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Xavier Lacroix
22 Settembre 2000
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IL LEGAME A TRE FILI
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L’impossibile necessario, ecco il paradosso con il quale ci dobbiamo
misurare. Il patto coniugale è necessario per almeno tre motivi:
(3) Per ciascuno dei due sposi, inoltre (e questa è la terza ragione),
sarà una fonte di certezza, di sicurezza interiore senza pari, il sapersi amato
da un altro incondizionatamente, cioè totalmente, tutto intero. Che gioia non
avere l’impressione di passare ogni giorno un esame, di essere accettati per
quello che si è e non solo per le proprie qualità! E che gioia, fare questo
stesso dono all’altro!
Un elemento decisivo per l’avvenire della coppia sarà il fatto che l’uno
e l’altro vogliano insieme costruire il vincolo. In assenza di questa ferma
volontà, il primo ostacolo serio spazzerà via la coppia. Solo una volontà
determinata farà trovare i gesti, talvolta costosi, necessari alla vita o alla
salvezza della coppia.
Atti di parole vere, di riconciliazione, di correzione dei propri
comportamenti, di servizio, di solidarietà.
Una frase di France Quéré lo dice molto bene: ”Le coppie che
camminano sono quelle che fanno cammino”.
E’ importante, di conseguenza che la coppia sia stata fondata su una
decisione chiara, che deve assumere la forma di una parola di riferimento, di
inquadramento, punto fisso nei momenti di turbolenza. Una parola che ha
aperto un avvenire, ha fissato una meta: non c’è nessuna navigazione se
non si fissa una meta. Come diceva il filosofo Seneca: “Non c’è buon vento
per colui che non sa dove va”.
Occorre riconoscere, tuttavia, che la volontà può essere determinata,
ma non onnipotente. Se fosse sufficiente voler durare, per durare, le cose
sarebbero più semplici. Ma, evidentemente le cose non stanno così. Non
basta voler durare, bisogna sapere come fare. In altre parole, si tratta qui di
un “saper fare”, di un’arte. Ecco la seconda dimensione del legame.
Due sposi che stavano per divorziare dicevano un giorno: “Ci amiamo,
ma siamo incapaci di vivere insieme”. Possiamo esserne incapaci per una
collezione di sbagli, per un susseguirsi di scenari negativi, per essere
prigionieri di situazioni che rendono difficile il progredire. Vorrebbero vivere
insieme, ma non sanno come fare. L’amore stesso non è solo uno slancio,
una intenzione, ancor meno un fluido magico. E’, secondo le definizioni di
numerosi filosofi, un “opera d’arte”, un’opera, un lavoro, che richiede talento,
ispirazione.
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Un’ “arte”, nel senso largo e più antico del termine, techné in greco,
che significa un “saper fare”, una competenza.
“Le relazioni di coppia sono indubbiamente più ricche di una volta, ma
richiedono, in contropartita, più competenze”, dichiarava un sociologo
(Claude HERAUD, in “La Croix, 27 febbraio 1998) Il vincolo è un’ “arte”
anche nel senso ristretto di “belle arti”, inteso cioè come capacità di creare, di
creare una opera bella. Ricorderei qui alcuni aspetti di questa arte.
- Arte di parlare con i bambini e, cosa più delicata, con gli adolescenti,
trovando una parola di padre, una parola di madre, di nuovo con le loro
differenze, discernendo ciò che è opportuno secondo i momenti e le tappe
della vita.
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Come dice il nome, la gratuità è la figlia della grazia. Entrambi i termini
vengono dal latino “gratia”, favore, regalo. In verità, noi riceviamo il
movimento attraverso il quale diventiamo capaci di donare, di donarci. Noi
sentiamo di essere incapaci, con le nostre sole forze, di questo
movimento.“Non c’è amore più grande che donare la propria vita per quelli
che amiamo”. Chi è capace, da solo, di un tale dono?
Chi di noi oserebbe dire di essere capace, da solo, di un tale dono?
In fondo, l’alternativa è la seguente: o il legame coniugale è solo il
risultato dell’interazione, dell’alchimia tra due psichismi, caratteri,
temperamenti, storie o è anche il luogo di fioritura, rivelazione, donazione di
una vita altra, introduzione ad una vita nuova, più originale e più universale
che quella di due “ego”, la vita assoluta, che, nella cultura ebraico-cristiana
chiamiamo “agape”, l’amore-carità.
Di questa terza vita, dei non credenti hanno avuto l’intuizione e fatto
esperienza. Alcuni gli hanno perfino dato un nome.
Per esempio Vladimir Jankelevitch, filosofo agnostico, che afferma:
“La carità è figlia della grazia”. In un’opera di stretta filosofia, Shamuel
Trigano, professore a Parigi X-Nanterre, può affermare: “E’ come se ci fosse
sempre un terzo interlocutore che si inserisce nel confronto reciproco e lo
apre dall’interno verso l’altrove”.
Lo psicanalista Jacques Lacan suggerisce in maniera enigmatica:
“Perché la coppia tenga sul piano umano, bisogna che un dio sia presente”.
Il compito proprio dei credenti sarà quello di dare un nome alla
sorgente del dono, da dare un nome a questo terzo, e di celebrarlo in
comunità, facendo corpo con altri e facendo riferimento ad una Scrittura, ad
una storia, ad una presenza.
Riconoscendo come grazia il dono dell’agape e in questo dono
l’iniziativa di colui che si chiama “Dio” ma che è più preciso e più cristiano
chiamare Padre, Figlio e Spirito. E tutto ciò a partire dalla Scrittura e dalla
effettiva esperienza spirituale.
Il Padre come colui che dona, la fonte nascosta del dono, colui al
quale rimanda Gesù quando dice, dopo aver citato il Capitolo 2 della Genesi:
“Ciò che Dio ha unito ….”
Il Figlio come colui che si dona, la forma e il modello del dono, colui
nel quale il dono prende corpo, colui che viene ad abitare il vincolo, come ha
promesso in una parola che certi Padri della Chiesa applicavano al
matrimonio: “Quando due o tre sono riuniti (uniti) nel mio nome, io sono
presente in mezzo a loro”.
Il Padre come colui che dona, la fonte nascosta del dono, colui al
quale rimanda Gesù quando dice, dopo aver citato il Capitolo 2 della Genesi:
“Ciò che Dio ha unito ….”
Il Figlio come colui che si dona, la forma e il modello del dono, colui
nel quale il dono prende corpo, colui che viene ad abitare il vincolo, come ha
promesso in una parola che certi Padri della Chiesa applicavano al
matrimonio: “Quando due o tre sono riuniti (uniti) nel mio nome, io sono
presente in mezzo a loro”.
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Lo Spirito come dono donato, che darà al vincolo soffio, respirazione
ed energia, liberandolo dalle sue schiavitù: lui i cui frutti sono, secondo le
parole di San Paolo:”Amore, gioia, pace, pazienza, bontà, benevolenza,
fede, dolcezza, dominio di sé”.
L’azione della Grazia nella vita coniugale può dispiegarsi secondo due
registri, classici nella teologia cristiana. Secondo l’ordine della “creazione”,
dell’azione creatrice, per dar vita al vincolo, suscitando il desiderio (nel senso
forte di questa parola), la gioia, la meraviglia dell’incontro; ma anche secondo
l’ordine della “salvezza”, per salvare il vincolo dai numerosi pericoli che lo
minacciano.
“Ogni storia d’amore è una storia di salvezza” leggevo recentemente
(Alain Mattheeuws “Le don du mariage” Nouvelle revue Théologique, n. 2,
1966). Ogni coppia avrà bisogno, un giorno o l’altro, di essere salvata e lo
sarà in maniera molto concreta, (cioè non magica o idealizzata), attraverso i
diversi aspetti del lavoro della grazia: dono dell’energia per ricominciare,
dono dell’umiltà per chiedere perdono, dono della speranza, dell’aiuto
fraterno più ampio. Questa necessità e nello stesso tempo questa possibilità,
di una salvezza per la coppia e quindi per la famiglia, è uno dei messaggi più
originali che i cristiani abbiano a formulare nell’attuale situazione.
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dell’altro, della presenza, in lei o in lui, al di là delle sue qualità e dei suoi
difetti, di un principio di vita, di un mistero insondabile che resterà sempre,
oltre le delusioni, le difficoltà, le sofferenze. "Fiance" in sè, nella presenza in
se stessi, ogni giorno, domani come oggi, di questa buona volontà che è in
me oggi, per costruire il legame.
Si capisce bene che questa doppia fiducia rimanda ad una fiducia
ancora più fondamentale, alla certezza che questa volontà sarà donata
all’uno o all’altro, ogni giorno.
Al di là dei rischi della nostra affettività e degli alti e bassi di
quest’ultima, esiste una roccia o una sorgente, un principio affidabile di
stabilità e di rinnovamento.
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Il riconoscimento di questo dono come sorgente di vera libertà, come il
“Signore dell’impossibile”.
III
“ Mai potrò amare le mie sorelle come voi le amate, o mio Gesù, le
amo in me” esclamava la piccola Teresa, Teresa di Lisieux. Ogni sposo
potrebbe dire la stessa cosa a proposito dell’amore cui è chiamato verso la
propria sposa, così come ogni sposa verso il proprio sposo. “Mai potrò amare
mia sorella, mio fratello, la mia sposa, il mio sposo se tu stesso, Gesù non li
ami in me”. Siamo così condotti a percepire il vincolo coniugale come atto di
Dio ; non, fondamentalmente, come il risultato della nostra iniziativa, del
nostro agire, ma come il luogo e il frutto dell’azione di Dio stesso.
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Molto concretamente, ciò si traduce nell’accoglienza del lavoro dello
Spirito, che supplisce alla nostra debolezza e ci rende capaci di amare
secondo il cuore di Dio. Solo lo Spirito è capace di realizzare la più grande
unità nel più gran rispetto dell’alterità. E’ Spirito di comunione e nello stesso
tempo Spirito di personalizzazione.
In ciascuno infonde lo sviluppo dei suoi carismi particolari, della sua
libertà e della sua bellezza, tra i due ispira un movimento di ricettività, di
flessibilità, di docilità, capace di suscitare una forma di armonia cui nessuna
risorsa solamente umana potrebbe portare.
“Essere vivo, attraverso un libero dono reciproco” , scrive E. Stein nel 1942, “
è possibile solo a cuori spirituali” (Edith STEIN, La science de la croix (1942),
trad. fr. èd. Nauwelaerts, 1998, p. 198).
Spirituali significa : capaci di vivere il mistero della mutua presenza nell’altro:
“Tu in me , io in te”, che è il movimento stesso della vita Divina, come
possiamo leggere in San Giovanni :”Io sono nel Padre e il Padre è in me”,
dice Gesù (Gv 14,11); o ancora “ Rimanete in Me come Io in voi “ (15,4);
“che siano uno come noi siamo uno, io in loro e tu in me, che siano
perfettamente uno” (17,23).
Ogni vera unità, che non aliena né incatena, ma al contrario libera,
viene da Dio, si trova in Dio, “L’amore nel suo compimento più perfetto,
scrive ancora E.Stein, è essere uno in un libero dono reciproco, è la vita
intima di Dio, la vita della Trinità “.
Sentiamo certo, e sperimentiamo che nel vincolo coniugale autentico,
cioè nel legame che poggia sull’amore come dono reciproco, c’è un mistero
non sovrumano ma “ al di sopra” dell’uomo.
E’ straordinario che gli sposi , aprendosi al Terzo, alla vita Divina
come terza tra loro, si aprono ad una vita che è essa stessa ternaria,
Trinitaria.
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Tuttavia, essendo passati attraverso la notte, la notte della fede,
possiamo avere l’intuizione del movimento ternario della vita, della vita
assoluta, della vita divina.
Suscitare un terzo aprendosi all’altro, dar luogo ad una terza vita
comunicando la propria vita all’altro, ecco un passaggio fondamentale.
Il movimento della spoliazione di sé, il consegnarsi radicalmente
all’altro, conducono le due persone ad un dono tale da donare, ancor più, da
comunicare la propria vita, in un movimento che le oltrepassa, un movimento
creatore e fecondo, “Il grande dono dell’amore è donarsi l’uno all’altro per
donarsi insieme”, diceva Paolo VI in una allocuzione alle Equipes Notre
Dame, il 4 Maggio 1970.
Tra il Padre e il Figlio , lo scambio è così profondo, così definitivo, così
totale, che è il loro essere intimo, la loro vita essenziale a circolare tra Loro,
suscitando tra Loro il fuoco e la luce di una terza persona, persona che è
precisamente quella attraverso la quale essi si comunicano alle creature
nella maniera più intima.
L’uomo e la donna sono invitati ad entrare nello stesso movimento,
nello stesso mistero.
L’unione tra i loro corpi, immagine ed espressione dell’unione tra i loro
cuori, va così lontano nello scambio, coinvolge a tal punto la sostanza più
intima dei loro corpi, da raggiungere in essi le sorgenti della vita, il luogo
dove una vita scaturisce.
La loro unione si incarna in una terza; eccoli dunque introdotti in due
modi in una vita più grande della loro, a monte attraverso l’accoglienza del
dono di Dio, a valle attraverso la fecondità.
La cosa meravigliosa è che questi due movimenti sono una cosa sola.
Ciò che è accolto è una vita, la cui essenza è di donarsi, raddoppiarsi,
moltiplicarsi. Il movimento verso la più grande interiorità è movimento verso
l’esterno, verso gli altri, verso l’avvenire. Così è la respirazione dello Spirito,
raccoglimento e apertura, inspirazione-espirazione. La fecondità è come il
dono del dono, il suo raddoppio, la sua incarnazione.
La sua forma più evidente e la più naturalmente desiderata è certo la
procreazione e l’accoglimento dei figli. Giovanni Paolo II ha potuto scrivere:
“Ogni generazione porta in sé la rassomiglianza, cioè l’analogia, con la
generazione divina” (Giovanni Paolo II, La dignità della donna, Lettera
apostolica, 1988). Bisogna tuttavia capire che esistono altre fecondità della
coppia e della famiglia, abitate da questa respirazione. Riprendendo una
tradizione molto antica Giovanni Paolo II parla a più riprese di “Ministero”
proprio degli sposi “ministero autentico della Chiesa al servizio
dell’edificazione dei suoi membri” (Giovanni Paolo II, I compiti della famiglia
cristiana, Esortazione apostolica, 1981).
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Spirituale non vuol solo dire interiore, intimo, introverso, intersoggettivo, ma
anche radioso, capace di iniziative, inventivo, integrato con gli altri membri
della Chiesa.
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Xavier Lacroix
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