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1. Cenni introduttivi
1
CASS., 10 luglio 1954, n. 2446, in Mass. Foro It., 1954.
dogmaticamente coerente, capace di fornire una disciplina concretamente
applicabile da parte degli operatori giuridici.
2
FALZEA, voce Condizione, in Enciclopedia giuridica, Roma, 1988, pp. 2 ss.; FALZEA, La
condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, pp. 8 ss..
2
non correre detto rischio è, per l’appunto, l’interesse esterno di cui prima
parlavamo e che un contratto di compravendita o di locazione non condizionato
non può certamente soddisfare; l’unico modo per contemperare entrambe le
esigenze, apparentemente inconciliabili, è costituito dall’inserimento nel contratto
di una condizione che subordini, nel caso di specie in via sospensiva, l’efficacia
del contratto al fatto futuro ed incerto del trasferimento.
L’interesse esterno, come si deduce anche dall’esempio fatto, è giudicato dalla
parte prevalente rispetto a quello interno, poiché nel caso di conflitto tra di essi
quello interno è destinato inevitabilmente a soccombere; tanto è vero che qualora
la condizione non si verifichi i suoi effetti non iniziano -e non inizieranno mai- a
prodursi (in caso di condizione sospensiva), oppure cesseranno di prodursi e quelli
già prodotti subiranno una rimozione giuridica per quanto concretamente possibile
(in caso di condizione risolutiva). Tornando all’esempio sopra esposto, la parte,
prevedendo la clausola condizionale, ha già risolto negativamente il giudizio di
convenienza in ordine alla possibilità di avere un’abitazione presso una sede
diversa da quella in cui egli lavora, nell’eventualità di mancato accoglimento della
domanda di trasferimento.
In altri termini “la realizzazione degli interessi per i quali è predisposto il
programma è voluta solo se non sopravvengono altri interessi ritenuti dal
dichiarante così prevalenti e incompatibili con gli interessi del programma da
esigere la contemporanea costituzione di un controprogramma che valga a
preservarli”.3
L’estrinsecità sostanziale della norma, esposta sopra, è seguita da quella
strutturale, poiché, proprio dal punto di vista degli elementi costitutivi della
fattispecie legale, è possibile distinguere tra dichiarazione principale, clausola
condizionale e dichiarazione complessiva che, da sola, è idonea a soddisfare
l’intero assetto di molteplici e contrastanti interessi di cui è titolare la parte
contrattuale.
Proprio su queste basi numerosi autori 4 hanno escluso l’ammissibilità della
condizione (sospensiva) di adempimento e (risolutiva) di inadempimento,
sostenendo come in tali casi, pur essendo qualificabile l’evento quale futuro ed
incerto, manchino tuttavia in esso i requisiti, sopra descritti, dell’accidentalità e
dell’estrinsecità.
In primo luogo la condizione difetterebbe di accidentalità in quanto, deducendo
in essa il comportamento contrattualmente dovuto -positivamente o
negativamente considerato- verrebbe meno un elemento essenziale del contratto
ex art.1325 c.c., ovvero la causa del contratto, senza il quale il contratto è
destinato inesorabilmente ad essere nullo ex art.1418 c.c..
Né l’autonomia contrattuale ex art.1322 c.c. potrebbe mai essere tale da
autorizzare i privati a tramutare un elemento essenziale, quale l’adempimento, in
elemento accidentale, poiché comunque la libertà dei privati, come precisa la
3
FALZEA, voce Condizione, cit., p. 2.
4
SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, p. 199; C.M. BIANCA, Il
contratto, Milano, 1999, pp. 544 ss.; FUSCO, L’adempimento come condizione del contratto, in
Vita Notarile, 1983, I, pp. 304 ss; ID., Ancora in tema di adempimento come condizione, in Vita
Notarile, 1984, pp. 291 ss.; CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, p. 213;
SMIROLDO, Condizione unilaterale di vendita o preliminare di vendita immobiliare collegata al
rilascio della licenza edilizia, nota a Trib. Verona, 2 gennaio 1975, in Giur. it., 1976, I, 2, p. 571;
BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, II, sec. ed., ristampa, Milano, 1964, pp. 166 ss.;
GAZZARA, in La vendita obbligatoria, Milano, 1957, pp. 58 ss.; PELOSI, La proprietà risolubile
nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975, pp. 217 ss.; CASTIGLIA, Promesse unilaterali
atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, pp. 375 ss.; AULETTA, La risoluzione per inadempimento,
Milano, 1942, p. 96.
3
medesima norma appena citata, trova un limite invalicabile nelle disposizioni
inderogabili stabilite dall’ordinamento, tra cui rientra certamente l’art.1418 c.c.
che espressamente stabilisce la nullità del contratto per difetto di causa; valendo
ciò non solo con riferimento ai contratti tipici, ma anche relativamente a quelli
innominati, i quali, pur non essendo soggetti ad una disciplina legale apposita,
sono comunque sottoposti a quella generale dei contratti per espressa previsione
dell’art.1323 c.c..
In sostanza, secondo l’orientamento in esame, dedurre l’adempimento o
l’inadempimento in condizione porterebbe a conseguenze incongruenti quale la
libertà della parte di decidere se adempiere o meno: qualunque sia infatti la
deliberazione, essa sarà sempre immune da responsabilità c.d. contrattuale ex
art.1218 c.c. poiché è noto che il mancato avveramento della condizione
sospensiva, o il verificarsi della condizione risolutiva, non comportano risultati
diversi dall’inefficacia del contratto, rispettivamente definitiva o sopravvenuta.
Tutto ciò contrasterebbe con la necessità della causa del contratto quale suo
elemento essenziale, nonché con lo stesso divieto contemplato dall’art. 1355 c.c..5
Non tutti da queste considerazioni fanno discendere inevitabilmente la nullità del
contratto, in quanto alcuni, premettendo che “non è giuridicamente dovuto ciò che
può essere omesso senza responsabilità alcuna”, qualificano il fenomeno quale
patto di opzione, laddove la parte del cui adempimento si tratta “è arbitra della
sorte del contratto”.6
Peraltro non mancano neppure opinioni 7 che fanno discendere l’assenza del
requisito dell’accidentalità dalla mancanza non della causa, quanto invece di un
altro elemento essenziale del contratto ex art. 1325 c.c., quale il suo oggetto: si
afferma infatti che, costituendo la prestazione oggetto del contratto, la sua
deduzione in condizione priverebbe il negozio del requisito di cui all’art. 1346 c.c..
In secondo luogo, il fenomeno giuridico in parola difetterebbe anche del requisito
dell’estrinsecità, atteso che mediante la clausola in questione le parti mirerebbero
a realizzare interessi non dissimili da quelli che le parti perseguono attraverso
l’attuazione del c.d. schema puro.
In particolar modo, si afferma, deducendo l’inadempimento in condizione
risolutiva la parte persegue l’interesse allo scioglimento del contratto il cui
regolamento negoziale è stato disatteso ex adverso; interesse tuttavia già tutelato
dalle norme sulla risoluzione del contratto per inadempimento ex art.1453 c.c. ss.
che intervengono in caso di difetto sopravvenuto della causa del contratto, atteso
che il rapporto sinallagmatico intercorrente tra le prestazioni deve, come noto,
permanere non solo in fase di formazione del contratto, ma anche in fase di
esecuzione e svolgimento del rapporto contrattuale. Non ci sarebbe così un
interesse esterno non suscettibile di essere protetto e tutelato col semplice ausilio
dello strumento normativo predisposto dal legislatore e da qui la mancanza anche
del carattere di estrinsecità. In particolar modo si fa notare che l’effetto della
risoluzione ipso iure può essere ottenuto dalla parte attraverso l’inserimento di
una clausola risolutiva espressa ex art.1456 c.c..
Proprio a tal ultimo proposito alcuni8 hanno messo in evidenza che effettivamente
una differenza tra la condizione di inadempimento (risolutiva) ed il meccanismo
5
In particolar modo sostiene la natura meramente potestativa della condizione sospensiva di
adempimento AULETTA, op. e loc. cit., e BOCCHINI, La vendita di cose mobili, Milano, 1994, p.
297.
6
C.M. BIANCA, op. e loc. cit..
7
GALGANO, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 128.
8
COSTANZA, Della condizione del contratto, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma,
artt. 1353-1361, 1997, pp. 5 ss., la quale però, pur respingendo l’ammissibilità della condizione di
adempimento risolutiva per le ragioni di cui in narrativa, afferma il contrario con riferimento alla
4
ora menzionato vi sarebbe, e consiste nella retroattività soltanto obbligatoria di
quest’ultimo contro la retroattività invece reale tipica del fenomeno condizionale:
in altri termini mentre ai fini dell’opponibilità ai terzi del carattere condizionato
del contratto basta che esso sia trascritto come tale, la risoluzione del contratto
travolge i diritti dei terzi soltanto qualora la domanda giudiziale sia trascritta
prima che analogo adempimento pubblicitario sia eseguito dai terzi in ordine al
loro acquisto.
Tuttavia proprio tale differenza rappresenterebbe un argomento ulteriore contro
l’ammissibilità della condizione di inadempimento, in quanto in virtù del
principio di relatività del contratto ex art.1372 secondo comma, è precluso alle
parti imporre l’efficacia del contratto -anche nel suo contenuto condizionato- a
coloro i quali invece non ne hanno preso parte.
Coloro i quali hanno posto in evidenza quest’ultimo ostacolo sostengono pertanto
che, qualora le parti subordino l’efficacia del contratto ad una condizione
risolutiva di inadempimento, detta clausola dovrebbe essere interpretata quale
equivalente a quella espressamente prevista e disciplinata dall’art. 1456 c.c..
Ecco perché, è stato detto, il codice vigente, nel disciplinare la risoluzione del
contratto, da un lato, ha ripudiato lo schema, accolto nel codice precedente, della
condizione tacita risolutiva; dall’altro ha contemplato espressamente la clausola
risolutiva espressa che esclude la retroattività reale tipica invece della
condizione.9
Infine, l’ultima obiezione che viene mossa nei confronti del meccanismo in esame
è rappresentata dall’assenza del requisito dell’incertezza nell’adempimento;
requisito che necessariamente deve caratterizzare l’evento dedotto in condizione,
ma di cui sarebbe sprovvisto l’adempimento in quanto, essendo giuridicamente
dovuto, sarebbe conseguentemente certo il suo verificarsi.10
condizione sospensiva di adempimento (per le ragioni v. infra); nello stesso senso anche
CASTIGLIA, op. cit., p. 376.
9
SANTORO PASSARELLI, op. e loc. cit..
10
FERRARA-SANTAMARIA, La vendita a rate con riserva di proprietà, Napoli, 1938, pp. 63 ss;
NUTI, Dogmatica e pratica della vendita con riserva di proprietà, in Riv. dir. comm., 1947, I, pp.
307 ss.; GORLA, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p. 384.
11
LENZI, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela - l’adempimento dedotto in
condizione, Milano, 1996, pp. 93 ss.; l’Autore specifica che analogo problema si presenta anche
nell’ipotesi di c.d. contratti ad efficacia finale, quali ad esempio i negozi di attuazione, in cui
l’interesse è soddisfatto sic et simpliciter con l’efficacia del negozio.
5
Tuttavia nei contratti ad effetti reali per assecondare detta esigenza occorre
superare l’ostacolo rappresentato dal principio consensualistico previsto
dall’art.1376 c.c., che conduce al prodursi dell’effetto traslativo in virtù della sola
espressione del consenso e quindi a prescindere dell’esecuzione della
controprestazione.
Proprio in questo caso può soccorrere all’uopo l’utilizzo del meccanismo
condizionale, in particolar modo l’inserimento nel regolamento negoziale di una
condizione sospensiva che, subordinando l’effetto traslativo all’esecuzione della
prestazione da parte della controparte, viene a realizzare così una funzione di
garanzia per la parte.
Conferma dell’ammissibilità di una siffatta previsione sarebbe il carattere
dispositivo dell’art. 1376 c.c., nonchè l’attitudine della condizione a fungere da
mezzo di disapplicazione di norme derogabili.
L’orientamento in parola corrobora ulteriormente l’opinione in esame ricorrendo
altresì al concetto di autotutela12.
L’autotutela, viene spiegato, comprende ogni ipotesi in cui ad un soggetto sia
permesso di difendere un proprio interesse semplicemente tramite una propria
attività stragiudiziale idonea a garantirne la conservazione: esempio tipico dello
strumento de quo sarebbe rappresentata dall’eccezione di inadempimento ex
art.1460 c.c., la quale tuttavia, per i motivi già esposti, si presenta inutilizzabile
allorché si tratti di contratti ad efficacia reale.
Dunque in quel caso potrebbero essere le parti, nell’esercizio della loro autonomia
privata, al fine di ovviare al pericolo, cui è esposta una di esse, di perdere il
proprio diritto senza ottenere l’attribuzione corrispettiva, a predisporre un atipico
meccanismo di autotutela con l’inserimento nel regolamento negoziale della
condizione sospensiva di adempimento.
Né a ciò osterebbe la circostanza che, secondo opinione consolidata, gli strumenti
di autotutela sono eccezionali e tipicamente previsti dalla legge, in quanto è
proprio quest’ultima che offre ai privati la facoltà di utilizzare il meccanismo
condizionale quale via per attribuire rilevanza ai motivi individuali.
Con riferimento particolare all’ammissibilità della condizione risolutiva di
inadempimento, tale orientamento 13 pone invece in evidenza le divergenze che
intercorrono tra la disciplina della risoluzione del contratto e quella della
condizione per dimostrare come sia possibile che le parti, nel dedurre
l’inadempimento in condizione risolutiva, mirino ad usufruire di alcune
conseguenze che discendono dall’applicazione della disciplina della condizione e
che sono estranee invece agli artt.1453 ss. c.c., ossia a) l’effetto risolutivo ipso
iure, che prescinde dal ricorso all’autorità giudiziaria e quindi da una pronuncia
costitutiva di essa; b) la retroattività reale, vale a dire erga omnes, di cui abbiamo
già detto nel paragrafo precedente e che si distingue da quella semplicemente
obbligatoria inter partes sancita invece dal meccanismo della risoluzione del
contratto ex art.1458 c.c..14
Si chiarisce altresì di essere ben consapevoli che, in virtù dell’applicazione della
disciplina della condizione, la deduzione in condizione risolutiva
dell’inadempimento conduce all’assenza di responsabilità ex art.1218 c.c.
nell’ipotesi di verificarsi della condizione, ma a tal proposito si afferma che “non
può escludersi ed anzi appare niente affatto strano che l’interesse principale di
12
LENZI, op. cit., pp. 114 ss..
13
LENZI, op. cit., pp. 84 ss..
14
A tal proposito si veda anche MAIORCA, voce Condizione, in Digesto disc. civ., V, I, Torino,
1987, p. 277, che sostiene in particolar modo la maggiore efficacia della tutela approntata dal
meccanismo condizionale rispetto a quella offerta dal sistema della clausola risolutiva espressa.
6
una delle parti non sia tanto il risarcimento dei danni e l’esecuzione in forma
specifica bensì sia nel senso di liberarsi rapidamente da ogni vincolo contrattuale,
ritornando alla situazione precedente la conclusione del contratto senza che gli
effetti interinamente prodotti possano pregiudicare il proprio originario diritto.
Da un lato i tempi delle azioni giudiziali rispetto ad una soluzione automatica e
quindi rapida, dall’altro la maggior garanzia determinata dalla retroattività erga
omnes rispetto alla mera retroattività inter partes possono giustificare, anche
sotto un profilo logico, l’interesse di un contraente a perseguire le proprie
esigenze di tutela mediante l’adozione di una siffatta clausola condizionale in
luogo dei meccanismi risolutori tradizionali”; e ancora che “il modello legale
previsto dall’art.1456, adottato dall’ordinamento come quello più rispondente
all’interesse della parte non inadempiente, costituisce una scelta del legislatore
che non esclude una valutazione da parte dei contraenti e quindi l’adozione di un
regolamento negoziale che rafforzi l’operatività del meccanismo risolutivo,
privilegiando la tutela reale e la rapidità di attuazione rispetto alla tutela
risarcitoria”.15
In altri termini, secondo questa impostazione, in caso di inadempimento l’altra
parte può preferire liberarsi a sua volta immediatamente da ogni impegno nei
confronti della parte inadempiente e di qualsiasi soggetto che in virtù del negozio
rimasto ineseguito abbia acquisito diritti, piuttosto che dare vita, al fine di ottenere
l’adempimento oltre l’eventuale risarcimento del danno, ad una controversia
giudiziale dai tempi, costi ed esiti incerti.
L’autore peraltro qualifica la condizione di inadempimento quale unilaterale e
come tale rinunziabile dal contraente nel cui interesse è posta, in modo tale da non
privarlo necessariamente della tutela legale, che la parte rimarrebbe sempre libera
di invocare abbandonando l’opzione del meccanismo condizionale.
Ecco perché, sempre secondo l’opinione in esame, la condizione risolutiva di
inadempimento è dotata del requisito dell’estrinsecità, “in quanto mediante tale
clausola i soggetti mirano alla realizzazione di interessi diversi, anche se solo
nelle modalità e nei tempi, e quindi esterni rispetto agli interessi la cui attuazione,
secondo lo schema puro, costituisce il sistema interno di interessi predisposto
dall’ordinamento”.16
Le obiezioni concernenti il requisito dell’accidentalità sono superate, invece,
affermando che l’adempimento è dedotto in condizione come fatto storico e non
come una previsione contrattuale e, in quanto tale, esso non incide sull’esistenza
del negozio, bensì solamente sulla sua esecuzione: pertanto non ricorrerebbe
difetto originario ex art.1418 c.c. né di causa -semmai solamente sopravvenuto, il
che tuttavia nel nostro ordinamento, come noto, determina l’inefficacia del
contratto e non la sua invalidità- né di oggetto.17
L’istituto della vendita con riserva di proprietà, si aggiunge a sostegno di quanto
sopra, da questo punto di vista rappresenterebbe un tipico esempio di negozio
condizionato sospensivamente in cui evento dedotto è proprio l’adempimento
dell’acquirente 18 , mentre lo studio della figura giuridica della vendita di cosa
futura fornirebbe elementi utili all’indagine in questione in quanto negozio che,
condizionato sospensivamente alla venuta ad esistenza della cosa intesa anch’essa
15
LENZI, op. cit., p. 96.
16
LENZI, op. cit., p. 19.
17
LENZI, op. cit., pp. 22 e 38; cfr. anche COSTANZA, op. e loc. cit., la quale, in ordine all’obiezione
rappresentata dall’incompatibilità tra l’accidentalità della clausola condizionale e l’essenzialità
della prestazione da adempiere, sostiene che essa possa essere agevolmente superata “sia
attraverso la distinzione fra prestazione e adempimento, sia rilevando che non tutte le prestazioni
contrattuali costituiscono elementi essenziali dell’atto”.
18
LENZI, op. cit., pp. 48 ss..
7
come fatto storico, sarebbe completo fin dall’inizio essendo munito ab origine
anche dell’oggetto ex art.1346 c.c..19
Sempre recentemente è stata sostenuta l’ammissibilità della condizione di
adempimento contestando all’opinione contraria che, comunque si intenda il
concetto di essenzialità, in ogni caso l’adempimento non può essere qualificato
quale elemento essenziale del contratto. 20
Si afferma infatti che, qualora essenzialità volesse dire “tipicità”, allora la
deduzione in condizione dell’adempimento determinerebbe soltanto l’atipicità del
negozio e non la sua invalidità o inefficacia.
Se invece il riferimento fosse ad un elemento necessario alla validità od esistenza
del contratto, allora l’obiezione agevole sarebbe che il negozio inadempiuto non è
invalido ma semmai solo inefficace.
Se infine si facesse coincidere l’essenzialità con l’attitudine a rappresentare
elemento imprescindibile per il permanere della logica regolamentare del
programma negoziale, allora pure il requisito sarebbe soddisfatto perché,
eliminando la condizione di adempimento, il contratto non verrebbe a perdere la
propria compiutezza regolamentare.
Ma un momento importante dell’orientamento in parola ci pare essere la
comparazione tra il meccanismo delle c.d. vendite obbligatorie e quello della
condizione di adempimento.
L’autore sopra richiamato premette di concordare con chi ritiene che le vendite in
questione non siano da annoverare tra i negozi condizionati 21 , volendo però
specificare che ciò trova la propria ragione non nel carattere doveroso del
pagamento del prezzo (nella vendita con riserva di proprietà) o della venuta ad
esistenza della cosa (nella vendita di cosa futura), quanto invece nella
considerazione che in quelle ipotesi gli elementi sopra citati rivestono un ruolo
inerente alla stessa struttura del contratto e dunque non esercitabile dalla
condizione.
Ma la circostanza -questo è il punto fondamentale- che in via eccezionale
l’ordinamento faccia assurgere ad elementi costitutivi della fattispecie elementi
che di regola non sono tali, non autorizza a ritenere che in via generale gli stessi
debbano considerarsi sempre essenziali e quindi non deducibili mai in condizione.
In altri termini l’adempimento nelle c.d. vendite obbligatorie è necessario al
perfezionamento di una fattispecie tipica a formazione successiva, mentre al di
fuori di quell’ambito, per i motivi già illustrati, la sua mancanza non impedisce il
perfezionamento del contratto e dunque è liberamente deducibile in condizione
dalle parti nell’esercizio della loro autonomia privata.22
Coloro che sostengono il contrario, sempre secondo l’opinione in esame,
confondono il piano della previsione del regolamento con quello della sua
esecuzione in concreto: anche in una vendita sottoposta alla condizione del
pagamento del prezzo le parti prevedono che l’acquirente sia tenuto al versamento
del corrispettivo; così il contratto risulta munito sia di una sua causa sia di un suo
oggetto, mentre la circostanza che successivamente il comportamento della parte
non sia conforme all’obbligo assunto non influisce minimamente sulla ricorrenza
di quegli elementi richiesti dall’art.1325 c.c., a meno che si voglia confondere “il
19
LENZI, op. cit., pp. 24 ss., in particolar modo p. 31.
20
AMADIO, La condizione di inadempimento - contributo alla teoria del negozio condizionato,
Padova, 1996, pp. 124 ss..
21
In tal senso, di recente, ALCARO, Vendita con riserva della proprietà, nel Trattato dei contratti
diretto da Rescigno e E. Gabrielli, Torino, 2007, Vol. VII, Tomo II, pp. 737 ss. ed in particolar
modo pp. 746 ss.; v. anche GAZZARA, op. cit., p. 59.
22
V. sulla tematica GROSSI, L’interpretazione delle vendite obbligatorie in chiave condizionale:
rilievi critici e profili ricostruttivi, in quest’opera, Cap. 7.
8
profilo statico dell’elemento essenziale alla struttura del rapporto” con il “profilo
dinamico del suo divenire”23.
Peraltro, con particolare riferimento alla causa del contratto, viene definita come
superata la tradizionale configurazione dell’inadempimento come difetto
funzionale di causa, avendo la dottrina più attenta 24 individuato il ruolo della
causa del contratto nella tutela giuridica non dell’effettiva produzione degli effetti
negoziali, bensì dell’astratta capacità del contratto a produrli al momento della sua
stipula.
Dopo aver chiarito che l’esecuzione, o l’inesecuzione, del contratto possono
rappresentare l’evento futuro ed incerto dedotto in condizione in quanto dotati
della caratteristica dell’accidentalità, l’attenzione dell’orientamento de quo si
concentra nel dimostrare che, a prescindere dalla possibilità di utilizzare il
meccanismo condizionale quale strumento di rafforzamento degli interessi
interni,25 comunque “la condizione di inadempimento appare finalizzata a tutelare
un risultato (e quindi un intento) che tra quegli interessi non rientra”.26
Infatti, si spiega, l’interesse interno consiste nell’ottenere la prestazione, mentre è
interesse esterno l’ottenere una ricomposizione qualitativa del patrimonio in
seguito all’inadempimento, che è vero già soddisfatto dal meccanismo risolutorio,
ma che è perseguito più efficacemente, per i motivi già visti sopra, attraverso
l’inserimento di una condizione di inadempimento; in altri termini quest’ultima
rafforza degli interessi, che però non sono interni, bensì esterni.
Il fatto poi che sia la legge a prevedere il meccanismo risolutorio non è altro che
la riprova, si conclude, dell’estraneità al regolamento negoziale dell’interesse
perseguito.27
Infine, parimenti l’orientamento in esame contesta la presunta carenza nel
fenomeno in parola dell’incertezza richiesta dall’art. 1353 c.c.: infatti “la
doverosità della prestazione, se intesa come necessità ideale, non elimina
l’incertezza della sua esecuzione spontanea, la quale, dal canto suo, rappresenta
l’evento autenticamente dedotto in condizione”.28
31
PETRELLI, op. e loc. cit..
32
PETRELLI, op. e loc. cit..
33
Obiezione sollevata da SANTORO PASSARELLI, op. e loc. cit..
10
potrebbe rinunciare anche preventivamente; dall’altro lato, anch’essi, la natura
unilaterale della condizione di inadempimento, da cui deriva la facoltà per la parte
di rinunciare al meccanismo condizionale, con conseguente applicazione di quello
risolutorio.
Tuttavia -prosegue il pensiero in esame- anche laddove non si concordasse con
quanto sopra, comunque ben potrebbe configurarsi un evento condizionale
complesso, rappresentato cioè sia dall’inadempimento, sia dal mancato esercizio
delle azioni ex artt. 1453 ss. c.c.., il che rimetterebbe ancora una volta alla parte
interessata il potere di scegliere tra la tutela offerta dal meccanismo condizionale e
quella invece approntata dal meccanismo risolutorio.
In relazione all’efficacia della risoluzione nei confronti dei terzi34, la costruzione
in parola si limita infine a ribadire le ragioni che giustificano la diversità di
disciplina che intercorre tra lo schema delineato dall’art.1458 comma 2 c.c. e
quello ex art. 1357 c.c.: nel primo caso esiste la necessità di tutelare l’affidamento
dei terzi, in quanto il contratto appariva quale definitivamente efficace, mentre la
sopravvenuta efficacia dipende esclusivamente dall’aprirsi di una fase patologica;
nel secondo invece l’esigenza in questione manca perché i terzi sono avvertiti
della natura condizionata del negozio e conseguentemente della circostanza che la
sua efficacia definitiva dipende dal verificarsi o meno di un evento per sua natura
incerto.
In conclusione “l’elasticità del meccanismo condizionale consente una pluralità
di modalità operative, dalla condizione sospensiva alla risolutiva, dal
condizionamento globale dell’efficacia contrattuale all’apposizione della
condizione alla sola prestazione traslativa, diversamente graduabili in base alla
consistenza degli interessi in gioco, e dimostratesi maggiormente idonee, sia sotto
il profilo sostanziale che -con particolar riferimento alla condizione sospensiva-
sotto quello fiscale, di altre forme di garanzia previste dal codice, quali la vendita
con riserva di proprietà e l’ipoteca legale” 35.
L’opinione favorevole all’ammissibilità del fenomeno giuridico in parola non è
stata espressa solo recentemente, bensì trova sostenitori autorevoli anche in chi36,
già tempo addietro, ebbe a ritenere preferibile la tesi che ravvisa nella distinzione
tra momento programmatico e momento esecutivo nella dinamica del contratto
l’argomento principale per superare ogni obiezione concernente la pretesa assenza
di causa nella compravendita condizionata al pagamento del prezzo.
In altri termini è l’obbligo di eseguire la prestazione a non poter essere dedotto,
mentre la sua concreta esecuzione rappresenterebbe invece un perfetto esempio di
evento futuro ed incerto deducibile in condizione.
34
In relazione a ciò ha sostenuto l’inammissibilità della condizione risolutiva di inadempimento
per violazione del principio di relatività del contratto ex art. 1372 c.c. COSTANZA, op. e loc. cit., v.
sopra nota 5.
35
PETRELLI, op. e loc. cit., che afferma ciò anche alla luce di quanto sopra e della circostanza che
il trasferimento di un bene sospensivamente condizionato all’adempimento sconta, al momento
della conclusione del contratto, solamente in misura fissa l’applicazione delle imposte di registro,
ipotecarie e catastali, essendo rinviata al momento dell’avveramento della condizione
l’applicazione in misura proporzionale ex artt. 27 e 19 D.P.R. 1986 n.131 ed ex art. 13 D.Lgs.
1990 n.347, nonché dell’imposta sul valore aggiunto (art.6, primo comma, D.P.R. 1972 n. 633) e
dell’imposta sull’incremento di valore degli immobili (art. 31 D.P.R. 1972 n. 643); l’Autore rileva
inoltre che, in quanto potestativa e non meramente potestativa, la condizione di adempimento non
è esclusa dall’applicazione delle disposizioni citate in narrativa.
36
CAPOZZI, Dei singoli contratti, Vol. I, Milano, 1988, p. 37-38; nello stesso senso MARMOCCHI,
Della condizione di adempimento della prestazione, in Riv. not., 1983, pp. 482 ss.; LENZI, In tema
di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, in Riv. not., 1986, pp.
87 ss..
11
Qualora ciò avvenisse, anche la costruzione in esame sostiene che il creditore non
verrebbe a perdere neppure la possibilità di chiedere l’adempimento ed il
risarcimento del danno, poiché la condizione, in quanto unilaterale, sarebbe
inserita nel contratto nel suo interesse esclusivo e ad essa egli potrebbe ben
rinunciare.
Contemporaneamente diversa dottrina37, altrettanto autorevole, si preoccupava di
precisare la natura potestativa, ma non meramente potestativa, della condizione de
qua, attesa, da un lato, l’apprezzabile valutazione di convenienza che l’acquirente
pone in essere nel decidere se scegliere o meno di eseguire la prestazione dovuta,
consapevole che nel secondo caso verrebbe inesorabilmente a subire l’inefficacia
del contratto; dall’altro la meritevolezza di tutela anche dell’interesse del
venditore ad usufruire di un meccanismo che elimina la necessità di esperire
azioni giudiziarie in caso di inadempimento.
Infine altri,38 ancor prima, affermarono che, nonostante gli argomenti contrari alla
condizione di adempimento siano da considerarsi seri, comunque non possa
escludersi che il meccanismo condizionale sia utilizzato non per il perseguimento
di interessi esterni, bensì unicamente per rafforzare quelli interni, poiché l’essenza
dell’istituto in parola è quello di stabilire la prevalenza o subordinazione di alcuni
interessi rispetto ad altri, indipendentemente dalla loro specie.
Né, concludono gli stessi, ciò alterebbe lo schema causale dell’operazione
negoziale, in quanto significherebbe solo che “la tutela giuridica (della
realizzazione) di tali interessi, anziché essere affidata per es. allo strumento
dell’obbligo, risulta invece affidata all’operare della condizione”.
37
GALGANO, op. cit., p. 144.
38
DI MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 177-180.
39
CASS., 24 febbraio 1950, n. 433, inedita; CASS., 10 luglio 1954, n. 2446, loc. cit.; CASS., 15
ottobre 1957, n. 3848, in Rep. Foro it., 1957, 1726; CASS., 21 dicembre 1962, n. 3398, in Foro it.,
1963, I, 545; CASS., 7 marzo 1966, n. 649, in Mass. Foro it., 1966, 218; CASS., 3 gennaio 1970, n.
8, in Foro it., 1970, I, 1488, in Giust. civ., 1970, I, 166.
40
CASS., 7 marzo 1966, n. 649, loc. cit..
12
del compratore, nonchè quello gravante sull'alienante di ottenere dall'autorità
amministrativa il cambio di destinazione urbanistica ancora prima della stipula del
definitivo: ebbene, in quella occasione, la S.C., pretendendosi di interpretare
siffatte prestazioni quali eventi dedotti in condizione sospensiva al cui verificarsi
era subordinata l'efficacia del contratto preliminare, affermò che ciò non era
possibile in quanto si trattava di elementi essenziali del negozio giuridico e
specialmente dell'obbligazione principale del compratore e di quella accessoria
gravante sul venditore.
Non rileva cioè, secondo l'orientamento in esame, che la prestazione prevista nel
contratto non sia caratterizzante il tipo negoziale adottato, che essa non sia
principale ma accessoria: in ogni caso l'interprete non può ravvisare la presenza di
una condizione tacita di adempimento.
Un secondo filone 41 mostra invece di voler nettamente distinguere tra prestazioni
principali e prestazioni accessorie, in modo da tale da ritenere che le seconde
possano costituire eventi dedotti in altrettante condizioni tacite di adempimento: a
tale conclusione la S.C. giunge indirettamente, ossia ribadendo l'inammissibilità
della condizione tacita di adempimento, ma precisando questa volta che ciò vale
solo qualora la prestazione sia principale.
Così, affrontando una fattispecie 42 relativa ad una transazione -tramite la quale le
parti erano addivenute alla risoluzione amichevole di una controversia avente ad
oggetto l'esecuzione di un contratto di appalto- che si pretendeva essere sottoposta
alla condizione sospensiva che tutti gli obblighi ivi previsti fossero adempiuti, la
Cassazione ebbe a precisare che ciò non poteva ammettersi essendo l'elemento
caratterizzante del contratto di transazione proprio la circostanza che le parti si
concedono reciprocamente delle rinunzie rispetto alle proprie opposte ed
originarie pretese: una conclusione diversa sarebbe, secondo la S.C., basata su di
un criterio "giuridicamente erroneo, perchè confonde la natura giuridica della
condizione, elemento accidentale del negozio, con la prestazione che costituisce
l'oggetto necessario del negozio stesso".
Medesime considerazioni sono alla base anche di una successiva pronuncia della
nostra giurisprudenza di legittimità 43 , la quale, di fronte ad una clausola
interpretata quale condizione risolutiva di inadempimento, ha ribadito
l'inconciliabilità tra meccanismo condizionale e prestazioni principali, giungendo
a ritenere la condizione in esame quale impossibile giuridicamente e dunque da
considerarsi come non apposta ex art. 1354 c.c.: dunque, questa volta, la S.C. non
rifiuta l'idea che le parti abbiano voluto dedurre in condizione l'inadempimento,
bensì ne prende atto, ma, allo stesso tempo, "boccia" questa previsione
catalogandola come impossibile giuridicamente.
Nel caso di specie le parti conclusero un contratto di cessione avente ad oggetto la
posizione di promissario acquirente di un complesso immobiliare, stabilendo
altresì che la somma corrisposta dal cessionario fosse posta in deposito presso un
istituto bancario e svincolata solo al momento della consegna da parte del cedente
di una determinata concessione edilizia necessaria per l'ampliamento del
complesso immobiliare in questione: nonostante si trattasse di una prestazione
evidentemente accessoria la Cassazione, come detto, affermò che "nella cessione
di un contratto a titolo oneroso la condizione risolutiva, cui sia assoggettata
l'obbligazione del cessionario relativa al pagamento del prezzo, costituendo tale
obbligazione elemento costitutivo del contratto, è inconciliabile con la causa di
41
CASS., 20 ottobre 1972, n. 3154, in Foro it., 1973, I, 1664 ss., in Giur. it., 1973, I, 1, 1068;
CASS., 14 febbraio 1975, n. 566, in Mass. Foro it., 1975.
42
CASS., 20 ottobre 1972, n. 3154, loc. cit..
43
CASS., 24 giugno 1993, n. 7007, in Giur. it., 1994, I, 1, 902.
13
detto negozio, con la conseguenza che va ritenuta impossibile ai sensi dell'art.
1354 c.c. e, quindi, come non apposta” e che “l'obbligazione con la quale chi cede
la posizione di promissario acquirente si impegna a conseguire una concessione
edilizia, integra gli estremi del mandato "in rem propriam" quando il pagamento
del prezzo della cessione medesima sia condizionato al rilascio di tale
concessione. Essendo il prezzo elemento essenziale del contratto di cessione, deve
conseguentemente ritenersi come non apposta ai sensi dell'art. 1354 comma 2 c.c.
la clausola con cui la corresponsione del prezzo viene dalle parti condizionata al
rilascio di una concessione edilizia”.
Infine è da segnalare che nel panorama giurisprudenziale contrario
all'ammissibilità della condizione di adempimento è possibile riscontrare anche un
ulteriore argomento utilizzato dalla S.C. a fondamento della propria posizione,
ossia la mancanza del requisito dell'incertezza: nel caso di specie 44 era stato
stipulato un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un terreno
edificabile e subordinata l'efficacia del contratto all'ottenimento da parte della
società promissaria acquirente di sufficienti finanziamenti bancari; si trattava di
stabilire dunque se il conseguimento del finanziamento rappresentasse evento
dedotto in condizione oppure se l'attività necessaria al raggiungimento di tale
risultato costituisse oggetto di un'obbligazione di facere assunta dalla promissaria
acquirente
La Cassazione in tale occasione affermò che la prestazione a carico di una delle
parti non può essere oggetto di condizione a causa del suo carattere di doverosità
che la contraddistingue; in altri termini, indipendentemente dal fatto che essa in
concreto sia eseguita o meno, quantomeno dal punto di vista giuridico, è certo che
essa sarà eseguita e dunque difetta, come detto, il requisito dell'incertezza, atteso
che l'evento dedotto in condizione deve essere, come noto, futuro ed incerto
(laddove l'incertezza implica l'impossibilità per alcuna delle parti di prevedere
ragionevolmente il verificarsi o meno della condizione).
44
CASS., 5 gennaio 1983, n. 9, in Giust. civ., 1983, I, 1524 ss..
45
Si vedano in questo senso CASS., 8 febbraio 1963, n. 226, in Foro it., Rep. 1963, voce
Obbligazioni e contratti, n. 166; CASS., 7 marzo 1966, n. 649, in Giust. civ., Rep. 1966, voce
14
In particolar modo con una fondamentale sentenza del 1975 46 la S.C. ebbe a
pronunciarsi su di una permuta avente ad oggetto la proprietà di un terreno
edificabile da un lato, e la proprietà di alcuni immobili che la parte acquirente si
obbligava a costruirvi dall’altro; in tale occasione è stato affermato che “il
principio dell’autonomia negoziale importa che le parti, salvo il rispetto di norme
imperative, possono non solo stipulare contratti atipici, ma, pur nell’ambito di un
contratto tipico, modificare il regolamento dei propri interessi secondo l’assetto
che ritengano più opportuno”.
La Cassazione tentò altresì in quella circostanza di fornire all’operatore una
disciplina concreta applicabile, cercando di ovviare alle possibili interferenze tra
meccanismo risolutorio ex artt. 1453 ss. e quello condizionale; si stabilì infatti la
possibilità per il soggetto legittimato di domandare alternativamente la risoluzione
oppure l’accertamento del mancato verificarsi della condizione, nonché la
possibilità di domandare la risoluzione sia in pendenza della condizione -cioè per
violazione di obblighi contrattuali distinti da quelli dedotti in condizione- sia
dopo il suo mancato avverarsi -vale a dire in conseguenza della mancata
esecuzione proprio della prestazione dedotta in condizione-.
Tale “abbozzo” di disciplina è il frutto dell’idea, espressa nella stessa sentenza in
parola, per cui, una volta dedotta una prestazione principale in condizione, essa
non cessa di costituire oggetto di un’obbligazione contrattualmente assunta quale
corrispettivo di una controprestazione, ma oltre a ciò viene anche a rappresentare,
per espressa previsione delle parti, evento condizionante: ne deriva
inevitabilmente che sia la disciplina ordinaria della risoluzione del contratto sia
quella ex artt. 1353 ss. c.c. sono liberamente applicabili dalle parti.
La sentenza del 1975 di cui sopra è stata poi alla base di successive pronunce che
hanno confermato l’orientamento appena esposto47 , avendo modo di specificare
altresì che, in mancanza di una previsione espressa della condizione di
adempimento, l’interprete è tenuto, attraverso l’applicazione dei canoni
contemplati dagli artt. 1362 ss. c.c., ad indagare in ordine all’esistenza di una
volontà implicita delle parti di dedurre l’adempimento/inadempimento in
condizione. 48
Obbligazioni e contratti, n. 159; CASS., 8 novembre 1967, n. 2701, in Mass. Giust. civ., 1967,
1402; CASS., 10 ottobre 1975, n. 3229, in Riv. legisl. fisc., 1976, p. 258; CASS., 9 maggio 1977, n.
1767, e CASS., 10 maggio 1977, n. 1805, entrambe in Giur. It., 1977, I, 1, c. 1259 ss.; CASS., 29
settembre 1977, n. 4159, in Giust. civ., 1978, I, 526 ss.; CASS., 17 gennaio 1978, n. 192, in Mass.
Giust. civ., 1978, 78; CASS., 9 dicembre 1982, n. 6713, in Mass. Giust. civ., 1982, 2770; CASS., 16
febbraio 1983, n. 1181, in Riv. not., 1983, 481 ss.; CASS., 24 febbraio 1983, n. 1432, in Mass. Giur.
It., 1983, c. 374; CASS., 9 aprile 1983, n. 2529, in Mass. Giust. Civ., 1983, 892 ss.; CASS., 8 agosto
1990, n. 8051, in Foro it., Rep. 1990, voce Contratto in genere, n. 256; CASS., 12 ottobre 1993, n.
10074, in Mass. Giust. civ., 1993, 1461; CASS., 3 marzo 1997, n. 1842, in Corriere giur., 1997,
1102 ss.; CASS., 8 aprile 1999, n. 3415, in Notariato, 1999, 407.
46
CASS., 10 ottobre 1975, n. 3229, in Riv. legisl. fisc., 1976, 258.
47
CASS., 16 febbraio 1983, n. 1181, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 2, Riv. notariato 1983, 481.
48
CASS., 8 agosto 1990, n. 8051, in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 8, in cui è stato affermato che
“per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del negozio giuridico,
come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico
dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale
previsto all'art. 1322 c.c. - dal quale deriva il potere delle parti di determinare liberamente, entro
i limiti imposti dalla legge, il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita
all'uno piuttosto che all'altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata -
i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante (in senso sospensivo o
risolutivo dell'efficacia) il concreto adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni
principali del contratto; con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla
esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte
che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la prova ed al giudice del merito compiere
15
Più recentemente la S.C. ha confermato ulteriormente l’ammissibilità della
clausola de qua, provvedendo tuttavia a spiegare il fenomeno giuridico in esame
ricorrendo ad un altro istituto, quale segnatamente il recesso convenzionale
disciplinato dall’art. 1373 c.c..
La sentenza in parola49, infatti, da un lato conferma l’assunto per cui l’autonomia
dei privati consente agli stessi di dedurre in condizione l’inadempimento,
dall’altro, equiparando detta condizione risolutiva al recesso, esclude ogni
responsabilità ex art. 1218 c.c. in caso di mancato avveramento della condizione
risolutiva di inadempimento, apportando dunque una novità assai significativa
rispetto alle precedenti pronunce.
Peraltro nello stesso anno la S.C., esaminando una fattispecie caratterizzata da
contratto di vendita di azioni di società nel quale il cessionario si era impegnato a
far conseguire ai cedenti la liberazione dalle fideiussioni prestate verso la società
per debiti sociali, ha provveduto altresì a rigettare il ricorso avverso la sentenza
della Corte di Appello che aveva interpretato la clausola in questione quale
condizionante in via sospensiva l'effetto traslativo dei titoli, atteso che “la
previsione di una prestazione contrattuale come condizione sospensiva è
ammissibile nei contratti ad effetti reali, come la compravendita, potendo questa,
come qualunque contratto ad effetti reali, non spiegare gli effetti suoi propri sino
a quando non sia realizzata la condizione sospensiva prevista”.50
In sostanza se ne deduce che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il potere di
autonomia dei privati, laddove esercitato per fini meritevoli di tutela, è tale da
derogare ad ogni norma avente carattere non imperativo, tra cui anche l’art. 1376
c.c. nella parte in cui prevede l’efficacia reale immediata di ogni contratto
traslativo sulla base del semplice consenso legittimamente manifestato.
Assai recentemente, infine, la S.C. ha consolidato l’orientamento in esame e
precisato ulteriormente che peraltro l’assenza di responsabilità ex art. 1218 c.c.
non è una caratteristica inevitabile del fenomeno giuridico in parola, poiché se
l’elemento accidentale de qua è inserito nel regolamento negoziale
esclusivamente nell’interesse di una delle parti -che questo sia previsto
espressamente o risulti implicitamente- la parte in questione può rinunciare
all’applicazione del meccanismo condizionale ed invocare la responsabilità
contrattuale determinata ex adverso. 51
Nella specie, è stato ritenuto che configurasse una condizione risolutiva, e non una
clausola risolutiva espressa, la pattuizione con cui le parti avevano previsto,
nell'interesse esclusivo del vitaliziato, la risoluzione del contratto di rendita
vitalizia nel caso di mancato pagamento da parte del vitaliziante di due rate.
una approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti”; v. anche CASS., 12 ottobre
1993, n. 10074, in Giust. civ. Mass. 1993, 1461 (s.m.).
49
CASS., 24 novembre 2003, n. 17859, in Giust. civ. Mass. 2003, 11, in cui è stato stabilito che
“poiché le parti possono, nell'ambito dell'autonomia privata, prevedere l'adempimento o
l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del contratto sia in senso
sospensivo che risolutivo, non configura una illegittima condizione meramente potestativa la
pattuizione che fa dipendere dal comportamento - adempiente o meno - della parte l'effetto
risolutivo del negozio, e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi
dell'evento dedotto in condizione ma anche perché tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di
recesso unilaterale dal contratto - il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli
interessi della stessa parte - non subordina l'efficacia del contratto a una scelta meramente
arbitraria della parte medesima. Ne consegue che l'avveramento della condizione di fatto non
costituisce atto illecito e non è perciò fonte di obbligazione risarcitoria”; V. anche CASS., 6 agosto
2004, n. 15161, in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8.
50
CASS., 25 marzo 2003, n. 4364, in Giust. civ. Mass. 2003, 593.
51
CASS., 15 novembre 2006, n. 24299, in Giust. civ. Mass. 2006, 11; in ordine a tale sentenza v.
infra par. 7.
16
6. Osservazioni conclusive sulla condizione sospensiva di adempimento: il
problema della causa
Una delle più importanti obiezioni che abbiamo visto essere mosse avverso
l’ammissione del fenomeno giuridico di cui in oggetto è indubbiamente
rappresentata dalla mancanza di causa che condurrebbe alla declaratoria di nullità
ex art. 1418 c.c..52
A tale obiezione, come è stato ampiamente esaminato, si ribatte affermando che la
condizione non ha ad oggetto la volontà di una parte di adempiere, quanto
piuttosto l’evento dell’adempimento considerato come fatto storico, onde il
mancato verificarsi della condizione determina la definitiva inefficacia di un
contratto tuttavia pienamente valido; chi afferma il contrario, è stato detto,
confonde il profilo statico del rapporto con quello dinamico del suo divenire, vale
a dire la fase di formazione del contratto con quella della sua esecuzione.53
Per verificare se un contratto sottoposto a condizione sospensiva di adempimento
sia munito o meno di causa è tuttavia indispensabile quantomeno accennare
brevemente alla pur nota evoluzione che quest’ultimo concetto ha subito in
dottrina dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi.
Come è noto, la teoria tradizionale, formatasi successivamente alla promulgazione
del codice civile del 1942, definiva l’elemento in parola quale oggettiva funzione
economico-sociale del contratto, ponendo cioè l’accento sulla sua capacità di
assurgere a tecnica di controllo della conformità degli interessi perseguiti dalle
parti a quelli invece, di natura sociale ed economica, fatti propri dall’ordinamento
statale.54
Tale nozione di causa è ben presto entrata in crisi e così, anche alla luce dei nuovi
valori costituzionali di libertà economica, la dottrina ha posto in essere un vero e
proprio ribaltamento di prospettiva che ha permesso di concepire la causa non più
solo come lo strumento in mano all’ordinamento per reprimere o limitare il potere
di autonomia dei privati, ma anche, ed anzi in primo luogo, come criterio guida su
cui l’interprete deve basare l’attività ermeneutica al fine di assicurare la “tutela
dell’un contraente nei riguardi dell’altro (…) degli scopi od obiettivi che
ciascuno dei contraenti si pone quando entra in rapporto con altri”.55
52
V. sopra nota 3.
53
Variamente LENZI, op. cit., pp. 22 e 38; AMADIO, op. cit., pp. 124 ss.; CAPOZZI, op. e loc. cit..
54
Esponente principale di tale orientamento è BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, nel
Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1960, pp. 170 ss.; cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla
teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, pp. 149 ss.; GORLA, Il contratto. Problemi
fondamentali trattati con il metodo comparatistico e casistica, I, Lineamenti generali, Milano,
1954, pp. 8 ss.; ID., Causa, consideration e forma nell’atto di alienazione inter vivos, in Riv. dir.
comm., 50, 1952, I, pp. 173 ss.: ID., In tema di causa e tipo nella teoria del negozio giuridico (a
proposito di un recente libro), in Riv. trim. dir. proc. civ., 21, 1967, pp. 1497 ss.; ID., La causa nel
pensiero dei giuristi di common law, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz nel XLV anno del suo
insegnamento, Vol. III, Napoli, pp. 319 ss.; GIORGIANNI, op. e loc. cit.; MESSINEO, Teoria
generale del contratto, Milano, 1946, pp. 52 ss.; ID., Manuale di diritto civile e commerciale,
Milano, 1957, p. 491; ID., Il contratto in genere, I, nel Trattato di diritto civile e commerciale
diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1973, pp. 103 ss.; ID., voce Contratto (dir. priv.), in Enc. del
dir., Vol. IX, Milano, 1961, pp. 825 ss.; ID., voce Contratto innominato (atipico), in Enc. del dir.,
Vol. X, Milano, 1962, pp. 95 ss.; SANTORO PASSARELLI, op. cit., pp. 127 ss. e 172 ss.; PUGLIATTI,
Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, in Diritto civile, Metodo - Teoria- Pratica
(Saggi), Milano, 1951, pp. 105 ss..
55
DI MAJO, voce Causa del negozio giuridico, in Enciclopedia giuridica, 1988, par. 1.3.
17
Si è passati dunque dalla definizione di causa come funzione economico-sociale
del contratto a quella di funzione economico-individuale, nel duplice senso a) di
restituire alla libertà contrattuale l’originario primato sui limiti posti alla sua
esplicazione da parte dell’ordinamento -concependo quest’ultimi, in altri termini,
non più come la regola bensì come l’eccezione-; b) di considerare non più solo gli
interessi ed obiettivi che il legislatore ha in via generale ed astratta ipotizzato che
le parti possano perseguire, ma anche e soprattutto gli scopi e le finalità che in
concreto e specificamente i contraenti intendano conseguire attraverso
l’attuazione del regolamento negoziale.56
Ciò premesso, il “curioso” destino della causa del contratto ha visto questo
concetto trasformarsi negli ultimi anni, nel dibattito dottrinale, da elemento
indefettibile della teoria del negozio giuridico a requisito del contratto di cui oggi
è discussa perfino la necessità, e questo soprattutto in conseguenza della recente
diffusione nel nostro ordinamento del c.d. nuovo diritto dei contratti di
derivazione comunitaria: esso infatti (fornendo una disciplina speciale che,
dipendendo il suo ambito di applicazione da una qualità soggettiva o condizione
della parte, dà vita alla costituzione di un nuovo vero e proprio statuto) si
preoccupa di proteggere il c.d. contraente debole -e quindi di giudicare sotto
questo profilo la meritevolezza di tutela dell’assetto di interessi configurato dalle
parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale- non più attraverso il ricorso
ad una nozione generica ed astratta quale quella di causa, bensì incidendo
direttamente sul piano del contenuto del contratto al fine di garantire un giusto
assetto, imponendo obblighi di trasparenza e condotta che scongiurino il pericolo
di un’ingiustificata asimmetria informativa e che assicurino un certo grado di
consapevolezza nella manifestazione di volontà della parte.57
Da più parti, recentemente, è stata tuttavia teorizzata giustamente la permanenza
di uno spazio, autonomo rispetto alla citata disciplina di derivazione comunitaria,
di rilevanza ed utilità giuridica del concetto di causa: infatti “l’entrare in gioco
della disciplina speciale non elide, di per sé, l’applicazione di quella generale”58,
atteso che, un conto è il controllo sul contenuto del contratto finalizzato ad
assicurare la giustizia tra le parti, altro è certamente la verifica concernente la
sussistenza di interessi meritevoli di tutela giuridica da parte dell’ordinamento.
Quest’ultimi, infatti, dovranno essere: a) obiettivamente apprezzabili, ossia in
56
G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, pp. 67 ss.; ID., La
causa nella teoria del contratto, in Studi sull’autonomia dei privati, Torino, 1997, pp. 97 ss.; C.M.
BIANCA, Il contratto, Milano, 2000, pp. 447 ss.; SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile
diretto da Sacco, II, Torino, 2004, pp. 439 ss.; BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale,
Milano, 1998, pp. 227 ss.; CHECCHINI, Regolamento contrattuale e interessi delle parti, in Riv. dir.
civ., 1991, I, pp. 229 ss.; SPADA, Cautio quae indiscrete loquitur: lineamenti funzionali e
strutturali della promessa di pagamento, in Riv. dir. civ., 24, 1978, I, pp. 673 ss.; GAZZONI,
Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ.,
24, 1978, I, pp. 52 ss.; PELLICANÒ, Causa del contratto e circolazione dei beni, Milano, 1981, pp.
95 ss.;
57
Tutto ciò ha posto la nozione di causa del contratto in una tale situazione di “crisi”, da far
parlare taluni perfino di “morte” di essa (per la registrazione di tali opinioni, cfr. BRECCIA, Morte e
resurrezione della causa: la tutela, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura
di Mazzamuto, Torino, 2002, pp. 241 ss.; cfr. anche ID., Il contratto in generale, nel Trattato
diretto da Bessone, Vol. III, Torino, 1999, pp. 3 ss.) nonché da indurre i giuristi europei che si
occupano della redazione dei principi di diritto europeo dei contratti a non menzionarla neppure tra
i requisiti del contratto affermando che “a contract is concluded if: (a) the parties intend to be
legally bound and (b) they reach a sufficient agreement, without any further requirement” (cfr.
Principles of European Contract Law, Parts I and II, The Hague – London – Boston, 2000, 137,
art. 2: 101).
58
C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa e del tipo, in Trattato del Contratto diretto da Roppo, II,
Milano, 2006, p. 106.
18
grado di fornire alle parti una qualche utilità pratica oggettivamente
riconoscibile59; b) leciti, in quanto ex art. 1418 c.c. conformi a norme imperative,
all’ordine pubblico ed al buon costume.
A conclusione di questo rapido accenno al dibattito dottrinale formatosi
recentemente intorno alla nozione di causa -che richiederebbe ben altro spazio ma
che rimandiamo ad altra sede non costituendo esso l’oggetto della presente
trattazione- occorre pertanto constatare come ancora oggi la causa del contratto,
intesa come funzione economico-individuale nel senso sopra descritto, costituisca
un elemento essenziale ex art. 1325 c.c., la cui ricorrenza e liceità è presupposto di
validità del regolamento fissato dalle parti nell’esercizio del loro potere di
autonomia ex art. 1322 c.c..60
Tornando al tema oggetto della presente indagine, è necessario verificare
conseguentemente se il contratto condizionato sospensivamente all’adempimento
di una delle parti sia o meno munito di causa e, in caso di risposta positiva a tale
quesito, se questa sia lecita o meno.
A tal fine è utile constatare preliminarmente quali sono le conseguenze pratiche
che derivano dalla deduzione in condizione dell’adempimento, ovvero: a) il rinvio
dell’effetto traslativo ad un momento successivo rispetto a quello di
manifestazione del consenso; b) l’applicazione della disciplina della condizione
sospensiva, che prevede in caso di mancato avveramento l’inefficacia definitiva
senza altre conseguenze in punto di responsabilità.
Perfettamente razionale è dunque che un venditore intenda posticipare il momento
traslativo facendolo decorrere esclusivamente dal tempo dell’adempimento della
controparte: ciò arreca alla parte in particolar modo un vantaggio, vale a dire
l’opponibilità nei confronti dei terzi del carattere condizionato del contratto,
indipendentemente dalla trascrizione di una domanda giudiziale anteriore al loro
acquisto.
Altrettanto razionale è che, al fine di conseguire tale vantaggio, lo stesso venditore
si accontenti, in caso di inadempimento, di ottenere indietro quanto eventualmente
consegnato rinunciando ad ogni pretesa di natura risarcitoria.
Resta da vedere, tuttavia, se tutto ciò supera “l’esame” di liceità a cui è sottoposta,
come visto, la causa del contratto, confliggendo quanto sopra con una norma
59
In questo senso cfr. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la tutela, cit., p. 258, il quale fa
l’esempio del contratto con cui una parte, verso un corrispettivo e nell’esercizio della sua attività
abituale e quindi professionale, prometta la protezione astrale della controparte: questo accordo,
ancor prima di essere sottoposto a controllo in ordine alla sua conformità rispetto alla normativa
posta a tutela del consumatore, dovrà necessariamente essere sanzionato come nullo per assenza di
una causa meritevole di tutela, stante la sua manifesta irrazionalità ed assurdità.; v. anche
NAVARRETTA, Le ragioni della causa e il problema dei rimedi – L’evoluzione storica e le
prospettive nel diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. comm., I, 2003, pp. 981 ss., la quale
afferma la permanenza di valenza operativa della causa del contratto al fine di escludere la validità
del c.d. nudo patto.
60
Cfr. CASS., 8 maggio 2006, n. 10490, in Riv. notariato 2007, 1, 180, la quale ha recentemente
manifestato opinione analoga, in quanto -alle prese con un contratto concernente un'attività di
consulenza avente ad oggetto la valutazione di progetti industriali e di acquisizione di azienda
intercorso tra una società di consulenza, che ne aveva contrattualmente assunto l'incarico, e un
soggetto che la stessa attività "già simmetricamente e specularmente" svolgeva in adempimento
delle proprie incombenze di amministratore della medesima società conferente- ha potuto
affermare che “la causa di un contratto non è la sua funzione economico-sociale, che si
cristallizzerebbe per ogni contratto tipizzato dal legislatore (ciò che non spiegherebbe, a tacer
d'altro, come un contratto tipico possa avere una causa illecita), ma è la sintesi degli interessi
reali che il singolo, specifico contratto posto in essere è diretto a realizzare (c.d. causa in
concreto)” e che dunque “il contratto con cui si attui lo scambio di una prestazione già dovuta ad
altro titolo da una delle parti verso l'altra, pur se conforme ad un modello tipico previsto dal
legislatore, è nullo per mancanza di causa”.
19
contemplata dal nostro codice civile, vale a dire l’art. 1376 c.c., che prevede il
passaggio traslativo per effetto del solo consenso legittimamente manifestato.
A tal proposito, autorevole pensiero ha chiarito anche recentemente come “il
principio consensualistico, ricollegando l’effetto derivativo alla sola volontà delle
parti contraenti, non vieta affatto che esse possano liberamente differire l’effetto
derivativo, anzitutto apponendo al contratto che lo prevede un termine iniziale
ovvero (…) una condizione sospensiva”61: nel primo caso non si tratterà neppure
di una deroga, in quanto l’art. 1376 c.c. non impone che l’effetto traslativo si
produca immediatamente dopo la manifestazione del consenso, ma solo che
successivamente a detta manifestazione non sia necessario il compimento di alcun
altro atto; nel secondo caso, invece, le parti legittimamente convengono che
l’effetto traslativo sia subordinato al compimento o verificarsi di un ulteriore e
distinto atto o fatto.
La prima conclusione, cui può giungersi in ordine all’ammissibilità della
condizione sospensiva di adempimento, è dunque che una previsione contrattuale
di tal fatta non priva il negozio di un suo elemento essenziale ex art. 1325 c.c.,
quale appunto quello della causa del contratto, né inficia la sua liceità.
GABRIELLI, La consegna di una cosa diversa, Napoli, 1987, pp. 113 ss.; ID, Il contenuto e
l’oggetto, in Vol. I del Trattato dei Contratti diretto da Rescigno, Torino, 1999, pp. 651 ss.; ID.,
L’oggetto del contratto, in Comm. Schlesinger, Milano, 2001, pp. 28 ss.; AURICCHIO, La
individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960, pp. 93 ss..
66
GITTI, Problemi dell’oggetto, in Vol. II del Trattato del Contratto diretto da Roppo, Milano,
2006, p. 11; BARENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale nel contratto, Napoli, 2005,
p. 166.
67
SANTORO PASSARELLI, Istituzioni di diritto civile. I. Dottrine generali, Napoli, 1945, p. 87; ID.,
Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, p. 129-130.
68
CARUSI, Condizione e termini, nel Trattato del contratto diretto da Roppo, Vol. III, Milano, 2006,
p. 284.
69
Cfr. sopra pp. 2 ss..
21
condizionale: è sempre stato ripetuto che l’uso dello strumento della condizione
permette alle parti di attribuire rilevanza ai propri motivi individuali attraverso la
subordinazione dell’efficacia del contratto al mancato futuro sopraggiungere di
circostanze, in presenza delle quali esse non reputino più conveniente l’attuazione
del regolamento negoziale.
Oggi, anche alla luce della sopra esposta nozione di causa quale funzione
economico-individuale, possiamo definire interessi interni quegli scopi ed
obiettivi che le parti si prefiggono nella conclusione di un contratto; per soddisfare
detti interessi è sufficiente l’attuazione del c.d. schema puro, senza bisogno cioè
di apporre al contratto un elemento accidentale ed in particolar modo una
condizione.
Sono invece qualificabili interessi esterni quei diversi scopi ed obiettivi, il cui
conseguimento, ove sopravvenissero determinate nuove circostanze, sarebbe al
contrario precluso dall’attuazione del regolamento negoziale.
In tale eventuale e futura situazione di contrasto tra interessi interni ed esterni, le
parti, tramite un giudizio di convenienza posto in essere ex ante, preferiscono far
prevalere i secondi anziché i primi: l’unico modo affinché ciò avvenga consiste
appunto nell’inserimento nel contratto dell’elemento condizionale.70
Tuttavia nello specifico caso della condizione di adempimento pare che le parti
non utilizzino lo strumento condizionale per salvaguardare interessi esterni, ma
che esse al contrario intendano pel tramite del meccanismo condizionale
continuare a preservare proprio gli interessi interni seppur innovando rispetto a
quanto previsto dalla disciplina legale per l’eventualità di una loro violazione.
Infatti, deducendo in condizione l’adempimento, l’alienante -derogando al
principio consensualistico ex art. 1376 c.c. e condizionando sospensivamente il
prodursi dell’effetto traslativo al ricorrere dell’adempimento quale presupposto
ulteriore rispetto alla legittima manifestazione del consenso- intende conseguire
il risultato consistente nel non perdere la proprietà del bene oggetto della vendita
prima di aver ricevuto il pagamento del prezzo: dunque non fa altro che
assicurarsi in ordine al fatto che lo scambio voluto ed accettato sia effettivamente
realizzato senza dover subire alcuna perdita.
Rispetto ai rimedi predisposti dal legislatore, l’utilità pratica che discende al
venditore da tutto ciò, è bene ribadire ancora una volta, è che egli potrà opporre il
carattere condizionato del contratto nei confronti di eventuali terzi aventi causa
dell’acquirente, rispetto ai quali non apparirà come colui il quale pretende di
tornare ad essere il proprietario in virtù della risoluzione di un vincolo
-rischiando così di rimanere insoddisfatta detta pretesa a causa della retroattività
obbligatoria di cui all’art. 1458 c.c.- bensì come chi non ha mai cessato un solo
attimo di essere il dominus, e dunque nulla ha da temere da eventuali atti di
disposizione posti in essere medio tempore dall’acquirente grazie all’operare del
combinato disposto degli artt. 1357 e 2659 comma 2 c.c..
Il carattere esterno può forse essere affermato, come infatti abbiamo visto essere
fatto da alcuni autori,71 nel senso che, per tutelare gli interessi interni in modo
diverso rispetto al sistema rimediale predisposto dal legislatore, le parti hanno
bisogno di ricorrere al meccanismo condizionale e non possono al contrario
affidarsi solamente all’attuazione dello schema “puro”; 72 oppure distinguendo
l’interesse ad ottenere una ricomposizione qualitativa del patrimonio in seguito
70
Per un esempio concreto v. sopra p. 2.
71
LENZI, op. cit., p. 19.
72
V. su questo punto MARCELLO, L’uso della condizione in prospettiva rimediale, in quest’opera,
Cap. 10.
22
all’inadempimento rispetto a quello volto invece a conseguire l’esecuzione della
prestazione.73
In ogni caso anche un’eventuale ammissione, concernente l’assenza del carattere
di estrinsecità nella condizione di adempimento, non potrebbe comunque condurre,
per ciò solo, ad affermare che tale meccanismo sia precluso all’autonomia dei
privati: come recentemente è stato giustamente detto74, non esiste alcuna norma
nell’ambito degli artt. 1353 ss. c.c. che imponga che l’utilizzo dello strumento
condizionale debba essere finalizzato necessariamente alla soddisfazione di
interessi esterni, nonostante tradizionalmente ciò sia sempre avvenuto nella prassi
contrattuale e di questo la dottrina prevalente si sia limitata a fornire una fedele
rappresentazione.75
L’obiezione che viene mossa alla condizione di adempimento, per cui, essendo
l’esecuzione della prestazione dovuta giuridicamente, difetterebbe il requisito
dell’incertezza nell’evento in essa dedotto, pare essere, tra tutte, la più agevole da
confutare.
Indubbio è che, nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, ciascuna
parte abbia diritto all’esecuzione della controprestazione, e che dunque
quest’ultima integri un comportamento dovuto: tuttavia, come è ovvio constatare,
non è affatto detto che esso riceva esecuzione spontanea da parte del soggetto
obbligato, tanto è vero che lo stesso ordinamento giuridico conosce e regolamenta
dettagliatamente l’eventualità contraria, predisponendo una serie di norme che
mirano ad assicurare effettiva tutela giuridica anche in tal caso innanzitutto pel
tramite di un adempimento coattivo.
Nella condizione di adempimento l’evento dedotto è invece rappresentato
senz’altro dall’adempimento spontaneo: il venditore, come visto, mira ad una più
veloce possibile attuazione dello scambio, ed in caso di mancato adempimento
spontaneo preferisce liberarsi rapidamente da ogni vincolo piuttosto che azionare
una qualsiasi tutela giuridica dai costi e tempi incerti.
Dunque la parte, volendo utilizzare un’espressione acutamente già usata da
alcuni 76 , adoperando lo strumento della condizione di adempimento sceglie
l’autotutela piuttosto che la tutela giuridica apprestata dall’ordinamento.
E’ stato giustamente affermato che coloro i quali sostengono la carenza
dell’incertezza nell’adempimento confondono “tra discorso descrittivo e
precettivo, tra il piano dell’essere (un comportamento futuro è per definizione
incerto) e quello della norma (un comportamento è obbligatorio)”:77 tuttavia da
quanto abbiamo esposto sopra emerge che, anche a non voler essere in sintonia
con siffatta affermazione, il che non è, il carattere incerto dell’adempimento
comunque ricorre avendo riguardo non solo alla realtà fattuale, ma anche alla
stessa realtà normativa, ossia a ciò che la stessa legge prevede a proposito.
78
AULETTA, op. e loc. cit.; BOCCHINI, op. e loc. cit..
79
CARUSI, op. cit., p. 314.
80
C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 1985, pp. 519 ss..
81
ROPPO, Il contratto, nel Trattato diretto da Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 617; v. anche CASS.,
21 luglio 2000, n. 9587, in Giust. civ. Mass. 2000, 1587, e Appalti Urbanistica Edilizia 2002, 41,
in cui è stato affermato che “la clausola contrattuale con la quale il sorgere del diritto al
compenso da parte del professionista incaricato del progetto di un'opera viene condizionato
all'ottenimento del finanziamento per l'opera progettata non è configurabile come condizione
meramente potestativa, come tale nulla, atteso che, se è vero che il verificarsi di essa dipende
dalla volontà e dall'attività di una sola delle parti, è anche vero che tale accadimento non è
indifferente per la parte in questione, alla stregua di un mero "si voluero", non potendosi dubitare
della piena funzionabilità della pattuizione ad uno specifico interesse dedotto come tale nel
contratto e perciò oggetto del medesimo” 81 e che “la condizione meramente potestativa e la
conseguente sanzione di nullità di cui all'art. 1355 c.c. non sussistono quando l'impegno che la
parte si assume, non è rimesso al suo mero arbitrio ma è collegato ad un gioco di interessi e di
convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche il proprio interesse, mentre
la condizione potestativa invalidante il negozio è quella che dipende dal mero arbitrio del
soggetto obbligato, così da presentarsi come effettiva negazione di ogni vincolo con la
conseguenza che essa deve escludersi quando l'evento dedotto dipenda anche dal concorso di
fattori estrinseci che possono influire sulla determinazione della volontà pur se la relativa
valutazione sia rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato”.
24
adempiendo, è in grado di liberarsi dal contratto senza incorrere in alcuna
responsabilità e senza che ciò debba essere necessariamente ricollegato ad
apprezzabili esigenze autonome, il che è esattamente quello che il legislatore,
dettando la norma dell’art. 1355 c.c., intendeva evitare al fine di garantire la
serietà del vincolo contrattuale.
Per non cadere nel divieto della mera potestatività, come alcuni82 hanno rilevato,
l’unica soluzione pare consistere nel condizionare all’adempimento non tutto il
contratto, ma solo la sua efficacia traslativa, così che fin dalla sua conclusione
sorga nel compratore l’obbligo di pagare il prezzo, e la sua violazione determini
l’inefficacia definitiva del contratto limitatamente al trasferimento del diritto;
l’inefficacia sopravvenuta di tutto il resto del negozio deriverebbe invece dal
rapporto sinallagmatico intercorrente tra le prestazioni.
In ogni caso, anche se così non fosse, la contrarietà ad una norma imperativa, e la
conseguente nullità del contratto, impongono all’interprete, in virtù del principio
della conservazione del negozio -secondo il quale l’autonomia negoziale deve, per
quanto possibile, mantenere la sua efficacia- di verificare se ricorrono i
presupposti per l’applicazione della norma di cui all’art. 1424 c.c., vale a dire per
la conversione del contratto nullo in altro tipo di cui contenga requisiti di sostanza
e di forma e che è plausibile ritenere le parti avrebbe stipulato conoscendo la
causa di invalidità.
Come è noto, opinione diffusa è che il contratto cui sia apposta una condizione
sospensiva meramente potestativa possa essere convertito in un patto di opzione: a
tal proposito pare giusto rinviare al capitolo dedicato in modo specifico alla
condizione meramente potestativa.83
Basti in questa sede osservare, analogamente a quanto già fatto da alcuni84, come
forti sembrino le affinità intercorrenti tra il meccanismo opzionale e,
segnatamente, la condizione sospensiva di adempimento: infatti -atteso che le
conseguenze essenziali che derivano da quest’ultima costruzione sono, come visto,
che ove l’acquirente manifesti disinteresse verso gli effetti del contratto
rifiutandosi di eseguire la prestazione il diritto del venditore prevale su quelli
acquisiti medio tempore dai terzi aventi causa del compratore, mentre la
controparte è esente da responsabilità ex art. 1218 c.c.- la causa che in concreto
caratterizza l’operazione contrattuale appare coincidere con quella del patto di
opzione ex art. 1331 c.c..
Infatti anche in quel caso una delle parti è in grado, in quanto titolare di un diritto
potestativo, di decidere in ordine all’efficacia del contratto, mentre l’altra vede
soddisfare il proprio interesse diretto a garantire, in ogni caso, l’integrità, in
natura, del proprio patrimonio: da un lato il c.d. opzionario, come è noto, può
liberamente decidere se instaurare o meno il rapporto contrattuale, non incorrendo
certo in responsabilità ove la deliberazione sia negativa; dall’altro lato il
concedente, in quest’ultimo caso, non affronta alcun rischio di perdere il proprio
diritto sulla cosa oggetto del contratto finale in quanto, non essendo sorto alcun
vincolo negoziale, la res non è mai uscita dal suo patrimonio e dunque non ha mai
potuto costituire oggetto di atti di disposizione a favore di terzi (e peraltro anche
qualora ciò fosse avvenuto potrebbe solamente configurarsi un acquisto a non
domino rispetto al quale lo stesso concedente ben agevolmente potrebbe
difendersi).
82
PETRELLI, op. e loc. cit..
83
V. CAPONETTI, La condizione potestativa e meramente potestativa. Confronto con le figure del
recesso e dell’opzione, in quest’opera, Cap. 3.
84
C.M. BIANCA, Il contratto, loc. cit..
25
7. Osservazioni conclusive sulla condizione risolutiva di inadempimento:
riflessioni tratte da un caso giurisprudenziale
85
CASS., 15 novembre 2006 , n. 24299, in Giust. civ. Mass. 2006, 11, di cui si riporta la seguente
massima: “Nell'ambito dell'autonomia privata, le parti possono prevedere l'adempimento o
l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del contratto in senso
sospensivo o risolutivo, sicché non configura una illegittima condizione meramente potestativa la
pattuizione che fa dipendere dal comportamento - adempiente o meno - della parte l'effetto
risolutivo del negozio, e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi
dell'evento, ma anche perché tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di recesso unilaterale
dal contratto - il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli interessi della stessa
parte - non subordina l'efficacia del contratto a una scelta meramente arbitraria della parte
medesima; d'altra parte, la condizione risolutiva, in quanto prescinde dalla colpa
dell'inadempimento, è compatibile con la previsione di una penale, giacché le parti possono
stabilire che la condizione sia posta nell'esclusivo interesse di uno soltanto dei contraenti,
occorrendo al riguardo una espressa clausola (o quanto meno una serie di elementi idonei ad
indurre il convincimento che l'altra parte non abbia alcun interesse); pertanto, la parte, nel cui
interesse è posta la condizione, ha facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo l'avveramento o il
non avveramento di essa, senza che, comunque, l'altra parte possa ostacolarne la volontà. (Nella
specie, è stato ritenuto che configurasse una condizione risolutiva, e non una clausola risolutiva
espressa, la pattuizione con cui le parti avevano previsto, nell'interesse esclusivo del vitaliziato, la
risoluzione del contratto di rendita vitalizia nel caso di mancato pagamento da parte del
vitaliziante di due rate)”.
26
sospensiva (a tal proposito ci si limita ad avvertire che, nonostante il fatto che la
Cassazione propenda decisamente per un’interpretazione letterale della norma86,
in dottrina non mancano autorevoli opinioni contrarie, di chi 87 cioè ritiene che la
norma in questione sia riferibile anche alla condizione risolutiva).
In secondo luogo la S.C. afferma che non si tratta di condizione meramente
potestativa in quanto attribuisce un diritto di recesso unilaterale “il cui esercizio è
rimesso ad una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte”.
La Corte pare dunque abbracciare quell’orientamento dottrinale che fa
corrispondere perfettamente la condizione risolutiva potestativa all’istituto del
recesso 88 : questo stesso orientamento precisa che se il recesso volontario è
insindacabile, dunque ad nutum, la clausola che lo prevede si qualifica come
condizione risolutiva meramente potestativa e non potestativa semplice, atteso che
l’unico limite che la parte incontra nel suo esercizio è rappresentato dall’obbligo
di non comportarsi in modo contrario al dovere di buona fede e dunque di non
abusare del proprio diritto.
Applicando questi principi al caso di specie pare proprio che si debba concludere
per la natura potestativa e non meramente potestativa della condizione di
inadempimento, dato che l’esercizio del diritto di recesso da parte del vitaliziato
non è ad nutum, bensì deve essere giustificato da un valido motivo, rappresentato
dall’inadempimento del vitaliziante.
Tuttavia occorre anche in questo caso avvertire che non mancano in dottrina
opinioni 89 che, giustamente, pongono in evidenza la differenza concettuale che
intercorre tra condizione risolutiva potestativa e recesso affermando correttamente
che nel recesso la volontà di sciogliere il contratto rileva come negozio giuridico,
laddove invece nella condizione risolutiva potestativa rileva come fatto giuridico.
Da ciò derivano anche conseguenze sotto il profilo della disciplina: ad es. mentre
in caso di condizione, trattandosi di un fatto giuridico, non si applicano le norme
che impongono la forma scritta ad substantiam, l’esercizio del diritto di recesso
deve invece avvenire a pena di nullità tramite dichiarazione scritta ove la legge
richieda per il contratto in questione tale forma solenne. 90
Ad ogni modo, chiarita la necessità di prendere posizione in ordine alla
qualificazione della condizione di inadempimento, se cioè condizione in senso
tecnico o se invece recesso convenzionale ex art. 1373 c.c. -e che dunque
sarebbe stato più opportuno che la Corte avesse optato nettamente per una di
queste figure giuridiche inquadrando la fattispecie nei rispettivi schemi, senza
limitarsi invece, come ha fatto, a rifarsi su tale punto ai propri precedenti91- la
86
CASS., 15 settembre 1999, n. 9840, in Giur. it. 2000, 1161; CASS., 10 febbraio 2004, n. 2497, in
Giust. civ. Mass. 2004, 2.
87
RESCIGNO, Voce Condizione, in Enc. del dir., Vol. VIII, Milano, 1961, p. 796; SANTORO
PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1970, p. 199; ROPPO, Il contratto, cit.,
p. 618.
88
C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2001, pp. 549 ss.; SIRENA, op. cit., p. 115.
89
COSTANZA, Condizione nel contratto, cit., pp. 78 ss..
90
Sotto il profilo dell’opponibilità nei confronti dei terzi dello scioglimento del contratto non si
rinvengono invece differenze significative tra le due discipline: infatti, applicando in via analogica
al recesso la disciplina del patto di riscatto (SIRENA, op. cit., p. 137), così come elaborata dalla
prevalente dottrina (GAZZONI, La trascrizione immobiliare, I, in Comm. Schlesinger, Milano, 1991,
pp. 149 ss.; LUMINOSO, La vendita con riscatto, Artt. 1500-1509, in Comm. Schlesinger, Milano,
1987, p. 409; RUBINO, La compravendita, nel Trattato di diritto civile e commerciale diretto da
Cicu e Messineo, Milano, 1971, p. 1050), nella nota di trascrizione del contratto de quo potrà
essere menzionata la clausola di recesso, e ciò sarà utile a rendere opponibile la futura ed
eventuale dichiarazione di recesso ad ogni terzo che abbia trascritto il proprio acquisito
successivamente alla trascrizione del contratto, similmente a quanto previsto dalla disciplina della
condizione e garantendo quindi la retroattività reale anziché meramente obbligatoria.
91
CASS., 24 novembre 2003, n. 17859, in Giust. civ. Mass. 2003, 11.
27
sentenza in esame stabilisce che la presenza di una clausola penale non può
escludere il carattere di condizione risolutiva poiché si tratta di una condizione
unilaterale, cioè inserita nel regolamento negoziale nell’interesse esclusivo del
beneficiario della rendita, il quale ha la facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo
l’avveramento od il non avveramento di essa.
In sostanza secondo la Cassazione le parti possono inserire una clausola penale
per l’eventualità che la parte interessata rinunci alla condizione di inadempimento:
se questo non accade, come nel caso di specie, la clausola penale semplicemente
non opera ed al contrario continua ad esplicare i propri effetti il meccanismo
condizionale del quale si applica integralmente la disciplina, inclusa la parte
concernente la retroattività reale.
Il ragionamento della S.C. conferma così l’ineccepibile assunto, già espresso
precedentemente,92 secondo il quale, in caso di condizione di inadempimento,
non è ammissibile la contemporanea applicazione sia degli artt. 1353 ss. c.c. sia
dell’art. 1218 c.c.: le due discipline sono invece alternative.
La disciplina della responsabilità contrattuale e quella della condizione risolutiva
non possono coesistere in quanto in aperto contrasto tra di loro: l’una prevede,
come noto, l’obbligazione risarcitoria in capo al debitore che non esegua
esattamente la prestazione dovuta, l’altra si limita a sancire la sopravvenuta
inefficacia, laddove l’omissione operata dagli artt. 1353 ss. c.c. di ogni forma di
responsabilità non può certamente considerarsi una lacuna da poter colmare
tramite l’applicazione integrativa della disciplina ex art. 1218 c.c., bensì una
precisa scelta del legislatore che contraddistingue nettamente la ratio stessa del
meccanismo condizionale.
In altri termini, deducendo un evento in condizione risolutiva, le parti,
concordemente, pattuiscono implicitamente l’assenza di responsabilità in capo ad
ognuna di loro in caso di avveramento.
Conseguentemente l’operare del regime ordinario di responsabilità contrattuale
previsto dall’art. 1218 c.c. è subordinato alla rinuncia della parte interessata al
meccanismo della condizione di inadempimento, ed i termini della questione non
cambiano se le parti inseriscono nel regolamento negoziale una clausola penale,
atteso che ciò, come noto, non incide sull’an della responsabilità, la cui
sussistenza dovrà continuare ad essere valutata sulla base dei criteri generali
sanciti dall’art. 1218 c.c., bensì incide sul quantum del danno risarcibile che le
parti determinano ex ante.
Detto ciò, è però utile specificare cosa accade qualora, in un contratto
condizionato all’inadempimento, la parte interessata rinunci alla condizione.
Le conseguenze che derivano dalla deduzione in condizione dell’inadempimento
sono infatti, da un lato, che in caso di avveramento l’inefficacia sopravvenuta del
contratto è opponibile anche ai terzi che abbiano trascritto il loro acquisto
successivamente alla trascrizione del contratto, essendo sufficiente a tal fine che
nella nota di trascrizione sia menzionato il carattere condizionato dell’atto (si
tratta della già citata retroattività reale); dall’altro lato l’applicazione della
disciplina della condizione risolutiva, che prevede in caso di avveramento
l’inefficacia sopravvenuta senza altre conseguenze in punto di responsabilità.
E’ evidente come, una volta che la parte abbia rinunciato al meccanismo
condizionale vengono meno entrambe le conseguenze e non solo certo quella
concernente il regime di responsabilità: dunque la parte potrà chiedere il
risarcimento del danno derivante dall’inadempimento ex art. 1218 c.c.,
eventualmente in una misura predeterminata ex ante se, come nel caso di specie, è
stata prevista una penale, ma in caso di conflitto con terzi acquirenti in ordine alla
92
Cfr. sopra pp. 14 ss..
28
titolarità del bene, sarà al contempo costretta ad affrontare i rischi derivanti dalla
retroattività obbligatoria prevista dalla disciplina della risoluzione del contratto ex
art. 1458 c.c.: vale a dire i terzi prevarranno se avranno trascritto il loro acquisto
anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale.
Dunque la parte adempiente si trova di fronte ad un’alternativa secca, se cioè
avanzare pretese risarcitorie, o se invece abbandonare tale proposito preferendo
garantirsi, tramite la retroattività reale tipica del fenomeno condizionale, la
riacquisizione della proprietà dell’immobile in danno anche dei terzi acquirenti.
La S.C. non si è preoccupata di quest’ultimo aspetto -né l’avrebbe potuto fare
attesi i limiti oggettivi e soggettivi del giudicato- poiché nel caso di specie il
Ricorso, essendo esperito dal terzo acquirente, non verteva anche sul diritto del
vitaliziato a trattenere le rate versate, bensì contestava la qualificazione come
condizione della clausola in questione, mirando così ad evitare esclusivamente la
conseguenza della retroattività reale e dunque l’opponibilità nei suoi confronti
dello scioglimento del contratto.
Dunque dalla posizione assunta dalla S.C. non è derivato alcun cambiamento per
il beneficiario della rendita, il quale difendeva la retroattività reale dello
scioglimento del contratto ed esattamente ciò ha visto essergli riconosciuto.
Tuttavia pare lecito in via generale chiedersi se, in un contratto condizionato
all’inadempimento, in caso di avveramento ed in assenza di rinuncia, non siano
configurabili anche altre forme di riparazione che, prescindendo dal requisito
dell’imputabilità connaturato al regime di responsabilità contrattuale delineato
dall’art. 1218 c.c. ed assumendo dunque carattere indennitario, siano compatibili
con il funzionamento del meccanismo condizionale ed anzi trovino la propria
fonte proprio nella disciplina di quest’ultimo.
Per l’appunto la fattispecie da cui ha tratto origine la sentenza in commento
potrebbe rappresentare, ci pare, un esempio di quanto ora prospettato: il secondo
comma dell’art. 1360 c.c. prevede infatti che se la condizione risolutiva è apposta
ad un contratto ad esecuzione continuata o periodica l’avveramento di essa, in
mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite;
analoga disposizione è rinvenibile nella disciplina del recesso, che analogamente
dispone, al secondo comma dell’art. 1373, che in contratti di questo tipo il recesso
non ha effetto che per le prestazioni già eseguite.
Dunque, avendo ad oggetto l’obbligazione gravante sul vitaliziante per l’appunto
una prestazione di carattere periodico, tali norme sono assolutamente applicabili
al caso di specie e quindi idonee a fondare il diritto del beneficiario della rendita a
trattenere le rate versate fino a quel momento dal promittente, in caso di suo
inadempimento: esattamente quanto sarebbe disceso dall’operare di una clausola
penale, ma questa volta senza dover rinunciare alla condizione, alla sua
retroattività reale e, in definitiva, alla titolarità del bene trasferito a vantaggio del
terzo acquirente.
- CASS., 3 gennaio 1970, n. 8, in Foro it., 1970, I, 1488, in Giust. civ., 1970, I, 166.
- CASS., 16 febbraio 1983, n. 1181, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 2, Riv.
notariato 1983, 481.
- CASS., 12 ottobre 1993, n. 10074, in Giust. civ. Mass. 1993, 1461 (s.m.).
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- CASS., 6 agosto 2004, n. 15161, in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8.
In tema di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte
in cui, tra le parti avvalsesi della sua opera, si sia validamente costituito un
vincolo giuridico che consenta a ciascuna di esse di agire per l'esecuzione del
contratto, con la conseguenza che anche un contratto preliminare di
compravendita, validamente concluso e rivestito del prescritto requisito di forma
scritta, ove richiesto 'ad substantiam', deve considerarsi "atto conclusivo
dell'affare", idoneo, per l'effetto, a far sorgere in capo al mediatore il diritto alla
provvigione, senza che, in contrario, spieghi influenza la circostanza che al
preliminare non sia poi seguita la stipula del contratto definitivo. Inoltre, qualora
il contratto preliminare preveda che il definitivo debba essere stipulato entro un
termine finale, il diritto alla provvigione sorge alla data della stipula del
preliminare, non a quella coincidente con il termine finale di efficacia e, nel caso
in cui il promittente acquirente abbia la facoltà di recedere, poichè detta facoltà
integra, sostanzialmente, una condizione risolutiva, il suo eventuale esercizio non
fa venire meno il diritto del mediatore alla provvigione.
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