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Intuizione

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L'intuizione in filosofia indica quel tipo di conoscenza immediata che non si avvale del ragionamento o
della conoscenza sensibile.

Indice
Origine e significato del termine
L'intuizione nella storia della filosofia occidentale
Parmenide, Platone, Aristotele
Plotino, Agostino, Tommaso
L'intuizione nell'età moderna
L'intuizione nel Novecento
Note
L'intuizione umana rappresentata
Bibliografia come una sorta di illuminazione
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Origine e significato del termine


Il termine intuizione deriva dal latino intueor (composto da in = «dentro», + tueor = «guardare», cioè
«entrar dentro con lo sguardo»),[1] e rappresenta una forma di sapere non spiegabile a parole, che si rivela
per lampi improvvisi, sulla cui origine i pareri sono discordi: secondo il meccanicismo sarebbe
riconducibile a processi meccanici di causa-effetto, mentre secondo i neoplatonici il modo in cui l'intuito
si produce nella mente umana non è spiegabile razionalmente, trattandosi di un sapere trascendente che è
all'origine della stessa logica di causa-effetto, un sapere non acquisito ma innato sin dalla nascita.

Per Platone ed Aristotele era la percezione immediata dei princìpi primi, e dunque espressione di una
conoscenza certa perché in essa il pensiero ha direttamente accesso ai propri contenuti, essendo insieme
soggetto e oggetto: questi due termini pur contrapposti risultano così complementari e dialetticamente
legati tra loro.

Immanuel Kant la formalizzò come metodo conoscitivo e la divise tra "intuizione sensibile", ovvero
conoscenza passiva percepita attraverso i sensi, ed "intuizione intellettuale", fulcro delle filosofie
idealiste.

L'intuizione nella storia della filosofia occidentale


Kant nel Settecento aveva ritenuto che l'unità immediata di soggetto e oggetto fosse qualcosa di
puramente formale o concettuale, negando quindi che l'intelletto umano fosse capace di intuizione. Gli
idealisti Fichte e Schelling avevano sostenuto invece che tale unità è un assioma non solo formale, ma
costitutivo di ogni sapere che aspiri ad essere universale e necessario. Essi si erano appellati in proposito
alla logica formale di non-contraddizione, secondo cui l'essere e il pensare necessariamente coincidono.
Si trattava della logica "formale", unita bensì indissolubilmente a un contenuto "reale", utilizzata la prima
volta da Parmenide e fatta propria dalle successive filosofie platoniche e aristoteliche, nonché dai
pensatori medievali e rinascimentali.

Il loro punto in comune consisteva nel riconoscimento dell'intuizione quale forma suprema e immediata
del sapere. Lo strumento di cui si erano serviti era la dialettica, con cui la ragione prende atto che non
può esistere un soggetto senza oggetto, l'essere senza il pensiero, e viceversa, pena la caduta in un
relativismo irrazionale. Un pensiero filosofico che prescinda dall'identità con l'essere, cioè con la verità,
diverrebbe inconsistente per sua stessa ammissione. Privo di fondamento, si avviterebbe in una
contraddizione logica, la cui forma più esplicita è rappresentata dal paradosso del mentitore. Occorreva
quindi partire da questa suprema identità per poter sviluppare un sistema filosofico fondato e coerente,
identità che rimane tuttavia non dimostrabile di per sé, né accertabile empiricamente, ma raggiungibile
unicamente per via negativa, da ammettere appunto tramite intuizione.[2]

Parmenide, Platone, Aristotele


Le prime forme di intuizione quale strumento principe di cui si debba servire la filosofia, sono
rintracciabili già nell'antica Grecia. Per Parmenide i sensi, secondo i quali sarebbe possibile pensare il
non-essere, attestano il falso, e dunque solo una conoscenza immediata, quella cioè che si produce
nell'intelletto, consente di approdare alla verità dell'Essere.[3]

In Platone, le forme intelligibili o Idee rappresentano la forma più alta e più vera di conoscenza,
raggiungibili solo con l'intellezione (nòesis) e collocate quindi al di sopra del pensiero logico-dialettico
(o diànoia, che è un semplice strumento), e al di là dei fenomeni sensibili.[4]

Anche secondo Aristotele non sono i sensi, né la razionalità sillogistica, a dare garanzia di verità, bensì
l'intelletto intuitivo: esso consente di cogliere l'essenza della realtà fornendo dei principi validi e
universali, da cui il sillogismo trarrà soltanto delle conclusioni coerenti con le premesse;[5] per Aristotele
occorre bensì partire dai sensi, ma il livello di conoscenza da questi raggiunto, cioè l'induzione empirica,
non ha per lui un valore logico-deduttivo, fungendo unicamente da avvio di un processo che culmina con
l'intervento di un trascendente intelletto attivo.[6] L'intuizione suprema è quindi per lui il "pensiero di
pensiero", proprio dell'atto puro che è Dio.

Plotino, Agostino, Tommaso


Plotino spiegava il processo di emanazione dall'Uno facendo dell'intuizione un'ipostasi: in questa consiste
l'Intelletto, che è l'estasi o l'auto-intuizione dell'Uno, il quale contemplandosi già non è più Uno ma
diventa identità di essere e pensiero. L'Intelletto nell'intuirsi ha di se stesso una conoscenza immediata
superiore a quella di tipo mediato propria dell'Anima.[7] L'uomo può riviverla solo sprofondando nella
propria autocoscienza, fino ad approdare con l'estasi alla compenetrazione con l'Uno, situato al di là del
dualismo potenziale dell'Intelletto costituito dalle due realtà, essere e pensiero, che benché coincidenti
risultano in esso ancora distinte.
In Agostino è di tipo intuitivo la scoperta che il dubbio non sussisterebbe se esso non fosse emanazione
della verità; il dubbio infatti dà per scontata l'esistenza di una verità che gli sfugge, altrimenti non
dubiterebbe. L'intuizione coincide pertanto con l'illuminazione, cioè col momento in cui Dio illumina la
nostra mente elevandola alla conoscenza della verità. Tommaso si servì dell'intelletto aristotelico per
giungere all'intuizione della perfezione assoluta dell'Essere, e alla dimostrazione di Dio, identificando
inoltre l'intuizione con l'atto d'amore con cui Dio Padre genera il Figlio. L'intuizione per Tommaso offre
un tipo di conoscenza immediata, propria delle intelligenze celesti (gli angeli), per attingere alla quale
l'uomo deve passare invece attraverso la mediazione del pensiero logico o di un calcolo razionale.

L'intuizione nell'età moderna


Cusano postulava una conoscenza intuitiva di Dio superiore e trascendente rispetto al pensiero razionale-
dialettico che da quella discende. Analogamente Spinoza fece dell'intuizione il cardine del suo sistema
filosofico, la forma più alta di sapere, superiore sia alla conoscenza sensibile sia a quella scientifica, e
che permette all'intelletto di cogliere l'unicità della sostanza e di guardare il mondo dal punto di vista
dell'Essere divino.

Kant distinse l'intuizione, come conoscenza diretta della realtà, in intuizione sensibile e intellettuale. Per
Kant l'uomo possiede solo l'intuizione sensibile, essendo la sua conoscenza mediata dai sensi.
L'intuizione intellettuale invece appartiene solo a un intelletto divino, in grado di accedere direttamente al
noumeno.

Con la stagione dell'idealismo tedesco l'intuizione, intesa kantianamente come intuizione intellettuale,
venne dapprima rivalutata da Fichte e Schelling, secondo i quali essa rappresenta una forma di pensiero
superiore e a priori rispetto a quello logico-dialettico, non oggettivabile perché altrimenti significherebbe
rendere oggettiva la soggettività, o far rientrare l'infinito nel finito, il che sarebbe una contraddizione
logica. Non potendo essere dimostrata, essa va posta con un atto di fede,[8] che non è però irrazionale,
essendo trascendentale, ovvero fondante la razionalità stessa.[9]

L'intuizione intellettuale come organo della filosofia venne invece aspramente criticata da Hegel che la
condannò come mistica e irrazionale, essendo per lui soltanto una forma di conoscenza diretta e
immediata propria dell'arte. Hegel ribaltò la precedente prospettiva neoplatonica affermando la
superiorità della razionalità sull'intuizione, del sapere mediato rispetto a quello immediato. Nel tentativo
di spiegare per via razionale il motivo per cui l'intuizione si produce nel soggetto, Hegel finì però per
stravolgere la logica di non contraddizione affermando di aver oggettivato il soggetto e di aver
razionalizzato l'infinito, facendo coincidere su un piano definitivo e immanente, non più trascendente,
ogni principio col suo contrario.

Nietzsche, al contrario di Hegel, ma in accordo coi suoi predecessori, riteneva che «scopo vero e proprio
di ogni filosofare» fosse l'intuitio mystica.[10]

L'intuizione nel Novecento


Agli inizi del Novecento l'intuizione venne rivalutata da Edmund Husserl, che la suddivise in "intuizione
eidetica" ed "intuizione empirica"; mentre quest'ultima è rivolta verso i singoli oggetti, l'intuizione
eidetica consente di cogliere l'essenza e dei fenomeni, andando oltre i preconcetti e i giudizi culturali,
attraverso un processo di eliminazione o riduzione fenomenologica (epoché).
All'intuizione, ritenuta l'organo della metafisica, Bergson attribuiva la possibilità più istintiva e genuina
di portare a soluzione ogni problema, essendo capace di andare al di là della rigidità materiale del
pensiero razionale.[11] Attraverso l'intuizione Bergson perviene all'"Elan vital" ("slancio vitale"), che
costituisce il principio primo della sua metafisica, come è presente nella celebre opera l'Evoluzione
creatrice (1907)., Jacques Maritain, già allievo di Bergson, reinterpretò la filosofia aristotelico-tomista
attraverso l'intuizione dell'essere.

Secondo Carl Gustav Jung, l'intuizione è un processo di intervento dell'inconscio con cui la mente riesce
a percepire i modelli della realtà nascosti dietro i fatti.

Gödel vedeva nell'intuizione matematica una forma di conoscenza reale, e non puramente astratta o
concettuale, della teoria degli insiemi, nonostante essa prescinda dall'esperienza dei sensi; similmente a
Parmenide egli concepiva la logica "formale" come unita indissolubilmente a un contenuto "sostanziale".
La sua formulazione dei teoremi di incompletezza, secondo cui la verità che è alla base di un sistema
formale non può essere dimostrata stando all'interno del sistema logico stesso, intendeva inoltre rifarsi al
percorso logico usato già da Platone, e come lui dai neoplatonici nell'elaborare il sistema filosofico della
teologia negativa.[12] Penrose considerava così l'intuizione una forma suprema di sapere, tramite cui
apprendere la verità di assiomi non dimostrabili su cui fondare la coerenza dei sistemi logico-formali
(come appunto quelli matematici).

Per il filosofo gallese Richard Ithamar Aaron (1901–1987) la conoscenza si origina attraverso l'intuizione
del reale, la quale di per sé non può essere spiegata ma solo descritta. L'intuizione non è soggetta a errori,
i quali possono verificarsi solo al di fuori dell'atto originario della conoscenza.

Note
1. ^ Dizionario etimologico (http://www.etimo.it/?term=intuire).
2. ^ Si tratta di quella concezione filosofica che vede la coscienza sempre come intenzionale,
cioè diretta a un oggetto, che abbia sempre un contenuto. Ad esempio Brentano definirà
l'intenzionalità come la caratteristica principale dei fenomeni psichici (o mentali), e che li
distingue dai fenomeni fisici.
3. ^ La posizione di Parmenide, che esclude un rapporto mediato dei sensi in favore di una
conoscenza immediata, sarà riassunta nella seguente formula: «nell'errante intelletto non
c'è nulla che non sia stato negli erranti sensi».
4. ^ Cfr. il mito della caverna di Platone, La Repubblica, VII libro.
5. ^ Così Aristotele:
«I possessi sempre veraci sono la scienza e l'intuizione, e non sussiste altro genere
di conoscenza superiore alla scienza, all'infuori dell'intuizione. Ciò posto, e dato che
i princìpi primi risultano più evidenti delle dimostrazioni, e che, d'altro canto, ogni
scienza si presenta congiunta alla ragione discorsiva, in tal caso i princìpi non
saranno oggetto di scienza; e poiché non può sussistere nulla di più verace della
scienza, se non l'intuizione, sarà invece l'intuizione ad avere come oggetto i
princìpi.»

(Aristotele, Analitici secondi II, 19, l00b)


6. ^ Secondo Aristotele l'essenza, situata al culmine della conoscenza, non può essere colta
né induttivamente dai sensi, né attraverso un ragionamento:
«[...] principio di tutto è l'essenza: dall'essenza, infatti, partono i sillogismi»

(Aristotele, Metafisica VII, 9, 1034a, 30-31)

«la sensazione in atto ha per oggetto cose particolari, mentre la scienza ha per
oggetto gli universali e questi sono, in certo senso, nell'anima stessa»

(Aristotele, Sull'anima II, V, 417b)

«Colui che definisce, allora, come potrà dunque provare [...] l'essenza? [...] non si
può dire che il definire qualcosa consista nello sviluppare un'induzione attraverso i
singoli casi manifesti, stabilendo cioè che l'oggetto nella sua totalità deve
comportarsi in un certo modo [...] chi sviluppa un'induzione, infatti, non prova cos'è
un oggetto, ma mostra che esso è, oppure che non è. In realtà, non si proverà certo
l'essenza con la sensazione, né la si mostrerà con un dito [...] oltre a ciò, pare che
l'essenza di un oggetto non possa venir conosciuta né mediante un'espressione
definitoria, né mediante dimostrazione»

(Aristotele, Analitici secondi II, 7, 92a-92b)

7. ^ «Tutte le cose tendono verso una contemplazione, verso un'intuizione più o meno
perfetta. [...] Ma conoscere è, per Plotino, essenzialmente agire. Nulla di più falso che
intendere l'intuizione come un passivo, recettivo accogliere» (Luigi Pelloux, da L'assoluto
nella dottrina di Plotino (http://books.google.it/books?id=ebHFOokYDQoC&printsec=frontcov
er&source=gbs_navlinks_s#v=onepage&q&f=false), pag. 52, Vita e Pensiero, Milano 1994
ISBN 88-343-0560-4).
8. ^ Per questa «fede» nell'auto-intuizione dell'Io, Fichte riceverà paradossalmente le accuse
di ateismo, cioè di aver fatto del mondo un prodotto dell'Io anziché di Dio, cfr.
L'Atheismusstreit di Fichte, su homolaicus.com.
9. ^ «Solo la fede [...] può dare il suo assenso al sapere ed elevare a certezza e
convincimento ciò che, senza il suo intervento, rimarrebbe puro inganno. Non è un sapere,
ma una decisione della volontà a dar validità al sapere» (Fichte, La missione dell'uomo, cit.
in Annali: Studi tedeschi, XXXIII, pag. 144, Istituto universitario orientale, Sezione
germanica, Napoli 1990).
10. ^ Nietzsche, Frammenti postumi (1884), 26[308], Adelphi.
11. ^ Bergson, Introduction à la métaphysique, 1903.
12. ^ «Classi e concetti possono essere concepiti come oggetti reali, cioè le classi come
pluralità di cose, e i concetti come proprietà e relazioni tra esse, entrambi esistenti
indipendentemente dalle nostre definizioni o costruzioni» (Kurt Gödel, Russell's
mathematical logic in Collected Works, Vol. II: Publications 1938-1974, a cura di Solomon
Feferman, John W. Dawson Jr., Stephen C. Kleene, Gregory H. Moore, Robert M. e Jan van
Heijenoort, New York e Oxford, Oxford University Press, 1990, pag. 128).

Bibliografia
Henri Bergson, La filosofia dell'intuizione, Carabba, Lanciano 1909
S. Carella, A. Gessani, "Logos kai nous". Discorso e intuizione nella filosofia platonica,
Aracne, 2008 ISBN 88-548-1767-8
Andrea Gentile, L'intuizione creativa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012 ISBN 88-498-
3501-9
Emmanuel Lévinas, La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl, Jaca Book,
2002
Penney Peirce, La via dell'intuizione, Mondadori, Milano 1999
Xavier Tilliette, L'intuizione intellettuale da Kant a Hegel, Morcelliana, Brescia 2001

Voci correlate
Autocoscienza
Insight
Intelletto
Intuizione intellettuale

Altri progetti
Wikiquote contiene citazioni sull'intuizione
Wikizionario contiene il lemma di dizionario «intuizione»

Collegamenti esterni

Intuizione, su thes.bncf.firenze.sbn.it, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.


(EN) Intuizione, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
(EN) Intuizione, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
L'intuizione da Aristotele a Popper, su ariannaeditrice.it.
LCCN (EN) sh85067653 (http://id.loc.gov/authorities/subjects/sh85067653) · GND
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