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MEM OR Tf 3 DI TRE CELEBRI PRINCIPESSE DELLA FAMIGLIA GONZAGA OFFERTE A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR CONTE STEEFANO SANVITALE PARMIGIANO GENTILUOMO DI CAMERA CON ESERCIZIO ED ESENTE DELLE REALI GUARDIE DEL CORPO DIS. A. Re IN OCCASTONE DELLE SUE FELICISSIME NOZZE CON SU4 ECCELLENZA LA SIGNORA PRINGIPESSA DONNA LUIGIA GONZAGA MANTOVANA. be227] Ko2% ; ee PARMA DALLA STAMPERIA CARMIGNANI M. DCC. LXXXVIL+ CON APPROVAZIONE. 93 MEMORIE DI DONNA IPPOLITFTA GONZAGA COLONNA E CARRAEA DUCHESSA DI MONDRAGONE. a x A G bian il terzo luogo fra le illuftri Principefle uF della nobiliffima Stirpe Gonzaga quell’ amabile Ippolita, che gik si cara a Donna Giulia ce- rata da noi, € non meno accetta a Donna Lucrezia, quali fiori, vantd feco loro comune il pregio di firtuofa e leggiadra. Le fu genitore il famofiflimo Don rrante {pecchio di militare e politica gloria, germe ben teno dell’ antica fua pianta, e propagator fortunato di a nella linea de’ Duchi di Guaftalla. Sparfo avendo egli giovenili fudori tra le armi a fervigio del magnanimo mperador Carlo V, ¢ rimunerato col Ducato di Ariano, altre fignorfe nel florido Regno di Napoli, fi ac- ivi in maritaggio a Donna Habella di Capua figli- la del Duca di Termoli, erede in quelle fteffe parti di fllo Stato, dove I'anno 41535 videfi arricchito di s) gen- le fanciulla («); nel tempo fteffo che le trombe guerriere 0 richiamavano all’armi, ed a reprimere |’ orgoglio del arbaro Ariadeno, che tolto avendo al {uo legittimo Re 96 MEMORIE Vimportantiffima Citth di Tunifi, e fattafi tutta P Al tributaria col porla fotto limperio di Solimano, gran ma ruina minacciava all’ Ifola di Sicilia, al Regno Ni poletano, ¢ a tutta la criftianith (2). Felice riufch quell imprefa, ¢ n’ebbe applaufo il Gonzaga (2), che ritomat T'anno medefimo col trionfante Imperadore in’ Sicilia, ne fu per benemerenza dichiarato Viceré (4); onde pofta la fede in Palermo, ed ivi chiamata la faggia moglie (5) quae fi per configlio celefte toccd in forte alla dolce bambina Yeffer nudrita ed allevata nell’ antico nido delle pid grate Mule, che il Mantovano Poeta invoc’ gik a foccorfo del paftorale fuo canto. Paffava appena il terzo anno dell’eth fua, quando con dotta dalla Madre a Napoli altamente di sé fteffa invagh) la noftra Donna Giulia Gonzaga, che ritirata, come ve= demmo, in ua Moniftero fu da lei vifitata, Quefta gram” Donna fu la prima a confervarci nelle fae lettere feritte a Don Ferrante I’ idea dell’ amabilita di coftei (4), la qua le rapita da un teneriffimo amorofo trafporto verfo det Padre, non @ maraviglia che lo movefle a farla per tem po ammaeftrar negli elementi che fono fcala alle fcienze, da cui benché confeflafe ritrar le nobili femmine un fingo- lare ornamento, era tuttavia di parere che niuno i figli- uoli de’ Principi ne ricavaflero, come colui che tutto de dito alle armi propofto avea di non voler applicare i mat chj ad altr’arte che alla milizia (7), Affegnati aduoque alla fanciullina buoni maeftri, fe ne videro ben prefto otti- mi effetti, perché giunta all’et’ in cui ragione fuole in molti altri detare appena i primi. ufi del lume fao, feri- veva git ella di fua mano pulitamente vaghe lettere al, genitore (8), Onde prevedendofi come valorofa riulcir do. vefle fra poco, noo fi tralafcid. fin d’allora di penfare al futuro deftino di lei, e qualche trattato fi ebbe fra Donal na Giulia e il Cardinal Ercole per accoppiarla un giorno pi D. Ipponira GoNnzaGa. 97 al giovanetto Vefpafiano Gonzaga (9); il che fe aveffe ottenuto efferto, non fo qual coppia ¢ pid bella, e pit ‘di ftudj e di qualita uniforme fi fofle altre volte veduta. Mentre crefceva Ippolita in eth, bellezza , fpirito , leggiadria e virth, convenne a Don Ferrante paflar in Fiandra colle armi a fervigio di Cefare: il perché ordi- nato alla moglie che fi trasferifle colla famiglia in Lom- bardfa, approdd quefta a Napoli fu le Galere del Viceré intorno alla fine di Giugno del 1543, € fegui poi fuo cammino a Mantova con giubilo grande di quella Corte , e fpecialmente del Cardinal Ercole, cui fe parvero ama- bilifimi tutti i nipotini, che tdnto a lui pofcia doverte- to, fembrd cofa rariffima la bella Ippolita , ¢ tutto fe ne tiempi di dolcezza. Odafi come fi esprimeffe nello fcri- vere al fratello: Ogai d? pik mi riefcono i woftri Putrini , che fono tanto dolci, che vincono ogni mia spettazione. Ho veduro ballar Donna Ippolita, la quale m ba satisfarto mi- rabilmente, parendomi veder in lei quella graxia, che forse mai non ho veduea in altre pari fue civca quell’ ato di bal- lave. Eun’ altra volta: Fui Domenica paffata a cena con la Principef[a. Ebbi grandiffimo spaffo con quefti figlinoli . Trovai, che da Donna Ippoliza in fuori, ebe dice alla li- bera d’ amar pik voi che la Madre, sntro il refio a spada trata 3 di contraria opinione. Diffi a Donna Ippolita: com’ + poffibile, che amiase voftro Padre pis di voftra Madre , avendo-ella fatte tante fatiche per vot, e ‘voftro. Padre niu na? E’ ben vero, rifpose quefta Putta, cid che V. S. dice ; mo di gid quelle fariche fono pafjate. E concludendo io, ch ella aveva una grandiffima ragione, con un. bacio per uno jueti li mandaé a dormive G0), Il Porporato buon conofcitor delle feienze fapeva bene come foffero ai Principi necefla- tie; onde poco in quefta parte al fratello badando, cercd @iftillarne amore con efito aflai felice ne’ mafchi, ¢ non _tralafcid di far coltivar meglio il talento d’Ippolita, che ” 9 MEMORIE oltre la mufica e la cosmografia guitd le bellezze de’ tos. cani ¢ latini autori, lo {pirito apprendendo delle cole par, ticolarmente poetiche, per cui non folo fu capace di. pro- ferir giudizio intorno agli altrui componimenti, ma ezian- dio fu abile, volendo, a fcriverne di fua fantasia. Percid al primo recarfi di quefta famiglia a Milano, allorche P Imperador Carlo V nel 1546 dichiard Don Ferrante Go vernatore di quella Citth e Ducato, fu ella ben tolto co nofciuta qual giovinerta dé molta illuftre aspettanione, come chiamolla nelle fue lettere Luca Contile (1), che aven- dola un giorno offervata mentre ftava preflo una Dama che il vanto portava di bella, e al paragone vedendo quanto Ippolita meglio di colei rifplendefle , fece il feguen- te Sonetto: Ippolita, almi c grantofi gefti, CB entrano in cor di chi vi guarda fiso , E i puri vexzi del frorito vifo, Dovwe scherzano ognor gli amori onefti ; E de voftri occhi or quelli sguardi or quefti, E le parole nate in paradifo, Accompagnate dal foave rifo, Fanno allegri d’ alzrui gli animi mefti . Stupisco, quando voi spargete intorno Da s) giovanit cor vivace luce, CP ogn’ altra a paragon tenebre fora. A paragon (dico io) ‘oi vidi un giorno Duna che di belsd Sop? altra luce, E parve notte a mezzo giorno allora (1). Non fi attefe molto ad un partito offertofi di marix tarla ad Orazio Farnefe figlivolo di Pierluigi Duca di Parma e Piacenza (12), ma fu accettato con molto giu- bilo quello di darla a Fabrizio figliuolo di Afcanio Co- lonna, infinuato ad wa tempo dalla rinomatissima e dot tifima Vittoria Marchefana di Pefcara zia di lui, ¢ pi D. Ippotira GonzaGa. 99 da Monfignor di Granvela uno: de’ primar) Miniftri Im— peiali (4). Tanto felicemente inoltroffi quefto tratta- 10, che nell’aurunno del 1547 poté divulgarli come con- chinfo, rallegrandofene tutto il parentado, e fra gli altri il Marchefe Maffimiliano Gonzaga di Luzzara Arcavolo della Signora Principefla Donna Luigia, del cui acquifto oggi Parma é si lieta, come colui, che per 1a conforte Caterina di Profpero Colonna veniva a ftringere maggior vincolo con Don Ferrante, cui {criffe una lettera piena di contentezza (1s), La tenera eth d’ Ippolita, ei tumulti della nata in quel tempo ribellion di Piacenza, che ten- nero affai occupato Don Ferrante negli affari di quella Citth fottrattafi ai Farnefi colla uccifione di Pierluigi, fecero differire le nozze per un anno intiero, dopo il qua- le per mezzo di Gianfrancefco Vialardo Procurator del Co- Jonna, ¢ di Uberto Strozzi Procuratore della noftra Gon- zaga furono conchiufe. Partitofi Fabrizio da Napoli recos- si prima in Aleflandria, onde ringraziar Don Ferrante del dono fattogli di si leggiadra Spofa, che ancora nom com nofeea fe non pel ricratto. Pofcia in compagnia di Ales- sandro Gonzaga venne a Milano, incontrato a tre miglia dalla Gitth: da varj Gentiluomini, e da tre fuoi cognati Andrea, Ercole, ed Ortavio; e condotto al palazzo delia Spofa ne fu tanto forprefo, che parve fuor di sé fteffo 4), Anche Ippolita fi ritrovd affai paga di si bello e buono marito, e {criffene al genitore viviflimi rendimenti di gra- zie (17), Siccome perd dopo alquante fettimane , che rimanea- no a {correre prima delle vicine folennita di Natale, atten- devafi in Milano il Real Principe Don Filippo Monarca poi delle Spagne, cosi omeffe per allora le pubbliche di- moftrazioni di gioja, fi ritardd a quel tempo a far folen- ni comparfe, preparandofi intanto archi trionfali, ¢ fpet- tacoli nobiliffimi per trattenerlo, come fu fatto: Jaonde 109 MEMORIE ferive I'Ulloa, effere ftata quella un’affai buona occafione per celebrar quefte nozze, rendute liete parcicolacmente da un folenne torneamento, che tennero in ampio fteccato ful- la piazza del Caftello diverfi Cavalier valorofi; da un lauto Banchetto dato al Real Principe da Don Ferrante, a cui fi trovd la novella Spofa con varie Gentildonne, divertite il dopo pranzo dal Principe fteflo, e da varj Cavalieri del- la fua Corte col giuoco delle canne alla morefca; dalla recita di due belle Commedie, ¢ da fimili altri fpafli, che per alquanti giorni vennero fuccedendofi l'un dietro |’ al- tro (8), Io tacerd volentieri molte altre magnificenze, ¢ i traftulli, e le danze, e i doni nuziali, e¢ i caldi, verfi de’ Poeti, per dir foltanto di una. letteraria oferta molto. opportunamente fatta agli Spofi in quella circoftanza dal valorofo ¢ incomparabil uomo Girolamo Muzio Giuttino. politano a quelle fefte prefente, il quale pieno infleme di Tettere, di f{cienza cavallerefca, e di criftiana pieta, fece lor dono di un fuo Trattato intorno I infticuzione, urili- th, e doveri del matrimonio (19). Se mai quefto coftume fi rinnovaffe anche a’ d) noftri, ¢ a’novelli congiuati qual- che lezion fi donafle di dover maritale, come abbiamo perd con fommo piacer noftro veduto farfi_noa & guari in quefta Citta medefima da un coltiffimo Cavaliere (o), ben potremmo in miglior fentimento ripetere il detto di quell’ antico: che fe rali foffero surti i dont che gli somi- ni fi fanno infra di loro, egliao troppo pik vicchi farebbono ob effi non fono (21). Trattenutofi il Real Principe in Milano parte del mefe di Gennajo del 15349, prendendo commiato dalla gra- ziofiffima Ippolita , ¢ dalla Principeffa fua madre, s incam- mind verfo Mantova (22), tranquilliflima rimanendofi la noftra giovane Spofa col dolce marito in perfettiffima unio- ne d’affecto. La madre intanto, che dovea fra non molto recarfi alle fue Terre nel Regno di Napoli, le pofe al fian- pt D. IppottrA GONZAGA+ IOE cb una eccellente governatrice chiamata Onorata Tancredi ; al cui valore efalrato da alquanti ¢elebri uomini di quella eth attribuir certamente conviene |’avanzamento migliore d'Ippolita ne’ fignorili coftumi, ¢ nelle f{cienze. Era la Tancredi Gentildonna virtuofiflima, ¢ piena di spirito, co- me la qualificano gli elogj in varie circoftanze merita- ti (23); onde venuta ai fervig) della Gonzaga, ebbe a in- dirizzarla vie meglio nella buona via, infiammandola a per- feverar nello ftudio delle buone fcienze, ed a far conto de- gli uomini dotti, giacché per quelle fi farebbe tra le fue pari diftinta, e merct I’ applaufo di quefti avrebbe quella “fima ottenuto, di cui gli animi nobili farono. maifempre defiderofi. Lontana dunque Ippolita dal feguir il coftume di alcune donne, che il matrimonio risguardano come un termine della loro educazione, e piante al nuovo ftato ad una vita fi danno libera e converfevole, continud nelle intra- prefe applicazioni, e il fece con tanto ardore, ¢ per tal guifa nella ets di foli quindici anni fi moftrd avanzata nella coltura dell’ animo, che rifcuotendone lode, mara- viglia, ebbe l’onore di vederfi coniata una elegante Me~ daglia col fuo Ritratto, nel cui rovefcio fi rapprefentaro- noi fimboli e¢ gli Mrumenti della Poesia, della Mulica , del? Aftronomfa, e di fimili facoltk, col motto NEC TEMPVS, NEC TAS: quali voleffe dirfi aver ella nel progreffo fatto in fimili pellegrine cognizioni avanzato di gran lunga ( afpettazione ¢ I’ eta (4), Accaduta la morte di Paolo III Sommo Pontefice, che avea privato Ascanio Colonna, suocero della noftra va- lorofa Signora, di quanto poffedeva in Terra di Roma, fu ben follecito Don Ferrante a ricuperargli coll’ autorita ¢ colla forza lo Stato (25). E perché in tal tempo il Duca Ottavio Farnefe vedendofi per una parte tolta Piacenza dall’ Imperadore, ¢ dall’ altra impedico il fignoreggiar ia Parma dal Papa, ricorfo per ajuto alla Francia urd armi 102 MEMORIE in Italia, fendo convenuti I’ Imperadore, e il nuovo Papa, Giulio TII di far lega, e di coftituir Capitano Generale del loro Efercito Don Ferrante, ebbe anche Fabrizio Co- lonna a ufcir in campo, non fo con qual fentimento della giovane Spofa, che videfi rapir si prefto da Marre quel caro pegno che aveale Amore donato poc’anzi. Fu rotta pertanto in Lombardfa un’ aspriffima guerra, in cui mentre Imperiali e Papalini dal Gonzaga guidati ftrinfero Parma di fiero affedio, traendo al partito loro i Roffi di San Se- condo, e varj altri Nobili di quefta Citth, e fino il ramo de’ Sanvitali Conti di Sala, fi offervd tuttavia ne’ Sanvitali Conti di Fontanellato, benché nati da una Gonzaga, I’ in- violabile fedelt’ confervata ognora a’fuoi Principi, giacche non tralafciarono di mantenerfi in quel loro Caftello im- perterriti all’ urto de’ nemici, ed impiegarono di buon gra- do a pro del loro Duca le facolth, e la vita @4). Ma Fabrizio Coloana era di compleffion troppo gra cile per aon foggiacere ai difagi della vita militare. Gli ar- dori eftivi, le fatiche del campo, che nel fervido Agolto del 1551 affannavano l’intero Efercito, cader lo fecero in- fermo, ¢ fu meftieri trasferirlo oltre Po a Viadana per tentarne la guarigione. Ippolita cid intele appena, che vold follecita a quella Terra, onde affifterlo, ¢ trattener , fe le fofle ftato poflibile, in quelle abbattutce membra I’ avi- ma amata. Come perd furono- vani i tentativi dell’ arte medica, inutili cost riufcirono i voti e le lagrime della Giovane defolata. Sopraggiunfe Don Ferrante ftaccatofi a bella pofta dal campo che teneva preffo la Certofa di Par ma, guidando feco a fua guardia ottocento Cavalli, e molta Fanterfa tedefca; né fervi ad altro la fua prefeaza che a moltiplicare i pianti e i fofpiri, giacché venne in quel puoto che l’infelice Fabrizio nel pitt bel verde degli anni tra le braccia dell’ afflittiffima Conforte fpirava T° ul- timo fiato il giorno 24 del dettco mefe (7). Qual rita. pi D. IppotrTA GONZAGA. 103 neffe al duro cafo la vedova Signora, io non faprei con parole _ baftevolmente fpiegarlo. Softenuta. dal caro Padre, che mefcold con quelle della dolce figliuola le.proprie 1a- grime, poco mancd che, di puro cordoglio morta non ca- defle fal freddo -cadavere del perduto marito. Durd pid giorni la pena, fin a tanto che la propria virth, meglio affai che una ftudiata lettera confolatoria fcrittale da Pie— tro Aretino (28), non rincorolla a raffegnarfi ai divini vo- leri. La virtuofiffima Lucrezia Gonzaga, git da noi com- mendata, con altra lettera di conforti ripiena Panimd a coftanza nel tenore feguente : Se egli 2 vero, Signora mia dileetiffima, che foppor- tiate la morte del voftro Conforre con quella coftanza che io inendo, mi debbo piustofto rallegrare con la voftra for- tenza, che cercare di-alleggerirui con mie parole. il dolore. Ma quanto fate voi faviamente a darvene. pace ( fe pur lo fate )+ che pur eroppo difficil cosa mi pare, che sb giovanct- ta donna fofferi con tanta alrexza di animo un st acerbo ca- so. Veramente che ragion ebbe colui che scriffe , che tutte le cose, che erano fecondo la natura, fuffero buone 5 ¢ niuna effer- ne pie fecondo la natura che il morire. Piacemi molto, che wi conformiate con quello che a Dio piacque, it quale meglio di noi sai bifogni nofivi, ¢ fa a qual pik convenevol tem- po egli debba ritirare a sd le fue membra. Io per confermare quefto voftro nobile @ generofo farto, dico all’ Ecc. Voftra nel procellofo mare di quefta vita a ranta rempefta espofto non cffervi il pi ficuro porto della morte « Laonde il vofivo cariffimo ed onoratiffimo Conforte non avendo mai commeffo alcun fallo nella fua vita, ha con la morte figillaro la propria virth. uefto mondo, Signora, 2 una valle di lagrime profonda, nd e piena di fango, ed 2 ben avventurato chi st feli- cemente n’ esce, com cgli ba fatto. Abi quante volte mi fo- no io rifo di coloro, che non fi avveggono, che al piangere Te cofe irvecuperabili nasce piusrofto da foverchia pannta, che 1o4 MEMORIE da molea pietd, e che la morte non sia morte, ma piuttosto principio di vise. Conchiudo adunque che saviamense fate, se cffendo voi mortale, altro non aspettate da quefta nofiva vita che cose mortali: e¢ qui facendo fine, vi bacio la mano. Da Rovigo alli XX di Novembre (29). Tornata in bruno ammanto a Milano, voluto avrebbe — incominciar una vita nafcofta al mondo; ma gid divulgate troppo fi erano le fue rare dott, e le virth fingolariflime dell’ animo fuo. Giulio Bidelli Sanefe avevale queft’ anno medefimo indirizzate le proprie Poesfe, come le invid pu- re un fuo Capitolo in terza rima intitolato La Pazicnza del Bidello (3°), e giutta la efpreffione ufata dall’ Aretino , ferivendo ad Onorata Tancredi, fatto fi era tromba di lei, L’ Aretino fteffo andava qualificandola per celeffe Signora, € per uno de’ pit illuRri piri che mai fi vedeffe in la gentilezza, in ba cortesta ed in la grazia di qualuaque Reina fi vegga, affermando altro non bramar clla che le cofe devote eke fante , anreponendo fimili. gioje alla grandewxa dello flato ¢ deb fangue (31), Indarno quindi tentava ella di celare cid ch’ era noto. Si aggiunfe a renderla chiara la perizia del celebre Artefice Cavalier Leone Aretino, che impiegatt i fuoi talen- ti nel rapprefentar in bronzo-al naturale il gran Carlo V, come divinamente li efercitd: poi-nel fare la belliffima Srarua di Don Ferrante, che ammiriamo ancora. fu la piazza di Guaftaila, fi volle accingere ad effigiare nella. fua eth di fedici anni Donna Ippolita in un elegante Medaglione, ful cui rovescio figurd una Diana in atto d@ incamminarfi alla caccia fra le felve, coi cani al fianco, il corno alla bocca, e it dardo nella deftra; facendola veder del pari in cielo nella figura della Luna da molte Stelle attorniata, e rap- prefentando da un lato FP Averno, onde ufcir vedefi il Cer- bero e Pluto. Jl motto PAR VBIQVE POTESTAS, ch’esli vi appofe, mirabilmente fpiega il:concetto di quefto fimbolo, concioffiacht dando i Mitologi a Diana triforme in terra, pi D. IpporiTA GONZAGA.~ 105 in cielo, ¢ nell’erebo eguale poflanza, fignificar volle , a mio credere, come a quefti tre medefimi Regni la. grande virth d' Ippolita fi eftendeffe, cara al cielo divenuta per la faa pie- th, amabile alla terra per le fue: doti, ¢ formidabile alla morte, la cui ingiuria nel toglierle il caro Spolo alramente {prezzando, moftravafi trionfatrice del prepotente {uo orgoglio. Fors'anche per quefti tre Regni, a cui Diana eftende il fuo potere, intefe egli- di accennare i tre flati di Verginita, Maritaggio, e Vedovanza gid toccati da Ippolita con quell” intemerato candore, di cui pretende la favola che foffe cu- ftode Diana: e che che fia delle {piegazioni date per al tri a fimile ritrovamento del coniatore (3+), io non credo che affoggettar fi poffa a miglior interpretazione quelta bella Medaglia, la quale mandata dalla T'ancredi a Pietro Aretiao, rifcofle dalla penna di colui~ nuove lodi ad Ippolita G2. L anno appreffo altra Medaglia le inventd Jacopo Trezzo, che dietro al ritratto rapprefenta I’ Aurora fopra un cocchio tirato da un cavallo alato, col detto VIRTVTIS FOR- MEQ. PRAVIA, a fignificare che febben grande. fofle lo splendore di coftei nell’ eta ‘st fresca di. diciaffette anni, non era perd che un prefagio di quel pi vivo che ne promerteva a pil matura ftagione (24). Devefi anche no- tare, che a fimilitudine del Bulto fu quefta terza Meda= glia rapprefentato videfi in un gran foglio da egregio bu- Tino incifa allora I’ effigie d’Ippolita. grande quasi al na- turale; la qual catta @ sconofciuta ¢ rariflima Gs). In quefto’ mentre ancor meglio fi palefavano i fuoi rari talenti; né tuttocht. modeftiflima foffe, giunger po- teva a celarli, che i ragionamenti fuoi, e il buon giudi- zio proferito fu le opere d’ ingegno ufcenti. alla gior- nata, li manifeftavan d’affai. Di qui avveniva che le giv- fte lodi attribuite da effa ai valorofi Scrittori, quelli mo- veano poi a celebrarla altamente, come vediamo aver fat- to Francefco Spinola Milanefe, che per un’ Ode fua, cou- o 106 MEMORIE mendata da lei, altri bei verfi compofe in onor fuo, chia~ mandola la feconda Venere, la quarta Grazia, e la de cima Mola G9). Altri in ammirarla pik caldi non tra- lafciavano occafione di trar da effa argomenti a leggiadre Poesfe, fendovi ftato perfino chi da un pericolo ch’ efla corfe a Vigevano, quando cadutole fotto il cocchio ua cavallo, rimafe alquanto in fronte percofla, tolse motivo di un. bel Sonetto, lafciando infieme la confolante memo- ria che in breve ne. sparirono i fegni, talcht non rima- fero turbate. punto. Je bellezze rariffime di quella Signora, merirevole d ogni alto luogo per le doti meravigliofe ch’ era~ no in lei sd del corpo, come dell animo ornariffimo di com fiumi fignorili, ¢ di leteere pik che. non pare che ft poffan polledere da femminil inrellerto G7). Tutta la Citta di Mi- ano riguardavala come il fuo pik raro ornamento: il per- ché nel Carnevale del 1553 ordinata effendofi da varj Ca- valieri. una gentil malcherata, in cui pompofamente ve- ftiti, fingevano di effere mandati dalla Dea Venere alle pi avvenevoli donne, onde le pit belle e perfette parti corporee da ciafcuna ritrarre, ficcome dicefi aver fatto git Zeufi allor che un’ Elena pel popolo di Agrigento ebbe a dipingere, veune. quella lieta brigata in Corte per dar a lei, ed alla genitrice follazzo; ¢ nella Sala entrando piena di nobili Matrone e Donzelle, e recando feco ognuno de’ mascherati un foglio, fa cui {critta era una Ottava indi- cante la pid venufta e ben formata parte di qualche par- ticolar Gentildonna, andarono prima a far la dovuta ti- verenza, ¢ ad offerire il loro dono alla Principefla, e a Donna Ippolita fua figlia fovra al alrre belliffima, ¢ di tutte le grazie del bel corpo, e det bell animo ricca oltve modo; indi fi volsero a prefentar chi quefta, chi quella fecondo loro aggradiva (38) , Signora di cosi alto affare non poteva non effere de- fiderata in conforte da qualche Principe degno di lei; né pI D. IppoLira GONZAGA. 107 pitt di lei degno efler poteva fe non-chi d’animo, di pen- fieri, e di ftudj le foffe conforme, Natura placidiffima ¢ tranquilla, mente ata alle Mofe, git fpiegata abbaftan- za, e da pitt parti commendata per tale G9), farebbe ftata mal congiunta ad un compagno armigero, € {prezzator delle lettere. Provvidenza, che veglia a ordinar maritaggi felici oguiqualvolta gli uomini, di liberts abufando , non ofi- no prevenirne le traccie, aveale git preparato il miglior marito che mai nella perfona di Don Antonio Carrafa Duca di Mondragone figliuol di Luigi Principe di Stiglia- no. Ricolmo era quefto Signore delle pid amabili virth, e dedito fopra modo agli ftudj: e comeché , parendo a ue’ giorni di minor conto que’ nobili che non fi davano alle armi, ‘defiderato avefle un tempo di aver cariche mi- litari, vedute irfene a vuoto le mire sue @) , tivolto erafi a cercar gloria dalle amene lettere com efito si fortunato, che tra i fuoi pari non folo, ma fra quanti altri del bel Parnafo tentavano felici falirce, a niuno potea dirfi fecon- do (41). Effa dunque a Ini piacque, ed egli fa da lei riputato ben meritevole dell’amor fuo. Furono ‘conchinfi'i loro spon- fali; e -mentre Ippolita preparavafi alle nozze,, nella scelta di belle cofe, che feco meditava recare a Napoli, fece co- nofcere lo fpirito virile che la informava. Sapeva che pit dell’ oro ¢ delle gemme erano per pia- cere al futuro matito que’ monumenti; che [arti ¢ le lettere hnno pet oggetto: il perché fendo rinomatiffimo al- lora il Mufeo di Monfignor Paolo Giovio, dove raccolti erano i ritratti de’ pid eccellenti uomini del mondo, fpe- i a Como in compagnfa del proprio Segretario il celebre Bernardino Campo Cremonefe , cui di¢ patente di fuo fa- migliare, tanto onorava ella il valore di quell’ artefice, incaricandolo di far copia di alcuni di que’ ritratti, ficcome fece. E percht Bernardino trovd cola un altro Dipintore fpedito al medefimo effetto dal Duca di Firenze, ¢ a lei 108 MEMORIE ferivendo. molto lo commendd, volle effa che al ritorao glie- Jo conduceffe a Milano, per farfi a concorrenza da quefti due ad uno fteffo tempo dipingere, palma riportandone il Campo, da cui pur volle i ritratti de’ Genitori, che uni alle fue pid preziofe fuppellettili deftinate ad ornamento del maritale palazzo (42). Venuto il Carrafa a Milano nel 1554, con foddisfazione univerfale la fece fua nella placida ftagion dell’ autunno (43), deftandofi al canto per cos) faufte mozze le Mufe di Ferrante Carrafa Marchefe di San Lu- cido G4)\Fu quelta a mio credere I’ occafione , in cui fa- cendo ella il viaggio del mare nel paffare a Napoli collo Spofo, venne accompagnata da un Sonetto di Curzio Gon- zaga, che celebrandola ebbe a chiamarla ~ ella a cuit Ciel le pik fublimi ¢ rare Doti did in evra, e fopra ogni alrra il vanto (45) . Passd col buon marito alcun tempo una tranquilliffima vita, e gli partori una bambina appellata Clarice, che fu poi moglie di Ferdinando Carrafa Duca di Nocera, ed in feconde nozze di Don Paolo di Sangro Principe di San Se- vero (45). Anche fotto quel cielo rifcoffe non volgari ono- ri, e tributi grandiflimi di eterna lode; pers Girolamo Boffi ‘cantando di lei, e della Marchefa di Pelcara, chiamd glo- riofa e felice la Gitta’ di Napoli che le accogligva tra le fue Matrone: Vel Ippolira Gonnaga, ve con les La Cugina Marchefa di Pefcara: Quanto coppia gentile ancora dei Napol beare, ¢ Mantoa render chiara. Manto ben gloriofa in 'quefto fet, Per effer madve a quefta coppia vara; Ma glortofa, nd felice meno L alma Sivena, che le accoglic in seno (47). Il Betufi accinto ad ornare le Jmmagini del Tempio della Signora Donna Giovanna Aragona, ne trafcelfe una delle i _ pr D. Ieronira GoNnzaGa. 109 pid fingolari in Ippolita, facendo dire alla fama, che in st conteneva coftei i meriti di tutto il feffo donnefco, e che fe virth alcuna per alcun tempo era ftata fpenta, ella tutte Ie avea fuscitate. Le bella e faggia Donna Ippolita, foggiugneva , vero rifugio, ¢ falda fperanza di tutes ¢ bellé intelletti trarra a sé con maraviglia quanti Iflorict, quan- ti Mufict, quanti Poeti, quanti Pittori , quanti Sculzo- ri, e quanti Artefici rag) Siew celebri a deferiverla, a can- tala, a celebrarla, a dipingerla, a fcolpirla, a gittarla ne rami, ¢ ne’ bronzi. E poiché realmente ftancato avea que- fia gran Donna I’ ingegno di tutte le arti corfe a gara per abbellirfi delle fue forme, conchiufe il detto Scrittore ’ encomio di lei con quefto Sonetto: Poiché avete color, marmi, ed inchioftri Con le bellexzxe voftre alme ¢ divine, E con f altre vivtk che non han fine Stancato omai dovungue il Sol fi moftri, Piacciavi per colmare i pregi voftri Che st mondo tutto ancora umil v’ inchine , E Tempio, ¢ Sacvifizj-a voi deftine , E fian per voi felici ¢ giorni. noftri. Nd fi difdegni il voftro animo altero , Ch ba fopra tutti gli womini poffanxa, E de’ penfieri, ¢ de le voglie impero, Che poi ch’ altro rifugio non avanna A begli Spirti del noftro Emifpero, Tutta fondino in voi la lor fperanza (48), Ma chi pud vantar fu la terra perpetua feliciti? Non fi qualificherebbz quefta a buon dritto per una valle di pianto, fe anche le anime pil fagge non vi trovaffero qual- che tribolazione. Ippolita, beaché si amabile, incontrd al- cuno di que'diftarbi, che foveate non mancano alle nuao- ré, @ ritrovofli alfine cosi in rotta collo suocero, fubor- nato contro lei, e contro il figliuolo dalla feconda fua mo- 110 MEMORIE glie, che le fu meftieri prender rifugio preffo la Princi- pefla Isabella fua madre, tornata allora a fiffar in Napoli domicilio. Il Genitore, ch’ era paffato in Fiandra per fer vigio di Cefare, ¢ potea coll’ autorith fua mettere a tali difordini qualche riparo, fu a lei da morte in s\_ gran bi- fogno rapito (49), O quanti fofpiri le traffe dall’ affannato petto, o quante lagrime le spreffe dagli occhi si_amara perdica! Sofpiri e lagrime rendute chiare dai Jatini verfi @Ippolito Capilupo, Velcovo poi di Fano, che allora in Napoli foggiornava (se), ¢ incaricoffi_ in mezzo ai trafpor- ti del {uo ‘cordoglio d’impegnare il Cardinal Ercole a im- petrarle tali raccomandazioni, che meglio dai Carrafefchi Ie rifcuoteffero rifpetto (51). Aveva Don Ferrante ordi- nato poc’anzi alla conforte, che non permetteffe alla figli- uola di vivere col marito feparata dalla Cafa del Principe di Stigliano, come il detto Principe deliberato era di vo- lere, fe provveduta prima non foffe di ua Gentiluomo, e di una Gentildonna d’integrita, che ftando in guardia ognora di lei, effer poteffero teftimon) della virtnofa fua vi- ta. Dall’ altra parte la provvifione, che il Principe inten- deva di aflegnare al figliuolo, noa parea fufficiente al bi- fogno (52). Quindi macquero impegai tali, che, tenendo i due Spofi con infopportabile violenza divifi, induffero en- trambi a rimanere fepolti nella pid fiera triftezza. Forfe per alcun tempo fu il povero Duca sforzato dal Padre a ftar lontano da Napoli, né potendo pil I’ amata Conforte vedere , mandava dal cuore cocentiffimi gemiti, e diftrug- gevafi in pena, come ne pud ‘far prova il patetica So— netto, che rimirando il ritratto di lei enfaticamente com: ofe. p O del mio grave affanno alta quicte Immagin cava: 0 del mio lungo efiglio Ripofo, ¢ feampo al mio vicin periglio, Quanti oleragg: ho per voi fommerft in Lete! pi D, Iprotira GonzaGa. tir Se voi la vita, el mio conforto fere, Che non porgere al mio gran mal configlio, Quando a voi pinta per sfogar m! appiglio, Che la voce da me lonrana avete? Qual fard’l viver mio, fe aperti_fiumi Mi fembran gli occhi, ¢.un Mongibello il petto? Abi che viva. veder non vi poss io! E temo co fofpir d ardente affetto, Mentre nel voi mirar me freffo obblto, Ch un d? non v arda, ¢ me folo confumi (53), Dovettero in fine calmarfi tante procelle, fe pur calmate dir fi poteano, quando rimaneva ad Ippolita nuova ca- gione di pianto per la morte dell’ amabiliffima Geuitrice ; che non tardd molto a, fuccedere (54), Ora dopo .tali tribolazioni. purgato I’ animo d’ ogni affetto caduco indirizzd vie meglio le mire fue al confe- guimento di quella vera felicith, che la pit fana filofofia collocd fempre nell’ efercizio della foda virth; e attempe- randofi al natural del marito, che alle molte belle fue qualith il perdonabil difetto accoppiava di amarla troppo fino ad efferne alquanto gelofo, intraprefe tale tenor di vi- ta circospetta e modefta, che poté molto ragionevolmente chiamarla Bernardo Taffo la bella Gonzaga Ippoliza, d’ onor, non d’ altro vaga (35). Quefto fuo ritiro divenne favorevole alle Mule, che affai licte furono di averla compagna fovente, e di fentirla cantare dolciffimi verfi. Modeita perd ch’ella era, non la- scid mai udirne pubblico fuono, fe non fe allora che mor- ta eflendo nel 1360 la Signora Donna Irene da Spilim- bergo nella pittura e nelle lettere valorofiffima, ftimolata da tanti gentili {pirici che s’infiammarono di renderne il nome eterno con uoa Raccolta di Poesie, lafcid correre un fao elegante Sonetto, che giunto alle mani di Tom- 112 MEMORIE mafo Porcacchi (5), fu poi nella detta Raccolta inferito, e pid altre volte ripubblicato (s7), né@ fara inutile il ri produrlo qui per faggio del fuo letrerario valore. Quella, che co! foavi almi concenti Onde fermar potea del corfo i fiumi, E render queto il mar, placidi i venti, Dolci far JpefJo alpeftri afpri coflumi 5 Quella, che co’ {uot chiari e fanti lumi Tofto licte facea le afflitee menti, E spargea grazie tali infra le genti, Che di Terra fean Ciel, a’ Uomini Numi ; Quella, che con la man pitt cb altra mai Leggiadra Apelle, ¢ Pallade vincea, E con la dotea penna ogn’ altro ingegno , Morte ne invola. Abi Ciel, come tu it fai, Che Donna tal , anxi verace Dea, Di quell empia foggiaccia al fero sdegno? Ma diffe pur troppo vero il miglior Cigno dell’ Ar- no, che Morte fura Prima i migliovi, € lafcia fave i rei. Quefta si amabile e dolce Signora non era giunta ancora a compiere |’ anno ventefimo ottavo dell’ eth fua, che un rematuro male, quafi contemporaneamente al Porporato uo Zio, che tanto l’amava, e prefedeva allora al Con- cilio di Trento, la rapi alla terra per darla al cielo, di cui era ben degna. Le circoftanze del fuo paflaggio meglio defcrivere non fi potrebbero di quel che faceffe il vedovo afflittiffimo Duca di Mondragone in una lettera fcritta a Vefpafiano Gonzaga. Mluftriffimo Signor mio. Jo fon rimafo tanto afflitto e fconfolaro di quefto tanto acerbo accidente, il quale ora mi porge s}_amara marevia di Serivere a Vo S. Ill. che a gran pena mi bafta P animo di D1 D. IpPOLITA GONZAGA. 113 darle cost dolorofo raggiaglio. La DuchejJa mia & morta, ed 10 now fo come fon rimafio in vita, ed infieme fepolro in un eterno dolore. E per narvare a V. S. Ib, brevemente il ca- Jo, be dico, che effendo ella ftata dal primo di Marzo per fino li VI com um poco di febbre accompagnata con dolore di tefta, ed effendo a li VII di quefto interamente del tutto fonata, aveva determinato per permiffione de’ Medici ufcir fora di lotto. Ma fu fopraggiunta inrorno alle XVIII ore del medefimo giorno da mortale, e tanto non pi intefo repen- tino difcenfo, che la notte circa le VII ore innanzi al Mav- ted? VILLI dell iftante , prefente la Signora Donna Giulia Gonzaga Mluftriffima, la quale per farci delle folie grazie volse ritrovarft dal principio del? infermitd per infino all ul- timo, col fare quei rimedj, che a lei col confenfo de’ Medici parevano migliori , passd dt quefia vita, lafciando me in quel fupremo grado di dolore involto, che non vriceve augumento. Non bo voluto mancare, riputandomele quel servitor che le fono, di darle quefla amara C3 angofciofa novella, ed infic- me dolermi feco della morte dell Ill, Signor Cardinale. di Mantova, che in quefto medefimo punto a tanto dolor mio mi & fopraggiunta, pregandola a rener per me nell’ avvenire quella memoria di comandarmi, che merita la fervitu che le tengo, el defiderio che fempre avrd di fervirla: ¢ con guelto facendo qui fine bacio a V. S. Ul. le mani, pregandole dal Signore ogni felicird. Di Napoli il di Xi di Marzo LXII. Div. S. Ml. Affexionarifjimo Servidore W! Duca di Mondragone. Altre circoftanze intereffanti rilevanfi da due lettere del col- tifimo Luigi Tanfillo, scritte in si amara contingenza a Ma- donna Onorata Fancredi, le quali effendo inedite, e aven- domele dalla fua preziofa Biblioteca comunicate il chia- rifimo Signor Don Francefco Daniele, cui tanto pur de~ p Il4 MEMORIE vono le Memorie delle mie celebri Gonzaghe, non po- tranno fe non effere grandemente defiderate dagli eruditi, alla brama de’ quali piacemi d’interamente soddisfare. Alla nobiliffima Signora Onovata Tancredi. Mi doglio, che dove la voftra lettcra ¢ piena di infiniea contentezza ed amorevolezza, con la quale sha poruto addol~ cir im gran parte amaro, ch’ io chiudo in feno, che all in- contro quefla mia fara colma di un cordoglio infinito per E a- cerbiffima e repentina morte della noflra Signora Ducheffa di Mondragone, da me appena creduta ancora, con tutto che con gli occhs proprj V abbia veduta per maggior mia_afflixione. Gid so, che fin a quef? ora avrcte intefo it fucceffo, ¢ come ella cadde apopletica la Domenica, che fu alli VIL dopo dem Sinare, quando flava tanto bene della fua prima indispofizio- ne, che fi preparuva a volerfi levare ; fubito le mancd la fa- vella, febben per lango spaxio moftrd d intendere quanto fe le diceva: viffe dopo il cafo um giorno e mexxo, rormentara da Medici in tante e tante maniere, che fu grandiffima com- paffione. AL fine refe a Dio quell anima ben nata, effendofi comunicata la Domenica innanzi, quand ella flava beniffimo, quafi che prefaga di quel che le doveva fuccedere; ik qual prefagio lo moftrd ancora st tofto che fi pofe in letto, perd che diffe che fe ne morirebbe, aggiungendovi, che il Signor Duca fuo fi pigliarebbe un alzra conforte. Or surre le circo— flanzie, che potevano vender pik grave il dolore, fono con- corfe in quefta morte fua, perche s? giovane, si bella, st valorofz, ¢ cost vara Signora ba meffo im pubblico pianto tur- ta da cittd di Napoli; di me non favello, perchd avend io vicevute da let grazie ¢ favori pile convencvols alla grandexza del fuo bell’ animo, ¢ della fua amorevolezza, che alla baffex- za dello ftato mio, avrd occafione di tenerne memoria fempiter- nas Ella sd riferbata due giorni in S. Domenico fopra terra , ove per vederla é concorfa continuamente tutta la Citta. Dio ? abbia ricevura nella fua gloria (58). Gram pice & il vedere pi D. Ippotira GONzAGA. 11g it Signor Duca privo di lei oggi, quando gli era pik che mat cara. Ma che dird della noftra Signora Donna Giulia, la qual io vidi intorno a quella povera giovane , mentre cB el- la camminava all eftremo, in pianto, ed in dolore imcompa= rabile? Lo non vi porei ftar lungamente, perche oltre lo fper- tacolo cos) retro @ cost tragico, che invitava ognuno a ptan- gere, v'erano cens occhi imtorno delle pits nobili Signore di Napoli, che piangendo amariffimamente fecevano quefto mede- fimo. Ond’ io, che st mal volentieri venni da prima a Na- poli, ore me ne fon pil volte doluto, per effermi trovato prefente a cost infelice spettacolo ; nd mi poffo levar di bocca il primo trionfo di morte, forfe molto pile convenevole a ques fia nobiliffima Signova, che a colci, per chi egli fu fatto, A quefta percoffa ° 3 aggiunca quella della morte deb Car— dinal di Mantova, la qual ba finito @ affligger tanto la Sim gnora Donna Giulia, che ben ba di bisogno, che Dio P ajuti. Ella fin qui fe ne fa ritiraca, nd fi lafcia vifitave perch? in vero non fla bene md anco della fanitd del corpo: intendo che alcune di quefte Signore principali pur la veggano ; ed io come potrd, fard il medefimo, ma piaccia a Dio di confer- warcela tungo tempo. Cosi dungque vanno le cofe di quefto mifero mondo, delle quali io non volevo Serivervi tanto y quant’ ho fatto, ma non bo potuso far di meno. Confolarevi uoi di quefta perdita, e pregate Dio, che a qualche tempo ne conceda vita, fe mom contenta, ripofata almeno, con minor afflixione di quella, che senriamo al prefenre. Spero, che per fua infinita boned ce ne fard graxia; il che io defidero fopra turte le cofe defiderabili. It giorno di poi che mancd la Si- gnora Ducheffa, venne a morte la Signora Marchefa della Padula (59); la qual morte & tanto meno apparfa, quanto che d fara offufcara da quef? altro maggior lume: ma in vero da tutti sd fentita oe perchd fi d perdura una virtuofiffima e gentiliffima Signora. Vedere dunque ‘voi quanto fia lugubre e negra quefla mia carta ; un alsra volta forse feriverd di 116 MEMORIE cofe pir licte. Artendcte alla vofira fanitd, e fuggite pik che porete la malinconta, cominciando dal’ abbruciar Jubito quefta mia sragedia. Baciovt la mano, ¢ cow tutto il cuore mi vi raccomando. Da Napoli il di XL di Marzo MDLXIIL. Alla medesima. Per ta letteva voftra delli XX ho veduto it dolore, che ogni giorno pi vi apporta il cafo dell’ infeliciffima Signora Duchef[a ; ed a me non d punto nuova quefta voftra afflixic- ne, mifurando in cid dal mio P animo d altrni. Ma che 8 ha da fave? IL Signor Duca a mano.a mano come prudenre fe ne va quierando, La noftra Signora anch ella, febbene ba fem- pre dinanzi agli occhi della mente cast gran perdita, pur sollera il tutto con animo forte e criftiano. Parmi, che con quefti_cfempj e¢ voi, ed io ci abbiamo a governare: quanto a me vi confeffo, che ne terrd memoria sempiterna , perché cost vicercano le rave qualitd, ch erano in quella gtovane, e la molta affezione , ch ella mi porrava, Com tutto quefto dobbia mo vragionevolmente quictarcenc ; ¢ nom pur quictarcene, ma vallegrarcene ancora, fe vorremo riguardar al ben di lei, ch d beara in Cielo, ¢ non al danno noftro, che fiam vrimafti pri- vi di tanto bene. Qui cfcono ogni gioruo fuora nuove com pofizioni ; 60 per me penferd d’ aver fatto punto con quel tanto, ch’io vt mandai per U ordinario. paffato; forfe potrei aggiugnervi una Elegla per voftra confiaziear: fatanto vi mando quefti Sonctti, ¢ quanti me ne verranno alle mani, vi manders parimente, febben intendo, che fi fara una raccolta di tutte le cose, che fi potranuo avere, ¢ fi mettcranno infie~ me 4 perpetua memoria del merito, e del valove di quefta nobiliffima Signora. Mi piace, che vi fiate rivolra a giovarm le appreffo a Dio, e quefta in vero 2 opera pik degna di voi, Douna di grandiffimo spirito, che non il piangerla inutil- mente quaft femmina @ animo deboliffimo. Continuare dunque in cosh pierofo e degno uffizio ; cd infieme pregate il Signor Iddio, che ne faccia graxia di poserci viveder in Cielo, ove, pi D. Ipporira GonzAGA 117 com bo detto, fi dee ftimare, che ella bea iffima e feliciffima fi goda. Perché »» Come Dio e natura avrebbon meffo y» In ua cor giovanil tanta virtute » Se eterna falute s» Non fuffe deftinata al fuo ben fare? Jo per me ne refto. veramente molto confolato. Son quate tro giorni, ch io. vidi la Signora D. Giulia, e del male me ne parve affai bene. Ella é Javia, e conofce molto bene quali fieno i frutti di quefto mondo (6), Dungue voi, che parimente li conofcere, valetevi incontro a lui di quell arme , che Dio v ba daze per ficuriffima difesa, e oprarrutto confer- ware la voftra vita, ch’ to all’ incontro Sard il medefimo, poichd cost mé comandate; € tanto Dil quanto mi conofco d' averne di bifogno ; poichd o fia la quadragefima, -ovvero quefta flanza wmida catarrofa di Napoli , fnaffine acl mefe, in che fia- mo, da qualche giorno in qua bo avuto continuamente un discenso, che con mio grandiffimo dispiacere mi ha cercata tutta la perfona: incontro al quale io non mi for prevaluro @altvo, che una vita moderatiffima, ¢ di gid parmi com miaciare a fentirne Giovamento tale, che prefto spevo liberar mene in tutto. In fomma io conofco, che per ogni rispetta guia non d mia flanza, pevchd ( trattane affexione, che guafi univerfalmente qui mi vien portata ) ne Cielo, ne Tere ta, nd Acqua mi confevifee; del quarto Elemento poi non bo di bifogno pik che tanto, perchd io non Salamandra, ma foa uomo. Dio mi conceda a qualche tempo potermene Libe- ware, di che quand’ bo Speranza, ¢ quando ne fon privo ; onde, penfare voi qual fia lo flato mio, poichd » Hl vedermi lograr de’ miglior anni » Il pit bel fiore in si vil opra ¢ molle » Tiemmi il cor sempre in flimolo, e in affanni, >» Ed ogni gulto di piacer mi tolle. Ma quel, che va di pari con queflo, & ch io non bo 118 MEMORIE perfona, con Ia qual mi fi conceda participar quefta mia antrinfeca afflizione. Non vi maravigliate dunque fe a voi fola ne tocca in quefto punto pit che parte; che in vero pur ‘gran cofa a chi non é perfetto nella via di Dio il non tro war mai un giorno fereno nel corfo della fua vita; cost nave viene, che travagliando noi fempre con speranza di vive- ree di ripofare , non ripofiamo , nd viviamo giammai, Rin- prazio la bontd di Dw, che non mi pon fopra le spalle tutto quel pefo, ch’ io, ajurato da lu, potrei foftenere ; olera che F aver gid fatto abitone'travagh, ¢ nell infeli= cird, md a affai alleggiamento ; ¢ tanto pit y quant’ io conofco, che non fi pud dir uoma chi non paffa per cost fatte firade. Un fol conforto trove in tutti quefli affanni, ed il fapere , che in me non & mai nato penfiero, che abbia ‘dato cagione a quefte turbolenxe, perd ch io non bo mai cercato ambiniofamente gli onori, e le grandexuc, ma st bene, ed anco. modeftamente tanto di comodita , ch io pos toffi vivere a me fleffo, feguendo quegli frudj , @ quali la natura mi ba inchinato fempre, e ne quali foglio trovar ranto di diletraxione ¢ di ripofo. Quefto fin qui non mo frato conceffo ; nd so, 8 io me to Poffo sperare per fav. ‘wenire ; ma fia pur quel che fi vuole, non mi fi torr, ch io non paffi quefto vimanente della vita vivtwosamente y ed onovatamente. E. di cid confolatevi ¢ godetevi voi, Ma- dre onoratiffima, come di frurro nato dalla nobiliffima vo- fira vegenerazione ; 4, fcurandovi , che qualfivoglsa impeto di mala fortuna non mi porrd impedir grammai cost lodaro corfo. Vivere dunque liera, € continuate in amarmi e@ fa- vorirmi; che von mi pud fucceder cofa, che non fia onorata. Con buona occafione ringraniate la mia Signora Comare del? amorevol memoria, che vitien di me. Voi flare fana, @ co- mandatemi; ch io vi bacio la mano con tutto it core. Di Napoli il d} XXVIII di Marzo MDLXIII. Fu efpofto il cadavere di Donna Ippolita, come fi 3 pi L. TppoLITA GoNZAGA. 11 veduto per la ‘prima lettera del Tanfillo, nella Chiefa di San Domenico Maggiore , affociandolo, oltre ducento Reli- giofi di quell’ Ordine, il Capitolo della Cattedrale. Cammillo Pellegrino in un fuo leggiadro Sonetto manifefta come anche da quelle morte fpoglie traluceffe bellezza, movendo a rat- triftarfi dell’ acerbo cafo di lei il regno intero della natura. Quel d?, che dal bel volto i bei colori Giva morte furando infin che tinto Di gelato pallor P hebbe, il Ciel vinto Di piesa fparfe lagrimofi humori: Pianfer le Gratie, e fofpirar gli Amori, Ne partirfi fapean dal vifo eftinto s Che maravigla era a mirarlo acciato Ad arder, ancor freddo, in fiamma é cori« N arfero quanti la Sirena ia grembo Co i figli infieme accoglie ; ond’ hor sospira Nobil turba, e fonar fa l aria intorno: E Febo, cui gli occhi di pianto un nembo Copre, accordando a st bel fuon la lira, N° udira 0 armonia I eterno giorno (61), Ebbe in detta Chiefa onoratiffima tomba; né faprei dire fe foffe compofto per confegnarlo ai marmi I’ Epitaffio de- serittole da Galeno de Stabile, che fu poi impreffo ¢ pub- blicato per maggior fama di lei (52): QVAM . PALLAS . MERCVRIVS . VENVS APOLLO . ET . PANDORA , BENIGNO FOVERVNT . SINV . HANC . HEV. SOLA MORPHEI . SOROR . SVO. TELO. PETIIT QVOD . SVVM.. ERAT . ABSTVLIT . ET HOC.SVB.SAXO. POSVIT.IPSA.COELVM VNDE . VENERAT . REGRESSA . EST. Don Cefare fuo fratello, che fignoreggiava in Guaftal- la, il Cardinal Francefco pur fuo fratello, ¢ tutta la fami- glia Gonzaga fu inconfolabile perdendo un tanto ornamen- 120 MEMORIE to (63). Ma non fi potrebbe efprimere il duolo in che fom- merfo reftoffene il Duca, al cui danno non rimanendo al- tro fampo fuorché il fuo affanno largamente sfogare con patetiche Rime tanto a lui famigliari, e Seftine e Sonetti comincid a fcrivere, teftimonj ardentiffimi delle gi care fue fiamme, e della fua prefente triftezza (64). Gl’ ingegni pil valorofi di quella eth, che nelle tofcane e latine lettere aveano fama, compaffionevoli del {uo grande rammarico det- tarono effi pare nell’ una e nell’ altra lingua componimenti leggiadri, diftinguendofi in cid e un Angelo di Coftanzo, e un Ferrante Carrafa, e-un Berardino Rota, e uo Luigi Tanfillo, e un Girolamo Pallantieri, ¢ un Jacopo Marmit- ta, € uno Scipione Ammirato, e fimili altri nomi famofis- simi che Yano colle chiare loro Opere vinta I’ ingiuria del tempo. I coftoro Componimenti cominciaronfi a raccogliere da Paolo Pacello, ¢ termind di unirli Antonio Sicuro, per opera del quale fi videro nel feguente anno in un giufto volume difpofti, e meffi a publica Ince (65), approvandolo il Duca, il quale preftando opera a far che i pregi della Conforte paflafflero in quefto bel Libro di eth in eth, precorle con bello efempio la magnifica e quafi regia imprefa di Sua Eccellenza il Signor Don Vincenzio Carrafa Principe della Rocella, che a’ giorni_noftri per fimile e pid fuperba ma- niera con verfi e profe di Scrittori eccellentiffimi, e coll’ impareggiabile luffo donato alla Regia Tipografia Parmenfe dal famofiffimo ed unico nell’ arte fua Signor Giambatitta Bodoni di Saluzzo, % preparato monumento infranpibile ed eterno alla pietk, al valore della fua compianta Princi- pefla Donna Livia Doria Carrafa. Cosi fatta grande la fama de’ molti meriti d’ Ippolita Gonzaga, non ebbe mai pid o per volgere di ftagioni, © per lungo fcorrer d’ anni a fcemarfi, fendo ftata quefta tenuta viva non folo nelle Opere gid ricordate d’ illuitri Autori, cui aggiugner fi denno anche certe Poesfe {critte per Di D. IpPoLITA GONZAGA+ 121 lei da Giuliano Gofelini Segretario di Don Ferrante fuo Pa- dre (66), ma eziandfo rinnovellata alla memoria degli uomi- ni di tempo in tempo dagli Scrittori venuti dopo, tra i quali_ricordar giova Monfignor Francefco Agoftino dalla Chiefi (7), Gio: Mario Crefcimbeni (68), Luifa Bergal- li (69), I Abate Saverio Quadrio (7°), il chiariffimo Abate Saverio Bettinelli (71), e finalmente il lume pid vivo dell’ Italiana Letteratura I’ impareggiabile Cavalier Tirabos= chi (7), 122 ANNOTAZIONI ALLE MEMORIE DI DONNA IPPOLITA GONZAGA COLONNA E CARRAFA. ec (x) Nacque certamente Donna Ippotita il giorno 17 di Giugno del 1535, perché-il Cardinal Ercole Gonzaga di lei Zio scrivendo a Cammillo Capilupi il dig di Aprile del 1544, disse: Quando clla fia in eta di XIMI anni com uti, Li quali veniranno a finir alli XVII di Giugno del XLVTII. Quefta jettera |’ abbiamo veduta in originale. (2) Veggali la Vita di D. Ferrante Gonzaga scritta da Alfonso Ulloa lib, 2 cart, 68 e seguenti, d’ onde sembra non solo raccoglierfi che Ippolita nascesse in alcuna Citrh del Regno, ma eziandfo che il Genitore potesse trovarfi presente alla nascita di lei. (2) Oltre P Ulloa, ¢ il Goselini, che scrissero ambidue la Vita di Don Ferrante, fi pud vedere un Poema in ottava rima compotto allora da Sigismon- do Pauluzio intitolato Le Nuri a’ Africa, il cui primo libro diviso in pid Canti fa stampato in Messina per Petruzzo Spira a’27 di Novembre del 1535, e il secondo a’13 di Gennajo 1536 in 4. tutto in lode di Don Ferrante, e in- ditizzato a Donna Leonora sua sorella Duchessa di Urbino. (4) Ulloa loc. cit. cart. 77 e seg. (5) Non pud dubitarsi che Donna Isabella di Capua non passasse col ma- tito e colla famiglia a Palermo, poicht io vengo afficurato dal pil volte lo- dato Signor Don Francesco Daniele, che il Mongitore nelle sue Annotazioni MSS alla Cronologia de’ Vicer® di Sicilia dell Auria notb, trovarsi ne’ libri bar- tefimali della Parrocchia del Caftello di Palermo segnati i giorni natalizj di Gianvincenzio , e di Francesco figliuoli di Don Ferrante, e di Donna Isabella, che furono poi ambidue Cardinali. (6) Il giorno 4 di Aprile del 1537 cost scriveva Donna Giulia a Don Ferrante: Io m°ho goduto quefti pochi givrni la Signora Principessa, Cr quefti saporitiffim: Nini, ¢ maffime Doana Hippolita mia, che non posse sariarmi di wederlay ¢ baciarle. E partendo quefta per Sicilia, torn a scrivere al medefimo il giorno 11 di detto mese: Bacio mille volte il Nino (cio il fanciullino Don Cesare ) ¢ dieci mila Donna Hippolita mia belliffima, © saporitiffima. (7) Intorno al avversione , che Don Ferrante nudriva per la letteratura de® figlinoli maschi, veggafi il Ch. Tiraboschi Storia della Letterat. Ital. T. Vile P. 1. pag. 51. Non & perd vero che odiasse le lettere ¢ i dotti, come volle dire Orrenfio Lando, accennandolo cauramente sotto le lertere iniziali di F. G. Coftui diffe: Nelle fue case (per quanto mi 2 riferite) now habita alcuno Ierte- rato, nd alcun Jetterato foflenta o favorisce, ani halli 3 in faftidio, che dice voler pie cofta che i suoi figliuoli sapeflera lingua thedesca, che latina, © che se uno de suoi figliuoli non haveffe ad effer prete, ch? egli fi adirarebbe con chi Io fa fudiare. Catap lib. 2 pag. 115. Io } veduto la quafi_immensa farragine delle lettere a lui seritte, ove moltissime de’ primi Letterati di quel secolo se ne trovano a lui dirette. Tenne alla sua Corte Giuliano Goselini, ¢ il Muzios ANNOT. ALLE Mew. DI D. IpPOL., GONZ. 123 amd i famoso Pietro Aretino, e molti altri, co’quali_ non mancb mai di libee ralitd. (8) Che Don Ferrante voleffe veder la figluola ftudiosa, n’% prova una lettera di Natal Musy a lui, data a’1q di Gennajo del 1542, ove gli manife- fd, che vifitati i figlinolini, e letta loro una lettera, ch’ei loro inviava, Don- na Ippolita commisegli di rispondere al Padre, che fi sarebbe sforzata d? impa- rare, com’ ei comandavale: La Signora Donna Yppolita ch?2 fata la prima wr ba detto quefte formali parole: Natale, tu bacierai le mani al Signor Padre per mille volte della lettera sua, © ch? to mi sforzard d imparar, ¢ far tutto cid che sua Signoria mi comanda. Altre due lettere originali di lei tengo poi alle mani, n& voglio tralasciar di riferirle, parendomi gran lode della noftre Donua Ippolita, che fanciulletta scriveffe in quefta maniera. Wl. Signor mio © patre ossers Anchora che V. S. Ul. deve effer a quef hora per cammino per la volta di qua, nondimeno con la oceafione di quefto corrievo mi 2 parso debito mio di basar le mani aV. S$. Ill. come faccio con la debita reverentia. Avvisandola come la Signora mia fta Dio gratia ben della salute: cos) sono tutti & Signori miei fratelli, quali basano le mani di V.S. Ill. & io con loro lo aspettamo con defiderio grande che fara fin di qua, © di nuovo le baso le mani, come fa Madama Anna mia. Di Bulermo de li X di Ottobrio 1542. Di ¥. S. tlh. Obbedientiffiona figliola Gr serva che Pama pit che la vita Hyppolira Gonzaga Allo fteffo . Sig. patre I, © ossers Per lertere di VS. alla Sig. madre bo inteso il suo felice arrivare a Meffina, ¢ tw partenza di la per Molfetta, che w ho sen- tito incredibile consolatione. Noftvo Signor Iddio la conduca con salute al fine del viaggio, & le metta in cuore de far ritorno con quella proftexxa che tutti defideramo. La’ Sig. Madre gratia al noftro Signore fla beac, © 40. con m fratelli noi raccomandiamo alli sui benedittion’ . Da Palermo alli 18. dé Xbrio 1542. Di ¥. S. Ihe Obbedientiffima figliola ¢ serva Ippolita Gonzaga. (9) Da lettere otiginali. del Cardinal Ercole Gonzaga appartenenti al 1542, e da un’ altra di Niccold Marcobruno scritta a Donna Giulia da Brusselles P ultimo di Novembre del 1544 dedotta abbiamo la cognizione di quetla yratica + B (ao) Negli altre volte citati Regiftri originali conservati nella Biblioteca Barberina in Roma Cod. 1336. La prima di quefle due lettere t del 1, la se- conda del 14 di Dicembre del 1542. Cid che in quefla raccontafi del grande amore che portava al Padre, fi conferma da altra breve lettera di lei originale, che fi riconosce scritta in gran fretta da Mantova il giorno 2 di Febbrajo del 1544, Ove disse: Signor Padre mio, » vifto la Wertera de Me[Jer Gioanai che serive a V. Ecc. Di gratia V. S. 20m ne cveda niente, perch? voglio pit bene a V.S. che a quante persone sono a lo mondo. | (xx) Lettre di Luca Contile, in una scritta a Madonna Onorata Taneredi 12 Maggio 1548, che fta nel libro primo. 124 ANNOTAZIONI ALLE MeMORIE (x2) Rime di Luca Comite Qampate in Venezia appresso Francesco Sanso- Vino 560 P. 2 Son. X carts 62. (13) Nel Regiftro VIII delle citate lettere del Cardinal Ercole, che form il Cod. 1338 della Barberina, se ne legge una de? 7 di Aprile 1545 ad Ippolito Capilapo, ove fi dice: Voi sapere tutto quello, che fi e detto ¢ feritty nellé giorni paffati di maritar a Signora Donna Hippolita figliuala dz! Signor Dow Ferrando mio fratello nel Signor Horatio Farnese. Aggiugneli, che tal penfero abbandonato ff era, amandoi di daria pitt tofio al figliuolo deil’ Amirante di Spagna. (1q) Altra letteta de?17 Dicembre 1546 sctitta dal Cardinale al medefimo Capilupo, regiftrata nel detto Codice . (15) Giaccht mi trovo alle mani ’ originale di_quefta lettera, che serve a correggere uno sbaglio occorso nella Vita di D. Ferrante scritta dal Goseliai Pag. 450, dove tali nozze pongonfi soto Panno 1543, laggiugnerd qui. Ul. & Ecc. Sig. Prose mio Offer. Prima ch’ io ricevefi ta lettera chi V. Ecc. fi 2 dognata di ferivermi, fignificandomi la conclufions del matrimonio della Signora Donna Hippolita col Signor Fabritio Colouna , bavevo inteso qui quefta cosa, © ne avevo sentito tanco piacere, quanto di cosa che m* avveniffe sat, 0 che wii poffa avuenir in vita mia, vedendo quefte due case che erano tan- to amiche infieme, eff-rfi_ unite con quefto vincolo di parentela in maniera, che Freno divenute una medefima. Ma havendo hora ricevuta la lettera di V. Ecc. mi fi & per modo accresciuto il cantento, che nun mi conosco arto a poterlo di- moftrar a lei md con quefta lettera nd im altro modo : onde mi visolvo di pre garla a credermi, che non potevo baver nuova aleuna che mi folfe pik cara, anfieme colla Signora mia Consarte, nd chemi apportalfe muggior contentezzs di quefta. Cos) piaccia a Noftro Signor Dio che ne poffiamo longamente godert , ea V. Ecc. doni ogni felicita in tutto il refto delli- suoi defiderj che non sa- pendo che alexa dirle di pik, le bacio le mani, & senza fine rat le raccomando 4n grazia. Di Mantua il at. de Ottobre del XLVIL ‘Di V. Ecc. Servitor Maffimiglian Gonzaga di Lwaxera Veduto d del pari un*altra lettera originale in pergamena con piombo appeso di Francesco Donato Doge di Venezia scritta il giorno 7 di Ortobre dell’ anno fteffo a Don Ferrante in congratulazione di tal parentado conchiuso . (16) Daranno Inme al presente racconto alcuni tratti di una lettera ben tanga di Aleffandro Gonzaga indirizzata da Milano a Don Ferrante il. giorno x1 di Novembre del 1548, la quale tengo sotto gli occhi in originale, ove dopo aver narrate il pericole corso da lui, e dal Signor Fabrizio di annegarli venendo per acqua fino ad una ofterfa lontana 15 miglia da Pavia, racconta come fi appreffaifero a Milano, e prosegue cosi: /ontano tre miglia da Milano trovaffimo Gian Tommaso Galarate, ¢ Giambatifta Visconte, e il Capitano di Giuplizia, che vennera a baciar le mani al Signor Fabriciv, ¢ di poi trovaffimo i Signor Andrea e Signor Ercole, e Signor Oteavio, qual era» sopra il bonone, e fece la pit luxga ambasciata che niuno degli altri. Venne di poi il Caftellano con molti altri, e id Signor Muzioy ¢ ne accompagnarono fino al Palazzo, e quando se gli giunse era da ventiquattro ore paffate. Racconta indi i compli- menti fatti dal Signor Fabrizio colla Principeffa Madre, e colla Sposa vergo- Bhosetta, e come tofto fi cominciaffe la danza, dopo cui venue Ia cova. Sposa flette dal capo della tavola, e il Sposo da mano dritta della Sposa; ¢ pi D, IpPOLITA GONZAGA. 125 la Sposa, prgrdwvs aflzi il Sposo sorto occhiv . E dopo alire cose continua di- cendo: I Signor Fabricio supplicd moles volte la Signora, che gli concedeffe guefie graria dilasciarlo dormire con la Sposa; ¢ la Signora era ridesta quali Ieino ermine, che non sapea dit di moze dicea, che Ve Ecc. lavea puts nel maggior travaplio del mondo. Alla fine ta visolse il Signor Sposo, che non gli tiavordine, ese ne licenziv dalla Signora, e dalla Sposa... . Io accompagnai id Signor Fabricio alla lanza sua, el ho trovato perso, e morte per sua mo- pliee dice 0B egli 2 schiavo del? Ecc. Viftra per il deno ch? elle gli ha fatto sana cosd bella cosa, com’? la Signora Donna Ippolita , la quale mille volte pit che °l Ritratto gli & piaciuta se dice che V ba trovata la pit affentita fi- Glinola del mondo je lui-in ogni modo verria dormir seco: non s0 come P an- Jord. Quefle cose provano che il matrimonio era seguito realmente, onde non fi deve badare a scrittor veruno, che narri le cose in diverso modo « (17) La lettera di Donna Ippolita & de’ 13 dello fteffo mese, ¢ comincis L obbligaxione ch’ io tenga prima col Signor Iddia, ¢ dopo a V.E. 2 tale che lingua umana non lo porriz esprimer, di avermi dusa un cost belles € busno marita. (18) Ulloa Vita di D. Ferrante Gonzaga lib. 5 cart. 146 @ seg. Per quello che riguarda le due Commedie recitate in quella occafione , sappiamo da una lettera’scritta a Donna Giovanna d’ Aragona da Luca Contile a’10 di Dicembre del medefimo anno 148 impressa nel libro primo delle alcre sue, che una Pa- veva ordinata Niccold Secco Capitan di Giuftizia in Milano, P° altra il Contile feffo. La Commedia del Secchi fa inticolata g/ Ingwnai, come rilevali dalla Drammaturgia dell’ Allacci, ove malamente se ae anticipa @an anno la rappre~ Sentazione,, dicendoli recitata in Milano P anno 1547 alla prefenza del Re Fis Hippo, e fu ftampata poi nel 1562, € pitt altre volte. L’ altra del Contile do- vrebbe essere la Cefarea Gonzaga ftampata quindi in Milano nel 1550, ricor- data pur dull’ Allacct « (ig) Sta nelle Operette Murali del Muzio, che al dire di Apoftolo Zeno Bibliot. Ital. T. 2 pag. 328 N. 2 furono ftampate Ia prima volta unitamente in Vinegia dal Giolito nel 1550. Soagiunge che 2 ano 2 le riflanpd, se pure on diverso anno, come suol farfi: poi mecte come terza edizione quella del ry71+ Sia come fj voglia, io tengo queflo libro, con varj altri del mio sopra ogni altro Scrittor di quel secolo dlilettissimo Muzio, che tanto nel fron= tiepizio, quanto nel fine porta la data del 1553+ Avendo avuto il Giolito pri- vilegio ‘dal Papa, dal Senato Veneto, e da altri Principi, che il libro non fi poteffe riftampare da veruno, pud crederfi che ne faceife tale smetcio, on- de’ gli conveniffe imprimerlo tre volte anche prima del 1571, quando cangid iI titolo all? opera in quello di Avversim:nss Morali imprefla dal Valvas- sori. (20) Quefli = il Chiariffimo Signor Conte Antonio Cerati, uno del Mae gifrato de’ Ritormarori nella R. Univerfitd di Parma, e Prefide della Facolei Filosofica, aifi noto per vatie sue Prove ¢ Poefie piene di vivacit, e di sa- pore, che in occafion delle nozze della Signora Contes Fulvia Cerati, sua Ripote col Signor Conte Giuseppe Mrzzaschini Guidoboni di Viadana, indi- rizzd a lei la sua Rapsodé/a Morale impreffa VP anno scorso in Parma dal Car- mignani, ove dielle iftruzioni affai utili ad ogni persona definata a vivere in soceth sui Doveré, su P Amore, sa la Fedelta, su la Religione, su la Dolcex- za, su POzio, sul Luffo, su la Educanione. (21) Monfignor della Casa nel Galateo. 126 ANNOTAZIONI ALLE MEMORIE (22) Discordano I’ Ulloa e il Contile nell? affegnar il giorno di tal parten- za, dicendo il primo che usci di Milano il Real Principe a’ 7 di Gennajo,¢ Scrivendo il secondo in altra sua letteta’a Donna Gioanna. d’ Atagona, che cid avvenne a’ 23. : (22) Fu Luca Contile, che pose Onorata Tancredi in buona grazia della Principeffa di Molfecra nel 1548, come da alcune sue lettere & chiaro. In una alla medefima Principefta egii diffe: col tempo vedra come ho prépofto quefla gentildonna piena di quelle verti, 3) che potret dire non baver pari, com sop ‘portatione ogni altra. Anche tra le lettere di Bernardo Tafo_m’ % una diretta a lei-con lode» Pietro Aretino scrivendole una volta le diffe: Ensrares in qual- che particolare circa il ccramendarvi in la eccellenxa delle -vertuose attioni y ma lo taccio » perche bafla solamente dire , che avete la cara delle -magnani= ma Hippolita Colonna Gonzaga ec. E Giulio Bidelli le dit lode nelle sue Rime. Come la ftimaffe il Tanfillo, f & veduto verfo il fine di quefle Mematie« (24) Trova ‘quefta Medaglia disegnata nel “Museo Mazzucobelliano T. 1 Tab. LXX, ¢ nelle Tavole, che il Sige Cavalier Guidantonio Zanetti fece in- cidere, e aggiugnere in fondo al mio libro Delle Zecche « Moncte dé tutti i Principi di Casa Gonzaga, che fuori di Mantova fignoreggiatono pubblicato da Tui separatamente dalla sua infigne Nuva Raecolta delle Zecche @ Italia in Bologna per Lelio dalla Volpe nel 1782 in foglio. Intorno al Ritratto fi legge: HIPPOLITA GONZAGA FERDINANDI FIL. ET. AN, XV. Nel rovescio vedefi una Donna con un libro in mano risguardante il Sole e le Stelle, che iufta il Mazzucchelli rappresenta Urania. Eifa palfeggia tra Libri, Cetre, Vio- le, Cembali, Arpe, Compatli e Squadre, alzandofi avanti a Jei una Sfera armil- lye, e un oriuolo a polve. (25) Giuliano Goselini Vita di Don Ferrante Gonzaga pag. 450. (26) Intomo a quefta Guerra di Parma seguita. nel i551 oltre la deseri- zione in ottava rima divisa in sette Canti fattane da Giuseppe Leggiadro Ga- Iani., che senza il suo nome la pubblicd, e fi & renduta rariffima nella prima edizione da me indarno cercata, e non men rara nella seconda intitolata: Ly Guerra di Parma nusvamente con la giunta viftampata © torretta. In Parma appreffo di Seth Viorto 1552 in 8.» io tengo due Gingolatifime opere inedite, C108: Bellum Parmense sub Julio Tertio goftum 2 Mense Junii gst ad Mensem Aprilis 1552 authore Felice Contelorio Protonctario Apoftelice, di cui ho fatto trar copia dal Codice 914 della Biblioteca Barberina, ¢ Béllum Parmense decima die Juaii 1551 captum, & trigefima prima Maji 1552 completum, descriptum « Chrifbploro de Turre Parmenfi. In quel ultimo manoscritto dettato a foggia di Diario fi 1, come i Sanvitali di Sala fteflero dalla parte di Giulio II, man- renendofi in quel Caftello Alfonso, mentre suo fratello Giangaleazzo tent in- felicemente di dar la Cit in mano deCollegati. Raccogliefi poi dal medefimo Diario quanto foffe al Duca fedele il Conte Federigo di Fontanellato, che seb- ben vedeffe caduti prigionieri in mano de? nemici i suoi fratelli Eucherio, ¢ Jacopo, nplladimeno milird con gran forza, nt fu mai poffibile ai Collegati, che tutto occuparono il teritorio, @ presero fin dal principio della. barraplia Noceto, il discacciarlo da Fontaneilato. Quefto magnanimo Signore non ebbe discendenza; ma da Luigi suo fratello i propagd la nobiliffima prosapia de’ San- vitali di Parma ognora fedeliffimi ai loro Principi naturali . (27) La softanza di quefta narrazione fi 2 rilevata da diverse lettere origi- ali scritte allora, che non gioverebbe riferire, non contenendo pit di quanto fi @ detto.

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