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MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA

ALTA FORMAZIONE ARTISTICA MUSICALE E COREUTICA


CONSERVATORIO DI MUSICA “F. A. BONPORTI” TRENTO

Diploma accademico di primo livello


Triennio superiore di
DIREZIONE DI CORO

Tesi di laurea

VOLKSLIED ODER KUNSTLIED?

LA CANZONE POPOLARE DALLA


PROSPETTIVA DEI COMPOSITORI COLTI

Relatore: prof. Lorenzo Donati


Laureando: Federico Mozzi

Anno Accademico 2011-2012



Ad Enea e Anna

“Masterpiece are not single and solitary births, they are the outcome of

many years of thinking in common, of thinking by the body of the people,

so that the experience of the mass is behind the single voice”.

Virginia Woolf
Indice

Introduzione p. 5

1 Definizioni e terminologia p. 6

1.1 La musica popolare: una premessa 7

1.2 Popolare o tradizionale? 11

2 La riscoperta della musica tradizionale. Alcuni cenni storici p. 13

2.1 Il Romanticismo 14

2.2 Le scuole nazionali 20

2.2.1 La scuola russa 21

2.2.2 Altri Paesi dell’est 23

2.2.3 L’Europa del nord 25

2.2.4 Inghilterra e Irlanda 26

2.3 Il Novecento 28

2.3.1 Un secolo di trasformazioni 28

2.3.2 La nascita dell’etnomusicologia: la musica tradizionale come


oggetto di studio 36

2.3.3 L’evoluzione della musica tradizionale: una classificazione 39


3 I compositori p. 43

3.1 Johannes Brahms 44

3.2 Ralph Vaughan Williams 50

3.3 Arnold Schönberg 54

3.4 Francis Poulenc 60

3.5 Luciano Berio 64

4 Analisi dei brani p. 70

4.1 In stiller Nacht (J. Brahms) 71

4.2 The spring time of the year (R. Vaughan Williams) 77

4.3 Schein uns du liebe Sonne (A. Schönberg) 85

4.4 La belle se sied au pied de la tour (F. Poulenc) 92

4.5 E si fussi pisci (L. Berio) 100

Appendice 108

Conclusioni p. 128

Bibliografia p. 131

Ringraziamenti p. 135
Introduzione

Lo scopo che ci proponiamo di raggiungere con il presente lavoro è


quello di scoprire cosa accade quando due mondi apparentemente lontani
come la musica popolare e la dimensione musicale colta si incontrano,
dando vita ad un’opera - la canzone colta di estrazione popolare - unica nel
suo genere.

Dopo le necessarie premesse volte a inquadrare i significati dei


termini e l’esegesi della musica tradizionale, si passerà ad approfondire il
lavoro di compositori come Brahms, Vaughan Williams, Schönberg,
Poulenc, Berio, che con le melodie della musica tradizionale hanno
composto delle vere opere d’arte, ciascuno con il proprio stile e i propri
assunti di base, che talvolta differiscono e di molto.
Non si avrà certo la pretesa di essere esaustivi in quanto l’argomento
è molto vasto, tuttavia si ritiene utile analizzare le modalità con cui questo
materiale è stato riproposto al pubblico, per mettere in evidenza la varietà
degli approcci.

Nei primi due capitoli, di carattere introduttivo, dopo alcune


precisazioni terminologiche si cercherà di delineare dal punto di vista
storico come sia stata trattata la musica tradizionale a partire dal
Romanticismo.
Nel terzo e quarto capitolo si indagherà come gli autori oggetto di
approfondimento abbiano affrontato la musica tradizionale, quale sia la
loro poetica ed estetica in merito; verranno quindi analizzate cinque
composizioni, una per autore, per verificare come il materiale originale sia
stato elaborato.

5
1
Definizioni e terminologia

1.1 La musica popolare: una premessa

Musica popolare: “la musica prodotta dagli strati subalterni di una


nazione o di una regione, di cui esprime il carattere peculiare, i sentimenti,
la cultura attraverso la struttura ritmica e melodica. Può essere
accompagnata dal canto o essere unicamente strumentale, ma in ogni caso è
legata a una occasione o una funzione che la integra nella vita della
comunità; la sua natura spontanea esclude la rilevanza di autori
individuali: essa è espressione artigiana ed anonima, il cui stile non è
legato alla personalità di un singolo compositore, ma alle caratteristiche e
alle esigenze generali del tempo e del luogo dove prende vita o attraverso
cui si tramanda. Questa definizione presuppone l’esistenza, in una nazione
o regione, di varie componenti stratificate di popolazione, tali da rendere
rilevante la distinzione tra ceti popolari e classi dominanti e, quindi, tra gli
aspetti delle rispettive culture.” 1
Interessante e senz’altro di assoluto valore è la definizione che Bela
Bartók dà della musica popolare, riferendosi soprattutto all’Ungheria, ma
che si potrebbe ugualmente adattare a tutta la musica popolare, che egli
suddivide in due filoni: la musica popolare cittadina e la musica popolare
dei villaggi.
Per quanto riguarda il primo filone egli dice: “possiamo chiamare
musica popolare cittadina, o musica colta popolaresca, quelle melodie di
struttura piuttosto semplice, composte da autori dilettanti appartenenti
alla classe borghese e perciò diffuse soprattutto nella classe borghese” 2.
Del secondo filone dà invece un’altra definizione: “Per quel che
riguarda la musica popolare dei villaggi, la miglior definizione (...) è
senz’altro questa: per musica contadina in senso lato si devono
considerare tutte quelle melodie che sono o sono state diffuse nella classe

1 Le Garzantine, Musica, Dizionario della musica e dei musicisti, Garzanti, 2010.

2 BELA BARTÓK, Scritti sulla musica popolare, Universale Scientifica Boringhieri, 1977, pag. 74.

7
contadina di un paese e che sono espressioni istintive della sensibilità
musicale dei contadini.” 3 Ma che cosa intende per classe contadina?
Bartók la definisce come “...quella parte del popolo che si occupa di
coltivazione diretta e che soddisfa le proprie esigenze materiali e morali
secondo le proprie tradizioni (o anche secondo le tradizioni straniere che
essa peraltro ha già istintivamente trasformato adattandole alla propria
natura). 4 La musica popolare è perciò l’espressione delle classi che stanno
alla base della società, le più povere, ma per questo non meno ricche di
cultura.

Si è voluto iniziare questo lavoro con le definizioni di musica


popolare che si trovano sui testi più importanti che riguardano la musica in
generale. L’espressione “musica popolare” è di solito usata in antitesi
all’espressione “musica colta”, proprio ad indicare la differenza di base e
strutturale tra i due generi. Si può tranquillamente dire, senza tema di
esagerare, che spesso negli ambienti musicali colti la musica popolare è un
genere considerato “di serie B”, poco interessante perché probabilmente
non inteso come genere che sottostà alle varie regole della composizione
così care a musicisti e compositori. Sicuramente anche i temi trattati non
sono di natura aulica e riguardano gli aspetti della vita più legati alla
quotidianità. Possiamo asserire anche che per definizione tutto ciò che è
popolare non può intendersi come interessante per chi ha compiuto studi
approfonditi di composizione, in quanto troppo semplice. Ciò è dimostrato
dalla produzione musicale di tutti i tempi, straripante di pagine e pagine di
composizioni, nonché di trattati musicali; la musica popolare invece,
proprio per sua natura, non è scritta, è tramandata oralmente e perciò
soggetta a mutamenti continui.
Ciò che la contraddistingue è la capacità di racchiudere e condensare
in pochissimi tratti, aspetti significativi e valori dell’immaginario legati

3 Ivi, pag. 74.

4 Ivi, pag. 75.

8
all’identità sociale e culturale 5, fungendo da mezzo di integrazione
culturale. Il suono possiede valenze rituali, simboliche, terapeutiche,
magiche e non si può non riconoscere l’importanza della musica popolare
in un sistema sociale, anche se “...pur essendo un bene materiale di
primissimo valore, non è considerato parte integrante della cultura ufficiale
né dai programmi educativi e scolastici, né dai palinsesti dei mezzi di
comunicazione.” 6
Il mondo popolare racconta la sua storia e così fa la sua musica
attraverso le sue manifestazioni contemporanee, ne è il mezzo principale.
L’arte dei suoi suoni è terreno di intercultura, la cui ricchissima vita
musicale improvvisata e non scritta vive ancora nei temi musicali
“d’autore” che hanno fatto il giro d’Europa. Si parla di musica strumentale
soprattutto, ma non si deve né si vuole dimenticare la polifonia vocale del
Rinascimento, ricchissima di spunti melodici, linguistici e tematici di
origine popolare; un esempio per tutti lo sono le commedie madrigalesche
del Banchieri (1568-1634). In queste opere “l’emergere delle voci superiori
sui frequenti passaggi omoritmici delle voci inferiori, crea il cosiddetto
falsobordone o canto ad accordo, che ritroviamo nelle espressioni
polivocali della tradizione orale, come ad esempio nei repertori liturgici o
paraliturgici in Corsica, Sicilia e Sardegna. 7 ”
E’ solo un esempio che sta ad indicare la vitalità della tradizione
popolare, che ha alimentato sicuramente la musica erudita e che
sicuramente ne è stata alimentata attraverso processi dinamici di
mediazione reciproca, meccanismi detti anche di “ascesa o discesa”.
Si è ben consapevoli infatti di come alla tradizione colta siano sempre
pervenuti i riflessi e gli echi di musiche provenienti dalle tradizioni orali.
Ma cosa si intende per tradizione colta? Marcello Sorce Keller, in un
convegno della S.I.A.E. del 1991 ha dato questa definizione: “tradizioni

5 PAOLO SCARNECCHIA, Musica popolare e musica colta, Milano, 2000.

6 Ivi.

7 Ivi.

9
colte, caratterizzate da scrittura, teorizzazioni esplicite e professionismo
compositivo-esecutivo e tradizioni popolari, che mancherebbero di tali
caratteri”. Si parla di ascesa quando dal mondo dell’oralità si passa alla
scrittura, mentre si parla di discesa quando il materiale colto è recepito in
ambito popolare; c’è un certo pregiudizio alla base di questi due termini
ovvero che esista un livello basso e uno alto e che il mondo dell’oralità e
della sua musica appartengano appunto al livello basso.
Se per la musica colta abbiamo una quantità enorme di fonti scritte
data appunto dalle pagine dei compositori che si sono avvicendati nel corso
della storia, per quanto riguarda la musica popolare le fonti sono perlopiù
di derivazione orale. Anche per la musica aulica in realtà abbiamo dei
vuoti che riguardano soprattutto la prassi. Per ovvi motivi non siamo
infatti in possesso di registrazioni e ci rimangono solo le trascrizioni, dove
vengono indicate le altezze dei suoni e le loro durate. Tutto quello che
riguarda le dinamiche, la velocità di esecuzione (il tempo), l’agogica erano
lasciate agli interpreti e alla prassi esecutiva almeno fino al Romanticismo,
periodo in cui il compositore ha iniziato a occuparsi anche di questi aspetti
,scrivendo dettagliatamente sullo spartito cosa voleva e soprattutto come.
Da questo punto in poi lo spartito colma il vuoto lasciato dalla prassi
esecutiva e oggi possiamo interpretare la musica colta dal ‘700 in poi in
modo più fedele, grazie alla precisione del compositore nell’indicare anche
questi riferimenti. Da questo periodo in poi, grazie soprattutto alla
concezione romantica e agli studi etnomusicologici che si sono susseguiti
si cominciano ad avere le trascrizioni delle melodie popolari, cantate e/o
suonate ad una o più voci. Tutto ciò che concerne l’ambito popolare
assume sempre più una valenza “aulica” e di conseguenza anche la musica.
Molti compositori cosiddetti colti cominciano ad interfacciarsi con le
melodie provenienti dal popolo e le utilizzano come strumento di lavoro
per comporre.

10
1.2 Popolare o tradizionale?

Prima di cominciare ad analizzare i vari aspetti che ci hanno portato


ad affrontare il tema della musica tradizionale, è necessario chiarire la
terminologia che useremo, in modo da evitare fraintendimenti o usare
termini che nelle loro accezioni tecniche risulterebbero poi non corretti.
Abbiamo usato volutamente il termine “tradizionale” al posto di
“popolare” riferito alla musica, poiché è quello che meglio identifica
l’ambito di analisi di questo lavoro. Con il termine tradizionale si
identifica infatti un modo di trasmissione del sapere musicale che è quello
orale, mnemonico, una modalità di tramandare la musica che è propria del
popolo, inteso come classi meno abbienti, lavoratori, operai, contadini.
La “musica tradizionale” così come intesa dagli etnomusicologi non è
però da contrapporsi alla “musica popolare”; semplicemente il termine
“popolare” si presta a ad essere frainteso o confuso in quanto i termini
Volk o Folk identificano sì il popolo, ma anche una certa musica cosiddetta
folkloristica, legata molto di più ad aspetti meramente commerciali e ad
una categoria come il folkrevival di cui tratteremo in seguito.
Gli etnomusicologi sono concordi nell’usare il termine tradizionale
per identificare la musica del popolo, ma cosa si intende per musica del
popolo nell’accezione tecnica del termine?
La musica tradizionale consiste nell’insieme dei canti usati da una
comunità coesa, omogenea i cui membri sono legati relazionalmente tra di
loro; sono parenti, amici. Si tratta di una comunità organica, localizzata in
un luogo ben preciso, caratterizzato da un preciso territorio, con una sua
economia, da aspetti climatici determinati. Queste comunità hanno un
senso identitario fortissimo e spesso sono in conflitto tra di loro, hanno
rituali sociali determinati e legati alla religione, al clima, al territorio e
alle attività umane, feste religiose o la parte sociale delle feste religiose
ovvero le paraliturgie, vendemmie, raccolti, battitura del grano,
iniziazioni, etc. Sono comunità che vivono socialmente le proprie

11
tradizioni e i propri vissuti, ma che soprattutto si perpetuano attraverso la
trasmissione orale e il “fare”. Per questo motivo quando si parla di musica
proveniente da questo ambiente sarebbe da preferire il termine
“tradizionale” a “popolare”.
Per semplicità e dato che durante il lavoro parleremo di musica colta,
come elaborazione di brani di tradizione popolare, si utilizzerà il termine
popolare, intendendolo come sinonimo di “tradizionale”.

12
2
La riscoperta della musica
tradizionale. Alcuni cenni storici
2.1 Il Romanticismo

Per analizzare il fenomeno della musica tradizionale è necessario


partire dalla storia della musica, soprattutto da quel momento storico
fondamentale che è stato il Romanticismo. Nell’epoca che segue il
classicismo infatti, la volontà dei musicisti e degli studiosi è quella di
riportare l’uomo e i suoi costrutti alle “origini”.
Come definizione si è voluto qui riportare quella che Renato Di
Benedetto dà nel suo libro Storia della Musica, nel volume che tratta
dell’Ottocento.
Egli afferma quanto segue: “Volendo continuare nel paradosso,
possiamo, rovesciando quello di Schlegel, assumere come definizione più
comprensiva del Romanticismo, la sua stessa impossibilità di essere
definito: la radice più profonda del Romanticismo - o almeno la condizione
primaria della sua esistenza - sta infatti proprio nell’acquisita
consapevolezza della sua natura multiforme, intrinsecamente
contraddittoria, continuamente mutevole della realtà.” 8
E ancora: “In questa presa di coscienza trova la sua giustificazione il
radicalismo dell’antitesi classico-romantico. Al primo dei due termini
corrisponde una concezione della realtà immutabile, eternamente data,
perché regolata dalle norme d’una razionalità fuori dello spazio e del
tempo, uguale a se stessa sempre e dovunque: il mutevole, il diverso, il
molteplice possono giustificarsi solo nella misura in cui s’adeguano al
dettato di quelle norme. Nella sfera dell’Arte ciò si traduce nel postulato
d’un assoluto criterio di perfezione - il Bello ideale - in base al quale
vengono commisurati il valore e la dignità di ogni singola opera. (...) Il
Romanticismo presuppone invece la scoperta dell’individualità come

8 ROBERTO DI BENEDETTO, Storia della musica, l’Ottocento, E.D.T. Torino, 1982, pag. 3.

14
l’unica vera realtà che sia possibile conoscere e sperimentare nella sua
concretezza, e della storia come perenne, incessante divenire...” 9 .
Dall’astratto concetto illuministico di progresso si passa
antiteticamente a porre l’attenzione sulla soggettività del singolo, sulla
rivalutazione del diverso e del mutevole, “...ossia di ciò che costituisce il
dato specifico dell’individualità, e al tempo stesso ne rende l’intima
essenza indefinibile” 10.
Si scopre che l’essenza della realtà è il mistero, irraggiungibile dalla
ragione e perciò lontano dall’essere definito in modo univoco e ben
determinato. Si ha insomma un capovolgimento del modo di pensare e di
intendere la realtà, non più definita da leggi oggettive e universali, bensì
aleatoria e non univoca. La realtà è quella di colui che la vive, che la
sente, che la sperimenta. Il senso del mistero avvolge la natura, non più
oggetto inerte, ma materia pulsante e vivente legata a doppio filo con
l’uomo in un tutt’uno indivisibile.
Nell’arte tutto ciò si traduce in un capovolgimento del suo significato
e del suo ruolo, viene esaltata l’originalità dell’artista e delle sue opere in
antitesi al principio di imitazione della natura; ogni opera d’arte è unica ed
irripetibile e perciò per estensione anche non criticabile, in quanto non
esistono criteri oggettivi di paragone. Si afferma così il concetto di anelito
all’infinito, di tensione e ricerca continue che sfociano nella “Sensucht”,
termine tedesco che Mittner traduce con struggimento, desiderio “che di se
stesso si nutre, su se stesso si ripiega, e s’appaga dell’impossibilità stessa
dell’appagamento” 11 .
Schlegel la definisce come “Scaturigine prima della natura, il primo
gradino dell’evoluzione del mondo, la madre di tutte le cose, il primo
cominciamento di tutte le cose”.

9 Ibidem.

10 Ibidem.

11 Ivi, pag. 6.

15
Il Romanticismo ha portato alla rivalutazione della musica come arte
privilegiata, come espressione più alta ed è soprattuto grazie ai poeti e ai
letterati che ciò è avvenuto. Sono stati loro infatti i primi ad elevare questa
arte e solo in seguito anche i musicisti ne hanno preso atto.
“Solamente più tardi la coscienza di questo mutamento toccò i
musicisti; perciò le prime testimonianze di questa nuova sensibilità
romantica vanno ricercate anzitutto in scritti letterari, a volte in scritti o
saggi che stanno a cavallo tra letteratura e filosofia; i musicisti ci danno
tuttavia una testimonianza indiretta con la loro vita, con i loro
atteggiamenti nei confronti del mondo e della società circostante, con il
nuovo significato che essi stessi conferiscono alle loro opere.” 12
Con il Romanticismo ha inizio inoltre la riscoperta del passato, dal
più lontano al più recente, e dei suoi autori più grandi. Questi vengono
studiati attraverso le loro opere, vengono date alle stampe le loro biografie,
la loro musica viene riscoperta e analizzata. Tutto ciò si deve alla
concezione romantica dell’opera come soggetto unico e irripetibile, come
forma d’arte “dotata di vita propria”, scaturita dall’artista, anch’esso unico
e irripetibile. Lo studioso deve rispettare sia le opere del presente che
quelle del passato proprio perché espressione di un soggetto (l’artista) e
della sua genialità. Alcuni moduli armonici o contrappuntistici di
tradizione barocca acquistano quasi il valore di simboli di nobiltà antica o
di nostalgia per una ricchezza ideale ormai non più raggiungibile.
Da qui la riscoperta di autori come Bach, Palestrina, Mozart, Schütz,
Buxtehude solo per citarne alcuni. Il Romanticismo rivaluta il passato
musicale fino al Medioevo, attribuendo alle opere e a quel particolare
momento storico un valore divinatorio, religioso, sovranazionale. Accanto
a queste caratteristiche vengono messe in risalto altre peculiarità come il
meraviglioso, il fantastico, il bizzarro, il recondito, il misterioso. La natura
viene descritta nei suoi aspetti più misteriosi, i pittori ne fanno risaltare i
precipizi, le gole di montagna, i paesaggi, i musicisti scardinano il

12 BARONI, FUBINI, PETAZZI, SANTI, VINAI, Storia della Musica, Einaudi, 1988, pag. 253.

16
linguaggio formale che per circa trecento anni ha sorretto le opere degli
artisti. Vi è un gusto per l’irregolarità delle forme, per il bizzarro, per ciò
che sgorga direttamente dagli anfratti degli impulsi interiori e perciò non
soggetto a regole oggettive e universali.
Tali mutamenti non si devono al caso, né al genio di qualche artista o
pensatore, sono invece il frutto di un profondo processo di trasformazione
del mondo che afferisce anche alla natura profonda dell’uomo. Dal punto
di vista sociale essi si estrinsecano principalmente nel passaggio del potere
economico dall’aristocrazia terriera alla classe media. Questa infatti, dopo
aver guadagnato enormi capitali con il commercio, ha reinvestito le somme
nelle attività produttive e nelle nuove macchine, dando inizio alla
rivoluzione industriale che, avvantaggiandosi delle scoperte scientifiche
avvenute dopo il XVII secolo, le applica alla produzione di beni.
Questo passaggio fondamentale, dopo i moti rivoluzionari (America e
Francia in primis) porterà alla graduale e costante presa di potere da parte
della borghesia, dando origine ad un cambiamento epocale e trasformando
per sempre l’assetto sociale del mondo. Nascono le prime metropoli
industriali, con le conseguenti tensioni sociali e sindacali, i problemi
ecologici, lo sviluppo dei metodi di persuasione di massa. Anche la
gestione della cultura passa conseguentemente di mano e diventa dominio
incontrastato del ceto imprenditoriale borghese.
Per quanto riguarda la nostra ricerca questo aspetto ricalca un ruolo
fondamentale. Negli ambienti della borghesia benestante infatti prende
sempre più piede la pratica di fare musica nei salotti privati di casa
(Hausmusik); si tratta di un fenomeno che partendo dalla Germania
investirà tutta l’Europa. Era uso infatti soprattutto nelle festività più
importanti o nelle occasioni particolari fare sfoggio di musicisti
professionisti locali o di grandi virtuosi di passaggio.
Questa pratica perlopiù amatoriale e domestica porta alla creazione di
una sua tradizione e gusto peculiari, prodromi alla nascita di un genere
compositivo denominato Salonmusik.

17
“A questo punto la differenza tra la musica di maggiori ambizioni
estetiche e la Salonmusik non è tanto e non solo di carattere tecnico, ma è
soprattutto di natura culturale.” 13
In questa musica si riflettono i valori, i sogni e le fantasie della media
borghesia che è ben lontana dalla realtà aristocratica e dalla concezione del
mondo che questa aveva. Lo scopo di questa musica per così dire non
aulica è semplicemente quello di allietare riunioni di amici, banchetti,
feste; può essere musica per virtuosi e strappa applausi, mai però ha lo
scopo di elaborare nuovi percorsi musicali o di mettere in crisi certezze
acquisite.
L’impatto sociale dei cambiamenti del XIX secolo si riflette anche e
soprattutto in Europa del Nord, dove vi è una lunga tradizione di canto
religioso collettivo. Qui in poco tempo si diffusero associazioni di amatori
che coltivavano la musica cantando in coro. Inizialmente i primi cori erano
esclusivamente maschili, poi nacquero cori femminili e misti, spesso
animati da ideali patriottici. Vennero creati i Musikfeste in cui si
radunavano tutti i musicisti della città, professionisti e non, per cantare e
celebrare collettivamente la propria identità culturale e nazionale.
Il Lied corale in Germania e Austria possiede una letteratura
ricchissima al pari di quello per voce singola e molti compositori hanno
contribuito al suo sviluppo (Schumann, Schubert, Brahms).
In pratica la tradizione musicale delle classi colte tende ora a
frazionarsi e a disperdersi in modelli diversi. Fino a Beethoven infatti vi
erano diversi generi musicali ma ciascuno con un preciso modello di
riferimento, una sorta di canovaccio immutabile da riempire seguendo
determinate regole. Nell’epoca romantica i riferimenti diventano
moltissimi e l’unico vero modello da seguire è e rimane il soggetto
singolo, l’artista con il suo impulso unico ed originale e la sua opera, che
non ha (per definizione) obblighi con nessuno e a nessuno deve rendere
conto della sua esistenza ma soprattutto della ragione della sua

13 Ivi, pag. 258.

18
esistenza:“essa è totalmente nelle mani dell’artista che la crea, essa è il
regno della pura soggettività individuale, in essa si manifesta in termini
mirabili quel mistero della vita interiore che nelle società di altri tempi
era affidato alle parole dei grandi libri sacri o alle immagini del mito.” 14
Si sviluppa una nuova concezione estetica secondo la quale la forma
musicale deve subordinarsi alle intenzioni espressive del musicista e non
viceversa, come effettivamente era stato nel periodo precedente; ciò
significa che il singolo individuo con la propria arte condiziona
direttamente l’evoluzione del linguaggio musicale e che quindi questo è in
sempre più veloce e continua evoluzione. Ciò porta alla riscoperta della
figura del musicista che, come dicono Carrozzo e Cimagalli, “è coinvolto
in un attivismo culturale che si esplica in molteplici direzioni: egli è
contemporaneamente compositore, strumentista virtuoso, direttore
d’orchestra quasi sempre impegnato in prima persona come diffusore
della nuova musica, direttore artistico di teatri o festival...” 15
Romanticismo dunque come momento storico di passaggio e di
cambiamento, che rompe con il passato ma allo stesso tempo lo guarda con
ammirazione e devozione, ne recupera i caratteri estetici e ne fa
fondamento per la propria poetica. Il passato, soprattutto quello più antico
con i suoi miti e i suoi stilemi peculiari, diventa il riferimento cui tendere,
le fondamenta su cui costruire il nuovo edificio, immenso e ricco di
contrasti, non più sorretto da postulati oggettivi e immutabili, ma dalla
somma delle singole soggettività, per loro natura diverse e uniche, che
renderanno questo periodo storico uno dei più ricchi e sfaccettati di
sempre.
Che cos’è dunque il popolare per il musicista romantico se non un
ritorno alle origini, attraverso un musica generata nel passato e che da esso
proviene, con delle forme perfette e finite. La musica popolare come fonte

14 Ivi, pag. 259-260.

15MARIO CARROZZO, CRISTINA CIMAGALLI, Storia della musica occidentale, Armando


Editore, 1999.

19
di ispirazione e caratterizzazione delle opere che aspirano a colmare quella
Sehnsucht tanto cara al movimento romantico.
Una perfezione dunque che possa giustificare anche l’idea di nazione,
che in quel periodo si stava affacciando.

2.2 Le scuole nazionali

Paradossalmente la rottura netta con il passato più recente porta alla


rivalutazione di momenti storici più antichi e soprattutto alla riscoperta
delle proprie radici etniche e nazionali insite nei valori trasmessi
soprattutto dalla poesia e dalla musica. Questi valori danno un notevole
contributo al formarsi dell’orgoglio nazionale, “(...) anche perché non
essendovi all’inizio di queste ricerche la possibilità di studi comparati,
ciascun popolo finiva col credere che simili tesori fossero suo esclusivo e
peculiare privilegio”. 16
La maggior parte dei compositori condivide l’amore per questa
ricerca, ma alcuni vi si dedicano in modo precipuo, con la volontà di
contribuire “al processo di autonomia e identità culturale del proprio
popolo.” 17 Nascono le cosiddette Scuole Nazionali, movimenti
caratterizzati dalla ricerca delle radici etniche e culturali della nazione.
Alcune scuole seguono pedissequamente la musica cosiddetta occidentale,
“colorandola” con sfumature popolari, altre invece minano alla base il
“vecchio” modo di far musica e porteranno a scardinare il sistema ritmico e
tonale, fondamento della musica colta fino a quel periodo.
Interessantissimo e pregno di significato si rivela ciò che Bartók asserisce
a riguardo: “Il serio e cosciente approfondimento della musica contadina è

16 BELA BARTÓK, Scritti sulla musica popolare, Universale Scientifica Boringhieri, 1977, pag. 85.

17 MARIO CARROZZO, CRISTINA CIMAGALLI, op. cit., pag. 285.

20
opera del nostro secolo (ventesimo). Musorgskij è stato il solo a
considerare seriamente quella musica subendone consapevolmente
l’influsso e precorrendo così la nostra epoca. Agli altri compositori
“nazionalisteggianti” del secolo bastava invece, salvo qualche rara
eccezione, il suggerimento che veniva dalla musica popolaresca dei paesi
orientali e settentrionali. Indubbiamente anch’essa, infatti, aveva molte
qualità che mancavano alla musica colta occidentale del periodo
precedente; ma erano qualità, come ho già detto, mischiate di continuo ai
luoghi comuni della musica “occidentale”nonché a un deteriore
sentimentalismo romantico.” 18

2.2.1 La scuola russa

La scuola più importante di questo periodo è sicuramente quella russa;


nasce quasi in contrasto con la moda del momento che vede il repertorio
operistico, soprattuto quello italiano, come il più eseguito in Russia e
sicuramente quello che assorbiva quasi totalmente le risorse. Le
rappresentazioni erano affidate a compagini quasi esclusivamente straniere
e gli autori proposti erano tutti stranieri (Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi,
solo per citarne alcuni). Esisteva anche l’opera russa, che non poteva
attingere però agli stessi fondi e che vedeva rappresentazioni affini a
l’operà-comique, con testi in russo e melodie tratte dal repertorio popolare.
Il maggior autore del periodo è sicuramente Michail Ivanovic Glinka
(1804-1857) compositore formatosi durante i suoi studi sullo stile
occidentale. La sua opera Una vita per lo Zar (1836) è considerata la prima
vera opera nazionale russa; il compositore fa uso di canti popolari o di
melodie ad essi ispirate e utilizza la balalaika, strumento tipico della
tradizione di quel paese; naturalmente l’argomento riguarda direttamente la
storia del suo paese, ma il tratto che diverrà caratteristica per tutti i

18 BELA BARTÓK, op. cit., pag. 78.

21
compositori russi sarà il timbro scuro che viene conferito all’orchestra, che
prevarrà sia sull’armonia che sul contrappunto.
Nel 1859 Anton Rubinstein fonda la Società Musicale Russa nel
tentativo di porre freno al dilagare dell’opera italiana e nel 1862 nascerà il
primo Conservatorio russo; sono due iniziative fondamentali per
permettere ai musicisti autoctoni di riscattarsi dalla condizione quasi
subalterna in cui erano relegati dallo strapotere della musica straniera.
Questo tentativo è però subito aspramente criticato dal neonato
gruppo dei Cinque, nato sotto la guida di Milij Balakirev (1837 - 1910) e
Tzezar ’ Cui (1835 -1918). Gli altri membri erano Modest Musorgskij
(1839-1881), Nikolaj Rimskij-Korsakov (1844-1908) e Alexander Borodin
(1833-1887). Il loro mentore fu Glinka, considerato il compositore russo
per antonomasia e il loro scopo era quello di battersi contro quella
“esterofilia musicale” che imperversava nel loro paese in quei tempi.
Paradossalmente quasi nessuno di loro, esclusi Balakirev e Korsakov, era
musicista professionista; erano infatti ufficiali militari e il carattere
dilettantistico della loro formazione ha fatto sì che non fossero catturati
nelle maglie della rete dell’accademismo musicale filo-occidentale. Solo
così infatti era possibile riesumare le grandi tradizioni russe.
L’unico che però fece veramente la differenza in tal senso fu
Musorgskij, il quale si servì di materiali derivanti direttamente dalla
tradizione popolare in modo strutturale, portando a scardinare le basi del
comporre “colto”: “Risalire alle fonti della musica popolare non aveva
per Musorgskij solo una funzione di rivendicazione nazionalistica: era un
modo per accostarsi all’umanità, alla vita intera, senza troppi filtri
artificiosi e razionali” 19. Egli intendeva l’arte come un mezzo di
comunicazione con gli uomini e non come il fine. Musorgskij nel suo Boris
Godunov, si servì soprattutto di testi in prosa e non di libretti operistici
veri e propri e dal punto di vista tecnico abolì i numeri chiusi, presenti
invece nel teatro italiano e francese, utilizzò l’intonazione musicale della

19 MARIO CARROZZO, CRISTINA CIMAGALLI, op. cit., pag. 291.

22
lingua russa colta, e un timbro orchestrale “scuro”. Il “declamato”
utilizzato nella condotta musicale imponeva che i personaggi si
esprimessero come la “gente viva”.
Importantissimo è il fatto che il compositore utilizzò nel Boris generi
provenienti direttamente dal folklore russo, canti popolari, canzoni per
bambini e lamenti. Queste “intrusioni” conferivano all’opera il cosiddetto
color locale, indispensabile per evocare negli ascoltatori le diverse
ambientazioni: fece uso di scale modali tipiche della tradizione russa e di
ritmi additivi, cioè a differenza della musica colta occidentale in cui
l’unità di misura è la battuta e questa è suddivisa in 2, 3 o 4 movimenti,
nella musica tradizionale russa l’unità di misura è il movimento, che
rimane sempre costante e si aggrega in unità metriche variabili.
Nel Boris la folla assume una centralità fondamentale, è un
personaggio collettivo vero e proprio, talvolta antitetico allo Zar; si
osserva quindi come il popolo, finora relegato ai ruoli di protagonista solo
nelle commedie, abbia spazio in un dramma colto. La conseguenza diretta
di questa “intromissione” si rispecchia nella centralità assunta dai cori; si
va dal fuori scena alla presenza in primo piano sul palco. La folla contesta,
subisce, disputa, commenta. Il popolo “parla” attraverso i cori e utilizza un
linguaggio tradizionalmente popolare.
Musorgskij non è animato sicuramente da intenti di ricerca scientifica
o etnomusicologica, passerà ancora del tempo perché ciò avvenga, la sua è
piuttosto un’ottica realista, una volontà di portare nell’opera la Russia più
autentica e vera.

2.2.2 Altri Paesi dell’est

Negli altri Paesi dell’Est europeo la spinta nazionalistica portò i


compositori ad appropriarsi di composizioni musicali, soprattutto l’opera,
che, oltre ad essere considerata ancora il genere musicale più elevato, ben
si prestava all’inserimento di melodie popolari cantate tel quel, ovvero

23
senza essere rielaborate e perciò assolutamente riconoscibili; anche in
queste nazioni la lingua era quella nazionale e i soggetti erano tratti dalla
storia o da leggende popolari, rendendo immediatamente evidente il
carattere nazionale dell’opera.
In questo senso a rendere inequivocabilmente di stampo nazionale un’opera
non era la genuinità popolare della musica, ma il grado di apprezzamento
“popolare” che questa otteneva, ovvero la “decisione” del popolo di far
assurgere la composizione a vera bandiera del nazionalismo. C’è
sicuramente da notare che quando si parla di popolo in queste circostanze
non ci si riferisce certamente al popolo così come oggi lo intendiamo,
ovvero le classi operaie e subalterne, non avevano i mezzi né tantomeno
l’istruzione per approcciarsi e partecipare agli eventi mondani quali quelli
dell’opera. La classe che più si identificava con l’opera era la borghesia
ricca, imprenditoriale, che in seguito avrebbe preso il potere economico e
culturale e che era particolarmente attenta ai temi del nazionalismo.
In Polonia possiamo citare compositori come Stanislaw Moniuszko
(1819 -1872) con l’opera Halka (1848) e Ferenc Enkel (1810 - 1893).
Menzione a parte merita sicuramente Fryderyk Chopin (1810 - 1849);
pianista straordinario e compositore raffinatissimo, questo musicista seppe
più di ogni altro infondere nella sua musica l’ambiente della Polonia a lui
tanto cara. Sin da bambino infatti durante i periodi estivi trascorsi in
campagna, lontano da Varsavia, amava ascoltare la musica che si sentiva
durante le feste popolari o le cerimonie; il ricordo di queste musiche lo
accompagnerà sin alla morte, sopraggiunta a Parigi lontano dalla sua
patria. Questi ricordi verranno trasferiti nelle composizioni come le
Mazurche, le Polacche, il Rondò da concerto Krakowiak e la Fantasia su
arie polacche (questi ultimi due per pianoforte ed orchestra).
Se le Mazurche sembrano essere piccole e intime rievocazioni del folclore
musicale polacco, altre composizioni più strutturate come le polacche sono
l'ambiente ideale dove il compositore può con più personalità rielaborare
idee o ricordi della lontana patria, che possono essere ritmi, incisi melodici

24
o altro. In questo gruppo spicca la Fantasia, dove il pianoforte rielabora
con estrema personalità i temi originali polacchi suonati dall'orchestra.
Un altro grande compositore boemo fu Antonin Dvoràk (1841-1904),
che fece grande uso di motivi popolari; l’utilizzo da parte del compositore
della musica folklorica non era però dettato da un’esigenza di patriottismo
tout court, quanto piuttosto dall’estetica romantica. Egli utilizzerà non solo
musiche della Boemia, ma anche brani provenienti da altri paesi europei e
addirittura, durante il suo soggiorno americano, influssi dei pellerossa e
dei neri, vedasi la sua Nona sinfonia, Dal nuovo Mondo (1893).
Importantissimo per la musica popolare fu un compositore della
Moravia, Leos Janacek (1854 - 1928). “Egli non si limitò, come molti
altri, ad inserire qua e là nelle sue opere le citazioni di canti popolari:
anzi, giudicava un tale modo di fare come un’indebita appropriazione di
un linguaggio che appartiene ad altri. Janacek si dedicò invece ad uno
studio profondo della musica etnica morava, cercando di rivitalizzare
attraverso di essa le basi di fondo del proprio linguaggio ‘colto’” 20.

2.2.3 L’Europa del nord

In Danimarca vanno citati i compositori Niels Gade (1817 - 1890) e


Carl Nielsen (1865 - 1931). Quest’ultimo in particolare si dedicò alla
rielaborazione di canti popolari del suo paese.
Nella penisola scandinava va sicuramente citato Edward Grieg (1843
- 1907), musicista formatosi a Lipsia ma dedito anche e soprattutto allo
studio della musica folklorica norvegese. Nelle sue composizioni,
soprattutto per voce e pianoforte, si appropria liberamente di materiali
provenienti dalla musica tipica norvegese, inserendoli in un contesto
armonico molto avanzato per l’epoca.

2.2.4 Inghilterra e Irlanda

20 MARIO CARROZZO CRISTINA CIMAGALLI, op. cit., pag. 295.

25
Per quanto riguarda le due isole non c’è molto da dire in questo
periodo sulla musica popolare. Gli influssi prima di Haendel e poi di
Mendelssohn hanno determinato in modo inequivocabile la storia della
musica di questi due Paesi. Bisognerà attendere il secolo successivo
soprattutto con Vaughan-Williams per avere ricerche sulla musica popolare
che si possano definire tali.

Il Romanticismo ha dunque ravvivato e non poco i “paesaggi


musicali” europei, dando inizio anche se non volontariamente a studi e
ricerche che porteranno nel successivo secolo alla nascita
dell’Etnomusicologia, scienza che avrà come scopo proprio lo studio della
musica tradizionale in tutti i suoi aspetti, musicale, sociologico,
antropologico. Per ora è importante notare che in generale i compositori
che trattano questo tipo di musica sono soliti usare degli stilemi che non
intendono certo dare dignità alla musica popolare, quanto piuttosto ricreare
ambientazioni e dare un colore folkloristico all’opera; emblematico è l’uso
di queste tecniche per creare inoltre l’ambiente esotico (orientale) o
arcaico, o ancora per dar voce alla natura. I compositori usavano
“prevalentemente uno sfondo di quinte vuote, sopra il quale si poneva un
elemento melodico caratterizzato dall’intervallo dissonante di seconda
aumentata (o un altro intervallo cromatico) 21 . Per essere considerata
nazionalistica, come abbiamo già avuto modo di dire, un’opera doveva
essere eletta a “furor di popolo” e ciò non contempla necessariamente il
fatto che fosse genuinamente autoctona nello stile.
Emblematico a questo proposito è ciò che Bartók scriverà
successivamente: egli dice infatti che “la musica colta non popolaresca ha
quasi sempre subito gli influssi della musica popolare. (...) E’ infine
notissimo che i compositori classici di Vienna hanno subito i richiami

21 MARIO CARROZZO CRISTINA CIMAGALLI, op. cit., pag. 300.

26
della musica popolare (...)”, e ancora: “Tuttavia soltanto alcuni
compositori, cosiddetti “nazionali”, del secolo XIX, hanno ceduto
apertamente e coscientemente all’influenza della musica popolare. I primi
furono Liszt con le sue rapsodie e Chopin con le polacche; poi, vennero
Grieg, Smetana, Dvorak e i compositori russi dell’Ottocento che sempre
più introdussero nelle loro opere il carattere della loro gente.” 22

22 BELA BARTÓK, op. cit., pag. 77.

27
2.3 Il Novecento

2.3.1 Un secolo di trasformazioni

Se il Romanticismo ha avuto il merito di innescare il processo di


ricerca sulla musica popolare, il Novecento con le sue molteplici
sfaccettature ed i suoi meccanismi di totale rottura col passato ha favorito
la nascita dell’Etnomusicologia, scienza che per prima ha indagato con
metodo e rigore tutti gli aspetti che riguardano la materia di cui si tratta in
questo lavoro.
Il XX secolo è quello che più di ogni altro e in maniera più veloce ha
trasformato le società umane, dal punto di vista dell’economia, delle
scoperte scientifiche, della cultura; è il secolo che ha prodotto le due
grandi guerre mondiali e una molteplicità di tensioni politiche. Il mondo
non sarà più lo stesso, i mass-media, la globalizzazione costante e
pressante, lo scambio continuo di informazioni, l’annullamento delle
distanze geografiche e culturali sono solo alcuni degli aspetti che hanno
caratterizzato questo periodo. L’uomo ha stimolato e tutt’ora stimola questi
cambiamenti e li subisce, sia nel bene che nel male. L’aspetto geopolitico è
destinato a mutare per sempre con le conseguenze che ben tutti
conosciamo.
Anche la musica non è immune a questi mutamenti e li subisce in
modo determinante. Il Romanticismo ha portato un’onda di rinnovamento
nella concezione della musica, ma ha lasciato sostanzialmente intatto
l’impianto base, ovvero la tonalità; l’ha esplosa fino a portarla ai limiti
oltre i quali non è più stato possibile andare e quella che è stata la sua
caratteristica ha finito per decretarne poi la fine. Tutto ciò che
contraddistingueva il linguaggio tonale che per secoli ha governato la
musica è arrivato, con il periodo romantico, alla sua massima espressione,
dopo il Romanticismo infatti nulla sarà più come prima.

28
In questo paragrafo non si ha la pretesa di indagare approfonditamente
i motivi che hanno portato a questi cambiamenti epocali, non sarebbero
infatti sufficienti molti elaborati sull’argomento specifico; si vuole invece
dare l’idea dell’impatto che questi hanno avuto sulla poetica e sul senso
estetico dei musicisti e degli esecutori, in particolare per quanto riguarda
la musica popolare.
Dal punto di vista storico la fine dell’Ottocento è segnata
dall’affermarsi in economia dell’industria metallurgica e pesante, che ha
bisogno di una struttura logistica molto impegnativa e organizzata, ragion
per cui appannaggio di grandi imprese monopoliste. Grande sviluppo ha
anche l’industria delle armi; l’esaltazione della scienza e della tecnica si
colora improvvisamente di aspetti violenti, aggressivi, intolleranti,
razzisti 23 . La cultura cosiddetta ufficiale è al servizio della realtà politico -
economica, vengono organizzate le esposizioni internazionali a Torino,
Mosca, Londra, Parigi dove si mostrano le nuove scoperte scientifiche e
architettoniche. In occasione dell’esposizione parigina del 1899 viene
inaugurata la Tour Eiffel, sfoggio di grandezza e arditezza che inaugura la
nuova era dell’acciaio, si va diffondendo sempre più il gusto per il
grandioso, per il kolossal come lo chiama il Salvetti, che diventa
“l’immagine artistica di questa cultura ufficiale (...). Si sviluppa cioè una
vera e propria psicologia delle masse, spesso trattate come coronamento
della grande opera d’arte (...). 24 Tutta la società, dal popolano più povero
al borghese fino all’aristocratico è coinvolta e ammaliata dai miti della
ricerca tecnico-scientifica. Tuttavia questi anni di fine secolo sebbene
trainati dall’euforia e dalle meraviglie delle scoperte sono intrisi di
contraddizioni alla base della crisi che contraddistingue la fine del secolo;
è un’epoca caratterizzata infatti dalla minaccia della guerra e dall’acuirsi
della questione sociale. In contrapposizione alla cultura “ufficiale” vi è
però anche una cultura che ha saputo interpretare questa crisi prima ancora

23 GUIDO SALVETTI, La nascita del Novecento, Edt edizioni, Torino, 1977.

24 Ivi, pag. 5.

29
che fosse evidente; una larga schiera di giovani intellettuali infatti si sente
estranea all’epoca che sta vivendo spesso senza saperne realmente il
motivo. E’ l’età del decadentismo, del rifiuto per la società contemporanea,
del mondo della scienza e della tecnica.
La consapevolezza, come elemento di critica, della frammentazione
del linguaggio musicale, letterario, artistico, del venir meno di qualsiasi
certezza, di ogni consolidato valore è infatti diventata il più importante
denominatore comune di questo periodo: “Sospensione radicale della
tonalità o svuotamento delle sue funzioni, riduzione delle forme e dei
vocaboli del passato a fossili pietrificati o loro superamento, ricerca di
nuove linfe e di vocaboli “autentici” nel canto popolare o ancora
vagheggiamento di lontane radici in una tradizione collocata fuori dalla
storia, sono soltanto alcuni dei motivi ispiratori di poetiche musicali
novecentesche, e hanno in comune, come si è detto, soltanto
l’atteggiamento critico (più o meno radicale), la impossibilità di
ricondursi senza problemi ad una tradizione codificata, e soprattutto la
consapevolezza di tale impossibilità”. 25
Un altro importantissimo e determinante fattore è quello per cui si
assiste ad una separazione netta tra compositore e pubblico. La cosiddetta
musica nuova è difficilmente digeribile per una larga parte del pubblico,
che cerca invece rassicurazione nel noto. Ciò porta ad una visione elitaria
della musica colta e alla necessità di lavorare in piccoli gruppi, condizione
per cui si avranno variegate poetiche, radicalismo e cambiamenti
rapidissimi. Debussy prima, con il Pelleas e Melisande del 1902,
Schönberg negli anni successivi con la Prima Scuola di Vienna, Stravinskij
a Parigi con Le Sacré du Printemp, sono solo alcuni dei più importanti
musicisti che hanno contribuito con la loro musica a lasciare il periodo
storico precedente. Scrive infatti Bartók: “Gli inizi del XX secolo segnano
una svolta molto importante nella storia della musica moderna. Quando
infatti il post-Romanticismo giunse al limite estremo del suo sviluppo, e

25 BARONI, FUBINI, PETAZZI, SANTI, VINAI, op. cit. pag. 416.

30
quindi dei suoi eccessi, alcuni compositori si resero conto che sarebbe
stato praticamente impossibile continuare su tale via. E non videro altra
soluzione, per uscire da quel vicolo cieco, che negare “in toto” le
esperienze del XIX secolo”. 26 Secondo Bartók, questi compositori e
musicisti trassero addirittura “...stimolo e aiuto incalcolabile dalla musica
contadina, che fino allora era rimasta praticamente ignorata, e in modo
particolare da quella parte di essa che possiamo dire contadina in senso
stretto.” E ancora: ”Questo tipo di musica, infatti, è certamente, dal punto
di vista formale, quanto di più perfetto possa esistere. Ha poi un’enorme
forza espressiva, ed è nello stesso tempo priva di qualsiasi sentimentalismo
come di ogni inutile orpello (...)”. 27
Ci si rifà insomma alla musica popolare, ma con un approccio che è
differente rispetto agli autori del Romanticismo. Non si cerca più in questo
periodo di ricreare un’ambientazione oppure di rendere la propria musica
“nazionalistica”; si ricerca invece la perfezione della forma, il distacco dal
soggettivismo. La musica, i suoni prodotti non devono più descrivere un
ambiente o suscitare emozioni o essere la manifestazione dell’interiorità
profonda dell’autore; essa deve rispondere a dei criteri di oggettività, che
sono diversi dai criteri universali dettati nella musica dalla sua evoluzione
dopo il Barocco fino al Romanticismo. Il suono in quanto tale, con le sue
caratteristiche, altezza, intensità, timbro e durata è oggettivo, è la ragione
per cui “vale la pena comporre”, la ricerca di effetti e in seguito l’avvento
della musica elettronica cambieranno per sempre l’estetica e la poetica
delle correnti musicali e dei compositori. Tornando alla musica popolare e
a quanto si è detto a proposito di Bartók è interessante ciò che scrive
Schönberg a proposito della melodia nel suo libro pubblicato postumo
“Elementi di composizione musicale”: “E’ difficile che una melodia possa
presentare elementi non melodici: il concetto di melodicità è in stretta
connessione con il concetto di cantabilità. Il carattere e la tecnica

26 BELA BARTÓK, op. cit., pag. 101.

27 Ivi.

31
esecutiva dello strumento musicale più antico, la voce umana, determina i
criteri della cantabilità. Il concetto di melodicità applicato alla melodia
strumentale si è sviluppato come un libero adattamento dal modello della
voce.” 28 Come a dire che la voce umana, i suoi suoni, i suoi timbri, le sue
molteplici sfaccettature sono alla base di una buona linea melodica, sia
essa vocale che strumentale. Ma la voce umana, da sempre, cosa canta
principalmente se non le melodie della tradizione popolare?
Forse è un po’ azzardato collegare lo scritto di Schönberg al concetto
di musica popolare e alla sua importanza così come espresso da Bartók, di
sicuro c’è però che molti compositori si sono avvalsi di materiale popolare
per le loro opere.
Le Sacré du Primtemp di Stravinskij è intriso di musica popolare.
Bartók afferma che probabilmente il compositore russo non ha mai fatto
nessuna raccolta sistematica di materiale “contadino”, ma che sicuramente
ne è venuto a contatto oltre che da raccolte effettuate da altri anche in via
diretta, ovvero sul posto. 29 Ma come usa questo materiale il grande
compositore? Il suo è desiderio di ricerca nel passato oppure è animato da
altre intenzioni?
In questo senso ci viene in aiuto un saggio dell’etnomusicologo Diego
Carpitella, che proprio in merito a questa tematica scrive: “Non è tanto
l’ideologia o l’indicazione letteraria extramusicale (al pari della
segnaletica dei titoli nei Preludes di Debussy) che ci interessano, quanto
che alcuni risultati fonici, musicali di Stravinskij sono accostabili ad
alcuni procedimenti di musiche extraeurocolte, soprattutto per quel che
riguarda il ritmo: iterazione, statica e microvariata, pulsazione isocrona;
amplificazione; periodicità, integrale o parziale; accentuazione;
modificazione timbrica e alternanza delle durate; opposizione timbrica;
isometricità e eterometricità etc. Molti di questi procedimenti, individuati
con precisione dall’analisi di Boulez, ricordano molto da vicino i

28 ARNOLD Schönberg, Elementi di composizione musicale, Edizioni Suvuni Zerboni, Milano, 1967

29 BELA BARTÓK, op. cit.

32
procedimenti ritmici della musica centroafricana, di recente esaminati
dagli studi degli etnomusicologi.” 30 Stravinskij, da quanto si evince, non
ha pretese di ricerca nel senso etnomusicologico del termine, anzi, la sua è
una ricerca musicale in senso stretto, gli effetti timbrici e ritmici sono alla
base del suo scrivere.
Come si è arrivati alla completa rottura con il periodo precedente?
Come mai i canoni estetici e la poetica dei compositori sono mutati così
repentinamente e pesantemente?
Nel corso del XX secolo vi è una rottura senza precedenti con il
periodo storico precedente. Il modo di comporre basato sulla tonalità e
sull’armonia è portato alla massima espressione dal Romanticismo e al
punto di rottura dal Post-Romanticismo; oramai esso risulta inadatto e
insufficiente. I compositori propendono per la massima libertà espressiva,
scardinando profondamente il vecchio linguaggio.
Alla fine del XIX secolo Debussy introdurrà nella musica colta la
scala esatonale, ascoltata da un’orchestra di gamelan durante l’esposizione
internazionale del 1889. Si tratta di una contaminazione tra generi, musica
euro-colta e musica popolare balinese, che darà il via ad una tendenza
verso l’esotismo che sarà alla base del cosiddetto mito del primitivo.
Schönberg e i suoi allievi, Berg e Webern, sono i fondatori della
Scuola di Vienna, corrente musicale che porterà in seguito alla
Dodecafonia, sistema compositivo basato sulla scala cromatica di dodici
suoni disposti in serie.
Stravinskij introduce la politonalità, ovvero la sovrapposizione di due
o più tonalità contemporaneamente.
Il rumore acquista una sua dignità musicale soprattutto grazie al
futurismo di Russolo e di Varese, che fanno costruire degli appositi
strumenti, gli intonarumori, per riprodurre i nuovi suoni della civiltà
contemporanea: quelli delle fabbriche, delle auto, degli aerei etc.

30DIEGO CARPITELLA, Il mito del primitivo nella musica moderna, dall’opuscolo del XXVI
Festival di Nuova Consonanza.

33
Le scoperte tecnologiche soprattutto nel campo della registrazione e
della riproduzione del suono, mutano completamente il paesaggio
musicale. I luoghi della musica non sono più solo le sale dei teatri o da
concerto o ancora le chiese, i luoghi sacri, ma la possibilità di amplificare
e riprodurre i suoni allarga potenzialmente all’infinito gli spazi. Tutto ciò
rende fruibile a molte più persone l’evento sonoro ma soprattutto nascono
nuovi strumenti il cui funzionamento dipende in tutto e per tutto
dall’elettricità, ovvero dall’amplificazione.
Nel secondo dopoguerra abbiamo allora la musica concreta, alla cui
base sta proprio il nastro magnetico, su cui vengono registrati suoni,
rumori ambientali, voci, strumenti tradizionali che in seguito vengono
distorti, rielaborati.
La musica aleatoria è invece basata esclusivamente sul caso. Su carta
viene definito un canovaccio su cui vengono innestati elementi fortuiti
come improvvisazioni, intrusioni ambientali (il pubblico ad esempio), tutto
diventa musica, i suoni, i gesti, il silenzio, lo spazio.
I profondi cambiamenti socio-antropologici ed economici del
Novecento hanno insomma stravolto anche la musica, determinando una
moltitudine di stili ciascuno dei quali fa riferimento non più ad una
corrente musicale ma ad un singolo autore-compositore.
Vi sono tuttavia delle caratteristiche che costituiscono un fil rouge per
tutti i musicisti.
La melodia: perde il ruolo da protagonista che nel corso dei secoli si
era guadagnata. Sempre più spesso la sequenza delle note risulta poco
comprensibile e fruibile nella sua organicità. Si tende ad annullare il
concetto di melodia, il suono è esso stesso melodia, vengono introdotti i
microintervalli, difficilmente percepibili dall’orecchio umano.
L’armonia: dopo Schönberg nulla sarà più come prima. Il concetto di
armonia viene definitivamente cambiato, prima dall’atonalità e in seguito
dalla dodecafonia. Dopo la seconda guerra mondiale la libertà armonica è
tale che l’armonia non sarà più definibile come una sequenza ordinata di
suoni.

34
Il ritmo: assume grande rilievo soprattutto grazie alla musica popolare
e al suo studio scientifico. Le tecnologie di registrazione sempre più
precise e sofisticate, la nascita dell’etnomusicologia fanno sì che il
materiale raccolto presso i “primitivi” sia più accessibile a molti e non solo
a studiosi, determinando un cambiamento notevole nell’utilizzo della
ritmica da parte dei compositori. A volte è semplice ma serrato, reiterato,
altre volte è la risultante dalla combinazione di ritmi diversi, che dà così
origine alla poliritmia. Nella musica contemporanea il ritmo talvolta è
totalmente libero, non viene segnato alcun tempo, tutto è lasciato
all’interpretazione dell’esecutore.
L’intensità: Grazie all’amplificazione è possibile aumentare il range
di intensità, che prima aveva come limite gli strumenti fisici e la loro
capacità di raggiungere volumi sonori elevati solamente in orchestra. Ora,
potenzialmente non vi sono più limiti e le sonorità raggiunte possono
essere estreme.
Il timbro: è l’elemento che maggiormente viene studiato ed esplorato
durante il XX secolo. Addirittura al “rumore” viene data dignità di suono.
Le molteplici possibilità date dall’avvento della musica elettronica e degli
strumenti amplificati fa aumentare esponenzialmente gli effetti timbrici
che possono essere utilizzati; si utilizzano anche strumenti tradizionali,
amplificandoli e distorcendone il suono o mutandolo per ottenere effetti
sempre nuovi.
Il XX secolo porta con sé un rinnovamento complessivo, determinante
anche per la musica popolare così come la si intende in questo lavoro.

35
2.3.1 La nascita dell’etnomusicologia. La musica tradizionale
come oggetto di studio

L’etnomusicologia è una disciplina nata alla fine del XIX secolo e che
ha come scopo la documentazione sistematica e l’interpretazione dei
repertori musicali dei cinque continenti. Si basa fondamentalmente sulla
ricerca sul campo (ripresa e registrazione), la trascrizione e l’analisi
musicale e lo studio dei testi verbali.
Il nome di questa disciplina risale al 1950, quando lo studioso Jaap
Kunst lo propose nel suo volume Musicologica:a Study of the Nature of
Ethno-musicology, its Problems, and Representatives Personality 31 . Si
tratta di un nome che rappresenta in pratica quasi un secolo di evoluzione;
questa disciplina pur se recente ha conosciuto uno sviluppo velocissimo
grazie anche alle nuove tecnologie nate alla fine dell’Ottocento
(soprattutto al fonografo) e alla possibilità di spostarsi molto velocemente
fino ai luoghi più sperduti della terra, al sistema centesimale inventato da
Ellis, che permetteva una precisa “catalogazione” delle altezze di suoni.
L’Etnomusicologia così come la conosciamo noi è nata dopo il 1950
ma il suo sviluppo ha conosciuto varie fasi qualche volta anche in
contrapposizione tra di loro.
La fine del XIX secolo ha contribuito in modo decisivo alla nascita di
questa disciplina, anche se la sua esegesi ha poco o nulla di scientifico. La
curiosità dei compositori per l’esotico, per il primitivo, per il popolare
inteso come tradizionale, ha portato nella musica colta una ventata di
novità. Musicisti come Kodali, Bartók, Janacek, Musorgskij, Britten,
Vaughan Williams, Poulenc, Copland solo per citarne alcuni, faranno della
ricerca sulla musica popolare una componente importante per la loro
poetica ed estetica. Alcuni di essi, come Kodali e Bartók, studieranno con
metodo scientifico la musica popolare, arrivando a pubblicare dei libri su

31 TULLIA MAGRINI, Universi Sonori, Einaudi Torino 2002.

36
come si opera durante la raccolta delle melodie. 32 Ma l’approccio di questi
musicisti-studiosi nei confronti del popolare è lo stesso? Il loro rapporto
con le caratteristiche delle varie melodie raccolte sul campo, l’utilizzo che
ne fanno, la loro armonizzazione-rielaborazione porta a risultati
assimilabili? A nessuna di queste domande si è qui in grado di dare una
risposta, perché si tratta di una ricerca molto specifica che comporterebbe
anni di studi e l’analisi di migliaia di spartiti.
Il lavoro dello studioso di musica popolare si basa soprattutto sulla
ricerca sul campo, ovvero sul lavoro svolto presso le popolazioni detentrici
della tradizione. “Un principio da tener presente è quello che bisogna
condurre il lavoro di raccolta possibilmente recandosi sul posto, vale a
dire nei villaggi. (...) Insomma si ha il vero esempio di cosa significhi il
canto nella vita della comunità, in quanto soltanto così lo si ascolta e lo si
coglie nella sua giusta caratteristica di manifestazione collettiva.” 33
Il lavoro del ricercatore deve essere metodico e scientifico e infatti
Diego Carpitella, nell’introduzione al libro di Bartók “Scritti sulla musica
popolare”, parlando del compositore ungherese e di Kodaly e delle
premesse di cui tennero conto all’inizio della loro avventura, afferma
quanto segue: “... il canto popolare è un lavoro unitario, in cui parole e
suoni sono due elementi equivalenti e della medesima importanza; l’unica
possibilità di avere nel campo delle ricerche sul folklore musicale dei
documenti obiettivamente validi è data dall’incisione sonora dei canti e
dalla trascrizione e dallo studio di essi attraverso queste registrazioni.” 34
Lo studioso di musica popolare non solo è ricercatore, ma deve essere
anche esperto di tecnologia (soprattutto ai tempi di Bartók, quando le
tecniche ti registrazione erano molto più complesse), deve essere sociologo
e antropologo e inoltre anche musicista, se vuole cogliere appieno tutti gli
aspetti della musica che sta ascoltando e studiando.

32 BELA BARTÓK, op. cit.

33 BELA BARTÓK, op. cit. pag. 55.

34DIEGO CARPITELLA, Introduzione al libro Scritti sulla musica popolare di Béla Bartók,
Universale Scientifica Boringhieri, 1977. pag 6

37
Ma il compositore che utilizza un tale tipo di musica, deve avere le
stesse caratteristiche del ricercatore?
Lo stesso Bartók risponde a questa domanda allorché parla proprio di
come un musicista dovrebbe accostarsi ad un tale tipo di musica: “Qual è
la premessa indispensabile perché l’influenza della musica contadina
possa effettivamente esercitarsi? E’ che il compositore conosca
perfettamente la musica popolare del proprio paese, esattamente come ne
conosce la lingua. (...) Quello che importa, infatti, è di portare nella
musica colta il tipico carattere della musica contadina (che è
assolutamente impossibile esprimere con le parole): non basta insomma
immettervi dei tempi o l’imitazione dei temi contadini, (...) ma bisogna
trasferire in essa l’atmosfera della musica creata dai contadini”. 35
Bartók spiega anche come un compositore dovrebbe trattare il
materiale popolare e declina tre modalità:
1. “Anzitutto si può usare la melodia contadina senza portarle
alcuna modifica oppure variandola lievemente, limitandosi ad
aggiungere un accompagnamento. (...) Questo procedimento ha
qualche analogia con il metodo impiegato da Bach nella elaborazione
dei corali. (...) Ad ogni modo è molto importante che la materia
musicale con cui si riveste la melodia sia però intrisa del suo stesso
carattere (...).” 36
2. “...il compositore se ne serve non già testualmente, ma
inventando egli stesso l’imitazione di una melodia popolare” 37 Qui
porta l’esempio di Stravinskij: “ Un cosa però è certa: se nel
materiale tematico di Stravinsky vi sono delle invenzioni originali,
cioè da lui stesso create (e senz’altro vi sono), esse sono le più abili e
fedeli imitazioni del canto popolare che si possono immaginare.” 38

35 BELA BARTÓK, op. cit., pag. 102.

36 Ivi, pag. 103.

37 Ivi, pag. 105

38 Ivi, pag. 106

38
3. “Infine, nelle opere di un compositore, l’influsso della musica
contadina può manifestarsi anche in una ultima maniera. Può darsi
infatti che il musicista non voglia elaborare melodie popolari o farne
delle imitazioni, bensì intenda e riesca a dare alla sua musica la
stessa atmosfera che distingue la musica contadina. (...) Vale a dire
insomma che il modulo espressivo della musica contadina è divenuto
il suo linguaggio.” 39

2.3.2 L’evoluzione della musica tradizionale: una


classificazione 40

Queste modalità di utilizzo del materiale popolare da parte dei


compositori si sono poi evolute nel corso del XX secolo soprattutto grazie
alla tecnologia e ai mass media. L’evoluzione su scala mondiale della
diffusione della musica e la facilità con cui può essere fruita porta a degli
ulteriori sviluppi, classificabili in livelli.
Si parte dal cosiddetto livello zero per arrivare ad un quarto. Di
seguito si vede in che forma e con quali modalità l’evoluzione tecnologica
e mass-mediatica abbia sviluppato e modificato l’approccio alla musica
popolare.

LIVELLO ZERO
E’ il livello che identifica e contraddistingue la musica tradizionale
così come è intesa nella sua forma più “semplice” ed autentica, il
cosiddetto vero repertorio tradizionale, proveniente dalle comunità
caratterizzate dagli elementi di cui abbiamo detto in precedenza.
Le caratteristiche di questo repertorio sono:

39 Ivi, pag. 107.

40Questo paragrafo si basa sui contenuti di una lezione della prof.ssa Jania Sarno, docente di
Storia della musica ed estetica musicale presso il Conservatorio “F.A. Bonporti” di Trento.

39
• l’oralità, ovvero la modalità di tramandare il repertorio solo
attraverso la trasmissione orale e la pratica. Chi impara questa musica
lo fa ascoltando il musicista che la esegue e i musicanti, ma
soprattutto pratica il repertorio negli eventi organizzati;
• l’anonimato: non vi è un autore a cui fare riferimento per la
nascita di queste musiche, ma la loro esegesi affonda le radici nella
notte dei tempi ed è frutto della memoria collettiva;
• l’apprendimento: è mnemonico e in “contesto”, si apprende
direttamente da chi fa musica;
• la dimensione collettiva: è una musica che coinvolge la
comunità intera, vi sono dei musicisti non professionisti che eseguono
i brani assieme ai musicanti e al resto della comunità;
• i meccanismi legati all’economia della memoria, nel senso che
la memoria immagazzina solo il modello del brano. L’esecutore, il
musicista, ad ogni nuova esecuzione applica delle varianti per
dimostrare il proprio valore ed ogni singola variante a sua volta dà
origine ad altre varianti.

LIVELLO 1
E’ il cosiddetto folkrevival: la musica tradizionale (livello zero) è
usata commercialmente fuori dal proprio contesto. Identifica l’uso del
repertorio tradizionale da parte di un artista esogeno alla comunità da cui
proviene la musica, per spettacoli e concerti il cui pubblico non appartiene
all’ambiente di provenienza dei brani. La destinazione d’uso di tale
repertorio non è quella “tradizionale” e subentra anche la
commercializzazione su disco; si apre così la strada a diverse forme di
contaminazione tra i vari livelli. Un esempio eclatante di questo fenomeno
può essere identificato con la musica americana di Bob Dylan, cui
seguirono le cantanti Joan Baez e Joni Mitchell.

40
LIVELLO 2
Canzone d’autore (colto) che diventa tradizionale attraverso il
fenomeno di discesa. Si tratta di canzoni che sono diventate d’uso comune
non solo nelle varie comunità ma anche in tutti gli strati sociali della
popolazione a cui si fa riferimento. Sono brani composti da musicisti che
hanno compiuto studi accademici e di solito sia la musica che il testo sono
originali. Un esempio è dato da un certo repertorio del coro della S.A.T. di
Trento. Per questo coro hanno scritto musicisti del calibro di Arturo
Benedetti Michelangeli, Renato Dionisi, Andrea Mascagni, e ancora
musicisti non professionisti ma di grande spessore come Ferdinando
Mingozzi, Camillo Moser, i fratelli Pedrotti, Mario Zuccante e molti altri
ancora. Queste canzoni d’autore sono divenute tradizionali attraverso un
meccanismo di discesa e addirittura alcune sono contenute nell’archivio
fonografico di San Michele (Trento) in registrazioni sul campo in quanto
considerate musica popolare. Sempre su questa falsa riga vi è la canzone
napoletana e ancora i canti della Stella di Giambattista Michi, compositore
del XVII secolo le cui canzoni sono divenute tradizionali e sono tuttora
eseguite durante le feste natalizie.

LIVELLO 3
Etnopop: si tratta di un fenomeno relativamente recente; è una
ulteriore evoluzione del folkrevival. Questo fenomeno ha riscoperto le
canzoni tradizionali tout-court e le ha fatte scoprire al grande pubblico
attraverso concerti, operazioni commerciali (dischi) e massmediatiche. In
seguito, sul modello della musica riscoperta, i compositori hanno scritto
ex-novo dei brani che sono in seguito stati commercializzati. Un esempio
lampante è il neotarantismo (anni ‘80 e ‘90), fenomeno legato al
tarantismo pugliese grazie alla riscoperta delle pizziche 41, che vengono
incise e commercializzate attraverso dischi e concerti. Da qui il passo è

41 Danze popolari del Salento.

41
breve e sul modello delle pizziche originali ne vengono composte molte
altre ex-novo.
Worldmusic: come dice il termine stesso, non vi è più solo un
repertorio di riferimento, con la sua comunità e le relative tradizioni, ma
una contaminazione globalizzante. Si tratta in realtà di una operazione nata
a tavolino negli uffici delle case discografiche che hanno visto
nell’Etnopop la nascita di una moda commercialmente molto appetibile.
Vi è una forte matrice etnica dovuta al repertorio di provenienza
delle canzoni; una caratteristica tipica di questo fenomeno è la
contaminazione tra le varie matrici etniche e con il sound della musica
leggera, in particolar modo dovuto all’uso di strumenti tipici di
quell’ambito: basso e chitarra elettrici, batteria. La sua fruizione avviene
attraverso i dischi oppure attraverso i concerti che spesso si tengono in
teatri molto grandi o addirittura all’aperto, sullo stile del concerto rock con
personaggi di grido.

LIVELLO 4
Musica colta su base tradizionale. Il materiale tradizionale viene
utilizzato e rielaborato dal compositore colto. E’ un fenomeno nato con il
Romanticismo e sviluppatosi poi nel corso del XX secolo; i postulati di
base dei compositori romantici sono chiaramente diversi da quelli di un
Poulenc o di un Berio, ma agli effetti pratici i risultati sono simili.
Vi sono sostanzialmente due modalità di lavoro che un compositore
può adottare con il materiale popolare. La prima consiste nel prendere la
melodia tel quel e armonizzarla secondo lo stile che lo contraddistingue;
normalmente la melodia rimane invariata e si riconosce poiché affidata alla
voce principale. La seconda consiste nel prendere spunto dal materiale
popolare e scrivere un brano ex novo. Spesso la melodia usata come spunto
si trova lungo tutto il brano, mimetizzata tra le varie voci, smembrata
secondo dei parametri stabiliti dal compositore ed è irriconoscibile ai più.
Il brano che ne nasce è un’opera completamente nuova.
Il livello 4 è ciò che si intende trattare nel presente lavoro. 


42
3
I compositori
3.1 Johannes Brahms (1833 - 1897)

Si intende qui analizzare l’approccio dell’autore al canto popolare e


come questi abbia in seguito rielaborato le melodie in base alla propria
poetica e senso estetico. Da questo punto di vista Brahms è sicuramente
figlio del suo tempo, profondamente romantico e ancorato a quegli ideali
che hanno fatto di questo periodo il momento storico che tutti ben
conosciamo.
Il Romanticismo interpreta le melodie popolari con la nostalgia per un
mondo antico, scomparso; il canto popolare rappresenta “(...) il carattere
originario incorporante sul piano poetico musicale l’idea del puramente
umano da cui si prendeva le mosse” 42.
A questa concezione si associa automaticamente in generale, ma
soprattutto in Brahms un intento educativo: “per mezzo dell’autentico
canto popolare si tendeva all’elevazione morale” 43 .
Il compositore è dunque molto attento nella scelta delle melodie su
cui lavorare, discrimina infatti tra le canzoni ritenute indecenti,
Gassenhauer o Poebellied, (canzone priva di contenuto artistico e canzone
volgare) e le canzoni che sono adatte agli intenti educativi.
A questo proposito Brahms avvia una querelle con i redattori del
Deutscher Liederhort, (canzoniere tedesco); egli scrive infatti a Spitta 44
nel 1894: “Riuscirebbe Lei con esso a trasferire a qualcuno (magari a uno
straniero) anche solo il minimo concetto del nostro canto popolare? E’ mai
possibile che in Musicologia si debba sguazzare così, come fa Böhme, in
tutta la melma che si trova per strada?” 45 I suoi intenti pedagogici sono

42 CHRISTIAN M.SCHMIDT, Brahms, EDT 1983, pag. 98

43 Ivi.

44Philipp Spitta, (1841-1894) musicologo tedesco redattore della prima grande monografia su
Bach.

45 CHRISTIAN M. SCHMIDT, op. cit., pag. 99.

44
chiari e in contrasto con il movimento che nella metà del XIX secolo
intendeva semplicemente raccogliere e conservare il patrimonio dei canti
popolari; stava nascendo quella scienza che dopo gli anni Cinquanta del
Novecento sarà definita con il termine di Etnomusicologia. Il compositore
entra in violenta polemica con Böhme e Erk e si evince direttamente dalle
missive che questi invia a Spitta, in cui appella Erk e Böhme “(...) gestori
del canto popolare” 46. Da questa spinta polemica non tanto sull’autenticità
dei canti popolari proposti dai due ricercatori, quanto sul valore artistico e
culturale degli stessi, Brahms pubblica i 49 Deutsche Volkslieder (1894).
Interessante la lettera che accompagna la pubblicazione a Hermann Deiters,
nella quale Brahms dichiara i propri intenti e la propria estetica a riguardo
della musica popolare: “(...) io presento quelle poesie e melodie che mi
sembrano belle e genuine, e sono amate e apprezzate da moltissimo
tempo”. 47
Scrive ancora lo Schmidt a proposito di ciò che Brahms pensava della
canzone popolare: “Egli credeva in un canone di valori artistici
sopratemporali e, come nel caso delle composizioni dei secoli XVI-XVIII,
gli parevano degni di conservazione solo quei canti popolari che vi
potevano aspirare in ragione del loro livello estetico” 48 .
Brahms non è dunque un musicologo o un ricercatore ante litteram,
ma un esteta del canto popolare, egli apprezza solo quei canti che sono
particolarmente belli e significativi poiché li vede anche come
rappresentazione del gusto popolare della propria nazione 49 . Interessante
ciò che scrive Massimo Mila: “(...). Valga il confronto con compositori la
cui arte sia realmente sostanziata di un’ispirazione nazionale, come
Smetana o Dvorak, e magari lo stesso Chopin, a ristabilire il senso della
realtà. L’amore della musica popolare è in Brahms assai più un gusto del

46 Ivi.

47 Ivi.

48 Ivi, pag.100.

49 Cfr. nota 43.

45
pittoresco, sul quale egli si china dall’esterno con divertita curiosità, che
un organico e spontaneo insorgere di linfe nazionali che associno l’uomo
alla sua terra e dominino, determinandola, la sua curiosità creativa.” 50
In questo periodo vi è un’altra questione spinosa e riguarda l’origine
dei canti popolari, ovvero l’autenticità degli stessi; per Brahms la cosa non
è importante: “della disputa su ‘autentico o non autentico’ non mi curo” 51.
Erk e Böhme reputano infatti canti popolari solo quelli che hanno
origine nel popolo e non già quelli composti in stile popolare, giungendo a
distinguere il Volkslied ovvero il canto popolare che ha origine nel popolo
dal Volkston, ovvero il canto composto in stile popolare. Di questo
concetto parla Bartók nel suo Scritti sulla Musica Popolare 52, egli afferma
infatti che il compositore si può servire della musica popolare per crearne
di nuova inventando egli stesso la melodia. In questo lavoro si è parlato di
questo tema quando si è trattato della Worldmusic o dell’Etnopop. Come
già detto, per Brahms non è importante che il canto popolare sia di
provenienza direttamente popolare e in effetti egli compone musiche anche
in “stile popolare”: Wiegenlied op. 49 n. 4 e Vergebliches Staendchen op.
84 n. 4 solo per citare i più famosi. La problematica di comporre canti in
“stile popolare” è ben diversa da armonizzare canti di provenienza diretta
dal popolo; si tratta di dare alla composizione quella naturalezza e
semplicità proprie dei canti tradizionali attraverso un percorso
assolutamente artificiale, e la cosa non è affatto semplice. Brahms ci riesce
magistralmente: “(...) la componente artificiale, rilevabile all’analisi,
resta del tutto inosservata all’interno di una composizione in cui domina
l’effetto del canto popolare e, per così dire, della naturalità.” 53 Ciò
significa che il compositore ha fatto suo il linguaggio e riesce ad
utilizzarlo come meglio crede.

50 MASSIMO MILA, Brahms e Wagner, Einaudi Tascabili, 1994 pag. 104-5

51 CHRISTIAN M.SCHMIDT, op. cit., pag. 101.

52 BELA BARTÓK, op. cit., pag. 105.

53 Ivi.

46
Il brano che verrà analizzato in seguito - In Stiller Nacht - ne è
l’esempio lampante. Si tratta di una melodia il cui incipit proviene da una
melodia divenuta popolare grazie ad un fenomeno di discesa, ma che è poi
stata terminata dal compositore. In pratica un brano di musica popolare che
inizia come Volkslied e finisce come Volkstone, un effetto di continuità
insuperabile che dà prova delle eccezionali abilità dal compositore e di
quanto questi sia entrato nel linguaggio della musica popolare e l’abbia
fatto proprio. Egli riesce a far sembrare semplice ciò che semplice non è,
riuscendo a mantenere dei canoni estetici ed artistici altissimi senza mai
risultare anche solo lontanamente banale. Il linguaggio della musica
popolare non si trova infatti solo nei canti composti o armonizzati dal
compositore, ma anche nelle sue opere strumentali, Lieder ohne Worte, per
esempio, oppure nel terzo movimento della sonata per clarinetto e
pianoforte op. 120. 54
Scrive ancora Massimo Mila a proposito della capacità di Brahms di
padroneggiare il linguaggio popolare: “La purezza di Brahms non ha nulla
di affettato né di forzato, ma è naturale modo di essere, (...)” 55 . Egli non
ostenta mai le sue abilità ed è questo che rende i suoi Volkstöne dei
capolavori assimilabili in tutto e per tutto ai Volkslieder.
Brahms stesso dice: “Es ist wohl das erstemal, dass ich dem, was von
mir ausgeht, mit Zaertlichkeit nachsehe. Es ist eine Sammlung deutscher
Volklieder mit Klavier.”; 56 significativo il “ciò che è uscito da me”
tradotto letteralmente, proprio perché parte del suo essere, conferma
ulteriore di ciò che asserisce il Mila.
Come riesce il compositore nell’intento di essere così “realmente
tradizionale”? Sicuramente usando melodie diatoniche, semplici, cantabili.
Il basso muove perlopiù diatonicamente e i cromatismi vengono inseriti
(nascosti) nelle parti interne; i ritmi delle melodie sono semplici e spesso

54 CHRISTIAN M.SCHMIDT, op. cit., pag. 103.

55 MASSIMO MILA, Brahms e Wagner, Einaudi Tascabili, 1994 pag. 107.

56“è la prima volta che guardo con tenerezza a ciò che è uscito da me. E’ una raccolta di
Volkslieder con pianoforte”.

47
lascia agli accompagnamenti strumentali le scritture ritmiche più
complesse.
La maggior parte dei suoi brani popolari ha forma strofica e quando il
compositore usa forme più complesse ripete la melodia della prima stanza
nota per nota come a voler riportare l’ascoltatore alla forma originaria
dando l’idea di una simmetricità perfetta e completa, che è anche fluente
nel discorso musicale. Solo una grande capacità compositiva riesce a
piegare la tecnica in favore della semplicità non ostentata e naturalmente
bella, e ciò accade soprattutto con il brano In Stiller Nacht. Sembra
l’eccezione che conferma la regola; inizia con una melodia popolare e
finisce con una melodia scritta da Brahms e stupendamente conseguente
alla prima, senza soluzione di continuità.
Prima di analizzare il brano è necessario dire che è stato pubblicato in
una versione per coro misto a cappella, è il primo brano del secondo
volume dei Deutsche Volkslieder (WoO nr. 8, 1864), mentre circa trent’anni
dopo è stato pubblicato per voce sola nei 49 Deutsche Volkslieder (WoO 33
nr. 42, 1894). In questo elaborato viene presa in considerazione la versione
per coro a cappella del 1864.
In Stiller Nacht è una melodia sulla cui origine lo stesso Brahms
sembra essere evasivo. A Max Kalbeck, il suo principale biografo, che gli
avrebbe chiesto dove avesse preso quella melodia, sembra che il
compositore abbia risposto: “Non certo tra i miei libri”. Il Kalbeck ha
elaborato una teoria per cui Brahms avrebbe tratto la canzone da un poema
sacro del Gesuita Friedrich von Spee, in cui si narra della passione di
Cristo nell’Orto degli Ulivi. In seguito si è scoperto invece che il
compositore ha tratto la melodia da una raccolta di Volkslieder di un certo
Hrn. Arnold (Friedrich Willhelm Arnold editore), il quale ha intessuto con
Brahms per una decina di anni (dal 1854 al 1864) uno stretto rapporto di
“automutuoaiuto”: in pratica Brahms si serviva dalle raccolte di Arnold per
ricercare le melodie che riteneva adatte alle sue opere e in cambio
correggeva le elaborazioni e gli accompagnamenti che questi faceva alle
melodie che raccoglieva. Questo brano sarebbe stato composto da Spee, ma

48
attraverso un fenomeno di discesa (oralizzazione) sarebbe diventato in
seguito a tutti gli effetti popolare per poi entrare a far parte dei brani
popolari raccolti da Arnold. Non è comunque ben chiaro ancora dove il
compositore abbia trovato la melodia, forse dal Miserere di Spee o da una
raccolta di canti cattolici 57. Comunque sia, il brano composto da Spee è
divenuto popolare (fenomeno di discesa), è stato inserito in una raccolta da
Arnold, in seguito è stato rielaborato da Brahms che vi ha aggiunto ex-
novo la seconda parte. Interessante è che il “destino” di In Stiller Nacht è
quello della canzone d’autore che diventa popolare; in Music in the
Romantic Era, del 1947, Alfred Einstein (musicologo e cugino del celebre
fisico) ricorda come a Brahms fosse capitato di vedere uno dei suoi Lieder,
In stiller Nacht, pubblicato in alcune raccolte di canti popolari. Da buon
romantico qual era, fu molto gratificato dal pensare che una sua
composizione potesse vivere nella musicalità collettiva del suo popolo.

57

49
3.2 Ralph Vaughan Williams (1872 - 1958)

“Folksong were an art which grows straight out of the needs of people, a
true art which has beauty and vitality now in the twentieth century.”

Ralph Vaughan Williams

Qual è il rapporto tra l’autore e la canzone popolare inglese?


Interessante è proprio quello che egli afferma a proposito della musica
popolare: “folksong were an art which grows straight out of the needs of
people, a true art which has beauty and vitality now in the twentieth
century”. 58
Egli ammira la musica della gente comune soprattutto perché
intuitiva, non calcolata, per la bellezza melodica e la sincerità, semplicità e
serenità. 59 Afferma infatti: “Se questa musica dal forte spirito inglese
potesse essere riassunta a parole, esse sarebbero probabilmente:
all’apparenza familiare e banale, ma in realtà profonda e mistica, così
come lirica, melodica, malinconica, nostalgica eppure senza tempo.”

L’importanza della musica popolare per Vaughan Williams è


testimoniata anche da Elsie Payne, che la definisce come “life-force for
Vaughan Williams”.
Egli stesso in una conferenza negli Stati Uniti afferma quanto segue:
“Integration and love. These are the two key words. The composer must

58“La musica popolare è un’arte che scaturisce direttamente dai bisogni delle persone, un’arte vera che
possiede bellezza e vitalità ora, nel ventesimo secolo”.

59 Journal of the Vaughan Williams society, no. 13 october 1998.

50
love the tunes of his country and they must become an integral part of
himself”. 60
Il compositore inglese è intriso della musica popolare che ha raccolto
durante la propria vita, oltre ottocento brani. Egli pensava infatti che che i
canti popolari potessero veramente ispirare composizioni di più grande
valore e grandezza. E’ curioso notare come sugli stessi concetti Arnold
Schönberg si esprimesse in modo totalmente opposto. 61
Egli dedicava fino a trenta giorni l’anno alla raccolta di melodie
popolari, spesso durante le ferie e con mezzi propri. Utilizzava la bicicletta
per spostarsi e sovente entrava nelle osterie alla ricerca di cantanti o
persone da cui potesse ricavare melodie nuove. Nel 1904 raccolse ben 234
melodie, più di un quarto della sua raccolta totale! Il presupposto da cui
parte Vaughan Williams per raccogliere i canti popolari non è certo quello
che muove i primi ricercatori romantici o Kodaly o Bartók. Egli intende
semplicemente preservare le melodie della propria terra prima che queste
vadano irrimediabilmente perdute; è interessato più alle canzoni che ai
cantanti, alle melodie più che al messaggio trasmesso attraverso il testo.
Spesso, nelle sue escursioni alla ricerca di canzoni nuove, egli annota solo
le melodie e non il testo, oppure se le canzoni sono strofiche solo il primo
verso, perciò abbiamo oggi solo 237 testi su 810 canzoni raccolte dal
compositore. Non usa registrare sui rulli come si comincia a fare alla fine
dell’Ottocento, preferisce usare il proprio taccuino e la matita e
sicuramente tutta la sua raccolta ha subito l’influenza del suo filtro. La sua
ricerca, non essendo aiutata da alcun mezzo tecnico, non è scientifica e non
vuole esserlo, perciò è soggetta a tutte quelle variabili che dipendono
direttamente dagli strumenti in possesso: orecchio, memoria e capacità di
riportare quanto sentito sui propri appunti, senza contare che il cantante
stesso potrebbe modificare la melodia o il testo tra una performance e

60“Integrazione ed amore. Queste sono le due parole chiave. Il compositore deve amare le canzoni della
propria terra e queste devono diventare parte integrante di lui stesso.”

61ARNOLD Schönberg, Stile e Idea, Rusconi e Paolazzi editori, Milano 1969, capitolo sulle
Sinfonie Folkloristike.

51
l’altra e l’unico modo per trovare le differenze è affidarsi al proprio
taccuino, non certo ad un rullo come era solito fare Bartók, che registrava
più volte lo stesso brano cantato dalla stessa persona per verificarne poi gli
scarti. Interessante è ciò che afferma Ella Mary Leather a tale proposito:
“... and while Dr. Vaughan Williams noted the tune, his wife and I took
down alternate lines of the words”. 62
Qual è l’uso che Vaughan Williams fa del materiale raccolto? A questa
domanda risponde egli stesso: “...and they must become an integral part of
himself.” 63 Egli ama in particolare alcune melodie, The Captain’s
Apprentice, Dives and Lazarus, This is the Truth and The Unquiet Grave,
Brushes and Briars. Alcune parti di questi canti o la melodia intera si
ritrovano in praticamente quasi tutte le opere del compositore. Egli ha
sviluppato il lavoro sulle melodie popolari in due modi 64 :
• il primo consiste nella riproposizione del materiale melodico
così come è stato raccolto, armonizzandolo e mantenendo inalterate le
caratteristiche dello stesso, prediligendo la semplicità e il carattere
non sofisticato della melodia. Nella maggior parte dei casi precede la
melodia con una introduzione breve, poi armonizza il canto e infine
chiude con una coda;
• il secondo usando indirettamente il materiale melodico nelle sue
composizioni più complesse, smembrandolo e riproponendolo
“dentro” le sue opere. Lo scopo qui non è certo quello di dare un
carattere popolare all’opera, ma sempre quello di tramandare la
musica popolare con l’intento di preservarla dall’oblio, senza contare

62“ e mentre il dr. Vaughan Williams annotava la melodia, sua moglie ed io alternativamente
annotavamo il testo”.
Ella Mary Leather, “Wise and Fair and Good as She”, Journal of the Vaughan Williams society, no.
13 october 1998.

63 “...e essi (i canti popolari) devono diventare parte integrante di lui stesso”.

64 ELSIE PAYNE: Vaughan Williams and folk-song, the relation between folk-song and other elements in
his comprehensive style, part 1, Journal of the Vaughan Williams society, no. 13 october 1998 pag.
3.

52
che come egli stesso dice, il “popolare” è fonte di ispirazione anche
per opere più complesse.

Il brano che analizzeremo fa parte di una raccolta intitolata Five


Folksongs, pubblicata nel 1913, per coro misto a cappella; il titolo è The
Springtime of the Year. Vaughan Williams armonizza la melodia nella
tonalità di mi minore e questa tonalità rimane il fulcro attorno al quale si
dipana tutta l’armonizzazione che non modifica minimamente l’andamento
della melodia stessa, anzi ne caratterizza i tratti salienti. La canzone è stata
raccolta da Vaughan Williams nel 1908 e trascritta dalla voce del cantante
Mr. Hilton of South Walsham, Norfolk. Il titolo originario è Lovely on the
Water e sarebbe composta da 14 strofe di 4 versi ciascuna, ma il
compositore ne musica solamente le prime due.
Vaughan Williams ha usato questa melodia anche nelle musiche di
scena del King Richard II, commissionategli nel 1913 per la stagione
shakespeariana F.R. Benson, nella città di Stratford upon Avon.

53
3.3 Arnold Schönberg (1874 - 1951)

Schönberg è stato un faro per la musica colta del Novecento, può e


forse deve essere considerato come il vero innovatore della prima metà del
secolo scorso, colui che ha creato un nuovo modo di pensare, scrivere ed
eseguire musica. Un rivoluzionario oltre che un grande didatta. Ma qual è
il rapporto che Schönberg ha con la musica popolare? Si interessa del
popolare?
Si vuole qui azzardare un’ipotesi sulla base di quanto egli scrive nel
suo libro Elementi di composizione musicale a proposito della melodia e
della voce umana: “E’ difficile che una melodia possa presentare elementi
non melodici: il concetto di melodicità è in stretta connessione con il
concetto di cantabilità. Il carattere e la tecnica esecutiva dello strumento
musicale più antico, la voce umana, determina i criteri della cantabilità. Il
concetto di melodicità applicato alla melodia strumentale si è sviluppato
come un libero adattamento dal modello della voce.” 65 Che cosa intende
dire? Dove vuole arrivare? Egli prosegue ancora: “La cantabilità implica,
nel senso più corrente, note relativamente lunghe, una scorrevole
concatenazione dei diversi registri, un movimento a onde procedente più
per gradi che per salti; implica di evitare intervalli aumentati e diminuiti,
di aderire alla tonalità di impianto e alle regioni armoniche più vicine ad
essa, di impiegare gli intervalli naturali della tonalità stessa, di modulare
gradatamente e infine di usare con cautela della dissonanza.” 66 Non
sarebbe forse una definizione perfetta per la musica popolare? La musica
popolare non è forse basata sulla voce, sul canto e soprattutto gli strumenti
non servono solo come accompagnamento? Certo, ci si rende conto qui che
forse si sta solo speculando su uno scritto del maestro, tra l’altro uscito
postumo nel 1967 e solo nel 1969 in Italia, ma i concetti che egli esprime a

65ARNOLD Schönberg, Elementi di composizione musicale, Edizioni Suvini Zerboni, Milano, 1969,
pag. 100.

66 Ivi, pag. 100.

54
riguardo della melodia sono perfettamente calzanti con il tema trattato in
questo lavoro. Certo Schönberg non ha come scopo principale quello di
lavorare sulla musica popolare, si tratta infatti di una parte molto esigua
della sua produzione e certamente l’approccio non è quello di un
musicologo o di un ricercatore. Si tratta dell’approccio di un compositore
che nel caso del brano che verrà analizzato in seguito, Schein uns du liebe
Sonne, utilizza la tecnica della “Permanente Variation” 67 ma che
soprattutto, per una melodia popolare del XV o XVI secolo, 68 utilizza uno
stile ed una tecnica che fanno pensare immediatamente a Palestrina.
Che cosa dice però lo stesso Schönberg riguardo alla musica
popolare? Egli si esprime molto chiaramente nel libro Stile e Idea 69 uscito
nel 1950 in cui tra le altre cose vi è un capitolo che riguarda le sinfonie
folkloristiche; in questo capitolo oltre a esprimere il proprio pensiero sulle
sinfonie, appunto, spiega anche cosa egli intende per musica popolare,
parlando di folklore. Il suo sembra essere il punto di vista di un musicista
colto ben consapevole delle proprie abilità e forse anche un po’ snob.
Parlando delle differenze che esistono tra le melodie provenienti da varie
nazioni asserisce: “Sono belli (i canti) e dobbiamo apprezzarli, ma
l’origine geografica di quelle differenze interessa più lo specialista che il
semplice musicofilo.” 70 Continua esplicitando il proprio personale
pensiero: “Bisogna tuttavia riconoscere che, nonostante il grande interesse
di simili differenze, esse non sono nulla in confronto alla differenza
esistente tra il folklore e la musica colta.” 71 Continua facendo l’esempio
del Quartetto Rasumovvski op. 52 n. 2 di Beethoven, spiegando che
nemmeno il grande compositore riuscì a fare molto cercando di elaborare la

67NEUE ZEITSCHRIFT FUER MUSIK, 1834 gegruendet vonRobert Schumann, 124. Jahr Heft3
1963, pag. 86.

68

69 ARNOLD Schönberg, Stile e Idea, Rusconi e Paolazzi editori, Milano, 1969.

70 ARNOLD Schönberg, Stile e Idea, Rusconi e Paolazzi editori Milano 1969, pag. 210.

71 Ivi, pag. 210.

55
melodia popolare datagli, che egli chiamò “tema russo”. 72 Prosegue ancora:
“La stessa musica tzigana, le cui scale caratteristiche hanno esercitato
una notevole influenza in molte nazioni balcaniche e che d’altra parte non
è estranea al nostro orecchio, non è riuscita a sfondare la parete che
divide la musica folkloristica dalla musica colta.” 73 Il suo intento è quello
di dimostrare che la musica popolare è fine a se stessa e finita con le
melodie stesse. Queste “si svolgono nello stretto ambito di una scala e si
basano su un impianto armonico semplice.” 74, perciò non possono essere
usate per produrre materiale nuovo e vanno contro all’essenza di un vero
compositore: “Un vero compositore, un vero creatore, compone soltanto se
ha da dire qualcosa che non sia già stato detto e che sente di dover dire
(...). Che cosa potrebbe spingerlo a scrivere qualcosa di già detto, come
appunto nel caso del trattamento statico dei canti popolari?” 75 Nel
materiale musicale popolare dunque c’è poco o nulla che dovrebbe
interessare un vero compositore, in quanto questi “non si limita a
comporre uno o più temi, ma un intero pezzo.” 76 Se si prendesse una
melodia popolare come tema per una composizione lunga, di vasto respiro,
questa non darebbe la possibilità “di un vasto sviluppo.” Se anche questa
melodia fosse usata per poi comporre delle variazioni, queste sarebbero
adeguate alla semplicità del tema dato, perciò poco interessanti ad uno
sviluppo ulteriore, cosa che andrebbe contro l’atto creativo di un vero
compositore ispirato: “una vera composizione non è composta ma
concepita, e i suoi dettagli non hanno bisogno di essere artificiosamente
adattati in seguito.” 77 Schönberg asserisce anche che la vera musica
popolare “non potrebbe esistere o sopravvivere se non fosse prodotta così

72 Ivi. pag. 210.

73 Ivi, pag. 211.

74 Ivi, pag. 212 - 213.

75 Ivi, pag. 214.

76 Ivi.

77 Ivi, pag. 215

56
spontaneamente, da un’improvvisa ispirazione (...).” 78 L’atto creativo di un
vero compositore è sì frutto di ispirazione, ma gli assunti di base sono una
solida preparazione tecnica e un’idea in fieri che portano il musicista alla
creazione di un’opera che contenga temi e melodie che possano essere poi
sviluppati potenzialmente all’infinito. La musica popolare, le sue melodie,
proprio per come sono concepite e per l’uso che se ne è fatto fino ad ora
portano a “dubitare che individui simili (bardi, trovatori, e altre persone
dotate di talento) siano dei veri compositori, dei veri creatori.” 79 La
stoccata finale arriva alla fine del capitolo, quando Schönberg parlando
delle Nazioni che hanno fatto della musica popolare il loro vessillo
asserisce: “Sembra che le nazioni che non si sono assicurate ancora un
posto al sole dovranno attendere finché l’Onnipotente non si garberà di far
nascere fra loro un genio musicale. Fino ad allora, la musica resterà
l’espressione di quelle nazioni per le quali la composizione non si riduce
al tentativo di conquistare un mercato, ma rappresenta una profonda
necessità dell’anima.” 80
Arnold Schönberg dunque sembra non amare la musica popolare e le
sue melodie, le ritiene finite, bastanti a se stesse, incapaci di ispirazione
per l’autentico compositore, non adatte a creare pezzi di lungo respiro e
perciò contro la vera musica, quella che esprime la vera anima del
musicista. Un pensiero che attribuisce al compositore un compito ed
un’importanza che vanno oltre il semplice scrivere.
Alla fine degli anni Venti, su commissione degli editori del Deutsche
Volkslieder Buch fuer die Jugend, egli ha però elaborato delle melodie
popolari; non sono molte e possiamo elencarle tutte.
Le opere sono:
Vier Deutsche Volkslieder, per una voce e accompagnamento al
pianoforte edite dalla Peters nel 1930, Drei Volkslieder arrangiati per coro

78 Ivi. pag. 216.

79 Ivi.

80 Ivi.

57
misto a cappella (Peters 1930), originariamente apparse nel Deutsche
Volkslieder Buch fuer die Jugend e poi editate da sole sempre dalla Peters
nel 1958, Drei Volkslieder Opus 49 per coro misto a cappella edite da
Edward B. Marks Music Corporation nel 1948 a New York.
Di quest’ultima raccolta ci interessa il brano Schein uns du liebe
Sonne, edito dalla Peters nel 1958 assieme ad altri due brani. La melodia
deriva da una raccolta di melodie antiche, l’Ambraser Liederbuch del
1582 81 e l’elaborazione della stessa è stata commissionata a Schönberg da
Carl Luetge, il redattore del Deutsche Volkslieder Buch fuer die Jugend. In
una lettera egli esorta il compositore a terminare il brano, ed interessante è
la risposta del compositore, il quale spiega che l’armonizzazione delle
melodie a lui date non segue i canoni stilistici moderni, ma egli si è
ispirato alla musica ecclesiastica antica. Il brano che analizzeremo in
seguito è infatti polifonico in stile palestriniano, anche se armonicamente
molto distante da quello stile. Infine egli scrive: “Ich halte diese Lieder
nicht fuer Volkslieder, sondern fuer Kunstlieder.” 82 Se mai ce ne fosse stato
bisogno egli rimarca ulteriormente la differenza tra la musica composta da
un compositore “qualunque” e quella scritta da egli stesso, piegato a
rielaborare una melodia popolare su commissione. Il risultato non può che
assumere una caratura diversa: da Volkslieder, canzone del popolo, a
Kunstlieder, canzone d’arte.

81

82NEUE ZEITSCHRIFT FUER MUSIK, 1834 gegruendet vonRobert Schumann, 124. Jahr Heft3
1963, pag. 88.
“Non ritengo queste canzoni come dei Volkslieder (musica popolare) ma come dei Kunstlieder (musica
artistica, d’arte).”

58
3.4 Francis Poulenc (1899 - 1963)

“Je pense que j’ai mis la meilleure et la plus sincère partie de moi-
meme dans la musique chorale. Si quelqu’un est encore intéressé par ma
musique dans cinquante ans, ce sera pour ma musique chorale plutot que
celle pour piano”. 83
Francis Poulenc

Poulenc trascorre la sua infanzia nella Parigi dei primi anni del
Novecento, la Parigi dei balletti russi, del jazz, delle avanguardie, città
cosmopolita e aperta alle innovazioni. “...je ne suis pas un musicien
Cubiste, encore moin Futuriste, et bien entendu pas Impressionniste. Je
suis un musicien sans étiquette.” 84 Egli si reputa “un musicista senza
etichetta”, proprio perché figlio di quell’ambiente così frizzante, ricco ed
effervescente che ha sempre contraddistinto la sua città di nascita. Ad una
rivista musicale che gli chiese quali fossero i suoi canoni estetici, i
principi del suo stile, i suoi processi di scrittura, rispose: “Il mio canone è
l’istinto; non ho principi e me ne vanto; grazie a Dio! Non ho alcun
sistema di scrittura (...), infine l’ispirazione è una cosa così misteriosa che
è meglio non tentare di spiegarla.” 85
Un musicista che sembra dunque non appartenere ad alcuna corrente
stilistica, ad alcuna scuola di pensiero. In effetti il periodo storico della
sua formazione, ma anche quello successivo, sono così dinamici e
sfaccettati che per assurdo si potrebbe asserire che la loro caratteristica è

83 “Penso di aver messo la migliore e più sincera parte di me stesso nella musica corale. Se qualcuno, tra
cinquant’anni è ancora interessato alla mia musica, sarà per la mia musica corale piuttosto che per quella
per piano”.

84“... non sono un musicista Cubista, ancora meno Futurista e sia chiaro nemmeno Impressionista. Sono
un musicista senza etichetta.”
FRANCIS POULENC, Correspondance 1915 - 1963, pag. 99.

85 PIERRE BERNAC, Francis Poulenc e ses melodies, pag. 36.

59
proprio questa: essere non caratterizzati, e Poulenc, perfetto figlio del suo
tempo, ne è testimone. Non è questo il momento di indagare gli aspetti
storico-politico-sociali della prima metà del Novecento, non basterebbero
molti lavori dedicati. Basti sapere che la molteplicità, in tutti i sensi, ha
influenzato il compositore francese tanto da fargli asserire di non avere
principi, di non appartenere ad alcuna scuola.

In questo lavoro a noi interessa il compositore che, tra le altre cose, è


stato fortemente influenzato dalla musica popolare. Non è certo il
“popolare” di Brahms, ovvero la musica tradizionale così come è intesa
dagli etnomusicologi: quella che deriva direttamente da una certa parte del
popolo, che è tramandata oralmente, che viene suonata nelle sagre e feste
di paese, nelle paraliturgie, che non ha origine definita poiché frutto della
storia e del percorso di questo o quel gruppo sociale, radicato in un
determinato territorio. La musica popolare che ha influenzato Poulenc è
quella della Parigi cittadina, borghese, quella dei locali, il bal musette, le
chanson parisienne, canzoni tratte dal music-hall, dai caffé concerto. Lui
stesso dice: “Depui quelques jours, je cherchais une définition type du mot
folklore lorsque, dinant ces jours-ici dans un restaurant du Quartier Latin,
j’ai au l’idée de la demander à un étudiant en médicine. Aprés quelques
ésitations, voici ce qu’il m’a rèpondu: “Le folklore... le folklore, c’est des
airs tres connus d’on ne sait pas qui”. 86
Il folklore (oggi la chiameremmo canzone da varietà) così come lo
intende il compositore è quello di musicisti come Camille Robert, Vincent
Scotto, Henri Christiné, dalle cui composizioni prenderà alcuni temi per le
proprie opere. Si tratta di canzoni della Parigi urbana, che riprendono
soggetti come la miseria, il lutto, la prostituzione, il male, la condizione

86“Da qualche giorno stavo cercando una definizione tipo per la parola folclore, e una giorno, mangiando
in un ristorante del Quartiere Latino, ho avuto l’idea di chiederlo ad uno studente di medicina. Dopo
qualche esitazione, ecco cosa mi ha risposto: - Il folclore... il folclore, sono delle arie molto conosciute di cui
non sappiamo nulla -”.
POULENC FRANCIS, À bâtons rompus (écrits radiophoniques, Journal de vacances, Feuilles
américaines), a cura di Lucie Kayas, Arles, Actes Sud, 1999, p. 49.

60
umana. Musica che renderà ricchi i suoi compositori e gli artisti che la
cantano, perché fruita dalla massa, trasmessa per radio o incisa su dischi.
Musica legata alla giovinezza del compositore francese, come ebbe a dire
egli stesso a Claude Rostand allorché parlava dei suoi sedici anni e del
fatto che con degli amici andava al café concerto o nei teatri cittadini ad
ascoltare Jeanne Bloch cantare Prostitution, Vierge Flétrie.
In effetti la musica di Poulenc sembra “semplice”, il suo linguaggio è
naturale come quello della musica popolare. Le linee melodiche sono
diatoniche o modali, raramente o quasi mai utilizza cromatismi e anche i
ritmi sono semplici. Le melodie sono brevi, così come le sue canzoni e
come lui stesso ha detto, “a dimostrazione che anche con dei temi brevi si
possono esporre anche concetti di senso compiuto”.
Questo tipo di musica quasi certamente non appartiene alla classe
sociale da cui Poulenc proviene; la sua famiglia ricchissima di certo non
avrebbe permesso che un giovane rampollo della borghesia parigina
ascoltasse musica così caratterizzata da temi sociali o frequentasse locali o
ambienti poco raccomandabili. Il padre gli impose infatti terminare gli
studi in conservatorio, ma invano, il giovane Francis non portò a termine
né il Conservatorio, né la Schola Cantorum. In lui vi è quasi un rifiuto per
la classe sociale da cui proviene.
Quando si parla del suo stile, della sua estetica, non si dovrebbe
prescindere dall’influenza che la musica popolare ha avuto sul giovane
Poulenc e, non meno importante, dal rifiuto che egli ha per la propria
estrazione sociale. La sua musica è tonale, così come lo è la musica
popolare di quel periodo. Questa particolarità è evidente nelle Huit
Chansons Francaises di cui a noi interessa in questo lavoro il secondo
brano: La belle se sied au pied de la tour (1945 - 46 e pubblicate nel 1948
da Salabert). La scrittura è vocale, naturalmente vocale, così come il suo
stile.
Il folklore di Poulenc è direttamente legato alla sua infanzia, alla sua
vita quotidiana, non è certo il frutto di una volontà di ricerca musicologica
o etnomusicologica, non deriva dallo studio e dalla ricerca sul campo come

61
invece quello di Bartók. Per Poulenc il popolare è vita vissuta, fa parte del
suo essere, è sincero, genuino, conseguenza diretta di un’esposizione e
contaminazione costanti, soprattutto durante la sua giovinezza. Sembra che
il giovane Poulenc abbia venduto la sua raccolta di sonate di Beethoven per
poter assistere ad uno spettacolo al Folies-Bergère!
Se il folklore caratterizza la formazione di Poulenc, non da meno è
l’impatto che ebbe su di lui il gruppo de Le six con Satie e Cocteau. In
effetti la frequentazione del gruppo e di Cocteau hanno un’influenza
determinante per il musicista Poulenc, anche se lo stesso cercherà sempre
di minimizzarla. La loro predilezione per la semplicità, per le melodie
riconoscibili, per l’utilizzo di strumenti a fiato, per la voce, per le armonie
tonali e leggermente dissonanti e l’ispirazione popolare permettono agli
appartenenti (Auric, Durey, Honegger, Tailleferre, Milhaud e Poulenc) di
identificarsi come un gruppo. Poulenc come già detto minimizzerà in
seguito l’appartenenza al gruppo dei Sei ma non cercherà mai di negarla,
per non mettere in discussione l’amicizia con i suoi cinque colleghi.

62
3.5 Luciano Berio (1925 - 2003)

“Non ho l’abitudine di occuparmi di musica come rassicurante


mercanzia emotiva per l’ascoltatore o come rassicurante bagaglio
procedurale per il compositore. Mi piace invece leggere o ascoltare la
musica che - semplice o complessa, vecchia o nuova che sia - si interroga,
ci interroga e ci invita ad analizzare e, talvolta, a rivedere il nostro
rapporto col passato, con un cammino ritrovato o volutamente smarrito.”

Luciano Berio

La musica popolare, o meglio “tradizionale” come direbbero gli


etnomusicologi, è stata un fil-rouge durante tutta la vita professionale di
Luciano Berio.
La sua ricerca musicale si caratterizza per l’equilibrio raggiunto tra
una forte consapevolezza della tradizione ed una propensione alla
sperimentazione di nuove forme della comunicazione musicale. Nelle sue
varie fasi creative il compositore ha sempre cercato di mettere in relazione
la musica con vari campi del sapere umanistico: la poesia, il teatro, la
linguistica, l’antropologia, l’architettura. L’interesse per le diverse
espressioni della musicalità umana ha condotto a una rivisitazione costante
di diversi repertori di tradizione orale (Folk songs, 1964; Questo vuol dire
che…, 1968; Cries of London, 1974-76; Voci, 1984) 87 .

In questa sede ci interessa in particolare una melodia molto cara a


Berio, quella di “E si fussi pisci”, canto tradizionale della Sicilia che il
compositore trovò nella raccolta di Alberto Favara intitolata Canti della

87 www.lucianoberio.org

63
terra e del mare di Sicilia, pubblicata nel 1907 88 , nella quale il musicologo
armonizza le melodie accompagnandole con il pianoforte. Tutte queste
melodie sono prese dal Favara dal “Corpus di musiche popolari siciliane”,
raccolta curata sempre da lui stesso che comprende circa 1090 pezzi così
suddivisi: 704 tra Canti Lirici, Storie, Ninna Nanne, Canti del Mare e Canti
Religiosi; i rimanenti 386 riguardano Musiche e Filastrocche, Canzoni a
Ballo, Musiche Strumentali. Non è un segreto per nessuno che Berio
amasse in generale la musica tradizionale e in particolar modo la musica
tradizionale sicula, soprattutto il brano che andremo ad analizzare.
Si cerca qui ora spiegare l’estetica del grande compositore partendo
da alcune testimonianze di suoi amici e colleghi.
“La scrittura di Luciano Berio è stata fortemente orientata verso il
confronto e il dialogo con tradizioni locali numerose e distanti, da cui ha
ripetutamente assunto tratti diversi, quali presupposti multivalenti per la
realizzazione di opere distribuite lungo tutto l’arco della sua vicenda
creativa: (...)”. 89 Così inizia la prima parte del saggio di Maurizio
Agamennone intitolata: Berio: Traduzione e Transiti.
Berio stesso quando parla della trascrizione di opere da parte di
grandi compositori come Bach, Schönberg, Stravinsky afferma: “la
trascrizione mi interessa quando travalica qualsiasi definizione, quando
non è un’operazione restauratrice e si pone in posizione dialettica col
passato, anche in quello personale o con tradizioni culturali differenti, non
per conservarlo, ma per estrarne delle speranze quando cerca di realizzare
un altro volto della verità...”. 90
Forse più chiaro ancora è ciò che Goffredo Bettini scrive a proposito
di Berio:”(...) C’era qui, credo, un pezzo della sua visione della musica.
L’odio per l’improvvisazione, per l’approssimazione tecnica, per il talento

88 ALBERTO FAVARA, Canti della terra e del mare di Sicilia, 1907.

89MAURIZIO AGAMENNONE, Di tanti ‘transiti'. Il dialogo interculturale nella musica di Luciano


Berio, Estratto dal Volume: LUCIANO BERIO, Nuove prospettive, New perspectives, a cura di
Angela Ida De Benedictis, Firenze, Leo s. Olschki Editore, 2012.

90 ANDREA ZACCARIA, Berio, il passato nel presente, Banca Popolare di Milano, 2004, pag. 14.

64
non disciplinato dal rigore del linguaggio, per il debordare dei sentimenti
che si montano su se stessi, perdendo struttura, e quindi creatività e
innovazione. Per tentare strade nuove, occorre padroneggiare il passato,
la storia dalla quale si proviene. Occorre capire, penetrare e amare i
grandi di un tempo, che furono straordinari innovatori nel loro tempo. E
nel conoscerli e amarli, occorre fare il proprio dovere, nel proprio tempo:
cioè, non imbalsamarli in modo consolatorio, ma attingere, da loro, la
forza per provare nuovi linguaggi”. 91
E’ da questo principio che probabilmente nasce l’interesse da parte di
Berio per la musica popolare in generale e soprattutto per quella siciliana.
La musica popolare come ricordo di un passato non improvvisato, frutto di
un continuo modellamento, di un work-in-progress da parte del tempo e
degli esecutori che la portano ad una perfezione formale incredibilmente
alta, se pensiamo che normalmente non è né eseguita né tantomeno
composta da professionisti. E’ il frutto del tempo, della storia, delle
tradizioni, della cultura di un popolo, di una regione, la descrizione di un
matrimonio, di una nascita, di una giornata di lavoro, del dolore della
morte, dell’amore per la natura; fa sentire l’uomo, la comunità, vivi e parte
integrante dell’ambiente, in una “forma” globalmente perfetta. Il dovere
del compositore, del musicista è quello di partire da questa perfezione
formale atavica per costruire un linguaggio nuovo, realmente innovativo,
ma che poggi su basi tecniche e formali solide e ben costruite. Il fatto di
partire dal già noto, di trascrivere e rielaborare la musica di altri e del
passato non sminuisce la propria originalità: “nessuna diminuzione dunque
ma un fiducioso immergersi nei flutti della tradizione, fino a sentirsi
partecipe di una dimensione temporale più estesa in cui l’impegno di varie
generazioni produceva col suo susseguirsi qualcosa di più grande della
somma della singole parti.” 92 Il concetto è che la nuova opera scaturisce
nel presente dal passato, Berio stesso infatti afferma: “Quel che avviene

91 GOFFREDO BETTINI, Un ricordo di Luciano Berio, in ANDREA ZACCARIA, op. cit., pag. 19.

92 ENZO RESTAGNO, Berio e la tradizione, in ANDREA ZACCARIA, op. cit., pag. 34.

65
quando si crea una nuova opera d’arte, avviene contemporaneamente a
tutte le opere d’arte precedenti”. Si viene a creare una sorta di
contemporaneità tra passato e presente attraverso la nuova opera che funge
da trait-d’union. Normalmente se si pensa ai grandi del passato e alle loro
opere, si viene presi dalla malinconia, poiché la perfezione cui sono
arrivati questi artisti è morta con loro e con il loro tempo, è un qualcosa di
inarrivabile proprio perché scomparsa. Per Berio invece questa perfezione
è la base di partenza per un ulteriore sviluppo nell’opera del presente. Non
è un pensiero nostalgico rivolto al passato, bensì l’idea di un’apertura alla
vita attraverso il passato e per mezzo di esso. Così è anche per la musica
tradizionale. Essa è infatti la rappresentazione finale di tutta una serie di
costrutti modificati nel tempo e tesi a portare avanti tradizioni, modi di
essere, di pensare, di vivere che si sono affermati e sviluppati nel corso dei
secoli passati. Lo scopo di questa musica è quello di perpetuare questi
costrutti, queste tradizioni e quello del compositore che si accinge a
studiarla e rielaborarla è quello di renderne pienamente fruibili i contenuti
attraverso il linguaggio del presente. Ciò comporta chiaramente un
approfondito studio che non si basi solamente sulle raccolte e sugli
spartiti. Berio conosceva infatti Peppino Celano e Giuseppe Ganduscio,
due importantissimi rappresentanti della tradizione musicale popolare
siciliana; con i due musicisti si intratteneva e li ascoltava mentre
cantavano i canti della loro regione, studiando attentamente le loro
interpretazioni.
Una preparazione solida dunque, uno studio rigoroso sia della musica
che della prassi esecutiva, che portano il compositore ad entrare vivamente
in quel tipo di musica e di cultura, così da potergli permettere di
perpetuarla attraverso il proprio linguaggio, quello moderno, così diverso e
anche così legato al passato, proprio perché scaturente da esso.
Il canto popolare siciliano è caratterizzato da strutture melodiche
larghe, con suoni ampi; non vi sono melismi inutili. Il suo ascolto è di
conseguenza rasserenante, rilassante. Non è limitato dalle leggi che
regolano la musica colta del nostro tempo, lascia molta libertà di

66
esecuzione al musicante, che si sente così libero di variare i valori delle
note in base al proprio stato d’animo e alla situazione in cui si trova. E’ un
canto monodico e perlopiù modale, fuori perciò dalla trama della tonalità.
Spesso la melodia è accompagnata linearmente da strumenti come ‘u
friscaletto (flauto a canna), ‘u chiccheddu (tamburello), u’ citarruni
(violoncello), che non consentono un’armonizzazione estemporanea della
melodia, ma spesso un raddoppio della stessa o magari raramente un
accompagnamento per terze o seste, affermando così ancora di più la
monodia. Melodie semplici, come semplice è la gente e la vita vissuta in
quei luoghi.
Il canto tradizionale E si fussi pisci viene proprio da quell’ambiente,
semplice, vero e frutto della vita vissuta, che si perpetua attraverso le
tradizioni e le loro musiche. E’ una melodia che accompagnerà il
compositore durante tutta la sua carriera; la prima elaborazione è “un
lavoro ancora di ‘scuola’, allorché il giovane compositore aveva appena
superato i venti anni. Il testo di riferimento è un canto ‘a la vitalora’, vale
a dire un’espressione cantata nel ‘modo di Vita’, località in provincia di
Trapani.” 93 Sicuramente Berio ha trovato il canto nella raccolta del Favara
pubblicata nel 1907 94. Ne ha realizzato 4 elaborazioni:
1. E si fussi pisci, in Due Canti Siciliani per coro maschile,
manoscritto inedito del 1948.
2. E si fussi pisci, per voce, flauto, viola, violoncello, percussioni
1-2, arpa (manoscritto inedito, esclusa dalla versione finale delle Folk
Songs del 1964).
3. E si fussi pisci, Duetto 24, in Duetti per due violini, vol. 1
Universal Edition, 1979, 1983
4. E si fussi pisci, in Sicilian Love songs for mixed chorus, Universal
Edition 2002. 95

93 MAURIZIO AGAMENNONE, op. cit., pag. 387.

94 v. appendice con le partiture.

95MAURIZIO AGAMENNONE, op. cit., pag. 389.

67
Queste sono le pubblicazioni, ma di recente, proprio cantando i suoi
Cries of London, abbiamo ritrovato la linea melodica nella terza parte,
dedicata a Andrew Rosner.
In questo lavoro ci occuperemo dell’ultima elaborazione della melodia
da parte di Berio, quella per coro a quattro voci miste del 2002, dedicata a
Umberto Eco in occasione del conferimento di un’onorificenza da parte
dell’Università di Siena al grande semiologo. Sembra quasi essere un
testamento spirituale e fatto curioso è che la sua attività di compositore
sembra iniziare con l’elaborazione di questo canto nel 1948 e si conclude
poco prima della sua morte, che avverrà nel 2003, con due opere di cui una
è appunto E si fussi pisci del 2002. “Nell’arco di cinquantacinque anni,
quindi, dal 1948 al 2002, la creatività di Berio si apre e si chiude con
l’evocazione di un’icona musicale siciliana che costituisce quasi il suo
doppio emotivo, sempre riemergente nelle occasioni in cui si celebrano e
confermano amicizie e relazioni di vecchissima data: sembra essere il
luogo degli affetti e dell’amore, dove convergono i sentimenti più profondi
e interni” 96 .


96 Ivi, pag. 390.

68
4
Analisi dei brani
3.1 In stiller Nacht (J. Brahms)

Melodia originaria:

Testo:
In stiller Nacht zur ersten Wacht Nella notte silenziosa, al primo
guardare
ein' Stimm' begunnt zu klagen. Una voce ha iniziato a lamentarsi
Der nächt'ge Wind hat süß und lind Il vento notturno dolce e mite
zu mir den Klang getragen. me ne ha portato il suono.
Von herbem Leid und Traurigkeit Per questo dolore e tristezza amara
ist mir das Herz zerflossen. il cuore mi si è liquefatto
Die Blümelein mit Tränen rein e i fiori, con le mie lacrime pure
hab' ich sie all' begossen ho tutti bagnato.

Der schöne Mond will untergohn, La bella luna perirà


für Leid nicht mehr mag scheinen. e per il dolore non desidererà più brillare
Die Sternelan ihr Glitzen stahn le stelle, sopiranno la loro luce
mit mir sie wollen weinen. perché vogliono piangere con me
Kein Vogelsang, noch Freudenklang Nessun cinguettio o suono di gioia
Man höret in den Lüften si sente nell’aria
Die wilden Tier' trau'r'n auch mit mir gli animali si affliggono con me
in Steinen und in Klüften. sulle rocce e nei burroni.

70
La melodia è molto semplice con andamento diatonico. Il ritmo è
altrettanto semplice con valori larghi e senza particolari movimenti
(semiminime e solo due minime).
Il brano è diviso in due stanze ciascuna divisa in due quartine. Ogni
quartina è suddivisa in quattro versi rimati come segue: A B C B;
interessante notare che tutti i versi con rima A e C sono ottonari, mentre i
versi con rima B sono settenari. Nei versi con rima A e C vi è una rima
interna, in pratica sono due quaternari.
E’ suddivisa in battute e segue l’andamento testuale. Il primo versetto
(ottonario) è suddiviso in due quaternari e la melodia segue il testo
pedissequamente. La partenza è in anacrusi e nella prima battuta si dipana

il primo quaternario fino alla parola Nacht, nella seconda il

secondo sulla parola Wacht .


Il secondo versetto è un settenario e occupa lo spazio di due battute

fino a battuta 4. sulla parola Klagen .


La melodia riprende poi da battuta 5 con lo stesso schema della prima
e seconda e termina a battuta 8 sulla parola zagen.
I primi quattro versi di ogni stanza sono suddivisi perciò in questo
modo: 1+1+2, 1+1+2, dove su 1+1 il primo ottonario è suddiviso in due
quaternari e sul 2 è suddiviso il settenario. Alla fine di ogni quaternario e
di ogni settenario vi è una corona. Questo per quanto riguarda la melodia
originale e i primi quattro versi di ogni strofa. I secondi quattro versi
delle due strofe sono metricamente identici ai primi due, ma la melodia è
diversa, dato che è stata composta dallo stesso Brahms.
Ritmicamente non vi sono particolarità, se non le partenze in anacrusi
per ogni versetto e l’utilizzo della corona alla fine dello stesso. Nella
melodia originaria vengono utilizzate sempre semiminime tranne che alla

71
fine dei due settenari, dove sul penultimo movimento prima della corona,
vi sono due minime.
Questa melodia è tratta da una raccolta di melodie popolari
dell’editore Arnold, che era solito raccogliere i canti popolari del periodo
(siamo nella prima metà dell’Ottocento). La melodia è qui riportata nella
tonalità di FAmaj.

Brahms armonizza la melodia un tono sotto l’originale, ovvero in


MIbmaj prendendosi la libertà di modificarla sia ritmicamente che
melodicamente.
Dal punto di vista melodico abbassa la prima nota di battuta 1 e 5,

modificando la melodia così: (originale),

(armonizzazione Brahmsiana).
Sono le uniche due modifiche dal punto di vista melodico.
Dal punto di vista ritmico B. stravolge l’impianto generale della
melodia: l’originale è in quattro quarti (4/4), mentre la realizzazione del
compositore tedesco è in tre mezzi (3/2).
Raddoppia anche i valori delle note e introduce una figurazione

nuova: la semiminima puntata seguita dall’ottavo che diventa la


caratteristica tematica dei primi due quaternari in tutto il suo brano. Da
notare che mentre nell’originale i due quaternari si concludono con una
corona ciascuno, in Brahms è difficile pensare di suddividere il primo
verso in due quaternari, dato che è trattato come un ottonario, sia dal punto
di vista ritmico che melodico. Le corone vengono eliminate e
l’armonizzazione porta l’esecutore ad interpretare i due quaternari come un
ottonario.

72
Si diceva poc’anzi che l’autore raddoppia i valori delle note, infatti le

semiminime diventano minime: (originale),

(Brahms).
La melodia comincia sempre in anacrusi e questa particolarità è
uguale sia per l’originale che per l’armonizzazione. Perciò la suddivisione
della melodia armonizzata è 2+2+2+2.

Questo per quanto riguarda i primi quattro versi delle due stanze,
ovvero fino a battuta 8.
Da battuta 9 e fino alla fine (battuta 16) la melodia è totalmente
nuova e composta da Brahms; mantiene inalterate le caratteristiche della
prima parte della sua armonizzazione, utilizza le stesse figurazioni
ritmiche tranne che a battuta 11, dove abbiamo un climax. E’ l’unico punto
in cui la melodia supera il DO (terzo spazio per i soprani) e in cui l’autore
scrive un forte preceduto da un crescendo e seguito da un diminuendo.

.
In questo punto tutte le voci sono nel registro acuto.
Come già detto precedentemente la melodia del brano è in realtà la
somma di due: ogni prima quartina di ogni stanza ha la melodia popolare
che Brahms ha tratto da una raccolta di Arnold, mentre le seconde quartine
hanno la melodia che Brahms ha scritto appositamente. Le due melodie
sono separate da due cadenze perfette e la seconda sembra nascere
direttamente dalla prima.
Le voci del soprano e del basso muovono normalmente per intervalli
diatonici (tranne che a battuta 12 per il basso e battute 5-6 per il soprano)
e i colori dati dalle alterazioni provengono dalle parti interne. Così
facendo Brahms “nasconde” le alterazioni e rende l’impasto sonoro
Generated by CamScanner from intsig.com
naturalmente colorato e denso.
Ritmicamente è interessante notare come Brahms riesca a dare un
diverso smalto al pezzo semplicemente usando o meno il punto di valore

73
dopo la semiminima. Nel primo emistichio del primo versetto l’accento
metrico cade naturalmente sulla parola stiller che è sul primo movimento
della battuta, perciò sull’accento forte. La figurazione ritmica usata per la
parola stiller è semiminima puntata e croma

.
Nel secondo emistichio a battuta 3 Brahms usa due semiminime e due
minime, perciò la differenza ritmica è minima, ma aggiunge i punti sopra
le note, che di fatto appianano qualsiasi velleità agogica. Le note sulle
parole Stimm begunnt zu klagen acquistano tutte pari dignità ed
importanza, cambiando di fatto l’andamento musicale.

Ogni prima quartina delle stanze è caratterizzata da questi piccoli


accorgimenti.
L’effetto è amplificato poi dal crescendo e diminuendo che l’autore
mette sulle prime due battute.
Armonicamente l’effetto è accentuato dal DOb dato ai tenori alle
battute 1 e 2.
Il terzo e quarto versetto si comportano allo stesso modo, con la
differenza che alla 1 e 2 battuta non è più il tenore a variare
cromaticamente l’altezza della nota, ma il contralto e la melodia è più
Generated by CamScanner from intsig.com

bassa di mezzo tono. Questo schema vale per tutto il brano.


Come detto poc’anzi, il climax si raggiunge a battuta 11 ed è
caratterizzato dall’altezza delle note; qui infatti le voci, soprattutto tenore
e soprano, raggiungono il punto più alto, con una dinamica sul forte.
Altra peculiarità è lo sdoppiamento del contralto da battuta 13 a
Generated by CamScanner

battuta 14: . Sicuramente vi è una


ricerca di seguire il testo bye CamScanner
Generated il suo contenuto; si parla infatti dei fiori
from intsig.com

74
bagnati dalle lacrime (prima strofa), e degli animali selvatici che soffrono
con il protagonista (seconda strofa). Questa drammaticità è resa dalla
dissonanza del contralto, accentuata dal fatto che è la stessa voce a
cantarla e non scaturisce dall’incontro di due voci diverse; il colore della
drammaticità è reso meglio e sicuramente più densamente.

In stiller Nacht scorre lentamente, quasi suadente; è un brano intimo,


quasi mistico, racconta della passione di Cristo nell’orto degli ulivi, di
questa voce che arriva alle orecchie trasportata da un vento mite, soave. Lo
struggimento che arriva da quel luogo di pene, spacca il cuore, le lacrime
bagnano l’erba, la luna è scomparsa e la notte è così divenuta molto scura.
Gli animali se ne sono andati ed è rimasto solo quel lamento, lontano, solo.
Il paesaggio che viene descritto ha le caratteristiche tipiche del paesaggio
romantico e Brahms da autore perfettamente romantico lo ha saputo
sottolineare in modo molto efficace.

75
4.2 The spring time of the year (Ralph Vaughan
Williams)
Lovely on the Water
Melodia originaria:

3
4
As I walked out one

mor ning in the spring time of the year

I o ver heard a sail or boy, like wise a la dy fair


As I walked out one morning
Testo In the springtime of the year,
I overheard
As I walked a sailor boy, Mentre camminavo una mattina
out one morning
Likewise his lady fair.
In the springtime of the year, Nella primavera dell’anno
I overheadThey sang
a saylor a song together,
boy, Ho sentito un giovane marinaio
Made the valleys for to ring,
Likewise his lady fair. Allo stesso modo la sua giovane donna
While the birds on the spray and the meadows gay,
That proclaimed the lovely spring.
They sang a song together, Cantavano una canzone assieme
Said Henry to Nancy,
Made the valleys
"We mustfor tosoon
ring,sail away,
Composta per far risuonare le valli
While the For
birdsit’s
on lovely
the sprayon the water
Mentre gli uccelli sugli spruzzi
To hear the music play."
and the meadows gay, e i gai campi di frumento
"For our
That proclaimed the Queen she do want
lovely spring. Tuttoseamen,
ciò annuncia la primavera.
So I will not stay on shore.
I will brave the wars for my country
La melodia
Where the hacannons
un andamento diatonico, su testo in inglese. Il ritmo è
loudly roar."
abbastanza semplice con valori stretti (utilizzo di semiminime, crome e
"Oh", then said pretty Nancy,
crome puntate seguite
"Pray stay da with
at home semicrome).
me, La durata complessiva è di otto
Or let me
battute; queste go along
sono with you
suddivise in 2+2+2+2, e ogni gruppo di due battute
To bear you company."

76
Lovely on the Water
Lovely on the Water
presenta un verso della strofa e i versi sono ottonari. Complessivamente
3
sono due 4strofe di quattro versi ciascuna. La prima e seconda strofa sono
3
realizzate allo
As stesso modo.
I 4
Ilwalked
tempooutè tre quarti
one Lovely on the Wate
(3/4). L’andamento
As
melodico è abbastanza articolato, sono I
presenti infatti walked
salti out terza eone
di
3
mor ning in the spring time of the year
4
quarta e due salti di sesta, uno ascendente (battuta 3) e
mor ning in the As time
spring of the I walked
year out

uno discendente
I
(battuta 6)
o ver heard a sail or boy, like
. wise a la dy fair
Ritmicamente laout
As I walked melodia presenta
one morning I ovalori stretti
ver heard a esailmor
inordue casi
ning
boy, (battuta
like in thea la spring
wise dy time
fair of
In the springtime of the year,
As I walked out one morning
I overheard a sailor boy,
In the springtime of the year,
Likewise his lady fair.
I overheard a sailor boy,
8) l’utilizzo della croma puntata seguita da una
Likewise semicroma
his lady fair. I .
They sang a song together, o ver heard a sail or boy, like
Il resto della melodia è ritmicamente
Made the valleys for to ring, semplice e fondato sui valori di
As I walked out one morning
They sang a song together,
While the birds on the spray and the meadows gay,
semiminimaThat e croma. Solo fine Made
alla spring. dellathemelodia ring,In the8springtime
valleys forato battuta è presente
of the year,
proclaimed the lovely I overheard a sailor boy,
While the birds on the spray and the meadows gay,
una minima puntata. Sono presenti Thatdelle legature,
proclaimed Likewise
the lovely partenza,
spring. his lady fair.
ultimo
Said Henry to Nancy,
movimento di "Webattuta
must soon1,sail away, 4, 5, 6 e 7, laddove sulla They
battuta stessa sang a song together,
vocale c’è
Said Henry to Nancy,
For it’s lovely on the water Made the valleys for to ring,
"We must soon sail away,
un cambio di To nota.
hear theCiò
musicfaplay."
pensare che Forchi ha trascritto
it’s lovely on the waterlaWhile
parte thehabirdsvoluto
on the spray and the mead
To That proclaimed the lovely spring.
precisare che"Forlaourvocale
Queen sheva cantata
do want seamen,su hear
duethenote
music play."
(quasi come fosse una
So I will not stay on shore.
ligatura rinascimentale). "For our Queen she do wantSaid Henry to Nancy,
seamen,
I will brave the wars for my country "We must soon sail away,
So I will not stay on shore.
Where the cannons loudly roar." For
Il brano inizia in anacrusi e termina, fattothecurioso,
I will brave wars for my con unalovely
it’s
country battutaon thediwater
Where the cannons loudly roar." To hear the music play."
una minima"Oh",col then said pretty
punto (3/4).Nancy,
Non vi è perciò compensazione ritmica sul
"Pray stay at home with me, "For our Queen she do want seamen,
"Oh", then said pretty Nancy,
totale dei movimenti, comewith
Or let me go along diyou
consuetudine
"Pray stay at home with me,So I will nottonale
si farebbe. L’impianto stay on èshore.
To bear you company." I will brave the wars for my country
quello di LAmin. Or let me go along with you
To bear you company." Where the cannons loudly roar."
Questa canzone popolare è stata raccolta da Vaughan Williams nel
"Oh", then said pretty Nancy,
1908 direttamente dalla voce di Mr Hilton, nel South Walsham, Norfolk.
"Pray stay at home with me,
Or let me go along with you
Originariamente il titolo era Lovely on the water e il branoTo
consisteva di 14
bear you company."
strofe in quartine. E’ stata editata, così come raccolta, dal The Journal of
the Folk Song Society, vol. IV, del 1910. La versione per coro misto
armonizzata da Vaughan Williams è stata invece editata nella raccolta Five
English Folk Songs , ad opera di Stainer&Bell Londra nel 1913.
La prima cosa che balza all’occhio nell’armonizzazione di Vaughan
Williams è l’impianto tonale; la realizzazione per coro misto è infatti in
MImin e non in LAmin come l’originale. Egli utilizza la melodia così come

77
3
4
As I walked out one

è nella
mor forma
ning originale,
in the tranne
spring timeche
of per the
un punto
year in cui ne modifica la

Water ritmica: (originale), (armonizzazione).


I o ver heard a sail or boy, like wise a la dy fair
L’ultimoAsmovimento della
I walked out one battuta è ritmicamente diverso, e rimane uguale
morning
In the springtime
in entrambe le strofe of(vedi
the year,
battuta 18 e 27). Interessante notare che anche
I overheard a sailor boy,
in un Likewise his lady vi
altro punto fair. è una piccola modifica: a battuta 26 manca

out onel’appoggiatura
They sang che
a songinvece
together,si trova a battuta 17 e anche nell’originale:
Made the valleys for to ring,
While the birds on the spray and the meadows gay,
That proclaimed the lovely spring.
(originale), (battuta 17), (battuta 26).
f the year Said Henry to Nancy,
Ora viene
"Wedamustchiedersi come mai essendo la melodia strofica e usata in
soon sail away,
For it’s lovely on the water
modo uguale
To hearper le due
the music strofe, a battuta 26 non venga usata l’appoggiatura
play."
come nella precedente. Siamo nello stesso punto delle strofe. Sicuramente
"For our Queen she do want seamen,
e So I will notdi
wise a la un’appoggiatura
dy fair stayquel
on shore.
tipo sulla parola year suona molto meglio che
I will brave the wars for my country
sulla parola
Where thering, il suono
cannons è sicuramente diverso. Sarebbe interessante
loudly roar."
capire se si then
"Oh", tratti di unNancy,
said pretty errore di stampa o proprio della volontà del
"Pray stay at home with me,
compositore di evitare suoni sgraziati. Egli utilizza dunque la melodia
Or let me go along with you
To bear
esattamente you come
così company."
l’ha raccolta nel 1908, fatti salvi i due punti sopra
descritti e la tonalità.
meadows gay, Come armonizza la melodia?
Questo brano rappresenta il modus operandi tipico di Vaughan
Generated by CamScanner from intsig.com
Williams per quanto riguarda l’armonizzazione di melodie popolari. Egli è
infatti solito presentare la melodia con una breve introduzione, elaborare
poi la stessa e infine chiudere con una coda finale. The Spring Time of the
Year non fa eccezione e segue questa struttura.
La presentazione della melodia spetta al tenore, che la cantaGenerated
sulla by CamSc
vocale Ah come fosse un vocalizzo. Le altre voci (soprano, contralto e
basso) sostengono la melodia con un accordo di MI (senza la terza) a bocca
chiusa. Facendo cantare infatti solo le voci senza il tenore non si ha la
percezione della tonalità (tipico dell’utilizzo delle quinte vuote). Il brano
inizia con questa armonizzazione e a battuta 2 sull’ultimo movimento
inizia la melodia del tenore. Subito a battuta 3 si capisce immediatamente

78
quale sia l’impianto tonale; la melodia del tenore chiarisce

immediatamente il dubbio. .
Tutta la melodia sembra svilupparsi attorno alla nota di SOL, quasi
fosse una nota di Corda e nella prima parte questo fa sì che la tonalità sia
chiara. In queste prime tredici battute, l’armonizzazione della melodia è
molto semplice e fondata sulle quinte vuote, ma il compositore utilizza dei
cromatismi di passaggio che colorano armonicamente il pezzo:

(battuta 3-4), (battuta 5-6),

Generated by CamScanner from intsig.com

(battuta 8).
La presentazione della melodia termina a battuta 13 sul primo
movimento dopo tre battute dell’accordo di MI:

79

Generated by CamScanner from intsig.com


. Da notare come alla fine delle note
tenute non vi sia una corona sulla nota, bensì sulla pausa di un movimento
(1/4), proprio a voler separare l’introduzione e presentazione del tema da
quello che succede in seguito, ovvero la melodia cantata con il testo e
l’armonizzazione della stessa in modo molto diverso.
Il tema della prima strofa parte in anacrusi a battuta 14 e la melodia è
Generated by CamScanner from intsig.com
data al soprano. Le altre voci accompagnano a distanza di terza (contralto)
e sesta (tenore) elaborando ritmicamente il canto e il basso procede
cantando lo stesso testo ma a valori più larghi:

Tutte e due le strofe sono elaborate con lo stesso sistema con qualche
variante: l’introduzione di terzine di ottavi come a battuta 17 al contralto

o al basso a battuta 20, e l’introduzione della

80
semiminima puntata nelle voci interne come a battuta 23

, che rende più interessante e varia l’armonizzazione.


La melodia in entrambe le strofe è data al soprano, che la propone tale
e quale all’originale, fatte salve le due varianti di cui si è detto sopra. La
parte centrale di tutto il brano consta dunque dell’armonizzazione della
melodia di entrambe le strofe per unbytotale
Generated di 17 battute;
CamScanner infatti a battuta 8
from intsig.com

e 9, al termine della prima strofa vi è una sorta di codetta dei bassi che
allunga di una battuta la melodia e separa le due strofe:

.
Il discorso musicale, con questo stratagemma, si dipana senza
soluzione di continuità tra le due strofe, rimane fluido e scorrevole, con
una densità data dal variare dell’armonia fino a battuta 31-32. Sin qui
l’esposizione della melodia e delle due strofe sarebbe completa, se non che
l’autore stacca con una pausa di un quarto a battuta 32 e sull’ultimo
movimento della stessa attacca di nuovo con il tema al tenore. Questa volta
però la melodia è leggermente variata e ritroviamo la terzina di crome:

81
rated by CamScanner from intsig.com
Il tenore non declama alcun testo se non la Ah con
cui ha iniziato il brano. Vaughan Williams ha dunque ripreso
l’introduzione, ma questa volta a variare è l’armonizzazione: lascia al
basso primo e secondo l’onere di mantenere l’armonia per quinte e al
soprano e contralto fa fare una variazione sul tema a distanza di sesta (tra
di loro), prima ascendente e discendente (battuta 34-35) e poi viceversa
(battuta 37-38), sempre in risposta alla proposizione del tema principale:

basso,
soprano e contralto cantano a bocca mezza chiusa.
Generated A battuta
by CamScanner from39intsig.com
la melodia
passa ancora al soprano fino a battuta 40, da dove fino alla fine lo stesso
inciso passerà prima al tenore (battuta 40-41), poi al contralto (41-42), in
seguito al basso ma a valori più larghi (battuta 43-45) e infine per chiudere
di nuovo al tenore (battuta 45), che rimane da solo.
Il finale nelle ultime due battute è praticamente identico all’inizio; il
pezzo si conclude con l’accordo di MI ma su quinte vuote, manca la terza,
ma ormai
mScanner from intsig.com non se ne sente più la necessità, è chiaro che la tonalità è MI
min. Il brano è così simmetricamente perfetto, vi è un’introduzione, in cui
si presenta la melodia, uno sviluppo in cui la melodia, pur rimanendo
uguale, è armonizzata e caratterizzata armonicamente con densità di suono
e colori, e un finale in cui la melodia è riproposta dal tenore, continuata

82 by CamScanner from intsig.com


Generated
dal soprano e chiusa dal tenore, con la parte finale della stessa ripetuta da
tutte le voci:

L’inverno lascia il posto alla primavera, cantata da due giovani, un


marinaio e la sua Lady. Arriva e con lei esplode anche la vita e forse cosa
meglio di una serie di quinte vuote lascia aperte le porte e rende
interessante ciò che deve accadere?
Generated by CamScanner from intsig.com

83
bdngt uns.Bliim,lein
uns 0c

ueif,rro{l,oem i{s oitll-. 6ott ueifioofl,tremi{s uill.


4.32.Schein uns du liebe Sonne (A. Schönberg) oitl Oen
oitls eim Gefellen, 0erfelbig oirbt um midl, et ttdgt ein
freien fei,
"f,dt
0en Qemot on, l:0arein fo preift er [d1::l
t- J€Ood? io pinbi{r l
3. Gr meint,es iung ein ltcdltigoll,0c oars ein ]ungfroufein, unO hann ff : J;1::111 lt:1 j.{,.*
oerBo[e.sctlneeOertuti[r
fie ilm
Melodia nit
originaria:
oet0er, l, trcuret 6os Qeqe fein.:l
5:
. .D.i.-ft nennt fidl lt
Oastlteibleln nritgrou O
Sd1ein uns, bu Iiebe Sonne Jungfrcun fduberlidl,Oie
fius 0em 16. lo[r[un0ert

1. S{ein uns, 6u

[et, ten Sdleinl S{ein uns 3uetlteb 3u ' icrn

men,0ie gernbein'6n , Oer iein, ,Oer fein.-


Oie gern bein' on

2. Dorl fern cuf ienem Berge,6a tiegt ein hclter Sdlnee,Oet S{nee hcnrr
ni{t3eri{met3en, lerf{mel3en, l: 6otts lDille mufi etge[n-:l
5. 6otts Oilte iit ergolrgen, 3erf{mol3en iit Oer S{nee; {Dott giegn cudl,
oatt uno lllulter' Doter' fiutter' I' tq fel
Testo: *{
Tffi:ffililorer rie0er6u4, r5s2 Jreu0 ftngt uns Oie
Schein uns du liebe Sonne, gib uns ein hellen Schein!
Der lltoi $iII lidl mit 6unften 3. }:P-:*r.r fingt
"Oad) auf, es iit oo
Schein uns zwei Lieb zusammen, zusammen, nen:
Aus $orfters,Ceutf{en fie0lein'i I, 1539
fehr lungen teib.
Die gern beinander sein, die gern beinander sein. ..9' 'Sott [in,feins tie
*.in Q:e
111. t:: lil
ocn: ooe 3ur guten Bod1 .o

Dort fern auf jenem Berge, da liegt ein kalter Schnee,


Der Schnee kann nicht zerschmelzen, zerschmelzen,
t^
..".-*
Gotts Wille muss ergehn,

Gotts Wille ist ergangen, zerschmolzen ist der Schnee;


Gott gesgn euch Vatr und Mutter,Vater, Mutter,
Ich seh euch nimmer mehr.

84
Traduzione:
Risplendi a noi tu amato sole, dacci una luce chiara
Risplendi a noi, due Amori, assieme,
Che stanno bene l’uno con l’altra.

Là, lontano sui monti, là riposa la neve fredda,


La neve non si può sciogliere
Il volere di Dio lo deve volere

Il volere di Dio l’ha voluto, la neve è sciolta;


Dio vi benedica, Padre e Madre,
non vi vedrò più.

La melodia è tratta dall’Ambraser Liederbuch del 1582, una raccolta


di 260 canti Popolari tedeschi. L’autore è Antonio Scandello (1517 - 1580)
che dal 1549 al 1568 fu prima vice maestro e poi maestro alla cappella di
corte di Dresda. Molto probabilmente si tratta di una villanella il cui testo
è stato cambiato e che per un fenomeno di discesa è diventata in seguito
popolare, ma potrebbe anche darsi che il compositore italiano avesse
scritto la melodia sul testo in tedesco in seguito, durante la sua permanenza
a Brescia dopo il mandato a Dresda, dato che è stata scritta nel 1570.
Si tratta di una melodia semplice, con un andamento prettamente
diatonico a cui è stato accostato un testo in lingua tedesca. Il ritmo è
lineare, semplice, con valori abbastanza larghi (minime e semiminime e
semiminime puntate).
Dato che l’originale non ha suddivisione in battute, per la prima parte
di questa analisi, che riguarda l’aspetto prettamente melodico, per
semplicità ci si riferirà alla suddivisione effettuata da Schönberg.
La melodia è suddivisa a gruppi di quattro battute secondo
l’andamento testuale; si tratta infatti di versi settenari con alcune
ripetizioni usate per rafforzare il significato del testo stesso. La
suddivisione in battute non è però lineare, la melodia inizia infatti in

85
- 242-
- 242- -245- Der lttqie
Der lttqie
Don Qcns So{s cuftenollrt,lS5z
- 242- Don Qcns So{s cuftenollrt,lS5z -245-
Der lttqie
anacrusi e il primo versetto è Don
trattatoSo{s
sucuftenollrt,lS5z
tre battute, fino a Sonnebdngt
(battuta
uns.Bliim,lein
Qcns
bdngt uns.Bliim,lein
3). Prosegue poi su quattro battute fino alla fine del secondo settenario,
uns 0ct Som,mer mo, nig ,
hellen Schein, (battuta 7), bdngt uns.Bliim,lein
continua con il terzo settenario zusammen
uns 0ct Som,mer mo, nig , i
(battuta 11) e finisce con l’ultimo settenario gern beinander sein (battuta fie flngtre{t oie ein Sci , t
ueif,rro{l,oem i{s oitll-. 6ott ueifioofl,tremi{s uill.
15).ueif,rro{l,oem
La suddivisione i{s oitll-. delle6ottbattute della prima
ueifioofl,tremi{s uill. strofa è dunque: - 242- 3+4+4+4. fie flngtre{t oie ein Sci , te
2.
"f,dt
oitls eim freien Gefellen, 0erfelbig
Der oitl umOen
oirbt
lttqie midl, etIidlttdgt
, 1gnein Som,fei,riler brin , t- g
2. due
Le oitlsstrofe
eim freien Gefellen, 0erfelbig oirbt
seguenti sono um midl,on,
0entrattate ttdgt
et l:0arein
allo ein fei,
stesso modo.
preift er [d1::l Nella musica
"f,dt
on, l:0arein i{s
Qemot fo t-
fo preiftoitll-.
pinbi{r
0en Qemot ueif,rro{l,oem 3. Gr meint,esuill.
er [d1::l6ott ueifioofl,tremi{s
iung ein ltcdltigoll,0c oarsoitl
J€Ood? io Don lei0er
ein ]ungfroufein,Qcns So{s hann 3errifien, no{
0ie roei0er
unO cuftenollrt,lS5z
3. Gr meint,es iung ein ltcdltigoll,0c oars ein ]ungfroufein,
popolare èeiminfatti frequente ilmtrattazione unO hann Oen Iidl
j.{,.*",r. ,nerrt-it1
1gn Som, rcrl riler brin : gJ
ff,oof
s' iieoerB
0erfelbig chefiela nit oet0er, del
trcuret materiale testuale
lt:1 e della .r 6 1
a r
2. oitls Gefellen, oirbt um midl, et ttdgtl,ein 6os Qeqeff : J;1::111
fein.:l
oerBo[e.sctlneeOertuti[rue[, no{
e

fie ilm "f,dt freien


nit oet0er, l, trcuret 6os Qeqe fein.:l fei, t-
5: J€Ood? io pinbi{r lei0er freut fte ftdl 6esSornm
0ie roei0er 3errifien, no{ . 5:
0en Qemot on, l:0arein fo preift er [d1::l
melodia non . lttmgreto,€gn:tl,.S9?hlo,Cfilo
.D.i.-ft nennt fidl bdngt uns.Bliim,lein Oastf
3. Gr meint,es iungsia
ein simmetrica
ltcdltigoll,0c oars e Schönberg
ein ]ungfroufein, mantiene
unO la stessa
hann uns,
Sd1ein bu
ff Iiebesuddivisione.
Oastlteibleln
: J;1::111 j.{,.*",r.
nritgrou
Sonne
lt:1 Oertiout: rcrl ieinO
nerrt-it1Das .r 6 10blu;gfrlu
e ar ooff
s' iieJung
Sd1ein uns,
fie ilm nit oet0er, l, trcuret 6os Qeqe fein.:lbu Iiebe Sonne oerBo[e.sctlneeOertuti[rue[,
Jungfrcun fius 0em hiin3en
fduberlidl,Oie no{ freut ftdl
16. lo[r[un0ert fte ftdl 6esSornme
0eslltcien ctiium
Dal punto di vista ritmico Scandello fius 0em 16. lo[r[un0ert . 5: .D.i.-ft nennt
utilizza soprattutto minime
Oastlteibleln nritgrou Oertiout: Das
e
fidl lttmgreto,€gn:tl,.S9?hlo,Cfilon
ieinO 0blu;gfrlu
semiminime; solouns,
Sd1ein in butreIiebe Sonne vi è l’uso della semiminima
passaggi 1. S{ein uns, 6u
Jungfrcun fduberlidl,Oie puntata Derftdllltorgenftenr
hiin3en 0eslltcien ctiium
S{ein uns, 6u fius 0em 16. lo[r[un0ert
1. Itc{ Oem ttie0e
ueif,rro{l,oem i{s oitll-. 6ott ueifioofl,tremi{s uill.
Der lltorgenftenr
ten Sdleinl S{ein uns 3uetlteb 3u0erfelbig
1. S{ein uns,
seguita dall’ottavo,
6u sulle parole uns [et, 2. oitls eim freien Gefellen, ' icrn oirbt um midl,
, zusammen, e et ttdgt Itc{
ein fei,
Oem ttie0er
[et, ten Sdleinl S{ein uns 3uetlteb 3u ' icrn "f,dt
0en Qemot on, l:0arein fo preift er [d1::l
3. Gr meint,es iung ein ltcdltigoll,0c oars ein ]ungfroufein, unO hann
ilm
men,0ie
fie nit oet0er, l, ,trcuret
gernbein'6n Oer 6os Qeqe gern bein' on ,Oer fein.-
iein,
Oiefein.:l
ten Sdleinl S{ein uns
. Le' gern
[et,
men,0ie gernbein'6n , Oer3uetlteb 3uOie icrn bein'
iein, on ,Oer fein.-
beinander, prime2. Dorl fern cuf ienem Berge,6a tiegt ein hclterascendente,
due volte la melodia è Sdlnee,Oet S{nee hcnrr
2. Dorl fern cuf ienem Berge,6a tiegt ein hclter ni{tSdlnee,Oet S{nee hcnrr Sd1ein uns,
l: 6otts lDillebumufi
Iiebe Sonne
etge[n-:l
mentre la terza volta è discendente. 3eri{met3en,
Scandello lerf{mel3en,
utilizza poi una sola volta lagiegn
ni{t 3eri{met3en,
men,0ie gernbein'6n Oer ,
lerf{mel3en, l: 6otts lDille
iein, mufi etge[n-:l
5. 6otts
Oie gern bein' on ,Oer
Oilte iit ergolrgen,
fein.-cudl, 3erf{mol3en iit Oer S{nee; {Dott
fius 0em cudl,
16. lo[r[un0ert
5. 6otts Oilte iit ergolrgen, 3erf{mol3en iit Oer S{nee; {Dott giegn
oatt uno lllulter' Doter' fiutter' I' tq fel *{
oatt
2. Dorl fern cufDoter'
uno lllulter' Berge,6a
ienem fiutter' I' tq
tiegt *{
fel ein hclter Sdlnee,Oet S{nee hcnrr Tffi:ffililorer rie0er6u4, r5s2
ni{t 3eri{met3en, lerf{mel3en, l: 6otts lDille mufi Tffi:ffililorer rie0er6u4, r5s2
etge[n-:l 1. S{ein uns, Jreu0 ftngt uns Oie .v , oc rtOO?
figurazione di due crome discendenti sullagiegn
5. 6otts Oilte iit ergolrgen, 3erf{mol3en iit Oer S{nee; {Dott Der
parola 6u Sonne,lltoi $iII
lidl mit 6unften e queste
cudl, 3.
uno lllulter'Der lltoi $iII
I' tqlidl
mit 6unften
*{ fingt oo[t cn Oer .binnen, rne6t
}:P-:*r.r nen:au"
242- oatt
sono preceduteDoter' fiutter'
e seguite fel da una minima puntata e danen: 3.Aus $orfters,Ceutf{en
una minima. Sulle
auf, es iit oobl fie0lein'i I,5e1,"
1539
- cn 6er 6oit fehr lu
Tffi:ffililorer
Aus $orfters,Ceutf{en fie0lein'i I, 1539
rie0er6u4, r5s2 -245- "Oad)
fehr lungen teib.uns Oie
Jreu0 ftngt .v , oc 14iig
rtOO?
Oe
ten Sdleinl S{ein uns 3uetlteb 3u ' icrn ..9'
Der lttqie parole uns, zusammen e Sonne, vi è [et, poi una legatura ..9' presumibilmente
Der lltoi $iII lidl
mit 6unften }:P-:*r.r 3.
'Sott [in,feins
*.inesQ:e
tieb,Ocg
fingt oo[t cnGott
Oer 0id1 be[iitet
.binnen, rne6t
g riuo in croi,.rn'
ilti4
aufot
111.
q.o ocn:
Don Qcns So{s cuftenollrt,lS5z
lilnen:
111.
ocn: t::
"Oad)
ooe
auf, iit oobl
.o:.1 cn 6er 5e1," 6oit 14iig
roql
Oe
dovuta alla trascrizione, probabilmente infattiI, 1539
Aus $orfters,Ceutf{en fie0lein'i nella notazione
men,0ie gernbein'6n , fehr Oer lungen
3ur guten Bod1il, vi
originale
teib.
Oie gern bein' on ,Oer fein.-
iein,
..9' 'Sott [in,feins tieb,Ocg Gott 0id1 be[iitet ilti4
era una ligatura, poichè il cambio di2.nota è sulla
cuf ienemvocaleBerge,6aall’interno *.inhclter della S{nee
g riuo in q.o roql j
bdngt uns.Bliim,lein Dorl fern
ni{tuns
111.
ocn:6ottsooe lil
t::tiegt ein
guten
lDille
3ur
Q:e Sdlnee,Oet
.o:.1
Bod1il,
croi,.rn'
hcnrr
t^

sillaba, mentre sulla parola beinander,


0ct Som,mer
3eri{met3en,
non
5. 6otts Oiltec’è
mo,t^ nig , l:
lerf{mel3en,
la legatura,
iit ergolrgen,..".-*
i{ datomufi etge[n-:l
gmu tio{tisclI
iitQdrOer che
S{nee;il{Dott giegn cudl,
..".-*

3erf{mol3en
oatt uno lllulter' Doter' fiutter' I' tq fel *{
cambio di nota è sul cambio della sillaba. Tffi:ffililorer rie0er6u4, r5s2
ein Sci , ten, [p-iel: fie flngtre{t oie
t^
Der lltoi
Schönberg armonizza il brano un tono sotto (da SOLmaj $iII
..".-*
lidl mita 6unftenFAmaj)
m i{s oitll-. 6ott ueifioofl,tremi{s uill. Aus $orfters,Ceutf{en fie0lein'i I, 1539
oitldal
lasciando invariata la melodia sia Oen Iidl , 1gn
punto diSom, riler delle
vista brin , gcn,
note ic che frin del
: gen.
reien Gefellen, 0erfelbig oirbt um midl, et ttdgt ein fei,
t- pinbi{r
lei0er 0ie roei0er 3errifien, no{
tuttefie e[{ tre
n fo preift er [d1::l J€Ood? io
ritmo, tranne che in un solo punto chej.{,.*",r. si ripete uguale per freut Oes liebenlon,
le
g ein ltcdltigoll,0c oars
rcuret 6os Qeqe fein.:l
ein ]ungfroufein, unO hann
ff : J;1::111 lt:1 nerrt-it1 rcrl .r e 6 1 a r s' iie ooffi en lrrt
oerBo[e.sctlneeOertuti[rue[, no{ freut '
iil;ndil; ;;;
ftdl 6esSornmers, iosommers.
strofe. Sulla parola gib (prima 5: strofa),
.Oastlteibleln leit (seconda ftestrofa), e zerschmolzen
.D.i.-ft nennt fidl lttmgreto,€gn:tl,.S9?hlo,Cfiloniq,5rau A-nrlieio trcut,
nritgrou Oertiout: Das ieinO 0blu;gfrlun
d1ein uns, bu Iiebe ie1tn., ocs pino oi.'
(terza
Sonne strofa) Schönberg usaJungfrcun
infattifduberlidl,Oie
una sincope hiin3en eftdlraddoppia
0eslltcien ctiiumole, il valoreio *ot..
della t^

fius 0em 16. lo[r[un0ert


Der lltorgenftenr
u nota: (originale), (elaborazione).Itc{Questo meccanismo
Oem ttie0er0eutf{en tie6et6u{, rnn 1600

si ritrova identico nelle successive due strofe sullo stesso punto della
S{ein uns 3uetlteb 3u ' icrn
melodia.

ein'6n , Oer iein, ,Oer fein.-


Oie gern bein' on

nem Berge,6a tiegt ein hclter Sdlnee,Oet S{nee hcnrr


86
mel3en, l: 6otts lDille mufi etge[n-:l
ergolrgen, 3erf{mol3en iit Oer S{nee; {Dott giegn cudl,
ter' fiutter' I' tq fel *{
Tffi:ffililorer rie0er6u4, r5s2 Jreu0 ftngt uns Oie .v , oc rtOO? , tr , gClI.
Le prime due strofe si susseguono esattamente nello stesso modo,
mentre tra la seconda e la terza il compositore tedesco inserisce una specie
di ponte (battuta 35 -37). Abbandona la melodia e inserisce tre battute che
hanno lo scopo di far cambiare ambientazione al brano; chiede infatti di
passare da un tactus di 96 per semiminima ad uno di 80 e usa in pratica
solo minime. Vuole cambiare registro e lo fa proprio sulle parole Gotts
Will (Il Volere di Dio), che fa ripetere tre volte. La melodia riprende poi in
anacrusi da battuta 37/38 e prosegue inalterata fino a battuta 53 da dove
inizia la cadenza finale (battuta 53 - 57). In questa parte del brano la
melodia è esplosa tra le quattro voci e solo nelle ultime due battute la voce

del tenore ripete le parole seh euch nimmer mehr , inciso


prelevato tale e quale dalla melodia e che in fase di cadenza è usato per
chiudere il brano con il SIb, settima, che scende sulla terza (LA) di FAmaj
in cadenza perfetta.
La melodia, pur Generated
essendo usataby CamScanner
e ripresafrompedissequamente
intsig.com

dall’originale è trattata dal compositore in modo molto particolare proprio


con l’idea di sottolinearne il testo e soprattutto le parole più significative
(Gotts Will).
Si tratta di un’elaborazione in stile polifonico quasi rinascimentale,
ma molto caratterizzata armonicamente. Il brano è infatti tonale. Alla fine
di ogni strofa vi è una cadenza a FAmaj che ribadisce l’impianto tonale
generale; Schönberg utilizza l’armonia per “colorare” la melodia con
accordi molto densi e caratterizzanti che rendono il pezzo un tutt’uno
senza soluzione di continuità. Nemmeno nel ponte di battuta 35 - 37 dove
si ripetono tre volte le parole Gotts Will vi è un calo di tensione. Vi è
infatti una sospensione armonica che prelude all’incipit dell’ultima strofa,
che grazie anche al rallentamento del tactus (che rimane fino alla fine)
sembra voler portare in un’altra dimensione, quella di Dio e del suo Volere.
La melodia della prima strofa è affidata al tenore, che la segue fino
alla fine; al soprano è dato un controcanto (per moto contrario) che inizia
due movimenti dopo. Il controcanto rimane pressoché identico fino alla

87
fine del brano, anche se leggermente elaborato, appunto a causa di queste
coloriture armoniche. Nella seconda strofa il canto è dato per il primo
settenario al basso e successivamente prosegue al soprano; il controcanto
qui è affidato al contralto e in parte al tenore che lo elaborano e sul finire
della strofa passa al tenore. Nella terza strofa la melodia rimane al soprano
e il controcanto al tenore. Le voci del canto e del controcanto si bilanciano
equilibrandosi, le voci del basso e del contralto riempiono con una linea
melodica che prosegue spesso parallelamente in terza o sesta.
Interessantissimo è l’uso che Schönberg fa delle voci: ogni linea melodica
di ogni voce potrebbe essere tranquillamente una melodia, con l’aggiunta
del fatto che le voci che non eseguono la melodia originale o il controcanto
riempiono e colorano armonicamente il brano, dando così l’idea di
un’atmosfera generale meditativa e molto intima. Non vi è mai infatti un
forte o un mezzoforte. Tutte le dinamiche si dipanano tra il pianissimo e il
piano. Non c’è un climax, la massa sonora molto densa è costante
dall’inizio alla fine e senza soluzione di continuità.
Schönberg riesce a rendere il senso del testo “semplicemente” nella
prima strofa, dove sembra esserci la richiesta di qualcuno affinché sulle
due anime (Zwei Lieb Zusammen) risplenda il sole. Nella seconda strofa
elabora il tutto sia dal punto di vista armonico (colori) che melodico (vedi
C, T, B)inserendo passaggi anche difficili da cantare come quello del basso

a battuta 22 - 23 . Qui il senso del testo afferma che è


difficile che la neve sui monti si sciolga se non lo vuole Dio e infatti
l’intreccio comincia a complicarsi.

Generated by CamScanner from intsig.com

88
Il punto di massima coloritura armonica si ha a battuta 43, dove viene
ribadito, dopo il ponte di battuta 35 - 37, che la neve finalmente è sciolta.

Il volere di Dio è stato compiuto.


Altro punto molto denso si trova a battuta 48 - 50, dove quella che
Generated by CamScanner from intsig.com
sembra essere la disperazione di un figlio che non potrà più rivedere i
propri genitori è al culmine.

Da qui in poi tutto si semplifica e si arriva alla cadenza finale perfetta


che sembra quasi un sollievo, ma un sollievo nella pace di Dio. La
disperazione è sciolta, come la neve, in Dio si trova la pace, e la cadenza
finale risolve su un accordo di FAmaj senza quinta, con la settima al tenore

Generated by CamScanner from intsig.com

che scende sulla terza.


Il fatto che non si vedranno più i genitori non sembra essere più un
problema, sembra
Generatedche questa persona,
by CamScanner questo figlio sia in pace con loro e
from intsig.com

con Dio. Potrebbe essere tranquillamente il finale di un corale bachiano per


come è costruito e per come è preparata la settima.

89
Schönberg armonizza questa melodia su commissione da parte
dell’ente che si occupava di editare il Volkslieder Buch in Germania.
L’elaborazione è della fine degli anni 20, probabilmente 1929 o 1930 ed è
stata poi pubblicata nel 1930 e rieditata nel 1958 assieme ad altri due brani
popolari in una raccolta: Drei Volksliedsaetze dalla Peters nr. 4863.
Non si tratta certamente di un’armonizzazione in stile popolare, non è
un Volkslied e nemmeno un Volkstone; Schönberg lascia praticamente
invariata la melodia ma proprio per il contenuto del testo propende per
l’utilizzo di un linguaggio colto quale è quello della polifonia, arricchito
da un’armonizzazione molto densa.
In una lettera di risposta al committente, che esortava Schönberg a
consegnare i brani elaborati - evidentemente era in ritardo - il compositore
afferma che non si tratta di un Volkslied, bensì di un Kunstlied, ulteriore
conferma del fatto che questa elaborazione nulla ha a che vedere con la
musica popolare, se non per l’utilizzo di una melodia che è diventata
popolare, ma che è di origine colta.

90
4.4 La belle se sied au pied de la tour (Francis
Poulenc)

Canzone popolare della tradizione francese, più precisamente della


normandia; si tratta di una canzone strofica e monodica che Poulenc ha
rielaborato per coro a voci miste. Ha mantenuto inalterato il testo e ha
modificato la melodia. Il testo di questa canzone è stato rielaborato anche
da Dufay ma per due voci e accompagnamento strumentale con una melodia
totalmente differente da quella di Poulenc. La melodia originale era già
conosciuta nel XIII secolo ed era suonata da strumenti, la si ritrova nel
manoscritto di Bayeux 97 dei primi del Novecento, una raccolta di canti
popolari francesi del Cinquecento. Il testo è uguale a quello utilizzato dal
compositore francese, ma la melodia è diversa. Non è insolito che Poulenc
modificasse le melodie popolari che utilizzava per le proprie opere, per
renderle conformi al proprio gusto e alla propria sensibilità, sicché
potrebbe essere che le sue melodie siano anche molto diverse da quelle
originali, come nel caso del brano La Belle se Sied au Pied de la Tour,
sicuramente reinterpretato e modificato.

Melodia originaria:
Diversa da quella utilizzata da Poulenc, ma con il testo uguale. Le
fonti più antiche su questa melodia si ritrovano nel manoscritto di Bayeux,
da cui è stata tratta la pagina qui mostrata.

97Il Manoscritto del 1514 è sicuramente una delle più importanti fonti per quanto riguarda la
musica popolare francese dell’inizio del VI secolo. Nel libro sono trascritte oltre 100 melodie
monofoniche ma con notazione che comprende anche le informazioni ritmiche (mensurale). La
raccolta di melodie è servita come base musicale per elaborazioni a più voci da parte di
moltissimi compositori anche contemporanei.

91
Come si vede la melodia è totalmente diversa da quella elaborata da
Poulenc, che probabilmente l’ha scritta appositamente e ha poi usato il
testo tratto dalla melodia originale.

92
Testo:
La belle se sied au pied de la tour,
Qui pleure et soupire et mène grand dolour
Son père lui demande: fille qu’avez vou
Volez vous mari ou volez vous seignour
Ne veuille mari je ne veuille seigneur
Je veuille le mien ami qui pourit en la tour.
Par Dieu ma belle fille alors ne l’aurez vous
Car il sera pendu demain au point du jour.
Père si on le pend enfouyés moi dessous
Ainsi diront les gens ce sont loyales amours.

Traduzione:
La bella si siede ai piedi della torre,
piange e sospira per il gran dolore
Suo padre le chiede: figlia cosa avete
Volete un marito o un signore
Non voglio né un marito né un signore
Voglio il mio amico che marcisce nella torre.
Per Dio mia bella figlia allora non l’avrete
Perché sarà impiccato domani all’alba.
Padre se lo impiccano mi vedrete la sotto
Così la gente dirà che il nostro amore è leale.

Il brano che qui ci si accinge ad analizzare fa parte della raccolta Huit


Chansons Francaises di Poulenc. L’autore armonizza otto brani in stile
popolare. Per alcuni utilizza le melodie originarie, per esempio il brano
Pilons l’orge è stato scritto da Claudin de Sermisy 98 , per altre utilizza solo
il testo (La belle se sied au pied de la tour oppure Margoton va t’a l’iau,
antica filastrocca tradizionale). Tutti e otto i brani della raccolta sono

98Cantore e compositore tra i più rinomati del suo tempo nasce probabilmente in Picardia nel
1490 e muore a Parigi nel 1562. Sua è la musica di Pilons L’orge.

93
comunque scritti secondo le modalità proprie della musica popolare della
Parigi degli inizi del Novecento, periodo che sappiamo ha influenzato
profondamente il giovane Poulenc. Il compositore è solito modificare le
melodie che utilizza per le proprie trascrizioni, se non addirittura
riscriverle. Egli aveva una sensibilità melodica molto accentuata, lo si può
riscontrare in tutte le sue opere, ed era considerato unanimamente un
grande melodista, tra i più fini.
Certamente la melodia originaria di La belle se ied au pied de la tour
non confà ai canoni estetici del compositore francese, che preferisce
riscriverla ex novo mantenendo però il testo originale presente nel
manoscritto di Bayeux. 99 Si tratta di un’operazione che poco ha a che
vedere con l’utilizzazione delle melodie popolari nelle opere dei
compositori colti, ma che è giustificata dal fatto che la melodia originaria
non fa parte di quella che è la musica popolare della Parigi di Poulenc, che
opera dunque una “trasformazione” della stessa secondo i propri canoni
estetici.

Ma qual è la melodia che Poulenc scrive per questo testo popolare


antico?

99 Interessante a questo proposito è ciò che dice Bartók:(Cfr. pag 27 e 28 di questo lavoro)
“Qual è la premessa indispensabile perché l’influenza della musica contadina possa effettivamente
esercitarsi? E’ che il compositore conosca perfettamente la musica popolare del proprio paese, esattamente
come ne conosce la lingua. (...) Quello che importa, infatti, è di portare nella musica colta il tipico
carattere della musica contadina (che è assolutamente impossibile esprimere con le parole): non basta
insomma immettervi dei tempi o l’imitazione dei temi contadini, (...) ma bisogna trasferire in essa
l’atmosfera della musica creata dai contadini”
e ancora:
“Infine, nelle opere di un compositore, l’influsso della musica contadina può manifestarsi anche in una
ultima maniera. Può darsi infatti che il musicista non voglia elaborare melodie popolari o farne delle
Generated by CamScanner from intsig.com
imitazioni, bensì intenda e riesca a dare alla sua musica la stessa atmosfera che distingue la musica
contadina. (...) Vale a dire insomma che il modulo espressivo della musica contadina è divenuto il suo
linguaggio.

94
Si tratta di una melodia che procede diatonicamente per toni vicini,
nella tonalità di SOLmaj, senza particolari salti (l’intervallo più ampio è
quello di quinta). Dal punto di vista dei valori ritmici utilizza quasi
esclusivamente crome e semiminime, tranne che per battuta 3, 6, 9, 14
dove nella melodia vi sono figurazioni di minima. In un solo punto della
melodia utilizza la semiminima puntata, a battuta 13

.
Altra particolarità ritmica probabilmente dovuta alla non simmetricità
Generated by CamScanner from intsig.com
dei versi originali (abbiamo infatti decasillabi, endecasillabi, dodecasillabi
e versi di 13 sillabe), è il continuo cambio di tempo: il brano inizia e
finisce in tre quarti (3/4) ma a battuta 3 passa in due quarti (2/4) per poi
Generated by CamScanner from intsig.com
tornare subito in tre a battuta 4; stessa cosa tra battuta 9 -10 e 22-23:

(esempio battuta 9-10). Ancora vi


è una parte di 4 battute (da 13 a 16) in cui il tempo diventa di quattro
quarti (4/4). Poulenc segue la metrica del testo, che data l’estrazione
popolare non è simmetrico, e lo fa con continui cambi di tempo e partenze
in anacrusi o sul battere; vedi per esempio l’inizio del brano:

ted by CamScanner from intsig.com


e la successiva
riproposizione della stessa melodia al tenore sul levare di battuta 7:

95
Generated by CamScanner from intsig.com
Come sviluppa la melodia?
La prima parte della melodia, che comprende i primi due versi, è data
al soprano fino a battuta 6; la stessa melodia, che comprende i versi 3 e 4,
è data al tenore (da battuta 7 a battuta 12)

.
La seconda parte melodica è di nuovo riproposta dal soprano (da
battuta 13 a battuta 16)

. In seguito di nuovo la melodia iniziale è


data al tenore (battuta 17-22) e per finire è riproposta dal soprano (battuta
23-28). Generated by CamScanner from intsig.com

Vi è dunque un passaggio della melodia tra soprano e tenore. Il testo


del brano è cantato esclusivamente dalle due voci principali, ovvero
soprani e tenori, mentre le altre o cantano a bocca chiusa o si limitano a
cantare Ah.
Questo continuo cambio ha un significato ben preciso: rappresenta
infatti il discorso tra la figlia disperata (melodia al soprano) e il padre
(melodia al tenore) dispiaciuto per il dolore della figlia. Poulenc armonizza
infatti il brano Generated
in modobyabbastanza semplice:
CamScanner from intsig.coml’inizio parte con il soprano

che canta la melodia e il contralto


Generated che accompagna
by CamScanner fromper moto contrario,
intsig.com

partendo dall’unisono e arrivando in unisono (battuta 3-6).


La proposizione della melodia data al tenore è accompagnata da
baritoni e bassi tra di loro per moto contrario
Generated e spesso
by CamScanner frominintsig.com
terza. (battuta
7-12)
L’andamento è semplice e lineare fino a qui, inizia infatti con due
voci e prosegue con tre (aggiungendo il tenore) ma nel punto in cui si sente

96
la disperazione della figlia (battuta 13-16) cambia la melodia. Abbiamo
infatti l’unica proposizione del tema diverso qui sopra riportato, mentre nel
punto in cui traspare la tristezza del padre il compositore lavora

sull’armonia: aumenta le voci, fino a 6,


(abbiamo qui infatti basso, baritono e due tenori) e inserisce delle
dissonanze che stridono
Generated con la
by CamScanner bellezza
from e naturalezza della melodia. In
intsig.com

questo punto vi è una sorta di klimax armonico, raggiunto attraverso la


somma delle voci e la dissonanza armonica. Si vuole segnalare anche
un’altra particolarità dell’armonizzazione di Poulenc, a battuta 15: fa

procedere bassi e tenori con una serie di quinte parallele


che aiutano a rendere perfettamente il dolore della figlia che reclama il
proprio amato.
Altra particolarità la troviamo a battuta 20-21 in cui Poulenc sembra
passare dall’ambito tonale a quello modale con l’introduzione del Fa

Generated by CamScanner from intsig.com

97
bequadro e diesis al tenore secondo:
questo cambio è messo proprio nel punto in cui il padre comunica alla
figlia che il suo amato sarà impiccato all’alba del giorno dopo. Questa
instabilità creata dal cambio di ambito (modale/tonale) rende bene il dolore
di entrambe i protagonisti di questa triste storia. Da questo punto in poi vi
è la riproposizione di tutti gli stilemi del brano condensata in 6 battute: si
riprende infatti ad una voce sola (soprano battuta 23) poi si aggiunge il
contralto (battuta 24), il tenore (battuta 25) e bassi e baritoni (battuta 27) e
il brano si conclude con le cinque voci che formano un accordo di SOLmaj.
Ancora è però riproposto a battuta 27 il cambio di ambito (tonale/modale),
sempre sulle note Fa diesis e bequadro, che stavolta sono però cantate dal
contralto.
Questo ambivalenza tonale/modale è tipica della musica tradizionale e
popolare e Poulenc la utilizza per rendere la tragicità della storia e il
dolore di una giovane donna decisa a dimostrare al mondo la propria lealtà
verso l’amato anche nel momento in cui sarà impiccato.

Generated by CamScanner from intsig.com

98
4.5 E si fussi pisci (Luciano Berio)

Melodia originaria:

99
100

100 Ivi.

100
Testo:

101

Si tratta di una melodia popolare siciliana, del paese di Vita,


nell’entroterra della provincia di Trapani. E’ stata raccolta dal musicologo
Alberto Favara e pubblicata Da Ricordi in un volume 102 con altre venti
melodie siciliane e accompagnamento al pianoforte elaborato dallo stesso
musicologo. Il brano sembra intitolato A La Vitalora, in realtà questa
espressione indica un modo di canto tipico del paese di Vita.
La melodia è molto semplice e procede diatonicamente per toni vicini.
Non vi sono salti importanti se non a battuta 13 e 29 in cui vi è un salto di

settima discendente: Do (terzo spazio) Re basso. Il tempo è


di tre quarti (3/4) e la figurazione, si potrebbe dire tematica è minima-

semiminima: . Vi è infatti

101 Ivi.

102 Ivi.

101
utilizzo di semiminime, minime e minime puntate, valori larghi, per un
ritmo ternario “semplice” e lineare, come di solito è la canzone popolare.
Nella melodia, rispetto al testo scritto dallo stesso Favara, vi è una
modifica: il brano non inizia infatti con Si Fussi Pisci ma con E si Fussi
Pisci, vi è dunque l’aggiunta della E che nel testo non si trova. La partenza
è in anacrusi e le due strofe composte da un distico ciascuna
(endecasillabo) sono melodicamente uguali. La suddivisione in battute
rispetta la metrica del testo, perciò 8+8+8+8, e ogni serie di otto
corrisponde a un endecasillabo.
Sembra essere un canto d’amore in cui chi canta, pur di baciare la sua
amata e parlarle teneramente, attraverserebbe il mare se fosse un pesce o
volerebbe da lei come un uccello.
Berio elabora questa melodia a lui molto cara varie volte durante la
sua vita 103 e l’ultima armonizzazione da parte sua è quella del 2002.
L’occasione è quella del conferimento della Laurea Honoris Causa
all’amico Umberto Eco da parte dell’Università di Siena. In questo caso
l’elaborazione è per coro misto a cappella a quattro voci.
Il compositore utilizza la melodia così come trovata sulla raccolta del
Favara e cambia solo alcuni particolari, come l’acciaccatura di battuta 4 e

20 (dell’originale), che trasforma in una croma: (originale)

(Berio) e la ripetizione di una parte del testo che nell’originale

non è presente: (originale)

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103 Cfr. paragrafo 3.5 del presente lavoro.

102
Presenta invece la melodia con una introduzione molto particolare di
sei battute dove usa una particolare notazione per simulare il passo di un

quadrupede e il frullare.
Sembra quasi si riferisca al passo di un cavallo e al verso tipico che
questo fa e che assomiglia ad una “R” non sonora.
La melodia comincia con il tenore solista in anacrusi a battuta 8 e
procede fino a battuta 23; a battuta 27 passa alla voce dei soprani fino a
battuta 42.
Da battuta 46 si alterna tra soprano e contralto solisti fino a 53:

.
Il tema viene concluso a battuta 58 dai soprani al completo; da qui è
ripreso dai tenori che lo porteranno alla fine fino a battuta 78.
Complessivamente la melodia con il testo viene ripetuta completamente
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dall’inizio alla fine due volte.
Berio armonizza la melodia in modo molto semplice, senza particolari
ricercatezze armoniche. Utilizza le dissonanze come colori e per dare
densità all’accompagnamento, ma queste non sono mai invadenti o troppo
lontane dal gusto che contraddistingue questa armonizzazione. Le voci che
accompagnano cantano a bocca chiusa (battuta 7-11) oppure cantano il
testo omoritmicamente con la melodia. Spesso Berio fa cantare ad una voce
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una codetta alla fine della melodia come il

basso a battuta 13 o ancora a battuta 23 , il


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contralto a battuta 32 (stesse note e ritmo del basso) e il soprano a battuta

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103
43 o ancora il tenore a battuta 52, e il basso a battuta 68. Sono dei piccoli
incisi che servono a collegare tra di loro i versi dei due distici.
La vera particolarità dell’armonizzazione di questa melodia da parte
di Berio è l’utilizzo di molti effetti sonori, come il sottovoce o sul fiato

, lo schiocco della lingua

, il a bocca chiusa ,
l’effetto della “R”, o ancora il cambio delle vocali di battuta 20-21

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che sembra voler cercare lo stesso colore tra tutte le voci,


differenziando la “a” dalla “i”. Un altro particolare effetto si trova a
partire da battuta 46, dove la melodia è spezzata tra le voci soliste di
soprano e contralto:

si creano dei colori particolari, dovuti alla differenza timbrica delle


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due voci e, dipende da come è disposto il coro, ma se le due voci fossero
all’esterno della propria sezione si avrebbe un sicuro effetto stereo e di
rimbalzo della melodia.
Per segnare tutti questi effetti il compositore utilizza dei segni grafici
particolari che mette in una sorta di legenda o indicazioni come egli stesso
le chiama. 104
Sicuramente la parte più interessante dal punto di vista degli effetti è
quella finale dalla lettera F (battuta 62). I tenori cantano la melodia e i
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104

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bassi accompagnano per moto contrario o a distanza di terza, mentre le
voci femminili accompagnano con degli effetti ritmici scandendo il testo e
vucca cu’ vucca ti vurria vasari, e visu cu’ visu parlari cu’ tia sul fiato,
con un risultato di grande effetto.

La parte ritmica femminile si fa via via più stringente e articolata


ritmicamente verso la fine del brano per poi dissolversi nello schiocco
della lingua che anticipa quello maschile di battuta 79 e che porterà alla
chiusura del brano con la “R” frullata.

Tutto il brano è caratterizzato da dinamiche molto varie, dal PPP al F


di battuta 54, che è l’unico veroGenerated
forte del by
brano, subito prima
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della parte finale. Tutti gli altri F (inizio o finale battuta 79) sono su effetti
come lo schiocco della lingua, o la “R” frullata, che impattano perciò poco

105
sul volume generale del suono, ma che sono molto importanti per la
caratterizzazione popolare del brano.
In sintesi è un brano particolare, dalla struttura semplice e
armonicamente poco complicato, sicuramente non è il Berio dei Cries of
London o delle sequenze, ma molto caratterizzato grazie all’utilizzo degli
effetti di cui si è parlato poc’anzi. Vi è una ricerca sulla voce e sulle sue
possibilità che ha sempre contraddistinto l’attività del compositore, grazie
anche al matrimonio con la cantante mezzosoprano Cathy Barberian. Si
viene a creare così una composizione breve molto varia e particolare, a
tratti intima come a battuta 34, dove le quattro voci sono all’unisono nel
pianissimo, che sembra essere proprio il giusto coronamento per una
Laurea Honoris Causa ad un semiologo come Umberto Eco.

106
Appendice: partiture
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
Alberto Favara: E si Fussi Pisci 105

105 ALBERTO FAVARA, Canti della terra e del mare di Sicilia, G. Ricordi e C., Milano 1907.

124
125
Luciano Berio: manoscritto originale E si fussi pisci 106

106 LUCIANO BERIO, Manoscritto originale del canto E si fussi pisci, cfr. www.lucianoberio.org

126
Conclusioni

All’inizio del presente lavoro ci si era dati lo scopo di indagare il


rapporto tra la musica popolare e la dimensione musicale colta, attraverso
l’analisi dell’opera di cinque compositori.
L’analisi dei brani ha messo in evidenza come ogni autore abbia
trattato il materiale originario, in tutti e cinque i casi una canzone
popolare, in maniera molto personale, ciascuno secondo la propria estetica
e concezione del popolare, legata al periodo storico e al proprio vissuto.

Abbiamo un Brahms che riporta la melodia senza modificarla e la


armonizza in modo tale che anche un coro non professionista di medio
livello riuscirebbe ad eseguire il brano in modo corretto. Il suo essere
romantico lo si ritrova nella sua elaborazione e il vestito della melodia è
intriso degli stilemi tipici dell’epoca, che ha riscoperto l’interesse per il
popolare. L’effetto è prodotto dall’insieme delle voci e dall’armonia, e la
melodia diventa una parte del tutto.

C’è poi un Vaughan Williams animato dalla volontà di raccogliere la


musica tradizionale della sua Inghilterra, non tanto a scopo scientifico,
quanto per evitarne la scomparsa. A lui interessano le melodie e come un
pioniere, con la sua bicicletta, gira per la sua regione alla ricerca di cantori
che possano cantargli le melodie popolari. Le segna a matita sul suo
taccuino e poi le rielabora e armonizza secondo il suo stile o le usa
all’interno delle proprie opere. La sua armonizzazione sembra un
complemento pensato per valorizzare la melodia e farne risaltare la
bellezza, un modo per fissarla mantenendola riconoscibile, per preservarla
così dall’oblio.

127
Schönberg, grandissimo compositore e didatta, la personalità musicale
che ha fatto da fulcro per tutto il primo Novecento e la cui eredità ancora
influenza la musica, ha un’opinione talmente alta del fare musica e del
comporre che arriva a definire il suo brano come Kunstlied e non
Volkslied. Egli snatura la melodia, pur lasciandola invariata, attraverso
l’armonizzazione. La sua elaborazione in stile polifonico rinascimentale,
sorprendentemente tonale, sembra nascondere la melodia tra le linee delle
voci. Si tratta di un brano in cui l’aspetto polifonico e armonico, la densità
dei colori e dei suoni, sono più importanti della melodia stessa. Tra i brani
presi in esame, questo è sicuramente quello in cui l’elemento tradizionale
si sposta maggiormente sullo sfondo. Sembra quasi che, spinto a scrivere il
pezzo dalla richiesta di un committente, egli trovi il modo per non piegarsi
alla semplicità degli stilemi popolari.

Poulenc “l’anticonformista”, il giovane borghese che frequenta la


Parigi degli inizi del Novecento, quella della musica popolare cittadina,
del Moulin Rouge, del jazz. Egli preferisce riscrivere la melodia e
mantenere inalterato il testo dell’antica canzone popolare che sceglie di
elaborare pur di creare un’opera che sia adeguata al tempo in cui vive.
L’elaborazione rispecchia le sue grandi doti di melodista, attraverso la
creazione di una melodia che, nella sua semplicità e immediatezza, risulta
molto fine e di grande eleganza.
L’armonizzazione in questo caso funge da strumento per evidenziare i
punti salienti del testo, attraverso l’uso ponderato di dissonanze che creano
colori e densità di suono molto particolari.

Berio, uno dei più grandi compositori del Novecento, un personaggio


che ha fatto della ricerca il suo modus vivendi, uno dei primi che lavora
sulla musica elettronica. Un compositore-ricercatore che però prende le
mosse dal passato, quello dei grandi come Bach e quello della gente
comune, del popolo. Come lui stesso dice, bisogna partire dal passato e poi
su questo innestare il linguaggio del presente. Nella sua armonizzazione

128
non utilizza artifici armonici, ma effetti sonori, onomatopee, innestate su
una melodia che il tempo ha modellato sino a renderla perfetta, e che per
questo egli lascia inalterata.

Possiamo affermare che la canzone tradizionale e la canzone colta su


melodia tradizionale sono le due facce della stessa medaglia. Una
rappresenta l’esigenza di una determinata parte della popolazione di
esternare dei contenuti e un senso di appartenenza attraverso un linguaggio
modificatosi e perfezionatosi durante i secoli, spontaneo, l’altra
rappresenta la necessità di un compositore colto di dire qualcosa attraverso
una melodia forgiata dal tempo, ma con il proprio personale linguaggio.

In entrambi i casi vi è un legame con una dimensione collettiva e


arcaica, della quale la melodia tradizionale è espressione.
Se per il “popolo” il collettivo rappresenta l’origine stessa della
melodia, per il compositore colto esso è certamente una fonte di
ispirazione e di contaminazione. E’ vero cambia il linguaggio, cambiano i
segni, i significanti, l’approccio, il contenuto è veicolato in modo
differente. Rimane però costante per entrambi l’esigenza di comunicare,
dalla quale prende vita l’atto creativo.

“La musica ha un potere che va oltre le parole. Ha il potere di


commuoverci e la forza del puro suono riecheggia in noi finché dura la sua
esistenza”. 107

107 DANIEL BARENBOIM, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, 2008.

129
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133
Ringraziamenti

Eccoci qui, alla fine di un percorso intenso durato tre anni.


A questo punto i ringraziamenti sono d’obbligo, oltre che sentiti.

Ai miei due Maestri: Lorenzo Donati, che mi ha sopportato durante tutto


questo tempo che gli sarà sembrato lunghissimo, e a Luigi “Gigi” Azzolini,
che mi sopporta da più di vent’anni.
Grazie a tutti e due, al secondo perché mi ha fatto scoprire la bellezza del
cantare in coro, al primo per i suoi insegnamenti e la disponibilità con la
quale mi ha accompagnato in questo percorso.

Alla prof.ssa Jania Sarno per i preziosi suggerimenti.

Ai miei compagni di studio, con cui si è stretta anche una bella amicizia.
Grazie di cuore.

Al mio coro, Fior di Roccia, senza il quale forse non avrei iniziato questa
avventura.

Ai miei genitori e ai miei suoceri, per essersi spupazzati il nipotino.

Alle mie “Hexen” viennesi, Anna e Karin.

Alle mie colleghe di Bronzolo, perché andare al lavoro non mi pesa!

Last but not least ad Anna ed Enea, la mia famiglia, che mi hanno
appoggiato e supportato incondizionatamente sopportando le mie assenze
da casa, i miei esami, la redazione di questa tesi che è anche un po’ loro.

Grazie a tutti e alla prossima!

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