni
professionalizzanti a costi vantaggiosi in strutture organizzative complesse.
Sebbene, sul fronte del lavoratore titolare di partita IVA pesino ora le scelte
operate dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 sia sul fronte fiscale (per
l’appesantimento del previgente regime di vantaggio), sia sul fronte previden-
ziale (per il sensibile incremento dell’aliquota contributiva).
Pertanto, solo nelle aziende di maggiori dimensioni potrà ancora essere assor-
bito il gap economico determinato dalle scelte legislative più gravose sul fronte
degli oneri diretti a carico del lavoratore.
D’altra parte soltanto in queste realtà aziendali appare agevolmente superabile il
riscontro dei parametri introdotti, con l’art. 69-bis del D.Lgs. 10 settembre
2003, n. 276, dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 le cui verifiche saranno operati-
ve proprio a partire da gennaio 2015, scadenza del primo biennio di operatività
delle presunzioni legali introdotte dal legislatore.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Lo scenario delle convenienze muta sensibilmente se si guarda alle imprese ar-


tigiane e a quelle di minori dimensioni.
Anzitutto va rilevato che gli artigiani e gli imprenditori operanti nel Mezzogior-
no godevano fino, al 31 dicembre 2014, di uno sgravio previdenziale omnicom-
prensivo (con riferimento sia ai contributi Inps che ai premi assicurativi Inail)
assoluto e, quindi, di gran lunga più ampio di quanto previsto ora dalla legge 23
dicembre 2014, n. 190, conseguentemente per queste tipologie di imprese il
quadro regolatorio in esame appare tutt’altro che incentivante, essendo venuto
meno un vantaggio rilevante, in termini di costo del lavoro (ovviamente con ri-
ferimento ai lavoratori in possesso dei requisiti soggettivi per i quali era legitti-
ma la fruizione dei benefici previsti dalla legge n. 407/1990).
Inoltre, se nelle aziende artigiane e in quelle di minori dimensioni i contratti di
collaborazione coordinata e continuativa e quelli di collaborazione in regime di
partita IVA non avranno particolari attrattive, finendo per apparire cedevoli ri-
spetto ai vantaggi del sistema incentivante delineato dal Jobs Act – con esclusi-
vo riferimento, però, all’indennizzo per i licenziamenti totalmente esente ai fini
fiscali e previdenziali, derivante dalla nuova offerta di conciliazione di cui
all’art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015, essendo per il resto il sistema di indennizzo
confermato nella misura già oggi vigente, senza variazioni, salvo la riduzione
nel minimo da 2,5 a 2 mensilità – e dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, tutta-
via le stesse potranno affrontare le scelte gestionali, anche in termini di budget,
in modo assai diversificato rispetto alle attese dell’odierno legislatore.
Così vantaggioso risulterà essere l’apprendistato, oltre che per i profili ri-
chiamati rispetto alle aziende maggiori, anche per gli aspetti connessi
all’esonero contributivo previsto dall’art. 22 della legge n. 183/2011, in ragione
del quale, nelle aziende che occupano un numero di addetti pari o inferiore a 9,
per i primi tre anni dei rapporti di apprendistato instaurati entro il 31 dicembre
2016 è previsto l’azzeramento della quota di costo del lavoro determinata dai
contributi a carico del datore di lavoro.
D’altronde, oltre lo sgravio triennale per le imprese più piccole, rileva per le
imprese artigiane la possibilità di instaurare rapporti di apprendistato professio-
nalizzante di durata quinquennale (art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 167/2011), con
ciò valorizzando i vantaggi in termini di costo del lavoro come evidenziato nelle
tabelle proposte in precedenza.
D’altro canto, su un piano assai meno edificante, ma ragionevolmente compren-
sibile dal lato dell’impresa, laddove il settore nel quale l’azienda opera non con-
senta particolari prospettive di stabilità almeno biennale ovvero qualora
l’imprenditore non intenda o non possa (a causa di indebitamenti consolidati o
per mancanza di correntezza finanziaria) rischiare nell’avviare rapporti di lavo-
ro più duraturi o, infine, quando le mansioni si presentano con caratteristiche di
occasionalità e di discontinuità, le imprese di minori dimensioni potranno age-
volmente fare ricorso al contratto di lavoro a chiamata e all’istituto del lavo-
ro accessorio con voucher.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

In particolare, per il lavoro a chiamata l’impresa dovrà assicurarsi la sussistenza


di almeno uno dei requisiti di legittimità previsti dall’art. 34 del D.Lgs. 10 set-
tembre 2003, n. 276, prevedendo altresì il rispetto del limite di utilizzo di cia-
scun lavoratore per un periodo non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro
nell’arco di tre anni solari, vincolo che, tuttavia, non trova applicazione nei set-
tori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
Ancora più agevole si offrirà il ricorso al lavoro accessorio, giacché ai fini qua-
lificatori è determinante esclusivamente il rispetto del requisito di carattere eco-
nomico previsto dall’art. 70 del D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276: se sono cor-
retti i presupposti di instaurazione del rapporto, qualunque prestazione rientran-
te nei limiti economici deve ritenersi legittimamente “lavoro accessorio”, anche
se in azienda vi sono lavoratori che svolgono la medesima prestazione con ordi-
nario contratto di lavoro subordinato, ovvero con lavoratore che abbia in prece-
denza svolto attività di lavoro subordinato presso lo stesso datore di lavoro.
Peraltro, la lett. h) del comma 7 dell’articolo unico della legge 10 dicembre
2014, n. 183 prevede la possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro
accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori
produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con con-
testuale rideterminazione contributiva.
D’altra parte, l’analisi di impatto delle convenienze non può trascurare una ri-
flessione sul potenziale effetto di dumping e di concorrenza deviata (se non pro-
prio sleale) rispetto ai servizi esternalizzati e affidati in appalto. Nell’ambito de-
gli appalti di servizi, infatti, l’incentivo può determinare un micidiale effetto di-
storsivo rispetto alle logiche di mercato, perché le imprese che svolgono i servi-
zi affidati in appalto mediante le prestazioni lavorative rese da lavoratori occu-
pati con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in occasione del
rinnovo dei contratti di appalto successivamente al 7 marzo 2015 si troveranno a
competere con aziende che assumendo lavoratori a tempo indeterminato a tutele
crescenti con esonero contributivo sopporteranno un costo del lavoro, diretto
(minore contribuzione) e indiretto (minori costi del licenziamento), considere-
volmente più contenuto. Con il paradosso che le imprese avvantaggiate saranno
quelle che occupavano solo lavoratori con contratti a tempo determinato o con
forme di lavoro non subordinato, giacché quei lavoratori potranno essere assunti
a tempo indeterminato con i vantaggi contributivi dettati dalla legge n.
190/2014 e con quelli economici dettati dal D.Lgs. n. 23/2015 per i costi dei li-
cenziamenti, con un effetto sostanziale di mera sostituzione della forma contrat-
tuale (notevolmente incentivata almeno nel triennio 2015-2017), ma senza la
creazione di nuova occupazione stabile.

12.5. Istruzioni operative


Con il Messaggio n. 1144 del 13 febbraio 2015 l’Inps ha fornito, ai datori di la-
voro e agli intermediari, le istruzioni tecniche per la fruizione dell’esonero
contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo inde-
terminato introdotto dall’art. 1, commi 118 e seguenti della legge n. 190/2014

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

(c.d. Legge di Stabilità 2015). I datori di lavoro aventi titolo all’esonero contri-
butivo in oggetto devono inoltrare all’Inps, prima della trasmissione della de-
nuncia contributiva del primo mese in cui si intende esporre l’esonero medesi-
mo, la richiesta di attribuzione del codice di autorizzazione “6Y”, avente il
significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge
n. 190/2014”. Detta richiesta andrà effettuata avvalendosi della funzionalità
“contatti” del cassetto previdenziale aziende, selezionando nel campo oggetto la
denominazione “esonero contributivo triennale legge n. 190/2014”, utilizzando
la seguente locuzione: “Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y
ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n.
190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da Circolare n. 17/2015”. La sede
territorialmente competente attribuirà il predetto codice di autorizzazione alla
posizione contributiva interessata con validità 1.1.2015-31.12.2018, dandone
comunicazione al datore di lavoro attraverso il medesimo cassetto previdenzia-
le. Il controllo in ordine alla legittimità di fruizione dell’esonero contributivo in
oggetto sarà realizzato attraverso l’istituenda base dati “lavoratori agevolati”.
Va rispettata la soglia mensile indicata nella Circolare n. 17/2015 e ribadita dal
Messaggio n. 1144/2015. Nell’elemento <ImportoCorrIncentivo> nei flussi
UniEmens va indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corren-
te, calcolato in base alla Circolare n. 17/2015. L’esonero riguarda la contribu-
zione previdenziale e assistenziale a carico del datore di lavoro, fatta eccezione
per la contribuzione al “fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del set-
tore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del cod. civ.” e ai
fondi di cui all’art. 3, commi 2, 14 e 19 delle legge n. 92/2012, fino al limite
della soglia massima mensile pari a euro 671,66 (€ 8.060,00/12). Per i rapporti
di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso del mese, il massimale mensile va
ridotto proporzionalmente al numero dei giorni di lavoro, assumendo a riferi-
mento la misura giornaliera di esonero contributivo di euro 22,08.
Nell’elemento <ImportoArrIncentivo> dovrà essere indicato l’importo
dell’esonero contributivo relativo all’esonero contributivo dei mesi di compe-
tenza di gennaio e/o febbraio 2015. La valorizzazione del predetto elemento può
essere effettuata esclusivamente di competenza di febbraio 2015, relativamente
all’arretrato del precedente mese di gennaio, o di marzo 2015, relativamente
all’arretrato dei precedenti mesi di gennaio e/o febbraio.
Nell’ipotesi in cui, in un determinato mese, spetti un beneficio superiore alla
soglia massima mensile di € 671,66, l’eccedenza può essere esposta nel mese
corrente e nei mesi successivi e comunque rispettivamente entro il primo, il se-
condo e il terzo anno di durata del rapporto di lavoro, fermo restando il rispetto
della soglia massima di esonero contributivo alla data di esposizione in UniE-
mens. In tal senso nella denuncia relativa al mese di riferimento luglio, il datore
di lavoro deve indicare nell’elemento <ImportoCorrIncentivo> la somma di €
671,66, mentre la differenza fra l’importo dell’esonero spettante e la soglia
massima mensile è conguagliata in corrispondenza dell’elemento <ImportoA-

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Credito> di <AltreACredito > di <DenunciaIndividuale> valorizzata


nell’elemento <CausaleACredito> la causale “L700”.

12.6. Datori di lavoro agricolo


Qualora si intenda accedere all’incentivo introdotto dall’art. 1, comma 119, del-
la legge n. 190/2014 è parimenti necessario inoltrare all’Inps specifica istan-
za che potrà essere inviata esclusivamente in via telematica accedendo al mo-
dello di comunicazione “ASSUNZIONE OTI 2015” disponibile all’interno
del “Cassetto previdenziale aziende agricole”_ sezione “Comunicazioni bidire-
zionale – Invio Comunicazione”. Del rilascio del modulo verrà dato apposito
avviso sul sito internet dell’Inps. Il citato termine di quattordici giorni lavorativi
previsti per la presentazione della domanda definitiva di ammissione al benefi-
cio è perentorio. L’inosservanza dello stesso determina l’inefficacia della prece-
dente prenotazione delle somme di cui alla sezione prima della domanda.
L’Inps, mediante i propri sistemi informativi centrali, effettuerà i necessari con-
trolli in ordine al possesso dei requisiti di legge per il diritto all’esonero e prov-
vederà ad attribuire un esito positivo o negativo, visualizzabile dall’utente.
Per accedere all’incentivo introdotto dall'art. 1, comma 119, della legge n.
190/2014 è necessario inoltrare all’Inps specifica istanza inviata esclusivamente
in via telematica accedendo al modello di comunicazione “ASSUNZIONE OTI
2015” disponibile all’interno del “Cassetto previdenziale aziende agricole”_ se-
zione “Comunicazioni bidirezionale – Invio Comunicazione”. Del rilascio del
modulo verrà dato apposito avviso sul sito internet dell’Inps. Il modulo si com-
pone di due distinte sezioni:
1) la prima, con la quale l’utente richiede la prenotazione delle somme a titolo
di esonero contributivo per l’assunzione. Entro tre giorni dall’invio
dell’istanza, l’Inps verifica la disponibilità delle risorse e, esclusivamente in
modalità telematica, comunica che è stato prenotato l’importo del beneficio
per il lavoratore indicato nell’istanza preliminare;
2) la seconda, con la quale l’utente, avuta la conferma della disponibilità delle
somme, successivamente all’assunzione, formula la domanda definitiva di
ammissione al beneficio. Entro 14 giorni lavorativi dalla ricezione della
comunicazione di prenotazione positiva dell’Istituto, il datore di lavoro, per
accedere all’incentivo, ha l’onere di comunicare all’Istituto – compilando la
seconda sezione del modulo di domanda – l’avvenuta stipula del contratto
di assunzione a tempo indeterminato. Il citato termine di quattordici giorni
lavorativi previsti per la presentazione della domanda definitiva di ammis-
sione al beneficio è perentorio. L’inosservanza dello stesso determina
l’inefficacia della precedente prenotazione delle somme di cui alla sezione
prima della domanda.

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

APPENDICE NORMATIVA
DECRETO LEGISLATIVO 4 MARZO 2015, N. 23

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO


INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI, IN ATTUAZIONE DELLA
LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N. 183
(G.U. n. 54, serie generale, del 6 marzo 2015)

IL PRESIDENTE DELLA prevedendo termini certi per l'impu-


REPUBBLICA gnazione del licenziamento;
Vista la preliminare deliberazio-
Visti gli articoli 76, 87, quinto ne del Consiglio dei ministri, adottata
comma, e 117, secondo comma, della nella riunione del 24 dicembre 2014;
Costituzione; Acquisiti i pareri delle compe-
Visto l'articolo 1, comma 7, della tenti Commissioni parlamentari della
legge 10 dicembre 2014, n. 183, re- Camera dei deputati e del Senato del-
cante delega al Governo allo scopo di la Repubblica;
rafforzare le opportunità di ingresso Vista la deliberazione del Consi-
nel mondo del lavoro da parte di colo- glio dei ministri, adottata nella riu-
ro che sono in cerca di occupazione, nione del 20 febbraio 2015;
nonché di riordinare i contratti di la- Sulla proposta del Ministro del
voro vigenti per renderli maggior- lavoro e delle politiche sociali;
mente coerenti con le attuali esigenze
del contesto occupazionale e produt- EMANA
tivo e di rendere più efficiente l'attivi- il seguente decreto legislativo:
tà ispettiva;
Visto l'articolo 1, comma 7, lette- Art. 1
ra c), della medesima legge n. 183 del Campo di applicazione
2014, recante il criterio di delega vol-
to a prevedere, per le nuove assunzio- 1. Per i lavoratori che rivestono
ni, il contratto a tempo indeterminato la qualifica di operai, impiegati o
a tutele crescenti in relazione all'an- quadri, assunti con contratto di lavoro
zianità di servizio, escludendo per i subordinato a tempo indeterminato a
licenziamenti economici la possibilità decorrere dalla data di entrata in vigo-
della reintegrazione del lavoratore nel re del presente decreto, il regime di
posto di lavoro, prevedendo un in- tutela nel caso di licenziamento ille-
dennizzo economico certo e crescente gittimo è disciplinato dalle disposi-
con l'anzianità di servizio e limitando zioni di cui al presente decreto.
il diritto alla reintegrazione ai licen- 2. Le disposizioni di cui al pre-
ziamenti nulli e discriminatori e a sente decreto si applicano anche nei
specifiche fattispecie di licenziamento casi di conversione, successiva all'en-
disciplinare ingiustificato, nonché trata in vigore del presente decreto, di

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

contratto a tempo determinato o di 2. Con la pronuncia di cui al


apprendistato in contratto a tempo in- comma 1, il giudice condanna altresì
determinato. il datore di lavoro al risarcimento del
3. Nel caso in cui il datore di la- danno subito dal lavoratore per il li-
voro, in conseguenza di assunzioni a cenziamento di cui sia stata accertata
tempo indeterminato avvenute suc- la nullità e l'inefficacia, stabilendo a
cessivamente all'entrata in vigore del tal fine un'indennità commisurata
presente decreto, integri il requisito all'ultima retribuzione di riferimento
occupazionale di cui all'articolo 18, per il calcolo del trattamento di fine
ottavo e nono comma, della legge 20 rapporto, corrispondente al periodo
maggio 1970, n. 300, e successive dal giorno del licenziamento sino a
modificazioni, il licenziamento dei quello dell'effettiva reintegrazione,
lavoratori, anche se assunti preceden- dedotto quanto percepito, nel periodo
temente a tale data, è disciplinato dal- di estromissione, per lo svolgimento
le disposizioni del presente decreto. di altre attività lavorative. In ogni ca-
so la misura del risarcimento non po-
Art. 2 trà essere inferiore a cinque mensilità
Licenziamento discriminatorio, nullo dell'ultima retribuzione di riferimento
e intimato in forma orale per il calcolo del trattamento di fine
rapporto. Il datore di lavoro è con-
1. Il giudice, con la pronuncia dannato, altresì, per il medesimo pe-
con la quale dichiara la nullità del li- riodo, al versamento dei contributi
cenziamento perché discriminatorio a previdenziali e assistenziali.
norma dell'articolo 15 della legge 20 3. Fermo restando il diritto al ri-
maggio 1970, n. 300, e successive sarcimento del danno come previsto
modificazioni, ovvero perché ricon- al comma 2, al lavoratore è data la fa-
ducibile agli altri casi di nullità coltà di chiedere al datore di lavoro,
espressamente previsti dalla legge, in sostituzione della reintegrazione
ordina al datore di lavoro, imprendito- nel posto di lavoro, un'indennità pari
re o non imprenditore, la reintegra- a quindici mensilità dell'ultima retri-
zione del lavoratore nel posto di lavo- buzione di riferimento per il calcolo
ro, indipendentemente dal motivo del trattamento di fine rapporto, la cui
formalmente addotto. A seguito richiesta determina la risoluzione del
dell'ordine di reintegrazione, il rap- rapporto di lavoro, e che non è assog-
porto di lavoro si intende risolto gettata a contribuzione previdenziale.
quando il lavoratore non abbia ripreso La richiesta dell'indennità deve essere
servizio entro trenta giorni dall'invito effettuata entro trenta giorni dalla
del datore di lavoro, salvo il caso in comunicazione del deposito della
cui abbia richiesto l'indennità di cui al pronuncia o dall'invito del datore di
comma 3. Il regime di cui al presente lavoro a riprendere servizio, se ante-
articolo si applica anche al licenzia- riore alla predetta comunicazione.
mento dichiarato inefficace perché in- 4. La disciplina di cui al presente
timato in forma orale. articolo trova applicazione anche nel-
le ipotesi in cui il giudice accerta il

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

difetto di giustificazione per motivo dal giorno del licenziamento fino a


consistente nella disabilità fisica o quello dell'effettiva reintegrazione,
psichica del lavoratore, anche ai sensi dedotto quanto il lavoratore abbia
degli articoli 4, comma 4, e 10, com- percepito per lo svolgimento di altre
ma 3, della legge 12 marzo 1999, n. attività lavorative, nonché quanto
68. avrebbe potuto percepire accettando
una congrua offerta di lavoro ai sensi
Art. 3 dell'articolo 4, comma 1, lettera c),
Licenziamento per giustificato motivo del decreto legislativo 21 aprile 2000,
e giusta causa n. 181, e successive modificazioni. In
ogni caso la misura dell'indennità ri-
1. Salvo quanto disposto dal sarcitoria relativa al periodo antece-
comma 2, nei casi in cui risulta accer- dente alla pronuncia di reintegrazione
tato che non ricorrono gli estremi del non può essere superiore a dodici
licenziamento per giustificato motivo mensilità dell'ultima retribuzione di
oggettivo o per giustificato motivo riferimento per il calcolo del tratta-
soggettivo o giusta causa, il giudice mento di fine rapporto. Il datore di la-
dichiara estinto il rapporto di lavoro voro è condannato, altresì, al versa-
alla data del licenziamento e condan- mento dei contributi previdenziali e
na il datore di lavoro al pagamento di assistenziali dal giorno del licenzia-
un'indennità non assoggettata a con- mento fino a quello dell'effettiva rein-
tribuzione previdenziale di importo tegrazione, senza applicazione di san-
pari a due mensilità dell'ultima retri- zioni per omissione contributiva. Al
buzione di riferimento per il calcolo lavoratore è attribuita la facoltà di cui
del trattamento di fine rapporto per all'articolo 2, comma 3.
ogni anno di servizio, in misura co- 3. Al licenziamento dei lavorato-
munque non inferiore a quattro e non ri di cui all'articolo 1 non trova appli-
superiore a ventiquattro mensilità. cazione l'articolo 7 della legge 15 lu-
2. Esclusivamente nelle ipotesi di glio 1966, n. 604, e successive modi-
licenziamento per giustificato motivo ficazioni.
soggettivo o per giusta causa in cui
sia direttamente dimostrata in giudi- Art. 4
zio l'insussistenza del fatto materiale Vizi formali e procedurali
contestato al lavoratore, rispetto alla
quale resta estranea ogni valutazione 1. Nell'ipotesi in cui il licenzia-
circa la sproporzione del licenziamen- mento sia intimato con violazione del
to, il giudice annulla il licenziamento requisito di motivazione di cui all'ar-
e condanna il datore di lavoro alla ticolo 2, comma 2, della legge n. 604
reintegrazione del lavoratore nel po- del 1966 o della procedura di cui
sto di lavoro e al pagamento di un'in- all'articolo 7 della legge n. 300 del
dennità risarcitoria commisurata 1970, il giudice dichiara estinto il
all'ultima retribuzione di riferimento rapporto di lavoro alla data del licen-
per il calcolo del trattamento di fine ziamento e condanna il datore di lavo-
rapporto, corrispondente al periodo ro al pagamento di un'indennità non

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

assoggettata a contribuzione previ- zioni, un importo che non costituisce


denziale di importo pari a una mensi- reddito imponibile ai fini dell'imposta
lità dell'ultima retribuzione di riferi- sul reddito delle persone fisiche e non
mento per il calcolo del trattamento di è assoggettato a contribuzione previ-
fine rapporto per ogni anno di servi- denziale, di ammontare pari a una
zio, in misura comunque non inferiore mensilità della retribuzione di riferi-
a due e non superiore a dodici mensi- mento per il calcolo del trattamento di
lità, a meno che il giudice, sulla base fine rapporto per ogni anno di servi-
della domanda del lavoratore, accerti zio, in misura comunque non inferiore
la sussistenza dei presupposti per a due e non superiore a diciotto men-
l'applicazione delle tutele di cui agli silità, mediante consegna al lavoratore
articoli 2 e 3 del presente decreto. di un assegno circolare. L'accettazio-
ne dell'assegno in tale sede da parte
Art. 5 del lavoratore comporta l'estinzione
Revoca del licenziamento del rapporto alla data del licenziamen-
to e la rinuncia alla impugnazione del
1. Nell'ipotesi di revoca del li- licenziamento anche qualora il lavora-
cenziamento, purché effettuata entro tore l'abbia già proposta. Le eventuali
il termine di quindici giorni dalla co- ulteriori somme pattuite nella stessa
municazione al datore di lavoro sede conciliativa a chiusura di ogni
dell'impugnazione del medesimo, il altra pendenza derivante dal rapporto
rapporto di lavoro si intende ripristi- di lavoro sono soggette al regime fi-
nato senza soluzione di continuità, scale ordinario.
con diritto del lavoratore alla retribu- 2. Alle minori entrate derivanti
zione maturata nel periodo precedente dal comma 1 valutate in 2 milioni di
alla revoca, e non trovano applicazio- euro per l'anno 2015, 7,9 milioni di
ne i regimi sanzionatori previsti dal euro per l'anno 2016, 13,8 milioni di
presente decreto. euro per l'anno 2017, 17,5 milioni di
Art. 6 euro per l'anno 2018, 21,2 milioni di
Offerta di conciliazione euro per l'anno 2019, 24,4 milioni di
euro per l'anno 2020, 27,6 milioni di
1. In caso di licenziamento dei euro per l'anno 2021, 30,8 milioni di
lavoratori di cui all'articolo 1, al fine euro per l'anno 2022, 34,0 milioni di
di evitare il giudizio e ferma restando euro per l'anno 2023 e 37,2 milioni di
la possibilità per le parti di addivenire euro annui a decorrere dall'anno 2024
a ogni altra modalità di conciliazione si provvede mediante corrispondente
prevista dalla legge, il datore di lavo- riduzione del fondo di cui all'articolo
ro può offrire al lavoratore, entro i 1, comma 107, della legge 23 dicem-
termini di impugnazione stragiudizia- bre 2014, n. 190.
le del licenziamento, in una delle sedi 3. Il sistema permanente di mo-
di cui all'articolo 2113, quarto com- nitoraggio e valutazione istituito a
ma, del codice civile, e all'articolo 76 norma dell'articolo 1, comma 2, della
del decreto legislativo 10 settembre legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura
2003, n. 276, e successive modifica- il monitoraggio sull'attuazione della

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

presente disposizione. A tal fine la all'articolo 4, e all'articolo 6, sono ri-


comunicazione obbligatoria telemati- proporzionati e le frazioni di mese
ca di cessazione del rapporto di cui uguali o superiori a quindici giorni si
all'articolo 4-bis del decreto legislati- computano come mese intero.
vo 21 aprile 2000, n. 181, e successi-
ve modificazioni, è integrata da una Art. 9
ulteriore comunicazione, da effettuar- Piccole imprese e organizzazioni di
si da parte del datore di lavoro entro tendenza
65 giorni dalla cessazione del rappor-
to, nella quale deve essere indicata 1. Ove il datore di lavoro non
l'avvenuta ovvero la non avvenuta raggiunga i requisiti dimensionali di
conciliazione di cui al comma 1 e la cui all'articolo 18, ottavo e nono
cui omissione è assoggettata alla me- comma, della legge n. 300 del 1970,
desima sanzione prevista per l'omis- non si applica l'articolo 3, comma 2, e
sione della comunicazione di cui al l'ammontare delle indennità e dell'im-
predetto articolo 4-bis. Il modello di porto previsti dall'articolo 3, comma
trasmissione della comunicazione ob- 1, dall'articolo 4, comma 1 e dall'arti-
bligatoria è conseguentemente rifor- colo 6, comma 1, è dimezzato e non
mulato. Alle attività di cui al presente può in ogni caso superare il limite di
comma si provvede con le risorse sei mensilità.
umane, strumentali e finanziarie di- 2. Ai datori di lavoro non im-
sponibili a legislazione vigente e, co- prenditori, che svolgono senza fine di
munque, senza nuovi o maggiori one- lucro attività di natura politica, sinda-
ri per la finanza pubblica. cale, culturale, di istruzione ovvero di
religione o di culto, si applica la di-
Art. 7 sciplina di cui al presente decreto.
Computo dell'anzianità negli appalti
Art. 10
1. Ai fini del calcolo delle inden- Licenziamento collettivo
nità e dell'importo di cui all'articolo 3,
comma 1, all'articolo 4, e all'articolo 1. In caso di licenziamento col-
6, l'anzianità di servizio del lavoratore lettivo ai sensi degli articoli 4 e 24
che passa alle dipendenze dell'impre- della legge 23 luglio 1991, n. 223, in-
sa subentrante nell'appalto si computa timato senza l'osservanza della forma
tenendosi conto di tutto il periodo du- scritta, si applica il regime sanziona-
rante il quale il lavoratore è stato im- torio di cui all'articolo 2 del presente
piegato nell'attività appaltata. decreto. In caso di violazione delle
procedure richiamate all'articolo 4,
Art. 8 comma 12, o dei criteri di scelta di cui
Computo e misura delle indennità per all'articolo 5, comma 1, della legge n.
frazioni di anno 223 del 1991, si applica il regime di
cui all'articolo 3, comma 1.
1. Per le frazioni di anno d'anzia-
nità di servizio, le indennità e l'impor-
to di cui all'articolo 3, comma 1,

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Licenziamento e contratto a tutele crescenti

Art. 11 Art. 12
Rito applicabile Entrata in vigore

1. Ai licenziamenti di cui al pre- 1. Il presente decreto entra in vi-


sente decreto non si applicano le di- gore il giorno successivo a quello del-
sposizioni dei commi da 48 a 68 la sua pubblicazione nella Gazzetta
dell'articolo 1 della legge 28 giugno Ufficiale della Repubblica italiana.
2012, n. 92.

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