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di Paolo Feltrin
In apertura del suo intervento Streeck elenca i motivi del suo scetticismo sul
futuro della Comunità europea, una sorta di ircocervo, caratterizzato da 5
anomalie: 1) le politiche interne degli stati membri si sono via via intersecate
tra loro senza un disegno organico; 2) gli stati membri sono ancora “stati
sovrani” che perseguono i propri legittimi interessi nazionali attraverso le loro
distinte politiche estere, dando luogo a relazioni di tipo intra-europeo; 3) gli
stati nazionali, quando si muovono all’interno delle istituzioni comunitarie
possono optare di volta in volta tra fare affidamento su una varietà di istituzioni
sovranazionali o su accordi intergovernativi tra coalizioni selezionate di
aderenti volontari; 4) dall’avvio dell’Unione monetaria europea, di cui fanno
parte solo diciannove dei ventotto stati membri della Ue, si è andata
strutturando un’altra arena decisionale sovranazionale, composta da
istituzioni informali e intergovernative, di fatto in concorrenza con le
tradizionali istituzioni formali dell’Unione Europea; 5) politiche sovranazionali
e politiche monetarie in ambito europeo devono fare i conti con i diversi
interessi geo-strategici di ogni nazione, in particolare rispetto agli Usa, alla
Russia, al Medio Oriente (più la Cina); 6) da ultimo, sotto sotto, continua dalla
quasi settant’anni una battaglia per l’egemonia sempre negata da entrambi i
protagonisti, Francia e Germania, le quali, entrambe, l’ammantano di spirito
europeista. E l’Italia? Il paragrafo dedicato al nostro paese è intitolato da
Streeck in modo beffardo “il cugino povero”: e questo dovrebbe bastare a
capire in che direzione va a parare il discorso.
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senza una meta definita, priva di fiducia popolare, e in balia delle avversità. Al
resto, cioè al lungo periodo, è inevitabile metterci mano se e quando le
difficoltà attuali saranno superate.
Ma, lo ripeto, il primo passo è dirci davvero come sono andate le cose, fin
dall’inizio, nella costruzione dell’avventura europea. Noi tutti siamo convinti di
essere tra i padri nobili dell’Europa, ma non è così. A ricordarcelo sono stati
negli anni scorsi alcuni lavori storici come, ad esempio, quelli di Ruggero
Ranieri e di Marco Gervasoni. Ricordiamo come emblematico il percorso di
adesione italiana al Piano Schuman per la creazione di un’autorità
sovranazionale del carbone e dell’acciaio, nel mese di maggio 1950. I caratteri
del progetto francese a cui lavorò in primo luogo Jean Monnet, furono alla
base della Ceca, Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che sarebbe poi
sorta nel 1952, dopo la firma del Trattato di Parigi, sottoscritto nell’aprile del
1951. E’ importante ricordare quella vicenda perché i problemi di allora sono
in larga parte gli stessi di oggi.
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Ma la svolta arrivò a metà mese, come conseguenza della crescente ostilità
inglese al progetto, tanto che ad un certo punto l’intera iniziativa sembrava sul
punto di fallire. Adenauer e Schuman furono costretti a modificare la loro
impostazione originaria: l’asse franco-tedeso faceva troppa paura agli alleati.
De Gasperi e l’ambasciatore Sforza colsero al balzo il momento favorevole e
accettarono senza mettere condizioni l’offerta franco-tedesca di un
allargamento del progetto a una dimensione europea, inglobando cioè l’Italia e
i tre piccoli paesi del Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo). Dopo poche
settimane venne firmato un primo documento di intesa a sei, il seme della
futura Unione europea.