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Proposta

Ecosocialista

Adriano Bulla
2019
©Copyrights Adriano Bulla, 2019

Non solo è consentita la copia e diffusione di questo libro


gratuitamente, ma è anche incoraggiata.
A tutti coloro che vogliono costruire un mondo migliore
Sommario
Prefazione .................................................................................................................................. 7
L’Etica ......................................................................................................................................... 9
La sinistra e i suoi valori ........................................................................................................... 11
Il Socialismo.............................................................................................................................. 25
L’ecosocialismo ........................................................................................................................ 30
La necessità di cambiare il sistema ...................................................................................... 31
Parassitismo e simbiosi ........................................................................................................ 38
Cambiare il paradigma ......................................................................................................... 42
Il rapporto come fondamento dell’ecosocialismo ............................................................... 45
Scarsità ed abbondanza ....................................................................................................... 48
Ecosocialismi ........................................................................................................................ 53
Il cambiamento profondo con l’ecosocialismo .................................................................... 59
Scenari ecosocialisti ............................................................................................................. 63
Alcuni concetti da chiarire ....................................................................................................... 64
Il pensiero anarchico ............................................................................................................ 65
La Giustizia ........................................................................................................................... 67
Giustizia e burocrazia ........................................................................................................... 71
Popolo e stato e società ....................................................................................................... 73
Condizionamento, doublespeak ed i media ........................................................................ 80
Sinistra e destra, alto e basso .............................................................................................. 85
Democrazia e Democrazia Diretta ....................................................................................... 86
Populismo e demagogia ....................................................................................................... 94
Materialismo, laicismo e spiritualità .................................................................................... 96
Il libero mercato ................................................................................................................. 100
L’immunità parlamentare .................................................................................................. 108
Il fascismo e la sua soluzione ............................................................................................. 110
Il nostro rapporto colla Natura .......................................................................................... 115
Il metodo ................................................................................................................................ 121
Il no assoluto ad una rivoluzione violenta ......................................................................... 122
La rivoluzione gentile ......................................................................................................... 125
La promozione delle comunità intenzionali ...................................................................... 127
Il sogno ecosocialista ......................................................................................................... 133
La riforma economica ........................................................................................................ 135
La via della Giustizia ........................................................................................................... 141
La via della ragione ............................................................................................................ 164
La via dell’umorismo .......................................................................................................... 169
La via dell’arte .................................................................................................................... 171
La via della cultura ............................................................................................................. 174
La via della scienza ............................................................................................................. 180
La via dell’educazione ........................................................................................................ 191
La via della collaborazione e della Pace ............................................................................. 197
La via del Risveglio ............................................................................................................. 199
La liberazione dei media dal giogo della plutocrazia ......................................................... 204
Conclusione ........................................................................................................................ 211
Temi ecosocialisti ................................................................................................................... 213
L’acqua ............................................................................................................................... 214
L’energia............................................................................................................................. 217
Il lavoro .............................................................................................................................. 220
Il pensionamento ............................................................................................................... 222
L’agricoltura ....................................................................................................................... 224
Le periferie ......................................................................................................................... 228
La via del futuro ..................................................................................................................... 231
Prefazione
Questo pamphlet, o opuscolo, è, come dice il titolo, una proposta. Non si tratta di un
manifesto, né di un programma per la fondazione di un partito o di un movimento politico.

Il suo unico scopo è di condividere idee propositive che ho sviluppato durante gli ultimi
anni.

Come ogni proposta degna di questo nome, è aperta a critiche costruttive e miglioramenti.
Se la lettrice o il lettore trovasse le idee e le metodologie qui esposte interessanti, lei o lui è
calorosamente invitata/o, magari dopo aver fatto una scelta di ciò che ritenga consono alla
propria ideologia, ed alle proprie convinzioni personali, a personalizzare e sviluppare le
proposte che qui intendo condividere.

D’altronde sarebbe ridicolo che una proposta di natura socialista pretendesse di imporre
un dogma o un “pacchetto di idee” da recepire in toto ed indiscriminatamente; il
socialismo, infatti, è per sua natura una forma di pensiero che deve nascere e crescere “dal
basso”, idioma che forse andrebbe rivisto e sostituito dall’avverbio “collettivamente”,
poiché esso stesso presuppone una gerarchia sociale, concetto alieno ad ogni forma di
socialismo. In parole povere, noi non dobbiamo sentirci inferiori ad altri Umani, poiché,
come recita l’Art 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, “Tutti gli esseri umani
nascono eguali in dignità e diritto.”

Approfondendo questo concetto, anche il pensiero ecologista (molto più apprezzato a


sinistra che a destra) si addice ad una interpretazione egalitaria di coloro che partecipano
alla nostra esperienza su questo stupendo ma sfortunato pianeta, anche se di specie
diverse alla nostra.

È quindi essenziale che una proposta ecosocialista si auguri solo di stimolare idee, di
innescare un circolo virtuoso, di accendere un dibattito approfondito ed aperto, ma non
possa, per sua stessa natura, dettare idee dogmatiche.

Ed è anche in relazione a questo atteggiamento che si può leggere il fallimento di tanti


cosiddetti esperimenti di socialismo reale, spesso dogmatici, spessissimo “imposti dall’alto”
e troppo obbedienti al pensiero marxista per essere fondamentalmente ed onestamente
collettivi.

Ritorneremo su questi punti più avanti nel nostro discorso, ma come primo appunto si noti
che questo libretto non aspira a grandi proclami a cui tutti debbano credere e ancor meno
obbedire, ma sia solo un tentativo di riaccendere un grande discorso abbandonato da molti
per motivi più storici che filosofici e persino occultato dal volere del capitalismo e
corporativismo imperante nel mondo d’oggi.

Le idee crescono nel e col dialogo; qualora esse siano costrette nella limitatezza della
mente individuale l’esperienza insegna che non solo esse fanno fatica ad evolversi e
attualizzarsi, ma che spessissimo anche idee di natura buone si trasformano in concetti
inflessibili ed oltranzisti (la natura stessa dell’isolamento favorisce tale evoluzione, come
dimostrano le bolle mediatiche, per esempio su Facebook ed altri social media, dove il
pensiero acritico del fascismo trova terreno fertile nell’isolamento di chi le riceve) che a
detta di alcuni, a volte, arrivano persino ad apparire più consoni all’indole dell’estrema
destra che della sinistra.

Leggete quindi questo testo come un tavolo di discussione, con idee e proposte da
condividere, criticare e sviluppare con amici e parenti. Alla fine, il socialismo, ed ancor più
l’ecosocialismo, non possono che essere forme di generosità e condivisione, e la generosità
va praticata nel quotidiano.

P.S. le idee qui esposte non sono necessariamente mie e non sono mie; non sono
necessariamente mie perché tante sono raccolte da altre fonti, e non sono mie perché le
idee non appartengono a chi vengono, ma quelle buone devono essere condivise, solo così
potranno trovare la strada verso la loro realizzazione. Siamo realizzatori di idee, non
proprietari.
L’Etica
Come ho già detto, questo scritto non pretende di imporre idee. Ciò nonostante, è a parer
mio palese che un concetto politico, ed ancor più uno di filosofia politica come quello che
sto andando a condividere in queste pagine debba partire dall’Etica.

Che un gruppo di persone con pensiero politico o ideologia simile condivida anche i principi
etico-morali che sottendono a tale pensiero è non solo normale, ma necessario per la
sopravvivenza stessa di tale pensiero.

Qui, forse bisogna però fare una distinzione, se ancor grossolana, tra il concetto base di
Etica e di Morale.

Mentre la morale ci viene dal latino mores, con cui gli Antichi Romani designavano le
tradizioni di comportamento della loro cultura, Etica deriva dal Greco ethos, che
originariamente aveva un significato di “luogo abituale”; ed è proprio qui, alla sua fonte che
l’Etica, in termini generali, si distingue dalla morale. L’Etica ha in sé un’attenzione ai limiti e
confini accettabili nei rapporti sociali. La morale, invece, è più una questione di abitudini e
tradizioni personali.

Riducendo questi due termini ai loro minimi denominatori, la morale è una questione di
condotta personale, mentre l’Etica è una serie di regole base che permettano la giustizia
sociale e la sua realizzazione nelle relazioni interpersonali e sociali. La morale è quindi un
discorso colla propria coscienza mentre l’etica è una legge del comportamento sociale.

In parole povere, andare a messa è una questione morale, poiché non ha impatto
percepibile sul prossimo; non ferire alcuno invece è una questione etica poiché presenta
una scelta che ha conseguenze su altre persone.

Il socialismo non può prescindere da concetti base dell’Etica. Ed il più elementare,


fondamentale ed indiscusso tra tutti i concetti dell’Etica è la cosiddetta Regola D’Oro, forse
l’unica regola veramente necessaria in ogni rapporto sociale: non fare ad altri ciò che non
vorresti fosse fatto a te. Questo è lo stesso fondamento di per cui il fascismo è un crimine
etico, ancor prima che legale. Ed è ovvio che il socialismo, e più ampiamente
l’ecosocialismo, debbano farsi paladini di questa regola indiscussa dell’Etica.

E come si potrebbe tradurre questa regola in termini pratici? Semplicemente, ciò che una
persona fa a e con se stessa non è affare della società (e qui si include lo stato); ma laddove
l’azione di una persona abbia impatto (in particolar modo negativo) sul prossimo, allora la
società ha dovere di essere arbitro imparziale per garantire il diritto di ogni persona.

Ed è qui che l’Etica, con un semplice passo, un corollario evidente, divide il ruolo tra società
ed individuo: esistono aree ben definite dai confini di diritto tra l’uno e l’altro.

Purtroppo in moltissimi casi del cosiddetto “socialismo reale” questa linea di confine è
stata attraversata; ed in ogni caso in cui ciò è successo, lo stato è chiaramente colpevole di
un errore etico verso l’individuo. Basti pensare all’ingerenza dell’URSS nella vita dei
cittadini. Ed è così, purtroppo, dimenticandosi di uno dei suoi principi fondamentali, che il
comunismo si è guadagnato – a ragione – l’epiteto non lusinghiero di “statalismo”.

L’ecosocialismo, a mio avviso, non dovrebbe mai dimenticare che lo stato semplicemente
non ha diritto di intervenire in scelte personali, a meno che queste abbiano effetti negativi
su altre persone. E qui ci si può domandare quale diritto abbia uno stato di intervenire su
scelte che non hanno alcun impatto su altre persone come fumare uno spinello. È
un’ingerenza dello stato nella vita privata di un cittadino. Lo stato semplicemente non ne
ha diritto. Certo, c’è chi propone il falso argomento che comprando marijuana o hascisc si
alimenti la mafia. Beh, allora chi se la cresce non rientrerebbe in questo discorso, ed invece
è letteralmente perseguitato (perseguire significa punire senza diritto). È comunque, si
alimenta la mafia solo per volere dello stato stesso, che vieta la vendita o distribuzione
legale di tali prodotti naturali, ed è quindi lo stato colpevole di alimentare la mafia, non il
cittadino che voglia semplicemente fare una scelta privata che poi viene limitata dallo stato
stesso. Né vale la scusa facilmente smontabile che lo stato debba “tutelare la salute dei
cittadini”; intanto, “tutelare” non significa “imporre”, poi se veramente esso avesse il
diritto di imporla, avrebbe anche il dovere di eliminare tutte quelle fonti di malattia
(dall’inquinamento allo stress) che non solo sono più deleterie di una canna, ma non sono
nemmeno volute dai cittadini e si impongono alla popolazione suo malgrado, a differenza
di quello che accade quando ci si accende uno spinello, si mangia un funghetto ecc.

L’Etica, in fondo, è abbastanza semplice da capire se si parte da concetto sani e certamente


è una scienza assolutamente razionale, come la matematica.
La sinistra e i suoi valori
Chi dice che non esistono più destra e sinistra mente e spesso sa di mentire. Se è vero che
in Italia la sinistra è mal rappresentata in Parlamento, ciò non toglie che la sinistra sia viva e
fiorente. Si chieda a chiunque sia onestamente di sinistra e ci si accorgerà che i valori
sociali, morali e politici della sinistra sono chiari, solidi, io direi indiscutibili e, quel che conta
per un’analisi corretta della salute della sinistra, molto condivisi e condivisibili. Certo, nel
nostro paese si è fatto di tutto per escludere la prospettiva della sinistra dalla
rappresentanza democratica, che quindi tanto democratica non può essere. Tanto per
cominciare, lo sbarramento elettorale ha penalizzato la sinistra, di natura pluralista, che ha
visto partiti anche storici scomparire dal radar politico. Ma se questo difetto del nostro
sistema “nasconde” la sinistra e le previene di far sentire la sua voce nella più alta
istituzione dello stato, ciò non vuol dire che la sinistra sia sparita. È il solito gioco di truccare
i dati per poi trarne la conclusione comoda a chi li ha truccati.

È anche vero che, storicamente, quando il discorso politico si sposta a destra, l’elettorato di
sinistra tende a non votare. A sinistra si fa fatica a votare sulla base di discorsi incentrati
sulla paura, il discorso chiave della destra; a sinistra si vota quando chi chiede la nostra
rappresentanza offre soluzioni e visioni migliorative della società e dell’economia. C’è un
detto nel mondo anglosassone che casca a fagiolo: la destra vince mettendo paura, per la
sinistra, vincere è più difficile perché deve proporre un sogno, un mondo migliore. Certo,
incutere paura con crisi spesso orchestrate a tavolino e gonfiate a sproposito dai mezzi di
comunicazione di massa è facile. Qui in Italia sono stati i migranti che fuggono da guerre e
situazioni orribili sostenute dai nostri stessi governi (fu la Lega a presentare e votare con FI
in Parlamento il bombardamento della Libia, che si sapeva avrebbe causato profughi, ad
esempio); in Gran Bretagna sono i migranti europei, negli USA quelli dal Messico. Gli attori
cambiano, ma il copione è esattamente lo stesso che recitava Hitler sugli ebrei; le colpe di
tutti i problemi vanno ad un gruppo di persone che vengono demonizzate per incutere
paura e proporre l’uomo forte e false soluzioni antidemocratiche. Ed è questo
stratagemma che è alla base del e definisce il fascismo.

Non solo, ma in Italia abbiamo avuto un ventennio berlusconiano dove il discorso


demagogico e la de responsabilizzazione dei politici sono stati normalizzati e, nel
frattempo, la voce vera della sinistra, quella che propone soluzioni a volte complesse, ma
sempre democratiche ed umane, è stata sopraffatta dalle strilla demagogiche del
neofascismo amplificate da social media e poi ancor più da giornali e televisione complici
della deriva antidemocratica del nostro paese.

Ma la sinistra è solo andata underground non è sparita quando si è vista rubare il diritto di
avere la propria pluralità e diversità di idee rappresentate in Parlamento, generando
disaffezione verso le forze parlamentari. Quello che non ci si deve mai dimenticare è che il
4 maggio 2018 ben diciotto milioni di italiani circa non andarono a votare, un milione e
mezzo in più di quelli che votarono per il governo che ne seguì. Questa cifra rappresenta
circa il 34% degli aventi diritto, la vera maggioranza silenziosa, e tutti gli indicatori ci dicono
che la stragrande maggioranza dei non votanti siano di sinistra.
Ma ancora non abbiamo detto cosa significhi essere di sinistra. Per me essere di destra o
sinistra, come dicevo, non significa semplicemente votare per un partito che si dichiari
dell’una o dell’altra parte: si tratta di ideologie, stili di vita, e scelte morali opposte. Essere
di sinistra significa voler dare, voler condividere, volere il bene del prossimo e saper anche
rinunciare ai propri privilegi per il bene comune ed altrui. È un modo di pensare e di agire,
un modo di vivere l’esperienza nel rispetto ed amore del prossimo e della comunità.
Questa è per me l’indole naturale dell’essere umano. La propensione, invece, secondo me
non naturale, ma dovuta a condizionamento sociale, della persona di destra è di “portare
acqua al proprio mulino”, di mettere se stessi prima degli altri e pensare in primo luogo ai
propri interessi, e se questo lo si fa anche a discapito di altri, allora si è di estrema destra. Il
passo è breve ed è stato incoraggiato da una retorica demagogica impressionante e credo
fermamente studiata a tavolino.

Ma quali sono i valori della sinistra? Ovviamente sono tanti, ed ogni individuo avrà valori
personali, ma si possono chiaramente rintracciare e riscoprire quei valori che uniscono
tutto il popolo di sinistra. Ne farò un elenco, ed ovviamente la lettrice o il lettore sono liberi
di aggiungere i propri, ma credo che quelli che seguono siano i valori più comuni e condivisi
da tutti noi; per chi non abbia bisogno di tale riepilogo, chiedo scusa, questo testo vuole
essere il più aperto possibile anche a chi si affacci da percorsi diversi, e consiglio magari di
dare un’occhiata e passare al prossimo:

 I Diritti Umani; la sinistra crede fermamente che tutte le persone abbiano pari
diritti, senza alcuna distinzione. Questo, oltre che sul suolo italiano, vale per tutte le
persone del mondo intero. A sinistra non si crede nella superiorità di una persona
sull’altra; non si crede che il miliardario statunitense abbia alcun valore umano che
lo renda superiore al bambino che soffre di fame in Malawi. Tutte le persone di
tutto il mondo sono eguali, hanno pari diritti, e questo non è solo un ideale, ma un
obiettivo da raggiungere al più presto, ed il fatto che la società ed il sistema
dominante non lo rendano possibile al momento non è né giustificazione della
correttezza di questa situazione ingiusta né tanto meno una giustificazione della
superiorità di chi sostiene e promuove questo sistema capitalista e corporativista,
anzi, caso mai è un’accusa che il sistema dominante dovrà accettare e da cui si
dovrà difendere davanti a tutte, ma proprio tutte le persone di questo pianeta. È
un’ingiustizia talmente enorme che ne dovranno rispondere a tutti, ma proprio
tutti.

E se al momento appare difficile cambiare l’assetto geopolitico del pianeta, ciò non
significa che non sia possibile.

 La Giustizia; la Giustizia è un argomento così importante che le dedicherò di cuore


un capitolo a sé. Ma ora vorrei dire una cosa sola che ribadirò spesso: chi non crede
nella Giustizia non può più credere a niente, neanche a Dio. È un valore così
fondamentale che si esprime nei rapporti umani, anche familiari come in quelli
sociali, di cui lo stato deve occuparsi, ed è l’unico valore su cui si possono fondare le
leggi. Una legge ingiusta non ha autorità alcuna. Allo stesso modo inviterei i lettori a
considerare il concetto di Giustizia applicato anche all’ambiente ed al pianeta e tutti
i suoi abitanti, umani o no. Ne parleremo ovviamente più a fondo quando
parleremo di ecosocialismo nel dettaglio.

 La Libertà; anche la Libertà è un valore così basilare della sinistra che ne parleremo
a lungo in questo libretto. Ovviamente, la Libertà personale finisce laddove
comincia quella del prossimo. Questo è un concetto così basilare che persino un
bambino delle elementari lo capisce. Mi domando solo come si possa, nel
ventunesimo secolo, vivere in un mondo dove questo concetto non sia ancora
applicato, non solo, dove sia spesso calpestato come conseguenza del sistema
dominante senza che tale sistema venga responsabilizzato per ciò. Ma avremo
modo di approfondire. Certamente come essa è concepita a sinistra è totalmente
diverso dallo pseudovalore spesso promosso a destra per cui si possa nuocere ad
altri senza prendersene le responsabilità, che spesso si traduce nel poter
danneggiare chi si trovi in una situazione meno avvantaggiata.

 La Pace; l’Italia “ripudia la guerra”, e questo è uno dei valori fondamentali della
Resistenza che la sinistra ha fatto propri. La sinistra si è sempre presentata in piazza
contro le guerre imperialiste e dobbiamo farlo – o continuare a farlo – con
coerenza. Nessuna guerra deve essere accettata. Dal mio punto di vista neanche le
guerre che si potrebbero definire “metaforiche”, inclusa la guerra al capitalismo,
che non si può vincere se è guerra, ma che io vedo come una partita di idee e dove
penso che il capitalismo sia sotto scacco matto. Ed è lì che dobbiamo spostare il
discorso; solo con un vero dibattito fondato sui fatti vedremo il sistema dominante
crollare. Ne parleremo ancora in questo pamphlet, ma ovviamente, bisogna
cominciare a costruire le condizioni geopolitiche che rendano possibile la Pace. Non
basta lasciar fare alle multinazionali e ai loro pupazzi politici i loro comodi per anni
per poi indignarsi quando, dopo aver creato conflitti economico-sociali che giovano
solo a loro, decidono di far scoppiare una guerra per trarne ulteriore profitto. Tutto
va rivisto, dall’esportazione di armi alla diplomazia della comunità internazionale
dove nascano conflitti di interesse tra nazioni, Popoli o tra un Popolo e i suoi
dirigenti. La guerra va prevenuta come un cancro politico e sociale. La guerra porta
profitti enormi a certi settori dell’economia corporativista, non ultimo il settore
petrolifero. Sapete che quando gli USA entrano in guerra il consumo di petrolio
mondiale cresce del 40% solo per alimentare la sua marina militare? E chi è così
ingenuo da credere che i petrolieri non seguano i propri interessi? Ma la Pace è
molto di più che l’assenza di guerra; la pace è uno stato del mondo in cui l’Amore
può espandersi, la Pace è il terreno fertile per la sinergia delle culture, la Pace è la
conditio sine qua non (condizione necessaria) che permette che le migrazioni siano
moderate e gestibili; si potrebbero scrivere libri sulle conseguenze positive della
Pace, e, quando si parla di ecosocialismo, la Pace è sia valore che necessità per
costruire un mondo basato su una economia diversa.

 La Democrazia; la Democrazia non è solo un modus vivendi, ma un valore vero e


proprio. Vero, trattasi di concetto astratto e realizzabile in molti modi diversi. Vero
anche che non è solo un valore della sinistra; esso è in fatti condiviso anche dal
centristi e da persone di destra. E non è (stato) necessariamente sempre condiviso
da tutti a sinistra. Ad esempio, venendo orgogliosamente ma criticamente da un
passato vicino ed a sinistra del PCI, io ricordo che in gioventù ci fu chi a sinistra
credeva nella dittatura del proletariato, concetto che sin da adolescente non mi
convinse. Nessuna dittatura deve essere accettata nel nostro paese, né favorita in
altri, sia essa del corporativismo o del proletariato. La Democrazia è condivisione
equa del potere (parola che non mi piace e vedremo perché in seguito), o meglio
della gestione della res publica, ma è anche mettere tale gestione al servizio dei
cittadini e residenti e dell’ambiente stesso, guardando avanti a concetti
ecosocialisti.

Parleremo ancora di Democrazia, ovviamente, ma per ora inviterei chi legge a


pensare profondamente al significato di questa parola, che non può realizzarsi solo,
come urlano ed hanno urlato recentemente certi nell’estrema destra, in un
generico voto; votare non è di per sé Democrazia, argomento che approfondiremo.

 La Nonviolenza; sappiamo bene che nel passato, anche del nostro paese, forze di
sinistra hanno usato violenza per – esattamente non capisco quale fosse il principio
per cui una bomba potesse diffondere un’idea, caso mai il contrario... Comunque,
non è mai funzionato, e non solo, non credo che la violenza possa essere mai
contemplata se si parte dai Diritti Umani, ed il diritto alla vita e alla salute di tutti,
anche dei propri avversari politici. Quindi, penso che la sinistra debba per forza
adottare la Nonviolenza come valore fondamentale. Ne parleremo ancora,
discutendo come si possa avere una rivoluzione gentile, l’unico modo secondo me
per cambiare il mondo in meglio, e come la Nonviolenza significhi ancor di più e sia
ancor più efficace come metodo di cambiamento di quello che la maggioranza delle
persone pensi.

 La giustizia sociale; la convinzione che la società esista come arbitro imparziale dei
rapporti sociali e come agevolatrice delle opportunità di ogni individuo è un
concetto fondamentale della sinistra. È inutile che mi si dica che il figlio di un
miliardario abbia le stesse opportunità del figlio di un operaio. È una menzogna
palese e spudorata. Ed è qui che la giustizia sociale, spesso nominata da politici vari,
sembra una presa in giro.

Permettetemi una praeteritio; vorrei forse dire che un genitore, avendo lavorato e
risparmiato tutta la vita, non possa aiutare i propri figli e le proprie figlie nella vita?
Certamente no; questo succede e succedeva in quei paesi dove il capitalismo di
stato, anche detto impropriamente socialismo reale o comunismo ha imperato. Ma
come si fa, allora, a raggiungere uno stato di giustizia sociale senza un livellamento
(sociale ed economico) delle persone?

Il segreto vero è nel cambiare il discorso (dominante) di scarsità in uno (represso) di


abbondanza; ne parleremo in un capitolo a parte, ma a mio parere il discorso
dell’abbondanza deve diventare centrale nel pensiero di sinistra. Vedremo come.

Ovviamente, si possono stabilire limiti (come si fa nei Paesi Scandinavi) alla disparità
sociale, e già quello sarebbe un passo fondamentale. Che esistano persone che
stentano a vivere dignitosamente (o persino a vivere) mentre altri possano avere
non solo tutto ciò di cui hanno bisogno, ma tutto ciò che vogliono, e che possano
accantonare miliardi in conti correnti in paradisi fiscali è una palese ingiustizia
sociale. La storiella che loro se li sono ‘meritati’ questi soldi non regge. Non penso
che Rockefeller o Lord Rothschild abbiano lavorato miliardi (o migliaia di miliardi) di
ore in più di un contadino medio per meritare una tale fortuna. Non se li sono
guadagnati; li hanno rubati sfruttando il prossimo, usando le loro posizioni
agevolate per avvantaggiarsi e causare ingiustizia sociale e persino morte e guerre.
Mi spiace, questo non vuol dire meritarsi la propria ricchezza, discorso vittoriano ed
insostenibile nel ventunesimo secolo.

Ovviamente la si può ottenere giustizia sociale tramite un’educazione veramente


equa. Diciamo le cose come stanno: è ridicolo pensare che la figlia di un operaio o
contadino che stenta a tirare fine mese possa andare all’università. Invece, quel
diritto lo dovrebbe avere anche il senzatetto. Mentre succede spesso che figli/e di
industriali abbienti possano pagarsi la retta di università famose anche all’estero,
anzi, esiste un vero e proprio mercato basato su questi giovani abbienti. E fidatevi, è
molto più difficile bocciare uno studente che paga anche 50,000 dollari all’anno che
uno che non paga la retta. Ci ho lavorato in quell’ambiente...

Esistono poi altri ostacoli che devono essere eliminati; in Italia è quasi impossibile
mettersi in proprio a meno che non si abbia un bel gruzzoletto da parte. La figlia di
un’infermiera è ben improbabile che possa farcela. E pensare che Gaddafi dava
prestiti di 50.000 dollari a interesse zero a chiunque volesse aprire un’attività in
Libia e noi ci chiamiamo paese democratico e progredito e non sappiamo fare
quello che faceva il dittatore di un paese che noi abbiamo bombardato? I nove
miliardi per bombardarlo e fare disastri li abbiamo trovati però, abbastanza per
dare un prestito simile a 180,000 persone svantaggiate che volessero mettersi in
proprio. No, scusate, non un prestito, abbastanza per regalarli!

Esistono ingiustizie palesi sul posto di lavoro. Nonostante la Direttiva Europea


2000/78 che vieta ogni discriminazione sul lavoro, in Italia, ad esempio, cercare
impiego dopo i 35 anni di età (per esempio) è virtualmente inutile. In Gran Bretagna
non possono nemmeno domandarti l’età al colloquio; è vietato; nel nostro paese è
la seconda domanda che ti chiedono quando fai richiesta, dopo nome e cognome. È
inaccettabile.

Comunque, giustizia sociale non vuol dire “livellamento”, ma garantire pari


opportunità, tanto per cominciare, e ciò deve essere attuato suo campo. Bisogna
fare proposte concrete su come superare questo stato di ingiustizia sociale.

 Libertà di espressione; anche questo è un valore essenziale della sinistra, ed anche


questo è stato travisato dall’estrema destra. Essere liberi di esprimersi non significa,
ovviamente, insultare, calunniare e minacciare altre persone. La distinzione è
semplice. Ma la libertà di espressione, per coloro che hanno possibilità di
amplificare la loro voce e raggiungere il grande pubblico, deve anche comportare
delle responsabilità. Un conto è l’individuo che vuole esprimersi, un altro è il
professionista che deve diffondere informazione e sa di poter influenzare la gente. I
due ruoli non si possono mettere sullo stesso piano ed è chiaro che il secondo
comporti responsabilità molto più grandi. La deontologia professionale di giornalisti
etc. deve essere molto rigida. Invece abbiamo visto giornalisti asserviti al potere,
nonché diffusori nudi fake news. Il discorso sulla comunicazione di massa va
affrontato apertamente e razionalmente. Se deve esistere una libertà di
informazione (parola migliore che di “stampa”), non deve esistere il Far West della
disinformazione in cui siamo caduti. Non solo, ma libertà di informazione significa
anche libertà di essere informati, e allora si può dire che chi disinforma
consciamente va contro tale libertà. Avremo modo di approfondire i temi del
linguaggio e dell’informazione più avanti.

 Diritti dei lavoratori, pensionati e studenti; ovviamente ogni persona ha diritti


inalienabili in quanto tale, ma chi lavora, chi è in pensione e chi studia deve avere il
proprio ruolo tutelato. Ciò è necessario ancor più dallo strapotere del capitalismo e
corporativismo, nonché dal progressivo indebolimento dei sindacati e altri
rappresentanti dei lavoratori, pensionati, e degli studenti. Lo sciopero è un diritto
inalienabile, ad esempio, perché chi ritiene che nel proprio ruolo subisca ingiustizia
deve avere il sacrosanto diritto di rifiutarsi di compierlo sino a che tale ingiustizia sia
corretta. Io, comunque, amplierei il concetto di lavoratore: volontari, casalinghi/e,
chiunque svolga lavoro non pagato è di fatto un lavoratore / una lavoratrice e deve
avere il proprio ruolo e mestiere tutelato.

La qualità del lavoro, della retribuzione, le ore di lavoro e la sicurezza del lavoro
devono essere tutelati. Invece sono spesso peggiorati negli ultimi decenni, e questo
è un vero e proprio fallimento dello stato e degli stati, che hanno ceduto alle
pressioni dei capitalisti invece di proteggere la qualità del lavoro e della vita della
stragrande maggioranza della popolazione. Questo è un sintomo di un vero e
proprio deterioramento degli standard democratici dei paesi occidentali e non solo.
Se una minoranza ricca può permettersi di imporre (anche con metodi indiretti) un
peggioramento delle condizioni della stragrande maggioranza meno abbiente la
Democrazia stessa è in crisi, e crisi grave. La solita minaccia di “fare baracca e
burattini” e andare altrove non solo è poco credibile, è anche debellabile
facilmente. L’esempio si può prendere dalla Direttiva UE 2016/1164 che gli stati
membri dovranno recepire entro il 1° gennaio 2020; se una ditta o corporazione
decide di spostare denaro, proprietà o lavoro tra uno stato membro e un altro o al
di fuori dell’UE stessa dovrà prima pagare tasse sul valore spostato. E sarà forse per
questo, come ormai si urla in GB negli ambienti anti Brexit, che dal 2016, da quando
questa direttiva fu varata, che l’antieuropeismo ha visto fondi ingenti e grandi
campagne su media con partiti di estrema destra, detti sovranisti, che spopolano
con politiche demagogiche ed anti-UE ma che in realtà vogliono servire il potere
delle multinazionali? Ma un’altra risposta a questa falsa minaccia la proporremo più
avanti, quando guarderemo a metodi per introdurre forme di socialismo nel nostro
ed altri paesi.

 La tutela ed il rispetto delle minoranze e dei più deboli e bisognosi; un altro


grande valore della sinistra, ovviamente non condiviso dalla destra, che ci distingue.
Infatti, si potrebbe pure arguire che una persona sia tanto più di sinistra quanto
voglia porre per primi i più deboli e discriminati. La sinistra, in questo modo,
sarebbe veramente una direzione ed essere di estrema sinistra non significherebbe
più essere intransigenti su un dogma ideologico, ma riscrivere l’ordine delle priorità
di una società affinché gli ultimi siano i primi, ovvero affinché i più bisognosi siano
accuditi ed aiutati per primi. Purtroppo, gli ultimi, le minoranze emarginate, non
portano voti. Ed è proprio come i filosofi della Scuola di Francoforte avevano
predetto che il capitalismo si sarebbe sviluppato. Così, i grandi partiti di sinistra o
sedicenti tali hanno dimenticato i poverissimi, i senzatetto, tutti coloro che non
contribuiscono al loro bottino elettorale. Ma è proprio qui che l’anima della sinistra
deve ricordare a tali partiti che sì, la stragrande maggioranza dei loro elettori magari
non è in condizioni inumane, molti eruditi, molti professionisti con buone condizioni
di vita, ma che questi elettori non pensano solo a se stessi, e mettono prima chi ha
più bisogno. Se si perde questo valore, si perde l’anima stessa della sinistra.

La retorica politica della scarsità, quel discorso capitalista di mors tua vita mea per
cui tutti viviamo nella paura di perdere diritti e benessere acquisiti ha condizionato
anche gente una volta profondamente di sinistra a pensare al loro orticello, timorosi
di perdere il posto in banca o la cattedra al liceo ed ha spostato il discorso da
sinistra a destra, dalla tutela dei più poveri alla tutela del proprio benessere, nella
falsa convinzione che uno escluda l’altro. Ed invece no! Non è vero che dobbiamo
essere tutti in competizione come dice il capitalismo; non è vero che se si aiuta un
povero migrante a lavorare per una paga non da schiavo, se si aiuta una famiglia
Rom ad aprire una bancarella dell’usato o di bigiotteria l’insegnate o l’impiegato
debbano rinunciare al loro benessere. Dobbiamo ritornare a pensare che un paese
più benestante nelle classi meno abbienti arricchisce tutti. Invece, il capitalismo ci
propone la trickle down economy, la falsità comprovata da studi economici e
matematici per cui se si arricchisco ancor più i più abbienti prima o poi qualche
briciola di benessere cade giù dal tavolo per le classi medie. Non funziona, non è in
grado di funzionare, ed è scientifico che non lo faccia. Mentre il contrario significa
che anche il migrante potrà comprare un po’ di più arricchendo il commerciante ed
il contadino, ed anche il Rom, che per giunta, con una bancarella dell’usato
potrebbe far risparmiare soldi all’operaio che ancora stenta a tirare la fine del
mese. Il benessere condiviso coi poveri genera benessere anche per i meno poveri.

Esistono quindi due motivi per cui i più deboli debbano essere aiutati con priorità:
uno etico, di Giustizia sociale e non solo sociale, uno economico. Ed è da stolti
nonché egoisti non farlo.

 Educazione; l’educazione è cara alla sinistra. L’educazione porta emancipazione


oltre che ad una crescita personale e a contributi migliori alla società. È chiaro che a
sinistra si tenga l’educazione di tutti come valore da condividere. A destra, invece,
l’educazione è vista come modo per arricchirsi personalmente in alcuni ceti, mentre
in altri è vista come inutile, perché tanto non serve averla se papà ti lascia la
dittarella in eredità... Dato che siamo sull’argomento, io eliminerei il Ministero
dell’Istruzione (parola deplorevole, che significa “indottrinamento”) e lo
rimpiazzerei con il Ministero dell’Educazione (dal latino e duco, ovvero “portar
fuori”, “far venire fuori” il potenziale dell’alunna/o); anche le parole contano, come
vedremo nel capitolo sul doublespeak.

 Sanità; la sanità pubblica è molto cara alla sinistra. Fa parte del discorso sulla
giustizia sociale ed ha marcato, nella storia dei paesi europei, una conquista di
dimensioni epocali da parte delle masse. Non è pensabile che la sanità possa essere
gestita dall’interesse privato. Purtroppo, anche se la sanità è pubblica, manca di
fondi da una parte, dall’altra una fetta grandissima di questi fondi va ad arricchire
multinazionali che vendono i loro farmaci a prezzi esorbitanti rispetto al costo di
produzione, con guadagni strepitosi (tra i grandi settori, petrolio, armi ecc., le ditte
farmaceutiche sono quelle che fanno i profitti più alti sul fatturato, questo è un
dato a livello mondiale). Sapete quanto costa produrre un’aspirina? Circa un
centesimo, eppure un pacchetto da ventiquattro viene venduto a più do 6 euro in
Italia. Fate voi i conti.

Parleremo con più profondità di riforme possibili nella sanità in ambito


ecosocialista, per ora, ci limiteremo a ricordarlo come uno dei grandi valori della
sinistra.

 Parità dei sessi; non includo le donne tra le minoranze per ovvi motivi. La parità dei
sessi è un valore di sinistra senza alcun dubbio. Ma questa deve cominciare da un
cambio di attitudine verso le donne anche nella vita quotidiana, non la si può solo
raggiungere con quote rosa. Purtroppo ho visto anche persone che si ritengono di
sinistra esprimere concetti che rivelano un maschilismo recondito inculcato da
secoli di misoginia e ancora a volte avallato da cosiddetti “valori tradizionali”.
Ancora si può vedere un’attitudine discriminatoria e predisposizioni anche solo a
non prendere le donne seriamente che non devono più esistere. Studi dimostrano
che ancora gli uomini danno meno peso a quello che le donne dicono in generale,
che persino gli insegnati tendono a rivolgersi più spesso ai maschi che alle femmine
in classe ecc. Quindi si tratta di una questione di educazione profonda. Bisogna
disimparare i non-valori e imparare ad applicare i valori veri nella nostra vita
quotidiana.

Questa però non deve essere una scusa per non far niente a livello legislativo e
sociale; le donne devono avere le stesse opportunità, anche di carriera, ed anche in
politica, degli uomini. È vero che spesso la società mette la famiglia come ostacolo
alla realizzazione professionale delle donne. Ed ho persino sentito donne
giustificare la disparità tra i sessi con il discorso che “devono accudire i figli”. Se ciò
è una scelta, ben venga, la carriera lavorativa non è di per sé un obbligo, anzi,
spesso è sopravvalutata, ma non esiste giustificazione per porte che si chiudono. Se
lo status quo è ingiusto ciò non giustifica nulla, ed è la società che ha il dovere di
cambiarlo. La Giustizia, come si diceva, è un valore assoluto. Ne parleremo più in
dettaglio, anche in questo caso, quando parleremo di ecosocialismo, che può
proporre soluzioni serie sull’argomento, ma in generale, giusto per stuzzicarvi, le
soluzioni possono essere di due tipi che io sappia: una di tutela legislativa, l’altra di
riforma sociale, che veda anche un concetto di famiglia meno monolitico e
dogmatico.
 Il rispetto per l’ambiente e per il pianeta; un valore che dovrebbe essere
universale, per motivi sia etici, in primo luogo, che pratici. Purtroppo, la destra
mondiale va dal tiepido al negazionista e strafottente in questo campo. La sinistra,
invece ha abbracciato questo valore sin dagli anni ’80.

I motivi per cui si debbano rispettare l’ambiente ed il pianeta sono svariati: c’è chi
arriva a questo valore per motivi etici, come feci io, o chi ci arriva tramite la
consapevolezza che stiamo distruggendo la Natura, e che, come mostrano studi
ormai ben noti, non abbiamo tanto tempo su questo pianeta prima che la fine
stessa sua e della nostra civilizzazione siano inevitabili; si parla di decenni massimo.
Infatti, il movimento ecologista mondiale, oggi molto rappresentato da Fridays for
Future, si centra sul fatto che tale rispetto è ormai non più un lusso ma una
necessità. È certamente c’è chi abbraccia questo valore venendo da entrambe le
strade, o prospettive.

Parleremo a lungo di questo valore, essendo alla base dell’ecosocialismo stesso.


Quali siano le strade percorse dal lettore che l’abbiano avvicinata/o a questa
proposta, o all’ecosocialismo in generale, rimane una questione privata, ma
l’ecosocialismo, per essere una teoria sociale ancor prima che politica seria, non
può ignorare la questione etica. Quindi, per coloro che vengono da un percorso
guidato principalmente dalla necessità di guidare il pianeta, il discorso etico che
seguirà in questo opuscolo potrebbe suonare estraneo alla propria esperienza, ma
capirete che è d’uopo affrontarlo. Ne parleremo a fondo, e vedremo come dal
punto di vista ecosocialista sia impossibile credere veramente di salvare il pianeta
con il sistema dominante presente. Non è credibile che un sistema basato sullo
sfruttamento delle persone umane (pratica non etica di un sistema a-etico se non
antietico) possa non solo trovare, ma attuare soluzioni che devono per loro natura
vedere cambiato la relazione tra l’Umanità stessa e la Natura. È da sciocchi pensare
che chi crede che sfruttare un essere umano per l’idolo profitto possa ad un tratto
abbracciare concetti profondi di rispetto vero verso piante ed animali. Può esistere
un discorso di convenienza e persino necessità in tale ideologia, ma se si vuole
cambiare il mondo una volta per tutte, i principi su cui si baserà il vero Mondo
Nuovo (non quella menzogna che alcuni avranno incontrato autoproclamatasi
Nuovo Ordine Mondiale, o NWO, che io preferisco chiamare SOS, ovvero “same old
shit” – lascio la traduzione a chi legge) dovranno essere solidi. In soldoni, se si
attuano misure per salvare l’ambiente sulla base di una necessità, cosa succederà a
tali misure quando la necessità svanirà? Noi non possiamo permetterci, come
specie, di fare cambiamenti temporanei e di fatto superficiali; abbiamo il dovere
etico e sociale di lasciare un mondo permanentemente migliore alle generazioni che
ci seguiranno. Tali cambiamenti radicali si realizzano solo partendo dalla coscienza
etica, e cambiando il sistema, non solo le sue manifestazioni esteriori. È inutile
curare i sintomi lasciando le cause di un male.

Ovviamente il movimento ecologista non deve per forza abbracciare una riforma
radicale della società; si possono benissimo proporre soluzioni ambientaliste che
tutelino l’ambiente senza pensare a cambiamenti sociali; ma qui è dove
l’ecosocialismo si distingue. Per il principio stesso per cui un sistema che non
rispetta nemmeno gli Umani non è affidabile nella tutela di esseri viventi da esso
stesso considerati non solo inferiori, ma persino strumentali al capitale,
l’ecosocialismo invece vede un cambiamento sinergico tra i rapporti sociali e quelli
della nostra specie colla Natura ed il pianeta, che mi perdonerete se chiamo col suo
nome: Madre Terra.

 La lettura sociale; questo è un valore che la sinistra sta dimenticando; lo vedo nei
discorsi di molti esponenti del pensiero di sinistra, ma lo sento anche “on the
ground”, ovvero parlando con amici nei bar e nelle piazze. È un valore che, potrete
dissentire su questo punto, a mio avviso è stato letteralmente represso. Ora mi
spiego. La destra basa la sua lettura sociale su un precetto vittoriano e calvinista per
cui se una persona è svantaggiata nella società è per colpa sua. Margaret Thatcher
ne fece la chiave di lettura di tutta la sua politica, e non solo, con l’aiuto del
reganesimo lo impose come chiave di lettura sociale a tutto il mondo, per lo meno
occidentale. Il concetto fu poi spinto più avanti, annullando di fatto l’idea, per
giunta corroborata ampiamente da tutti gli studi di sociologia, che chi compie un
errore a livello sociale lo faccia in piena libertà e quindi se ne debba assumere le
responsabilità pienamente, scagionando di fatto la società che ne causa le
condizioni, il sistema capitalista. Ora, pensiamo ad una persona che ruba per
mangiare; è un reato, sì, ma che scelta avrebbe? Morire di fame? O non è forse una
società assente, che non dà il minimo per sopravvivere a tutti come dovrebbe, la
vera colpevole?

La sinistra invece ha storicamente sostenuto la posizione per cui quando qualcosa


va storto, in primis si debbano guardare le cause sociali che hanno portato a tale
errore. Questo non solo garantisce l’opportunità di correggere l’errore alla fonte,
prevenendo future ripetizioni da parte di altri, ma ristora anche quella che è la
giustizia sociale. È inutile venirmi a dire che chi ruba una bici perché tutti i suoi
coetanei hanno il motorino, ed è messo sotto pressione sociale dal sistema stesso
(si pensi solo a come il sistema fa sentire il meno abbiente “inferiore”, e non
parliamo poi di tutti i condizionamenti del consumismo) e magari ne ha anche
bisogno (anche per avere una vita sociale) sia colpevole unico del furto.

Mentre per il capitalismo che controlla, gestisce e modella la società la società


stessa non è soggetta a giudizio, cosa che puzza, mentre solo l’individuo lo è, per il
socialismo prima si giudica e corregge la società e poi si guardano le vere
responsabilità personali. Non sono nemmeno accettabili le solite generalizzazioni
che vengono promulgate dalla destra per cui “allora tutti possono fare quello che
vogliono”. Solo un ignorante potrebbe non saper distinguere la responsabilità
sociale da quella personale, e non c’è bisogno di scagionare tutti sulla base di un
principio che distingue chiaramente responsabilità personali e della società. E
quello che è ridicolo è che questa generalizzazione, per giunta ormai applicata non
solo nella logica comune, ma nelle azioni dello stato, dà obliquamente degli
ignoranti ai magistrati stessi.
È chiaro che chi commette reati al di fuori di uno stato di necessità e con libertà di
scelta sia pienamente responsabile delle proprie azioni. Ma quando la libertà di
scelta viene meno per causa (o colpa se accertato) della società, perché la società
dovrebbe nascondersi dietro ad una immunità non fondata? Qui ancora si vede che
il socialismo e la sinistra in generale propongono un rapporto più equo tra individui
e società, non solo tra gli individui stessi. Al contrario, la destra, per quanto urli
contro gli interventi statali qualora siano a favore dell’equità sociale, parlando a
sproposito di “stato tiranno”, “comunismo”ed altre falsità del genere, in realtà
cerca (e spesso ottiene) una gerarchia tra società ed individuo per cui il secondo è
suddito della prima.

Forse vale la pena qui menzionare come il corporativismo in realtà dia un’immunità
ingiusta ed ingiustificata ai potenti. Si sa che se una persona fa causa ad una
corporazione, la corporazione può risponderne solo civilmente, e non penalmente.
Fate cause alla banca che vi ha rubato i soldi ed avrete (se vi va bene) una
ricompensa. Ma il furto è un reato penale, e le persone ai vertici delle banche che
nel 2008 hanno letteralmente derubato sette miliardi e mezzo di persone dei loro
risparmi hanno avuto totale immunità. Trattava si trattò di speculazione illegale ed
illegittima, quindi di un reato, voluta chiaramente dai vertici di alcune banche, ma i
colpevoli non si sono mai visti accusati personalmente delle loro azioni (che
certamente non hanno compiuto per necessità), nascondendosi dietro alle loro
corporazioni. Unica eccezione fu l’Islanda, di cui poco si parlò e parla, dove i
banchieri furono accusati, processati e spediti in galera, le banche sciolte, il Popolo
derubato non dovette ripagare le banche (dei soldi che le banche avevano loro
rubato!) ma si prese i suoi soldi e fondò banche popolari. La conseguenza? Mentre il
resto del mondo faceva pagare ai poveri per gli errori dei ricchi e rimaneva in
recessione, l’Islanda ne uscì immediatamente e vide anni di crescita
impressionante. Allora la Giustizia funziona anche sul piano economico... Hanno
finito di spaventarci colle loro favolette che senza di loro l’economia affonderebbe?

Approfondendo questo argomento, e a scanso di equivoci, prima che si pensi ad un


mondo dove un professionista che compie uno sbaglio sul lavoro non venga
tutelato, dobbiamo fare una distinzione tra sbaglio ed errore. Chiunque si occupi di
educazione o Giustizia sa la differenza benissimo, ma noi si dice pure “chi sbaglia
paga;” no invece! Chi sbaglia non paga, è chi erra che deve pagare! Lo sbagli è
commesso involontariamente, per mancanza di conoscenza o competenze, per
informazioni sbagliate, anche per stanchezza o dimenticanza. L’errore è una scelta
consapevole e libera. È l’errore che noi si deve guardare; sbagliando si impara.

 La libertà di movimento; la Costituzione garantisce libertà di movimento su tutto il


territorio italiano. Soffermandomi un attimo, questa libertà purtroppo non è
totalmente garantita. Provate voi a viaggiare per lavoro con una malattia che
richiede controlli o ancor peggio prescrizioni regolari e trovarvi a doverli ottenere
fuori dalla vostra regione di residenza. Parlo anche di medicine salvavita, che se voi
provate a chiedere fuori regione, vi troverete in difficoltà ad avere. Non è
impossibile, ma l’iter burocratico imposto dal regionalismo sanitario vi porrà
ostacoli non necessari (ad esempio, dovrete presentare certificazioni dall’ente
sanitario di provenienza) e io so di casi in cui il servizio è stato offerto solo
parzialmente e solo sotto estrema pressione. È ridicolo che la sanità, proprio il
servizio che dovrebbe essere garantito uniformemente a tutti i cittadini e residenti,
sia regionalizzata. Comunque la sinistra, in generale, accoglie positivamente anche
la libertà di movimento tra stato e stato. Questo dipende un po’ da persona e
persona e da in quale area della sinistra uno si collochi. C’è chi crede, come me, che
si dovrebbe, in un mondo ideale, poter viaggiare in tutto il mondo in piena libertà
(che non vuol dire senza regole) e chi crede che ci debbano essere limitazioni. Nel
secondo caso spesso credo che il pensiero di destra abbia forse influenzato quello di
sinistra, e pongo questa considerazione alla lettrice ed al lettore: è forse errato dire
che chi vuole limitare la libertà di movimento da chi proviene da stati disagiati (a
volte in guerra) poi reclami la propria di viaggiare liberamente ovunque? E come si
riconcilia questa posizione col valore fondamentale della sinistra che tutte, ma
proprio tutte, le persone del mondo abbiano pari diritti? Certo, esistono motivazioni
pratiche, economiche e persino di paura. Ma a sinistra, se qualcosa non funziona, si
cercano soluzioni. Non si cambiano i propri principi. I principi si cambiano solo se si
scopre che sono falsi.

L’intaccamento dei valori di sinistra causato dalla quotidianità, e spesso anche dalla
propaganda e dalla paura, è un fattore da considerare molto attentamente. Vivere
una realtà viziata dal sistema corporativista e capitalista, dove guerre volute dallo
stesso sistema rendono una situazione ingestibile, a lungo andare può persino far
dimenticare o abbandonare valori profondi di sinistra. Dopo anni di grandi (e spesso
errati e disinformati) discorsi sui migranti, è persino difficile fare un discorso sulla
libertà di movimento di chi viene dal sud del Mediterraneo. Ed invece il principio di
base è nascosto da una situazione estrema che avremmo potuto evitare. È anche
accettabile discutere come un’immigrazione enorme non sia sostenibile. Va bene, a
parte il fatto che i dati non mostrano un’immigrazione ingestibile, ma, al massimo
moderata; ma la questione rimane la stessa: evitando di causare ondate di profughi
si evitano anche situazioni estreme e difficili da gestire.

Rimanendo in tema di migrazioni, dobbiamo ricordarci di un principio che è verità


provata dagli studi sociologici in materia. Il problema non è il migrante, ma la sua
emarginazione. Questo, letto nella chiave di lettura sociale corretta della sinistra, ci
riporta ad una soluzione; tutti i dati che abbiamo ci dicono che quando i migranti
sono integrati non commettono tanti reati ma portano ricchezza al paese. Questa è
scienza. La retorica della destra ha fatto slittare la causa del problema
dall’emarginazione alla presenza stessa dei migranti. È questo è stato un discorso
che la sinistra non ha saputo fare. Sono mancate voci chiare dai nostri
rappresentanti in Parlamento che per lo meno si dichiarano di sinistra. Invece
abbiamo sentito mugugni e accenni imbarazzati sul tema. È ora che si faccia
chiarezza anche su questo punto. Noto che la retorica sui migranti sta cambiando;
lo si nota nei giornali con titoli tipo, “finalmente in salvo” ma anche da esponenti
politici che ribadiscono una posizione umanitaria e finalmente lo fanno ad alta voce.
Ma il discorso su quale sia la vera causa del crimine non si affronta negando che chi
si trova senza lavoro e senza opportunità sia statisticamente più propenso al
crimine, qualunque sia la sua provenienza o il colore della sua pelle.
 La solidarietà; ce la siamo dimenticata, ma la solidarietà è stata un valore della
sinistra sin dal diciannovesimo secolo quando nacque la cultura operaia. L’arte
britannica della seconda metà dell’ottocento e primo novecento è piena di esempi
di espressione di questo valore, che portò alla realizzazione di reti di mutuo aiuto
tra gli operai, alla nascita dei sindacati, alla pensione e poi persino al primo servizio
sanitario nazionale. Essere solidali con chi ha bisogno si avvicina tantissimo al
concetto cristiano “ama il prossimo tuo” che Gesù donò al mondo. La solidarietà è
osteggiata dal capital-corporativismo in molti modi; certamente l’indebolimento
progressivo del ruolo dei sindacati nel mondo occidentale ne è sintomo. Ma a livello
mentale, o meglio del paradigma usato per relazionarsi al mondo (ideologia), la
solidarietà non ha trovato terreno fertile in un sistema che propone, o meglio
impone, concetti come competitività e scarsità del benessere. Vedremo che
entrambi sono pure menzogne. Ma per ora, ci si ricordi che la solidarietà verso chi
ha bisogno deve, a mio avviso, rimanere un valore fondamentale di tutta la sinistra.

 L’antifascismo; ho tenuto questo per ultimo. È un valore? Certo, perché il fascismo


è un crimine immane, che mira ad eliminare (o corrodere) la Democrazia,
perseguendo ed aggredendo i più deboli, cercando di istigare odio, violenza è
guerra, proponendo non-valori, basato sulla falsità e la demagogia ed alla fine dei
conti, avvantaggiando i grandi poteri imprenditoriali a discapito del Popolo.
Ovviamente non è solo un valore della sinistra: è un valore di tutte le forze ed i
pensieri democratici. Ma la domanda è: cos’è il fascismo? Lo vedremo in un capitolo
a parte.

Permettetemi ora di proporre due valori che non sono sempre condivisi a sinistra, ma a cui
io credo e penso anche che saranno utilissimi nell’implementare l’ecosocialismo e, più in
generale, il pensiero di sinistra, come vedremo nel capitolo sul metodo. Dedico questi due
paragrafi alle due persone stupende che me li hanno insegnati; loro sanno chi sono.

 La cortesia; per “cortesia” non intendo niente a che vedere coll’etichetta di corte.
Invece la cortesia andrebbe vista come un principio: dare sempre, anche
all’avversario più acerrimo una possibilità. Questo concetto ha implicazioni
profonde, anche legali. Pensiamo al discorso recente sull’ergastolo ostativo. È stato
giudicato disumano dalla Corte Europea per i Diritti Umani. Molti hanno gridato allo
scandalo, secondo la teoria che il carcere a vita sia il deterrente più forte contro la
mafia. Lasciamo stare il discorso sul fatto che sia un deterrente (non pare lo sia); la
realtà della sentenza è che il carcere a vita resta, ma non senza possibilità di
redenzione. Questo è un valore condiviso per lo meno da parte della sinistra.
Ovviamente, per salvaguardare il valore, è necessario che se un mafioso possa
acquisire di nuovo la libertà vi siano controlli profondi ed efficaci sulla sua
conversione. A volte, si sa, il sistema non applica la soluzione logistica corretta per
poi accusare il principio di non essere corretto. Chiaro, nessuno ha il diritto di
nuocere altre persone; la Regola d’Oro resta come fondamento assoluto di tutto il
comportamento umano.
Guardiamo ora un attimo a quante possibilità abbiamo dato al sistema dominante.
Non sono computabili senza l’aiuto di un cervello elettronico dei più avanzati del
mondo. Strano, perché questo sistema di opportunità a moltissimi (si parla di
centinaia di milioni di persone minimo) non ne dà neanche una, nemmeno quella di
vivere, figurarsi di esprimere e diffondere un’idea che loro ritengano corrette. Ma
noi a sinistra siamo di un’altra pasta. Come noi abbiamo mostrato cortesia per
almeno secoli (credo millenni) verso il sistema capitalistico, è ora che il sistema
offra la stessa cortesia ai miliardi (e si parla di miliardi sicuramente) di persone che
questo sistema ha sfruttato, represso ed oppresso.

 Il valore dell’umiltà; questo non ha niente a vedere colla modestia, falso vera.
Umiltà significa servizio, il servire il prossimo (umano, animale, vegetale, minerale o
astrale). La parola stessa “Umano” deriva dal latino humus, ovvero terreno, suolo;
non va però interpretata come “quella cosa sporca sotto i piedi”, ma “quella cosa da
cui nascono i fiori, necessaria anche se magari meno appariscente di altre”. Come
dice il Maestro de André, “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i
fior.” Trovare la propria missione di servizio agli altri nella vita è, secondo me, il vero
significato della nostra esistenza in questo mondo. Vorrei che l’ecosocialismo si
ponesse in questa prospettiva, in una prospettiva di servizio sinergico alla Madre
Terra, alla Natura e all’Umanità intera.

Come ben si vede, di valori a sinistra c'è n’è a bizzeffe. Non solo, ma sono valori saldi e
veri, condivisibili e, quello che ancor più conta, spiegabilissimi. Io vorrei vedere la
sinistra, non solo i suoi politici, ma tutti coloro che si identificano di sinistra, condividere
questi valori, spiegarli, insegnarli; insomma, la sinistra si ricostruisce “dal basso”, o
meglio da sinistra (vedremo poi cosa intendo nella parte dedicata a concetti da
chiarire), non solo con partiti ed organizzazioni politiche grandi o piccoli che siano. La
sinistra deve cominciare a farsi capire da chi non l’ha saputa o voluta conoscere.
Il Socialismo
Forse la lettrice ed il lettore sapranno già cos’è il socialismo, ma vale la pena ricordarlo. Per
socialismo si intende la condivisione dei mezzi di produzione. Questo dà spazio a tanti
sviluppi ed interpretazioni, al punto che nel mondo anglosassone oggi si parla di
“socialismi” al plurale. Se da un lato il cosiddetto socialismo reale si realizzò con quello che
Lenin stesso definì “capitalismo di stato” dove i mezzi di produzione appartenevano allo
stato, cosa diversa della comunità, dall’altro il socialismo può realizzarsi in molteplici
forme, come furono e sono le cooperative che nel nostro paese hanno storia di successo. Si
può parlare di poli diversi di socialismo; da quello che vede tutti i mezzi di produzione in
mano a tutti i cittadini di uno stato di dimensioni colossali, a quello, a mio avviso molto più
umano nonché efficiente dove i mezzi di produzione sono condivisi da chi lavora a tale
produzione. Nel mezzo si può pensare a una versione del socialismo dove i mezzi di
produzione siano condivisi dalla comunità direttamente interessata dalla stessa; ad
esempio, in un paese dove vi sia produzione d’olio, che il frantoio sia proprietà di tutto il
paese senza distinzione tra chi ha olivi ed oliveti e chi no.

Il primo modello io lo escluderei per vari motivi. Lo stato, tanto per cominciare, non è la
comunità. La comunità (sia essa piccola o grande) è fatta da persone. Sono le persone
stesse che, insieme, formano la comunità. Ovviamente, il termine comunità è di per sé
flessibile: si può parlare di comunità in un condominio di cinque nuclei come di comunità
mondiale; ma si può anche parlare di comunità in termini demografici, la comunità LGBT
per esempio, in termini di valori, come la comunità di sinistra ed anche di professioni, la
comunità dei medici, ma anche di interesse, come la comunità dei cinofili. Lo stato, invece,
è ben definito come la “rappresentazione del Popolo”. Lo stato è un’entità totalmente
astratta, che si esprime nelle istituzioni che dovrebbero essere (in teoria) al servizio dei
cittadini e residenti stessi. La comunità invece è la somma delle persone fisiche che le
appartengono. Ciò non significa che la comunità ne sia solo la somma; essa ne è anche
manifestazione di valori ed intenti.

Quindi, se da un lato dare la proprietà allo stato pare socialismo, a mio avviso non lo è.
Tanto per cominciare va contro il principio di eguaglianza dei cittadini stessi, poiché coloro
che gestiscono la cosa pubblica inevitabilmente acquisiscono poteri che altri non hanno. Se
lo stato, ovvero una costruzione politico-sociale, gestisce i beni di tutti, ne segue che chi
gestisce lo stato gestisca i beni di altri. Facciamo un esempio: se tutti i mezzi di produzione
di una nazione o paese sono di proprietà dello stato, chiaramente a dimensione stessa di
questa apparente condivisione di beni significa che debba esistere una classe manageriale.
Qui non solo nasce per necessità di tale scelta una classe dirigente, “la kasta” per usare un
termine molto in uso oggigiorno, e quindi una gerarchia, concetto di per sé avverso ai
principi del socialismo, ma succederà necessariamente che alcune persone possano gestire
la vita altrui. In pratica, se le ditte di giocattoli e la produzione di pomodori sono tutte di
proprietà dello stato, chi gestisce la le fabbriche di giocattoli farà decisioni in questo campo
per chi i giocattoli li usa, come anche (data la dimensione) per chi lavora nei campi o in
fabbrica, inclusi i coltivatori di pomodori. Al contempo, chi gestisce la produzione di
pomodori farà decisioni per i contadini stessi nonché per chi li consuma e chi gioca con i
prodotti ludici per bambini. Questo è reso necessario dal fatto stesso che lo stato non è
un’entità fisica, e deve quindi avvalersi di una serie di istituzioni che poi gestiscano, a nome
dello stato o dei cittadini, i beni condivisi. Questo è un realtà un furto di libertà ai cittadini
stessi.

Non penso sia necessario aggiungere che tali esperimenti hanno quasi sempre fallito e/o si
siano poi (come in Cina) ibridati con forme di capitalismo spesso sia molto corporativiste
che disumane.

Invece è nel concetto stesso di comunità che la ricchezza dell’ideologia socialista si


sviluppa. È pensabile avere una forma complessa, a molti livelli, con molte sfaccettature,
con dimensioni diverse di socialismo, ovvero condivisione dei mezzi di produzione? A mio
avviso sì. Anna, contadina, potrebbe condividere la gestione della cooperativa agraria con
le altre persone che vi lavorano, quando poi va ad acquistare, lei potrebbe anche essere
socia della catena di distribuzione, ma poi, quando Anna porta i figli a scuola, lei sarebbe
co-proprietaria e corresponsabile, insieme ad insegnanti, altro personale e, perché no,
alunni, dei mezzi di educazione. E quando i figli lasciano la scuola? Beh, può continuare a
contribuire con l’esperienza acquisita o uscire da questa comunità e continuare la sua vita.

Se il Post-Modernismo ci ha insegnato qualcosa è che tutti abbiamo ruoli diversi nella


nostra vita; forse non si è spinto abbastanza avanti da definire bene, facendone una
tassonomia adeguata, quali siano e come siano strutturati questi ruoli. Purtroppo, nella
nostra vita in quello che è di fatto un impero capital-corporativista, questi ruoli sono, nella
stragrande maggioranza dei casi, ruoli passivi e spesso da vittima, da “target” per usare un
termine obbrobrioso tanto amato da pubblicitari ed esperti di marketing. Se invece si desse
l’opportunità all’individuo di scegliere in quali aree della propria vita una persona possa
avere un ruolo attivo? Ovviamente sarebbe difficile essere coinvolti nella produzione
(termine molto ampio) di tutto ciò di cui fruiamo nella vita (anche questi settori potrebbero
essere semplificati con semplici soluzioni logistiche, e ciò renderebbe la vita di tutti molto
più semplice), certo! Ma che almeno noi si abbia il diritto di partecipare attivamente in quei
ruoli che, con scelta informata, noi si ritengano importanti o interessanti per il proprio
sviluppo personale non mi pare sia una questione di privilegio, ma di diritto inalienabile.

Alla fine, tornando al già citato Art 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, se noi
si nasce tutti eguali, con pari dignità e diritti, perché le nostre scelte di partecipazione alla
vita sociale, e non solo, ma anche alla nostra vita, devono essere limitate da un sistema che
ci impone scelte fatte da ricchi e potenti, ovvero da chi ha proprietà ottenute sfruttando il
prossimo?

Si potrebbe pensare che un modello di socialismo contributivo, ad opzione personale, non


solo sia possibile, ma sia persino dato come diritto dalla legge umana più autorevole del
pianeta. La Libertà, valore su cui torneremo, non può essere solo un concetto astratto mai
realizzato, deve essere un concetto realizzato nella vita quotidiana. Una persona ha anche il
diritto di optare di non interessarsi di una parte della propria vita, magari delegando tale
facoltà ad amici o parenti. Bene, ma è solo la persona stessa, l’individuo, che, con scelta
informata, ha diritto di prendere questa strada. Ad esempio, la nostra Anna potrebbe
scegliere di non occuparsi più della catena di distribuzione dei suoi prodotti agricoli e
magari delegarla alla sua compagna o al suo compagno, o tutti e due...
Ogni persona deve avere il diritto di esercitare un ruolo attivo nella propria vita e
costruttivo per la società, con le responsabilità che ne seguono.

Ed ecco che si vede già una sinergia tra individuo e società. Invece di pensare tanto alla
lotta di classe, cosa su cui torneremo – abbiate pazienza - si potrebbe guardare il mondo
come una lotta tra individuo e società, al momento uno scontro tra potere e diritti, che
l’ecosocialismo potrebbe trasformare in una partita collaborativa, dove la società si
arricchisce dalla partecipazione attiva dell’individuo e l’individuo cresce (moralmente,
culturalmente, artisticamente, socialmente ecc.) tramite il suo contributo ad una società
giusta, equa ed accogliente. Il solito circolo virtuoso che dovremmo sostituire allo scontro
vizioso che sta consumando il pianeta e noi stessi.

Da questi paragrafi si potrà notare che il mio concetto di socialismo non si limita ad un’idea
economica, ma si esprima in uno stile di vita ed un’esperienza del vissuto molto più
profonda e piena di un semplice modus vivendi economico-politico.

Ovviamente, parlando di socialismo, mi pare ovvio che quando (e non dico se) si passerà
dall’ormai fallimentare modello capitalista-corporativista a quello socialista, si possa, anzi si
debba offrire anche una forma di socialismo molto più limitata, quella dove l’individuo
possa scegliere se essere unicamente co-proprietario dei mezzi di produzione in cui lei o lui
lavora.

È questo è un altro concetto molto caro alla sinistra, che forse ci stiamo dimenticando: il
pluralismo. Il pluralismo non deve realizzarsi solo in uno spettro politico in cui partiti o
correnti possano credere a soluzioni diverse, ma deve manifestarsi in vere e proprie scelte
di vita in cui le persone possano esprimersi, vivere e crescere in modo diverso. Il pluralismo
deve uscire dai corridoi del Parlamento e diventare una serie di realtà diverse dove la gente
possa scegliere di vivere, anche temporaneamente, e crescere i propri figli. Il pluralismo
deve diventare esperienza comune ed accessibile.

E cosa ne dice la nostra Costituzione? Con un articolo fondamentale calpestato dal sistema,
dalla storia del nostro paese è dai “nostri” politici, la Costituzione può benissimo essere
letta in modo che imponga il pluralismo, ed un pluralismo che, se si guardano le mie parole,
pare esprimersi nello stesso modo. E non lo fa in qualche articolo oltre il centesimo, ma
nell’Art 3!

Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali
e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà è l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il secondo paragrafo è quello che più ci interessa e che è stato letteralmente insultato dallo
stato stesso che avrebbe dovuto onorarlo. Come appunto, cambierei “lavoratori” con
“cittadini e residenti”, ma quello che mi chiedo è come sia possibile che una persona che
ha quasi unicamente un ruolo passivo nella società possa essere “effettivamente
partecipe” all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese? Con quale ipocrisia
mi si dice che essere sfruttati da un cosiddetto datore di lavoro sia contribuire
effettivamente e liberamente allo sviluppo del Paese? Non è scelta mia, è una necessità
che io debba lavorare per un capitalista. E non dice l’Articolo che è un dovere della
Repubblica “eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale” affinché tu ed io possiamo
essere membri attivi della società e della sua economia? Non si può con alcun coraggio
definire una “costrizione per motivi economici a lavorare per una terza persona” come
“effettiva partecipazione”. La Costituzione stessa favorisce, quasi auspica un esperimento
di natura socialista. Fatemelo dire in modo giuridicamente e “politicamente” corretto: la
Costituzione è aperta e predisposta ad esperimenti di socialismo.

Non parliamo del “pieno sviluppo della persona umana”! Per chi sa, come penso molti di
voi, su cosa si fondi il capitalismo, ovvero sullo sfruttamento del lavoro, e questa non è
un’opinione, è un fatto puramente economico ed accertato, come può riconciliarsi con il
“pieno sviluppo della persona umana” se il cittadino medio non ha nemmeno il diritto di
gestire ciò che ella stessa o egli stesso produce? Come sarebbe “pieno” questo sviluppo? Il
capitalismo si basa non solo sull’assunto presuntuoso che alcuni siano inferiori, meno
capaci e sfruttabili, ma che nemmeno se associati ad altri, con competenze ed esperienze
magari più idonee, questi individui possano avere diritto di collaborare alla gestione della
loro stessa vita e contribuire alla società (in termini di ricchezza e non solo), unicamente
perché economicamente svantaggiati. Eppure se invece di avere un rapporto equo con chi
ha altre capacità sul suo posto di lavoro, le persone “più o diversamente capaci” vengono
imposte da un capitalista che poi prende buona parte di ciò che l’individuo produce,
improvvisamente questa persona diviene “capace nel suo ruolo”?

Per riprendere il nostro discorso di possibilità, è pensabile che Giorgio voglia solo essere
attivo e consocio della ditta in cui lavora mentre Anna decida di esprimersi con più ruoli
attivi e di corresponsabilità e comproprietà? Certamente sì. E chi scegliesse di rimanere
passivo nel sistema capitalista? Sarebbero, alla fine dei conti, fatti suoi.

Già sento proteste... Il “libero mercato” favorisce le corporazioni, per esempio. Beh,
ritorneremo sul concetto di libero mercato più avanti, anche questo un nome sbagliato.
Intanto esistono esempi di successo di cooperative (anche anarchiche) che sul cosiddetto
libero mercato stanno eccellendo, ma il fatto è che la Costituzione impone allo stato di
rimuovere gli ostacoli economici a tali espressioni. Il problema logistico verrà affrontato in
seguito in questo esposto, per ora, basti pensare che, essendo logistico è per sua natura
risolvibile (ogni problema logistico lo è), e che si tratterebbe semplicemente di introdurre
una normativa, nemmeno tanto difficile, che garantisca che non possa esistere “gioco
sleale” da parte delle corporazioni per ostacolare il libero sviluppo di cooperative di stampo
socialista. Perché é così che loro opprimono il vero libero mercato: concorrenza sleale,
appoggi politici ecc. Ne parleremo in seguito; se si risolve la mendacia del “libero mercato”
(da tutti gli esperti onesti definito “viziato” – quindi non libero) si eliminano gli ostacoli
economici allo sviluppo di progetti socialisti che sono il vero motivo per cui la percezione
comune è che non funzionino.
Per concludere, come abbiamo visto, il socialismo non si esprime solo con la condivisione
dei mezzi di produzione, ma si può auspicabilmente realizzare attraverso una
partecipazione attiva degli individui in vari aspetti della società. Da qui una rivalutazione
del termine stesso, non più solo un sistema di produzione, ma un concetto più vasto che
comprende potenzialmente (e sempre su scelta libera dell’individuo) tutte le aree sociali in
cui la persona sia o voglia essere coinvolta. Questa è una prospettiva ben diversa dal
capitalismo di stato, spesso chiamato (o almeno lo era in decenni passati) “socialismo
reale”; mentre l’uno parte dal “basso” ovvero dagli individui e si sviluppa in modo
pluralistico e libero da scelte personali, l’altro impone un modello disegnato da qualche
pensatore “di fiducia” o più correttamente influente e poi imposto da una classe dirigente
che rimpiazza di sana pianta la casta corporativista che la precede, non offrendo alcuna
libertà al Popolo che loro stessi giurano di servire, mentre in realtà servono non la persona
nella sua umanità ma un’ideologia utopica che da utopica si trasforma, per necessità
dovuta alla centralizzazione della proprietà in un ente astratto, in un mondo distopico.

Come abbiamo detto, esistono moltissime forme di socialismo, e io penso sia diritto di
ognuno scegliere quella che più risuoni con la propria esperienza, personalità e volontà. Il
pluralismo dei socialismi rimane fondamento della libertà individuale e delle scelte
personali, che devono essere garantite come diritto inalienabile. Il socialismo non si impone;
si propone!
L’ecosocialismo
Siamo ora giunti al passo fondamentale di questo libretto. Se l’ecosocialismo può essere da
alcuni visto come una forma di socialismo con un occhio anche attento alla soluzione dei
problemi ambientali, non è così che io lo intendo. Più che una forma ibrida di due pensieri,
io lo vedo come una forma sincretica. Da come la vedo io l’ecosocialismo nasce dalla
convinzione profonda che per salvare il pianeta bisogna cambiare la struttura sociale in cui
viviamo, o, se si vuole, dal fatto che cambiando la struttura della società si possa salvare il
pianeta. Come già accennato, non è credibile che un sistema che non solo avvalla, ma si
basa sullo sfruttamento umano possa arrivare a risolvere le cause dell’imminente
catastrofe ecologica. Da qui una svolta molto seria, in cui la società degli Umani deve
necessariamente ripensare il proprio ruolo sulla Terra; dobbiamo trasformarci da
sfruttatori ad agevolatori dell’ambiente, e ciò non solo pare antitetico al concetto primo
del capitalismo, ma richiede un cambiamento epocale del paradigma in cui viviamo. Il
capitalismo ci pone come produttori ed in particolare modo consumatori di beni. La
coscienza ecosocialista invece ci vede come membri di una famiglia enorme, che
comprende alberi, animali, batteri e tutta la vita su questo pianeta ed oltre. Da un modello
di sfruttamento bisogna passare ad un modello di collaborazione. Da parassiti dobbiamo
divenire contributori del benessere del pianeta intero. Metaforicamente, noi dobbiamo
trasformarci, o ritornare, da locuste a cavallette.
La necessità di cambiare il sistema

Ringrazio in anticipo per la loro pazienza coloro che cominciassero a leggere questo
capitolo nella speranza di una lettura allegra e fiorita, invece guarderemo a come il sistema
capitalista abbia commesso errori dovuti alla sua stessa natura e crimini orrendi, il che
rende necessario il concetto che per salvare il pianeta sia necessaria una riforma sociale
profonda.

Il punto chiave è che il capitalismo semplicemente non solo non è in grado di risolvere i
problemi del pianeta, ma ne è la causa maggiore. Sento già le obiezioni: “Ma siamo già in
troppi,” si dice, “come si farà a nutrire il pianeta?” Anche questo è, in realtà un falso
argomento. Perché? Semplice, è il sistema capital-corporativista stesso che, tramite una
distribuzione assurdamente iniqua delle risorse, impone un fenomeno che poi ci dà come
giustificazione di se stesso e come obiezione radicale ad una alternativa. È statisticamente
non provato, ma accertato che laddove esiste ricchezza il numero dei figli diminuisce. Lo
sappiamo bene noi italiani che viviamo in un paese in cui la crescita demografica è stata per
decenni persino negativa. Lo si vede in tutti i paesi benestanti: più ci si arricchisce meno si
hanno figli. La crescita demografica data per certo è, quindi, una conseguenza della povertà
(con derivanti mancanza di cultura e mezzi per la pianificazione familiare) stessa causata
dallo sfruttamento imperialista delle corporazioni. In Africa si fanno tanti figli per povertà.
Tutti i dati ci dicono che aumentando il benessere dei poveri del pianeta si diminuisce la
crescita demografica. Questa soluzione non è neanche contemplata nelle varie proiezioni
che danno la popolazione umana in crescita sostanziale nei prossimi decenni, proiezioni
che già comunque si sono dimostrate sbagliate, perché secondo quelle degli anni ’80, ora
dovremmo essere in nove miliardi, una sovrastima di almeno un miliardo e mezzo sulla
popolazione mondiale attuale. Ma quello che conta è che nessuna di queste proiezioni
tiene in considerazione una riforma possibile della società, tabù vero e proprio in un
sistema che non ammette nemmeno l’ipotesi di un cambiamento o inversione di rotta del
capitalismo. Praticamente ci dicono, “Noi continueremo così, e voi dovete temerne le
conseguenze.” Estremisti del corporativismo hanno persino ripescato l’eugenetica,
proposta da non altri che Bill Gates nel suo Ted Talk intitolato ‘Innovating to Zero!’ in cui
sfacciatamente dice che bisogna diminuire le emissioni di anidride carbonica, le quali
risultano dalla formula Co2 = P x S x E x C dove P sta per “persone”, S per “servizi”, E per
“energia consumata per servizio” e C sta per “emissione di CO2 per servizio”. Intanto la
formula è falsata credo per intimidire, perché E e C sono in realtà lo stesso fattore (e non ci
interessa, ma C è l’unico fattore determinante, mentre lui moltiplica l’uno per l’altro). Ma
la cosa scandalosa è che non considera nemmeno una possibile e fattibilissima riduzione
del CO2 prodotto dal consumo di energia con energie verdi come il solare, né considera una
riduzione di energia per servizio tramite tecnologia, e asserisce che l’unico modo per
ridurre le emissioni è intervenire sul fattore P riducendolo, ovvero riducendo la
popolazione umana. Non specifica come, lasciando ben aperte a teorie di eugenetica tanto
cara ai sostenitori di Hitler; applicata dal führer con genocidio, dal regime comunista con
leggi draconiane, deportazioni e massacri, ad esempio, questa ideologia che si spaccia
come scienza è totalmente non etica e fascista di natura. Invece, come detto, noi sappiamo
che si può ridurre la crescita demografica tramite una distribuzione etica del benessere ed
educazione.
Ho tenuto però una critica ancor più profonda per ultima: non è vero che non si abbiano le
risorse per nutrire il mondo. La verità è che le risorse al momento esistono, ma che non
sono distribuite equamente. Anche qua, il discorso dominante è falso. Che si possa poi
auspicare una riduzione consensuale della popolazione mondiale, è ben altra cosa, ma che
il sistema stesso che favorisce la crescita della popolazione tramite ingiustizia sociale poi
nasconda le soluzioni è puramente inaccettabile. E l’unico motivo per cui il sistema capital-
corporativista nasconde le soluzioni è che lui non ne è parte, anzi, che lui è causa del
problema.

Un passo semplice per diminuire l’impatto ambientale della nostra specie è la riduzione del
consumo di carne; in uno studio apparso su Science il 1° giugno 2018 condotto da J. Poole
e T. Nemececk intitolato ‘Reducing Food Environmental Impact through Producers and
Consumers’ si scopre che per produrre la stessa quantità di proteine con carne bovina si
emette da 6 a 36 volte più GHG (greenhouse gas) che con piselli, ad esempio, e che cento
grammi di proteine da bovini prodotte causano un impressionante 150 kg di CO2, ovvero
370 metri cubi, mentre la stessa quantità di proteine prodotte da vegetali riduce le
emissioni di CO2. Ma il dato più sconcertante è che l’allevamento occupa circa l’83% di
tutta la superficie agricola del pianeta. Ci rendiamo conto che riducendo la produzione di
carne, uova e latticini, noi potremmo riforestare e rendere alla Natura milioni di chilometri
quadrati di terra? Si parla di una riduzione del suolo usato per la produzione di cibo del
76% secondo questo studio. E tutto ciò non solo si potrebbe ottenere promuovendo una
dieta più sana ed equilibrata, ma risolverebbe tutti i problemi di fame e malnutrizione sul
nostro pianeta? Basterebbe mangiare carne una volta la settimana nel mondo occidentale
(già in altri continenti è molto ridotta) e ridurre quelle bombe di colesterolo che sono i
latticini. Certo, difficile farlo sinché le industrie di carne e latticini controllano il mercato
alimentare.

Ma questa soluzione, chiara, scientifica, applicabile ed etica non viene proposta. Invece si
parla di insostenibilità della crescita della popolazione umana, un’altra menzogna su questo
piano, perché ciò che è insostenibile è la produzione e consumo di carne e latticini a livelli
occidentali. E pensiamo che quando noi consumiamo carne, togliamo la terra a molte
persone che sarebbero molto felici di mangiarsi una zuppa di ceci (che contengono più e
migliori proteine della carne) che costerebbe meno e non avrebbe emissioni di anidride
carbonica nell’atmosfera

Questo studio ci riporta al discorso sulla natura dell’ecosocialismo come inteso in questo
libretto: come si può onestamente e realisticamente credere che in un sistema dove il
profitto è il fondamento di tutto, che con un industria con un giro d’affari di 400 miliardi di
dollari l’anno guardi passivamente un cambiamento nelle abitudini e della società che lo
vedrebbe ridotto del 90%? Ed allora ci si appella a quella menzogna che è il libero mercato;
fondi esorbitanti vengono spesi per convincerci che mangiare carne e latticini sia non solo
salutare (cosa molto discutibile), ma un vero e proprio appagamento del nostro status
sociale. Basti guardare le pubblicità. Basti guardare quanto sono onnipresenti gli spot che ci
convincono a comprare carne, da quelli di catene di fast food a quelli di salumi ecc, mentre
l’industria dei latticini punta tutto sul convincerci che abbiamo un bisogno di calcio che solo
il latte può darci: menzogna anche questa; intanto non ne abbiamo così bisogno come
vogliono farci credere, e poi se si guardano i fatti, 100 ml di latte contengono dai 118 ai 122
mg di calcio, il crescione ne contiene 156 mg, ma non contiene colesterolo che, come si sa,
porta a gravi malattie cardiovascolari. Ora, è chiaro che per cambiare la nostra dieta deve
esserci un cambiamento nella Coscienza e nelle informazioni dei consumatori, ma entrambi
sono praticamente impossibili fino a che la fantomatica libertà del mercato garantisce che
chi ha interessi a fare soldi sulle nostre abitudini alimentari possa investire quanto vuole
pur di condizionarci a comprare i loro prodotti. I latticini sono sulla lista consigliata come
“consumo casuale”, ma quante pubblicità vediamo di questi prodotti, se dovremmo, per
essere sani, consumarli poche volte la settimana? Sproporzionatamente troppa.

È anche evidente che chi sceglie diete meno basate sulla carne (la “plant based diet”, o
dieta a base vegetale) lo fa per una consapevolezza che troppi prodotti animali non solo
nuocciono ma causano danni enormi all’ambiente. Ed ecco come si deve cambiare la
società (anche solo in termini di abitudini ed informazione) per poter avere un vero
cambiamento a favore dell’ambiente. Pare ovvio che laddove si incontri un interesse di
guadagno del corporativismo, il profitto non debba avere potere di condizionamento sulla
società. Ed invece succede l’opposto.

Ora, a scanso di equivoci, questo discorso su un cambiamento della dieta non deve essere
preso come l’argomento unico dell’ecosocialismo, sebbene sia indicato come soluzione
primaria (ma non unica) da integrare con altre come sostenuto da un altro studio
scientifico sull’argomento, ‘Food Security: The Challenge of Feeding 9 Billion People’ di
H.C.J. Goffrar et al. pubblicato in Science il 12 febbraio 2010. Questo studio vede, oltre al
miglioramento della produttività, il cambio di dieta della popolazione umana come
necessario per poter sfamare il mondo. Ma quello che a noi interessa è vedere come quella
che è una soluzione scientifica a un problema sia impossibile da attuare quando ci si
scontra con un sistema il cui movente principale (non lo chiamerei valore) è il profitto, ed è
da ingenui pensare che chi ha un interesse di milioni se non miliardi, i mezzi per proteggere
i propri interessi, e le vie sociali per farlo non lo faccia. Ed è qua che la necessità di un
cambiamento del ruolo della società, non più come struttura asservita al capitale ed al
corporativismo, si rende necessaria per la stessa crisi climatica ed economica che infligge il
nostro pianeta e la stragrande maggioranza dei suoi abitanti.

E pensiamo a come ci hanno presi in giro... Quanto tempo è, quanti decenni sono che la
retorica per cui con il sistema attuale e l’aiuto di scienza e tecnologia tutti i problemi del
mondo sarebbero stati risolti? Questa favola per ingenui cominciò già nel Regno Unito del
diciannovesimo secolo, ma fu in particolare modo negli anni ’50 e ’60 che questa ideologia
fu insegnata, o meglio inculcata, alle masse dell’occidente. Proprio quando il consumismo
fu reclamizzato come mai prima (basti pensare all’insistenza su apparecchi domestici,
impasti per torte ecc. degli anni ’50, decade in cui persino l’arredamento domestico urlava,
“Oggi anche tu puoi spendere e sprecare!”). Al contempo, la scienza e la tecnologia
vennero presentate come la soluzione di tutto. Si arrivò, negli anni ’80, a credere che per il
2000 tutto sarebbe stato risolto, versione utopica del mondo tanto amata da Hollywood ed
altri mezzi di condizionamento di massa: ci sarebbe stata la Pace nel mondo, la povertà
sarebbe sparita e tutti saremmo stati felici... Ma il 2000 arrivò e non somigliava per niente
a quello che ci era stato promesso. Poi, dall’11 settembre 2001, si impose il concetto di
guerra permanente a tutto il mondo, e da lì la discesa negli inferi del corporativismo non si
è mai fermata.
Ci si potrebbe chiedere se sia colpa della scienza e della tecnologia. In parte sì, nel senso
che scienza e tecnologia sono state indirizzate in direzioni che non offrono soluzioni, ma
solo distrazioni. Così i telefoni portatili divennero cellulari ed ora sono smart phones;
internet è passato da un concentrato di siti porno (che bel modo di attrarre utenti!) ad un
agglomerato di social media che diffondo fake news, odio e non-valori di destra, dopo
averci fatto cadere che fossimo entrati nell’età dell’informazione (frase molto usata dai
media negli anni ’90), ci hanno rifilato l’età della disinformazione. Se la caratteristica
fondamentale del diavolo è la falsità, lascio ai lettori trarre le proprie conclusioni. Ma la
tecnologia non ha offerto soluzioni ai problemi veri; o meglio, qualora li abbia offerti, è
stata sistematicamente repressa. Al contempo, false soluzioni e vere e proprie menzogne
inventate per convincerci che fossimo sula strada giusta sono state alimentate, diffuse,
finanziate, agevolate e persino imposte con governi complici.

Se la soluzione della fame nel mondo è un cambiamento di cultura con conseguente


modificazione della dieta, se l’agricoltura naturale (biologica, organica, rigenerativa ecc.)
offre vere soluzioni a lungo termine, invece, la propaganda scientifica (quella che seleziona
studi dalle riviste specializzate che fanno comodo politicamente all’ideologia dominante
per renderle popolari con titoloni e poca sostanza) aveva già cominciato a osannare la
bioingegneria come la soluzione del problema. Bene, ora la bioingegneria è non solo realtà
da decenni in buona parte del mondo, ma imposta con corruzione e collusione di politici
potenti e la fame del mondo non dà alcun segno di diminuire, anzi, nei paesi in cui i cibi
geneticamente modificati sono stati accolti, si è visto al minimo un deterioramento della
biodiversità e impoverimento dei contadini, ed in casi seri, 250 mila morti l’anno per
suicidio dovute al fatto che i contadini non possono più procurarsi i semi per le loro
coltivazioni senza dover pagare cifre per loro inarrivabili, dovendo così poi vendere i propri
terreni alle corporazioni stesse, vedi quel mostro di Monsanto (e che mi querelino pure –
voglio vedere come riusciranno a dimostrare che non sono mostri!) come sta succedendo
in India, come ben documentato dal Premio Nobel Alternativo Vandana Shiva in diversi dei
suoi scritti, tra cui libri e l’articolo ‘The Seeds of Suicide: How Monsanto Destroys Farming’
(traduco: i semi del suicidio: come Monsanto distrugge l’agricoltura).

L’ecosocialismo non potrebbe mai accettare che la Natura possa essere privatizzata e
assoggettata a diritti d’autore o brevetto, ed è proprio tramite brevetti sui semi che
Monsanto e suoi simili fanno guadagni colossali alle spese di agricoltori. Ma a prescindere
da ciò, la fame nel mondo è tutt’altro che risolta, anzi... nel 2017 la FAO ha fissato il
numero di persone malnutrite a 821 milioni. Ma la cosa che abbiamo visto è che povertà e
malnutrizione sono ora molto comuni anche in parecchi paesi occidentali, primi fra tutti
USA e Gran Bretagna. Strano, proprio i paesi più allineati al corporativismo sfrenato sono
quelli che meno hanno tutelato i propri cittadini, lasciandoli persino soffrire di fame
mentre i ricchi si sono arricchiti ancor di più.

E allora cos’è successo? Il corporativismo per sua natura non cerca soluzioni, ma profitto, e
più esso sia facile da ottenere, più è il benvenuto e viene agevolato. Non solo, più una
tecnologia garantisce la concentrazione del potere, più viene implementata. Per questo le
corporazioni investono in studi per inventare e produrre cibo geneticamente modificato,
attraendo studiosi in cerca di fondi per la ricerca (i famosi grants) e persino fondi pubblici,
ma rimane a individui e piccoli gruppi sviluppare l’agricoltura organica, biologica,
biodinamica, rigenerativa ecc. E se pare che l’una corra e l’altra sia più lenta, non c’è nulla
da sorprendersi: anche il mercato della ricerca è viziato e tutt’altro che libero.

Dobbiamo imparare le lezioni della storia, e se il capitalismo ha portato alla crisi ecologica
attuale, è evidente che per risolvere il problema, bisogna andare alle sue radici. Abbiamo
visto come il sistema dominante, col suo accumulo di potere e denaro è causa sia
dell’incremento demografico che dei problemi ambientali. Ed ancora, non è affidabile
quando si parla di inquinamento. Si sa benissimo che l’industria del petrolio ha un potere
impressionante, e ha storicamente contrastato il passaggio dai combustibili fossili a energia
rinnovabile. Lo ha fatto sin dalle origini, parte della storia che viene spesso ignorata.

Quando è nata l’automobile elettronica? La sensazione è che essa sia un’invenzione nuova.
In realtà, è molto più vecchia di quella a motore a scoppio. Infatti, autoveicoli elettronici
esistevano già nella prima metà dell’800, infatti già nel 1828 se ne era già costruito un
modello. Cosa è successo allora? La via del motore elettronico per automobili rimase la più
comune sino al 1914 quando Ford riuscì a costruire un modello a motore a scoppio
economico e più adatto al mercato. Esistevano sì degli svantaggi nel motore elettrico, come
la limitata durata della batteria; ma questo era un problema abbastanza risolvibile, e non
solo, in via di risoluzione, con punti di ricarica frequenti. Si pensi a quanto sia più facile
portare energia elettrica in centraline di ricarica piuttosto che carburante. Ma l’auto
elettrica non ebbe la fortuna di poter vedere lo sviluppo tecnologico di una batteria
durevole con una soluzione temporanea come una rete capillare di centraline di ricarica. Si
noti che sino al 1899 il record di velocità su terra era detenuto da motori elettrici (il 29
aprile 1989 fu la CITA no 25 Jamais Contente, automobile elettrica, a ottenere questo
record, con 105,88 km/h). Quindi furono ragioni puramente di mercato che imposero un
motore altamente inquinante, e l’automobile elettronica soffrì poi di quasi un secolo di
oblio e mancanza di sviluppo tecnico.

Ora, non sono ignaro dell’obiezione che ricorda che anche l’energia elettrica viene prodotta
da combustibile fossile. Vero, ma non deve esserlo, e aver perseguito quella strada avrebbe
potuto almeno permettere una riduzione di gas di scarico nell’atmosfera , mentre il motore
a scoppio semplicemente preclude quella strada, discorso che avremmo potuto
intraprendere decenni fa, mentre ci troviamo a doverlo intavolare solo ora. Ma ciò che si
nota è che il discorso venne poi sempre incentrato non su quanto pulita o inquinante fosse
la vettura che i vari cittadini volessero comprare, ma quanto fosse veloce, comoda, quanto
riflettesse lo status sociale ecc. Solo quando il prezzo del petrolio cominciò a salire (ancora
per puri motivi di mercato), l’attenzione al consumo di benzina tornò nel discorso del
mercato stesso.

Ora ci si chiede, lasciando da parte le varie storie molto comprovate dove persino si arriva
alla morte improvvisa dell’inventore della vettura ad acqua, Stanley Meyer, il 20 marzo
1998, le cui ultime parole furono, “Mi hanno avvelenato,” è evidente che l’abbandono
quasi totale di una via ecologicamente sostenibile per il trasporto privato fu dovuto a
mancanza di fondi nella ricerca, che avrebbero, se investiti da una società con una
Coscienza etica sana, probabilmente reso compatibili le vetture elettriche decenni fa, se
non addirittura mantenutole un secolo fa. Invece la totale amoralità del mercato è
conseguita in un secolo di emissioni di gas nocivi nell’atmosfera. Non sappiamo cosa abbia
in serbo per noi la scienza nei secoli futuri, ma saremmo disposti a lasciare imperare lo
stesso concetto che ha portato a questo disastro? È chiaro che nella ricerca del profitto la
salute del pianeta e dei suoi abitanti è stata ignorata senza alcun rimorso nella storia delle
autovetture. Chi è pronto a vedere la stessa storia ripetuta sulla pelle dei propri figli o
nipoti? E non esiste nessuna garanzia che non succederà più, anzi, esiste un’altissima
possibilità, secondo me molto più alta di ciò che si possa accettare eticamente e
pragmaticamente, che una storia simile si ripeterà, e chissà con quali conseguenze, a meno
che non si cambi il sistema sociale che ha portato a questa situazione. Ancora una volta, è
palese che il capitalismo e corporativismo non possano essere i sistemi con cui affacciarsi al
futuro. È da illusi pensare che un sistema che ha portato il pianeta intero sul punto
dell’autodistruzione possa continuare indisturbato.

Se poi volessimo parlare dell’industria del petrolio, allora non ci sarebbe ombra di dubbio
che il sistema capitalista e corporativista si è macchiato di crimini contro l’Umanità enormi
ed inaccettabili. Penso che siano in pochi a credere ancora che la costante ricerca di guerre
nel Medio Oriente o in altri paesi ricchi di petrolio degli USA sia motivata da questa
favoletta per creduloni per cui vorrebbero “esportare la Democrazia” in qualsiasi versione
la si proponga. Non lo crede più nemmeno la maggioranza degli statunitensi e sospetto
fortemente nemmeno di coloro che ancora sostengono, colla scusa ipocrita del
patriottismo, certe campagne di morte; certamente non lo crede quasi nessuno tra veri
democratici di sinistra e non solo in tutto il mondo, e ancor più certamente non lo credono
i vertici della politica statunitense, consci che la retorica non rispetta per nulla la verità. Qui
si vede bene come il corporativismo sia arrivato a controllare i comandi della politica; lo fa
sfacciatamente negli USA come lo sta facendo ormai apertamente in molti paesi occidentali
ed occidentalizzati. La Democrazia non è in pericolo in questi paesi; è morta e va risorta.
Colla scusa che i candidati alla Presidenza degli Stati Uniti sono votati dal Popolo (con una
scelta condizionata dal denaro disponibile ai candidati, e con candidati preselezionati tra gli
asserviti alle corporazioni), si impone un contratto di obbedienza ad un leader che invece di
servire il Popolo serve i grandi poteri del capitalismo. Lasciamo stare che Trump fu votato
da quasi 63 milioni di cittadini statunitensi (circa due milioni in meno dell’avversario) su
una popolazione di quasi 330 milioni di persone, quindi rappresenta circa il 20% del paese.
Questa non è Democrazia, non raggiunge nemmeno gli standard più bassi per potersi
candidare ad essere definita Democrazia. Trattasi di plutocrazia bella (o brutta) e pura
senza alcun se ed alcun ma.

In Europa le carte sono più confuse, ma anche in Italia i cosiddetti “rappresentanti del
Popolo” spesso sono asserviti a corporazioni ed interessi del grande capitale. La faccia del
pluri-pregiudicato di Arcore dovrebbe ricordarcelo ad ogni istante. Non penso sia
necessario entrare nei dettagli. È ovvio che in gran parte del mondo la Democrazia sia per
lo meno in forte crisi, crisi riconducibile al sistema capitalista stesso. Ed ancora, non si
capisce come ci abbiano reso così ciechi e creduloni: colla scusa che “il mercato sceglie il
meglio per i cittadini”, e io vorrei vedere come giustificano questo postulato, c’è ancora chi
crede alla menzogna che questo sia l’unico sistema possibile. Ma che idiozia è? A parte che
portare il mondo al baratro non significa scegliere il meglio per nessuno; e poi stiamo
dando dei definenti ai cittadini o cosa? Saranno i cittadini e residenti, informati ed educati,
a saper scegliere il meglio per loro stessi magari? Invece da una parte disinformano e si
abbassano gli standard educativi e critici della gente comune, dall’altro ci si affida ad un
principio dimostratosi solo falso e mai provato. Certo, ci continuano a far credere che avere
il nuovo modello di un telefono sia prova che il capitalismo sia innatamente buono, ma nel
frattempo, distratti da questi specchietti per le allodole, ci hanno fatti marciare dritti al
baratro ecologico, in guerre disumane e ora persino sino all’orlo della dittatura. Ma c’è
ancora chi crede che non aver avuto sviluppo in energie alternative (o meglio diffusione
anche dopo lo sviluppo), aver avuto guerre per il petrolio con milioni di morti civili e non,
aver visto l’agricoltura trasformarsi in un distributore gratuito di veleni vari, esserci
respirati gas di scarico inutilmente per cent’anni, aver perso i diritti dei lavoratori, sentirsi
terrorizzati perché la pensione slitta sempre un po’ più in là e diventa sempre un po’ più
piccolina, aver visto deteriorare i servizi, aver visto erodere i diritti civili, aver persino
smesso di credere di potere lasciare un mondo migliore ai nostri figli... Beh, tutto questo
sarebbe il miglior mondo possibile? E quale regola del “dio denaro” ce lo garantirebbe?
Svegliamoci... Siamo finiti nell’Assurdistan globale.

L’ecosocialismo certamente offre una soluzione ed un’alternativa. È l’unica soluzione?


Probabilmente no, e dobbiamo certamente tenere sempre le porte della ragione aperte a
nuove idee; ma da quanto vedo, pare sia la migliore soluzione sul tavolo. È migliore perché
radicale, parola di cui non dovremmo aver paura quando indirizzata verso il bene. Ma
continuare a negare che siamo di fronte ad una crisi profondissima, che mette a rischio
l’esistenza stessa della nostra specie e di tutto il pianeta, e pensare di uscirne senza
cambiamenti radicali della società non è solo contro intuitivo, è anche molto, ma molto
ingenuo, al limite del delirante.

Ringrazio ancora lettrici e lettori per la loro pazienza e, rassicuratevi, nell’analizzare la


falsità del sistema dominante piano piano vedremo anche spuntare fiori di luce che
indicano una strada alternativa, avvicinandoci a quella lettura più leggera e fiorita a cui
accennavo all’inizio di questo capitolo.
Parassitismo e simbiosi

È palese che il sistema capital-corporativista sia parassitico in tutti i suoi rapporti: il potente
si arricchisce sulle spalle del povero e l’Umanità sfrutta parassiticamente la Natura senza
mai nemmeno chiedersi se ne abbia il diritto.

L’ecosocialismo invece vuole promuovere un rapporto simbiotico tra società e Natura ed


anche tra gli individui che costituiscono la società, non che colla società stessa. Quando si
dice che bisogna riformare la società in modo radicale lo si intende seriamente. È nella
collaborazione che sta la vera ricchezza, e parlo di quella economica ed anche sociale. Il
sistema dominante impone uno scambio di lavoro per denaro (con sottratto l’ampio
profitto per chi dispone del capitale), ma i rapporti così stabiliti non sono di reciproco aiuto.
Laddove questi si stabiliscono, anche sul posto di lavoro, questa fioritura sociale è spesso al
di fuori delle strutture e dei sistemi del corporativismo. È vero, si può instaurare e coltivare
una relazione di ampia stima ed anche reciprocità con colleghi sul posto di lavoro, magari
perché si condividono interessi comuni, ma questo avviene non per come sia strutturato il
rapporto di lavoro, in gerarchie dove tutti fanno a capo ad una serie di dirigenti, ma al di
fuori di esse. Anzi, chissà quante di queste relazioni significative sono state ostacolate,
prevenute o asfissiate da rapporti basati sulla competizione e sulla gerarchia, e dove spesso
si vedono vere e proprie ingiustizie.

Una società di eguali, invece, come dovremmo esserlo in base a gran parte delle leggi, a
detta di politici e potenti, beh, se non fosse che poi appena ci si propone di mettere questa
eguaglianza in pratica gli stessi hanno sempre fatto di tutto per impedirlo... Dicevo, una
società di eguali non si basa più su rapporti gerarchici di potere. Il potere di per sé deve
sparire. Esso è solo un modo di imporre la propria volontà ad altri senza consensualità.

Il potere è una finzione, una mendacia, e laddove esso esista non può esistere eguaglianza.
Ma come faranno i politici a fare il loro lavoro senza il potere, mi chiederete? Semplice, ci
sono incarichi che hanno specifiche mansioni e date tali mansioni si hanno delle capacità a
cui corrispondono responsabilità. Lo stesso che si fa con medici, insegnanti, muratori ecc.
Trattasi di aree del proprio lavoro. Pensateci, ogni lavoro porta con se la garanzia di poterlo
svolgere correttamente. Un medico può prescrivere farmaci, ma non può fare un impianto
elettrico. Lo stesso vale per un amministratore pubblico (ricordiamo che di questo si tratta
quando si parla di cariche istituzionali). Il potere non è solo ingiusto, è anche totalmente
non necessario.

Quando uno diviene ministro, si legge il suo contratto di lavoro, dove è scritto ciò che la sua
carica gli permette di fare per esercitare le sue funzioni e ciò che non può. Laddove si parla
di semplice esercizio delle proprie funzioni non esiste potere. Il potere è ben altro, e
spessissimo si manifesta nell’usare la propria posizione per aiutare amici potenti (spesso
corporazioni e capitalisti) ad ottenere qualcosa. Il potere è sempre un abuso d’ufficio e del
proprio ruolo.

Se Berlusconi avesse trovato il famoso milione di posti di lavoro non avrebbe esercitato
alcun potere, anzi avrebbe fatto il suo dovere da buon amministratore della res publica;
invece lui il potere lo usò per passare leggi a favore di sé e dei suoi amici corrotti ecc.
L’ecosocialismo non elimina la funzione pubblica, ovviamente, ma né accentra potere nelle
mani dell’amministrazione pubblica (come fecero URSS e China), né toglie a chi prende
questo incarico i mezzi per svolgerla; ma ciò deve essere fatto nell’unico modo eticamente
possibile: vi sono mezzi legati ad ogni posizione, ma anche responsabilità che ne
conseguono. Questo vale per tutti.

Una rivoluzione gentile dei rapporti sociali che si rispecchi anche nei rapporti tra Umanità,
Natura e Madre Terra è a mio avviso l’unico modo per salvare il pianeta e noi stessi e
lasciare le basi di un mondo migliore ai nostri figli. Le due cose sono, infatti, due facce della
stessa medaglia. E spiego perché.

Sappiamo bene che il sistema dominante premia lo spietato. Smettiamola di contarci


favolette che non convincono più nessuno; il carrierismo non è altro che l’esaltazione di un
non valore, ovvero l’idea che se hai un grado, titolo, aumento ecc., ti debba sentire
appagato e migliore d’altri. Ed è qui che pur di avere quell’aumento si fanno sgambetti, si
prendono scorciatoie ecc. Non è più la propria capacità di fare un lavoro bene che conta,
ma il fatto che sia “riconosciuta” o meglio “approvata” dall’alto della gerarchia (o, per dirlo
correttamente, da destra). Ed il sistema gerarchico premia il carrierista. Ma questo ha in sé
non solo una ingiustizia fondamentale (si premia chi è pronto a vendersi per far carriera,
non chi è più capace), ma fa sì che ai vertici più alti di questo sistema ci arrivino solo i più
spietati.

E noi vorremmo affidare a questi spietati il futuro del pianeta e dei nostri figli? Il sistema
seleziona le persone meno affidabili, meno oneste e meno adatte a gestire il bene pubblico
ed il futuro del pianeta proprio in quelle posizioni cardine in cui queste decisioni vengono
fatte. E allora ovviamente la soluzione è un cambiamento del sistema.

Noi siamo messi ogni giorno nel ruolo che la nostra posizione sociale ci impone; al lavoro
nella vita sociale noi siamo posizionati come “meglio di alcuni e peggio di altri”, o più
correttamente come “superiori ad alcuni ed inferiori ad altri.” La gerarchia, questa
schifezza immonda che non ci lascia in pace neanche quando scegliamo il passeggino per i
nostri figli, o quando apriamo un giornale, o persino quando decidiamo dove andare a fare
la spesa (“a Natale siamo tutti più gerarchici,” dice il detto - quello vero...), ecco, la
gerarchia ci mantiene in un costante confronto con il prossimo, confronto molto negativo
in cui il valore della persona è relativizzato alla persona con cui ci si rapporta. Assurdo.
Assolutamente assurdo. Poco conta che una persona abbia fatto tanto bene al mondo e
l’altra magari sia un mafioso. La società ci pone in un rapporto gerarchico ad ogni incontro
e, guarda caso, il più delle volte è il mafioso che sorride.

E questo si insegna anche ai nostri giovani, lo fanno tanti video musicali, ma anche tanti
discorsi tra coetanei in cui ciò che conta è arrivare, non aiutare. E poi ci si sorprende
quando alcuni di loro vedono nella scalata da spacciatorello a mafiosone una strada
allettante? La struttura mentale e di sistema è la stessa che si ha in quasi tutte le
corporazioni (e sono gentile), solo che la mafia offre questa strada anche a chi non ha un
diploma... Ma è il concetto che deve cambiare.
Ed invece pensiamo ad un mondo dove la gerarchia non esista più. E per mondo intendo
dire una qualsiasi realtà: laddove non vi sia questo rapporto tra umani, forse si potrebbe
cominciare a parlare anche di un rapporto più equo con i non-umani?

Noi siamo condizionati dalla società a concepire tutto in termini di competizione; e lo


facciamo anche quando ci rapportiamo alla Natura. Ed invece noi non siamo in
competizione colla Natura, e lo capiremmo meglio se smettessimo di vivere in competizione
tra noi.

Cosa dice il capitalismo per giustificare se stesso? Che la competizione rende efficienti.
Menzogna: parecchi studi dimostrano che la collaborazione è più efficiente e produttiva
della competizione. Siamo al punto in cui la si vuole nelle diverse squadre delle
corporazioni, perché sanno che la verità è l’esatto opposto del sistema e dei principi che
loro impongono, ma poi c'è la negano nella società! Ci rendiamo conto che ci mettono in
competizione l’un l’altro per il posto all’asilo, la promozione ecc. mentre sanno benissimo
che la collaborazione rende di più della competizione? Uno stato che copia il sistema
capitalista sulla pelle dei cittadini è criminale; lo fa solo per causare ineguaglianza ma non
sa nemmeno ammetterlo, e ci rifila le false scuse di scarsità (ne parleremo) e
“produttività”? Ma scherziamo? Persino Forbes, di certo non giornale di sinistra, e come si
sa, voce del capitalismo più convinto, ammette che la competizione è meno efficiente della
collaborazione in un articolo del 22 giugno 2017 intitolato ‘New Study Finds That
Collaboration Drives Workplace Performance’. Quindi lo sanno che la collaborazione
migliora la produttività sul lavoro, ma si ostinano a rifilarci la competizione quando si parla
di produzione a livello sociale? Eppure lo studio da loro riportato parla di una differenza
impressionante: chi lavora in contesti di collaborazione arriva ad impegnarsi fino al 64% in
più... È questo in uno studio su ben 1.100 aziende. Ma ci rendiamo conto cosa
significherebbe produrre anche solo la metà in più in un anno? Altro che crescita in zero
virgola.

Quindi, un sistema collaborativo a livello non solo di piccole squadre all’interno di una
corporazione, ma in tutte le sfere sociali avrebbe il potenziale di essere enormemente più
efficiente e produttivo dell’attuale sistema dominante. E qualcuno sa dirmi perché non lo si
mette in pratica allora?

Ora, vediamo chiaramente uno spiraglio di luce: un cambiamento verso un sistema


socialista, di collaborazione (abbiamo visto che ciò si può attuare in diversi modi, a diversi
strati della vita degli individui ecc.) non solo porterebbe a più produttività, ma credo anche
possa agevolare un cambio di mentalità rispetto alla Natura. Se smettessimo di vedere il
nostro prossimo come avversario, magari faticheremmo meno a non comportarci poi come
avversari con piante, animali, fiumi, mari e monti.

È quindi chiaro che l’ecosocialismo fornisca una risposta integrata al bisogno di armonia tra
i rapporti sociali e dei nostri rapporti con la Natura e con la Terra. Lo so, alcuni potranno
dire che non è abbastanza cambiare come ci si pone verso gli altri e verso l’ambiante. Vero,
ed infatti questo non è tutto ciò che si propone nell’ambito dell’ecosocialismo, ma è
comunque un cambiamento necessario. Dobbiamo imparare a relazionarci in relazioni
simbiotiche sia con gli altri membri della nostra società che con la Natura ed il pianeta
stesso.
Cambiare il paradigma

Abbiamo visto che un cambiamento radicale della società è necessario e che un


cambiamento verso forme sociali e di produzione basate sulla collaborazione potrebbe
portare abbondante benessere sia economico che sociale. In entrambi i casi abbiamo
messo in luce come un cambiamento sociale sia necessario per avere un cambiamento nei
nostri rapporti coll’ambiente. Infatti, quello che si auspica coll’ecosocialismo è un vero e
proprio cambio di paradigma. Per paradigma si intende la prospettiva della conoscenza
stessa; grandi cambi di paradigma sono avvenuti con regolarità nella nostra storia. Si pensi
a come tutto il pensiero, proprio tutto il modo in cui gli Umani si pongono nel loro ruolo
nell’universo, nel modo in cui interpretano l’esperienza, nelle arti, nel modo stesso di
pensare, nel modo di “sentirsi” ed esprimersi, tutto, ma proprio tutto cambiò tra il
Medioevo ed il Rinascimento. Quello fu un cambio di paradigma; ed ora il mondo stesso ne
necessita un altro; e per molti sta già accadendo.

Quando avviene un cambio di paradigma non sono solo aspetti marginali di quello vecchio
che vengono messi in discussione, ma i suoi credi e valori fondamentali. Il vecchio sistema
crolla per mancanza di fondamenta. Ora, questo argomento richiederebbe un tomo
considerevole solo per essere descritto decentemente, ma posso affermare con certezza
che al momento sono presenti tutti i sintomi necessari per diagnosticare la fine del vecchio
paradigma e la nascita di uno nuovo.

In Italia, forse dovuto al fatto che l’informazione viaggia in inglese ed altri motivi socio
politici, moltissime persone non si stanno accorgendo che tutto il mondo sta cambiando
rapidamente. È proprio la mentalità della genere stessa che sta cambiando radicalmente.
Potrei parlarne per pagine e pagine, ma faccio solo notare una cosettina: Donald Trump ha
cercato di fare una guerra per almeno un anno; ci ha provato col Venezuela, poi con l’Iran,
ora la sta facendo per interposta persona contro i Curdi. Ma quello che lui non si aspettava
è che ormai gli statunitensi non credono più alla propaganda del capitalismo sulla guerra.
All’ultimo sondaggio solo il 19% dei cittadini USA appoggiava Trump che voleva attaccare
l’Iran. Sondaggi simili su Venezuela ecc. si ripetono coerentemente. Cos’è cambiato? È
proprio cambiata la mente degli statunitensi, che non sono più disposti a farsi prendere in
giro dalle corporazioni pro guerra. Solo pochi anni fa, si invase l’Iraq con una scusa ridicola
e lo statunitense medio si sentì “patriota” e se la bevve con un sorriso. Ecco cos’è
cambiato.

Ovviamente, come tutti i processi a livello mondiale, processi enormi di cambiamento


profondo della mente ed identità stessa dell’Umanità, trattasi di fenomeno lungo,
complesso, con molte sfaccettature e stratificazioni, ma sta accadendo. Certo, il vecchio
sistema non se ne andrà volontariamente. Ma tutti gli indicatori che indichino che è alla
fine sono ormai presenti.

C’è chi ormai ha visto la totale falsità del sistema corporativista. E si tratta di milioni (penso
centinaia di milioni) di persone che hanno visto il re nudo. Altri invece ancora non la
vedono nella sua grottesca bruttezza interamente, ma ormai la retorica del corporativismo
sta facendo falde ovunque; ed ad ogni buco nella loro falsa storia corrisponde un raggio di
luce sulla Verità. La televisione farà di tutto per distogliere l’attenzione dalla Verità, ma
ormai nel mondo anglosassone si parla già di declino inesorabile della TV (la gente smette
di guardarla in numeri esorbitanti ogni anno); lo stesso faranno Hollywood (sbaglio o solo
quest’anno hanno prodotto e strapubblicizzato ancora un film sul sogno americano? Dai, è
chi ci crede più! Ma si vede che Hollywood sta facendo il suo ruolo, glorificando una
menzogna). Lo stesso farà parte della musica pop ecc... Ma il numero di persone che ogni
giorno perde fiducia totalmente nel sistema capital-corporativista cresce costantemente.
Quel sistema ha i giorni contati.

È impossibile sapere come cambierà il paradigma, quali pensieri e filosofie si proporranno e


diventeranno parte del nuovo paradigma, ma io propongo e penso che l’ecosocialismo
possa diventare parte integrante e molto comune del mondo che uscirà da questa crisi;
forse ne sarà anche uno dei fondamenti. Comunque, si possono vedere tendenze molto
forti che come crepe, stanno rompendo il muro di falsità, ingiustizia e assurdità del sistema
capital-corporativista; ne elenco alcune ma si noti, non si deve aderire ad ognuna di queste
tendenze per capire che il sistema dominante sia falso e criminale, né la si deve percorrere
per arrivare all’ecosocialismo come proposta credibile di alternativa. Queste sono alcune
delle varie crepe nel sistema dominante; le si guardi un po’ a propria scelta e volontà...

 La realizzazione che gli stati sono asserviti al capitale, e che quindi non servono il
Popolo. Ricordiamo che in Italia il Popolo è sovrano ed uno stato asservito al potere
privato commette alto tradimento. Sì, anche lo stato lo può commettere in Italia,
proprio perché alto tradimento si commette contro il sovrano, e in questo paese è il
Popolo.
 La realizzazione che i media di comunicazione, sia canonici che non, nascondono
tante verità è propongono tante falsità, ovvero fanno propaganda.
 La realizzazione che il sistema capitalista ha continuamente e imperterritamente
eroso i diritti dei lavoratori e dei cittadini. Lentamente esso sta introducendo la
dittatura; lo fa a passi brevi, ma non ha non dà segno di indietreggiare.
 La realizzazione che una vita all’interno del sistema non è appagante, che si finisce
ad essere sfruttati per decenni e poi essere messi in soffitta come “inutili”, e la
realizzazione di un bisogno di vivere la propria esperienza più pienamente ed
armonicamente con il prossimo e colla Natura.
 Dubbi fondamentali sulla correttezza del materialismo.
 Il sospetto che tanti rami della scienza e della ricerca siano asserviti al capitale ed
alle corporazioni, e la voglia di ridare loro la loro corretta funzione: di servire la
Verità, il pianeta e l’Umanità, non i finanziamenti, il profitto e le corporazioni.
 Una riscoperta del rapporto colla Natura; si sta vedendo un esodo dalle città e dalla
vita urbana, esodo molto interessante perché fatto da persone spesso colte e con
una visione del mondo molto chiara. Ne parleremo in questo libro.
 La realizzazione che questo sistema dominante è letteralmente impazzito e suicida;
ma quante chance gli dobbiamo dare? Abbiamo rischiato l’olocausto atomico (20
volte stando ai conti disponibili storicamente!), ora rischiamo l’annientamento di
tutto il pianeta. Penso questo basti a mandarlo a processo come sistema
delinquenziale.
 La realizzazione che questo sistema si nutre di guerra, ingiustizia ed oppressione ed
ha ormai realizzato la guerra perpetua di orwelliana memoria che serve solo alle
corporazioni che usano soldati e civili come fonti di profitto, senza mai preoccuparsi
di ucciderli in guerre studiate a tavolino, ingiuste ed inaccettabili.

Insomma, esistono tanti indicatori che il vecchio sistema stia crollando, ed anche più
velocemente di quello che appare, penso. Ne esistono altri, ad esempio il Risveglio
Spirituale che si sta vedendo in tutto il mondo (niente a che fare con religioni ecc.), ma più
in generale il Risveglio della Coscienza che sta avvenendo rapidamente in tutto il mondo.
Questo fenomeno ha aspetti diversissimi da persona a persona e da paese a paese; negli
USA sembra essere molto legato alla realizzazione della falsità della politica del loro paese,
mentre in altri paesi sono altri gli eventi a cui esso risponde, ma in ogni caso, trattasi di una
crescita della Coscienza degli individui e dell’Umanità intera. E questa è spessissimo
accompagnata dalla consapevolezza che non siamo stati buoni abitanti di questo pianeta,
anzi, che nella nostra storia ci siamo resi colpevoli di crimini immensi verso gli altri abitanti
e del pianeta stesso e che sia certamente ora di cambiare indirizzo, direzione, volontà, e
pagina. La nuova Coscienza ambientale è tanto fondamentale al cambiamento del
paradigma quanto è quella sciale: entrambe chiedono Verità e Giustizia. E le avremo. Per
tutti.
Il rapporto come fondamento dell’ecosocialismo

Guardare all’essere come un individuo che ha rapporti è fondamentale per l’ecosocialismo.


È anche secondo me fondamentale per andare oltre il disfattismo del postmodernismo. Il
pensiero postmoderno ci ripete (e lo fa persino ogni volta che vediamo uno spot
pubblicitario) che l’individuo non è monolitico, ma una serie di ruoli; io sono viaggiatore
quando prendo il treno, ma sono consumatore quando entro in un supermercato, sono
elettore quando guardo un comizio politico, mentre sono figlio quando parlo con mia
Madre. E loro se ne approfittano, perché ci trattano da target in tutti questi ruoli. Per il
corporativismo noi abbiamo un ruolo che li racchiude tutti: esseri da sfruttare dalla nascita
fino alla morte, e se possibile pure oltre. Ovviamente questo è un ruolo che noi dobbiamo
rifiutare, non solo, ma il fatto stesso che io corporativismo voglia imporci questo ruolo
come permanente contro la nostra volontà è un crimine contro l’Umanità, e ne dovranno
rispondere nelle sedi appropriate.

Al contrario, l’ecosocialismo vede il ruolo come una funzione che l’individuo deve avere di
esercitare per il bene comune e per cui si assume responsabilità. Ne abbiamo già parlato
discutendo l’inutilità del potere, ma quello che si deduce è che per l’ecosocialismo, “ruolo”
acquista un valore attivo per chiunque lo scelga, compia, agisca; mentre il corporativismo ci
predispone in due tipi di ruoli: attivi (predatori) e passivi (prede). I predatori si danno
immunità a vicenda dei loro crimini mentre le prede divengono vittime del sistema. Questo
è un crimine immane. E non vengano a raccontar storie che la selezione permette a tutti di
diventare predatori; intanto non lo fa, ed è un’impossibilità matematica, quindi, scusate il
termine tecnico, ma una vera e propria balla spaziale; secondo non lo permette a tutti, ma
solo a chi è più volenteroso di sfruttare il prossimo, quindi innescando in circolo vizioso,
secondo, ma chi cavolo ha detto loro che io voglia diventare predatore o preda? Ma chi
sono loro per decidere che esistono solo due ruoli?

Al contrario, in un sistema basato sulla collaborazione i due “meta ruoli” di preda e


predatore del corporativismo spariscono, ma si aprono le porte ad un’infinità di ruoli
egalitari. Abbiamo già accennato che con l’ecosocialismo l’individuo deve essere informato
sui ruoli che lei o lui può scegliere di ricoprire sul lavoro ma non solo, anche nella società,
nella propria famiglia, come artista, come consumatore, anche come fumatore di canne,
insomma, in tutte le aree dell’esperienza. Informare su un ruolo è dovere della società. Noi
vogliamo una società che informi sulle scelte possibili, rendendo le persone informate e
quindi responsabili, così che quando una persona scelga di ricoprire un ruolo sappia cosa
può accadere alla sua esperienza ed a quella di altri, quali sono le prerogative e
responsabilità di tale ruolo.

Mi sembra chiaro che certi ruoli debbano, per la loro funzione fondamentale nella vita,
essere insegnati nelle scuole dell’obbligo: essere persona critica tanto per cominciare,
essere buon cittadino, elettore, membro della società e votante, ed anche essere parte di
una famiglia (compagno/a, genitore, figlio/a..) ecc. Anche essere lettore è un ruolo, e certi
ruoli artistici vanno insegnati con grande cura, perché l’espressione artistica è parte
essenziale della nostra vita e della qualità della vita stessa. Comunque, si parlerà di come
avere un curriculum scolastico decente in altra sede... Per ora ci interessa restituire
all’Umanità il concetto corretto di “ruolo” e pensare al prossimo passo...
Un ruolo, dal punto di vista ecosocialista, è visto anche fondamentalmente come una
relazione. Un ruolo, anche il meno gregario, ha implicazioni sociali, e non solo, con il
pianeta tutto e se si vuole andare oltre, persino con il Cosmo stesso. Scrivere una poesia
può sembrare la cosa più intima e meno sociale del mondo; intima lo è, ma si sappia che se
qualcuno la leggerà, essa potrà portare emozioni, visioni del mondo e dell’universo intero,
che solo una farfalla sa accendere col suo battito d’ali. Allora, possiamo dire che anche nei
ruoli intimi esiste una relazione col Cosmo; se non lo si vuole leggere in chiave cosmica,
allora si pensi che anche pensare ad una propria emozione significa comunque mettersi in
relazione con tale emozione.

Ora, attenzione a questo passaggio. Che ognuno di noi abbia un numero immenso di ruoli
nella vita ed anche solo nella quotidianità non significa che la società debba essere
invadente in questi ruoli. Forse avrete notato che una delle critiche fondamentali che
muovo al comunismo come realizzato in URSS, Cina ecc. e che muovo parimenti a nazismo
e fascismo è che, in parole povere, “non si fanno i fattacci loro”, ovvero, tipico delle
dittature, che la società intervenga in fatti privati. Ed è proprio qui che il ruolo come
relazione diventa importante nel tracciare quella linea che divide il privato dal sociale.

Io sono in ruolo privato ogni qual volta sto compiendo azioni che riguardano me stesso.
Entro in un ruolo sociale ogni qual volta io compio azioni che riguardano altri, ma qui
bisogna fare un distinguo, perché la società non può intervenire in tutte queste relazioni e
ruoli, anzi. Qualora l’azione sia consensuale la società non ha alcun diritto di intervenire. Al
contrario di chi crede a dittature o stati cosiddetti forti, io vedo un ecosocialismo dove la
società è bonaria e leggera e dove lo stato sia quasi invisibile. Non si creda che per avere
ciò si possa dribblare sulla complessità dei ruoli e delle funzioni. Allora, se io agisco nel mio
ruolo pubblico, chiaramente è un discorso tra me e la società. Ed allora di sicuro la società
avrà diritto di intervenire, anche come garante e giudice in caso io commetta errori verso il
prossimo. Ma se io sto facendo una discussione con un amico, cosa interessa alla società?
Purché il discorso rimanga dentro i parametri della consensualità la società non ha alcun
diritto di intervenire. In parole povere, sono fatti nostri. Ed invece viviamo in una società
che persino discrimina sui rapporti sessuali consensuali. E con che cavolo di diritto?

Non si creda, però, che la consensualità tra individui (che di fatto formano una società tra
loro) possa limitare i diritti o la consensualità di altri individui. Ed è così che i gruppi
fascisti, che possono anche credere protetti e giustificati nell’esprimersi contro minoranze,
politici ecc. su Facebook in realtà stanno intaccando i diritti di queste persone. La linea non
è ben demarcata al momento nel mondo dominante, e lo fanno apposta secondo me. Loro
si appellano ad un “diritto di espressione” qualora gli si fanno notare certi post; ma questi
post non riguardano loro stessi. Scusate, lo dico nel modo più grezzo possibile: tra di loro si
possono mandare a cagare come e quanto vogliono e non sono affari della società, ma lo
diventano quando cominciano a minacciare la serenità di altri. Semplice no? A casa loro
potranno anche dire quello che vogliono, ma non in pubblico (e i social sono luoghi
pubblici).
Questa situazione è ben diversa da due o più persone che discutono consensualmente. In
questo caso, non esiste alcuna autorità di intervento da parte della società. Si possono
anche mandare a cagare tra di loro, che se nessuno si offende, non sono fatti della società.

La distinzione è chiara, anche se ci stanno insegnando/inculcando una falsità ogni volta che
ci si propone questo tema, ovvero che sui social le linee di demarcazione non sono chiare.
Falso; l’Etica è chiara e ciò che non è etico non è giusto. Quindi, si vede come anche il
concetto di ruolo come proposto dall’ecosocialismo (e non solo), al contrario di quelli
imposti dal capitalismo, demarchi anche chiaramente dove la società ha diritto di
intervenire e dove no.

Guardare i ruoli in termini di relazioni permette di sbrogliare quei nodi giuridici e sociali che
stanno rovinando la vita a tante persone. Se io scrivo una poesia, mi metto in relazione con
i miei sentimenti, e la società ha solo il dovere di aiutarmi ad esprimermi, se deve avere un
ruolo. Ma quando io, per esempio, faccio una pubblicità ad un prodotto, perché
continuiamo a trattarli come se si trattasse di una relazione personale con noi? Il ruolo
della pubblicità è pubblico e comunque sociale, anche laddove passata sui social... È chiaro
che qua la società non solo può, ma deve intervenire per garantire che il ruolo sia,
semplicemente, equo. Lascio ai lettori investigare le conseguenze.

Ma avere rapporti equi con i membri della nostra società non basta; la storia del mondo
moderno sembra urlare una lezione che non vogliamo imparare; come specie, noi dobbiamo
cambiare il rapporto che abbiamo con il pianeta e con l’ambiente. Ed ecco che cambiare
rapporto significa anche cambiare il nostro ruolo, da sfruttatori ad agevolatori, facilitatori,
insomma, dobbiamo renderci conto che non possiamo semplicemente sfruttare la Natura,
ma dobbiamo aiutarla a creare abbondanza. Questo ci porta al prossimo argomento, uno
molto caro a molti che si sono accorti che, semplicemente, i conti non tornano, e, guarda
un po’, trattasi di una buona notizia...
Scarsità ed abbondanza

Pensare al mondo, alla nostra vita ed esperienza in termini di abbondanza e non scarsità
significa liberarsi dal giogo della propaganda capitalista. Bisogna però pensare a questo
concetto non solo in termini economici, ma di vero e proprio concetto del vivere, o, in
termini che Gramsci avrebbe usato, come ideologia. Comunque, prima di vedere come sia
possibile guardare ciò che ci offre la vita ed il mondo come abbondanza e non scarsità, è
d’uopo accertarsi che il concetto sia reale. E purtroppo dovremo, per un momento,
guardare ancora le menzogne del sistema dominante.

La retorica falsa e menzognera del bisogno che ci viene proposta ogni minuto della nostra
vita, nel senso che ci vogliono far credere che il mondo sia in uno stato di permanente
bisogno dei beni fondamentali, e che dobbiamo combattere e lottare, ovvero essere
competitivi per accaparrarci ciò che ci serve a vivere è una delle più grandi palle mai
raccontate. E non si meritano nemmeno il riconoscimento di un termine formale come
“menzogna”; è una palla gigantesca. I dati ci vengono da uno studio scientifico pubblicato
nel Journal of Sustainable Agriculture del luglio 2012 intitolato ‘We Already Produce
Enough Food to Feed 10 Billion People... and Still Can’t End Hunger’ di E. Holt-Giménez, A.
Shattuck, M. Altieri, H. Herren e S. Gilessman, dati poi confermati dalla World Bank (banca
mondiale), e dalla United Nations Sustainable Developmemt Goals (conferenza ONU su
sviluppo sostenibile). Il mondo produce molto di più di quello di cui l’Umanità ha bisogno
per vivere.

Ora, attualmente produciamo abbastanza cibo per nutrire 10 miliardi di persone, ed è


provato, siamo solo in 7,6 miliardi eppure 2 miliardi soffrono di fame? Allora quello che
non funziona deve essere il sistema di distribuzione del cibo e delle risorse, ovvero il
capitalismo. E non esiste argomento più forte a favore della colpevolezza del capitalismo e
corporativismo (beh, forse anche quello che causa guerre orribili...) É la matematica che lo
condanna come sistema iniquo ed al contempo inefficiente. Sappiamo anche che con un
cambio della dieta occidentale potremmo ridurre la superficie coltivata del 76%, o,
volendo, mantenere la stessa superficie e nutrire 40 miliardi di persone! Ed invece tutto ciò
non succede.

Ora, guardiamo un attimo a come il fatto che ciò non succeda favorisca solo una retorica
menzognera che giustifica il pensiero di destra e capital-corporativista. Abbiamo visto come
la destra basi la sua presenza al potere sulla paura di una perdita personale dei cittadini,
che sia essa economica o di sicurezza (credo che la prima sia venduta alle classi più abbienti
e colte, la seconda alle meno abbienti e meno colte, entrambe come paure che
giustifichino il voto a destra). Abbiamo visto che invece la sinistra debba proporre
prosperità ed un mondo migliore per tutti per poter comunicare il suo messaggio. Allora si
rende necessario eliminare questa falsa percezione che l’Umanità non sia in grado di
mantenere se stessa e rompere quella catena d’odio, ignoranza e competizione che nasce
qualora la narrativa dominate ci dica che l’unica regola che vale è mors tua, vita mea.

Semplice: sono tutte menzogne inventate e sostenute (a costo di milioni di morti di fame
ogni anno) per convincerci che non esista abbastanza per tutti, e quindi che solo
assoggettandosi ai principi del capitalismo (competizione e le sue immani conseguenze
etico- morali) si possa avere ciò di cui si ha bisogno. Lo ripeto: è una minchiata, una palla,
una fesseria, una falsità, una menzogna, insomma, una vera e propria bestemmia!

La realtà è che abbiamo abbastanza per tutti ma il sistema capital-corporativista non


distribuisce il benessere equamente.

Ci rendiamo conto che è matematicamente possibile e tecnologicamente fattibile


trasformare tutta l’agricoltura da chimica a biologico-organica, ridurre drasticamente la
superficie di terra coltivata nel mondo, riforestando il resto, e nutrire tutto il mondo senza
alcun problema? È letteralmente da pazzi disumani accettare un sistema che non solo
impedisca che ciò avvenga, ma che tragga la propria giustificazione dal fatto che ciò venga
impedito. Questo è un altro crimine contro l’Umanità, e chi ne è responsabile ne dovrà
rispondere legalmente in tribunale.

Ora, sento già calci e critiche: “Ma il benessere non è solo il cibo!” Certo, ma acqua e cibo
sono alla base del benessere, le fondamenta essenziali, e se mai si comincia a mettere le
fondamenta colla scusa che esse non sono il tetto e gli infissi di una casa, la casa non la si
comincia mai a costruire. E poi anche questa critica è basata o su disinformazione o su vera
e propria ipocrisia. E facciamo pure qualche esempio. Ogni anno, il quotidiano Independent
riporta uno studio di ONE, in cui la stima dei fondi sottratti ai paesi poveri ogni anno da
politici corrotti (si presume da chi li possa corrompere, ovvero le corporazioni) sia di un
biliardo di dollari l’anno, ovvero 1000 miliardi di dollari ogni anno vengono rubati ai paesi
più poveri. Mille miliardi, ovvero 30 finanziarie medie italiane, spariscono solo per
corruzione dovuta al e voluta dal corporativismo. Ma andiamo oltre... Lasciatemi
presentare la famiglia Rothschild, ovvero la famiglia più ricca e potente del mondo. Beh,
loro controllano le banche nazionali di quasi tutto il mondo (fanno eccezione tre o quattro
nazioni a cui gli USA stanno per far guerra), ovvero, quando noi ripaghiamo il debito
pubblico, loro ci guadagnano. Loro stampano i soldi. Ma loro hanno anche fatto la loro
fortuna con truffe accertate di livelli colossali (quasi tutta la loro fortuna viene da una
famosa truffa sull’esito della Battaglia di Waterloo in cui fecero collassare la borsa di
Londra per poi comprarsi a prezzi ridicoli praticamente tutto l’Impero Britannico), ecco,
questa famiglia di ‘furbetti’ possiede 700 biliardi di dollari. 700 biliardi! C’è chi dice questa
sia la metà di tutto il benessere mondiale! Ma il fatto è che le altre megafamiglie
(Windsors, Morgans, Ford, Bush, Disney, Rockefeller ecc.) non sono tanto da meno.
Praticamente circa 13 famiglie hanno la stragrande maggioranza di tutte le risorse del
pianeta. Poi si va avanti con i pagliacci i di media stazza alla Trump o Berlusconi o Agnelli, e
quello che resta da dividere o condividere tra 7,6 miliardi di persone è una miseria.

Ancora una volta si dimostra matematicamente che non è la mancanza di benessere il


problema dell’Umanità, ma la sua distribuzione.

Allora almeno si può pensare in termini di benessere e non di scarsità! Certo che si può, e
sappiamo pure il motivo della cosiddetta scarsità. Ma ancor di più si deve parlare in termini
di benessere, perché questa è la realtà dei fatti. Siamo una società opulenta che grazie alla
sua falsità ed ingiustizia giustifica la sua intenzione di distruggere il pianeta. Questo non è
un crimine contro l’Umanità, ma uno ancor più grave: questo è un crimine contro il
pianeta.
Finché la gente vivrà nella paura della scarsità sarà ben difficile riuscire a cambiare il
mondo in positivo; è invece necessario che si cambi il discorso, da uno falso di scarsità ad
uno vero di abbondanza. La politica è colpevole a mio avviso di aver costruito la sua stessa
sopravvivenza in molti casi sulla falsità della scarsità. Invece la politica ecosocialista, invece
di far credere alla gente che questo o quel partito meglio difendano gli interessi di
individui, classi o gruppi, discorso basato sul conflitto causato dalla retorica della scarsità, si
occuperà di come distribuire l’abbondanza equamente.

Questo concetto è importantissimo per il cambiamento. Sappiamo che i Verdi in Italia si


sono guadagnati la fama di “quelli che tolgono il lavoro chiudendo le imprese”. Io,
chiamatemi cinico, penso sia stato fatto apposta. Ma ciò che ora conta è che questa
percezione non solo sta impedendo in Italia un grande rilancio delle tematiche
ambientaliste come sta succedendo in tutta Europa, ma è anche un discorso che ogni
movimento verde, ecologista, ambientalista ecc. deve riuscire a cambiare: essere in favore
dell’ambiente non significa essere contro il benessere, anzi è il contrario. Ecco qua un’altra
finta percezione da parte della stragrande maggioranza della gente. Ed è solo mostrando la
Verità alla gente che si può cambiare il mondo radicalmente.

Anche quando si parla di “lavoro verde”, a mio avviso, non lo si fa con convinzione; o
meglio, qualora tale tema viene presentato, io ho spesso l’impressione che toni, tempi ecc.
facciano intendere che, sì, sarebbe possibile, ma in qualche momento distante nel futuro e
se proprio diventassimo tutti più buoni. Una forma di tono babbo natalizio che spesso noto
sui media qualora soluzioni reali si vogliono far passare come sogni per illusi. E succede
spesso. Oggi come oggi, l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro stima che l’economia
verde, la “green economy” fornirà 24 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Bene, entro il
2030. Ma tutti siamo alle prese con problemi da risolvere entro il 2020 massimo. Brexit,
Trump, l’ascesa del fascismo in Italia, è perché no, tirare a fine mese...

Ma è possibile che queste statistiche non dicano, “di cui un milione nell’anno che viene?”
No eh? Bisogna dare sempre l’impressione che, sì, se tutto va bene salvare il pianeta
porterà anche lavoro, ma aspettate un decennio e intanto cercatevi un lavoro altrove.
Vero, chi è perspicace capisce che lanciarsi nella green economy ora porterà frutti molto
presto. Ma alla persona media, a chi ha il diploma di ragioneria, che differenza fa sapere
che nel 2030 potrà lavorare nella green economy? Ecco qua come una buona notizia,
notizia che dovrebbe essere presa, sviluppata, rilanciata con investimenti dallo stato, viene
babbo natalizzata per non avere impatto sulla Coscienza ed il modo di pensare della
persona media.

A parte il fatto che questa è una stima che tiene come postulato il fatto che il sistema
corrente, quello capital-corporativista non cambi minimamente nei prossimi dieci anni,
questo dato tiene solo conto, da quello che io sappia, di un aumento passivo di tale
settore, ovvero uno totalmente risultante dal cosiddetto libero mercato. Non tiene conto di
possibili cambiamenti di rotta nelle politiche degli stati di questo pianeta. Basti guardare
all’impatto che la green economy ha avuto in Nepal (dove lo stato ha investito con risorse,
legislazione ed informazione), aumentando significativamente l’occupazione, il PIL, lo
sviluppo (in varie aree) e persino il “senso di benessere degli abitanti”.
A me sembra ridicolo affidarsi alle corporazioni per risolvere il grave problema, per evitare
la catastrofe di cui tanto si parla. Le corporazioni, come sappiamo, dipendono dal concetto
di scarsità. Vero, il capitalismo promette abbondanza, e per certi aspetti la ha anche
generata, ma poi senza la scarsità, ma chi cavolo andrebbe a lavorare in fabbrica per
arricchire il capitalista? Ed è per questo che il capitalismo, per sua natura, deve distribuire il
benessere iniquamente. In ciò è non etico. E ciò che non è etico è criminale. Il Nepal invece
ci insegna che con il volere dello stato si può trasformare un intero paese, rilanciarne
l’economia, risvegliare le Coscienze delle persone, insomma, accendere un vero e proprio
rinascimento economico e culturale. Dimenticavo... Il Nepal non è a carbon footprint attiva,
e nemmeno a zero... È in negativo! Assorbe anidride carbonica più di quello che produce!

Certo, è più facile farlo per un piccolo stato nell’Himalaya che per una nazione super
industriale e di grandi dimensioni. Ma ciò non vuol dire che si debba scartare il discorso. La
fallacia logica “ah facile in quelle situazioni ma qua sarebbe impossibile” tanto usata da chi
vuole scartare un’idea a priori è sempre da evitare. A meno che le condizioni stesse lo
impediscano di natura (fare il bagno nel deserto, o essere nudisti – o meglio naturisti – in
Groenlandia), questa fallacia è una delle tante che l’ecosocialista dovrà affrontare.

Ed ecco come. Certo, per tanti aspetti è più facile convertire un paese piccolo e già verde
che uno grande ed industrializzato. Ma non esiste nessun nesso logico tra questa differenza
ed una impossibilità. Anzi, se si guardano entrambi i casi da una prospettiva di abbondanza,
magari la difficoltà si supera. Ad esempio, in Nepal, buona parte della green economy si
basa sul turismo. Facile attrarre turisti in un grande paese europeo con infrastrutture a
livello mondiale, molto più difficile in un paesino sperduto sui monti più alti del mondo e a
volte raggiungibile solo con mulattiere. Ecco come entrambi i paesi, se pensano in termini
di abbondanza possono trovare soluzioni molto più facilmente che se si guarda un
problema concentrandosi sulla scarsità di benessere.

Una nota per finire sul discorso dell’abbondanza: l’abbondanza non dà diritto allo spreco.
Non esiste nessuna motivazione etica per cui se qualche cosa è abbondante la si debba
sprecare. Il consumismo (figlio illegittimo del capitalismo) invita allo spreco, ma lo fa per
generare scarsità nelle classi basse a cui poi si propone il capitalismo come soluzione (tipico
del fascismo è proporre la causa di un problema come fosse la sua soluzione). Invece,
l’abbondanza dovrebbe ispirare gratitudine, condivisione e rispetto. È giusto anche
condividere ciò che Madre Terra e Madre Natura ci offrono con loro stesse. Basta
coll’incavolarsi se una lumaca si mangia una foglia di lattuga nel “nostro” orticello!
Ricordiamoci che la foglia di lattuga c'è l’ha data Madre Natura, e che se se ne riprende una
foglia, ne abbiamo ancora in abbondanza per noi. E dove ci sono problemi (raccolti
distrutti) ormai si sa che sono dovuti ad una malattia dell’ambiente, quasi sempre causata
dagli Umani e dalla chimica ed inquinamento. Un ambiente sano produce
abbondantemente. Ormai si è arrivati a livelli di agricoltura organica-biologica che danno
risultati impressionanti anche rispetto a quella chimica ed industriale. E tutto seguendo il
concetto che se si cura l’ambiente, la Natura è più generosa, o meglio, ancor più generosa
di quando non la si cura. E noi dobbiamo essere generosi verso la Natura.
Ecco che il concetto di abbondanza e la generosità che ne segue deve applicarsi a tutti gli
esseri umani, specie i più bisognosi, ovviamente, ma anche alla Natura ed al pianeta stesso.
Dobbiamo uscire dal paradigma della scarsità che ci spinge ad accaparrare, anche a spese
degli altri, anche a costo di sfruttare il prossimo, in sé un crimine; dobbiamo smettere di
aver paura di essere generosi. Ma esiste una condizione necessaria a questo cambiamento:
la sicurezza. Quella sicurezza che il sistema capital-corporativista ha tolto ai lavoratori, ai
pensionati, ai disoccupati, ai piccoli imprenditori, ai meno abbienti, ai professionisti (si
pensi al precariato degli insegnati), ai senzatetto e a tutti i meno abbienti. Quello che loro
ci vogliono far credere è che sia impossibile essere generosi a meno che non si sia abbienti.
Vero, col loro sistema è, in molti casi, così. L’ecosocialismo deve restituire a tutti quella
sicurezza che il capitalismo ha rubato alla stragrande maggioranza delle persone. Ed è tutto
possibile con un’equa distribuzione delle risorse e del benessere e ancor più facile e
permanente colla condivisione dei mezzi di lavoro.

E pensiamoci pure, ma che sicurezza ci offre questo sistema dominante che ha portato a
due guerre mondiali, una guerra perpetua, il timore di morire tutti inceneriti in un
olocausto atomico è che ora, a proposito di ecosocialismo, ci sta minacciando colla
distruzione di tutto il pianeta e dell’intera Umanità? Ma scherziamo? Ci tolgono persino la
sicurezza di avere un domani, mentre noi proponiamo un futuro migliore per tutti. È da
illusi o imbecilli credere ancora a questo sistema. E per chi crede ancora al cosiddetto
libero mercato, chiedo solo un po’ di pazienza. Ne parleremo a breve.
Ecosocialismi

Come ricorderete, nei paesi anglosassoni si parla ormai di socialismi al plurale piuttosto che
di socialismo. Credo lo stesso valga per l’ecosocialismo. In generale, l’ecosocialismo può
essere definito come filosofia sociale e politica o anche una filosofia di vita, ma sotto
questo termine si possono raggruppare una serie di versioni/visioni e realtà ben diverse. La
diversità, o pluralismo dell’ecosocialismo (una delle forze della sinistra, trasformata in
debolezza da politici incapaci o uno oserebbe anche pensare disonesti) deve rimanere una
sua qualità fondamentale. Pensiamoci; una cosa che non è mai piaciuta a me e penso a
molti di quel cosiddetto esperimento comunista che fu l’URSS (e simili) è che si impose un
modello di vita (economia, società ecc.) fatto collo stampino a tutti. Tra le varie critiche che
si possono muovere al capitalismo di stato (comunismo sovietico e cinese ecc.) è che non
hanno fatto i conti con Dio... Non importa se credete o no, il concetto è che la Natura non
solo non ci ha fatti tutti uguali, anzi, vuole che noi ci si esprima e si cresca in modo diverso,
per vie diverse e con idee diverse. Ed è questo l’arcobaleno che la sinistra deve imparare a
rappresentare. Non solo URSS e China non diedero possibilità ai cittadini di esprimersi
spiritualmente, ma imposero lo stesso stampino a tutti. Hanno fatto più danno loro alla
sinistra di quanto abbiano fatto Hitler, Mussolini, Trump, Bannon , i tre Bush e Putin messi
insieme.

Ok, dobbiamo toglierci di dosso questo stereotipo falso, ma non basta, dobbiamo
continuare a promuovere la nascita e sviluppo di idee nuove, e ciò può accadere solo se si
accetta il pluralismo, la diversità, ma non solo di idee, che poi vengono filtrate e se ne viene
fuori con un accordo che non accontenta nessuno ma deve star bene a tutti, ma con la
possibilità vera e concreta di sperimentare anche socialmente. Rileggendo l’Art 3 della
Costituzione, parrebbe che ciò sia persino indicato dalla legge più alta dello stato. Non è più
accettabile che si imponga un modello unico di vita a tutti. Semplice. Lo sappiamo, e
dobbiamo capire che non solo non c’è niente di male nel lasciare che gruppi di persone
vivano in modo diverso, ma che è possibilissimo farlo. Ed anche facile. Ora, strano che tanti
di quelli che si inorridiscono al pensiero di un sistema alla URSS poi in realtà applichino gli
stessi concetti e sistemi (solo un po’ meno restrittivi, ma mi domando quanto a sto punto)
nel nostro paese, e che quando si propone una comunità di realtà diverse tantissime
persone vadano in panico totale. Me che, siamo in Russia?

L’UE è un esempio di una organizzazione sociale (chiamala federazione, stato, super stato,
iper stato...) che ha al suo interno repubbliche di ogni tipo (parlamentare in Italia, un
cancellierato in Germania, presidenziale in Francia), regni di vario tipo, un gran ducato,
ecc... Forse è anche questo che non piace ai fascisti del terzo millennio (i sovranisti). L’UE è
la prova che il pluralismo delle comunità non solo può esistere ma può funzionare. Certo,
non è perfetta, ma teniamo conto che si tratta di una comunità di 670 milioni di persone, e
non solo, che non nacque in modo più o meno spontaneo, che è giovane ecc.. Ma
guardiamo anche l’UE in confronto colle altre organizzazioni a lei paragonabili: Russia, USA,
China ed India. Ho detto tutto.

O forse no, perché se USA, China e Russia sono di fatto dittature che calpestano i Diritti
Umani e dove succedono cose spesso assurde, l’India, con tutti i suoi difetti, è quella che dà
più speranze per il futuro e, nonostante una storia di colonialismo e povertà ecc., è
abbastanza democratica. E indovinate un po’? L’India è pluralista! In India si parlano lingue
diverse, per esempio, ci sono culture diverse, religioni diverse ecc. Allora, dall’esperienza
che ci offre la storia delle nazioni moderne, è solo là dove esiste pluralismo concreto, non
solo di idee, che la Democrazia fiorisce.

Ritornando all’Italia, ci si chiede perché il pluralismo sia visto solo come la libertà di
pensiero. Poi si passa tramite comitati (scusate compagni), riunioni di condominio, tavoli di
governo e il pluralismo sparisce dai fatti per vederci serviti cosa? Lo stampino che deve
valere per tutti! E questo vale anche per i governi ed il Parlamento. Mai che abbiano
pensato di favorire modelli di vita diversi... Al limite li tutelano (se magari hai ragioni
storiche per essere tutelato), ma che si arrivi a favorire l’esperimento sociale ed il
pluralismo concreto... Lasciamo stare, siamo in un paese dove non ti puoi manco fare una
canna in santa pace... Tra parentesi, non fumo canne, ma il concetto rimane. Tutto ciò che
si pone al di fuori dello stampino viene represso, anche se non nuoce a nessuno e non pone
alcun pericolo. È uno stampino un po’ più comodo di quello dell’URSS, ma sempre
stampino è, e quando lo si impone, significa che qualcuno o si piega o resta fuori. Ed è
ingiusto; viola i Diritti Umani.

Parlando di ecosocialismi, si può pensare a diversi modi in cui l’ecosocialismo venga poi
realizzato nella realtà. Io ne vedo alcuni, ma son certo che ve ne sono altri:

 Grado; parola sfortunata ma conveniente; gli ecosocialismi, o progetti ecosocialisti,


ovviamente variano a seconda di “quanto” socialismo ed ecologia ci sia nel
progetto. Ad esempio, una comunità potrà scegliere di vivere in campagna
sperimentando nuovi metodi di agricoltura ed essere totalmente comunitaria
(condividere cucina, arte, scuola, ecc, anche essere una sola famiglia con figli
cresciuti collettivamente - frega a mia!), un’altra magari può solo condividere i
mezzi di produzione e magari condividere idee pratiche per come essere più
ecologici nella vita quotidiana, o condividere l’orto nel cortile del palazzo in città
ecc. Ogni variazione e mix di tutte le variazioni possibili.

 Direzione: partendo dai concetti base dell’ecosocialismo, ci si può inoltrare su vie


diverse; per esempio, ci sarà chi vorrà dedicarsi di più al turismo ecosolidale, o chi al
miglioramento (ci vorrebbe una rivoluzione urbanistica) delle zone urbane (magari
con una cooperativa anche di volontari per il miglioramento del verde, o perché no,
visto che ci siamo, una cooperativa di urbanisti e architetti che propongano
soluzioni anche a livello globale - ce ne sarebbe bisogno, e lascio al lettore o alla
lettrice il piacere di indovinare perché gli architetti siano più propensi a costruire
grattaceli “falloid” - nessun riferimento al famoso fungo, dai, non mi andava di dire
“fallici”- per corporazioni con grandi ego piuttosto che proporre soluzioni nuove,
sane, ecologiche di vita comune ed urbana ecc...). Ci sarà chi vorrà esplorare
medicine alternative e chi vorrà sviluppare mezzi di trasporto alternativi ecc.
Insomma, letteralmente mettetevi in una piazza di una grande città fate un giro di
360o, scommetto che saprete vedere direzioni ecosocialiste a volontà. Anzi, un
esercizietto che ho fatto io: fate una passeggiata in giro per il vostro quartiere o
comune e guardate quanti lavori in ecologia e ancor più che potrebbero essere
compiuti con cooperative ecosocialiste riuscite a trovare. Io a Rho, città super ben
gestita, ne ho trovati 10 in un’ora.

 Luogo; ovviamente il luogo in cui viene iniziato un progetto o vive una comunità
influenza la struttura ecc. della comunità stessa. Sarebbe ridicolo pensare che un
progetto ecosocialista sul mare in Sicilia abbia gli stessi ritmi, le stesse abitudini, gli
stessi sviluppi ecc. di uno in Valtellina. E se poi si pensasse ad uno che magari sta
rinverdendo il Sahara ed uno in Groenlandia... Chiaro, se l’ecosocialismo deve
rispettare il pianeta, è naturale che ogni comunità debba sia rispettare il posto in cui
vive (o viaggia) che avere il diritto di svilupparsi in modo autonomo in simbiosi con il
luogo. Quel ritorno ad essere in contatto con il posto in cui si vive non deve solo
essere un modo di dire, deve diventare un vero e proprio diritto del posto e delle
persone che ivi abitano. E deve così divenire una realtà del pluralismo; diciamo che
dovrebbe esserlo in tutti i sistemi del mondo, ma che il concetto è ecosocialista.

 Funzione; una realtà ecosocialista può avere funzioni diverse da altri. Ne basta una
di funzione, ovviamente, ad esempio un doposcuola gestito da un collettivo di
genitori che a turno portano i bambini a conoscere la Natura è un progetto
ecosocialista (se ovviamente basato su equità dei membri ecc.) con una funzione
chiara ma pur sempre una. Ci possono essere progetti con diverse funzioni, altri con
una ecc. Alla fine, la funzione indica chi o cosa tale progetto serve.

 Dimensione; ovviamente la dimensione del progetto e della realtà incide ed


inciderà sulle sue funzioni, sulle sue aspirazioni, sulla sua struttura ed i suoi sistemi
interni. Di progettisti piccole dimensioni ne esistono a migliaia nel mondo; ho avuto
anche il piacere di passare anni cercando di capirli e viaggiando per vederli. Quello
che noto è che quelli di piccole dimensioni spesso in Italia faticano; faticano per vari
motivi, ed il principale è che esiste un minimo ideale di membri per raggiungere
l’autosufficienza. Questi progetti spesso vogliono anche comprensibilmente essere
autosufficienti. Sembra chiaro che un gruppo di poche persone faccia fatica ad
esserlo. Mancano progetti di dimensioni più ampie; penso che per arrivare a questo
obiettivo, la dimensione di un piccolo villaggio sia necessaria. Gli ostacoli posti dalla
mancanza di risorse che si sviluppa con conoscenze e competenze diverse non sono
pochi. Detto questo, in USA, in Canada ecc. esiste il movimento dell’homsteading,
ovvero di nuclei piccoli (spesso familiari) che si rendono autosufficienti. Forse
laddove la terra è molto disponibile ciò è più facilmente risolvibile. Ma esiste un
altro fattore: l’interconnessione con altre realtà simili. Avere una rete di contatti e
collegamenti con altre realtà ecosocialiste è molto importante. In Spagna, dove
queste realtà sono interconnesse, si sviluppa una rete di supporto reciproco che
certamente aiuta in caso di bisogni straordinari e a volte meno straordinari. In Italia
la situazione è eterogenea; in alcune regioni esistono progetti interconnessi, che
lanciano ad esempio mercatini dove possono vendere i propri prodotti ecc. In altre,
l’isolamento è spesso la causa di uno sviluppo più limitato. Il che ci porta al
prossimo punto.
 L’interconnessione; alcune realtà saranno più connesse tra loro ed altre più isolate.
Come detto, è meglio avere rapporti con altre realtà ecosocialiste o ecologiste in
generale, e l’isolamento totale è, a mio avviso, da evitare.

 La connessione con l’esterno: per “esterno” intendo sia magari il paese vicino, che
il comune o la regione di appartenenza che, se si vuole, chi vive nel sistema
dominante. È mio parere che tale connessione vada coltivata. Una comunità deve
poter respirare. Il rischio non è solo l’isolamento, ma anche, in casi estremi, il
settarismo. Buoni rapporti anche con chi non la pensi come noi sono sempre
auspicabili. Non solo, ma io vedrei queste piccole comunità ecosocialiste offrire
servizi anche all’esterno. Conosco alcune che lo fanno, ed è non solo dettato dalla
generosità, concetto chiave dell’ecosocialismo, ma anche un modo per far
conoscere questa alternativa a chi vive al di fuori. Come vedremo, questo è
importante nel metodo, nel modo in cui l’ecosocialismo propone di diffondersi in
tutto il mondo. Esistono comunità che vengono visitate regolarmente, per esempio,
altre che offrono corsi (un abbraccio ad una comunità dove ho lavorato e che,
piccoli e con tante difficoltà, offrivano il doposcuola ai bambini del paese vicino).
Contrapporsi al sistema dominante non vuol dire contrapporsi a chi, per scelta o
necessità ne viva ancora dentro.

 L’ampiezza sociale; non volendo usare la parola gerarchia, ma vedendo la società


da vero socialista, ovvero come un’insieme che può comprendere al suo interno
una miriade di sottoinsiemi, ho preferito questo termine. Ora, cosa intendo per
ampiezza sociale? Intendo dire dal nucleo piccolo all’ONU, passando da comuni,
regioni, stati e federazioni di stati tipo l’UE. Penso che lettrici e lettori abbiano già
capito che io vedo un futuro ecosocialista a livello globale, con un ONU riformato.
Ora, parlando dell’Italia, non penso diventerà ecosocialista per legge, ovviamente,
ma credo lo diventerà spontaneamente quando la gente vedrà, tramite progetti
sempre più ampi, tramite l’autodeterminazione degli individui che, cercando una
soluzione ai propri problemi ed a quelli del pianeta, che l’ecosocialismo offre una
vera opportunità di crescita e cambiamento, sceglierà liberamente una o l’altra
forma di ecosocialismo. Scusate se devo ancora ricordare alcuni incubi del sistema
corporativista, ma a noi si dà per scontato che lo stato nazionale sia l’unica forma di
grande organizzazione sociale possibile. Non è così e non è stato così da molto
tempo, in termini storici. Vedete, mentre il fascismo ha ancora un’idea (orrenda) di
cambiare il mondo a lungo termine, a sinistra la narrativa è che dobbiamo fare il
meglio con le strutture che abbiamo è che non cambieranno mai. C'è l’hanno
inculcata. Ma chi veramente, vista la crisi mondiale degli stati-nazione crede che
questi, nel nostro caso di soli 150 anni, sopravvivranno per sempre? No, non sarà
giovedì mattina, ma è chiaro che una struttura sociale a livello della Repubblica che
si fondi sulle libertà di comunità più o meno ampie autogestite che collaborano tra
loro e che, nell’insieme, si identificano colla Costituzione (anche lei cambierà, si
spera in meglio nel futuro) sia ben visibile all’orizzonte. Ricordiamo, niente deve
succedere non consensualmente, niente violentemente. Io parlo di uno sviluppo
naturale dell’Italia in una grande comunità ecosocialista.
Comunque, chiaro che tale società dovrà avere strutture adeguate, quelle che oggi
si chiamano istituzioni, per garantire la Pace ed il benessere di tutti gli italiani, e lo
sviluppo dell’Italia nel suo insieme. Ma io vedo questo già ampliarsi nell’Unione
Europea con una certa facilità. Quando le idee viaggiano velocemente, il
cambiamento è spesso più rapido di ciò che ci si aspetti. Alla fine, un sistema è
garantito, e questo è un fatto storico, solo per la durata di una generazione. Ora, si
nota già che tanti quarantenni hanno ereditato un sistema dai loro genitori, e che
non lo hanno mai veramente voluto, ma gli è stato imposto dal corporativismo...
Ora abbiamo gli adolescenti che dicono ai quarantenni di cambiare il mondo, e noi
non sappiamo cosa fare, perché il sistema è vecchio e non ci appartiene. I
quarantenni di oggi non hanno avuto l’opportunità di cambiare il sistema come
avrebbero voluto loro; si trovano oggi a gestire uno stato pachiderma (burocratico,
pesante, invadente) che non rispetta nemmeno i valori costituzionali, che vede
corrotti andare al potere e dettar legge. Ma i giovani ci stanno chiedendo di fare
qualcosa. Beh, si può essere sessantottini a vent'anni ma lo si può essere anche a
cinquanta.

Spieghiamo pure perché non é successo; il ’68 fu fatto da studenti universitari che
poi finirono a dover entrare nel sistema per guadagnarsi il pane. Ed è qui che
l’ecosocialismo offre un’alternativa. Anche tenere quel filo d’argento con le proprie
idee tramite progetti piccoli, e non dover cambiare la propria vita radicalmente,
anche solo riunendosi in cooperative per pulire i parchi urbani (esempio a caso),
significa non entrare nel sistema e tenere le porte aperte al cambiamento.
L’ecosocialismo è troppo capillare perché il corporativismo lo possa mai fermare.
Infatti, il sistema dominante ha bisogno che chi ci entri lo faccia pienamente. E
questo l’ecosocialismo non glie lo permetterà mai. Se non siamo noi (parlo dei
quarantenni e cinquantenni) a tenere vivo questo filo d’argento, e già sono
tantissimi quelli che abbandonano il lavoro (fisso non più per giunta, bella zappata
sui piedi che si sono dati!) per dedicarsi a progetti alternativi... Sta succedendo in
tutto il mondo, saranno i nostri figli che già ogni venerdì manifestano per un mondo
verde ed equo. E sono in milioni a farlo. Diamo loro una mano!

Come si vede, quando si parla di ecosocialismo, si chiude il cerchio. L’ampiezza


sociale dovrebbe rispettare quello che è il desiderio sociale (volontà del Popolo); ed
invece, già oggi, non lo rispetta. Il disagio che milioni di italiani e miliardi nel mondo
sentono non viene rappresentato. Qualcuno o qualcosa sta tenendo le lancette
dell’orologio della storia indietro.

Il mio punto sull’ampiezza sociale è che già esistono migliaia di piccole comunità nel
mondo, ma il desiderio dei Popoli è molto, ma molto più ampio già da adesso, e lo è
stato per decenni. E siamo noi sovrani. Vedrete che quando i media e altri pupazzi
vari smetteranno di parlare di migranti come un problema, si apriranno moltissimi
discorsi sulle alternative possibili a questo sistema. Ed un discorso come quello può
solo reggere per poco tempo. Già si sentono miriadi di persone che dicono, “È basta
con ‘sti migranti,” nel modo buono. La retorica, quando stufa, non funziona più.
L’ampiezza sociale dell’ecosocialismo in Italia verrà, ovviamente, fuori dalla
decisione del Popolo, che per ora è distratto su temi irrilevanti e falsi discorsi, ma io
direi che intanto intavolare agevolazioni è un vero e proprio riconoscimento (come
richiesto dalla Costituzione) da parte dello stato a progetti sociali ed ecosocialisti
sarebbe un gran passo; parlo di agevolazioni legali, anche se in realtà, siccome si
tratta di migliorare l’ambiente, definito “bene pubblico”, dovrebbero anche esserci
dei fondi di stato. L’importante è che cambi il clima politico.

 La personalità; chiaro che ogni comunità avrà la sua personalità. Anche qua siamo
ben lontani dagli stampini di omologazione del sistema dominante è di varie
dittature (dove l’unica differenza sostanziale che vedo è nei baffi del tiranno di
turno). Questo è un punto che chi sceglierà a quale realtà aggiungersi dovrà tenere
in considerazione; a volte progetti con temi che stanno a cuore a chi li osserva non
hanno la personalità giusta. È importantissimo che non solo si segua ciò in cui si
crede, ma che si vada con gente ed in posti dove si sta bene. E col proliferare dei
progetti, sarà ancor più facile trovarne uno che abbia più fattori desiderati e piaccia
come personalità.

Al contrario della apparente struttura piramidale a due dimensioni della società che viene
descritta ed imposta dallo status quo, l’ecosocialismo si propone come insieme/i di rapporti
flessibili e tridimensionali.
Il cambiamento profondo con l’ecosocialismo

Con questo argomento chiudiamo il capitolo che introduce l’ecosocialismo. Abbiamo visto
che il sistema dominante semplicemente non può più essere accettato né sopportato.
Abbiamo visto come ci sia una necessità assoluta di un cambiamento profondo, molto
profondo di tutta la società mondiale. L’ecosocialismo propone una soluzione non solo
plausibile, ma fattibile ed a mio avviso necessaria.

Per ottenere ciò, comunque, si deve cambiare il paradigma mentale delle persone; il modo
stesso in cui si pensa deve procedere al prossimo stadio della nostra storia. È come se
ormai si veda questo mondo bello, sano, equo e armonioso del futuro, ma qualche cosa
continuasse ad ostinarsi a non farcelo realizzare. Il sistema dominante non vuole vedere la
sua fine e continua a girare l’orologio della storia indietro; il capital-corporativismo sta
effettivamente e coscientemente bloccando lo sviluppo ed il benessere dell’Umanità, e lo
sta facendo solo per mantenere gli interessi di una minuscola minoranza, a spese di tutti gli
altri ed a costo di distruggere l’intero pianeta.

Prendendo atto di questa realtà, che è alla base di questa imminente catastrofe e la
sofferenza di miliardi di persone, bisogna fare uno sforzo per allinearci colla storia; bisogna
fare quel passo nel futuro verde ed equo che avremmo dovuto fare molto tempo fa. Già
agli inizi dell’ottocento ci era stata mostrata questa via, sebbene in modo molto difficile da
capire. Penso ai Romantici Inglesi ed in particolare modo a Biographia Literaria di
Coleridge. La loro lungimiranza si presenta oggi in tutta la sua luminosa attualità. Ed in fatti,
fu l’occhio del Poeta che già all’inizio della Prima Rivoluzione Industriale ne vide le
conseguenze catastrofiche; così Blake divise il mondo tra ciò che avrebbe dovuto essere
per volere divino e ciò che stava divenendo per volontà ed ancor più per l’ottusa avarizia
dell’uomo che cominciava a riempirsi la testa di idiozie capitaliste, svuotandosi il cuore da
quell’Amore immenso che dovremmo provare per la Madre Terra, la Natura, i nostri
compagni di viaggio animali, vegetali, funghi e pure minerali, astrali ecc.; cosa che fu sì, una
discesa negl’inferi, più o meno metaforica, perché laddove ci si pone come superiori ad
altri, e si smette per questo motivo di amarli, si impara anche a non amar più se stessi. Ed è
ciò che è successo! Prima furono animali e piante considerati “oggetti da usare”, poi
Umani. Quando i Romantici, tanto incompresi a livello poetico e filosofico, parlavano di un
ritorno alla Natura, dicevano qualcosa che non è facilmente esprimibile razionalmente, ma
richiede quel senso di empatia che veramente porta alla comprensione. E ciò che loro
sentivano divenne ancor più difficile da comprendere, ancora più alieno all’esperienza
umana col crescere del sistema capitalista, disumanizzante per sua natura e sua necessità.

E dire che ne avemmo di segnali di pericolo così enormi che solo un imbecille avrebbe
potuto ignorarli, e noi, sotto la guida dei plutocrati, li abbiamo ignorati tutti, ogni volta
perdendo l’opportunità di cambiare strada. Stiamo girando per i gironi dell’inferno ed a
ogni porta del Paradiso che si apre, con qualche scusa, il capitalismo ci punta il dito altrove
mentre i suoi chiudono la porta appena giriamo le spalle. E fu così, che la Grande Guerra, la
“guerra che avrebbe finito tutte le guerre” non solo divenne la guerra che diede inizio alla
Guerra Perpetua, ma anche quella che fece vedere gli orrori del capitalismo e
dell’imperialismo. Ma no, appena finita, tutti a ballare il charleston invece di fare una pausa
di riflessione per capire cosa avremmo dovuto cambiare, ignari che la seconda, ed ancor
più orrenda guerra mondiale era già in preparazione nelle stanze del potere. Guerra
studiata a tavolino, lo si sappia. E poi? Scordiamoci ancora che l’Umanità faccia ciò che è
dovuto: riflettere e cambiar rotta. Invece, guarda caso negli anni ’50 arrivano soldi da tutte
le parti e un nuovo specchietto per le allodole diventa la distrazione di massa dal vero
cambiamento: il consumismo. Ed è il consumismo che ora è causa dell’imminente
catastrofe!

È ora di fare ciò che avremmo dovuto fare tanto, tanto tempo fa: fermiamoci e riflettiamo
su come cambiare rotta! E per farlo, dobbiamo dire al sistema, “Un attimo, adesso penso
colla mia di mente, tu ed i tuoi tranelli i e biscottini avvelenati potete aspettare.”

Altre chance che abbiano perso, e che la storiografia schiava del sistema ed i media si sono
premurate di oscurare dalla storia da loro scritta, furono la macchina elettrica, come
abbiamo visto, e l’energia libera già conosciuta da Tesla agli inizi del novecento.

Pensando al momento attuale, ed è questo il motivo per cui ho deciso di scrivere questo
libro, credo sia assolutamente il momento per una pausa di riflessione ed un cambiamento
profondo della società. Siamo nel 2019, il cosiddetto sovranismo, o chiamandolo col suo
nome, fascismo, ha avuto anni di crescita in Europa, negli USA ed è ormai gestito dal
dittatore russo Putin. Ma ora in Italia, quello là è fuori dal governo. Bene. Ma non
dobbiamo farci distrarre. Il fascismo si ritira quando vede che i loro piani non stanno
riuscendo; fanno un passo indietro e si riorganizzano, ma nel frattempo costruiscono un
muro di gomma e cominciano a distrarre dal vero argomento: da gennaio le multinazionali
in UE non potranno più eludere l’erario. Non è a caso che Johnson, vedendo il suo no deal
Brexit sfumare, abbia guadagnato tempo, ma, siccome l’UE astutamente ha dato proroga
fino a gennaio 2020, Johnson sta or ora indicendo elezioni per dicembre 2019. Arriveranno
fondi, spargeranno fake news e cercherà di avere la maggioranza in Parlamento che ora
non ha per permettergli di continuare nei suoi piani.

Parlando di quello là (che non nomino perché notoriamente porta sfiga), LVI sta cercando
di vincere elezioni regionali, concentrando tutta la sua propaganda in zone piccole o
comunque limitate per un breve periodo, per arrivare ad un risultato che dia l’impressione
che la Lega stia crescendo in modo stabile. Il rischio esiste ancora, e bisogna evitarlo. E se
oggi ci mettessimo tutti a ballare il charleston, siate sicuri che faremmo il gioco dei fascisti.
Ma a mio avviso questo non è solo il momento di evitare l’ascesa fascista; è anche quello di
riflettere su come cambiare il sistema strutturalmente, per fare in modo che tale orrore
semplicemente non sia più possibile.

Nel sistema dominante i politici sono marionette delle corporazioni. Ora, guardiamo anche
il migliore scenario possibile: Trump viene deposto tramite impeachment, quello là se ne va
in galera (e ci dovrebbe andare per crimini seri, non per i bunga bunga party di Berlusconi),
Brexit non si avvera e Putin, beh, per Putin (che sta perdendo consenso anche tra i suoi
parlamentari, e molto) c’è il rischio vero di una rivoluzione. Ok, voi credete che una volta
tolti i pupazzetti di torno le corporazioni si arrendano? Basta fare gli ingenui: un conto è
credere, volere e lavorare per un mondo migliore, un altro è auto-illudersi che chi ha
interessi enormi non sia pronto con un pano B. E allora guardiamo cosa sarebbe questo
piano: distrarre le masse (anche con una ripresa economica, per “ricordarc”’ che alla fine il
capitalismo funziona), preparare la nuova generazione di marionette politiche e mediatiche
e procedere col loro piano.

Ed allora quanto tempo avremmo? Non molto. Qualche anno. Ma se ci distraessimo ora
dalla lezione che dovremmo imparare e che avremmo dovuto imparare tanto tempo fa,
loro avrebbero l’occasione di portare ancora indietro i tempi della storia.

Ed è per questo che ora è il momento di fare proposte alternative al sistema. La sinistra
deve finalmente imparare a gestire il pluralismo delle idee. L’ecosocialismo deve essere
messo sul tavolo come proposta seria, praticabile e chiaramente spiegabile. Ed è anche per
questo che vi invito a circolare questo pamphlet il più possibile. Lo pubblicherò gratis, non
voglio diritti d’autore, ma voglio che sul tavolo delle riforme sociali non si parli solo di
leggiucole che acquietino questa o quella categoria o riforme istituzionali di facciata, come
il taglio dei parlamentari. Voglio, e lo voglio perché tutto il mondo ne ha bisogno, che si
proponga un cambiamento profondo e strutturale della società; uno che costruisca
garanzie di sicurezza per il paese, per l’Umanità è per il pianeta intero. E l’ecosocialismo
offre proprio questo: una riforma radicale del pensiero oltre che della società e, non
dimentichiamo, dei rapporti umani e non solo.

In un mondo ecosocialista nessuno dovrà mai essere messo nella posizione per cui debba
soffrire per l’incertezza dei propri diritti e del futuro dei suoi figli a mano del corporativismo.
Questo è un obiettivo chiave della proposta ecosocialista. La salvaguardia della Natura e
del pianeta va a braccetto colla tutela dei Diritti Umani, che sono, come dice la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, inalienabili. Purtroppo, non sono nemmeno
rispettati (nemmeno garantiti, anzi osteggiati e negati) dal sistema dominante.

Esiste un movimento bellissimo, Fridays for Future; ora, i giovani di tutto il mondo ci stanno
chiedendo di fare qualcosa per salvare il pianeta ed il loro futuro. Se noi non cambiassimo
direzione ora, saremmo per sempre condannati dalla storia come colpevoli di non aver
ascoltato quando era ora. Questo movimento, di cui ho avuto il piacere di conoscere
un’organizzatrice, è giovane, è anche inesperto, e lo si critica perché ci sta chiedendo di
agire ma non offre una soluzione ai problemi che denuncia. L’ecosocialismo è una
soluzione. Non metterlo sul tavolo sarebbe nascondere una possibile risposta a chi ci
chiede di dare un futuro ai nostri figli ed al pianeta.

Come ho detto, le idee qui espresse sono aperte a critiche costruttive come tutte le idee, lo
ribadisco. Ma ribadisco anche che farsi sfuggire ora l’opportunità di cambiare il mondo
sarebbe buttare via le nostre vite su questa terra. Non voglio arrivare alla fine dei miei
giorni e dire, “Abbiamo avuto l’opportunità più grande della storia e non ci abbiamo
nemmeno provato.”

Chi di voi ha letto ‘El jardín de senderos que se bifurcan’, storia breve di Jorge Louis
Borges? Il critico letterario strutturalista Ronald Barthes ne dà una bellissima
interpretazione: il lettore deve, quando legge, scegliere una strada di una possibile
interpretazione del testo (non solo questo); ed allora, alcune strade si chiudono perché le
parole di una storia o poesia le rendono impossibili, ma nuove se ne aprono ad ogni scelta,
come una serie lunghissima di biforcazioni. Ed è così che suggerisco si legga la storia del
mondo, ma con un caveat: la storia non è ciò che è successo nel passato, ma ciò che viene
raccontato. È ora di ammettere che la strada del capital corporativismo è non solo chiusa,
ma defunta e colpevole, e che stiamo solo leggendo bestemmie immonde travestite da
favolette a cui non crederebbe più nemmeno un bambino! E quindi noi che ci troviamo
davanti ad un orrore così grande dobbiamo prendere atto che abbiamo il dovere di risalire
alle cause e ripartire da là. Ma la parola “socialismo” è stata mistificata per così tanto
tempo che non è facile proporlo. Ma anche questo si può cambiare, e lo si fa facendo
vedere a chi ancora crede alla retorica che col socialismo “siamo tutti più poveri” che ciò
non è vero, anzi, che col socialismo la stragrande maggioranza delle persone sta meglio, ed
un’esigua minoranza dovrà restituire ciò che ha rubato. Ci vorranno esempi pratici, anzi, già
ce ne sono, e torneremo su questo punto più avanti.

Tornando al movimento di Greta Thunberg, loro ci stanno chiedendo di trovare una


risposta. Ebbene, intanto sarà difficile contare la solita frottola che, “Vabbè, con un ritocco
qui e uno là è un po’ di fortuna si risolve tutto;” non ha mai funzionato e sarebbe da
scellerati pensare che funzioni proprio adesso. Dobbiamo dare una risposta seria.
L’ecosocialismo va alla base del problema ed offre una soluzione. E questa soluzione deve
essere discussa. E non ci si deve far prendere in giro dai soliti specchietti per le allodole tipo
“la tecnologia non è abbastanza avanzata”; lo è e lo potrebbe essere ancora di più. Il resto
sono scuse.

Ma pensiamoci, possiamo veramente costruire un mondo equo, verde, migliore, più felice è
pacifico e stiamo qui ancora a guardaci in giro seguendo le dita dei vari burattini? Ma per
Dio guardate la Luna!
Scenari ecosocialisti

Non si va ora a presentare una serie di vignette utopiche. Potremmo pure entrare sul vero
significato di “utopia”, e del come esso sia stato connotato con “non possibile” mentre
significa “non presente” e chiederci come mai scenari e proposte che propongono mondi
bellissimi siano stati tacciati da questa connotazione, mentre quelli che tentavano di
esorcizzare mondi distopici, orrendi e non funzionali siano stati realizzati, e chiunque abbia
letto Orwell o Huxley sa di cosa stia parlando. Ora, scusate la frecciatina al sistema
dominante, ma ho un Everest di sassolini da togliermi dalla scarpa; praticamente cammino
su trampoli scomodi da decenni... Comunque, dicevo, vedremo in questo libro “scenari”,
ovvero aree di vita e modi di vita che l’ecosocialismo potrebbe non solo promuovere, ma
anche informare ed agevolare. Parleremo di aree della società e dell’esperienza nel suo
insieme, vedendo cosa sta succedendo nel mondo, e cosa si potrebbe ancora fare. Perché,
nascosta di media tradizionali, la Rivoluzione Ecosocialista è già cominciata in tutto il
mondo. Trattasi di realtà diverse ed anche lontane, ma tutte legate da un filo ed un
desiderio comune: cambiare la propria qualità di vita e nel contempo trovare soluzione per
salvare il pianeta. Siamo secondo me ad una congiuntura strepitosamente importante nella
storia di questo pianeta; i rischi stessi che stiamo correndo urlano “ecosocialismo” come
soluzione: sono rischi dovuti a sfruttamento sociale e sfruttamento del pianeta. Semplice. È
chiaro che essendo arrivati alla radice del problema, è da lì che dobbiamo costruire una
strada nuova.

Ma prima di fare ciò, che diverrà chiaro con le parti dedicate al metodo ed ad alcuni temi
cari all’ecosocialismo, ci sono alcuni concetti da chiarire, perché un movimento cresce solo
se prima elimina tutte le falsità che vengono poste sul suo cammino.
Alcuni concetti da chiarire

In questo capitolo ci occuperemo di alcuni concetti chiave che bisogna chiarire. Concetti
necessari sia per poter proporre e poi costruire realtà ecosocialiste, sia per capire il mondo
più correttamente.

Questi concetti a mio avviso devono essere ben chiari intanto per poter costruire una
teoria sociale che si basi su fondamenta vere, ma anche per evitare di entrare in discorsi
inutili (o meglio solo utili alla plutocrazia capital corporativista a rallentare il discorso di chi
voglia veramente cambiare il mondo per il meglio).

Siamo pieni di falsità in questo sistema che ci viene imposto, e non v’è nemmeno il tempo
di guardarne una frazione decente; infatti ne guarderemo solo alcune, ma sono sicuro che
la storia condannerà il sistema capital corporativista come un mostro di falsità inaudito. Ma
noi che crediamo (o sappiamo) di essere dalla parte giusta della storia dobbiamo “fare
pulizia” di concetti falsi che permeano persino il linguaggio quotidiano.
Il pensiero anarchico

E cosa c’entra l’anarchia con l’ecosocialismo? L’anarchia c’entra eccome. Esiste una
concezione assolutamente sbagliata riguardo l’anarchia. Se si chiede, la maggioranza delle
persone dirà che anarchia significa “vivere senza legge”. Ed è errato. Non solo, ma alla
definizione di anarchia i media hanno aggiunto la connotazione di “caos, disordine” e
persino “violenza”. Niente di tutto ciò. Anarchico è colui che chiede all’autorità di
giustificare se stessa, colui che mette in discussione autorità e potere. E si torna a Platone.
Platone divide l’autorità in due, una, vera, che viene dalla conoscenza e competenza,
l’altra, falsa, che viene dal potere. Se chiedete il titolo di studio a un medico, agite da
anarchici. Ma questo non è il punto principale. L’autorità che viene dal potere non esiste,
nel senso che non ha alcun fondamento intrinseco, al contrario di quella che viene dalla
conoscenza e competenza. Ed allora chi esercita tale autorità, da dove la deriva? La deve
derivare da un principio etico. Ho io l’autorità di fermare una persona che sta picchiando
un’altra? Sì. E questa autorità mi viene dall’Etica, ovvero dal diritto della vittima di essere
difesa. Ma un sistema intero, da dove deriva la propria autorità? La può derivare solo dal
Bene di tutti e dalla Giustizia. Ed ecco perché l’anarchico arriva alla base propria del
sistema dominante: chiaramente esso serve una minoranza e nuoce alla maggioranza, indi
non ha alcuna autorità etica. Deve cessare di esistere.

L’ecosocialismo invece non esercita potere, e chiede autorità solo per difendere i diritti di
tutti e del pianeta. Quindi la sua autorità ha una giustificazione etica, ed è vera.

Il pensiero anarchico, ovvero il concetto che nessuno ha autorità su altri per pura posizione
sociale, o per privilegio, o perché possiede armi, non solo non dovrebbe essere
demonizzato, ma dovrebbe essere insegnato a scuola, come l’unico pensiero critico in
grado di mettere in discussione l’esistenza stessa del potere, e del sistema dominante, che
si basa solo ed unicamente sul potere. Purtroppo questi concetti non sono insegnati nelle
scuole. Quindi noi non forniamo ai nostri alunni i mezzi corretti per criticare il sistema
dominante. Stiamo sfornando diplomati e laureati che non hanno i mezzi per criticare il
sistema. E questo è un crimine. Solo un sistema con qualcosa da nascondere potrebbe
arrivare al punto di negare l’accesso alla logica ed ai mezzi che lo possano mettere in
discussione. Se tutti noi potessimo chiedere, “Ma tu che autorità hai per impormi ciò?”
Allora i gerarchi del corporativismo dovrebbero rivelare che la loro rivendicazione di
autorità, “i soldi”, o “le armi”, è totalmente vuota.

Questa metodologia di pensiero è utilissima in tutti i campi della vita. Quando una legge è
ingiusta, non può rivendicare alcuna autorità, perché la Legge deriva la sua autorità dalla
Giustizia. Ed ecco che le leggi ingiuste non sono leggi, ma testi inutili, davanti all’Umanità,
alla Giustizia ed a Dio.

Vero, la storia dell’anarchia è cosparsa di bombaroli e gente tanto arrabbiata col sistema
che ha commesso crimini, ma questo lo spiegheremo più avanti, quando parleremo di
populismo. L’anarchico che rivendica di avere l’autorità di uccidere nel nome di un sistema
migliore non ha seguito la logica del pensiero anarchico correttamente. A parte la totale
inutilità di tali azioni, questo errore fu commesso perché gente troppo arrabbiata col
sistema penso che esista un “diritto offensivo”, mentre non esiste un diritto offensivo in
Etica, ma solo uno difensivo. Anche l’idea di “giustiziare” in nome del Popolo non segue il
pensiero anarchico, perché nessuno può attribuirsi il diritto di togliere la vita ad un’altra
persona, né lo stato né il Popolo, ma solo la Natura e la persona stessa. Ragionamento,
quello del diritto offensivo, preso poi e scaricato con bombe su milioni di persone da
Rumsfeld e Bush dopo l’11 settembre 2001. Ovviamente tanti furono accusati, anche uccisi
e poi si scoprì che furono fascisti e servizi segreti a mettere le bombe nelle varie stragi di
stato. Ma la cattiva reputazione è rimasta agli anarchici.

Ora, se ci sono anarchici che hanno sbagliato, ciò non significa che il pensiero anarchico lo
sia, ed infatti io sfido chiunque a trovarne difetto. Preso come principio filosofico e di
modalità di pensiero, andrebbe insegnato. Invece insegnano uno slogan vuoto sia di dal
punto di vista razionale (ovvero del ragionamento) che quello empirico-storico che il
capital-corporativismo sia il miglior sistema possibile. Cosa indifendibile di per sé, e
diciamolo, totalmente antitetica, visto che è il sistema che mantiene la maggioranza della
gente in povertà e sta letteralmente distruggendo il pianeta intero. Ma questo è un falso
concetto accettato comunemente. Guerre e stermini che arrivano alle centinaia di milioni
di morti, morte per fame per altrettanti, ma ancora la gente stenta a fare la domanda
anarchica: ma questo sistema, con tutti i danni che ha combinato, da dove deriva la sua
autorità? Da una credenza popolare inculcata di giorno in giorno, con media, libri,
televisioni, politici, sistemi educativi errati ecc. nella mente di molti. Eppure, nonostante la
spesa colossale per mantenere in piedi questa palla immane, ormai il pensierino luminoso,
“mi sa che non è così e che si possa cercare un sistema migliore,” si è già acceso in miliardi
di persone. Ed era il pensiero che loro non avrebbero mai voluto che noi avessimo. Troppo
tardi.

Comunque, se anarchici e comunisti fecero errori, anche enormi nel passato, li fecero per i
motivi giusti: per il bene di tutti, che loro erano erroneamente convinti di servire (e non
includo Stalin e compagnia varia qua, parlo di gente comune). Cosa ben diversa dal
corporativismo che fa errori coscienti e per i motivi errati e persino maligni.

Ma sto divagando. Quello che a noi interessa è riconciliare il pensiero anarchico coi valori
della sinistra e con l’ecosocialismo, e certamente la critica all’autorità non è solo cosa
auspicabile, ma intrinseca nell’autorità stessa: qualsiasi forma di autorità o uso di essa
deve, anzi, chiedere di essere criticata, perché un’autorità che non regge la critica non è e
non potrà mai essere autorità, e ogni volta che la si usa si deve apertamente sapere da
dove derivi questa decisione e questa autorità.

Comunque, con uno sguardo al concetto di anarchia e comunità, esistono società


anarchiche? La risposta è sì. Ne esiste una Christiania, nel cuore di Copenhagen, dove tutto
viene deciso collettivamente, ed è sopravvissuta per decenni, nonostante sia nata nel 1971
da senza tetto e gente poverissima ed abbia incontrato spesso l’ostilità del governo e della
polizia, diventando una società che, se non ricca finanziariamente, non è nemmeno povera
ed è veramente ricchissima culturalmente. Basti dare un’occhiata alle foto di quel posto,
che si vede creatività, benessere e Libertà sprizzare ad ogni angolo.
La Giustizia

La Giustizia non è una serie di leggi. La Giustizia è la volontà di perseguire il bene e la verità.
Questa è la vera definizione giuridica e filosofica di Giustizia. La Legge deriva la sua autorità
dalla Giustizia e dal volere del Popolo, e ne parleremo in un momento. Come aneddoto, su
Twitter ebbi una discussione con un avvocato leghista che si offese perché, non sapendo
che fosse avvocato, gli dissi che non capiva il concetto di Giustizia e dovevamo “tornare alle
elementari”. Beh, per lui la Giustizia era una serie di codici, e arrivò a dire che ero “illuso se
credevo che i Giudici si rifacessero al concerto etico della Giustizia”, o parole di tal senso.
Ridicolo. I Giudici non possono amministrare Giustizia se non tramite la sua identità etica,
loro applicano un concetto etico usando le leggi nel nome del Popolo Italiano. Questo è il
concetto base da cui derivano la loro autorità. Si noti che non lo fanno in nome dello stato,
ma del Popolo! La differenza è enorme.

Ora, passando alla Legge. In Italia il concetto è molto offuscato. Legge è ciò che appare
nella Gazzetta Ufficiale. Sì e no. Perché se la Corte Costituzionale la abroga, quella legge
non è mai esistita, anche se fosse stata pubblicata in lettere cubitali. Perché? Esiste una
questione di “gerarchia delle fonti” (termine giuridico è chiaro: ci sono leggi che valgono
più di altre, ma io preferisco, essendo anti-gerarchico, “precedenza delle fonti”, che forse
eviterebbe tanti impicci, tipo contratti che non partono dalla Costituzione tipo quelli che la
Casaleggio ha fatto firmare ai suoi parlamentari, che quindi non valgono niente). Ovvero,
alcune leggi hanno più autorità di altre. Ma anche questo concetto è confuso in Italia.

Ma nel mondo anglosassone, e nella giurisprudenza internazionale, esistono chiaramente


tre “gradi” di legge. La legge vera e propria, l’atto ed il codice.

L’atto vale poco. Ogni atto deve avere il consenso esplicito dell’agito (la persona a cui si
applica). Il codice è un contratto firmato, tipo il codice stradale; non è applicabile senza la
firma (che si dà quando si firma la patente). Ora, vorrei che questi concetti divenissero
chiari anche in Italia, perché questa idea malsana che tutto ciò che è scritto in modo
formale o legale sia legge è una baggianata e ci priva di diritti inalienabili, sanciti niente po'
po' di meno che dalla Dichiarazione dei Diritti Umani che dice che “tutti hanno diritto alla
Giustizia” e non si riferisce solo alle parole dei testi di legge, ma anche al concetto etico di
Giustizia, ed al diritto di dover dare consenso per avere un atto applicato ad un individuo,
nonché il diritto di avere accesso alla Giustizia. Non è Giustizia quando tanto dipende
dall’esperienza e la parcella dell’avvocato; non è Giustizia se dipende dalla sua capacità di
districarsi in codici e codicilli, non è Giustizia se la Persona non ha accesso alla Legge,
perché non è scritta in modo comprensibile. Chissà perché la Costituzione, che non teme
critiche (anche se l’hanno rovinata o per lo meno peggiorata) da parte del Popolo è scritta
in modo leggibile dalla persona media o con alfabetismo anche basilare, ma laddove
intervengono le varie leggi di bilancio o leggiucole varie ci si perde nel legalese e allora la
Giustizia non è più accessibile a tutti. È questo è un crimine contro i Diritti Umani. Ma ci
pensiamo che la legge stessa, per come è scritta, a volte commette crimine?

Andrebbe riscritta, semplificata, messa in chiara definizione di grado ecc. E nel perseguire
la Giustizia per tutti, l’ecosocialismo, come tutta la sinistra, dovrebbe cercare proprio
questo: una riforma vera della Giustizia dà più fondi a Giudici, inquirenti e avvocati
d’ufficio. Dovrebbero essere gli avvocati d’ufficio ad essere remunerati di più. Mentre chi fa
soldi sono quelli che fanno cause per assicurazioni e cose del genere. Non sarebbe
nemmeno ipotizzabile intaccare la totale indipendenza della Magistratura, mentre si
sentiva già, prima che cadesse il governo giallonero, che i vari bots e complici dell’aspirante
duce inneggiavano alla “riforma della giustizia”; e sappiamo bene cosa intendevano: dare
potere all’esecutivo sopra il giudiziario, forse al ministro degli interni stesso? E se quello
fosse stato il piano, si sarebbe trattato di un vero e proprio colpo di stato. Lo si ricordi, che
ogni tentativo di cambiare la bilancia dei poteri è colpo di stato.

Ci vorrebbe un Consiglio Superiore della Magistratura molto più ampio e con più mezzi,
certo, per assicurarsi che Giudici corrotti vengano investigati e se necessario condannati in
fretta.

Ma esiste un altro punto qua: è chiaro che lo stato interviene troppo nella vita privata di
cittadini ed interna di comunità. Non confondiamoci: un gruppo di scalmanati che osanna il
fascismo commette un crimine contro la Democrazia, e lo stato, in nome del Popolo, ha
tutti i diritti etici di intervenire, perché il fascismo (come la mafia è la massoneria, tanto che
ci sono mettiamola sta trinità satanica e siamo apposto) mettono a rischio la libertà,
persino i diritti fondamentali del Popolo e dei cittadini e residenti. Ma quelle io non le
chiamerei nemmeno “comunità”; sono associazioni a delinquere. Ma laddove una
comunità vive in pace, non fa male a nessuno, lo stato deve anche capire che non è il caso
passare leggiucole e codicilli per andare a rompere i cosiddetti. Questo, tra l’altro, rallenta
la Magistratura, costretta tante volte suo malgrado a far rispettare leggi che non hanno
autorità alcuna nella Giustizia. Non esiste Giustizia senza un rapporto corretto tra Persona
e stato. Corretto ed equo, per cui lo stato si occupa del benessere del Popolo nel suo
insieme, e non interviene in affari privati del cittadino o residente, come il cittadino o
residente può portare lo stato davanti ai Giudici nel caso in cui abbia subito ingiustizia. O
come il cittadino che si arroga poteri non previsti dal suo ruolo ne risponda allo stato ed al
Popolo (come un tale ministro che si divertiva a sequestrare navi). Ognuno ha, come
abbiamo già detto, le sue aree di competenza, è solo in quelle aree esiste diritto di
intervento, sia da parte dello stato che da parte del cittadino. Invece vediamo cittadini che
colla scusa di avere una carica statale abusano il loro mandato è uno stato che al contempo
colla scusa di essere stato interviene nella vita privata di cittadini ed affari interni di
comunità. Lo dobbiamo anche ai Giudici di fare chiarezza.

Parlando di Giustizia e Legge, teniamo presente che esiste anche la Legge di Natura.
Concetto stupendo, molto legato al pensiero ecosocialista è molto dibattuto in filosofia ed
etica. La legge, come abbiamo detto ha una “gerarchia” o precedenza delle fonti, ovvero
alcune leggi sono più autorevoli di altre. La legge italiana più autorevole è la Costituzione,
ma come abbiamo visto in casi recenti, e parlo di Carola Rakete, l’Art 2 della Costituzione
riconosce l’autorità sul nostro territorio di leggi e trattati internazionali. Qual è allora la
legge più autorevole del mondo? La legge umana più autorevole del mondo è la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Perché dico “legge umana”? Perché anche
questa legge “universale” deriva la sua autorità da un’altra, e lo dice chiaramente nell’Art
1:
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritto. Essi sono dotati di
ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
(Corsivo mio)

A parte il fatto che per l’ecosocialismo offre una base giuridica e legale impressionante, è
proprio quel “nascono” che ho messo in corsivo che a noi interessa. La Dichiarazione deriva
i Diritti Umani dal fatto che questi “nascono” ovvero dalla Natura, il che significa che la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani necessariamente riconosce la Legge di Natura.

E cosa sarebbe la Legge di Natura? L’Etica, sì, ma anche la Legge che la Natura stessa ci dà,
tramite la nostra vera esistenza e vita su questo pianeta. Cosa sappiamo della Legge di
Natura? Di sicuro che la Regola d’Oro, “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto
a te” è una legge assolutamente indiscutibile, la cui autorità è nella sua palese, innata ed
apparente giustizia stessa. Infatti la seconda frase dell’articolo in questione la evoca
chiaramente.

Ora, a parte che questo articolo sembra quasi mettere fuori legge il corporativismo (ma
togliamo pure il quasi; praticamente il sistema dominante è tutto illegale, non hanno
nemmeno le fondamenta giuridiche per esistere, figurarsi per reclamare autorità sugli altri,
e poverelli, loro esistono per tale autorità ingiustificata, è la loro stessa esistenza, il loro
principio d’essere, ed è un po’ come il fascismo, la sua “natura” lo rende illegale), esiste un
punto interessantissimo. Se siamo nati liberi, perché dovremmo essere tenuti ad accettare
parte di un sistema senza che noi si abbia mai dato consenso? Come fa ad esistere Libertà
se si perdono diritti anche “inalienabili” persino senza consensualità? E persino permettere
a questo sistema di imporre su di noi? Io non ho mai firmato. Voi? Allora chi c'è l’ha tolta la
Libertà?

Prendiamo un esempio già fatto: nessuno può toglierci le Libertà che ci dà la Natura. Ed
allora com’è che non possiamo usare cannabis? Quale autorità avrebbe una legge
(leggiucole o codicillo in questo caso, non è nemmeno scritto nella Costituzione) che abbia
autorità superiore alla legge umana che ha autorità più alta sull’intero pianeta? O mi si dice
che la Natura è illegale? Ecco qua un principio della Legge di Natura: la Natura non può
essere illegale. Questa legge è superiore a qualsiasi legge l’Umanità possa mai scrivere. La
Legge di Natura è anche detta Legge di Dio (niente a che fare col dogma, con una religione
o l’altra). Dire che la Natura è illegale, per chi crede, è dire che Dio è un criminale...
Spiegatelo ai bigotti che non vogliono farvi fumare uno spinacio...

Ora, a parte ciò, io mi chiedo quale sia la giustificazione per dire che le armi sono legali (o
da quest’anno ancora più libere grazie al porta sfiga già non menzionato), ma la Natura, o
per chi crede la Creazione, possa essere illegale. Eppure i più grandi sostenitori di questo
paradosso sappiamo chi siano…

Su questo concetto dobbiamo fondare un vero senso di Giustizia. Le norme vanno riviste in
luce di questi principi. È vero che l’ecosocialismo vuole una riforma della Legge (non solo
della Giustizia e nella direzione indicata), ma la vuole non in versione draconiana,
impositiva, autoritaria senza alcuna autorità. Tenendo salda la Costituzione (che può essere
rivista in modo costituzionale, anzi, io introdurrei sempre la maggioranza assoluta del
Parlamento ed il Referendum – entrambi, è troppo importante per permetterci che un
governo con grande maggioranza o una maggioranza trovata ad hoc cambi questo testo –
per ogni modifica costituzionale), io vedrei una revisione delle leggi fatta da esperti (giudici,
avvocati, filosofi d’etica ecc...) semplifichi le leggi e le randa accessibili, ma anche che le si
allineino con i principi fondamentali della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e della
Legge di Natura.

Ma mi muovo un po’ avanti, ed al concetto dei Diritti della Natura e del Pianeta: sembra un
concetto stratosferico in un mondo in cui non si rispettano i Diritti degli Umani, ma la
situazione odierna ci ha fatto chiaramente capire che aver calpestato i Diritti della Natura e
del Pianeta ci sta portando alla distruzione totale. La Natura ed il Pianeta hanno il diritto di
esistere. Sembra quasi una legge della Fisica, ma mi sembra solo ovvio che se dalla Legge di
Natura noi riceviamo i nostri Diritti ci si impegni anche a garantire i Diritti fondamentali
della Natura e della Terra (e altri pianeti se mai ci arriveremo). Questo principio sembra a
me indiscutibile, quindi cosa manca? Perché siamo arrivati al punto di rischiare l’esistenza
stessa della Natura e della Terra? Dal punto di vista giuridico, è perché non abbiamo fatto
Giustizia. Ci siamo trovati con i mezzi per distruggerli e ci siamo arrogati il diritto di farlo.
Ciò non è giusto. Dobbiamo stabilire e perseguire i Crimini contro la Natura è Crimini contro
il Pianeta. Chiaro che questo va fatto a livello mondiale, ma già cominciare a parlarne a
livello locale non sarebbe male. E dobbiamo, a mio avviso, tutelare i loro Diritti con una
legge umana almeno al pari della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e con un
tribunale con pari autorità di quello dell’Aja (che andrebbe enormemente ampliato).

Insomma, la Giustizia è per ora un concetto ancora troppo poco concretizzato. Il Bene
esiste prima a livello astratto, nel mondo delle idee, e tocca a noi realizzarlo. Secoli di
(voluta) confusione ed interferenze arroganti di interessi privati ed egoisti hanno introdotto
norme repressive, ingiuste, volutamente confusionarie ecc. che rendono di fatto la Giustizia
difficile da avere ed amministrare. Per questo, ed anche per ottenere una vera riforma
sociale, bisogna che la Legge diventi giusta e che la Giustizia diventi accessibile.
Giustizia e burocrazia

Viviamo in un falso: che più leggi ci siano più la Giustizia funzioni. Ciò è riconducibile
culturalmente ad una matrice cattolica, per cui la Giustizia è nel testo e non
nell’interpretazione del volere divino; nei paesi protestanti le leggi sono, in generale di
numero più limitato che in quelli cattolici (e parlo in termini di matrice culturale). Il numero
delle leggi, in effetti, ha un risultato spesso opposto a quello che la Giustizia vera
detterebbe. Intanto, il rallentamento dei tempi della Giustizia è direttamente
proporzionale ai procedimenti necessari ed alla scarsità di fondi. Ora, non mi si fraintenda;
non sto proponendo l’argomento di eliminare i procedimenti giudiziari, necessari per un
corretto svolgimento della Giustizia, ma esistono parecchi casi in cui questi procedimenti,
che dovrebbero essere di natura garantista, fanno l’esatto opposto.

A volte, tali leggi non solo rallentano la procedura giuridica, ma si oppongono direttamente
a principi giuridici. Ad esempio, il verdetto di un Giudice è verità giuridica al momento della
sua pronuncia. Ora, guardiamo come in casi specifici sia la legge stessa a commettere
quello che è un’ingiustizia ed ad opporsi alla esecuzione immediata del verdetto di un
Giudice, regola base della giurisprudenza e della Giustizia stessa. Prendiamo ad esempio un
caso di divorzio, nel momento in cui il divorzio è pronunciato dal Giudice esso è valido a
tutti i sensi di legge. Le Parti hanno 6 mesi per presentare ricorso, ma in quei 6 mesi
devono legalmente rispettare il verdetto, secondo la regola giuridica che un verdetto è
valido sino al prossimo verdetto di grado pari o superiore o accettazione delle Parti. Passati
i 6 mesi, se nessuna delle Parti fa ricorso, uno si aspetterebbe che il verdetto, scaduti i
tempi, venga trasmesso d’ufficio all’anagrafe. Ed invece no. Gli Articoli 124 e 325-329 del
Codice di Procedura Civile stabiliscono che qualora la Parte interessata non faccia il
passaggio in giudicato, ovvero richieda alla cancelleria del tribunale di trasmettere l’atto di
divorzio al comune di residenza, tale atto non viene passato all’anagrafe. Paradossalmente,
una persona può essere divorziata a “tutti i sensi di legge” senza però essere divorziata
all’anagrafe con conseguente perdita dei diritti civili di una persona divorziata (tra
agevolazioni fiscali, pensione, tasse ecc. le differenze sono enormi). Quindi ci si trova nel
paradosso di essere divorziati a tutti gli effetti di legge tranne che per lo stato. Ci rendiamo
conto della gravità di tale paradosso? Lo stato, l’ente che ha amministrato la Giustizia non
riconosce il verdetto di un Giudice a cui le persone interessate devono obbedire, anzi, a cui
anche lo stato deve obbedire, ma mentre le persone sono tenute ad obbedire, lo stato
manco lo registra. Ovviamente, se si ha un buon avvocato che si districa bene in tali
percorsi burocratici il problema non sussiste; ma ciò non è garantire la Giustizia a tutti, ciò
e garantirla solo a chi ne ha i mezzi finanziari, tanto per cominciare. E comunque rimane
una grave omissione da parte dello stato che invece di seguire il principio per cui un
verdetto è valido senza alcuna eccezione su tutto il territorio italiano dal momento della
sua pronuncia, ciò non accade proprio negli uffici dello stato che ha la responsabilità di far
applicare la Giustizia. È un assurdo inaccettabile.

Questo esemplifica un caso veramente serio: non è accettabile che un codice di procedura
possa ostacolare un principio assoluto della Giustizia. La procedura ha autorità solo qualora
sia funzionale all’amministrazione della Giustizia, non qualora, con un testo si possa
ostacolarne il regolare svolgimento. Il principio giuridico deve essere sempre precedente
(“superiore”) a certi intoppi di carattere meramente burocratico.
Ed ecco che si ritorna al punto dell’argomento presentato precedentemente: solo con uno
snellimento delle leggi si può arrivare ad una Giustizia rapida, efficace e che si applichi
senza intoppi. In un rapporto corretto, come quello auspicato dall’ecosocialismo, tra stato
e individuo (cittadino, residente o visitatore) è semplicemente inammissibile che una
regola, un verdetto amministrato dallo stato stesso sia de facto valido per le Persone
coinvolte e non per lo stato stesso che lo ha emesso. Bisogna fare chiarezza nel nome della
Giustizia. Certo, ci vorrà tempo e tanta competenza, ma certi principi semplicemente non si
possono infrangere.
Popolo e stato e società

Il Popolo non è lo stato. Abbiamo già sfiorato questo concetto. Lo stato è un concetto
astratto definito come “rappresentazione del Popolo”; il Popolo è un insieme di persone.
Esistono popoli senza uno stato, come i Curdi. Allo stesso modo, incongruenze tra stato e
Popolo hanno spesso causato frizioni, anche in Italia, dove tanti sudtirolesi sono nel nostro
stato ma del Popolo Tedesco. Notiamo che in Italia un pubblico ufficiale rappresenta lo
stato, non il Popolo, mentre il Presidente rappresenta il Popolo ed i Giudici esercitano non
in nome dello stato ma del Popolo. In Italia, il Popolo è sovrano (i sovranisti vorrebbero uno
stato sovrano, ed è eversivo).

Gli stati sono spesso (in realtà più o meno) tutelati a livello internazionale, mentre
spessissimo i Popoli non lo sono. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, parla di
Popoli nella sua introduzione. Ora, io, come tutte le persone di sinistra, penso, sono per
l’autodeterminazione dei Popoli. Ma cosa definisce un popolo? Il Popolo definisce se stesso,
spesso su basi culturali. Esiste un Popolo Sardo? Certo, perché i sardi si definiscono così.
Esiste un Popolo di sinistra? Certo, perché noi ci definiamo così. Esiste anche un Popolo del
Mondo, e tanti di noi si di noi si definiscono cittadini del mondo.

Una persona può appartenere facilmente a diversi Popoli contemporaneamente. Anzi,


quasi sempre si è membri di moltissimi popoli. Ora, il nazionalismo semplifica il concetto di
Popolo e lo identifica a quello di nazione (stato nazionale), facendo finta (che strano,
un’altra falsità!) che esista un solo popolo in tale stato e volendo livellare tutti. È un
concetto basato su una identità monolitica ed antagonistica. Lo dico solo per far notare
un’altra falsità del fascismo.

Ma ora torniamo al Popolo. È chiaro che tanto più numeroso sia un popolo, tanto più esso
sia eterogeneo e costituito da diversi, a volte moltissimi, popoli al suo interno. Lo stato
nazionale pone l’accento sull’unità del Popolo, sulla sua omogeneità, in molti casi, mentre
si potrebbe parlare di uno “stato del Popolo e dei Popoli”, concetto che andrebbe molto
meglio specie laddove esistono culture molto diverse, ad esempio in India, in Sudamerica,
in Svizzera ecc. Comunque, concetto che invece di selezionare le qualità culturali (e spesso,
tristemente, etniche e religiose) che definiscono la nazione (di fatto escludendo, ed a volte
reprimendo altre culture), offre a tutti i Popoli presenti sul territorio (altro concetto base) il
diritto di essere parte integrante di quella che oggi chiamiamo “identità nazionale”. Io
chiamerei quella nuova “identità popolare”, “identità collettiva” ecc. Chiaro, è necessario
avere una lingua comune. Ma laddove una identità popolare è stata agevolata (in India), si
sono mantenute anche le lingue locali. L’idea che per fare uno stato nazionale si debba
avere una lingua comune è corretta ma parziale, perché ciò non deve andare a discapito
delle lingue locali. Invece, notate, laddove l’identità nazionale è stata sostenuta con forza,
le lingue locali sono state o abbandonate (Italia, Gran Bretagna) o dimenticate del tutto
(Francia, il paese con l’identità nazionale più forte di tutta l’Europa). Come volevasi
dimostrare, è possibile mantenere identità diverse all’interno di uno stato, e cosa più delle
lingua parlate da varie comunità definisce tali identità? Allora è anche possibile pensare ad
uno stato in il cui Popolo sia fatto di diversi Popoli, ognuno con identità proprie e con anche
identità condivise.
Questo succede più o meno anche in Italia, ma il problema è che succede per il fallimento
dello stato nell’imporre un’identità nazionale, ed è cosa buona! Quando vedo gente colla
mano alzata idolatrare un’identità che non rappresenta che una selezione arbitraria della
realtà italiana, veramente, dovrei ridere della loro sciocchezza, se non fossero pericolosi...
Ora, torniamo al punto chiave: un Popolo è un qualsiasi gruppo di persone che si identifichi
tale per affinità. E se tutti abbiamo pari diritti, tutti dovrebbero avere il diritto di
identificarsi in uno, dieci, mille o centomila Popoli. Uno stato che non riconosce tali identità
e diritti è in realtà uno stato debole. E come spesso accade, i deboli vogliono apparir forti.
L’Italia portò il fascismo in questo mondo perché ci sentivamo inferiori e complessati
rispetto a francesi, inglesi tedeschi ecc., non perché ci sentissimo “particolarmente
italiani”, dai, non contiamoci fregnacce...

Ma io vorrei anche che si riconosca l’autodeterminazione dei Popoli. E cosa si intende per
autodeterminazione dei Popoli? Vuol dire che i diversi Popoli che costituiscono, per
esempio l’Italia, devono avere il diritto di gestire gli affari propri come vogliono loro. E
sottolineo il “come”.

Pensiamo innanzi tutto a piccole dimensioni. Come penso giusto che sia, il cambiamento
deve venire dal piccolo (non dal “basso”, termine che perpetua una concezione gerarchica
della società). Il motivo mi pare palese, ma ne parleremo ancora nel capitolo sul metodo.
Cosa diciamo del villaggetto che vuole autogestirsi? Perché no? Gli affari interni di tale
comunità non dovrebbero riguardare lo stato. Se loro decidono di votare ogni sabato su
come finanziarsi ecc., non dovrebbero esistere problemi. E per certi aspetti, ciò non
accade. Ma pensiamo, ad esempio, ad una comunità dove non si creda nel matrimonio
convenzionale. Mettiamo pure che queste persone abbiano pagato le tasse e tutto, ma poi,
perché si sposano con rito druidico, o sono poligami, lo stato non garantisce loro la
protezione che spetta a gente che si ama. Ecco qua un’ingerenza dello stato all’interno di
una comunità ed un Popolo, perché piccolo che sia in Italia, il Popolo dei Pagani esiste. E
anche se fossero Jedi, ma a noi, cosa interessa? Uno stato che non comprende e non
rispetta le varie identità dei suoi Popoli è uno stato miope e fallimentare nelle sue funzioni.

Ed un villaggio non comune dove vogliano eleggere il loro sindaco, perché lo stato non
dovrebbe riconoscerne l’autorità? In teoria, dovrebbero esistere almeno due opzioni: una
che lo stato riconosca l’autorità di questo sindaco interno, ma, siccome non si prendono
responsabilità dal sindaco “ufficiale” del comune di residenza, che non si passino fondi a
questo sindaco (o la si chiami come si vuole). Ma almeno che si riconosca da parte dello
stato una realtà autodeterminata. Poi, magari se questa comunità per esempio decidesse
di prendersi in gestione lo smaltimento della spazzatura, perché dovrebbero ancora pagare
la tassa sulla spazzatura? In realtà lo stato dovrebbe dare loro i fondi (se ne esistono) che
per lo smaltimento della loro spazzatura dava prima al sindaco “ufficiale”. E se poi si
prendessero la responsabilità di, che ne so, aggiustare la strada nella loro valletta? E se
aprissero una scuola per i loro figli?

E se una volta che una serie di comunità abbia raggiunto l’autogestione interna e volessero
unirsi in una struttura sociale autogestita? Non dico necessariamente comunità vicine
territorialmente, non parlo qui di comuni, province e regioni; parliamo piuttosto (o anche)
di comunità affini e sparse sul territorio. Ad esempio, comunità con simili obiettivi, o con
organizzazione interne simili, o che operano in aree economiche o sociali simili ecc. Ecco
che vedremmo nascere nuove strutture sociali non più imposte collo stampino dallo stato,
ma che possano esprimersi (sempre democraticamente) tramite strutture da loro
disegnate e da loro gestite. A dire il vero, esistono mezzi prototipi già esistenti in Italia;
parlo di cooperative, no profit e associazioni. Ma queste sono spesso trattate come
corporazioni, spessissimo di stampo meramente economico, e non come strutture sociali.
Ed è ridicolo che uno stato non tuteli ed anzi favorisca la formazione di strutture sociali
democratiche al suo interno.

Ecco qua che si vede come le cose fatte passo passo, con rispetto, lentamente e con
semplici accordi consensuali il cambiamento sarebbe molto pacifico e persino grazioso.
Non solo, lo stato servirebbe come insegnate, se si vuole, di ciò che significa prendersi
responsabilità, ma allo stesso tempo si avrebbero (a spesa zero) agevolazioni anche
economiche per tali realtà anche ecosocialiste.

Ora pensiamo pure a dimensioni più ampie, ad esempio le regioni. Abbiamo regioni a
statuto speciale, sì, ma cosa sia questo statuto lo decide lo stato. Praticamente, lo stato ha
fatto due stampini diversi, e ti dà il diritto di usarne uno di serie A ed uno di serie B –
scegliete voi quale è l’uno e quale l’altro. Ma non dà il diritto ai Popoli di governarsi come
vogliono loro. E qui parlo di istituzioni diverse, educazione diversa ad esempio. Una regione
(ammesso che essa rappresenti un Popolo, e di solito è così), non ha il diritto di avere, che
ne so, un parlamento proprio e elezioni ogni 3 anni. No, deve avere una giunta regionale,
con votazioni fatte allo stesso modo che in altre regioni, con suddivisioni provinciali ecc...
Esistono minime variazioni nella normativa, ma lo stampino è lo stesso. Esistono esempi
funzionali di questo tipo. La in Gran Bretagna, Scozia, Irlanda del Nord e Galles hanno i loro
parlamenti, ognuno diverso dagli altri. Qui non si parla di “spezzettare uno stato
nazionale”, ma di riconoscere il diritto di autogestione dei Popoli e le diversità locali.
Ovviamente, in GB, ciò è stato ottenuto con negoziazioni col Parlamento e Governo di
Westminster. Se ciò mai avvenisse in Italia, anche qua sarebbe auspicabile una
negoziazione corretta. La distribuzione e decentralizzazione di autorità deve essere fatta
razionalmente. Alla fine è chiaro ciò che spetta ad amministrazione locale e ciò che spetta
ad amministrazione nazionale. Una regione non ha politica estera, per esempio, ma può
gestire infrastrutture interne. Devono comunque rimanere strutture che garantiscano
servizi che sono garantiti dalla Costituzione.

Il discorso è molto complesso e non è fattibile nella sua interezza in questo libretto. Però
proporre il principio che una decentralizzazione della gestione della cosa pubblica si possa
fare senza che lo stato nazionale imponga uno stampino che debba valere per la Val
D’Aosta come per la Sicilia si può intavolare. Il problema, a mio avviso, è proprio che una
struttura rigida imposta centralmente spesso non si addice a realtà locali. Quello che lo
stato nazionale dovrebbe fare è stabilire regole per la decentralizzazione che garantiscano i
diritti costituzionali e blocchino ogni tentativo di usare tale decentralizzazione per creare
un divario tra le regioni (esattamente quello che vuole fare il regionalismo differenziato di
proposta leghista). Sia ben chiaro che lo stato deve sempre, siccome il suo primo scopo, dal
punto di vista socialista, ma anche costituzionale, è di garantire benessere a tutti i cittadini,
avere il modo di controbilanciare le iniquità sociali ed economiche. Lo stato deve sempre
avere i mezzi, anche finanziari, per investire laddove c'è ne è più bisogno. Non sarebbe
accettabile che la Lombardia si arricchisca enormemente, per esempio, senza compiere il
suo ruolo sociale di contribuire allo sviluppo di regioni del Sud. Se si comincia a guardare le
regioni come strutture sociali, con doveri sia verso i propri residenti che verso la famiglia
delle regioni italiane, la prospettiva cambia. E non è poi così dissimile da ciò che succede in
UE.

Ora, ciò, a scanso di equivoci, è ben lungi da quella stupidata del regionalismo
differenziato. Tutta la gestione del decentramento in Italia è stata gestita malissimo. Hanno
regionalizzato il sistema sanitario, cosa che necessita conoscenze mondiali, non solo statali.
È ridicolo che si sia regionalizzato proprio ciò che avremmo dovuto tenere uniforme a
livello statale, anzi, che avremmo persino dovuto uniformare al meno a livello europeo, ed
ho già parlato di questo argomento. Ma ora aggiungo che la regionalizzazione del sistema
sanitario italiano è costato in burocrazia. Se hai bisogno di un servizio sanitario fuori
regione, lo ricevi anche (magari dopo aver superato qualche garbuglio), ma anche dopo
l’erogazione, la regione che lo ha fatto deve “rivalersi” su quella di provenienza, ovvero
richiederne il pagamento. Ecco che si complica la burocrazia, invece di concentrarsi su una
distribuzione uniforme di un bene, la salute, sancito dalla Costituzione.

Si tratta invece sempre di una questione di Etica: laddove una regione può gestire
internamente dei servizi senza avere impatto negativo su altre, è almeno possibile pensare
che lo faccia e come desidera farlo.

Vedo già tante persone di sinistra inorridire... Ma così in certe regioni la destra andrebbe al
potere! Pazienza, scelta loro. Tanto con una vera svolta ecosocialista o di sinistra,
comunque, si avrebbe un bel reato di Crimini contro la Democrazia, e qualunque cosa
faccia la destra, come si diceva, dobbiamo assicurarci che il fascismo non sia più nemmeno
contemplabile. E allora ci sarebbe solo una destra democratica. Ancora, trattasi di un
problema logistico: prima si rafforza la democrazia in tutto il paese, con leggi severissime
ed acute per chi solo si mette a fare discorsi filo fascisti (perdita immediata del seggio
elettorale, posto in Parlamento, ministero, con indagine per direttissima, e sono solo alcuni
esempi), poi si parla anche di autodeterminazione. Purtroppo, e specie colla nostra storia, il
fascismo è un crimine così grave che si devono mettere garanzie serissime. Come ho detto
ormai cento volte, dobbiamo imparare la lezione.

Non solo, ma qui bisogna tener presente che niente di tutto ciò sarebbe possibile senza
due dei cardini della Democrazia che spesso vengono non solo ignorati, ma calpestati:
informazione corretta e responsabilizzazione. Io non penso ad un sistema in cui le regioni
abbiano più opportunità di “essere avide” verso altre regioni o di “far fare il comodo delle
corporazioni sul loro territorio” come succede nelle regioni ad amministrazione storica
leghista (tante province nuove giusto per dare un posto di lavoro ad amici e parenti dei
leghisti, privatizzazione della sanità semiocculta e comunque incentivata); qui si parla di
poter proporre sistemi di risoluzione nuovi e più consoni ai bisogni locale. E che ci sia pure
un periodo di prova dopo di che tali sistemi vengano valutati oggettivamente ed in caso
abbandonati. Sì, capisco che bisogna prima ristabilire un livello di minima decenza n
questioni del genere, ma questo mi pare sia implicito nei miei discorsi. Si parla qui di
prospettive per il futuro, non di un progetto per l’anno prossimo, ed è chiaro che prima
bisogna curare la nostra Democrazia malata, poi stabilire parametri chiari di Democrazia,
ruoli e funzioni, stabilire responsabilità e mettere in atto sistemi di correzione e
responsabilizzazione di chi gestisse tali cambiamenti.

Un inciso. Tante delle critiche che vengono mosse a proposte come la mia derivano
dall’idea che ciò che viene proposto si debba attuare immediatamente e simultaneamente.
In realtà, se si seguono i passi corretti, mettendo un piede davanti all’altro, ponendo prima
le basi e garanzie perché il passo successivo non comporti rischi antidemocratici, tali
problemi non sussisterebbero.

A prescindere dalla divisione territoriale dell’amministrazione della Repubblica (regioni,


comuni ecc.), bisognerebbe anche pensare ad altre strutture dove una dimensione
ecosocialista possa svilupparsi. Penso ad esempio a reti di gestione di parchi ed aree
protette che nasca e si sviluppi in modo cooperativo. La Legge Quadro sulle Aree Protette
del 6 dicembre 1991, n. 394, all’Art 3, ad esempio, istituisce un comitato per le aree
protette. Benissimo, ma purtroppo anche questo è centralizzato, gerarchico e fatto col
famoso stampino. Ora, che debba esistere un garante per la salvaguardia dell’ambiente
non esiste dubbio, ma il punto è un altro. Si dovrebbero avere cooperative di parchi e zone
protette che condividono idee e si aiutano a vicenda, lasciando ovviamente alla società
tutta, ovvero allo stato, il diritto di garantire che queste cooperazioni non escano dal
tracciato. Invece, secondo l’Art. 3.5, solo i membri del comitato possono fare proposte sulla
gestione di tali aree. Passi pure per i parchi istituiti dallo stato, ma ciò rimane limitativo.

Da un punto di vista ecosocialista, un gruppo di persone che decide di proteggere un’area


dovrebbe avere il diritto di farlo ed essere riconosciuto dalla società. Se una comunità
decide di proteggere un’area, ad esempio, non le è possibile senza prima dover rinunciare
alla propria autodeterminazione e concedere solo allo stato la gestione di tale area. È così
ridicolo pensare che un paesino che vuole proteggere un bosco debba, per avere il
consenso dello stato, iscriversi ad un “elenco ufficiale delle aree protette” compilato da
tale comitato (ibid. Art. 3.4 c) e quando ha fatto ciò di fatto debba assecondare le proprie
iniziative al benestare del comitato stesso (Art. 3.4 b)? È interessante come la legge in
questione sia lunghissima, istituisca strutture e procedimenti di una tale complessità che
viene il capogiro solo a cercare di capire come funzionino, ma non stabilisca nemmeno dei
parametri ambientalisti per cui un’area possa definirsi protetta? L’unica parte che si dedica
a ciò è l’Art 2, “Classificazione delle aree naturali protette” un copia e incolla in cui si
stabilisce una gerarchia (ancora una volta) di aree protette ma dove manca assolutamente
un qualsivoglia parametro scientifico per almeno fare richiesta che un’area venga protetta.
Sia per i parchi nazionali che regionali parla di un generico “rilievo internazionale o
nazionale per valori naturalistici” o “assetti naturali dei luoghi”. Vero, per le riserve naturali
(che cadono più in basso in tale gerarchia) stabilisce che queste siano aree che contengono
“una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino
uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche e per la conservazione delle
risorse genetiche.” A parte la vaghezza di “naturalisticamente rilevanti” e la pochezza
egoistica di “risorse genetiche” (“patrimonio genetico” o “biodiversità” avrebbero fatto più
onore ad una legge per l’ambiente, “risorsa” implica opportunità o peggio possibilità di
utilizzo), solo nel caso delle riserve naturali viene dato un parametro quasi specifico.
Questo significa che invece di vedere una legge che impegni lo stato a, per esempio,
istituire zone protette laddove venga rilevata una specie a rischio di estinzione per
salvaguardarne l’ecosistema, abbiamo un disimpegno dello stato con termini vaghi ma la
costruzione di un pachiderma amministrativo una volta che un’area viene designata (per
decisione centralizzata da tale comitato, che fa capo al Ministro dell’Ambiente).

Non è pensabile costruire un sistema alternativo, meno burocratizzato, più libero e


flessibile dove vi sia semplicemente un garante per le aree protette, che poi si auto
gestiscono o si associano in gruppi di condivisione di esperienza e mutuo aiuto? Se una
comunità per esempio decide di proteggere il bosco del paese, non sarebbe giusto che vi
fosse un riconoscimento dallo stato? Non sarebbe giusto che questa comunità possa
entrare in un circuito di gruppi e cooperative con simile scopo? Non sarebbe giusto che lo
stato non guardasse solo ciò che esso istituisce per voltarsi dall’altra parte laddove
iniziative da sinistra (non dal basso!) nascano, dando per lo meno il permesso di auto
costituirsi in cooperative e reti di protezione ambientale?

È vero, esistono i boschi del WWF, ma sono pochi e tutto dipende dall’acquisto della terra.
Ed anche se in possesso di terra, esiste un gravissimo problema. L’Art. 842 del Codice Civile,
e legge 157 dell’11 febbraio 1992 permette l’accesso ai cacciatori anche su fondi privati a
prescindere dalla volontà del proprietario. Siamo in una situazione assurda, perché laddove
una comunità decida di proteggere il boschetto locale, semplicemente non potrebbe farlo.
Ci rendiamo conto che non abbiamo il diritto di non far sparare su terra di nostra
proprietà? Di non far usare armi in “casa nostra”? Figuriamoci se decidessimo di
proteggere un’area del demanio, o una serie di proprietà di una comunità. Se si volesse
ottenere un divieto di caccia, bisognerebbe presentare una richiesta entro 30 giorni dalla
pubblicazione del Piano Faunistico Venatorio, e se la richiesta fosse contraria a ciò che ha
stabilito tale piano sarebbe comunque respinta. Il diritto di cacciare è ingiustamente messo
prima del diritto di proteggere l’ambiente e persino la propria proprietà. L’unico modo per
impedire l’accesso è la recinzione. Ma se vogliamo salvaguardare un’area e lasciarla aperta
al pubblico? Non esiste modo. E pensiamo che magari la vorremmo attrezzare con area per
picnic o percorso ciclistico o osservatorio ornitologico o percorso attrezzato per esercizi
fisici ecc. Certo, potremmo farlo, ma chi va a fare Yoga dove si sparano colpi di fucile?

Ecco come non esiste, di fatto, una strada percorribile che permetta ad una comunità di
autogestire un’area protetta. O si passa al controllo centralizzato, o il bene dell’ambiante, i
diritti e doveri comunitari di proteggerlo e persino la buona volontà e potenzialità di
sviluppo anche economico devono passare in secondo piano rispetto al cosiddetto diritto di
pochi di uccidere animali come se fosse uno sport.

Se invece si garantisse il patrocinio dello stato ed il diritto di proteggere un’area qualora


una comunità, cooperativa, privato, associazione ecc. la volesse proteggere, almeno il
diritto di riconoscimento di stabilire un’area protetta per ragioni ambientali,
paesaggistiche, culturali ed anche di sviluppo economico (secondo me ciò dovrebbe essere
fatto liberamente, ma vedo argomenti lungo le linee di proteggere l’ecosistema di una
specie ad esempio), allora si potrebbero sviluppare tante realtà anche di tipo ecosocialista
che poi potrebbero unirsi in una rete più ampia di condivisione e supporto reciproco. Il
ruolo dello stato sarebbe solo quello di essere garante che tali progetti non facciano
l’opposto di ciò che dicono di voler fare. Siamo al paradosso per cui la legge impedisce di
fatto di proteggere la Natura. E questo con che pretesto? Con che autorità?

Questo è un esempio di come, con un cambiamento piccolo ma mirato, tipo la modifica ad


una legge (secondo me la caccia, non sarete sorpresi, andrebbe abolita, ma qui si tratta
solo di una modifica per permettere che non si pratichi contro la volontà di proprietari
terrieri e comunità!) si potrebbe dare il via libero ad un settore di green economy gestito
dal sinistra (non dal basso...) che potrebbe salvare due piccioni con una fava, anzi tre:
proteggere l’ambiente, rilanciare il turismo in certe aree e persino riunire o rinforzare il
senso di comunità.

In questo caso abbiamo visto come lo stato impedisce al Popolo di proteggere l’ambiente e
sviluppare la società. Lo fa con una legge la cui autorità è molto dubbia, e che quindi
andrebbe per lo meno modificata. Ma vedremo oltre che basta spesso sbloccare degli
ostacoli burocratici per agevolare lo sviluppo dell’ecosocialismo e di una società più equa,
dove lo stato faccia il suo ruolo di garante, agevolatore e non protettore di interessi privati
ingiustificati sopra quelli pubblici e dell’ambiente.

Dall’ultimo esempio qua proposto si può anche vedere come l’ecosocialismo si possa, ed
anzi credo debba, vedere anche, o forse principalmente, come un movimento socio-
economico ed ambientale, e non esclusivamente, e forse neanche principalmente, come
movimento politico. Per me rimane importante che mantenga questa sua identità
variopinta e fluida, poiché le radici di questo pensiero rimangano salde e salutari. Esso
nasce da una rivoluzione di come sono intesi i rapporti tra individuo/i, società ed ambiente;
non nasce, come fanno molti movimenti politici, per rappresentare una classe o l’altra.
Penso che tale tipo di rappresentanza di classe ormai appartenga al passato, anche se non
pare ovvio ad ascoltare i politici odierni.

Il socialismo, l’ecosocialismo e l’anarchia non vedono stato, Popolo e società come una serie
di gerarchie piramidali, ma come un sistema di insiemi. Capire e spiegare questo concetto
cambia la natura della politica, ma anche quella delle possibilità, della natura della
convivenza e dei rapporti sociali. La piramide gerarchica è rigida, auto perpetuante e
costrittiva (indi intrinsecamente repressiva). Se invece si guarda a questi concetti come
insiemi (anche permeabili), si aprono una miriade di opportunità di crescita, sviluppo e
sperimentazione sociale. In questo, la mia visione del socialismo differisce sostanzialmente
da quella del materialismo marxista; bisogna liberare le idee dal giogo della falsità per
ottenere il cambiamento. Lo noterete voi stessi; sbloccare un concetto da una sua
mistificazione vi porterà a concepire tantissime idee in merito che, se circolate, possono
poi portare al cambiamento. Non siamo vittime passibili del materialismo storico; siamo
esseri coscienti e pensanti in grado di cambiare il mondo tramite la realizzazione di idee
buone.
Condizionamento, doublespeak ed i media

Siamo ora ad un punto chiave per disfare, dapprima scoprendola, poi smontandone ogni
segmento, la falsità del sistema dominante. Ci dedichiamo ora a tre concetti fondamentali
che tengono insieme l’apparato di falsificazione della realtà del capital-corporativismo. Lo
tengono insieme, bisogna aggiungere, con una matrice fascista; il fascismo non è altro che
un metodo per garantire il massimo potere al capitale a discapito della Libertà individuale e
sociale ed della Giustizia (anche sociale), e lo fa propagando falsi valori e menzogne.

Cos’è il condizionamento mentale? È un sistema in atto da almeno decenni per cui la gente
viene condizionata a credere che ciò che propone il sistema dominante sia la verità. In
grandi linee, questo funziona su due strade: una, quella che Göring teorizzò, ovvero che
una falsità ripetuta a lungo viene poi accettata come verità dalle masse; l’altra si basa
sull’occultamento sistematico di tutto ciò che offre un’alternativa al sistema dominante.
Hanno preso il pensiero hegeliano e hanno ben pensato di imporre la loro tesi sostituendo
a tesi, antitesi e sintesi un sistema di tesi, occultamento dell’antitesi, presentazione di una
falsa antitesi che poi si deve risolvere coll’accettazione della tesi come sintesi stessa. E loro
propongono la tesi. Hanno ovviamente anche i mezzi sia di proporre la tesi che di falsificare
l’antitesi.

Ora, chi si occupa di storia del socialismo si sarà reso ben conto che il socialismo è stato
falsato. La tesi, il capitalismo, finanziò letteralmente l’esempio più grande di quella che
sarebbe, per decenni, stata una falsa antitesi, ovvero il capitalismo di stato dell’Unione
Sovietica. Trattava si di dittatura che ben poco aveva a che fare con il socialismo, come
abbiamo già detto. La storia è piena di esempi in cui gli USA finanziarono più o meno
segretamente l’Unione Sovietica, caso eclatante il miliardo di dollari che l’11 maggio del ’41
Roosevelt diede all’Unione Sovietica poco dopo che Stalin divenne Presidente dell’Unione
Sovietica il 9 maggio 1941, come riportato dalla testata History il 5 novembre 2009. Un
prestito ad interessi zero che costò agli statunitensi l’allora colossale somma di un miliardo
(oggi 17,47 miliardi di dollari) che aiutava il nuovo dittatore in un periodo di crisi. A parte
l’ovvia contraddizione di salvare le finanze del proprio nemico dichiaratamente più
acerrimo, quello che noi abbiamo già visto è come Stalin abbia semplicemente imposto una
falsità con un gioco semantico: il capitalismo di stato fu semplicemente chiamato
“comunismo”, offrendo al capitalismo decenni di scuse per demonizzare il socialismo. Ecco
qua la doppia immagine che nasce a livello geopolitico dove un concetto reale (capitalismo
di stato) viene sostituito da uno che poi verrà criminalizzato (comunismo).

Ora, la storia dei rapporti USA-URSS è piena di collaborazioni e affari finanziari colossali,
celata da un’apparente inimicizia che in realtà serviva da scusa per fare affari con guerre ed
ancor di più. Lo stesso successe con il Terzo Reich, finanziato da Prescott Bush (padre e
nonno di due Presidenti), Ford ecc. È chiaro che esistesse un interesse da parte del
capitalismo di tenere in piedi sistemi dittatoriali auto definitisi “socialisti” ma che di
socialista non avevano neanche l’ombra. Questo è, a mio avviso, uno dei più grandi crimini
di falsità della storia. Comunque, a prescindere dal punto storico, a chiunque conosca il
socialismo vero, e a chiunque abbia letto questo esposto, è chiaro il concetto che la
centralizzazione del potere nelle mani di un dirigente (dittatore) è totalmente contraria ai
principi del socialismo e della sinistra in generale. Ma ciò è ben difficile da spiegare ora,
dopo decenni in cui dittature di capitalismo di stato si sono presentate al mondo, e sono
state accettate senza contraddittorio, come “socialismo” (persino “reale”!)

Ecco un esempio di doublespeak a livello geopolitico che ci porta a come la realtà venga
falsificata con metodologie fasciste dal sistema dominante. Per chi abbia letto 1984 di
George Orwell questo concetto non è nuovo. Doublespeak può essere definito come la
sistematica e programmata sostituzione del significato di una parola con un significato che
giova al sistema dominante, e alle sue politiche. Lo vediamo e ne siamo molto consci: la
Guerra Bush (Guerra del Golfo) fu chiamata “operazione di polizia militare” ad esempio. La
libertà di stampa spesso è usata per difendere la libertà di disinformazione, oggi i fascisti
stanno cercando di far passare per libertà di espressione la libertà di minaccia ed insulto...
Chiunque si occupi di semiotica sa benissimo che questo processo di sostituzione di un
significato con un altro è chiaramente non solo molto attivo, ma premeditato e coordinato.
E complici sono i media.

Di recente, si è notato il termine “antagonista” usato per definire chi contestava i comizi di
un famoso legaiolfascista che non nomino perché di sfortuna ne ho già abbastanza nella
vita... Ora, è apparso quasi contemporaneamente su molte testate sia cartacee che di
telegiornali. Chiaramente, questo indica una volontà di criminalizzare chi si opponeva a tale
politico. Ora, poco importa se dietro a ciò ci sia un disegno programmatico (cosa che non
dovrebbe essere difficile stabilire). Quello che conta è che questo “semantic shift” o
cambiamento del significato di parole, base del doublespeak non segue il cambiamento
naturale della lingua, come presentato dalla sociolinguista Janet Holmes in An Introduction
to Scociolinguistics, 2008; questo fenomeno segue un disegno preciso, è forzato dai media
ed ha un chiaro fine: condizionare l’opinione pubblica tramite cambiamento semantico per
favorire una parte politica o sociale. Che poi i giornalisti lo facciano perché sono pecoroni o
perché (alcuni) siano veramente coscienti di come questo sistema possa cambiare la
percezione della realtà riflette solo sulla loro integrità, coraggio, competenza ed, in caso,
onestà culturale e corruzione. Questo è un argomento che appartiene alla Giustizia. Ma noi
stiamo guardando questo fenomeno da un punto di vista sociale, epistemologico e
culturale. I motivi della loro complicità non interessano ora; ciò che interessa è che tale
complicità sia provata. E lo è. Di casi c'è ne sono a migliaia, se non di più.

Comunque a chi volesse approfondire l’argomento, guardi al ruolo del “controllore” in


editoria, ruolo scoperto durante l’Operazione Mockingbird investigata come conseguenza
del Watergate dal Congresso degli Stati Uniti negli anni ’70 in cui si scoprì ufficialmente che
la CIA aveva “una rete di parecchie centinaia di individui stranieri nel mondo che forniscono
informazioni alla CIA e a volte si adoperano ad influenzare l’opinione pubblica tramite
propaganda occulta,” come riportato dalle conclusioni del Church Committee del
Parlamento USA dell’Aprile ’76, che prosegue, “Questi individui forniscono alla CIA accesso
diretto ad un grande numero di giornali e periodici, parecchi dei servizi di stampa ed
agenzie di informazione, radio e stazioni televisive, case editrici ed altri media in paesi
stranieri;” (ibid. Volume I, pagina 455.)

Ora abbiamo visto come il doublespeak sia strumento fondamentale del condizionamento
mentale delle masse. Vedremo casi di doublespeak molto importanti; il patriottismo, ad
esempio, viene oggi espresso non come amore per la patria, ma come odio per lo straniero,
ed anche quello è doublespeak; la lista è lunghissima.

Le domande sono due: quanto è dannoso il doublespeak e come lo si può affrontare?

Alla prima domanda rispondo che è dannosissimo: essendo uno degli strumenti principali
del sistema dominante per controllare la percezione della realtà, e non sottovalutando il
potere della disinformazione mediatica, su cui si costruirono i regimi fascista, nazista,
sovietico, ora l’avvento del cosiddetto sovranismo, e ovviamente l’egemonia del
capitalismo e corporativismo, quello che pare un discorso accademico è in realtà un
discorso di Libertà, di Giustizia sociale e di Democrazia. Senza informazione non esiste
Democrazia. Ne parleremo presto.

Ora, come si può affrontare? Ovviamente, diffondere il concetto di doublespeak è


assolutamente necessario al giorno d’oggi; e quando dico necessario intendo dire
indispensabile. Lo conosciamo dal 1949, data di pubblicazione della distopia di Orwell che
descrive, in modo alcuni dicono profetico, ciò che sta succedendo oggi. Nella nostra
situazione è criminale che tale libro non sia prescritto come lettura in tutti i curricula
scolastici del mondo. Lo dico perché non fornire i mezzi al Popolo per vedere e/o analizzare
la realtà è un vero e proprio crimine. Ma intanto noi, piccolo gruppo di persone che
vogliono fare qualcosa di attivo in questo mondo per renderlo migliore, cosa possiamo
fare? Dobbiamo riappropriarci dei significati veri delle parole: chiamare le cose con il loro
nome.

È non solo sbagliato, ma controproducente per la Verità è l’analisi sociale, nonché per il
dibattito democratico chiamare le cose con il nome sbagliato. Io, abituato a dibattiti
accademici, sono ben conscio che la Verità si scopre razionalmente solo usando le
definizioni corrette. Questo non ha niente a che fare con lo sviluppo naturale della lingua;
qui siamo davanti ad un vero e proprio attentato al discorso democratico, un crimine
contro la Democrazia che ne mina le fondamenta. Non si può fare un discorso corretto
usando i termini sbagliati; e questo è sia uno dei mezzi più efficaci del fascismo che un suo
tallone d’Achille. È giusto che ci siamo permettetemi una diversione: per trovare il tallone
d’Achille di un sistema basta guardare i suoi mezzi più potenti. Qualora essi siano basati
sulla falsità, ne sono anche il tallone d’Achille. È controproducente chiamare la demagogia
“populismo”, perché ciò impedisce al populismo vero di entrare in discussione (e lo
vedremo presto); è commettere un errore chiamare il mercato capitalista “libero”, perché
ciò previene un discorso vero sul libero mercato; è errato chiamare “democrazia diretta”
un voto fatto su una piattaforma privata, la si chiami col suo nome, “pagliacciata
antidemocratica”.

La logica e la matematica seguono gli stessi principi: la ragione, la razionalità segue un


percorso logico, ovvero matematico. Se i valori che inseriamo in un’operazione di sono
sbagliati, non arriveremo mai al risultato corretto. Facciamo un esempio: se dobbiamo
trovare il valore di c = a + b e ci si danno i valori sbagliato di a e b (o solo a o b), la soluzione
sarà errata. Ed è esattamente questo principio che il doublespeak usa per viziare il discorso
democratico e condizionare la nostra percezione della realtà. Bisogna cominciare a
ristabilire i valori corretti di a e b. Il sistema dominante ha sistematicamente causato una
grande confusione nel discorso democratico. Tocca a chi crede nella Democrazia
ripristinare un discorso corretto con concetti corretti. E credo si noterà che quando alcuni
di questi valori (abbiamo già fatto discorsi sul vero significato di Giustizia, Democrazia,
socialismo ecc.) sono ripristinati, il sistema dominante comincerà a vacillare.

Ora, parlando dei media; abbiamo visto nella storia dei media un condizionamento non
solo del valore dei concetti, ma anche della struttura del discorso; lasciando perdere per un
momento i social media, si guardi alla storia recente della televisione italiana; il dibattito
politico è stato viziato; è oggi praticamente impossibile fare un discorso coerente, e ciò è
dovuto al fatto che la TV ha promosso strillatori che interrompono l’avversario, Sgarbi un
esempio per tutti. Ciò è risultato nel fatto che slogan demagogici possano essere
comunicati facilmente, ma discorsi reali e corretti non trovano più spazio nel dibattito
politico, che ormai ha poco di democratico, in Italia e non solo. Esistono dovute eccezioni,
ma questo è il quadro generale. Lo stesso sta succedendo ovunque il cosiddetto
sovranismo sta avanzando minacciosamente. In un dibattito, politico o no, si devono
stabilire e rispettare delle regole. Non ci vuole niente a staccare il microfono a chi
interrompe. Diciamo che se uno lo fa 3 volte gli si stacca il microfono? Com’è possibile che i
dirigenti delle varie reti televisive abbiano sbadatamente ignorato questa conditio si ne qua
non della Democrazia? La libertà di poter fare un punto, come prevedeva la Scuola di
Francoforte, è stata negata. Il problema per chi propone risposte democratiche ed in
particolar modo di sinistra non è parlare, ma essere ascoltato. È semplicemente
inaccettabile che le televisioni, che hanno un dovere di garantire il discorso democratico,
abbiano non solo permesso, ma persino favorito una struttura del dibattito che previene lo
svolgimento stesso di tale discorso. Basta un cronometro ed un tecnico che stacchi il
microfono a chi non sta parlando. Semplice. Non è assolutamente credibile che una tale
semplicissima soluzione al deterioramento del discorso politico non sia mai stata pensata
(incompetenza) o attuata (corruzione vera e propria) da dirigenti che prendono stipendi da
capogiro. La “missione del Servizio Pubblico generale radiotelevisivo trova fondamento nei
principi fondamentali della Costituzione” si legge sulla pagina ‘Missione’ della Rai. Che
provino a fare il loro lavoro: la Costituzione ha come principio fondamentale la Democrazia
e che il servizio pubblico incaricato a garantirne il dibattito non abbia affrontato come la
struttura di tale dibattito sia fondamento della correttezza di tale dibattito, quindi della
Democrazia stessa è impensabile. Che poi abbia favorito una struttura che mina la base
stessa della Democrazia è per lo meno sospetto. Ancora una volta, il socialismo, o
l’ecosocialismo, che alcuni vogliono presentare come “pensiero eversivo” dimostra, con
analisi dei fatti, che è il sistema dominante che usa metodi eversivi.

Ovviamente, la miglior soluzione contro il condizionamento è l’educazione. È ben ora che il


pensiero analitico e critico vengano sviluppati e valorizzati, non solo in scuole ed università,
ma anche su piattaforme dove si condividono i pensieri, i media tutti per intendersi. Si
parlava con un amico di Facciamorete di aprire una piattaforma dove il dibattito sia
corretto ed approfondito, ed il nome “Agorà” è stato proposto. Ora, certo, Facebook,
Insatagram e Twitter attraggono, ma chi li usa spesso non ha l’educazione necessaria per
capirne i tranelli. Su Facebook si formano bolle di informazione senza contraddittorio, per
esempio, che favoriscono l’estremizzazione di gruppi di destra. Sappiamo quanto sia
attuale il discorso sulle fake news, su cui il fascismo sta basando la sua propaganda. Se in
questo momento bisogna trovare soluzioni immediate all’avanzata del fascismo, come
ristabilire le regole del discorso democratico, a lungo termine è necessario educare.
L’educazione innesca un circolo virtuoso ed è per quello che l’ecosocialismo non deve mai
perdere di vista l’importanza dell’educazione e dell’informazione.

Infatti, se al momento stiamo proponendo un sistema nuovo, quello ecosocialista,


dobbiamo anche congiungerci a tutte le forze democratiche perché il sistema che si
costruirà sulle ceneri di questa avanzata fascista contenga in sé le strutture e condizioni di
auto migliorarsi. Solo però in un rispetto delle regole del discorso democratico, che sono
poi regole universali del discorso razionale, si potrà avere un miglioramento progressivo.
Sinistra e destra, alto e basso

Mi rifiuto di accettare la gerarchia, anche nel linguaggio, che come abbiamo visto è usato
per condizionare come noi pensiamo. Quando si dice “dall’alto” si ammette, col linguaggio
usato stesso una disparità tra gli Umani. Ma perché io dovrei, colle mie stesse parole
accettare e promulgare il concetto per cui alcune persone sono “più alte”, colla
connotazione di “migliori” di altre? Questo modo di parlare implicitamente dà validità al
sistema gerarchico proposto dalla plutocrazia capital-corporativista.

Pensiamo invece a che differenza farebbe nei discorsi quotidiani e democratici se si


usassero i termini corretti: sinistra e destra. Ci rendiamo conto che hanno eliminato il vero
significato di sinistra e destra dal vocabolario, e lo hanno sostituito con un falso ideologico?
Ciò che si dice viene “dall’alto” viene in realtà “da destra” e ciò che viene “dal basso” viene
da “sinistra”; usiamo i termini giusti se vogliamo un mondo giusto.

E allora, vi chiederete, come si fa a parlare non di “padroni e dipendenti” (termini


disgustosi, ma tanto usati anche dalla sinistra storica, che, più o meno consciamente, ha
promulgato un falso ideologico a favore della destra), ma dello stato piuttosto che di enti o
realtà locali? Semplice: centro / centrale e locale. Lo stato è centrale, non “alto”, e le
piccole realtà sono “locali” e non basse in qualsivoglia funzione e ruolo le si analizzi. È solo
una differenza di competenze, non di gerarchia. Certo, allo stato centrale spettano le grandi
infrastrutture, ma ciò, ricordiamolo, non è perché tale stato sia “superiore” o “più alto” di
chi serve, anzi, si ricordi che lo stato deve servire il Popolo. Dobbiamo smettere di dare
giudizi di valore implicito a concetti che riguardano responsabilità, competenze e ruoli, e
non hanno niente a che fare con qualità personali.
Democrazia e Democrazia Diretta

L’argomento precedente ci porta direttamente a questo. Anche qui, esistono mistificazioni


che vanno corrette. Abbiamo già detto che Democrazia non significa votare. Siamo arrivati
al punto in cui i fascioghisti si accreditano l’epiteto di “democratici” e chiamano
“antidemocratici” coloro che veramente credono nella Democrazia. Perché? Dopo la
recente crisi del governo giallonero, l’innominato ha chiesto elezioni subito e la sua schiera
di pecore orwelliane ha compiuto l’atto di mistificazione, dicendo che non andare al voto è
antidemocratico. Sappiamo bene quello che è successo, ma ciò che ci interessa è capire la
lezione. Tanti di loro sanno bene che si sarebbe andato ad elezioni con carte truccate, e
quindi non sarebbero state elezioni democratiche. Il problema è che nessuno dei nostri
rappresentanti ha avuto il coraggio di fare questo discorso.

La Democrazia è un’espressione del volere del Popolo per il benessere del Popolo. Sembra
una cosa facile, ma il volere del Popolo implica che il Popolo sia informato, e che i sistemi a
disposizione per l’espressione della sua volontà siano funzionali e corretti. Non esiste
Democrazia senza informazione e senza procedure democratiche funzionali e corrette.
Votare non basta; bisogna votare sulla base di informazione corretta e con procedure
corrette.

Ora, sappiamo tutti che si vota in tante dittature, ma ciò non le rende democrazie.
Sappiamo anche che ad esempio, il referendum per Brexit fu viziato da una serie di falsità
enormi, cosa riconosciuta persino dalla Magistratura del Regno Unito. Il sovranismo vuole
farci credere che “il voto è sempre democratico”, e nel contempo condizionare il voto con
disinformazione e anche con irregolarità nell’espressione di questo voto. Ad esempio,
usare fondi illegali nelle elezioni non è democratico, come non è democratico usare metodi
di propaganda occulti. Brexit fu vinto grazie al targeting di elettori con Cambridge
Analytica, ovvero rubando dati e diffondendo fake news. Quel referendum non ha espresso
il volere del Popolo (che, rinsavito ha cambiato idea in pochissimo tempo, e
drasticamente). Quel referendum ha condizionato il voto per ottenere il risultato voluto da
una minoranza potente, usando metodi non democratici. Non ha alcun valore democratico.

Sarebbe bello vedere cosa indagini sull’uso dei social media da parte della destra italiana
porterebbe alla luce, indagini auspicabili e probabilmente attualmente in corso. Ma quello
che la Magistratura non può far valere è il principio che un voto viziato e condizionato è
nullo. Spetta al Legislativo affermare questo principio base della Democrazia. Come ogni
contratto, il voto non vale se il contratto non è stato stipulato correttamente. Vale per la
bolletta della luce, figurarsi se non dovrebbe valere per la gestione della res publica.
Eppure il principio che tutti vogliamo applicato a contratti che possono fare una differenza
anche minima nelle nostre vite non viene nemmeno menzionato quando si parla del
contratto più importante per tutta la società italiana ed oltre. E qui sono i nostri
rappresentanti che bisogna criticare: scusate, ma quale medico non sa la differenza base
tra vena ed arteria? Ed allora, perché dovremmo credere che i professionisti della politica
non sappiano la differenza tra voto e Democrazia?

Non è del volere del Popolo che si deve temere, ma di un Popolo disinformato. Questo è un
concetto che sembra difficile far valere nel centrosinistra parlamentare. Pare che nessuno
sia in grado di fare questo discorso semplice; certo i media strillatori non aiutano, ma il mio
problema con i rappresentanti del centrosinistra è che non provano nemmeno ad
intavolarlo. Invece per un cambiamento vero e nella direzione giusta bisogna cominciare a
far valere i concetti giusti, e se non cominciamo con quello di Democrazia, dove cavolo
pensiamo di andare a finire?

Che i rappresentanti del centrosinistra siano incapaci, immobilizzati (e qui si aprono molte
vie d’indagine) o letteralmente collusi è cosa da stabilire secondo me, ma cosa che deve
essere affrontata. Esiste un concetto, quello di opposizione controllata, ormai ben
conosciuto in tante aree del pensiero politico alternativo. Si pensi a come D’Alema abbia
fatto una campagna elettorale fallimentare che ha agevolato l’ascesa del pregiudicato di
Arcore. Si pensi a come spesso il centrosinistra si dedica a correntismi e bisticci invece di
fare opposizione vera... Questi sono due esempi molto palesi, ma consiglio alla lettrice ed
al lettore di approfondire questo concetto, che può portare a scoperte sorprendenti ma
perfettamente logiche, empiriche e razionali. È da anni ormai che in Gran Bretagna si
sospetta che i due partiti maggiori siano in combutta, ed ho già parlato altrove di come
tutti i candidati alla leadership laburista anti Brexit si siano stranamente ritirati dalla corsa,
lasciando la leadership di fatto all’unico candidato pro Brexit. Io ricordo che vivevo a
Streatham, nel sud di Londra ai tempi. Il mio membro del Parlamento, Chuka Umunna, era
il candidato preferito alla leadership del Partito Laburista; si ritirò dichiarando che sua
nonna aveva ricevuto minacce. Stranissima dichiarazione, ma a prescindere, lui ed altri si
ritirarono, e Jeremy Corbyn, uno sconosciuto vestito da sindacalista fu eletto senza veri
avversari, e guarda caso, questo sindacalista sedicente socialista è pronto a far sparire tutti
i diritti dei lavoratori del Regno Unito in una sola notte coll’uscita del Regno Unito dall’UE.
Mi chiedo quale principio lo guidi, visto che Brexit non ha più alcun argomento se non un
nazionalismo sfrenato promulgato da corporazioni che non volgliono pagare le tasse dal
gennaio 2020. Certo non riesco a riconciliare le sue azioni col socialismo. Ora, a dire il vero,
la sua retorica è cambiata, ma rimane agli atti che Brexit e tutto il disastro che essa
comporta rimangono possibili anche grazie alla totale mancanza di opposizione da parte
del Partito Laburista sotto la sua guida. A me pare un esempio chiaro di opposizione
controllata. L’acume poi di avere uno che si dichiara socialista in tale ruolo di supporto al
capital-corporativismo non sorprende.

Ora, passiamo al concetto di Democrazia Diretta. La Democrazia Diretta è esercitata in


tante realtà di stampo socialista, ad esempio a Christiania in Daniamrca. Anche qui, in Italia,
paese di sperimentazione sovranarol-fascista, siamo di fronte ad una mistificazione. Spesso
l’ironia è rivelatrice, anzi, sempre... In Italia stiamo osservando un falso esperimento di
“democrazia diretta” che segue la stessa logica del “socialismo reale”; come l’URSS non
aveva niente a che fare col socialismo, la Piattaforma Rousseau non ha niente a che fare
colla Democrazia Diretta. Come si può pensare che la Democrazia Diretta venga realizzata
tramite una piattaforma disegnata da pochi e controllata da pochi membri di una Srl?
Ancora una volta si vede che non è possibile chiamare democratico un sistema che non
rispetta le regole democratiche. In democrazia, quando si cambiano le regole, tutti coloro
che sono coinvolti devono essere d’accordo su queste regole. È la base di ogni gioco ed
ogni contratto. È anche ironico che un sedicente esperimento di Democrazia Diretta parta
da strutture ampie, o “dall’alto”. Ma non voglio passare troppo tempo a parlare di questa
pagliacciata. Si capirà dalla presentazione della Democrazia Diretta vera, da cosa significa e
come la si realizza, che la Piattaforma Rousseau non ha nessuno degli elementi della
Democrazia Diretta. Quello che conta però è che questa mistificazione ha chiuso di fatto il
discorso sulla Democrazia Diretta, che invece andrebbe riaperto.

La Democrazia Diretta è invece tutt’altra cosa. Essa è l’esercizio diretto da parte del Popolo
di funzioni democratiche. Non significa che un gruppo di persone vada su internet a votare
un’opzione decisa da poche e che poi questa scelta venga imposta in Parlamento, ovvero a
tutto il paese. Anche se fosse gestita bene ed avesse garanzie che il voto non possa essere
truccato, la Piattaforma Rousseau non è Democrazia Diretta. Scusate, sono tornato a
parlare di questa sceneggiata... Ma andiamo avanti... Ora, cosa vuol dire partecipazione
diretta del Popolo alla gestione della cosa pubblica? Vi ricordate che “Popolo” non significa
nazione; esistono tanti Popoli all’interno di un paese come l’Italia. È poco credibile che un
esperimento in un sistema nuovo di gestione parta da dove c’è più rischio in caso le cose
vadano male.

Intanto, il Popolo in questione, come abbiamo detto, dovrebbe decidere quali regole
seguire nell’esercizio della Democrazia Diretta. Secondo, ci devono essere garanzie assolute
che tale Popolo sia informato e che il voto sia democratico. Non si può avere Democrazia
Diretta senza le stesse garanzie della Democrazia in generale, anzi ne servirebbero di più.
Ma quello che conta è che la Democrazia Diretta deve nascere come sperimentazione su
piccole dimensioni o su strutture o propositi controllabili direttamente dalle persone
coinvolte. Sembra un concetto abbastanza astratto, ma seguiamo la stessa logica che
abbiamo usato con l’ecosocialismo; non si può rimpiazzare un grande sistema organizzativo
“dall’alto” (o da destra) senza rischiare o danni enormi o persino un deterioramento
generale delle condizioni sociali; lo si rimpiazza “a macchia”, ovvero con una molteplicità di
piccoli cambiamenti e realizzazioni che permettano in primo luogo di poter gestire
facilmente errori negli esperimenti ed in secondo luogo di imparare dal pluralismo delle
esperienze dei vari esperimenti.

Facciamo esempi pratici; in una piccola comunità, la Democrazia Diretta è facilmente


implementabile. In un gruppo di cento persone, ad esempio, è facile vedere come tutti
siano chiamati a prender parte in ogni decisione che riguardi tale gruppo. Ma la
Democrazia Diretta è anche sperimentabile in altro modo. In una cooperativa agricola, per
esempio, pensare che tutti i membri decidano collettivamente cosa piantare, crescere,
dove vendere ecc. è non solo fattibile, ma persino sembra essere parte della natura stessa
di tale cooperativa. Abbiamo già esempi di Democrazia Diretta funzionante (la Cooperativa
Iris, per esempio), dove tutti i membri prendono parte nelle decisioni invece di delegare la
gestione ad un consiglio di amministrazione. Ma questo è il principio stesso di cooperativa,
e di socialismo, visto che siamo sul punto.

Ora notiamo che la pagliacciata attualmente in corso che ci vuol far credere che la
Democrazia Diretta sia un’espressione poco distante ai “mi piace” o retweets (caro Grillo,
ne hai dette di fregnacce nei tuoi show!), che si è già dimostrata fallimentare ed
antidemocratica ha messo fuori discorso la Democrazia Diretta nelle discussioni della
sinistra. Ma ancor più grave è come questo finto esperimento (involontariamente, o a mio
avviso volontariamente) occulti esempi di vera Democrazia Diretta e prevenga un discorso
che è alla base del socialismo: la condivisione dei mezzi di produzione non può solo essere
del loro possesso, ma anche della loro gestione: la Democrazia Diretta vera, ovvero la
gestione condivisa equamente (sempre tenendo conto di esperienze diverse e capacità,
problemino logistico semplicemente risolvibile) è un fondamento stesso del socialismo e
dell’ecosocialismo.

Ora siamo al punto di non poterne nemmeno parlare perché ci hanno “rubato il termine”.
Solo menzionarla fa venire i brividi al 99% di chi vota PD, ma il fatto è che a loro questi
brividi vengono perché quando sentono questa parola loro pensano alla pagliacciata
grillina.

Vediamo altri esempi; gestire una mensa per una scuola da parte dei genitori stessi, ad
esempio, non è per niente impensabile in tante situazioni. Invece di andare da una società
privata come spesso si fa, si può formare una società condivisa dai genitori (e magari
personale) della scuola che gestiscono il fondo scolastico per la mensa. Non solo questo
risparmierebbe denaro, perché non si dovrebbe alimentare il capitalismo (ne parleremo
presto, ma questo concetto è fondamentale), e quindi tutto ciò che sarebbe il guadagno del
proprietario o Srl che gestisce la mensa potrebbe essere risparmiato o speso per pasti
migliori, ma questa soluzione sarebbe anche parte di un percorso di educazione e
responsabilizzazione dei genitori rispetto al benessere dei propri figli in ambito educativo. E
cosa ci vuole a spiegare la tabella alimentare, formare comitati per il menù settimanale da
approvare prima dalla dietologa / dietologo della scuola e poi con un voto settimanale
(mettiamo mezz’ora di tempo massimo!) dei genitori scegliere il menù che si preferisce?
Qui i genitori imparerebbero anche cose importanti sull’alimentazione dei loro figli. Non
solo, ma ovviamente i genitori potrebbero fare proposte per un’alimentazione più sana,
informarsi, crescere culturalmente con incontri e discussioni magari mensili.

Ancora una vota dobbiamo pensare alla società come una serie di insiemi, non come una
struttura rigida; parlare di Democrazia Diretta non deve per forza implicare le strutture
dello stato, ma si può, anzi, si deve cominciare ad attuarla su altri insiemi, laddove essa sia
gestibile e controllabile. La Democrazia non si esercita solo tramite le istituzioni dello stato.
Questo è un principio chiave dell’ecosocialismo e del socialismo in generale, ma pare che
questa ovvietà, ancora una volta, sia stata relegata al dimenticatoio dal sistema dominante,
che ci vuole per forza far credere che o siamo “elettori” delle strutture che ci offre lo stato,
quindi prendiamo parte ad un processo di Democrazia, o siamo “consumatori”, quindi solo
fruitori di un servizio (ma non abbiamo alcun diritto di prender parte nella gestione di tale
servizio) o siamo “dipendenti” e quindi lavoriamo per produrre (beni o servizi) ma senza
alcun diritto nelle decisioni su come tale produzione venga gestita. È chiaro che tale
sistema dia ai capitalisti un potere di gestire la società enorme a discapito del Popolo. Il
capitalismo è un furto di potere.

Prendendo i posizionamenti dell’individuo dettati dal sistema dominante, la Democrazia


(diretta o rappresentativa) si deve, al contrario di ciò che esso permette, esercitare sia nel
nostro ruolo di produttori che di fruitori, e non solo in quello di elettori o partecipanti alle
istituzioni dello stato. Lo stato è, infatti, dal punto di vista ecosocialista e socialista, un
concetto restrittivo che si può e si deve superare come unica dimensione democratica.
Ovviamente, anche i posizionamenti (termine di origine post-moderna) della persona, nelle
categorie menzionate qua, sono limitativi. Tanto per cominciare si può pensare al diritto di
esercitare la Democrazia (rappresentativa o diretta) anche nella tutela dell’ambiente,
concetto che nasce spontaneo in un contesto ecosocialista; non penso ci sia bisogno di
stuzzicare l’immaginazione di chi legge per avere una serie potenzialmente infinita di idee
su come ciò si possa realizzare. In generale, se si guarda la nostra esperienza in termine di
relazioni e non posizionamenti si aprono possibilità di sviluppo anche in termini di esercizio
della Democrazia.

Avendo detto che non ho bisogno di stuzzicare l’immaginazione, però, vorrei fare un
esempio piccolo e facilmente realizzabile: la gestione dei pacchetti per i cani. Pensiamo che
questi sono il più delle volte gestiti dal comune direttamente o affidati a società tramite
concorso. Ora, si potrebbe benissimo pensare ad un’alternativa: che i “padroni” (parola che
non amo) dei cani abbiano accesso alla gestione di tali pacchetti. Certo è una cosa piccola,
certo non la si può imporre, ma un parchetto, in tale modo, potrebbe veramente diventare
il centro di una comunità cinofila locale, costruire relazioni sociali e persino diventare una
fonte di educazione.

Ora, questo non è altro che un piccolo esempio. Non si pensi che sia l’unico e che sia
mandatario; il fatto è che la tutela dell’ambiente offre una miriade di opportunità per
l’implementazione della Democrazia Diretta e per la crescita dell’ecosocialismo. Si pensi
alla gestione di aree protette già menzionato, si pensi a cooperative di agricoltura biologica
ed organica, che già esistono, si pensi alla catena di distribuzione di prodotti biologici ed
organici, a cui daremo un’occhiata più avanti, con mercatini e catene di distribuzione auto
gestite... Queste sono solo tre aree in cui esperimenti di Democrazia Diretta possono
essere attuati molto agevolmente.

Ora passiamo ad analizzare alcuni problemi pratici riguardanti la Democrazia Diretta. Un


famoso ex comico in anni ed anni di campagna elettorale propose Internet come la chiave
della Democrazia Diretta. Purtroppo il risultato è stato a dir poco una presa in giro della
Democrazia stessa, ma devo ammettere che da giovane, quando mi chiedevo come essa
avrebbe potuto essere attuata, avevo pensato anche io a Internet (allora poco usato). Ma
non mi convinse pienamente. Ciò che non mi convinse fu la mancanza di garanzie di
sicurezza per il rispetto del voto. Questo problema rimane per ora, specie se ciò che è
richiesto per accedere ad un sistema di voto democratico è un semplice account. Ciò non
garantisce né la sicurezza che il gestore dell’account sia chi vota, né che non si aprano
account finti. Questo impedirebbe alla Democrazia Diretta di svilupparsi oltre a dimensioni
limitate.

Ora, fermo restando che tale sviluppo, qualora possibile, debba essere consensuale (con
referendum se mai a livello nazionale, come prescrive la Costituzione, tra parentesi altro
esercizio di Democrazia Diretta), lento e con garanzie indiscutibili. Ma recentemente una
possibile soluzione mi è venuta in mente. Invece di usare il proprio computer o telefono
per votare, sarebbe molto più sicuro usare la carta d’identità o tessera sanitaria.
Ovviamente dovrebbe esistere una linea verde che cancelli tale tessera o carta
immediatamente qualora smarrita, come succede per le carte di credito, ma l’uso di tale
tessere in terminali garantirebbe molta più sicurezza sull’esito del voto. Il cartaceo, qualora
nel futuro ciò fosse proposto, dovrebbe rimanere per elezioni e decisioni maggiori
(eleggere i rappresentanti del Popolo ecc.) secondo me, ma facciamo un esempio: un
governo nel futuro potrebbe mettere una legge al verdetto del Popolo. Risparmiando
decine di milioni, si potrebbe chiedere di andare alla banca più vicina e votarne
l’approvazione o no con tessera e PIN.

Da questo discorso si deve evincere che Democrazia Rappresentativa e Diretta non devono
essere viste come mutualmente esclusive. L’una può garantire lo sviluppo controllato (nel
senso di sicuro, con garanzie) della seconda. Su vaste dimensioni, essa potrebbe essere
introdotta anche con voti di tipo prettamente consultivo fino a che il sistema proposto per
tale esercizio non sia assolutamente sicuro; anzi, questa via sarebbe auspicabile. Esiste
sempre un rischio nel cambiamento, è solo con un cambiamento progressivo e controllato si
può evitare tale rischio.

Dato che i problemi tecnici sono probabilmente superabili, ora entriamo in un discorso di
merito. Forse anche sotto l’influenza della pagliacciata grillina, esiste una reticenza enorme
nel nostro paese verso la Democrazia Diretta, anche a sinistra. Me ne sono accorto tramite
discussioni con gente di centrosinistra che al solo nominarla inorridisce. E io,
personalmente, vedo qua un grande problema e rischio. Per spiegarlo, bisogna inquadrare
bene questo discorso. Storicamente il progressismo è un’evoluzione verso due cose: la
condivisione del benessere da un lato e la condivisione della res publica dall’altro. Siamo
passati da sistemi autocratici, tramite una graduale “cessione del potere” a sistemi più
vicini ad uno democratico. Ciò ha visto passi importanti, come lo Statuto Albertino e la
Costituzione, nonché la fondazione della Repubblica in Italia. In Gran Bretagna, ciò ha visto
passi da centinaia d’anni, dalla Magna Carta alla formazione del primo parlamento del
mondo (che si sappia) la realizzazione di una monarchia costituzionale. Il prossimo passo
dovrebbe, per logica, essere verso il socialismo e la Democrazia Diretta. Ma siamo in una
posizione di stallo, perché anche tra chi si definisce progressista non vede spazio per alcun
progresso in questa direzione, mentre chi di destra autocratica sta di fatto proponendo una
soluzione reazionaria ed il ritorno alla dittatura. Ci rendiamo conto che questo tabù riduce
enormemente il discorso della sinistra? Se a destra possono proporre qualcosa di “diverso”,
a sinistra proposte di socialismo e di ampliamento della Democrazia non si mettono sul
tavolo. Questo rende il discorso di sinistra in realtà stagnante e conservatore. Oggi come
oggi la sinistra sta proponendo il mantenimento dello status quo istituzionale e
democratico. Ed è un discorso perdente. Ci siamo trovati davanti ad un’opzione e con
condizionamento, abbiamo deciso che si tratti di un vicolo cieco. Invece, come ben
dimostrato qua, non lo è.

Tra le false percezioni verso la Democrazia Diretta che la rendono in appetibile alla sinistra
ci sono i soliti problemi tecnici (superabili), la menzogna della Piattaforma Rousseau come
exemplum horribile (è uno spaventapasseri per intendersi), la strana paura del
cambiamento in direzione democratico, che viene secondo me in generale da un certo
senso di comodità del sistema attuale per molti di centrosinistra, dall’altro ad una generale
paura del cambiamento dovuta agli orrori della storia recente, ed il concetto che alla fine, i
nostri rappresentanti sono eletti per fare il loro lavoro e lo devono fare.

Vorrei brevemente vedere come la paura del cambiamento debba essere superata, poi
parlerò dell’ultimo punto, che è ideologico-concettuale e quindi, dal mio punto di vista da
razionalista, molto più importante nel grande disegno delle cose. L’effetto della paura è
sempre quello di proporre ciò di cui si ha conoscenza ed esperienza vissuta come
preferibile. La paura è conservatrice per sua natura. Ma la sinistra non può per sua natura
vincere se non propone direzioni nuove. Questa paura sta impedendo alla sinistra di fare il
suo lavoro: proporre un mondo nuovo e migliore. Invece, a sentire i nostri rappresentanti
del centrosinistra e tanti esponenti del centrosinistra, il discorso è chiaro: meglio quello che
abbiamo che quello che propone la destra. Questo è un discorso anche valido ma
conservatore, quindi non di sinistra. Tutto è sempre dovuto ad una limitazione falsa e
mendace delle prospettive. La sinistra deve aggiungere un terzo termine per vincere. Sì, è
vero che è meglio quello che abbiamo che quello che propongono i fascisti, ma anche ciò
che abbiamo si può migliorare. È così si prende la destra in contropiede e si torna a fare un
discorso di sinistra, basato sul cambiamento per il miglioramento. Invece, la paura del
cambiamento in versione fascista ha tolto il cambiamento in toto dal discorso politico e
sociale, secondo l’assioma falsissimo che in momenti di pericolo solo la conservazione di
ciò che si conosce è proponibile. Certo, nessuno sta dicendo di non proteggere il sistema
che ora abbiamo, ma si può per lo meno proporre un cambiamento per il meglio nel futuro
prossimo. La storia della sinistra ci insegna che se ciò non succede, la sinistra
semplicemente non può vincere.

Il secondo punto ora: vero, i nostri rappresentanti sono pagati per fare il loro lavoro. E
nell’insieme non l’hanno fatto per decenni. Allora? Il principio rimane, ma chi propone un
sistema di Democrazia Rappresentativa come assoluto, come l’unico possibile o il migliore
possibile fa lo stesso discorso logico di chi propone il capitalismo: accetta i suoi difetti
(enormi e congeniti) e non si apre nemmeno a considerare un’alternativa. È stato questo
sistema che ci ha dato Andreotti, Berlusconi, l’innominato e persino Mussolini a pensarci
bene. È stato questo sistema che ha reso un paese con un potenziale enorme uno stagno
delle potenzialità degli individui; è stato questo sistema che ha fatto scappare menti e
talenti dal nostro paese; è stato questo sistema che ci ha riempiti di burocrazia e
corruzione inutile; è stato questo sistema che ha condonato (tramite clientelismo) il
problema economico più grande del paese: l’evasione fiscale. Eppure la critica non viene
diretta al sistema, ma agli individui, e si spera sempre che qualche politico chissà come
riesca a scavalcare la selezione corrompente del sistema e sia rimasto integerrimo sino ai
livelli più “alti” del sistema venga a salvarci.

Ora, la mia proposta non è di accettare il socialismo e la Democrazia Diretta senza critica e
senza discussione; ma siamo al punto in cui non se ne può nemmeno parlare a sinistra!
Bisogna far capire a tanti di sinistra che esserlo significa anche discutere proposte
alternative razionalmente. La storia del progressismo indica una direzione e noi nemmeno
la prendiamo in considerazione. Allora io chiederei, cosa intendono per “progressismo”?
Arricchimento del capitalismo? Sviluppo tecnologico in questa direzione catastrofica? Ma
questi lo sanno che esiste il fracking e stiamo letteralmente distruggendo paesi interi?

E qui bisogna ribadire un concetto veramente di sinistra: non deve esistere progresso
tecnologico ed economico senza progresso democratico e sociale. Se ciò accade, per
necessità di tale fenomeno stesso si concentra inevitabilmente il potere nelle mani di
pochi. Avere più mezzi e conoscenze e permetterne la gestione a pochi significa alimentare
un’oligarchia. Gli ostacoli a tale principio vanno rimossi, anche quelli concettuali, per
garantire un discorso democratico razionale ed aperto, perché la Democrazia si nutre di
idee in un discorso aperto e razionale regolamentato dai principi stessi della Democrazia e
della ragione.

Alla fine, la Democrazia non è altro che un concetto etico per cui ciò che è pubblico deve
essere gestito dal pubblico, ciò che è comune deve essere gestito dalla comunità per il bene
di tutti.
Populismo e demagogia

Parlando di doublespeak, si nota che i termini che si rubano sono quelli chiave del loro
sistema di menzogne. Alla fine, se vuoi essere sicuro che un’idea buona non passi, quale
metodo migliore di appropriartene e spacciarla per qualcosa che non è? Si è visto
benissimo come il termine “populista” sia stato diffuso da tutti i movimenti fascisti nel
mondo in contemporanea, colla solita collusione dei media. Questo è per me indicazione
che lo abbiano fatto volutamente e sistematicamente. Loro chiamano la demagogia
“populismo”. Noi la dobbiamo chiamare col suo nome: demagogia. Certo, chiamare il loro
sistema “demagogico” a loro non piacerebbe, ma è la pura verità e quindi abbiamo due
motivi per farlo. Non si arriverà mai alla verità se si seguono i significati sbagliati delle
parole. E non ho visto questo accadere; non ho visto la sinistra chiamare i vari demagoghi
col loro nome; ci siamo subito adattati alla loro menzogna, perdendo l’opportunità di fare
chiarezza sulla vera natura del loro movimento.

Ma esiste un altro motivo per cui dobbiamo fare chiarezza sul termine “populismo” e
riappropriarcene. Il populismo è tutt’altra cosa ed uno strumento per il miglioramento
sociale e democratico fondamentale. Il populismo nacque con il movimento anarchico in
Russia nel diciannovesimo e continuò nel ventesimo secolo e si contrappose al nichilismo.
Mentre il primo credeva che il miglioramento sociale si potesse raggiungere tramite
l’emancipazione ed educazione delle masse, il secondo (concetto filosofico già del
settecento) fu invece un movimento anarchico della seconda metà dell’ottocento che,
negando ogni autorità, arrivò anche a proporre la violenza come metodo per poter arrivare
all’anarchia (cosa che abbiamo visto non è un sistema politico, sistema contraddittorio e
non corretto ma non stimo qui discutendo questo movimento). Chi conosce la storia dei
movimenti anarchici conosce benissimo la distinzione. Ora, il nichilismo prese il
sopravvento, forse perché sembrava offrire una soluzione immediata ad una situazione
drastica; certo, diffusosi poi anche in Italia, non causò che danni, in primo luogo
commettendo veri e propri crimini, in secondo luogo dando a tutto il pensiero anarchico un
cattivo nome.

Il populismo, invece, meno appetibile perché vedeva il progresso culturale come base per
un vero cambiamento verso la Libertà, era concetto meno appetibile, più difficile da
mettere in atto nella Russia zarista, e non riuscì ad affermarsi, ovviamente osteggiato dalle
autorità (o meglio dall’autocrazia, termine corretto). Ma il populismo inteso come
emancipazione del popolo è incriticabile ed anzi consigliabile: chi tra noi crede che possa
esistere Democrazia e giustizia sociale nell’ignoranza? Chi di noi non crede che per un vero
discorso democratico, per un progresso reale non si debbano educare le masse?

La demagogia è l’esatto opposto del populismo; essa è condizionamento aperto e palese


delle masse, il populismo ne è liberazione culturale e sociale. Se il populismo russo credeva
nel “parlare alle masse”, quello che oggi viene chiamato tale è invece “condizionare le
masse” e farle belare quello che dicono loro; questo è ben altro che un movimento di
emancipazione delle masse tramite educazione; quello che oggi viene chiamato con questo
termine dalla destra non ha rispetto per le masse, anzi, le vede solo come strumenti per
conservare ed accrescere il potere di chi già lo ha, niente di più lontano dal pensiero
populista vero. Verissimo che il movimento populusta anarchico russo fece tantissimi
errori, tra cui anche l’aver dato il suo supporto a società segrete non democratiche (si parla
della Russia zarista), il non sapersi relazionare colle comunità rurali, che loro vedevano
come necessarie per la rivoluzione, magari anche di non aver poi seguito i propri principi,
ed aver ignorato la via indicata da Lavrov (ovvero che l’emancipazione e l’educazione –
chiamata ai tempi limpidamente “propaganda”, avrebbe dovuto precedere un rivoluzione
graduale) ed altri ancora. Ma se gli errori storici e tattici del movimento rimangono, il
concetto di rivoluzione come possibile solo tramite educazione ed emancipazione non
subisce alcun cambiamento nella sua correttezza. Dobbiamo assolutamente riappropriarci
di questo termine. Ricordiamo che la parte razionale della mente usa il linguaggio per
ragionare, e se il linguaggio è distorto, la mente non può che ragionare male. Il mio non è
solo un discorso linguistico, ma le denuncia di una vera e propria necessità per un discorso
democratico corretto.
Materialismo, laicismo e spiritualità

Siamo di fronte ad una trinità di idee che si stanno combattendo da quasi due secoli.
Ovvero, le idee non si combattono, loro, per chi conosca Platone a fondo, di natura cercano
e, si può pensare, trovano una soluzione. È la società che, viziando il senso dei concetti
base dell’esperienza, ha posto questi tre concetti in collisione.

Ora, ho già detto che uno degli errori fondamentali dell’URSS e di altri esperimenti pseudo
socialisti sia stato quello di “non aver fatto i conti con Dio.” Non penso che debba ribadire
che l’ateismo di stato sia un crimine contro la Libertà di Pensiero e di Espressione, per
alcuni, probabilmente un crimine anche contro la propria Natura. Non solo, pochi sanno
che questo ateismo, per cui lo stato rimpiazza Dio come valore assoluto era anche un
progetto mai realizzato da Hitler. Il nazismo infatti aveva a lungo termine l’intenzione di
rimpiazzare Dio con la “madre patria”. Le dittature temono ogni pensiero che possa minare
o intaccare la loro finta autorità. E Dio può essere il concetto più anarchico dell’universo...

Ora, non si può imporre una religione di stato, né si può imporre la spiritualità: essa è
un’esperienza personale del divino. Dobbiamo comunque stare attenti a fare una
distinzione: religione e spiritualità sono due cose ben diverse. La prima è un sistema che
prescrive valori, metodi e sistemi per la conoscenza ed il rispetto di Dio, la seconda è
un’esperienza personale, in cui l’incontro col divino non passa per vie istituzionalizzate. Si
può anche essere spirituali senza credere ad un dio personale, come fanno tanti buddhisti.
Comunque, questo non è un trattato sulla spiritualità, ma uno sull’ecosocialismo. Ciò che
conta è che l’ecosocialismo, al contrario del marxismo, non si pone in contrapposizione alla
spiritualità (e di base nemmeno alla religione), anzi, per molti che arrivano ad avvicinarsi
all’ecosocialismo la spiritualità ha avuto un grande ruolo nel loro percorso. Chi, ad esempio,
come me, crede che esista un’anima in tutto ciò che esiste, nei fiori, nelle api e persino
nelle rocce, ne deriva un senso di rispetto ed amore che ben si sposano con il concetto
ecosocialista. Detto ciò, la spiritualità non è necessaria all’ecosocialismo.

Il discorso è semplicemente risolto nella teoria ecosocialista qui proposta; la spiritualità è


una relazione personale con Dio e se si vuole con le altre anime. Essa non rientra nell’ethos,
ovvero nell’area di azione del sociale. Non esiste alcun motivo per cui regole sociali
debbano essere applicate ai rapporti privati consensuali. La separazione tra stato laico e
spiritualità non potrebbe essere più chiaro.

Parlando di religione, invece, si entra nel discorso sociale, poiché la religione è un modo per
dettare leggi e regole ad un gruppo di persone, un Popolo. Come ho detto, non esiste alcun
problema tra ecosocialismo e religione di per sé, ma esiste un chiaro principio: una
religione può anche promuovere valori e comportamenti all’interno della sua comunità, ma
non ha nessun diritto di imporre tali valori al di fuori della propria comunità. I valori si
condividono e accettano consensualmente e non si impongono. E ricordo che i valori non
sono la legge etica, a scanso di equivoci. Lo stato, ovvero quell’arbitro della vita sociale,
come visto dall’ecosocialismo, deve rimanere laico; non pare che ci sia alcun dubbio su ciò.

Se poi potranno in futuro esistere (anzi ne esistono già anche in Italia), comunità che
condividono una spiritualità o anche religione consensualmente, non mi pare ci debbano
essere problemi od obiezioni. Si faccia chiarezza, una setta impone valori e comportamenti
tramite il condizionamento mentale, che quindi vengono accettati senza l’esercizio del
libero arbitrio, e quindi, in casi di sette pare ovvio che si stabilisca il diritto dello stato di
intervenire nella protezione dell’individuo. Scientology è una setta, non un gruppo religioso
o spirituale, non dobbiamo preoccuparci; su certe cose, i principi sono saldi.

Parlando ora di materialismo; esso è la credenza che la materia sia tutto. Credenza secondo
me sbagliata e per giunta mai dimostrata. Ora, non voglio entrare in un discorso scientifico
o di epistemologia (la seconda smonta il pensiero materialista senza alcun problema ed in
modo semplice ed inconfutabile), ma a mio avviso la questione del materialismo di sinistra
è fondamentale e deve essere affrontato.

Ora, questa credenza è stata imposta a sinistra da due pensieri incorretti: l’una viene dal
mondo scientifico; non è assolutamente vero che le leggi della scienza si muovano solo su
base materialista. Vero che esistono campi della scienza dominati dal pensiero materialista
(in primo luogo biologia, chimica e farmaceutica), ma è anche vero che in questi anni il
materialismo è stato criticato nelle sue fondamenta da moltissimi scienziati di altissima
fama. La fisica quantistica decisamente dimostra la limitatezza della prospettiva
materialista; Max Palnck, il “padre della fisica quantistica” dichiarò in un’intervista al
giornale britannico The Observer il 25 gennaio 1931:

Ritengo la coscienza fondamentale. Riguardo la materia derivativa della coscienza.


Non possiamo andare oltre la coscienza. Tutto ciò di cui parliamo, tutto ciò che
pensiamo esista, popola la coscienza.
(Traduzione mia)

Ed ancora in un seminario a Firenze nel 1944, intitolato ‘La Natura della Materia’:

Dobbiamo assumere dietro questa forza l’esistenza di una mente cosciente ed


intelligente.

Sia ben chiaro che parlando da fisico, quando Palnck dice “assumere” non intende
ipotizzare o prendere per dato, ma che debba esistere necessariamente, ovvero che se la
materia esiste come condizione necessaria deve esistere la coscienza. Sembra una citazione
assurda, ma che è dimostrata senza ombra di dubbio dagli esperimenti della fisica
quantistica sul comportamento della luce e dell’effetto osservatore. Non esiste alcun
dubbio che la luce sia in grado di capire le intenzioni dell’osservatore e si comporti di
conseguenza, cosa assolutamente impossibile in un universo unicamente materiale.

Ora, buona parte di matematici e fisici oggi non si schierano sul fronte materialista della
scienza, tra loro si pongono, con nomi famosi del passato come Einstein (panteista) e
Newton, anche nomi importantissimi moderni, come il Prof John Lennox, Professore di
Matematica e di Filosofia della Scienza (ben due cattedre chiave) all’Università di Oxford. Si
guardino i suoi seminari per vedere come sia una falsità totale una versione materialista
della scienza possa spiegare l’universo. Intanto, egli dice, le leggi matematiche e fisiche non
sono materiali, ma mentali, secondo, tali leggi non spiegano niente ma semplicemente
descrivono. Ciò nonostante, l’intelligibilità dell’universo stesso dipende dall’esistenza
stessa di tali leggi. Senza la matematica, non potremmo capire niente. Quindi tali leggi, che
non esistono nel mondo materiale, ma solo in quello mentale, devono esistere per il solo
fatto che noi possiamo parlare del mondo materiale. Ne segue che una dimensione
mentale debba per forza esistere, mentre esistono dubbi veri sull’esistenza stessa della
materia.

Non è il momento né l’intento di questo libro entrare nel grande dibattito sul materialismo
scientifico; il fatto è che se esso non può essere preso come precetto, o meglio come
postulato di partenza di tutta la conoscenza, perché non è l’unico approccio possibile né
l’unico approccio sostenuto dagli scienziati stessi, esso non può essere imposto come
fondamento di altri pensieri, incluso uno di stampo sociale.

Ora, a prescindere dal discorso scientifico, quello che conta dal punto di vista sociale è che
la sinistra ha preso quella che non è altro che una posizione di parte del mondo scientifico
e, tramite Marx, ha voluto applicare tale principio al proprio pensiero sociale e politico. In
realtà, il pensiero socialista ed ecosocialista è totalmente indipendente dal pensiero
materialista; il pensiero socialista ed ecosocialista non ha assolutamente bisogno del
materialismo per trovare giustificazione o essere corretto e veritiero. Invece, per motivi
storici, i due sono stati uniti in un legame fittizio che ha posto il socialismo in
contrapposizione alla religione (anche per motivi storici) ed alla spiritualità (per motivi
ideologici sbagliati). Questa posizione errata è costata enormemente al socialismo stesso; il
socialismo deve essere basato sui concetti di Verità e Giustizia, non su una teoria e / o
prospettiva della conoscenza che per giunta è smontabilissima dall’epistemologia stessa;
questo richiederebbe tante discussioni e trattati a parte, ma la grande crisi del socialismo
viene anche dal fatto che quando fu proposto venne basato su fondamenti che intanto non
erano i suoi, e poi sono dimostrabili falsi o per lo meno limitati e parziali. In parole povere,
invece di fondare il socailismo sul concetto di Giustizia, che è assoluto e rimarrà per
sempre, Marx ne spostò le fondamenta su una teoria che poi è stata ampiamente criticata;
il materialismo. Ciò ha causato un falso ideologico impressionante, molto più affermato
all’interno della sinistra e del socialismo stesso: si crede che smontando il materialismo si
smonti il socialismo, ed invece non è assolutamente vero. Questo trattato ne è prova, ed
anzi, se il socialismo e l’ecosocialismo si muovono da principi etici e morali, sembra ovvio
che queste filosofie di pensiero trovino le loro fondamenta non in un sistema materialista,
ma in concetti mentali che trovano la loro giustificazione nella loro verità razionale, bontà e
nella loro Giustizia dal punto di vista etico.

La contrapposizione decennale tra DC e PCI (DP ecc.) che ha segnato la storia del nostro
paese purtroppo non ha fatto che cementare una posizione materialista non necessaria e
totalmente sbagliata. Ancor oggi in certe aree della sinistra non ammettere il materialismo,
o accettare una realtà spirituale viene accolto come un “seguire il dogma cattolico ed
anticomunista”. Per cortesia, non facciamo certi errori colossali. Non si può saltare da un
pensiero ad un altro che non ne segue necessariamente senza nemmeno pensarci; questo
è un errore logico impressionante ed inaccettabile razionalmente. Alcuni di noi sono ancora
fermi a Peppone e Don Camillo.

Avendo detto tutto ciò, si è notato un riavvicinamento tra molte aree della sinistra al
mondo spirituale negli ultimi anni. Purtroppo per la destra fascista, il loro stesso operato ha
posto i presupposti per cui il messaggio della sinistra e di Gesù finalmente si incontrassero:
e chi può dimenticare lo striscione colla scritta “Ama il prossimo tuo”!

Dal loro punto di vista, dopo secoli di allontanamento della Chiesa Cattolica dal messaggio
cristiano, finalmente abbiamo un Papa, Francesco, che lo sta riscoprendo e portando la
Chiesa al messaggio di Gesù. Anche questo è un fattore determinante, come lo è il fatto
che moltissime persone a sinistra hanno ritrovato la dimensione di un’esperienza spirituale
(spesso fuori dalla religione) dopo anni di “ateismo di partito”.

Comunque, non sono qua a fare un discorso spirituale, ma solo a presentare due fatti:

 Il pensiero socialista ed ecosocialista non si oppone alla spiritualità né ad ogni forma


di religione che non voglia imporre valori non consensualmente, ed esistono milioni
di persone a sinistra che hanno abbandonato il materialismo e non per questo non
sono di sinistra; il materialismo non è mai stato né è ora necessario al pensiero di
sinistra.
 Bisogna rispettare tale pluralismo di esperienze ed idee a sinistra e certamente
nell’ecosocialismo nessuno richiede che il pensiero religioso o spirituale rientri nelle
regole di una società ecosocialista, ma solo che tale pensiero ed esperienza
vengano rispettati ed accettati come tali: rapporti personali tra l’individuo e il
divino.

Il laicismo funziona in due direzioni, esso è il rispetto dello stato del pensiero spirituale e
religioso tanto quanto il rispetto del pensiero spirituale e religioso dello stato e della
società.
Il libero mercato

Sudate, ho resistito a malapena alla tentazione di scrivere, “ah, ah, ah!” per una pagina
intera e chiudere l’argomento. Ovviamente penso che qui io stia predicando ai convertiti,
come si dice in inglese... È evidente che il libero mercato non esiste in un sistema
capitalista. Il concetto stesso è un paradosso: in un sistema che accentra il potere in chi
accentra benessere, e il cui solo motivo, la cui solo funzione è accentrare il benessere,
parlare di libero mercato è un paradosso. Trattasi di un altro caso di doublespeak. Eppure
questa menzogna viene presa come verità non solo dai media, ma persino da esperti di
economia ed, in generale, dalla stragrande maggioranza dei rappresentanti del Popolo. È
come se fosse passato il concetto che dividendo una cifra per un’altra se ne ottenga una
più grande.

Sappiamo benissimo perché il mercato non è libero: negare che avere denaro sia anche
avere potere è da stolti o da ipocriti; in un sistema dove chi ha denaro e risorse viene
facilitato in una miriade di modi ad accumularne di più, parlare di Libertà è un vero insulto
alla parola, specie perché tale concetto è poi basato su due concetti che lo peggiorano:
competizione e scarsità. Questo ovviamente implica che chi ha risorse scarse
semplicemente non ha la possibilità di competere, o in moltissimi casi persino di accedere a
tale mercato, che per sua natura è tutt’altro che libero.

Di esempi se ne potrebbero fare a migliaia, ma mi limito a pochi casi; guardiamo come i


supermercati eliminano, con il loro potere, i negozietti; in Italia poi, prova ad aprire
un’attività “liberamente’; si devono avere licenze (cosa che non esiste in altri paesi),
permessi ed un bel gruzzoletto, che l’impiegato o l’operaio medio non possono quasi mai
permettersi. Ovviamente il sistema è anche viziato, e le multinazionali eludono tasse,
mentre i loro dipendenti sono forzati a pagarle. È un sistema truccato in cui il pesce grosso
non solo può mangiare il pesce piccolo, ma addirittura ciò è favorito e persino incoraggiato.
Questo non ha nulla a che fare colla Libertà.

In difesa della Libertà, trovo non solo condizionante, ma letteralmente offensivo che essa
venga usata nella descrizione di questo sistema capitalista. Dico condizionante perché la
parola “libero” nel linguaggio viene usata frequentissimamente in relazione a “mercato”: la
distribuzione di tale parola (in che permutazione, in che combinazione la si trova) è
importantissima nel convincere la gente di un suo significato anche se falso. Ora, provate
ad inserire “distribuzione della parola libero” in Google ed invece di trovare la risposta,
troverete come prima pagina “Libero mercato” su Wikipedia; non si vede in cima alle
ricerche una collocazione che riguardi la libertà degli esseri Umani, o Libertà come concetto
e valore; no, si trova una menzogna. Cominciamo bene… Insomma, ho provato a cercare la
distribuzione delle parole “libero” e “free” ovvero quanto spesso loro siano frequenti nel
linguaggio insieme ad altre parole e non l’ho trovata, ma certamente “libero mercato” è
una delle combinazioni più frequenti. Persino la Treccani ci dà “libero mercato” come
esempio nella definizione di “libero”, come “non sottoposto a controllo o ingerenza,
soprattutto da parte dello stato”. Sarebbe stata una bella battuta se non fosse stata così
triste. Che la Libertà venga dalla mancanza di controllo è concetto fascista ed ipocrita, e
non è accettabile, che non ci sia ingerenza da parte dello stato, vabbè, io guarderei più
all’ingerenza delle corporazioni nelle funzioni dello stato, e di esempi ne avremmo a
bizzeffe, specie in paesi come gli USA dove tale falsità è ritenuta uno dei valori più alti e
comuni.

Ma ci rendiamo conto di quale cambiamento semantico è in corso? Da “persona libera” a


“libero mercato” si passa da un concetto di Libertà al suo opposto! La parola “Libertà” deve
essere trattata col rispetto più assoluto.

Ora, sappiamo che il libero mercato semplicemente non è realizzabile con un sistema
capitalista. Ma esiste un’altra menzogna sull’argomento, quello che il socialismo proponga
un mercato non libero. Ora, vero che in alcune aree della sinistra c’è chi non crede alla
libertà vera del mercato. C’è ancora chi crede ad un “mercato di stato” come unica
soluzione sul modello URSS e China del passato. Ma questa è ormai una posizione di
minoranza e secondo me dovuta al fatto che l’alternativa non è stata comunicata bene. Dal
mio punto di vista, si prenderebbe il capital-corporativismo in contropiede nel momento in
cui il socialismo e l’ecosocialismo chiederanno la realizzazione di un mercato veramente
libero.

Mettiamo le cose in chiaro: deregolamentare significa solo avvantaggiare chi ha potere e


dar loro carta bianca ad usarlo contro altre persone, gruppi o società e, poiché ciò lascia
come unica regola la “quantità di potere” di ogni interessato, permette che questo potere
venga usato a piacere. Questo è il suicidio, anzi l’omicidio della Libertà, il liberticidio
appunto. Siamo all’assurdo, con una popolazione condizionata al punto tale da richiedere
per se stessa restrizioni della Libertà, controlli, regole strette, ingerenza negli affari privati,
mentre per i potenti che sono causa dei disagi di tutto il mondo si richiede carta bianca di
fare quello che vogliono e persino criticarne il sistema viene tacciato di eresia e blasfemia.
Questo è un tratto fondamentale del fascismo: indurre il Popolo al accettare o persino
chiedere restrizioni della propria Libertà nel nome della “sicurezza” e nel contempo ridurre
o togliere quelle limitazioni al potere di chi (come le ditte d’armi ecc.) sono fautori
dell’insicurezza stessa che motiva la gente a comportarsi in questo modo. Nel fascismo, i
politici non sono altro che prestidigitatori che nascondono con una mano la verità è offrono
coll’altra una falsa soluzione. E quando i politici si asserviscono al potere economico di
corporazioni ecc, si può già parlare apertamente di fascismo. E si noti che loro lo fanno,
sempre, nel nome del cosiddetto libero mercato.

Domanda da quinta elementare: devono esistere regole chiare per garantire la Libertà di
tutti? Non è pensabile che un sistema di accaparramento abbia in se stesso le garanzie
della Libertà altrui. È un paradosso ed una menzogna di dimensioni colossali. Allora cosa
significa “libero mercato”? Tanto per cominciare, un mercato dove il pesce grande non
abbia il diritto di distruggere il pesce piccolo. Tale mercato deve avere regole e leggi chiare
per la difesa dei diritti di tutti. Che senso ha parlare di Libertà senza parlare di diritti di
tutti?

Libertà significa rispettare i diritti degli altri. Siamo all’assurdo in un mondo in cui nel nome
della Libertà si fanno morire milioni di persone all’anno. Bisogna assolutamente cambiare
rotta e riscoprire il valore della Libertà, anche nel mercato. Si stanno facendo piccoli passi,
ma che vengono sempre ostacolati dal potere del denaro e dei grandi interessi, nonché
dall’ignoranza in cui siamo caduti. Esiste una certa libertà, vero, di avere mercati dei
contadini, come il Mercato della Terra promosso da Slow Food. Ma questi mercati
incontrano spesso ostacoli pratici che in realtà ne limitano il libero sviluppo; intanto, i
supermercati hanno un potere mediatico enorme che reprime lo sviluppo di piccole
attività. Esiste, ovviamente, l’indottrinamento (tramite pubblicità ed altri mezzi) di buona
parte della popolazione, per cui “fare la spesa” è diventato “andare al supermercato”. È
dimostrabile che ciò sia dovuto ad un condizionamento mentale fatto di milioni di messaggi
passati ai cittadini per promuovere questo stile di vita. Ovviamente si arriva al punto in cui i
supermercati non pagano tasse su guadagni enormi, come nel caso di Tesco, la più grande
catena di supermercati in Gran Bretagna che nel 2008 eluse tasse sul commercio estero di
16 milioni di Sterline. Poco, considerando che ha un profitto annuo di 1,664 miliardi (!!!) di
Sterline l’anno (2018), ma ancor più ironico e triste è che in questo mercato viziato,
nonostante i guadagni strepitosi di queste corporazioni, in Gran Bretagna lo stato deve
contribuire allo stipendio dei dipendenti, con ben 11 miliardi di Sterline l’anno (Metro, 13
aprile 2015), che secondo Citizens UK significa che lo stato paga il 22% dei salari dei
dipendenti dei supermercati nonostante profitti enormi (13 aprile 2015).

Non pare nemmeno il caso di entrare nel discorso triste di come gli stati sussidino imprese
farmaceutiche che fanno profitti da capogiro per non guarirci, ditte d’armi e petrolio con
guerre nocive, non solo inutili ecc... Dei regalini ad Agnelli e Berlusconi a spese dei
contribuenti si sa da tempo...

Come si può arrivare ad un mercato che sia veramente libero?

Intanto bisogna intavolare una discussione democratica onesta su ciò che significa e
comporta un vero libero mercato. Al solito, è controproducente o inutile parlare di un
concetto usandone le definizioni sbagliate. Il Popolo deve essere informato correttamente
ed educato. Certo, questo richiede tempo, ma ancor più richiede volontà ed impegno,
nonché fondi seri per l’informazione corrette e regole del discorso democratico. Per chi si
senta scoraggiato da tali tempi, faccio notare che la gente cambia idea molto velocemente;
si pensi che il sovranismo fu lanciato solo qualche anno fa, ed oggi, nonostante la sua
assurdità e falsità, è diventato pensiero dominante in moltissimi paesi. Certo,
l’informazione e l’educazione, si può presumere, richiedono più tempo che
l’indottrinamento e la demagogia, ma si parla comunque di anni, non decenni, e con un
dibattito ben strutturato ed onesto, ciò è chiaramente fattibile; ma quello che conta, è un
imperativo morale.

Deve esistere una regolamentazione corretta, che garantisca in primis i diritti dei più deboli
e bisognosi. Anche qui si stanno facendo passi, come la legge UE contro l’elusione fiscale
delle multinazionali, per correggere iniquità ed ingiustizie enormi in questo sistema. Ma
bisogna prendere questo solo come un primo passo, importante ma non sufficiente.

L’ecosocialismo ed il socialismo, come abbiamo già visto e vedremo ancora, offrono


opportunità di costruire realtà di mercato molto più egalitarie e quindi libere.

Il problema è veramente contrastare lo strapotere delle corporazioni. Mentre è già difficile,


come vedremo, vendere i prodotti agricoli di cooperative ecc. per mancanza di circuiti
alternativi di distribuzione, è praticamente impossibile contrastare lo strapotere delle
corporazioni in certi campi.

Costituire settori protetti per lo so sviluppo di un’economia alternativa non è solo fattibile
è proponibile, ma auspicabile. Ora, questo mezzo è stato usato nel passato, ad esempio per
incentivare il mercato dell’automobile. Ma la domanda nasce spontanea: se un mezzo
economico è applicabile come principio per garantire lo sviluppo di un marcato specifico
per arricchire i pochi (Agnelli), perché questo non dovrebbe essere applicabile per favorire
un’economia di settore che arricchisca i molti? Non solo, ma l’Art. 41 della Costituzione
recita:

L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o
in modo di recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica


e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Pare ovvio che leggere questo articolo dalla prospettiva menzognere del libero mercato
capitalista dia un’interpretazione che può essere pericolosa. Ma anche se lo si facesse, ciò
sarebbe contraddetto dalla seconda frase. Ci troveremmo davanti a pecore orwelliane che
urlano “L’iniziativa economica privata è libera!” come slogan senza capire il significato di
Libertà che lo stesso articolo precisa nella frase che segue. Ma è il secondo paragrafo che
veramente fa un passo di qualità nel concetto: lo stato ha il dovere di legiferare affinché
“l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
(Corsivo mio)

L’accumulazione di benessere e risorse non è un fine sociale. Non può essere definito tale
da alcuna prospettiva. Non solo, ma la Costituzione si conferma apertissima ad esperimenti
sociali e socialisti anche sul piano economico, non solo, impone (e la Costituzione, si ricordi,
impone allo stato) il dovere dello stato di passare “programmi e controlli opportuni” alla
realizzazione e sviluppo di attività economiche a fini sociali. Una cooperativa ha, per sua
natura, un fine sociale. Una corporazione, invece, non ha fine sociale in se stessa, per la sua
stessa struttura; può operare nel sociale, ed in tal caso rivendicare un fine sociale tramite il
suo operato, ma per struttura non ha fine sociale. La distinzione è importantissima, anche
perché la storia ci insegna che spesso i fini sociali di operazione delle corporazioni sono poi
diventati solo facciate per interessi privati e in tanti casi diventati una menzogna stessa.
Quale è il fine sociale di una compagnia di petrolio che di fatto blocca lo sviluppo di energie
pulite? Non si possono accettare giustificazioni (o scuse patetiche) superficiali di fronte a
tali argomenti fondamentali nella vita di sette miliardi e mezzo di persone al mondo o
sessanta milioni in Italia. Distribuire energia sarebbe un fine sociale? Sì, va bene, ma ci si
può chiedere onestamente se il loro operato vada in realtà nella direzione dei bisogni reali
del Popolo e della società. Sembra ovvio che qualora una corporazione prenda iniziative
che vanno palesemente contro gli interessi del popolo, essa si opponga al volere del Popolo
stesso ed alla lettera della Costituzione. Scegliere i carburanti fossili piuttosto che il solare è
facilmente dimostrabile che (con una serie di scuse non accettabili razionalmente, nonché
con collusione colla politica e dei media vera e propria) questa scelta serva solo interessi
privati ed il mantenimento dell’egemonia di certe scorpora ioni nel settore (ed interessi
privati) su altre realtà economiche. Tale scelta si pone chiaramente in opposizione al testo
della Costituzione.

L’Art. 43 della Costituzione poi riserva allo stato il diritto di espropriazione di “imprese o
categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a
situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.” Questo
diritto lo stato non lo ha esercitato da molto tempo, contro gli interessi reali del Popolo.
Ma ciò che ci interessa qui è che, laddove si può ipotizzare ed auspicare una protezione
dell’agricoltura biologica e della distribuzione dei suoi prodotti (chiaramente di interesse
generale) secondo l’Art 41, per cui non si auspica un esproprio inutile di piccole realtà
economiche, che andrebbe contro gli interessi del Popolo, l’Art. 43 apre opportunità ben
diverse nella gestione dello strapotere delle corporazioni in alcuni settori. Se da una parte
l’ecosocialismo auspica e promuove lo sviluppo di attività di natura socialista e cooperative,
dall’altro si può ben pensare di controllare multinazionali che viziano il mercato.

Lo stato ha infatti il dovere, secondo questo articolo, di eliminare il vizio di mercato in


settori di chiaro interesse pubblico. E se c’è chi vorrebbe guardare settori piccoli, io
penserei anche a grandi poteri di fatto gestiti da poteri monopolisti. Penso, ad esempio alla
farmaceutica. Sapete quanto costa un pacchetto di Aspirina in Gran Bretagna? Circa 20
centesimi! Sappiamo bene che invece, in Italia, il prezzo dello stesso pacchetto è di circa 6
Euro! Stiamo parlando del 3.000% in più, come conseguenza di un mercato dominato da un
monopolio. Non solo questo si applica al privato cittadino, quindi di fatto limitandone la
Libertà alla salute, anche questa garantita dalla Costituzione; ma si pensi ai costi di tali
prezzi gonfiati oltre l’ammissibile e l’immaginabile da case farmaceutiche per la Sanità
Pubblica.

Si vede benissimo come le corporazioni della farmaceutica stiano di fatto usando lo stato
per arricchirsi alle spese del Popolo. Secondo il Quotidiano Sanità (2 novembre 2019) la
spesa per acquistare farmaci del Sistema Sanitario Nazionale è cresciuta del 15% in dieci
anni, passando dai 18 miliardi del 2008 (spesa chiaramente già gonfiata per arricchire le
case farmaceutiche, che fanno guadagni da capogiro, con un profitto netto impressionante,
del 42% sul fatturato, come riportato dalla BBC il 6 novembre 2014, rendendole il settore
con i profitti più alti al mondo, oltre quello delle banche), ai 20,8 miliardi nel 2018. Nello
stesso periodo si è vista una diminuzione della spesa per il personale...

Chiaramente ogni volta che si parla di tagli alla sanità si parla di tagli a personale e servizi,
ma ci si guarda bene dall’affrontare il problema reale e la sua soluzione: il taglio delle spese
per i farmaci, che regalano circa 10 miliardi l’anno di puro profitto alle industrie
farmaceutiche.

Semplicemente, almeno su quei farmaci che non sono più protetti da brevetto, si potrebbe
costituire una azienda di farmaceutica pubblica, è perché no, renderla una cooperativa o
semi-cooperativa, dove chi ci lavora abbia diritti nella gestione della stessa. Pensiamo al
risparmio nell’avere anche una no-profit nel sistema...

È evidente che il mercato non sarà mai libero sino a che non sarà ego lamentato
correttamente. Le regole e la Legge, come abbiamo già stabilito, derivano la loro autorità
dalla loro stessa Giustizia. Per ora, tutte le regole di questo mercato falsamente libero
servono la plutocrazia, non la vera libertà del mercato. Laddove si trovano ostacoli di ogni
tipo nel lanciare e sviluppare piccole attività, le multinazionali e grandi corporazioni non
solo trovano tutte le porte aperte, ma se le fanno aprire da politici e altri servitori (o meglio
“schiavi volontari” delle corporazioni, che ad esser servitori, specie del Popolo, c’è dignità)
dei vari stati qualora fossero chiuse. In questo, gli stati nazionali hanno da lungo smesso di
essere “rappresentazioni del Popolo”, e sono diventati sempre più burattini della
plutocrazia corporativista. L’ecosocialismo ricerca e richiede che gli interessi del Popolo
siano rispettati dal mercato. Alla fine, dicano quel che vogliono, il mercato deve servire il
Popolo, mentre al momento l’opposto è ciò che succede. Ricordiamo che quando si parla di
Popolo, si parla sia della piccola comunità locale che di tutta la Famiglia Umana, e, dal
punto di vista ecosocialista, di tutte le creature della Terra. La prospettiva che il bene di
una persona o gruppo debba risultare dal male di un’altra o un altro è falsa ed imposta dal
sistema dominante, quindi non si pensi che ottenere un sistema giusto ed equo sia così
difficile. Quando i diritti ed i principi sono chiari, la difficoltà di mantenerli anche nel testo
della regolamentazione sparisce, o per lo meno si diminuisce enormemente.

È ovvio che l’ecosocialismo promuove attività piccole piuttosto che grandi società; ma una
grande società, proprio perché ha un impatto su un grandissimo numero di persone, deve
avere più responsabilità. Il principio per cui la responsabilità viene decisa dall’impatto che
un’attività ha sulle persone e sulla società è fondamentale. Sfido chiunque a criticare
questo principio, perché è il principio di responsabilità stesso. Inutile dire che, grazie al
solito gioco di prestidigitazione, ciò che succede ora è il contrario, le corporazioni spesso,
usando le proprie responsabilità come scusa, ma mai rispondendone, si arrogano privilegi.
Una legislazione che ristabilisca la Giustizia anche nel mercato è necessaria e possibilissima
colla nostra Costituzione, che chiaramente riconosce tale principio.

Ovviamente, deve esistere un sistema per cui, qualora una grande corporazione decida
contro gli interessi dei dipendenti, i suoi assetto finanziari e di produzione possano venire
collettivizzati tra gli impiegati/e ed operai/e stessi/e. Siamo, al momento della scrittura di
questo testo, nel pieno del caso ILVA. Ora, che una società di tali dimensioni, dopo aver
fatto profitti giganteschi, possa chiudere senza rendere ai dipendenti buona parte di ciò
che ha guadagnato è inammissibile. Che lo stato la rilevi è già permesso dalla Costituzione,
come abbiamo visto, ma che poi la dia in gestione ad incapaci è un trucchetto usato spesso
per far vedere, e dare la falsa impressione, che solo il capitalismo sa gestire grandi aziende.
Falso, quell’azienda deve e dovrà sempre la sua funzionalità a dipendenti capaci in ogni
settore, dai dirigenti tecnici e finanziari agli operai, passando anche per chi lavora in mensa
ecc. Qualora tale ditta venisse rilevata dallo stato, il problema è che la dirigenza
cambierebbe, e qua è dove si deve ben tenere d’occhio il passaggio: se incapaci messi lì per
nepotismo o corruzione vengono scelti, o anche per il vero e proprio intento di farla fallire,
cosa da non escludere, allora si rinforzerebbe il pensiero falso che solo con un capitalista al
comando si può gestire tali attività.

Ed invece sarebbe per me il momento opportuno per collettivizzarla. Che la rilevi lo stato
con esproprio, si faccia pagare una multa salata da reinvestire nel futuro della ditta e dei
suoi impiegati, e che poi la trasformi in una cooperativa. Messi dirigenti ad interim (anche
tenendo gli stessi), che siano i dipendenti stessi a scegliere i nuovi dirigenti
democraticamente, trasformando tale azienda in una cooperativa. Lo stato potrebbe, per il
bene dei cittadini, investire nella sua conversione e nella soluzione al problema di
inquinamento di tale attività, che comunque è un problema che rimane. Qui invece siamo
messi nella falsa posizione di dover scegliere tra mantenere il lavoro di 20.000 persone, in
pratica di permettere a circa altrettante famiglie di sopravvivere d una parte e dall’altra
invece la conversione o ristrutturazione dell’impianto per renderlo non inquinante. Se
invece noi vedessimo questo momento anche come un’opportunità, questa falsa dicotomia
verrebbe superata e ci troveremmo davanti al prospetto di salvare due piccioni con una
fava. Chiaro che esistono problemi legali ecc. che nel caso specifico non aiutano, grazie alle
cappellate del governo giallo nero, ma la prospettiva di risolvere entrambi i problemi
dovrebbe per lo meno essere studiata, invece di lasciarsi mettere sotto scacco dal capriccio
di una corporazione che, nel non voler risolvere il problema ambientale, ha pensato bene
di prendere tutti in contropiede e porne uno più pressante… perché questo è chiaramente
il loro gioco.

Ma si può anche pensare ad un’alternativa, che con la mora fatta pagare all’ILVA si
costituiscano tante cooperative piccole tra i dipendenti dell’ILVA per salvaguardarne il
lavoro. Ora, pensiamo se ogni volta che una corporazione gigante decide di chiudere i
battenti se i suoi beni venissero ridistribuiti, almeno in parte, tra gli ex dipendenti e si desse
l’opzione di seguire la corporazione o avere un’alternativa in una cooperativa. Vediamo già
il corporativismo smontarsi e la nascita di un mercato veramente libero e di stampo
socialista. Il vero libero mercato è socialista, un mercato libero e responsabile è
ecosocialista.

Non è possibile mettere, comunque, la Libertà del mercato sopra quella delle persone e dei
Popoli. Qui si sta vivendo un falso orribile, quello per cui la cosiddetta Libertà del mercato
conti di più della Libertà delle persone e dei Popoli. Ma stiamo scherzando? Mettendo da
parte il fatto che il mercato attuale è libero come un canarino in gabbia, il concetto stesso è
paradossale. Il mercato deve servire la gente, i Popoli e gli individui, nonché, aggiungerei,
l’ambiante ed il pianeta. Siamo noi che nasciamo liberi per Legge di Natura e per Legge
Umana, e questo diritto, come tutti quelli elencati nella Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani, è inalienabile. Ci si rende conto di quello che ciò significa? Tutto ciò (non solo chi)
che ci tolga un tale diritto commette crimine contro i Diritti Umani, ed è di questo che il
falso libero mercato si macchia, un crimine enorme, oltre ai vari omicidi, suicidi indotti,
distruzione del pianeta, crimini contro la Natura... La lista va avanti per pagine e pagine, ma
ci fermiamo qua. Il giorno in cui mi faranno vedere dove nella Dichiarazione sia scritto che
“il mercato nasce libero”, parleremo dell’autorità di tale principio, per ora, tale falsità,
imposta come “verità indiscutibile” dal sistema è accettata da moltissimi e la critica alla sua
fondatezza non è nemmeno messa sul tavolo della discussione democratica; mi spiace,
semplicemente perché i discorsi si fanno razionalmente, e tale principio non trova
giustificazione razionale.

Se la si cambiasse con: il mercato deriva la sua Libertà dal suo servizio ai Popoli, le Persone,
la Natura ed il Pianeta, allora avrebbe vera autorità. Ed è quella la sua funzione ed è quella
la sua vera Libertà. Gli strumenti, come il mercato, non hanno diritti innati; hanno solo
diritti dettati da come loro funzioni realizzino il Bene comune.
L’immunità parlamentare

Ho avuto disaccordi anche a sinistra su questo punto, e penso sia il caso di fare chiarezza;
l’Art. 68 della Costituzione recita:

I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse
e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.

Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento
può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare né può essere arrestato o
altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in
esecuzione di una condanna, ovvero sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale
è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad


intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di
corrispondenza.

Si noti che la Costituzione non garantisce in alcun modo il diritto ad alcun parlamentare di
commettere crimini. Quello che garantisce la Costituzione è giustamente il diritto di
esercitare le proprie funzioni liberamente. Ho messo in corsivo “nell’esercizio delle proprie
funzioni” per un motivo. Far sequestrare persone su una nave non rientra nell’esercizio
delle funzioni di alcun politico, ma solo della Magistratura, per esempio. Così come essere
corrotti o promulgare odio e fascismo. Queste, semplicemente non sono funzioni di
parlamentari e ministri. Ora, anche un medico nell’esercizio delle proprie funzioni ha diritto
di fare cose che io non potrei; non posso prescrivere medicine e nemmeno fare operazioni
a cuore aperto, ovviamente. Quello che garantisce la Costituzione non è altro che il diritto
che viene colla professione, come i diritti che vengono con altre professioni. Certo, la
professione di rappresentante del Popolo è importante è cruciale alla Democrazia. Nessun
dubbio e nessuno vuole toglier loro tale diritto.

Il problema è che in Italia tale diritto è stato allargato con un trucchetto. La cosiddetta
Legge Boato (Legge 140 del 2003) passa alla camera di appartenenza il diritto di decidere
sulla insindacabilità del comportamento del parlamentare. O verso spetta alla camera, e
non alla Costituzione (e leggi che ne derivano attribuendo i ruoli e le funzioni a
parlamentari e ministri), se un parlamentare stesse applicando un diritto sancitogli dalla
Legge.

Ciò è semplicemente inaccettabile. Se una persona agisce all’interno delle proprie funzioni
non ha motivo di temere la Giustizia. La decisione su tale insindacabilità appartiene di
Diritto alla Magistratura, e non al Legislativo. È come se un medico che viene accusato di un
crimine non potesse essere investigato salvo permesso dell’Ordine dei Medici, o peggio dei
suoi colleghi di corsia. Si sono visti casi in cui letteralmente il Parlamento non ha rispettato
la Costituzione, ed il caso del sequestro della nave Diciotti ne è esemplare. È chiaro come il
Sole che si tratta di una irregolarità nella bilancia dei poteri dello stato che va corretta.

Non solo, ma la Corte Europea per i Diritti Umani nel 2016 ha passato verdetto contro
l’abuso dell’immunità parlamentare dovuto a tale legge nell’ambito della violazione dei
Diritti Umani. Il caso Diciotti mostra chiaramente come un diritto inalienabile sia stato
posto in secondo piano rispetto ad un diritto derivato per giunta assolutamente non
sancito dalla Costituzione e riservato alla Magistratura. Di fatto, le camere spesso
concedono diritti ai parlamentari che non hanno il diritto di concedere.

Ora, nonostante la Corte Costituzionale abbia ribadito che la decisione in merito


dell’insindacabilità spetti alla Magistratura in diverse sentenze, il Parlamento non è corso a
cambiare la legge in questione, anzi, se ne è dimenticato. Ora, ci rendiamo conto che quello
che dice la Corte Costituzionale è Legge e che il Parlamento ha obbligo di agire di
conseguenza? Ciò non è successo. La Legge Boato rimane in vigore ed applicata nonostante
i verdetti negativi delle due corti più autorevoli sul territorio nazionale. Se non la abroga il
Parlamento, che in questo sta compiendo un atto eversivo per definizione, è ora che si lanci
un referendum per l’abrogazione della Legge Boato.

Non v’è nulla di cui preoccuparsi; l’immunità che deriva dall’esercizio (che può solo essere
proprio, o si tratta di abuso) delle proprie funzioni sancito dalla Costituzione rimane, come
è giusto che sia, ma che un diritto della Magistratura passi ai colleghi dell’imputato è
assurdo. E scusate, ma sarebbe ora di imparare le lezioni della storia, ed è indiscutibile che
l’insindacabilità sia stata causa certa di tantissimi problemi del nostro paese, avendo
protetto criminali con una scusa illegittima a strette di mano dalla Giustizia. Rega, qua o si
imparano le lezioni in non ce la meniamo se poi le cose vanno storte, detto
schiettamente...

Ribadisco il concetto che la Giustizia non si può e non si deve mai fermare e che una legge
ingiusta non ha alcuna autorità e non dovrebbe nemmeno essere chiamata legge. Un
mondo ingiusto è semplicemente un mondo falso che non deve e non si può più permettere
di esistere.
Il fascismo e la sua soluzione

Dobbiamo scendere negli inferi per un momento. È già triste che se ne debba ancora
parlare. In realtà, penso che la sinistra abbia le sue responsabilità per la situazione in cui ci
troviamo poiché dopo il crollo del Muro di Berlino, essa si è trovata spiazzata ed ha
inseguito il cosiddetto liberismo (parola che si riferisce in primo luogo alla libertà del
mercato) invece di vedere la propria miopia nell’aver seguito una chimera che niente aveva
a che fare con il vero socialismo. Poi, chi se ne accorse e lo capì, non si prese mai la briga di
spiegarlo. Fatto il mio esamino di Coscienza, passiamo al mostro.

Il fascismo è un reato e come tale la sua soluzione è giuridica e penale. È inutile e sbagliato
che si continui a cercare una soluzione politica ad un reato. Ai reati ci pensa la
Magistratura. Quello che deve fare il Legislativo (che per ora non vedo fare) è fornire alla
Magistratura i mezzi per fare il suo dovere correttamente.

Ed intanto cosa dovrebbe fare il Popolo (democratico) e cos’è il fascismo? Io fui uno dei
primi a parlare apertamente di fascismo sui social media riferendomi al sovranismo. Ora, ai
tempi, era difficile dirlo e si passava per “schizzati” o “paranoici”. Oggigiorno è ormai
innegabile che il sovranismo sia solo un’altro nome per fascismo. Non lo dico per vantarmi,
ma lo dico per spiegare come me ne accorsi. E chi avesse creduto che il fascismo si
presenterebbe dicendo, “Ciao, sono il fascismo, arrestatemi,” vesto di maglietta nera e con
stemmini e cavolate varie per farsi riconoscere deve farsi un bell’esamino.

Il fascismo è una matrice, e la stessa Legge Scelba ne riconosce la chiave e matrice, usando
un termine molto ampio quando dice che compie reato di riorganizzazione del disciolto
partito fascista non solo chi ha busti del duce ecc, anzi non li nomina, ma chi mina la
Democrazia “promulgando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione” o
“svolgendo propaganda razzista.” Ed aggiunge che chi “rivolge la sua attività alla
esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri dl predetto partito” compie reato di
riorganizzazione del disciolto partito fascista (corsivo mio). Si noti l’ampiezza di questa
legge: mentre tanta attenzione è data a chi osanna questo o quel fasciatello, a chi indossa
questa o quella divisa (da condannare), ci è sfuggito che promuovere qualsiasi principio
fascista o usare metodi propri del partito fascista costituisce reato e non di apologia di
fascismo, ma il più grave di ricostituzione del partito fascista. Notiamo che la legge parla
ampiamente di “propaganda razzista” come propaganda di matrice fascista. In Italia,
razzismo e fascismo sono accostati se non mutualmente identificati anche dalla Legge.

Ora facciamo un passo indietro. Il sistema capital-corporativista vuole e promuove per sua
natura la plutocrazia; il fascismo non è altro che la realizzazione di un sistema statale non
più al servizio del Popolo, ma totalmente assoggettato a tale plutocrazia, con una dittatura
di qualsiasi tipo. Ora, tale sistema ha un problema: da un lato deve promettere (e come si è
visto non mantenere), o per lo meno proporsi come quello che può offrire benessere alla
maggioranza del Popolo ed al contempo costruire un sistema sociale, politico ed
istituzionale che tolga diritti alla popolazione. La popolazione non si colloca di natura
nell’area fascista, ed il problema, per il sistema capital-corporativista sono la classe media
in particolare modo e la classe bassa (parole orribili, ma usiamo le loro per amor di
argomentazione).
Quello che il sistema capital-corporativista fa è reprimere il ceto basso imponendone
grandi sacrifici e scarsità, così inducendo malcontento sociale che poi loro
strumentalizzeranno. Al contempo, spingeranno la classe media ad aver paura per il loro
stesso benessere. Lo faranno demonizzando, colpevolizzando e criminalizzando un gruppo
di persone preferibilmente povere e che non hanno i mezzi per difendersi, una minoranza.
Ed è proprio qui che mi accorsi che il metodo fascista era usato coerentemente,
sistematicamente e continuamente dal sovranismo: la criminalizzazione, colpevolizzazione
e demonizzazione dei migranti è di per se ricostituzione del disciolto partito fascista. Lo è
per legge e lo è di fatto, perché elemento chiave ed indispensabile nel piano fascista.

Poi, ovviamente tutti sappiamo di tanti altri aspetti e metodi del fascismo: l’uso di false
notizie, o fake news, il proponimento di falsi valori, l’appellarsi alla tradizione nazionale, il
falso patriottismo, ovviamente l’uso dei media ecc. Ma per loro è assolutamente necessario
distogliere l’attenzione dal vero colpevole, il capital-corporativismo e far passare il concetto
ridicolo secondo cui siamo tutti a rischio per colpa di quattro poveracci. Come se i soldi ce li
avessero rubati i poveri, vabbè. La gente crede tanto più alle fiabe quanto sono orribili ma
scritte secondo un copione già letto.

Ed è lì che si sarebbe dovuto intervenire; esiste già una legge che definisce reato ogni
discriminazione, l’Art. 604 bis del Codice Penale che condanna “chi propaganda idee
fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere reati o
commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Sembra
chiarissimo che la legge è scritta benissimo: usa il termine “istigazione” definito
giuridicamente come “incitare, cioè commettere un’azione sull’altrui psiche volta a far
sorgere o rafforzare motivi di impulso.” Mi pare che non ci sia dubbio che questo articolo
sarebbe dovuto essere applicato ai veri inizi della campagna sovranista, insieme alla Legge
Scelba. Ed a applicata ai mandanti, che non mi pare difficile individuare.

Intanto, impariamo la lezione. Deve esistere un organo giuridico che monitori il fascismo. Il
costo sarebbe irrisorio nella prospettiva della salvaguardia della Democrazia. La
Democrazia avrà anche i suoi anticorpi nel Popolo, si spera, ma che lo stato debba rendere
questi anticorpi effettivi tramite il suo dovere, ovvero trasformare il bene del Popolo in
istituzioni, è concetto che non è stato applicato. Che lo si applichi ora. Tale organo deve
avere il diritto di procedere d’ufficio. Il fascismo è un crimine contro la Democrazia, e come
tale deve essere perseguito d’ufficio e con mezzi appropriati.

A questo proposito vorrei entrare in una piccola analisi; in Italia siamo stati fortunati,
abbiamo avuto Presidenti della Repubblica come Pertini, Napolitano e Mattarella che si
sono presi le loro responsabilità istituzionali anche in situazioni pericolose per la
Democrazia. Siamo stati fortunati, ma non si può affidare il futuro dei nostri figli alla buona
sorte. Nel momento in cui sto scrivendo questo testo all’orizzonte abbiamo uno scenario
inquietante. Se questo governo non dovesse reggere sino all’elezione del Presidente della
Repubblica, si apre lo scenario dell’elezione di un Presidente filo fascista. Non solo,
basterebbe un Presidente assente, un po’ come la Regina Elisabetta II, per di fatto aprire la
strada ad una dittatura. Ora, il Presidente giura, secondo l’Art. 91 della Costituzione, fedeltà
alla e osservanza della stessa. I giuramenti sono buona cosa quando si parla di cariche
istituzionali, ma ciò che mi preoccupa è che tale “osservanza” è vaga. Non ci possiamo
permettere, davanti al rischio che corriamo, che esistano vuoti e buchi dove il fascismo si
possa infilare. Io propongo di usare questo periodo di incertezza democratica per impararne
la lezione e correggere le mancanze nella struttura antifascista di Legge ed istituzioni.
Secondo l’Art. 84 della Costituzione può essere eletto a tale carica “qualsiasi cittadino che
abbia compiuto cinquanta anni di età e goda dei diritti civili e politici.” Io proporrei di
ammendare questo articolo ed aggiungere che debba passare regole più severe di
eleggibilità, ovvero che la candidatura di una persona a tale carica debba essere vagliata da
una commissione di Magistrati che si accerti che tale candidato non abbia alcun legale con
fascismo, mafia e massoneria. Non si tratta di una limitazione delle libertà democratiche,
ma di una garanzia per una carica così importante, e bisogna pensare che tali garanzie, o
simili, esistono anche per personale medico, giuristi ed insegnanti. Lascio la proposta sul
tavolo da discutere ovviamente.

Cosa dobbiamo fare noi democratici? Per ora siamo alla campagna mediatica e alla
diffusione dei veri valori. Penso che, nella congiunzione attuale, la retorica demagogica del
fascismo stia dando segni di stanchezza; una cosa buona fatta dal governo giallorosso (sarà
rosso il PD? Boh, forse qui ci troviamo davanti ad un caso di daltonismo collettivo) è di aver
tolto il riflettore dalla questione migranti. Non ha fatto il discorso corretto, ovvero che il
problema non sono quella manciata di migranti che vengono (e manciatina che resta) nel
nostro paese, ma la loro emarginazione. Tipico del fascismo è proporre la causa del
problema come sua soluzione.

Dobbiamo ora guardare un punto chiave, fare un’analisi corretta e vedere quello che, come
Popolo democratico possiamo fare. Usiamo pure le loro tabelle sociali: hanno convinto
buona parte della classe media del Nord che i migranti sono una minaccia alla sicurezza (e
hanno chiaramente fatto capire ai vari evasori che potranno continuare ad evadere). Ora
poco possiamo fare per far cambiare idea agli evasori; l’unica cosa è parlare di evasione
(vero problema storico del paese) e far capir loro che “la pacchia è finita”, specie per chi
evade somme ingenti. Ma quello che dobbiamo ora far capire agli altri nella classe media è
che i migranti non sono il problema, che la soluzione c’è e si chiama integrazione e che il
vero problema sono le tasse non pagate dalle corporazioni in primo luogo e la diffusione di
armi voluta dal pistolero (parola che il lettore milanese potrà cambiare a piacimento) di
Predappio o Pontida di turno. Far notare loro che il fascismo è asservito alle grandi
corporazioni è importante, lo si può fare sui fatti, per spostare il discorso dalla propaganda
fascista ad uno democratico.

Ma il fascismo usa un’altra tecnica che ,essendo un suo punto forte, è anche il suo tallone
d’Achille. Il fascismo mette i penultimi contro gli ultimi. E quando gli ultimi non ci saranno
più i penultimi saranno i nuovi ultimi da criminalizzare. Oggi si parla di gente disillusa e
senza prospettive nelle periferie, a cui la sinistra istituzionale non ha parlato per decenni
(grazie PD per questo errore colossale!) lasciando terreno fertile per la destra estrema di
Fratelli di Satana (scusate, loro si appellano in altro modo) e Casa Pound. È a loro che si
deve far capire, non alla dirigenza, che sono sicuro è ben corrotta ed ipocrita, che i soldi
che Casa Pound prende dai massoni non vengono gratis e non sono di certo per favorire i
poveri. Loro sono stati rincitrulliti al punto di credere che chi va a letto coi grandi poteri e
ne riceva anche finanziamenti lo faccia per i poveri come loro. Concetto ridicolo, ma
purtroppo imposto loro con propaganda.

Se si guarda L’Ultima Cena di Leonardo pare quasi vedersi presentato il sistema fascista nel
linguaggio visuale: molti puntano le dita in direzioni diverse così da distrarre dal vero
colpevole. Questo quadro è stato ripreso da una coreografia strepitosa nel Rebel Heart
Tour di Madonna per denunciare la falsità del sistema: creare confusione sulle cause reali
del malessere della gente, additando a destra e manca ma mai indicare il vero colpevole.
Ora, guardando la storia del paleocristianesimo, Pietro addita Tommaso (o forse anche
Gesù stesso), ovvero colui che richiede prova della verità, e a cui, si noti, Gesù dà prova
tangente, rispettando la sua natura razionale; qui ci si può inoltrare nel messaggio di come
forse non sia stato Giuda a tradire Gesù, cosa che per giunta trova riscontro storico anche
nella storia paleocristiana, ma Pietro stesso, ma questo è un argomento per un’altra
discussione. Quello che conta è il metodo: la propaganda fascista addita sempre le ragioni
e i gruppi sbagliati. Si faccia notare come nei fatti i rappresentanti dell’estrema destra non
mancano mai nel loro impegno di onorare il loro asservimento alle corporazioni. Possono
anche strillare contro i “grandi poteri”, ma di fatto passano leggi che li agevolano. Bisogna
far capire loro che per le corporazioni, canalizzare la rabbia contro di loro per poi trarne
vantaggio è un doppio gioco benvenuto e facilissimo da compiere. Basta mettere una
marionetta tipo Giorgia Meloni in una posizione chiave che strillerà evitando qualsiasi
confronto reale fingendosi per la gente povera ma in realtà voterà ogni legge che favorisca
chi reprime i poveri. Si chieda loro perché la destra fascista sia corsa a votare il condono
all’evasione, che certo va a pesare sui loro portafogli...

Anche qua, per me la soluzione viene dal populismo, quello vero, che si oppone alla
demagogia informando ed educando, in un discorso democratico in cui la Verità possa
essere ricercata e rivelata. Ovviamente, esisteranno tante proposte per arginare l’avanzata
del fascismo; queste sono solo alcune. Ma una cosa è certa, avendo visto il mostro in faccia
un'altra volta, dobbiamo imparare la lezione e realizzare un sistema che sia in grado di
bloccarlo ai suoi primi passi. Un’analisi corretta di cosa sia il fascismo, che rimanga un
organo che ne monitori le attività costantemente, e che non si possa far cadere il Popolo in
un sonno di falsa sicurezza, per poi prenderlo di sorpresa alla prossima mossa del fascismo
sono cose da imparare e realizzare. Che si debbano conoscere gli argomenti del fascismo e
come rispondere, come far capire alle varie classi (la cui divisione il fascismo
strumentalizza) che semplicemente non è credibile che il fascismo faccia i loro interessi,
come anche una vera e sana educazione che faccia capire cosa sia veramente il fascismo,
per riconoscerlo ai suoi primi passi nella sfera pubblica e politica (esso è organizzato
segretamente con un piano chiaro ed internazionale in cui sono coinvolte corporazioni e
massoneria prima che faccia il suo primo passo evidente) è altra lezione da imparare e
realizzare.

Rendiamoci conto, forse ce la facciamo a questo giro e penso proprio di sì. Non vorrei
sbagliarmi ma a passi lenti, i paesi come il nostro, vittime del piano fascista internazionale,
stanno facendo passi anche timidi ma nella direzione giusta. Noi dobbiamo tenere alti i
discorsi che questo governo (non di certo la mia scelta preferita) fa nella discussione
democratica contro il fascismo. Devo ammettere un certo coraggio nel riproporre la lotta
all’evasione fiscale proprio ora, forse argomento che divide la classe media e gli evasori dal
ceto basso uniti dalla propaganda fascista contro un nemico immaginario sulla base dei loro
interessi veri. La Commissione Segre certamente è un passo nella direzione giusta, come
tutto il discorso sull’odio e delle fake news sui media. Ma nel contempo, deve,
assolutamente deve, esserci un rientro della società vera nelle periferie, quella società che
all’odio contrappone soluzioni, che alle ronde contrappone l’agevolazione per la
costituzione di cooperative, che alla propaganda falsa contrapponga l’educazione, l’arte e
la cultura, che al degrado delle periferie ne contrapponga la ristrutturazione ambientale e
sociale con progetti dove anche la gente locale possa partecipare volti al miglioramento di
spazi pubblici, servizi e dell’ambiente. La soluzione l’abbiamo; toccherà a noi fare in modo
che sia applicata. O fuori dalla porta una marionetta, il fascismo ce ne manderà un’altra
dalla finestra.
Il nostro rapporto colla Natura

Non volevo finire questo capitolo con un discorso sulla bestia più brutta del mondo; è già
cosa che porta lacrime agli occhi pensare che se ne debba ancora parlare... Ho invece
pensato di concluderlo con un messaggio positivo, e cosa meglio che il nostro rapporto
colla Natura, e come debba cambiare, in un libro sull’ecosocialismo? Allora permettetemi
di parlare di Natura, magari cose che sapete già benissimo, ma che mi va di ricordare.

La Natura è, in realtà, un concetto molto complesso e bellissimo, specie se lo si guarda da


un punto di vista non materialista. Ma guardiamola con calma. Per “Natura” si intendono
diversi concetti: si può pensare a tutto ciò che cresce ed ha vita, o ancor di più, tutto ciò
che non è prodotto dell’Essere Umano, come Natura. Io qui mi fermerei un attimo. Se è
vero, e sono in pieno accordo che mari e monti, stelle e pianeti, fiori, funghi e scoiattoli,
minerali e luce sono tutti parte della Natura, è anche vero che l’Essere Umano è parte della
Natura. Ma l’Essere Umano ha (non unico, come oggi si sa) l’abilità di costruire, di usare ciò
che la Natura ci offre con permutazioni e procedimenti anche complessi, ed ottenere
qualcosa di diverso. La plastica ne è un esempio. Anche lei viene dalla Natura, ma è il
processo di trasformazione che la rende incompatibile col resto della Natura. Vero, devo
aver letto la notizia che esistono batteri che mangiano la plastica almeno dieci volte negli
ultimi trent'anni, ma a parte i titoloni dei giornali, non mi pare che se ne stia facendo gran
che. Andiamo oltre; laddove l’Essere Umano inventa un processo che poi non è più
reversibile ci dobbiamo prendere responsabilità enormi. Non sappiamo se sia possibile
(probabilmente lo è) trovare un sostituto della plastica biodegradabile; già ne esistono
versioni, ma il fatto è che ci si è imbarcati in questo cammino senza chiedersi quali
sarebbero state le conseguenze. Ricordiamoci che responsabilità vuol dire analizzare e
prendersi carico delle conseguenze delle proprie azioni, concetto fondamentale per un
mondo giusto.

Vabbè, non possiamo cambiare il passato, ma certamente ci siamo accorti che qualunque
volta noi si sia intrapresa una strada senza una discussione etica (sul diritto di
intraprenderla e sulle responsabilità implicate in tale scelta) ci siamo accorti poi (troppo
tardi) che questa le conseguenze nocciono anche a noi. Si pensi al nucleare, ai combustibili
fossili, ai cibi geneticamente modificati, all’invasione della chimica nell’agricoltura (ne
parleremo in seguito) ecc... Notasi che in ognuno di questi errori abbiamo commesso lo
stesso errore di fondo: mettere prima l’interesse del capital-corporativismo di quello della
comunità; prima lo sfruttamento della Natura, poi lasciamo ad altri il nostro dovere di
risolverne le conseguenze, e tutto in nome del profitto immediato. Io non accetterei tale
atteggiamento da un bambino di quinta elementare, e quando una specie intera, invece di
trovare saggezza nel proprio numero e nella propria cultura e storia prende decisioni da
imbecille, si deve ammettere che c’è qualcosa di fondamentale nel suo sistema che non
funziona.

Ora, scusate la tirata d’orecchie al sistema dominante, ma se la merita; il punto è che


abbiamo e dobbiamo tenere un principio: quando introduciamo processi che modificano la
Natura, le sue sostanze, il suo sistema, dobbiamo prima pensare a come sia possibile
rendere tale processo reversibile. Non siamo così disperati per nuovi smart phones o
macchine che durano molto di meno della FIAT 500 ma hanno i sedili che ci massaggiano il
fondoschiena per dire che non possiamo permetterci di farlo. Non solo, non possiamo
assolutamente permetterci di non farlo. Siamo decisamente ad un bivio, e dobbiamo
scegliere la strada giusta. A differenza di altre specie, noi siamo in grado di nuocere alla
Natura consapevolmente ed in modo irreparabile, e questo impone delle responsabilità.

Fatto questo punto, vorrei parlare di una dicotomia molto pronunciata e molto
propagandata dal sistema dominante: Umanità contro Natura. Certo, ci siamo messi contro
la Natura, ma questo viene anche da un paradigma sbagliato che ci impone di vedere noi
stessi non più come parte della Natura, ma in sua diretta contrapposizione, e, aggiungiamo,
ci fa credere di avere diritti assoluti ma mai sanciti da alcuna autorità (se non la possibilità
di fare certe cose, che non dà alcuna autorità checchessia) per secoli. Nel medioevo ci
sentivamo parte della Natura, fu poi con il rinascimento che questa dicotomia fu
introdotta. Nessuno nega le cose stupende del rinascimento, per cortesia, ma diciamoci
pure che ogni periodo storico porta con se degli errori che andranno corretti prima o poi.
Non mi soffermo sulla poi mistificazione del medioevo come “età buia” che fu tanto
esagerato dopo la sua fine e non corrisponde per niente a tutta la verità.

La cosa interessante è che da quando si sviluppò la filosofia naturale (oggi chiamata


scienza) moderna, si sviluppò anche un concetto sbagliato, ovvero che l’Essere Umano in
qualche modo non facesse parte della Natura. Nel passaggio dal medioevo al rinascimento,
ironicamente, se l’Essere Umano perse la sua centralità fisica nell’universo, acquisì una
supremazia presunta come “esterno al creato” o “caso unico nel creato” che poi varie
istituzioni religiose in primis la Chiesa Cattolica, imposero culturalmente come spiegazione
e base dei propri dogmi.

Ma questa è una falsa prospettiva. Intanto è gerarchica, ma ancor più trattasi di un errore
logico, una fallacia ben conosciuta benissimo a chi si occupa di logica chiamata fallacia
sillogistica, anzi, copre tante fallacie sillogistiche; ad esempio, la fallacia della necessità.
Non esiste nell’argomento alcuna giustificazione per cui se noi sappiamo modificare la
Natura, necessariamente ne dovremmo essere esterni o ancor meno superiori. Varie teorie
pseudoscientifiche hanno spesso difeso in modo subdolo questa fallacia; per anni se non
decenni si è passato il concetto per cui gli animali non potessero modificare la Natura
(sappiamo che le scimmie usano strumenti, ma anche i corvi, che gli animali costruiscono
case, per non parlare di come la Grande Barriera Corallina sia fatta da animali ecc.); questo
col vero scopo di far finta che la scienza corroborasse un concetto comunque sbagliato per
fallacia logica. Ma ai tempi, guarda caso, si doveva far pensare che il progresso avrebbe
risolto ogni problema nella direzione che aveva preso e promuovere un distacco tra Essere
Umano e Natura, vista solo come cosa da sfruttare. Ne ha altre di fallacie; l’illecito
maggiore (tutte le A sono B, nessuna C è A, quindi nessuna C è B; ovvero: gli animali sono
Natura, gli animali non sanno modificare la Natura, l’homo sapiens modifica la Natura,
quindi l’homo sapiens non è Natura). Stiate sicuro che nessuno di questi argomenti potrà
mai essere presentato scientificamente o accademicamente; una fallacia logica significa
chiaramente che l’argomento, il metodo logico, il ragionamento è errato e non valido.

Ma quello che conta è che tali argomenti siano passati nella disinformazione collettiva,
nella percezione comune (che è ben altra cosa dalla cultura popolare, altro doublespeak).
In realtà, non esiste alcun argomento valido per dire che l’Essere Umano non sia parte
integrante della Natura. Ma al capital-corporativismo interessa che noi agiamo come se
non lo fossimo; a loro della verità non interessa assolutamente niente.

Al contempo, il ritorno alla Natura è stato stigmatizzato come un inselvaggimento o


impoverimento. Anche queste sono falsità. Tornare alla Natura non vuol dire perdere
cultura, benessere, e ridurre il progresso. Anzi... Se noi avessimo imboccato la via giusta,
quella etica, quella che rispetta la Natura e la società anni fa, ora vivremmo in un mondo
meno inquinato, più benestante e più equo. Mentre ogni volta che ci si è buttati a capofitto
nello sfruttamento indiscriminato della Natura siamo finiti a rimpiangere di averlo fatto. La
storia della scienza moderna è costellata di esempi in cui, alla prima apparente difficoltà
tecnica, una scelta che rispetti l’ambiante sia stata scartata, come quelle che rendano gli
individui indipendenti, mentre ogni difficoltà viene stranamente superata (con investimenti
ingenti e appoggio delle corporazioni che ne possono trarre bene fitto) qualora la scelta
punta nella direzione opposta. Il legame tra corporativismo e degrado ambientale e più che
dimostrabile anche storicamente.

Ma per uscire da questo circolo vizioso dobbiamo uscire dal paradigma per cui l’homo
sapiens sia in contrapposizione ed esterno alla Natura stessa. Questo libretto si occupa di
filosofia in primo luogo, ed è necessario che la gente viva il proprio rapporto colla Natura in
un modo simbiotico e di collaborazione e non più in un rapporto parassitario, irresponsabile
e di sfruttamento.

“Va bene,” sento già dire, “ma cosa ne facciamo di tutti i settori e posti di lavoro in
tecnologia che inquina e danneggia la Natura?” Bella domanda. Ed anche qua dobbiamo
uscire da una paradigma mistificato per cui vivere in modo ecologicamente responsabile
significhi rinunciare a benessere e posti di lavoro. Ne ho già parlato, menzionando, guarda
a caso, il settore chiave che nel sistema dominante rende ciò virtualmente impossibile:
l’energia. Già nell’anno 1900 Nikola Tesla aveva annunciato la scoperta dell’energia libera,
in un articolo, ‘The Problem of Incrasing Human Energy’ pubblicato nel giugno 1900 in
Century, articolo la cui lettura si consiglia a tutti e che dovrebbe essere sul curriculum
scientifico di tutte le scuole del mondo. Per energia libera si intende una fonte di energia
che non consuma assolutamente niente. Parleremo ancora di questa forma di energia e di
come sia stata storicamente e chiaramente ostacolata ed occultata, letteralmente
annientata con tatto di raids e minacce a chi la proponga o riproponga. Quello che conta
qua è che già da più di cento anni abbiamo imboccato la via dello sfruttamento
indiscriminato al fine di arricchire corporazioni irresponsabili ed avide, mentre si immagini
oggi un mondo dove l’energia non costa e non distrugge assolutamente niente. Siamo solo
119 anni in ritardo. E me lo chiamate progresso?

Ma venendo al punto; è ovvio che se si parla di ecosocialismo non si può parlare di


penalizzazione dei lavoratori. Ciò che è possibile ed auspicabile è la salvaguardia dei posti di
lavoro tramite conversione di tali industrie. Non si può aspettare che chi ha interesse ad
arricchirsi tramite i carburanti fossili ed è pronto a fare guerre pur di vendere tutto a un
tratto scopra di avere una Coscienza umana, figurarsi ambientalista, ed investa i propri
profitti scandalosi per convertire il proprio sistema di sfruttamento in uno di liberazione
tramite autosufficienza delle masse e rispetto ambientale. Siamo onesti; non succederà
mai!
È ovvio che serve un investimento concreto e sostanziale per tale conversione; ma bisogna
innescare il circolo virtuoso per cui il mercato sia veramente al servizio del Popolo, della
Natura e del pianeta. Non mi si dica che mancano i fondi; con almeno 130 miliardi di
evasione l’anno, si parla di un possibile investimento di almeno decine di miliardi l’anno
anche solo dal recupero parziale di tale somma. E si noti che questi 130 miliardi e passa (le
stime arrivano ai 200) sono per lo più evasi da corporazioni di larghe dimensioni. Se poi si
volesse aggiungere l’elusione...

Dobbiamo certamente uscire dalla retorica falsa per cui prendersi cura dell’ambiente
significhi perdere lavoro e benessere. Ciò si può solo fare con un progetto veramente
integrato, radicale e lungimirante, ma alla fine, è proprio in questo che la sinistra dovrebbe
sapersi distinguere.

Il nostro rapporto colla Natura deve cambiare; non più come oggetto da sfruttare, ma come
compagna in un cammino verso il benessere suo e nostro. Quando si cambia il paradigma,
la prospettiva ideologica con cui si analizza la realtà, il mondo appare diverso e nuove
soluzioni si aprono all’osservatore e all’osservatrice. Abbiamo già avuto modo di vedere
come ciò sia possibile.

L’Essere Umano deve scendere dal piedistallo su cui si è posto e ritrovare il suo posto come
membro della Natura e abitante del pianeta. Questa falsa posizione ha causato danni che
già sono irreparabili. Un pochino di vera umiltà, ovvero di quella volontà di servizio (non
schiavitù) verso il prossimo è tutto ciò che è necessario. E per chi ancora si attacchi al
principio per cui noi dobbiamo essere speciali per essere amati specialmente da Dio, che
smetta, per cortesia, di sottovalutare Dio ed il suo amore. Siamo come i bambini viziati di
una famiglia che non riescono ad ammettere che la Madre possa amare tutti
indistintamente ed infinitamente. Eppure sarebbe questa la caratteristica propria di Dio,
anche per chi viene da una tradizione cristiana. Basta pensare che Dio ami noi “di più” e
che possa esistere una competizione per l’amore di Dio. Ma siamo rincoglioniti?

Dobbiamo imparare a porci in una relazione di rispetto verso tutto e tutti. Questo è ancor
più vero per chi abbia un’esperienza spirituale, ma anche chi sia ateo o agnostico, il
discorso rimane vero ed imprescindibile. Ce ne stiamo accorgendo a nostre spese, e forse,
la Giustizia cosmica ha i suoi modi per farsi capire. Ma quello che conta qua è che bisogna
partire da principi solidi per costruire un mondo migliore, e quello per cui la Natura sia qua
per essere sfruttata non è un principio solido; è una bestemmia sotto tutti i punti di vista.

Ora, per molti, la Natura e la Madre Terra sono vere e proprie persone, con un’anima e
sentimenti. Capisco che questo discorso non interessi agnostici, atei ecc., ma rientra bene
nel contesto dell’ecosocialismo, che, pur rimanendo laico (e lo deve rimanere), deve saper
accomodare anche le esperienze spirituali di chi ci si avvicina. Segue come corollario che se
Madre Natura e Madre Terra hanno anima e sentimenti, il rispetto verso di loro nasce
spontaneo. Ma non si cada nella fallacia per cui se tale rispetto nasce spontaneo da
un’esperienza spirituale tale rispetto non debba nascere anche in chi tale esperienza non la
ha. Tale rispetto nasce anche dall’onestà di porsi come eguali in un mondo di eguali, che
includa la Natura, ma anche dalla semplice realizzazione che semplicemente non abbiamo
alcun diritto di sfruttare le “risorse” del pianeta (o meglio, l’abbondanza della Natura)
impunemente, ed invece dovremmo porci come i fratelli e le sorelle degli altri esseri viventi
e non di questo pianeta (ed oltre) che hanno la capacità di aiutare il pianeta a crescere, la
capacità di salvaguardarlo o distruggerlo, ed ad ogni capacità si pone una scelta, e con tale
scelta una responsabilità. È ben ora che prendessimo le nostre responsabilità verso il
pianeta e la Natura, invece di sentirci “eletti” o “prescelti” o “favoriti” ed usare tali concetti
falsi e gerarchici per far finta di non avere responsabilità e fare quel cavolo che vogliamo.

In questo modo, si può vedere l'ecosocialismo come un’estensione del socialismo alla
Natura; io non vedo il socialismo solo come una teoria sociopolitica, ma come un Diritto.
Esso non è altro che la realizzazione dei Diritti inalienabili delle Persone; non è possibile
avere relazioni corrette con altri senza garantirne i Diritti, e questi altri includono le alte
Persone della Natura ed abitanti del pianeta, nonché della Madre Terra stessa.

Bisogna che, a livello mondiale, si scriva una Dichiarazione Universale dei Diritti della
Natura e del Pianeta. La situazione odierna è ridicola; un’automobile ha più diritti di una
Persona vivente non Umana. Un telefono ha più diritti di tutto il pianeta. Non possiamo
continuare ad accettare l’assurdo ed ad applicare la stessa soluzione ai soliti problemi e poi
aspettarci risultati diversi; Albert Einstein definiva la pazzia come “applicare le stesse
soluzioni ed aspettarsi risultati diversi.” Facciamocene una ragione.

Secondo Michio Kaku, Professore di Fisica Teoretica presso il City College di New York ed il
CUNY Graduate Center, uno degli esponenti più illustri della fisica contemporanea, grande
esponente della String Theory e Fisica Quantistica mondiale, la società mondiale si sta
avvicinando a quella che lui definisce “stage one civilizzation” (civilizzazione di primo
stadio); ora, non posso entrare in questa teoria socioculturale nel dettaglio in questo
scritto, ma come “stage one” si intende una civilizzazione con Coscienza a livello planetario.
Tale Coscienza, al contrario di ciò che viene, con doublespeak passata come
“globalizzazione” (globalizzazione del mercato, sarebbe, ovvero corporativismo, ancora una
falsità enorme, la vera globalizzazione è un processo di Coscienza e di fratellanza in cui il
rispetto e la comunicazione tra i Popoli avviene secondo linee democratiche e di
condivisione nel rispetto del pianeta e della Natura nonché di tutti i Popoli e le Persone del
mondo intero; e noi dobbiamo riappropriarci pure di questo termine, non lasciarlo passare
per quella bestemmia che è “il controllo indiscusso delle corporazioni, tramite un falso
libero mercato, della vita delle Persone e del futuro del pianeta e della Natura;” John
Lennon ci insegna cosa sia la vera globalizzazione...), tale Coscienza, dicevo, deve riflettersi
in organizzazioni internazionali pienamente democratiche e che riflettano veramente la
ricchezza culturale e sociale dei Popoli del mondo, ma non può esistere senza un rispetto
della Natura e del pianeta stesso. È infatti sul rispetto del prossimo (che sia Umano o no)
che cresce la Coscienza. L’egoismo e l’egocentrismo in ogni loro forma sono ostacoli alla
Coscienza ed al suo sviluppo. Pare ovvio che un sistema disegnato per rendere le persone
egoiste (anche per necessità) non sia affatto favorevole ad uno sviluppo della Coscienza. A
mio avviso, è solo qualora si riesca a riconoscere il valore collettivo di tutti gli abitanti del
pianeta che si fa il salto di qualità da una Coscienza schiacciata da forze centripete che
guarda al proprio interno ad una che si amplia in modo centrifugo e guardi con rispetto
tutti i compagni e le compagne nel nostro cammino in questa vita con rispetto e
sentimento di fratellanza in un paradigma di mutuo aiuto e di servizio verso il prossimo.
Quando Gesù disse, “ama il prossimo tuo,” non aggiunse alcuna eccezione, e sta solo a noi
capire cosa significhi “prossimo;” possiamo leggerlo in modo limitativo e, se credenti
sottovalutare Dio e / Gesù, ma anche se non credenti, perdere innumerevoli opportunità
per migliorare il mondo, o leggerlo in modo inclusivo e cambiare il paradigma da uno che
limita la nostra prospettiva a piccoli interessi privati ad uno che guarda al Bene di tutto il
pianeta (ed oltre). Forse Dio ci ha messo veramente al centro dell’Universo, ma siamo noi
che continuiamo a guardare il centro e non l’universo, la nostra posizione piuttosto che il
panorama stupendo davanti a noi; è come scalare l’Everest per guardarsi i piedi...
Il metodo

Si sarà già intuito che questa proposta non solo non prevede, ma rifiuta un cambiamento
repentino. Tale metodo ha, come ci insegna la storia, difetti immanenti che finiscono
sempre ad agevolare un cambiamento parziale se non in direzione apertamente
autoritaria. Ma esiste un altro motivo per cui un cambiamento repentino è da evitarsi: esso
implica sofferenza, ed invece, l’ecosocialismo deve essere realizzato tramite una
rivoluzione gentile.

Le proposte violente e repentine sono spesso più appetibili a molti; ciò è dovuto a fattori
sociali; chi si trova in condizioni estreme spesso vuole un cambiamento immediato ed
estremo. Questo desiderio, sebbene comprensibile, ad un’analisi accurata risulta
irrazionale. È possibilissimo difendere i diritti e migliorare le condizioni di chi ne abbia
bisogno senza perseguire un cambiamento drastico e repentino. Laddove le priorità siano
chiare, ovvero che i più bisognosi debbano essere serviti per primi (servire è onorevole,
esser schiavi è ben altra cosa), mentre chi ha meno bisogno possa attendere, ciò non è
difficile da realizzare. Certo, questo funziona solo se lo stato è visto in chiave socialista ed
ecosocialista, ovvero come arbitro imparziale dei rapporti sociali. Qualora ciò non succeda,
come nella totalità dei sistemi che si sono arresi al capitalismo, lo stato diventa la
rappresentazione di interessi e di poteri che niente hanno a che fare colla Giustizia, ma che
invece si realizzano nell’espressione dei voleri di classi ed individui che hanno il potere di
farli valere. Ed è qui che l’ecosocialismo deve agire. Far valere il bene del collettivo del
Popolo sopra quello di individui e organizzazioni potenti non solo è dovere dello stato, ma
anche il suo solo fondamento di autorità. Lo stato, come detto, deriva la sua autorità dalla
Giustizia.

In questo capitolo parleremo di come si può realizzare una realtà ecosocialista, o come si
possano realizzare diverse realtà ecosocialiste, ed il principio di nonviolenza deve essere al
cuore di questo processo. Non esiste giustificazione alcuna per la sofferenza altrui, né
alcuna giustificazione della violenza. Violenza, si intenda bene, è anche definibile come
imposizione ingiusta non consensuale. Non si tratta solo di violenza fisica, ma anche di
violenza psicologica e sociale, nonché dell’imposizione di una volontà privata su persone
che non la condividono. Ciò non vuol dire, però, non realizzare la Giustizia anche sociale.
Il no assoluto ad una rivoluzione violenta

Cominciamo col togliere di mezzo idee sbagliate che purtroppo hanno avuto terreno fertile
(o meglio “terreno inquinato” per correggere la metafora) anche a sinistra in passato. Non
è né possibile né giusto realizzare una rivoluzione violenta. Non solo la nonviolenza deve
rimanere un valore fondamentale della sinistra, siccome non esiste giustificazione alcuna
(se non in caso di legittima difesa, anche della Democrazia, come furono costretti a fare i
Partigiani, la colpa delle cui azioni violente cade con un semplice ragionamento eziologico
sul regime fascista, e chiudiamo questo discorso una volta per tutte). Non si può e non si
deve pensare che perché i Partigiani furono costretti a prendere armi contro il mostro
fascista oggi si possano prendere eroine ed eroi della nostra storia come giustificazione di
atti violenti non necessari ed anche controproduttivi.

Dunque pensiamo un attimo ai due termini usati: “giusto” e “possibile”. La Giustizia non si
nutre del male di alcuno, ma cresce nel bene di tutti. Cambiare il sistema non significa far
soffrire ingiustamente coloro che lavorano per tale sistema, ma solo renderli responsabili
delle proprie azioni. Così non si può fare la “lotta ai capitalisti”, ma si deve assolutamente
smontare e debellare il capital-corporativismo. La sinistra deve tornare ad occuparsi di idee
e sistemi, e non di persone. Delle responsabilità personali se ne occuperà la Giustizia, che
non può e non deve essere erogata da privati cittadini ma dal Popolo tramite la
Magistratura ed in nome della Giustizia stessa, non di opinioni diverse. È fattibilissimo e
linearissimo. È anche ovvio che usare violenza non può essere giusto (se non per legittima
difesa). Qui si parla semplicemente del concetto etico di necesse esse; ovvero ciò che deve
essere sarà, termine con cui si indicano situazioni eccezionali per cui un atto che in
condizioni normali sia inammissibile divenga ammissibile per la propria sopravvivenza. Ora,
questo concetto purtroppo ha trovato una mistificazione ed uso sbagliato per cui forze sia
di destra che sedicenti di sinistra abbiano invocato tale Legge su premesse sbagliate. La
povertà di alcuni non necessita la morte o la sofferenza d’altri, e tale concetto va solo e
unicamente usato come ultima soluzione, quando tutte le altre sono state provate e
dimostrate inefficaci o impercorribili. Non è assolutamente applicabile come prima,
seconda, terza o ennesima via d’azione, ma solo ed unicamente come ultima.

Non solo, ma la violenza può essere benissimo evitata, ed è per ciò che dobbiamo
adoperarci affinché non si arrivi mai alla necessità di una rivolta violenta. Certo, purtroppo
in alcuni paesi tutte le porte alla nonviolenza si stanno chiudendo per volontà della
plutocrazia, come in Russia, dove certamente Putin non sta offrendo molti spiragli ad altre
soluzioni. Ma io lodo i nostri fratelli e le nostre sorelle russi/e per il loro contegno. Ad Hong
Kong si vede la polizia pestare manifestanti e manifestanti che a volte reagiscono, ma qua
si parla di una situazione estrema, per cui tutto il Popolo rischia di perdere ogni diritto
repentinamente. Non mi fa piacere parlare di questi episodi, tristi e molto sconcertanti; da
punto di vista di un non violento il solo menzionarli fa letteralmente male. Ma quello che
noi dobbiamo sempre tenere presente è che la reazione alla plutocrazia deve sempre
essere commisurata ai bisogni ed alle necessità vere. Non esistono in Italia i presupposti
per l’uso della violenza.

Attenzione, perché la violenza si propaga velocemente ed in modo contagioso e purtroppo


non sappiamo come il quadro geopolitico cambierà nei prossimi mesi e nei prossimi anni.
Io ho il sospetto che la plutocrazia del sistema capital-corporativista stia cercando lo
scontro violento con il Popolo. E se noi non glielo concediamo, siamo un passo avanti a loro,
ed ora spiego il perché.

Specie negli Stati Uniti si sta apertamente parlando di “prendere armi contro il governo”. In
un paese armato fino ai denti, questa retorica viene secondo me promulgata dalle ditte
d’armi stesse che tanto si appellano al Secondo Emendamento per in realtà fare affari sulla
pelle della popolazione. Strillatori pseudo alternativi come Alex Jones si sono fatti
portavoce della “necessità di armarsi” per quando il governo statunitense manderebbe
l’esercito porta a porta a cominciare le deportazioni. Ma le deportazioni sono già
cominciate, come mostra il caso di bambini di fatto chiusi in campi di concentramento da
Donald Trump (incredibile pensare che ciò stia accadendo nel silenzio generale dei media –
allucinante!) e la plutocrazia non è stupida, anzi... Hanno cominciato a deportare e
rinchiudere in campi di concentramento bambini e personaggi scomodi, sicuri che nessuno
avrebbe mai alzato un dito per difenderli. Non fisicamente almeno... Sì, siamo a questo
punto. E chi è così stolto da pensare che un sistema che da decenni prepara quello che è di
fatto un colpo di stato plutocratico capital-corporativista abbia persino preso in
considerazione di mandare l’esercito indiscriminatamente per le strade a fare deportazioni
su larga scala?

Sia ben chiaro che i media sono pieni di disinformatori e doppiogiochisti, anche quelli
cosiddetti alternativi. Il fatto che esista una vera e propria agenda (come si dice in inglese),
un disegno programmatico per spingere le persone alla rivolta violenta non fa altro che
confermare quello che è un sistema vecchissimo (si parla di almeno dei tempi della Roma
Classica) e ben collaudato: spingere il Popolo alla rivolta violenta per poi usare la stessa
come scusa per una repressione ancor più violenta e per passare leggi che tolgano diritti
civili al Popolo stesso. Bisogna dire che anche la plutocrazia raramente compie certi atti
repentinamente; in primo luogo essa cerca di convincere la gente di una falsa necessità di
perdere libertà civili tramite propaganda. È quello che è successo con i due decreti
insicurezza passati dal governo giallonero. La stessa logica usata con pretesti diversi in altri
paesi, e caso esemplare è il Patriot Act (bel nome ironico) passato da Bush all’indomani
dell’11 settembre. Ci si renda conto che quando il sistema dominante parla di sicurezza,
intende dire “sicurezza della plutocrazia”, mai del Popolo. Purtroppo per loro, certe leggi
draconiane non si possono passare senza il consenso di buona parte della popolazione, che
quindi viene prima disinformata per poi essere convinta della necessità di leggi per niente
necessarie.

Pensiamo anche bene a cosa significhi una rivolta violenta; intanto essa non avrebbe alcuna
speranza di successo a meno che le forze armate stesse non si schierino con il Popolo, cosa
che può anche accadere. Ma se ciò non succede, sarebbe come tirare sassi ad una
portaerei, ed è questa la dimensione della differenza tra le armi in dotazione ai civili in USA
e la potenza allucinante di un esercito che ormai usa armi laser ed elettromagnetiche
ufficialmente (anche se i media se ne vedono bene dal parlarne) e dico ufficialmente da
quasi un ventennio.

Ma esiste un altro motivo pratico per cui una rivolta violenta sarebbe controproducente: il
fascismo e la dittatura sguazzano nella violenza. Loro la sanno gestire benissimo, e sanno
come avvantaggiarsene. La storia delle rivoluzioni ci insegna senza ombra di dubbio che
qualora esse diventino violente, il sistema dominante del momento storico e posto sono
già pronti con piani ben specifici ad avvantaggiarsene (con infiltrati e tantissimi altri
metodi) per alla fine usare i ribelli stessi al fine di imporre una dittatura. Ce lo mostrano la
Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Russa, e la lista continua per pagine e pagine.

Si noti infine che una rivolta violenta, come già implicato prima, giova solo la propaganda
fascista e antidemocratica. Chi mai si è schierato colla rivoluzione grazie all’operato delle
Brigate Rosse? Esempio classico di come sì qualche scalmanato possa anche seguirne le
orme, ma in realtà tale violenza aliena la maggioranza della popolazione.

Questi sono concetti che devono essere ben chiari in tutta la sinistra. Se esistesse ancora
chi facesse discorsi a favore di una rivolta violenta, bisogna che si spieghi loro che non è
giusta ed è inefficace, anzi, che gioverebbe solo la plutocrazia fascista del capital-
corporativismo. E io direi che se ci fossero gruppi che ancora pensano a tale non soluzione,
che si guardino bene dai loro stessi membri, perché quelli che spingono verso di essa sono
in tutta probabilità infiltrati doppiogiochisti.
La rivoluzione gentile

Segui il cuore ed usa la mente e la ragione. Semplice ed efficace. Troverete voi tante
soluzioni e tanti metodi per far valere il principio della Verità e del bene comune, basta che
ognuno segua il proprio cuore ed usi la ragione per servirlo. Sembra quasi un principio
d’altri tempi, ma in realtà è un principio universale.

Non è pensabile imporre uno stile di vita a milioni di persone che non lo capiscono e non lo
vogliono; sia ben chiaro che il cambiamento deve avvenire in modo consensuale. Ma la vera
consensualità dipende in primo luogo da educazione ed informazione corrette. Bisogna
prima spiegare alla gente che l’ecosocialismo non solo è etico, ma funzionale ed efficace. La
rivoluzione gentile che si propone è di stampo realmente populista (non demagogico), ed è
in primo luogo una rivoluzione culturale.

Certo, la rivoluzione culturale deve andare a braccetto con una rivoluzione sociale fatta di
esperimenti sociali, come abbiamo già visto, che possano permettere la sperimentazione
sociale in modo controllato, per cui non si intende dire “con ingerenza dello stato”, ma con
una dimensione e scopo tali che eventuali errori non causino conseguenze negative
irreparabili.

Se tale rivoluzione fosse imposta “dall’alto” (o da destra, più correttamente), imponendo


cambiamenti drastici da parte ad esempio dello stato, si finirebbe col solito problema dello
stampino... Non solo, ma lo stato deve essere la rappresentazione del Popolo, come
abbiamo visto; non credo che lo stato sia in grado di proporre cambiamenti effettivi a
livello culturale e sociale, ma seguo invece il principio che li debba riflettere. La prospettiva
è completamente diversa.

Non bisogna temere la parola “rivoluzione” né il termine “radicale”; abbiamo assodato che
il cambiamento non può e non deve avvenire in modo violento. Mi scuso colla lettrice e col
lettore per aver dovuto affrontare tale tema, che certamente non porta buone sensazioni a
nessuno. Ma ora parliamo di come l’ecosocialismo si possa realizzare in modo pacifico e
gentile.

Certamente un’idea del metodo è già stata data nei capitoli precedenti; questa proposta si
basa sulla realizzazione di una serie di realtà dove l’ecosocialismo possa divenire
un’esperienza comune di molte persone ed a molti livelli, o meglio in molte e diverse
dimensioni della vita. Dati i principi solidi dell’ecosocialismo, realizzandoli in modo gentile e
non impositivo si guadagna in rispetto da parte di chi ancora vede il socialismo tramite le
lenti sfuocate della propaganda e di falsi esperimenti di socialismo nella storia.

Il metodo migliore per promulgare e diffondere l’ecosocialismo è quello di mostrare in


pratica a chi ci si avvicina ed anche a chi ne sia sospettoso che non solo funziona, ma che
non ha alcuna intenzione di nuocere.

Sono diversi gli approcci che l’ecosocialismo deve usare per stabilirsi come sistema
funzionale e preferito dal il Popolo. Vi saranno innumerevoli passaggi, passi di progresso, in
cui, poco alla volta, la gente sceglierà una vita di carattere ecosocialista consensualmente.
Io sono certo, anzi certissimo che, quando il sistema plutocratico capital-corporativista
potrà confrontarsi equamente in un discorso democratico con alternative tra cui
l’ecosocialismo, si scioglierà come neve al sole. L’ecosocialismo è forte nei suoi principi e
nelle sue soluzioni.

L’ostacolo che ora abbiamo di fronte è l’inesistenza di un discorso democratico e di


informazione corretta. Le idee vengono promulgate ed imposte non per la loro validità, ma
tramite una popolarità indotta e viziata. È chiaro che se il populismo vero è la via unica ad
un cambiamento da sinistra profondo ed efficace, bisogna arrivare a realizzare le condizioni
per cui i Popoli abbiano veramente la facoltà di esprimersi consensualmente e
coscientemente. E non esistono volontà, consenso e Coscienza veri senza informazione
corretta ed educazione corretta e che promuova il pensiero analitico e critico. E senza
consenso non esiste la Democrazia.

Per questo l’ecosocialismo deve promuovere una serie di cambiamenti necessari non tanto
a se stesso ma alla Democrazia stessa. L’ecosocialismo crescerà spontaneamente in un
ambiente veramente democratico.

Ma guardando nel dettaglio ciò che si deve fare, penso si possano individuare diverse aree,
di funzione, dimensione ed implicazioni diverse. Ricordiamo a questo punto che se
l’ecosocialismo vede la società come un sistema di insiemi tridimensionali, questi
cambiamenti devono avvenire con passo sincronizzato, poiché l’uno si nutre dell’altro, ma
che, una volta innescato il processo, si può innescare un circolo virtuoso che porta, per sua
natura e direzione, ad innovazioni socio-economico-culturali sempre più benefiche per
l’Umanità, Madre Natura e Madre Terra.

Chi legge è invitata/o ad aggiungere e migliorare le idee qui proposte, ma questi sono
alcuni dei punti chiave del metodo:

1. La promozione di comunità intenzionali


2. Il sogno ecosocialista
3. La riforma economica
4. La via della Giustizia
5. La via della ragione
6. La via dell’umorismo
7. La via dell’arte
8. La via della cultura
9. La via della scienza
10. La via dell’educazione
11. La via della cooperazione e della Pace
12. La via del Risveglio
13. La liberazione dei media dal giogo plutocratico

Ne parleremo in dettaglio in seguito.


La promozione delle comunità intenzionali

L’ecosocialismo non può per definizione essere imposto da destra (o “dall’alto,” nel
linguaggio incorretto); questo fu l’errore più mastodontico di tanti cosiddetti progetti
socialisti nel passato. Per questo è necessario dare il via a progetti di ecosocialismo
integrati colla società e colla comunità che li circonda, nonché sostenere i progetti già
esistenti. L’introduzione dell’ecosocialismo deve essere graduale. Esiste già un movimento
verso società e comunità ecosocialiste e vicine all’ecosocialismo in tutto il mondo; le
comunità intenzionali (ovvero comunità con buon grado di autogestione che hanno un
intento condiviso tra i membri) che stanno nascendo e crescendo in tutto il mondo sono
certamente al centro di questa rivoluzione; la Foundation for Intentional Communities ne
conta già ben 1052, e questo è un dato parziale che comprende solo quelle iscritte a tale
fondazione, ma ne esistono moltissime altre, anche di grandi dimensioni, che non sono su
questa lista; infatti sono pochissime quelle italiane ivi iscritte; il sito Viverealtrimenti conta
già 75 ecovillaggi nel nostro paese, ma io ne conosco parecchi che non sono sul loro elenco.
È quindi difficile fare un conto corretto di quante realtà del genere esistano nel mondo, ma
si parla di sicuro di migliaia.

Ora, la domanda è come si possano promuovere le comunità intenzionali. Beh, intanto


andandole a visitare se possibile, ma esistono altri modi.

Il primo metodo che propongo si potrebbe definire interno. Tali comunità devono aver due
caratteristiche per contribuire efficacemente all’ecosocialismo: apertura e
interconnessione. Esse devono essere aperte alla comunità esterna e prossima, nel senso
che devono dialogare ed interagire colla comunità loro vicina. Ne abbiamo già parlato, ed a
volte succede, a volte no. Una comunità chiusa in se stessa può certamente avere i suoi
pregi, ma è solo tramite la condivisione dell’esperienza che si può far capire a chi si avvicina
a tali realtà ed anche a chi ne è scettico quali valori, quali stili di vita queste comunità
propongano. Queste devono anche essere interconnesse, come abbiamo già accennato;
una rete di comunità intenzionali può moltiplicare il messaggio che loro propongono,
nonché incrementarne la cultura e produttività.

Ma ciò ovviamente non basta. Bisogna estendere il concetto di comunità intenzionale.


Queste comunità sono spessissimo realtà che comprendono tutta o quasi tutta la vita dei
membri; sono luoghi fisici dove si vive, si lavora e spesso si crescono i figli. Benissimo, ma
non tutti si possono permettere di abbandonare il lavoro in ufficio ed andare a crescere i
propri figli in un villaggetto in campagna. Non solo questo concetto restrittivo mal si adatta
alla vita urbana, ma mal si adatta a moltissime persone anche in società rurali.

Il concetto di comunità intenzionale va esteso a tutte le attività in cui un gruppo di persone


venga insieme per uno scopo sociale, ambientale, culturale ed economico. Anche laddove
poi ognuno rientri nella propria vita lavorativa e vada a casa a dormire in un appartamento
grigio di periferia. Ne abbiamo già parlato nel discorso sulla Democrazia Diretta, anche con
esempi volutamente semplici e piccoli (la gestione del porchetta per i cani, ricordate?) una
comunità intenzionale non deve essere definita come comunità in cui tutti gli aspetti della
vita siano condivisi (cosa per altro difficile da ottenere); essa deve essere definita come
qualsiasi organizzazione di persone che vogliano condividere una intenzione buona per il
pianeta.

Ed allora vedremmo sorgere comunità intenzionali di mercanti che vendono prodotti


biologici o anche artefatti magari di paesi cosiddetti esotici, vedremo sorgere comunità
intenzionali di artisti, filosofi e scrittori, vedremo sorgere comunità intenzionali dedite a
pratiche alternative a quelle occidentali (dall’agopuntura allo Yoga, perché no?), vedremo
sorgere comunità intenzionali dedite allo sviluppo di innovazioni scientifiche e tecnologiche
al servizio della Natura e dell’Umanità... Sbizzarritevi colla fantasia...

Certo, da una comunità intenzionale dedita, per esempio, alla miglior gestione dell’acqua
ed alla sua distribuzione, poi, potrà persino nascere un villaggio (anche urbano) dove
esperti e sostenitori di questa innovazione possano anche vivere insieme, se così vogliono.
È un po’ come quei paesini fondati dagli imprenditori illuminati (fenomeno non sconosciuto
nella Gran Bretagna del diciannovesimo e degli inizi del ventesimo secolo), ma invece di
venire da destra, questi incontri verrebbero spontaneamente da sinistra. A scanso di
equivoci, non esiste alcun precetto per cui chi si occupi di un settore debba convivere, anzi,
bisognerebbe assicurarsi che la gente converga anche su luoghi specifici al fine di
condividere vari aspetti della propria vita per altri motivi, anche per mantenere una
prospettiva olistica e non settoriale della vita e della realtà. Ma si pensi che, prendo come
esempio quello dato prima, esperti in un settore che vengono insieme in una comunità
paritaria possano poi insegnare e condividere la propria esperienza e competenza, magari
con corsi ad altissimo livello sul tema. Questo porterebbe alla fondazione di università
ecosocialiste o comunque di cooperative dell’educazione che cambierebbero per sempre il
panorama della cultura mondiale. Ciò che è necessario è che tali centri di educazione si
mantengano indipendenti dalla plutocrazia capital-corporativista, cosa che per volere da
destra non è stato possibile alle università di tutto il mondo (o quasi).

Ora parliamo pure di un ostacolo economico; questo lo rivedremo ancora quando


parleremo di agricoltura biologica ed organica. Queste comunità spesso non hanno una
catena di distribuzione alternativa su cui appoggiarsi. Il problema in realtà tocca tutti gli
agricoltori del mondo direttamente o indirettamente. Non è nemmeno pensabile che tali
comunità vadano col cappello in mano dai supermercati a proporre i loro prodotti per
quattro spiccioli. Ed ecco che la promozione di mercatini alternativi da parte di comuni ed
altri enti, che la promozione di catene di vendita alternative in rete (l’esempio della
cooperativa anarchica Iris di Soresina è incoraggiante), di negozi alternativi ai supermercati
e progetti simili rimane una questione importante ed un metodo da seguire. E che si vada
pure a rompere gli zebedei ai sindaci locali purché questo avvenga. Se ne troveranno di
amichevoli e di meno, e qualora si trovi opposizione, gli si rinfacci pure che loro sarebbero
quelli del “libero mercato”, perché un amministratore locale ha come suo primo dovere
aiutare le realtà locali a crescere, non supermercati più o meno d’oltralpe.

Ed allora si pensa che se nei comuni si istituissero comitati per la promozione delle
comunità intenzionali locali che non propongano solo il villaggetto di alternativi della valle
vicina, ma che rappresentino gli interessi di tutte le comunità intenzionali locali, la voce di
queste realtà avrebbe certamente più peso nelle orecchie dei vari amministratori locali.
Basta un blog per far notare ad un assessore che ha agito contro gli interessi locali... E
questi comitati sarebbero non altro che comunità intenzionali essi stessi.

Bisogna però anche intervenire sulla legislatura e con fondi appropriati. Esiste già una
legge, la 381/91 principalmente, che regolamenta le cooperative. Nell’insieme non mi pare
una legge malfatta come molte in Italia. Sono state fatte proposte di legge per il
riconoscimento delle comunità intenzionali, l’ultima la proposta di legge Zolezzi del 23
marzo 2018. Le comunità intenzionali hanno da tempo cercato riconoscimento giuridico;
ora, fino al punto in cui lo stato centrale faccia il suo dovere, ovvero garantirne i diritti
senza ingerire sulla loro natura, gestione ed autodeterminazione nei limiti e nell’ambito
della Democrazia, tale legge è auspicabile.

Ma come tutte le proposte che vengono da destra, sebbene essa contenga punti
auspicabili, tra cui l’opportunità di poter “sottoscrivere convenzioni con pubbliche
amministrazioni servizi terzi a titolo oneroso”, questa proposta di legge (al momento della
stesura di questo testo non ancora in esame), al solito segue una matrice purtroppo
privativa del Diritto. Mi spiego; spesso quando il riconoscimento di entità da parte dello
stato viene proposto, questo va a discapito di diritti a volte anche inalienabili e certamente
auspicati dal pensiero vero di sinistra. In questo caso, la proposta di legge dell’Onorevole
Alberto Zolezzi (M5S) nel concedere riconoscimento da parte dello stato, toglie anche
l’autonomia a tali comunità di realizzarsi come vogliono loro.

L’Art.2.1 della proposta dice:

Le regioni e i comuni disciplinano nel dettaglio le modalità di realizzazione e le procedure


autorizzatorie determinando altresì i parametri, i requisiti, le ulteriori eventuali restrizioni
tra area agricola e parte edificata, i controlli, il contenuto di eventuali convenzioni per la
garanzia del rispetto dei parametri stessi, nonché la possibilità di prevedere destinazioni
complementari e coerenti con le finalità delle stesse comunità.
(Corsivo mio)

Al solito, è nella sfera amministrativa che si trova quello che in inglese si chiama “snag”, la
fregatura. È semplicemente inammissibile che l’autodeterminazione di una comunità sia
soppiantata dall’amministrazione comunale e regionale. Si noti che mentre ritiene il diritto
del comune a stabilire l’edificabilità dell’area (cosa che vale per chiunque), e va anche
bene, dà ai comuni e alle regioni il diritto di disciplinare “nel dettaglio le modalità di
realizzazione”. Questo è un diritto che forse non ha nemmeno la comunità internazionale,
certamente non al di fuori di un solo parametro: la Democrazia.

È semplicemente inaccettabile che sia delegato ad enti locali il diritto di autorealizzazione


delle comunità. Che possa esistere una legge quadro che ne definisca le caratteristiche,
siamo anche d’accordo, purché tale legge sia inclusiva (nei limiti della Democrazia, pare
vano ripeterlo) e generale, ovvero applicabile a chiunque poi chieda diritti in base al
proprio status, ma non è necessario né lecito negare diritti per concederne altri. Questo
principio di destra (e della destra più autocratica) è semplicemente inapplicabile e deve
smettere di essere usato. Si ricordi che la concessione di diritti negati è retroattiva. Mi
spiego; una legge quadro (auspicabilmente almeno a livello europeo) che dica “Ogni
comunità di tre o più persone che condivida scopi, iniziative, proprietà, organizzazione e
determinazione sociale, valori, metodi o principi, o qualsiasi di essi nell’ambito del Diritto
democratico e delle sue limitazioni si può costituire comunità intenzionale autonomamente
e deve essere riconosciuto come tale” è esattamente ciò che il Diritto e la Giustizia
prevedono. Far decidere ai comuni chi possa realizzarne una e poi come la realizzi, e poi si
ponga arbitro di tali principi, in realtà significa denaturalizzare tali comunità e di fatto
imporre loro di divenire manifestazioni e realtà assoggettate al sistema dominante. Ciò non
è ammissibile.

Da anarchico chiederei: che diritto hanno i comuni e le regioni di intervenire


nell’organizzazione interna di comunità intenzionali sino al punto di deciderne il “modo di
realizzazione”? Da persona comune chiedo: ma ancora burocratizziamo un fenomeno
spontaneo per ammuffirlo all’origine? Ci rendiamo conto che tale proposta non solo toglie
diritti, ma apre la via a cartoffie e burocrazia a volontà?

Siccome siamo sull’argomento, sia in ambito di cooperative che comunità intenzionali


esiste un “feticcio del numero” da parte del legislatore che non coincide colla realtà
sociale: una società è un gruppo di tre o più persone, e cito il Professor Giorgio Rumi,
storico, politologo e accademico di gran fama e competenza. E su questa realtà sociologica
e sociale dobbiamo basare le leggi che le riguardano e l’autorità stessa di tali leggi. Una
legge che mente perde la sua autorità. Dal punto di vista socialista ed ecosocialista, ma
anche da quello scientifico, quello sociale, quello psicologico, quello culturale ecc. è
inaccettabile partire da un concetto di società e del sociale che sia un falso.

Ribadisco: non esiste Giustizia senza Verità e la Legge deriva la sua autorità dalla Giustizia.

Rimane poi da discutere come possa un comune avere il diritto di stabilire un principio e le
modalità di realizzazione di tale principio. I principi sono universali, l’amministrazione
comunale, regionale o che si voglia per sua definizione amministra, non stabilisce principi.
Che i comuni abbiano il dovere di promuovere principi no v’è dubbio, ma che abbiano il
diritto di stabilirli è illegittimo.

Lasciamo perdere che tale proposta di legge imponga l’iscrizione ad un registro nazionale
da presentare al Ministero dell’Interno, cosa che non solo la recente storia mostra sia
molto pericolosa (tra parentesi se non abbiamo capito che tale ministero deve vedere le
sue competenze limitate, non abbiamo capito una lezione fondamentale per la
Democrazia), ma ovviamente va contro ogni tentativo di autodeterminazione di tali società.

Ed invece, come proposto, dovrebbe esserci semplicemente un riconoscimento tramite


legge quadro europea o ancor meglio internazionale, di tali comunità, che poi si trasformi
in diritti. Stiamo molto attenti, perché la giurisprudenza purtroppo spesso deriva autorità di
leggi non dalla Giustizia, ma dalla tradizione, che di per se ha valore culturale, certo, e
quindi discutibile e criticabile, ma non ha alcun autorità intrinseca. Non ho bisogno di fare
esempi storici. Un conto è basare sentenze su precedenti, che è ciò che prevederebbe una
giurisprudenza corretta, un altro è basare la validità e derivare l’autorità di una legge dal
fatto che sia stata già applicata.
Siamo in un momento storico molto, molto importante; è dovere di chiunque creda
veramente nella Democrazia tenere gli occhi ben aperti sui principi che vengono fatti
passare in questi giorni; i principi falsi vanno contestati repentinamente, perché questi non
sono altro che buchi nella realtà che fanno da passaggio per ulteriori e future invasioni
della plutocrazia nella vita e nella Libertà delle Persone, ed ovviamente della Natura e della
Terra.

Chiudendo con una nota positiva, non penso tale proposta di legge abbia in sé la capacità di
bloccare un fenomeno a livello mondiale così vasto e vivace come quello delle comunità
intenzionali; ormai esse si stanno organizzando a livello internazionale, ed è ovvio che un
riconoscimento internazionale è imminente; ora, anche qualora tale proposta divenga
legge, possiamo ben pensare che il riconoscimento a livello internazionale (penso all’UE in
primo luogo) della realtà delle comunità internazionali, qualora fatta nell’unico modo
democraticamente corretto, ovvero con partecipazione di tali comunità (non scritta senza
consultazione alcuna, che io sappia), e nell’ambito del riconoscimento democratico di
diritti, piuttosto che della amministrazione di una realtà già esistente che di fatto ne nega
diritti, riconoscerà un principio a livello internazionale che è negato di fatto dalla proposta
Zolezzi. Dobbiamo aspettare? No. Che le comunità intenzionali facciano sentire la loro voce
su tale proposta. E le voci si sono già fatte sentire; Gaia Allori su CALUMET Review,
periodico specializzato in scienze umanistiche, legge e interculturalismo, in un articolo
intitolato ‘Le comunità intenzionali e i dilemmi della giuridificazione’ scrive:

Un’eventuale giuridificazione presenta tuttavia una serie di criticità. In particolare modo


essa può incidere profondamente sul profilo identitario dei soggetti coinvolti, rischio che
diventa particolarmente significativo nel caso delle comunità internazionali, che della
costruzione identitaria fanno un perno della loro se tessa esistenza. È proprio in caso come
questi che la giuridificazione potrebbe potenzialmente essere in grado di far dialogare le
parti in conflitto, ma, contemporaneamente, di deformare la loro soggettività che un uso
interculturale del diritto potrebbe consentire di raggiungere soluzioni adeguate. Esso
potrebbe bilanciare le carenze innanzi tutto cognitive da parte degli apparati istituzionali
riguardo il fenomeno delle comunità intenzionali, favorendo l’inclusione dei processi
normogenetici di competenze interdisciplinari.
(Corsivo mio)

Mi pare ovvio che attribuire ai comuni (e diciamolo pure, anche a capricci


dell’amministratore di turno) diritti sulla normogenetica delle comunità intenzionali sia la
cosa più ridicola (o pericolosa) che si possa fare. Chi se ne intende chiaramente sta
richiedendo l’applicazione del Diritto internazionale, non di un corpo burocratico-
amministrativo che ne costringa la Libertà. Siamo a due poli opposti.

Ma questa miopia della proposta di legge Zolezzi, che dimostra benissimo il punto sulle
“carenze cognitive” delle istituzioni fatto dall’Avvocata Gaia Allori, penso sia anche il suo
punto debole. Nella corsa alla giuridificazione di tali comunità, l’Italia si presenta col suo
tipico stile polveroso e burocratico, ma non tiene conto che davanti ad un fenomeno
mondiale, e con il libero movimento di persone in UE, tale approccio è destinato a fallire.
Mi spiego: presto le comunità intenzionali diventeranno motori dell’economia e della
società, anzi, lo stanno già diventando. Gli stati dovrebbero correre a sostenerle, non
imbavagliarle con procedure amministrative, e quelli che lo faranno vedranno grande
sviluppo culturale, sociale e anche economico. In parole povere, se qui in Italia le si vuole
controllare, si va in Spagna, e l’Italia dovrà seguire se vuole aggiornarsi. Ma ovviamente
prima che ciò accada pare probabilissimo che intervenga il Diritto Internazionale in UE, che
quasi certamente lo farà in consultazione con tali comunità.

Un fenomeno mondiale semplicemente non si può fermare con una legge amministrativa
qualora il Diritto ne riconosca identità e diritti da essa negata. E come dice Gaia Allori, una
legge sul Diritto di tali comunità non può che riconoscerne la propria natura di autogenesi e
autodeterminazione:

Occorre tenere conto che l’autodeterminazione tanto invocata dalle comunità intenzionali
significa anche poter decidere dove disegnare i confini, quanto alti costruire i muri, quanti
‘pori’ lasciare aperti, quali canali di comunicazione costruire con il mondo esterno.
(ibid., corsivo mio)

Gaia Allori poi procede a stabilire tale diritto senza ombra di dubbio, come basato sul
consenso interno nonché fondamentale alla natura di tali comunità, dicendo, “Declinata la
chiave giuridica, l’autodeterminazione si riflette nel potersi dare regole che proprio perché
auto-imposte sono condivise, e accertate dai membri della comunità,” per poi concludere
col dimostrare illecito qualsiasi tentativo di limitare tale autodeterminazione dal punto di
vista del Diritto Internazionale:

In questo modo, le forme interne si atteggiano come un formante cruciale del


procedimento di costruzione di identità comunitaria, dove al contrario una disciplina
imposta da poteri esterni sacrificherebbe inevitabilmente la libertà degli appartenenti al
gruppo, decidendo in modo eteronomo come la vita comunitaria debba essere organizzata.
Per citare ancora Habermas, quando “il diritto tocca questioni etico-politiche, esso altera
l’integrità delle forme di vita in cui si inseriscono le condotte personali.”
(Ibid.)

In parole povere, caro Zolezzi, non puoi proporre una legge che riconosca le comunità
internazionali e ne neghi la natura allo stesso tempo. Questo colpo di mano giuridico si
scontrerà con il Diritto Internazionale senza alcun dubbio se approvato. Ma ancor di più, se
il principio della tua proposta è di riconoscerle, l’Art 2.1 (ed altri) della tua proposta è
invalido e delegittimato dal principio della proposta stessa. Si presentano poi problemi di
costituzionalità di tale proposta con riferimento agli Articoli 2, 3, 4 e 10 della Costituzione.
Ogni tentativo di limitare la Libertà di tali comunità è vana, in quanto tali comunità si
fondano su diritti etici anche sanzionati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e
ricordiamoci che i diritti si leggono da sinistra a destra.
Il sogno ecosocialista

Ormai molti a sinistra si stanno accorgendo che la sinistra parlamentare sta mancando in
un suo dovere ed aspetto fondamentale: proporre un sogno realizzabile di un mondo
migliore. Se la destra vive di incubi, la sinistra vive di sogni. Ma prima di guardare il sogno,
dobbiamo, sfortunatamente, guardare i falsi sogni che vengono proposti dalla plutocrazia.

Forse il sogno più reclamizzato e propagandato è il cosiddetto sogno americano: trattasi di


un sogno virtualmente irraggiungibile, con l’eccezione di una manciata di persone, tra cui
tanti esponenti della comunità italoamericana, come Frank Sinatra e Madonna, che poi ne
divenne critica asperrima. È il famoso “dalle stalle alle stelle”; questo pseudo sogno
dipende dalla povertà altrui, ed è quindi, in realtà l’incubo di molti per il sogno di pochi.
Hollywood (come la chiamo io, “la fabbrica degli incubi”) ed altri media ancora lo
ripropongono, usando tutta la loro possente industria per abbindolare le masse.

Ma esiste un altro sogno che spesso viene sottovalutato: il sogno borghese; questo è molto
più raggiungibile che diventare mega miliardario tramite fortuna o anche divenire famoso
per qualità eccezionali; trattasi di essere proprietari di casa, e questo pare essere il suo
cardine. Trattasi poi di fare una vita agevole e benestante, ma sempre in una dimensione
piccolo borghese, ottusa, conservatrice e retrograda. È fare la passeggiata in piazza col
cappotto nuovo, praticamente. In paesi come la Gran Bretagna dove le periferie sono
stupende aree di case e villette immerse nel verde, tale sogno è più appetibile. Avere un
appartamento in periferia di Milano non è la stessa cosa che avere una villa bifamiliare a
Wimbledon. Ciò nonostante il sogno borghese è molto condiviso. Il problema è che anche
questo sogno è in realtà uno pseudo sogno; appartenere ad un gruppo di persone
borghesizzandosi significa accettarne i piccoli e meschini falsi valori, come il vestirsi “come
si deve”, non disturbare il pensiero dominante e piegarsi al sistema. Significa anche dover
accettare di lavorare in un ufficio polveroso in ruolo non appagante ed aspettare la
pensione, momento in cui la società avrà pronto un parcheggio a pagamento o meglio una
discarica sociale dove essere ricordati e rinfacciati ad ogni istante dell’inutilità della propria
vita. Ma quel che conta ancor di più significa piegarsi ad un sistema che, nell’offrirti quattro
contentini spesso avvelenati, ti impone anche di contribuire, sebbene spesso tacitamente,
alla repressione ed oppressione dei meno fortunati. Insomma, è faustiano, richiedendo, per
un po’ di protezione e qualche briciola buttata sotto il tavolo dai potenti, niente po’ po’ di
meno che la tua Coscienza, la tua Libertà di espressione e di voltare gli occhi davanti a
crimini scandalosi, per poi comprare della verdura avvelenata in un supermercato che
opprime gli agricoltori ma ben impacchettata in plastica e propaganda. Ed è questo il sogno
a cui ha sottoscritto il centrosinistra italiano e non solo.

Sfortunatamente, nel fare ciò non solo ha presentato una versione monolitica
dell’esistenza e dell’esperienza in linea colla plutocrazia capital-corporativista, ma ha
lasciato fuori tutti coloro che non hanno accesso a o vedono i difetti di questo pseudo
sogno. Ed è così che tanti nelle periferie, capendo benissimo che non avrebbero mai potuto
sfilare in piazza con il Mercedes, si sono dati ad un vero e proprio incubo: il fascismo, che
promette a chi sa che tali promesse non verranno mantenute, ma che, non avendo altre
promesse, rimangono senza scelta.
E in tema di sogno borghese e socialismo ed ecosocialismo, non si accetti più la falsa idea
che il socialismo e l’ecosocialismo vogliano la povertà di tutti, anzi, quello che il sogno
borghese vende come un’aspirazione, la casa, appunto, per il socialismo e l’ecosocialismo è
un diritto primario, come il cibo, la cultura ed un altro diritto negato per poi essere
barattato con altro: il lavoro. Niente meglio dei bollini del supermercato rappresenta il
falso sogno borghese; ti trattengono parte ciò che hai già pagato per farsi ringraziare due
volte: la prima quando ti danno il bollino, la seconda quando ti danno ciò per cui hai
comunque pagato a rate, e intanto ti hanno intrappolato a tornare.

La svendita della rappresentanza di centrosinistra al sogno borghese è dovuta al solito


errore: hanno buttato via il bambino coll’acqua del bagno. Quando il sogno vero di sinistra
venne (secondo me volutamente) realizzato in un incubo apocalittico da dittatori con baffi
più o meno folti, invece di dire ciò che si sarebbe dovuto dire, ovvero, “Questo non era il
nostro sogno,” la sinistra meno sognatrice delle varie dirigenze di partito assecondò i propri
principi fondamentali alla falsa realizzazione di un sogno vero. Quello che era un sogno di
eguaglianza si realizzò in un livellamento sociale; quello che era un sogno di Libertà divenne
dittatura. E con la scusa che tale sogno non fu mai realizzato, il sogno venne abbandonato
(si noti la fallacia logica e razionale in tutto ciò).

Ma il sogno della sinistra non si è mai spento; in questi decenni ha continuato a vivere,
crescere e trasformarsi e si sta oggi riproponendo nella sua innocente nudità
all’immaginario collettivo. Il sogno di un mondo migliore, pacifico, giusto, equo e, bisogna
aggiungere come tratto fondamentale oggigiorno, anche pulito, verde ed ambientalista. Un
sogno basato sull’abbondanza, non sulla finta scarsità delle risorse, un sogno basato sul
rispetto del prossimo, dell’ambiente e del pianeta. L’unico sogno, insomma, che si propone
come vera alternativa ai falsi sogni ed incubi che la plutocrazia sta sbandierando sui
mercati di tutto il mondo.

Non spetta ovviamente a me definire quale sia il sogno ecosocialista, infatti si parlerebbe
meglio di sogni diversi che condividono una matrice comune. Certo le varie comunità
intenzionali di cui abbiamo già parlato sono non solo realizzazioni concrete di tale sogno,
ognuna diversa eppure tutte unite da un disegno comune, ma anche porte dentro questo
sogno e tramite cui questo sogno possa realizzarsi e svilupparsi.

Quello che la sinistra oggi deve fare è raccontare questo sogno e spiegarlo come non solo il
più bello, ma l’unico etico ed il più facilmente realizzabile da tutti. I rappresentanti della
sinistra lo devono riabbracciare senza timori e con onestà, ma chi crede a questo sogno
deve cominciare a disegnarlo, a dargli colore colla propria personalità, le proprie
peculiarità, la propria Libertà e le proprie idee. Il sogno ecosocialista è in realtà un mosaico
stupendo ancora tutto da disegnare, perché un sogno vero non viene passato su cartoline e
pagine dei giornali già completato, ma si dipinge insieme.

E ricordiamo pure che mentre ne parliamo sono i giovani di tutto il mondo che ci stanno
chiedendo di almeno guardare il loro sogno, e ci fanno notare la nostra responsabilità di
almeno renderlo possibile. Basta rubare i sogni ai bambini di oggi è del futuro!
La riforma economica

Non sono un materialista, come sapete, ma nemmeno un illuso. È ovvio che debba essere
promossa una riforma economica seria per fornire due fattori: l’accesso a tutti a pari
opportunità e lo sviluppo di un’economia sostenibile ed anche di stampo ecosocialista. Le
due cose, per loro natura, vanno a braccetto: più esistono pari opportunità più i sistemi del
capital-corporativismo vengono abbandonati perché superflui nonché nocivi; tale sistema
si nutre della disparità e dell’ingiustizia sociale; ne ha bisogno per la sua stessa esistenza,
ed è per questo che le nutre costantemente e insistentemente. Ma è anche vero il
contrario: più ci si muove verso un sistema ecosocialista e socialista, più si amplia il
collettivismo anche dei mezzi di produzione, più si dà accesso a tutti a benessere e a pari
opportunità.

Innescare questa simbiosi benefica è essenziale per la riforma economica e sociale, ed è


necessario per un mondo migliore, democratico, rispettoso del prossimo, dell’ambiante e
del pianeta ed anche socialista o ecosocialista. Se è vero che ciò è già in atto in buona parte
del mondo, è anche vero che non è comune; il fenomeno non ha raggiunto massa critica. A
mio parere non l’ha ancora raggiunta non perché non abbia avuto il tempo per svilupparsi
e crescere, anzi, è ormai sviluppatissimo; a mio avviso è stato il continuo gioco sleale del
capital-corporativismo e dei governi ad esso assoggettati che ne ha rallentato lo sviluppo.
Studi ce ne sono già a riguardo, ma basta guardare la storia economico-sociale degli ultimi
due secoli per vederlo a chiare lettere. Nel contempo, si è visto benissimo come la perdita
di libertà civili e di diritti, di opportunità ed eguaglianza è andata di pari passo colla crescita
del potere corporativista. Bisogna invertire la rotta.

Tocca allo stato, in Italia, farlo, ma non mi affiderei tanto ad uno stato tenuto sotto il
calcagno dalla plutocrazia. È ridicolo che anche davanti allo sfacelo dell’ILVA si offrano solo
due vie, o il capitalismo privato o quello di stato, ma non vi sia sul tavolo una proposta di
collettivizzazione. E ricordo che dire che i mezzi di produzione sono proprietà dello stato è
ben altra cosa dal dire che sono proprietà condivisa del collettivo o della comunità
interessata.

Ma è qui che dobbiamo intervenire; ogniqualvolta si propongano soluzioni capitaliste


private o di stato, bisogna presentare la proposta alternativa della collettivizzazione. Spetta
a noi Popolo di sinistra farlo se i nostri (nostri?) rappresentanti opportunamente
dimenticano questa via ogni volta. Ma spetta anche a varie organizzazioni, dai sindacati ad
associazioni di lavoratori e non; spetta ai partiti minori, ai “cespugletti di sinistra”, ma
spetta anche a tutti i liberi pensatori che abbiano a cuore il futuro del paese e del mondo.

Certo, avessimo un giornale che proponesse tali soluzioni, le cose sarebbero più facili, e ne
parleremo; certo, avessimo gruppi che si occupino di tale argomento, le cose sarebbero più
facili. Ma ancor più certamente, se avessimo una legge che imponga al governo di almeno
esaminare (se non proporre e progettare) tali soluzioni, ovviamente in collaborazione con
esperti e la comunità interessata, le cose sarebbero ancora più facili. Tale legge c’è, come
abbiamo visto, e si chiama Costituzione della Repubblica Italiana, che per lo meno, se non
lo impone, lo propone e rende possibile. Quello che manca però una legge quadro che
metta in attuazione ciò che la Costituzione permette ed in certi casi persino auspica. Non
esistono regole che guidino il governo di turno ad applicare i già citati Articoli 3, 41 e 43
della Costituzione. Esistono leggi verbose sulle modalità di tali espropri; esistono guide
amministrative su tali modalità; ma ciò che non esiste sono parametri di applicazione e di
soluzione. Il governo di turno ha la libertà assoluta di scegliere se e quando applicare tali
articoli. Scusate? La Costituzione non si applica a piacimento o per vizio politico; la si
applica e basta. Vero che gli Art 41 e 43 danno un diritto allo stato, e quindi si potrebbe
dire che un diritto non deve per forza essere esercitato, ma è anche vero che un articolo
più autorevole dà allo stato un dovere, l’Art. 3; quello che pare ridicolo è che nel suo dovere
di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà è
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese,” non si sia tradotto in una legge che indichi allo stato che, almeno qualora una
corporazione sia in crisi e i “dipendenti” debbano essere aiutati, lo stato si impegni a
considerare il modo più diretto e coretto, quasi la lettera della Costituzione stessa, ovvero
la collettivizzazione dei mezzi di produzione stessa.

Andiamo pure oltre con questo punto chiave; si immagini il caso in cui una compagnia
(parola incredibilmente inadeguata se applicata a corporazioni) sia in crisi e lo stato debba
intervenire; che sul tavolo del ministro arrivino proposte da altre corporazioni è molto
probabile, ma con quale credibilità potremmo dire che una cooperativa abbia gli stessi
mezzi, la stessa celerità e le stesse opportunità di proporre una soluzione?

E non è accettabile dire che le opportunità siano eque quando si parte da posizioni diverse;
se le corporazioni possono investire somme esorbitanti nonché squadre di tecnici e legali
per ogni proposta che facciano, una cooperativa dovrebbe intanto formarsi mentre tali
corporazioni preparano piani (spessissimo, come insegna la storia, ingannevoli) per
garantirsi l’acquisizione di una società in crisi. Ed è proprio qui che si possa pensare che lo
stato sia tenuto ad intervenire per garantire che ci sia l’opportunità della fondazione e
formazione di una cooperativa di dipendenti e anche altre persone interessate. La
Costituzione parla chiaramente di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”,
non parla di attenersi a falsi ideologici e principi insostenibili; è chiaro che imponga allo
stato di eliminare ostacoli di fatto, mentre questa volontà della Costituzione è resa succube
a ed impedita da una situazione iniqua e voluta da una delle parti stesse che concorrono a
tali proposte.

E non valgono nemmeno i vari pretesti tecnici: cosa succede nel frattempo? È chiaro che lo
stato possa gestire temporaneamente attività in crisi che poi vengano consegnate alla
cooperativa; ma è anche chiaro che lo stato debba realizzare i mezzi pratici (legali,
economici ecc.) che rendano tale opzione possibile. Deve essere offerta ai lavoratori
l’opzione di formare una cooperativa con ausilio dello stato che possa rilevare l’attività a
cui hanno lavorato per lungo tempo, e in cui hanno un interesse innegabile e, a volte, di cui
hanno una necessità assoluta.

Abbiamo già accennato a questa via, che deve essere implementata per due motivi; uno di
Diritto e Giustizia, l’altro economico. E vedere le corporazioni tenere i dipendenti in uno
stato di dipendenza, mentre sono esse che propongono il discorso dell’indipendenza
economica come fondamentale al loro stesso sistema è per lo meno ipocrita, e lo stato non
può esserne complice, anzi, lo stato dovrebbe favorire l’indipendenza economica dei suoi
cittadini e residenti, e divenire una cooperativa certamente è indipendenza economica,
mentre prestare il proprio lavoro ad una corporazione senza avere né parte nella sua
gestione, né vere opportunità di rendersi indipendente è un vero e proprio insulto a tale
concetto.

Si può certamente muovere la critica che questa sia un’interpretazione della Costituzione, e
certamente lo è, ma si ricorda il critico o la critica che trattasi della Costituzione della
Repubblica per suo stesso nome e definizione, e che in quanto tale, può essere solo
interpretata per il bene della res publica, e che questa interpretazione è certamente in
pieno accordo con tale principio, cosa che non si può dire di una interpretazione che veda
tale articolo letto come promotore di agevolazioni delle corporazioni a discapito del bene
vero e indiscusso del Popolo.

Mi potrei fermare qui, avendo dato un esempio di come, rimanendo pienamente


all’interno della dimensione costituzionale repubblicana, specie quando si parla di grandi
imprese (ma non necessariamente solo), la transizione da un sistema capital-corporativista
possa essere realizzata gradualmente e coerentemente, applicando nel contempo i valori
espressi chiaramente nella Costituzione. Ma io andrei oltre, o meglio guarderei un altro
aspetto della riforma economica. Laddove piccole, medie ed anche grandi cooperative
vogliano formarsi, si può pensare che, sempre in linea col principio che gli ostacoli
economici per un’economia egalitaria vadano rimossi, si debbano stanziare somme
considerevoli e mettere mezzi a disposizione per la fondazione di cooperative. Pensiamo un
attimo; ogni anno si evadono 130 miliardi, tutto denaro che finisce a nutrire, anche
illegalmente, la plutocrazia, fondi e risorse che non fanno altro che aumentare il divario
sociale e l’ingiustizia anche economica. Ma mi viene un altro esempio; proprio in questi
giorni Matteo Renzi annuncia che ci sono 120 miliardi già disponibili e mi pare di intendere
stanziati per grandi opere. Benissimo, che siano sbloccati, ma mi domando quanti di questi
miliardi sono disponibili a cooperative e quanti a corporazioni più o meno internazionali, e
sospetto che la cifra, ottimisticamente, sia appena al di sopra dello 0% per le un e intorno
al 99% delle altre. Questo per me dimostra un fatto: lo stato non ha fatto il suo lavoro.
Investire quasi esclusivamente in progetti affidati a corporazioni significa assicurarsi che
buona, anzi gran parte di tale investimento finisca in interessi privati, e parlo di interessi,
non di privati. Esiste una chiara distinzione tra il garantire il benessere dei privati da parte
dello stato, cosa che si fa anche dando fondi a cooperative, e lasciare che tramite lucro gli
interessi privati si arricchiscano con i soldi ed il benessere elle comunità. È chiaro che l’Art.
41 della Costituzione ne conosca la differenza, e che dia allo stato il dovere di determinare
“programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali,”(corsivo mio). Mi pare sia ovvio che lo stato
debba fare in modo che le cooperative vengano aiutate, in quanto esse sono per natura a
fini sociali, e l’abbiamo già detto. Ma legiferare senza poi mettere fondi e risorse per lo
sviluppo di un’economia seria e fiorente delle cooperative di fatto, nel limitarne e
giuridificarne l’azione, ne limita anche lo sviluppo.

Se alcuni comuni offrono aiuto anche tecnico alla formazione di cooperative, non esiste
una rete di statale a tale proposito; si dovrebbe essere in grado di andare presso uffici
pubblici e richiedere aiuto sul piano legale e tecnico per la fondazione di cooperative, e lo
stato dovrebbe imporre agli enti locali che tali uffici vengano realizzati; tali uffici
dovrebbero anche essere in grado di indicare come accedere a fondi statali, mutui
agevolati ecc. Una corporazione ha fior fior di avvocati, legali, e spesso paga pure le
mazzette per accedere a fondi statali. Ma come farebbe una piccola cooperativa? Manca
assolutamente un modo semplice ed efficace per accedere a tali informazioni e non solo,
come già detto, mancano fondi seri e specifici per rendere possibili tali progetti. La
cosiddetta “concorrenza” del cosiddetto “libero mercato” non è sleale solo tra i
concorrenti, ma è viziata a favore di un tipo di concorrente. Questa non è una partita
onesta.

Abbiamo ora visto come con semplici cambiamenti si possa incentivare un’economia dove
chi lavora è anche proprietario e gestore dei mezzi di produzione, ovvero un’economia
socialista. Ma abbiamo anche visto come tale economia sia non solo auspicabile, ma che
debba essere positivamente aiutata a crescere. E non dovremmo aspettare un governo
socialista per tutto ciò; dovremmo solo aspettare un governo che rispetti la Costituzione e
la applichi nell’interesse del Popolo e non (solo) delle corporazioni. Anche lo stato può
essere accusato di tradimento verso il Popolo, non dimentichiamocelo, il tradimento è
reato che si compie verso la figura del sovrano, e sovrano non è lo stato in Italia, ma il
Popolo.

Finora frasi anche dure ma necessarie; l’ingiustizia deve essere affrontata per quello che è.
Ma pensiamo anche ad uno sviluppo autonomo, dove le cooperative possano condividere
esperienze, fondare strutture di mutuo aiuto, condividere conoscenza tecnica e scientifica,
avere, perché no, un sistema di ricollocazione e aggiornamento dei membri delle
cooperative stesse, realizzando non un ‘mercato’ del lavoro (parola indegna), ma una rete
di lavoro ed impiego dove la Persona non sia forzata a ‘vendersi’ al migliore offerente come
si faceva (o si fa, lascio a voi decidere) con gli schiavi, ma dove possa progettare e
programmare il proprio futuro liberamente ed avere accesso a vere opportunità di lavoro
ed ad un’indipendenza fino ad ora mai vista. Se una cooperativa, ad esempio, decidesse di
ridurre la propria attività (cosa che i dati ci mostrano è molto più rara che nel sistema
corporativista, dove gli interessi del privato spesso, anzi spessissimo, dopo anni di
sfruttamento, portano a chiusura di baracca e burattini per sfruttare altrove), nella
pianificazione si potrebbe facilmente inserire il trasferimento di membri (che portano la
loro quota, se necessario) ad un’altra cooperativa. Vero, le assunzioni devono sempre
essere fatte in modo corretto, e bisogna assolutamente tenere aperte le opportunità a chi
si affaccia al lavoro in cooperativa, ma certamente esisterebbero molte più opportunità di
flessibilità sul lavoro di quello che si ha adesso. Prima, ovviamente, il membro che volesse
cambiare dovrebbe fare un colloquio egalitario in tutto e per tutto con persone che
vengano da fuori. Se pensate che ciò sia difficile da fare vi sbagliate; abbiamo una
normativa sul lavoro che non rispetta nemmeno le legge europea; nei paesi civili certe
domande non si fanno o se ne va a remengo tutto il colloquio: non si chiede età, stato
civile, se si hanno figli, se si hanno problemi di salute, se si intenda sposarsi ed avere figli,
l’orientamento sessuale, politico, ideologico, religioso e spirituale, non si chiedono
fotografie sul curriculum vitae e non si chiede di che etnia un candidato sia. Questo
succede in quasi tutta l’Europa, ma in Italia applichiamo ancora regole vittoriane, mentre si
legge chiaramente nella normativa UE:
Il diritto dell’UE vieta discriminazioni sul lavoro per motivi di età, sesso, disabilità, origine
etnica o razziale, religione o convinzioni personali od orientamento personale. [...] Hai
diritto alla parità di trattamento in materia di assunzione, condizioni di lavoro, promozione,
retribuzione, accesso alla formazione professionale, pensioni professionali e licenziamento.
(Sito UE, ‘Occupazione, affari, sociali e inclusione’, corsivo mio dall’originale grassetto)

Se questo pare a qualcuno che sia ciò che succede in Italia consiglio di comprasi un paio
d’occhiali o di imparare a leggere. Eppure i nostri politici non sembra siano riuscito a
leggere la legge, neanche dal sito dell’Unione Europea dove la spiega con chiarezza
cristallina a tutti. Ma quello che conta nel nostro discorso (mi scuso per aver divagato) è
che basta aggiungere che in caso di assunzione una cooperativa non possa discriminare
sulla base di appartenenza ad altra cooperativa. Semplice ed efficace.

Ma andiamo oltre, e se ci fosse una rete di informazione e sostegno per cui chi vuole
portare le propria esperienza e le proprie conoscenze altrove da una cooperativa possa
cercare altre persone con tali legittime aspirazioni tra cooperative ed all’esterno e
fondarne una con loro? Bisogna ristabilire il concetto di flessibilità dell’impiego, una bufala
come la si intende oggi che significa che il capitalista può, per essere molto corretti nella
fraseologia, darti un calcio nel deretano a suo piacimento senza risponderne alla società.
Invece questo concetto dovrebbe essere messo a disposizione di chi lavora: l’opportunità di
pianificare, programmare e costruire il proprio futuro nel mondo del lavoro. L’altro è
schiavismo sotto un nome più appetibile. Vedremmo allora una flessibilità gentile,
produttiva, capacitante, di libero sviluppo e liberatoria. E si noti come tutto ciò rientra
perfettamente nel concetto di rivoluzione gentile.

Poi ci si potrebbe chiedere chi preferirebbe veramente andare a lavorare in una


corporazione come dipendente se avesse veramente l’opportunità di lavorare in una
cooperativa dove non solo potrebbe condividere i mezzi di produzione, ma dove avrebbe
pure l’opportunità di pianificare il proprio futuro professionale. Dal mio punto di vista,
bisognerebbe essere leccaculi patologici per preferire che arrivi una promozione “dall’alto”
piuttosto che avere il diritto di decidere del proprio futuro... Comunque, unicuique suum.

La realizzazione di un’economia equa, anche socialista o ecosocialista rientra nella ricerca


della Libertà della Persona, diritto inalienabile dell’Essere Umano, ma diviene ancor più
bella se condivisa con tutti coloro che ci accompagnano in questo viaggio sulla Terra; allora
tale economia diventa motore per il bene del pianeta ed i suoi abitanti. Il fatto che progetti
di tipo ecologico per loro natura (sempre se gestiti nel vero interesse di Madre Natura e
Madre Terra) siano non solo sociali, ma benefici per l’ambiante ed il nostro pianeta non è
piccola considerazione. Sappiamo che le corporazioni non hanno per natura altro interesse
che quello di accumulare benessere nelle mani di chi le controlla. Questo è un fatto ben
conosciuto e comprovato. Non sono esse per loro natura in grado di mettere davanti a tale
imperativo congenito l’interesse di Persone né della Natura e tanto meno della Terra. Ed è
allora che bisogna pensare che la vera soluzione ai problemi di questo triste pianeta sia in
un’economia collettivizzata ed ovviamente ecosocialisa. E ritorniamo al famoso Art. 41
della Costituzione; cooperative ecosocialiste sono per definizione “indirizzate a fini sociali” e
del bene comune. Sembra ridondante ricordare che servire la Natura ed il pianeta sia
implicitamente servire la società; ci vorrebbe un grado di negazionismo acuto da cura
psichiatrica seria che neanche Trump penso possa raggiungere per negare ciò. Essere poi
indirizzato al bene comune significa, di fatto, servire la Repubblica, oltre che alla comunità
mondiale tutta. Sembrerebbe un corollario che tali realtà debbano essere fortemente
sostenute da uno stato che ha l’obbligo costituzionale di favorire... il bene comune!

L’ipocrisia di dare fondi a corporazioni che ogni volta si inventano un pretesto per rifarsi il
trucco e far finta di proporre soluzioni ambientaliste che, se veramente lo fossero,
nuocerebbero ai loro interessi è letteralmente insopportabile. Ma lasciando l’avversario da
parte, ciò che tutti ci dobbiamo chiedere è come mai non si stanzino fondi importanti e si
diano strumenti alle cooperative che operano onestamente per il bene del mondo.

È chiaro che ci voglia una presa di Coscienza da parte delle persone, ma serve anche un
discorso razionale, chiaro e forte, ed è quello che questo libro sta proponendo, anche se
nelle sue grandi limitazioni. Ma quando questo discorso comincerà ad arricchirsi di idee,
sviluppandosi coerentemente come deve fare, non sarà possibile al politico negarlo ed
ignorarlo. E stiamo attenti, proveranno con contentini e vari tranelli, leggi che nascondono
trappole pericolosissime; ma noi terremo gli occhi aperti, e, consci della nostra
responsabilità di far valere la Giustizia, non dobbiamo mai far passare discorsi falsi da parte
di nessuno. Ma ricordiamoci anche che siamo noi che dobbiamo essere interpellati su ciò
che ci concerne; sono le cooperative che devono avere voce in capitolo sulla legislazione
che loro concerne, sono le comunità intenzionali che hanno diritto di essere al tavolo dove
una legge (quadro) su di loro sia proposta. Il principio della non imposizione su altri vale
anche quando l’imposizione voglia essere applicata a noi. Una legge fatta senza
consultazioni adeguate non è democratica e non vale niente. Questo principio deve essere
applicato ad ogni passo nella strada che abbiamo davanti a noi. Strada che deve anche
cominciare dalla liberazione del Popolo e dell’economia dalla plutocrazia, e lo stato deve
decidere se rimanere rappresentazione del Popolo ed essere legittimato o... o niente, lo
stato non ha alternativa.
La via della Giustizia

Non si può partire da basi più salde che dalla ricerca della Verità e della Giustizia, ed è
proprio da qui che deve partire l’ecosocialismo. Ma non è solo la partenza che conta; il
viaggio deve essere un percorso dove la Giustizia è e rimane la stella polare che ci guida ed
al contempo la fioritura del giardino che coltiveremo. La Giustizia è, infatti, sia parametro
che obiettivo dell’ecosocialismo, e lo dovrebbe essere di ogni pensiero. Forse avrete già
notato come questo valore universale sia protagonista di questo testo; lo diventerà ancor
di più. Cercare di realizzare la Giustizia, che come abbiamo già detto non è una serie di
leggi, ma una volontà, deve rimanere scopo principale dell’ecosocialismo, in tutte le sue
dimensioni. Abbiamo già visto come appellarsi alla giustizia non solo, se cercata
onestamente, trovi soluzioni, ma anche come spiazzi l’avversario in questa partita dove si
sta giocando il futuro del pianeta intero, e noi sappiamo una cosa: siamo dalla parte giusta.
È quindi non solo corretto, ma per noi conveniente giocare la carta più forte che abbiamo,
la Giustizia appunto.

Checché se ne dica, la maggioranza delle persone vuole Giustizia. Anche chi si fa


abbindolare dalle ideologie più becere spesso parte da una volontà, anzi, un bisogno di
Giustizia, ma poi, invece di cercarla, lascia che qualcun altro gli o le dica cosa sia; e
sappiamo qual è la storia dei nostri avversari: per loro essa è l’interesse personale
salvaguardato (beh, così fanno loro credere) a spese altrui. Loro spesso vogliono solo avere
il diritto ad una vita decente, ma vengono ingannati e finiscono a credere che per averla
debbano sottrarla ad altri. Questa non è Giustizia, noi lo sappiamo bene, e dobbiamo
cominciare a spiegarlo a tutti, anche a loro.

Voler realizzare la Giustizia vuol dire, in primo luogo, rivelare quei falsi che tengono insieme
il sistema dominante; penso che questo sia ormai un leitmotiv di questo libretto.
Certamente, ciò si deve fare tramite educazione ed informazione, ma ciò non significa che
ci si debba avvalere solo dei canali formali per condividerle; ci si educa discutendo, si
informa passando dati, opinioni valide ed informazioni vere. Sappiamo bene che ci
troviamo davanti ad un caso di dissonanza cognitiva dilagante, su questo non penso ci
siano dubbi, ma chi vive in tale stato, una volta scoperta la Verità e l’inganno in cui era
caduta o caduto non solo comincia un percorso liberatorio che può riportare alla via della
Verità, ma, avendo raggiunto la realizzazione che la parte a cui si era data fiducia prima ha
mentito così gravemente, non tornerà più indietro. Bisogna portare la gente al “punto di
non ritorno” al sistema dominante. Spesso questo punto sarà proprio la realizzazione di
aver preso la via sbagliata quando, in cerca di Giustizia per se stessi, si è pensato che ciò
significasse ingiustizia per altri. Sto facendo un discorso abbastanza teorico, lo capisco, ma
sono sicuro che ognuno di voi lo può visualizzare, immaginare e trovarne riscontro in
persone che conosce: quel momento nella vita in cui, basta, da adesso penso solo ai miei
interessi, ecco, è proprio lì che comincia un cammino che per mancanza di metafora
migliore si può definire verso gli inferi.

Il sistema è così repressivo che scuote e percuote l’individuo fino a che lei o lui non riesca
più a rimanere salda/o alle proprie radici, e smette di credere nella Giustizia. Da quel
momento, si daranno tanti nomi falsi a questo valore, per auto illudersi di essere ancora
giusti, cosa che per la maggior parte delle persone rimane una credenza necessaria alla
propria autostima; così, in questo cammino sempre più buio, si comincia a dire che, vabbè,
l’ho fatto ma non lo farò più, poi che tanto non era successo niente la prima volta, poi che
alla fine lo fanno tutti, poi che in realtà qualcuno mi dice che sono sulla strada giusta, poi
che ormai è l’unica via possibile, poi che tanto cosa me ne frega degli altri – devo badare a
me stesso, poi che siamo in tanti a pensarla così, poi che il male altrui sia il mio bene, poi
che quelli là devono stare zitti, poi che forse ce la stiamo facendo, poi che, poi che, poi
che... fino a che il concetto di Giustizia non è nemmeno più ricordato. Ad ogni poi, la
persona cade in un girone più profondo, ed ad ogni girone le alternative si restringono e la
via d’uscita sempre più fioca, ma se si smette di credere nella Giustizia, come si è detto,
non si può più crederà a niente; ed è proprio quello che la plutocrazia vuole che si faccia,
perché la plutocrazia, il capital-corporativismo ed il fascismo sanno una cosa certa è la
temono: loro sono ingiusti e senza l’ingiustizia loro sparirebbero nel nulla.

Ma è solo vedendo la luce della Giustizia, per fioca che sia nella Coscienza della persona,
che si può tornar a riveder le stelle.

E la porta si apre, e poi alle porte si apriranno, sempre più accessibili, sempre meno
sprangate, sino a quelle che si aprono con un tocco della mano, poi quelle che basta un
soffio, e quelle che si aprono solo col pensiero. E da lì, le porte non saranno più, ma
saranno ciò che in realtà è la matrice dell’esistenza, un giardino di sentieri dove la volontà
sceglie che bivio prendere, e se si seguono Amore, Pace, Bene, Giustizia, Libertà e Verità,
ad un tratto ci si guarda intorno, e ci si accorge di essere in Paradiso. I cancelli perlati non
sono sbarre, ma vie di luce.

Certo, il cammino è lungo in entrambe le direzioni, ma ciò che conta è imbroccare e seguire
la direzione giusta, quella della generosità e della sinistra. Il Paradiso non è sopra di noi; è a
sinistra.

Il vero scopo dell’ecosocialismo è di realizzare il Paradiso Terrestre.

Certo, non ci vorranno mesi, e nemmeno anni; ma cominciamo a camminare insieme nella
direzione giusta, e forse i nostri figli, forse i nostri nipoti, beh, loro vivranno in questo
paradiso. Non è solo ridicolo perdere tale sogno; è impensabile. Non si può credere che il
mondo orrendo in cui viviamo possa dettare i parametri del mondo che vogliamo. Certo,
ora fa schifo, ma noi dobbiamo avere il coraggio, o forse solo la fantasia, di immaginare un
futuro stupendo. E come si fa ad immaginare un futuro stupendo che noi potremmo non
vedere mai se basiamo le nostre scelte sull’egoismo e non la generosità? Giustizia significa
Giustizia anche per chi ci seguirà, non solo per chi è con noi adesso. Dobbiamo essere tutti
Mosé, tutti pronti ad indicare la via senza per forza voler raggiungere la meta noi stessi,
anzi, magari sapendo che potremo vedere la vera terra promessa solo da lontano.

Scusate la lunga metafora biblica, ma penso spieghi chiaramente come l’ecosocialismo si


pone “nel grande disegno delle cose.”

Mi direte ora che sono bellissime idee, ma abbiamo davanti a noi teste dure e una partita
molto difficile da giocare. Certo, difficilissima. Ma non si può vincere una partita senza una
strategia lungimirante, e si perde un colpo ogni volta che si esce dal tracciato che tale
strategia lungimirante illumina; e la strategia non è, come intendono i plutocrati, una serie
di passi predeterminati; la strategia è il sogno stesso, perché è lui che detta i passi che si
devono fare per la sua realizzazione. E mentre loro marciano, noi balleremo al suono dei
nostri valori.

Ma non ho ancora risposto alla domanda, scusate. Riprendiamo... Sì siamo di fronte ad una
partita in cui l’avversario gioca slealmente, e questo ci dice una cosa; dobbiamo lasciare un
sistema di regole democratiche ai nostri figli in cui non si possa più barare. Io sarei anche
dell’idea di passare un articolo della Costituzione che dica, “La Costituzione può essere
cambiata solo in direzione democratica.” È solo un concetto ed andrebbe raffinato, ma ci
siamo capiti. Ma guardando le carte sul tavolo; c’è gente che crede che le picche siano
cuori; questi perdono ma sono convinti di aver vinto. Perdono il discorso razionale, ma la
plutocrazia li mantiene nell’illusione di aver vinto, dando loro briciole sotto il tavolo che
spacciano per panettoni. Cosa possiamo fare noi? Dobbiamo parlare, discutere, far valere i
nostri punti.

Certo i media non sono a nostro favore e ne parleremo poi, ma quello che noi possiamo e
dobbiamo fare nelle strade come su Twitter è discutere anche con chi non la pensa come
noi e persino con l’avversario se necessario. Ma dobbiamo sceglierci bene con chi giocare,
e come giocare questa carta. È inutile parlare a Morisi; quello non ascolta. Ma dobbiamo
scegliere l’interlocutore in modo che il nostro discorso possa essere sentito e valutato.

Stranamente nelle sinistra più o meno extraparlamentare si sta diffondendo una nozione:
bisogna parlare a quelli di Casa Pound. Questo l’avevo già pensato, ma l’ho sentito ripetuto
più volte nei miei viaggi in ecovillaggi e fattorie organiche nel Sud. Pare un concetto molto
strano, anche antipatico, ma io lo vedo ricco di quella saggezza che forse esiste solo nel
Meridione.

Pensiamoci bene; prendiamo i casapoundini come esempio. Da dove vengono? Perché


sono così arrabbiati? Sappiamo tutti che stanno seguendo un mostro. Non c’é dubbio. Ma
molti vengono da un passato di restrizioni (anche culturali, per carità) e di ingiustizia
sociale. E nelle loro urla si fa fatica a sentire quello che in realtà vorrebbero dire ma non
sono capaci; loro hanno bisogno di Giustizia. Attenzione, perché è proprio questo bisogno
che il fascismo usa come carta per insediarsi e cominciare a puntare il dito nella direzione
sbagliata. Loro credono di ottenere Giustizia tramite la repressione altrui; a noi sembra
ridicolo e sappiamo che non la avranno, ma loro lo credono, e lo credono ancora. Certo, il
loro concetto di Giustizia si limita ad uno di “giustizia per se stessi”, ma loro ancora bisogno
ne hanno.

Le varie falsità che ha offerto colui che non si nomina per non far perdere la squadra del
cuore non sono Giustizia. Tenere la Diciotti al largo per giorni e giorni non ha dato
assolutamente niente a queste persone disaffezionante di Ostia o altre periferie squallide. E
basterebbe riuscire a chiederglielo, o farglielo capire. Bisogna puntare il dito nella direzione
giusta. Certo, loro sono diffidenti e non ci vorranno guardare, ma basta quell’attimo in cui
la luce della Verità raggiunge la pupilla, che il seme del dubbio, il dubbio buono, si interra
nella Coscienza.
Detto in modo più pratico, è inutile far loro vedere immagini del duce a testa in giù. Ciò non
fa che inasprire le loro posizioni. Non mi si fraintenda, capisco bene la voglia di far battute
ed anche quella di mandarli a quel paese. Ma è semplicemente contro produttivo. Come
già accennato bisogna chiedigli, “Ma non lo vedi che quello è schiavo delle corporazioni?”
in qualsiasi forma appropriata poi questo si traduca in un post sui media. Ma lasciarli con il
dubbio li vedrà girar la testa per un attimo verso la Verità, che ha il vizietto di riproporsi
ripetutamente nella vita, anche da dietro il velo della menzogna. Noi possiamo certamente
indicare, non forzare, ma indicare, e lasciare che al momento giusto la persona capisca di
aver sbagliato strada.

Certo, ciò non basta, o meglio, forse basterebbe, ma il modo migliore per far vedere che
loro hanno sbagliato è far vedere che noi la Giustizia la diamo anche a loro, e parlo di
giustizia sociale. Nel pensare questo mi domando, “E se un fascistone lo legge e lo passa ai
massoni che controllano la partita? Se questo massone volesse prenderci in contropiede e
dare Giustizia sociale per non perdere il disaffezionato di turno da usare come un
ingranaggio nella sua macchina che non si può che definire infernale?” Il fatto è che la
massoneria appoggia su piedi d’argilla; diciamolo pure, che come architetti e muratori
hanno costruito un colosso senza fondamenta! Il massone non potrebbe farlo, perché si
toglierebbe il cibo di bocca, o meglio, toglierebbe quella rabbia stessa di cui ha bisogno per
manipolare il casapoundino di turno. Specie in questo momento, il sistema ha bisogno di
fomentare rabbia per coprire, colle urla degli iracondi fuorviati, le proprie menzogne. Sono
in un momento di debolezza, ironicamente.

Si potrebbe dire che questo è il difetto innato in ogni piano prestabilito; ha pochissime
opportunità di cambiare una volta che la partita è cominciata (loro la chiamano battaglia).
Difetto interessante anche dal punto di vista logistico; ora che l’ordine (il cambiamento di
istruzioni) arrivi alle truppe, sarebbe comunque troppo tardi. E cosa si mettono a fare, a
fare il parchetto in periferia adesso? Ma che glie ne frega a loro, i cani dei casapoundini ci
pisceranno tra cinque anni. Non possono dare niente per un difetto del loro sistema ma
anche per un difetto della loro strategia. E cosa fanno? Promettono, li abbindolano con
palle. Ma sì, dai, quando va sù quello che ha fatto finire la Lazio in serie C2 tu sarai apposto.
Ma al momento, guarda come ti trattano ed è tutta colpa dei... Sappiamo la storiella. Ma
una storia falsa deve essere raccontata continuamente, perché non può lasciare spiraglio
alla Verità. Per questo la loro propaganda è incessante ed onnipresente. Non può
permettersi di essere altrimenti; è un difetto innato di Satana... Oh, scusate, intendevo dire
la propaganda fascista. Quello non tace per non lasciarti pensare.

Poi vi chiedete perché la Raggi ammicchi così tanto a destra; c’è chi tiene il terreno fertile
per la propaganda fascista.

Ora, il casapoundino è un esempio estremo; prendetelo se volete, come un “case study”;


non si sta qui proponendo che ti putti ora ci si metta a discutere coi casapoundini,
assolutamente. Il bello dell’ecosocialismo e del socialismo è l’autodeterminazione; ci sarà
anche chi si sente pronto per farlo, ed in tal caso consiglio solo di attenersi al far vedere
l’inganno in cui sono caduti.
Ma pensiamo che se per noi Casa Pound è un “case study”, per loro è un esperimento.
Chiediamoci quante persone sono al passo appena prima di dire, “e che me ne frega a me
degli altri?” Questi sono già tutti nel mirino della plutocrazia, e queste sono persone a cui
dobbiamo parlare prima che sia troppo tardi. Bisogna cominciare a guardarci intorno e
cercare il malumore per dare una risposta corretta e concreta; corretta in termini razionali
e concreta in termini di Giustizia sociale.

Per questo opporsi per principio a chi esprime malcontento è sbagliato e controindicato.
Abbiamo già fatto l’esempio degli allevatori olandesi che si lamentano del fatto che,
siccome loro inquinano, uno sforzo per arginare il cambiamento climatico rischia di
danneggiarli. Là mi dicono fonti sicure dall’organizzazione di Fridays for Future è già
arrivato il demagogo di turno di estrema destra a dire che “lui sta con loro”. Qui abbiamo
visto la sceneggiata a finto sostegno dei pastori sardi. È lì che invece bisogna intervenire
offrendo principi e soluzioni reali. Cosa risolve promettere cose e poi servire il mercato che
le rende impossibili? Domanda retorica... Serve solo ad avvicinare le vittime della
propaganda al discorso d’odio e di ingiustizia che sfrutta una necessità di Giustizia.

Come piccola nota in parentesi il fatto che quello che non si può menzionare senza buttare
un pizzico di sale dietro le spalle e i suoi camerati stanno facendo, ovvero promettere a
breve termine per poi tradire poco dopo non è solo un segno di cinismo impressionante; ci
dà anche un’informazione sulla loro strategia. Se avessero intenzione di giocare un gioco a
lungo termine, non farebbero tali idiozie; cercherebbero di allargare il consenso a lungo
termine. Invece tutto indica che loro stiano cercando di avere consenso solo per il breve
periodo in cui può essere reclamizzato sui media per dare l’impressione di un quadro
generale vincente, e che loro intendono chiaramente fare la mossa finale a breve termine.
Semplicemente non stanno usando tattiche che potranno tornare utili a lungo termine.
Prevedere i termini di tempistica del fascismo è chiave del successo, e da quello che vedo
tutti coloro coinvolti in questa partita con grandi responsabilità hanno un’idea chiarissima
di questa tempistica.

Ma andiamo avanti; cosa si sarebbe veramente potuto offrire ai pastori sardi? Sbizzarrite i
colle idee... Io un sussidio pubblico per integrare il loro reddito lo avrei visto come misura
d’emergenza necessaria ed a medio termine. Alla fine non sarebbe costato che qualche
milione massimissimo. Ma poi cosa? Un investimento vero nel settore che preveda sia una
crescita verso l’indipendenza da un mercato che di libero ha solo quanto la grande
distribuzione possa dettare in termini di prezzi ai pastori; una formazione di una
cooperativa di distribuzione alternativa tramite mercatini e tramite internet nonché con
vendita diretta a ristoratori ecc. Anche una possibile conversione a lungo termine anche
parziale o introdotta gradualmente. Ma le dita non si potevano puntare verso i veri
responsabili, le grandi catene di distribuzione, vero? E allora non se ne è fatto niente di
concreto e i poveri pastori hanno dovuto subire pure l’insulto di essere accusati di un
reato... E allora? Perché questa storia non la si racconta agli allevatori olandesi? A cosa
serve soffrire se non ad aiutare il prossimo?

Siamo chiaramente di fronte al fatto che le soluzioni ci sono, anche quelle profonde, e
manca solo la volontà di parlarne ed il coraggio di proporle. La Giustizia sociale e la
Giustizia si nutrono a vicenda. Dove c’è giustizia sociale è più facile parlare di Giustizia, e
dove c’è Giustizia è più facile crescere la giustizia sociale. Ed è per questo che
l’ecosocialismo è la sinistra intera devono aver un progetto integrato di Giustizia e giustizia
sociale. È come disegnare un villaggio: è inutile mettere scuole dove non ci siano strade.

Certo, per molti questi concetti sono palesi, ma vale la pena ribadirli perché intanto si è
notata una disaffezione verso certi concetti anche nei discorsi della sinistra, e poi, secondo
me per osmosi o infezione di ciò che il sistema dominante ha imposto, con un falso
empirico, l’idea che concetti palesi non si possano realizzare, e la plutocrazia lo ha fatto
non realizzandoli o realizzandoli (volutamente) male per poi farci credere che non siano
realizzabili.

Ma parlando di scuole e vie, allarghiamo un attimo il discorso e pensiamo alle periferie, che
purtroppo di vie ne hanno tante ma mancano sia di parchi che di luoghi d’incontro. È
proprio nelle periferie che si annida il malcontento e dove la destra estrema ha applicato la
sua propaganda falsa e menzognera. Sappiamo tutti la storia, ma devo dire che quando
Zingaretti disse che voleva riportare il PD nelle periferie non solo disse cosa corretta e che
approvo, ma riconobbe uno sbaglio storico suo partito.

È proprio nelle periferie che l’ecosocialismo e la sinistra dovrebbero trovare terreno fertile;
laddove c’è più bisogno di collettività, verde, Giustizia sociale ed opportunità per tutti è
ben ora che si cominci a parlare di soluzioni e non solo del malcontento che tutti ben
capiamo per poi fornire specchietti per le allodole. Come atteggiamento, non si può
sdegnarsi se chi vive in periferia butta il pacchetto di sigarette per terra; certo, noi siamo
anni che non lo facciamo e ci sembra cosa incivile. E lo è. Ma invece di sdegnarci,
potremmo cominciare a chiederci perché tale persona in primo luogo fuma, e poi sia
arrivata al punto di non avere nemmeno più rispetto dell’ambiente in cui vive. Lo sdegno
serve a poco come soluzione, anche se è reazione lecita, ma magari da non dirigere verso
chi, a volte può avere problematiche veramente serie, necessità molto pressanti, e
sentendosi accusato dal nostro sdegno non fa che girarsi dall’altra parte e vedere il solito
dito puntato a chi è ancora meno accettato di se stesso. Se guardiamo bene ai nostri
principi di sinistra, quelli che io mi ricordo erano così presenti al tempo del liceo, ci
accorgiamo subito che qui verremmo meno ad uno fondamentale: è la società che deve
essere curata e non l’individuo che deve essere criminalizzato. Sia ben chiaro, anche io ho
avuto momenti di sdegno spesso e volentieri, ma poi ci si pensa sù un attimo e ci si ricorda
che non sono loro il problema; loro sono le vittime. Capisco anche che a volte è difficile
mantenersi lucidi su queste cose, forse proprio perché piccole ma quotidiane, cose che
irritano, ma dovremmo fare tutti uno sforzo.

In periferia, ed ora ribadirò l’ovvio, ci vogliono parchi, piazzette, mercatini, associazioni


culturali e sociali, specie se cooperative, opportunità di educazione anche al di fuori del
percorso tradizionale... E mi fermo un attimo; ma lo sapete che in Gran Bretagna ogni
comune o quartiere gestisce un college pubblico gratis per chi è meno abbiente e
comunque economico, si parla di un centinaio di sterline l’anno per iscrivessi che fa corsi
anche riconosciuto che noi manco ci sogniamo? Dalla cucina alla letteratura,
dall’agopuntura e la riflessologia al giardinaggio. E noi cosa aspettiamo? Veramente, cosa
aspettiamo?
Ma cosa può importare ad una persona di proteggere l’ambiente se non ha neanche un
cestino per la strada? E chi vive al Sud lo saprà bene che le soluzioni sono tre: o ti metti la
spazzatura in tasca, o vai in giro con il tuo sacchetto dell’immondizia, o la butti per strada.
Chiediamocelo, e offriamo una risposta. C’è gente che stenta a tirare a fine mese, gente
che non ha accesso ad alcun luogo di ritrovo o attività ricreativa, gente che non ha modo di
spostarsi... Bisogna cominciare a risolvere questi problemi, che non sono irrisolvibili. Nel
Sud, lo conoscono tutti il discorsetto mafioso del “vota quello là che ti do un contentino”, e
“quello là” è quasi sempre di destra (e a volte porta pure sfiga!); è inutile fare finta di non
saperlo. Il voto di scambio è reato, ed andrebbe perseguito seriamente. Che si investa
fortemente nel fermare tale fenomeno. Non è difficile pensare che un tale crimine contro
la Democrazia direttamente debba avere risorse adeguate per essere affrontato. Sappiamo
già cosa ci vuole; ci vogliono agenti preposti che lo osservino e lo denuncino
immediatamente. Già solo togliere la sicurezza di farla franca a chi lo commette (e parlo dei
politici, non dei cittadini, che a volte lo fanno pure per necessità) lo farà diminuire
significativamente. E quanto costerebbe? Facciamo cinquanta milioni? Sovrastima
probabilmente, ma ben investiti comunque. E scommettiamo tutti una birra che al Sud si
vedrà un crollo della destra? Al contempo la sinistra deve proporre un discorso diverso:
fregatene di “chi,” pensa a quali soluzioni ti serviranno nel breve, medio e lungo termine.
Non solo, la sinistra deve far vedere che soluzioni ne realizza. Ecco ancora che Giustizia e
Giustizia sociale si devono muovere in modo integrato. Le soluzioni ci sono, basta
applicarle.

Le periferie vanno ristrutturate da cima a fondo; abbiamo periferie che fanno veramente
schifo e non sono degne di essere abitate. Se lo stato è giusto, lo stato deve investire, ed
investire somme considerevoli, ma che non vadano ad arricchire le tasche dei soliti
plutocrati che, se leggessero questi paragrafi già farebbero progetti coi loro cavolo di
“pitch” e presentazioni grafiche che nascondono solo una cosa; che non glie ne frega
niente delle periferie, ma che se ne interessano per un solo motivo: trarne profitto. Certo,
non si escludono interventi privati, ma questi dovrebbero intanto dimostrare un vero
interesse nella causa su cui si propongono di lavorare, e poi, laddove possibile, essere di
piccole società specie locali. Ma ancor più bisognerebbe pensare ad un piano di formazione
di cooperative della gente locale. Questo darebbe ossigeno non solo alla crescita culturale
e sociale locali, ma anche all’economia, di cui poi i piccoli privati locali trarrebbero vantaggi.
Semplice; si fa una cooperativa locale per fare un parchetto a spese pubbliche, i salari
rimangono in zona e vengono spesi nel panificio locale. E pensiate che costi di più che far
intervenire una corporazione con sede in Lussemburgo per eludere tasse che porti il
disegno di un famoso architetto svizzero e poi impieghi personale che spenderà solo i soldi
per un caffè nella zona in cui lavora? E che conoscenza rimarrebbe alla gente locale dal
guardare le opere da dietro le sbarre del cantiere? Quale rispetto avrebbero per l’opera
compiuta? Se invece fosse veramente frutto del lavoro di chi abita in zona, stiamo sicuri
che al vandalino di turno si direbbe la cosa giusta, non “Sei un criminale,” ma “questo l’ha
fatto mio zio!” Dobbiamo guardare al degrado delle periferie come un'opportunità per far
crescere l’economia, la società, l’autonomia e la cultura locale, non per arricchire la
corporazione di turno.

Anche il discorso dei comuni rurali non è semplice. Viaggiando per la Sicilia ho visto
benissimo come tanti comuni di sinistra siano gestiti bene, penso ad esempio a
Castelbuono, paese pulito, verde, vitale e molto di sinistra. Ma se certe realtà rimangono
nascoste, come si fa a spiegare che si può fare di meglio a chi vive in paesi fatiscenti?
Ovviamente sappiamo del voto di scambio in tali comuni, ma un altro problema è il loro
isolamento culturale, che la destra antidemocratica ha sfruttato in due modi diversi. Al
Nord ne ha sfruttato il relativo benessere ed ignoranza, nel senso puro della parola, di
mancanza di conoscenza, del fenomeno dell’immigrazione; al Sud ne ha sfruttato la
tendenza al tradizionalismo e povertà. Ma questo è parte del problema, non la soluzione, al
solito.

Certamente la cultura e l’educazione si propongono come soluzioni naturali dove la causa


del problema sia la loro mancanza. La mancanza di mobilità di tali popolazioni, spesso
chiuse in se stesse è certamente un altro fattore. Trasporti pubblici capillari e frequenti
anche nelle zone meno abitate sono un diritto ed una necessità. Se poi potessero anche
parzialmente essere gestiti da cooperative, sappiamo che l’ecosocialismo ed il socialismo
vedrebbero non solo un'opportunità di crescita dell’economia locale ma anche un motivo
di aggregazione. Rompere l’isolamento di tali posti è una via percorribile. Quando chi vive
nel paesello diroccato arriva su Via Sant’Anna a Castelbuono con il pulmino elettrico di una
cooperativa locale noterà, sotto le illuminazioni con i titoli delle canzoni di De André, un
mercatino locale, negozi ben tenuti con vasi di fiori e cespugli, cestini della spazzatura
incluso quello per le batterie, gente in piazza, i circoli di conversazione nella piazza e si
domanderà, “Ma come minchia è che qua funziona tutto nel mio paese non c’è niente?” E
la risposta non è difficile da vedere.

Al Nord prevedo che la partita sarà più lunga purtroppo. Sì, sono contro corrente; nel Sud,
io, ecosocialista, vedo un potenziale enorme di cambiamento e crescita. Al Nord vedo un
muro non tanto di ignoranza, ma di collusione che funziona tra alcune fasce sociali e la
plutocrazia. La collusione del Sud c’è, ma chiaramente non funziona, nel senso che non
arriva niente a chi si lascia convincere, se non briciole. Quelli vanno tenuti nel malcontento,
per usare il pensiero della plutocrazia corrotta e probabilmente pure il suo tono di
disprezzo... Ma al Nord esiste una collusione diversa, basata in particolare modo sul tacito
intendimento che la destra lascerà evadere gli arricchiti. Ah, dimenticavo; nel programma
elettorale delle destre antidemocratiche quello che conta non è ciò che è scritto, ma ciò che
non nominano: in Italia l’evasione, appunto. Sarà difficile far veder loro il bene di una
società giusta perché per decenni sono stati premiati dal sistema corrotto che ha rovinato il
nostro paese. Il contadino del Sud non fa fatica a tirare a fine mese per arricchire il libanese
né l’operaio del Nord, ma per arricchire le corporazioni in primo luogo e permettere
all’impenditorotto varesino di fare un saltino in Svizzera al weekend per far benzina e
lasciare giù un bel gruzzoletto sul suo conto in banca.

È quella fascia alto borghese disonesta (e non dico che tutti gli alto borghesi lo siano; si
legga come post-modificazione lessicale e non come epiteto) che forma lo zoccolo duro
della lega oggi e che fornì a Berlusconi la base del suo elettorato. Sarà la stessa classe
l’ultima a scendere dal carro del vincitore quando non vince più. Ma loro, sotto la guida
della plutocrazia, che sa benissimo come dare indizi senza dare nell’occhio, un po’ come i
bari esperti del poker, saranno i primi a saltare sul nuovo carro, carroccio o carrettino in
offerta.
Ce la si può benissimo fare anche senza di loro; sono in realtà una minoranza piccola del
nostro paese, che conta, a livello elettivo una quota appena al di sopra o delle due cifre.
Ma io devo ammettere che il pensiero di promuovere attivamente cooperazioni proprio là
dove esiste più evasione di basso tenore è forte, anzi fortissima. Qui si potrebbe vedere un
grande confronto tra due modelli; quello cooperativo e quello imprenditoriale. Certo, il
gioco deve essere onesto. E saranno gli imprenditori disonesti quelli ad essere
naturalmente deselezionati a mio avviso.

Perché? Perché l’imprenditore onesto ed illuminato non fa fatica a trovare dipendenti. La


qualità del rapporto di lavoro conta tantissimo nelle scelte fatte dai lavoratori. Sempre che
si abbia una scelta. Ora non è così. Tengono il mondo lavorativo (volutamente) in una
situazione che svantaggia il lavoratore. Ma se si aprissero cooperative, guardiamo due
scenari: Giorgio ha un buon posto in una ditta di scarpe dove si trova bene perché
l’imprenditore è illuminato; anche Simona lavora in una ditta di scarpe, ma tutti i giorni
deve andare al lavoro sapendo che l’imprenditore evade, truffa, e spesso in tali profili
rientrano trattamenti sgradevoli dei lavoratori, si sa bene... Si apre l’opportunità di andare
a lavorare in una cooperativa. Chi sarà il primo a voler cambiare? Un nuovo lavoro ha
sempre un minimo di incertezza. Chi sarebbe motivato ad affrontarla?

Dico questo sulla base di tre fattori: l’esperienza di milioni di lavoratori, il fatto che un
disonesto sia molto più probabile che si comporti disonestamente sia collo stato che col
dipendente ed infine il fatto che l’evasione specie in tale categoria si basa moltissimo sul
lavoro in nero. Ora, sappiamo che il lavoro in nero è un problema grande e complesso, e
anche questo deve essere affrontato dal punto di vista della Giustizia vera e giustizia
sociale. Non si preoccupi chi ha bisogno di lavorare in nero; non si sta qua proponendo di
lasciare alcuna persona senza lavoro. Si sta qua proponendo di migliorare le condizioni di
lavoro di chi al momento è in nero. Processo lungo, vero, specie nel nostro paese, che deve
essere fatto anche con una riforma fiscale adeguata, di cui parleremo a breve. Si parla però
intanto di dare almeno l’opportunità a chi è in tale situazione di uscirne dignitosamente,
magari tramite cooperative; secondo di rispettare il concetto di Giustizia per cui non si può
e non si deve tenere responsabile chi compie atti per necessità. Semplice: se lavori in nero
perché devi portare il pane a casa, ti si dà l’opportunità di uscirne anche riconoscendo quei
lavori occasionali anche pagati in contanti, cosa che già accade in Gran Bretagna ed altri
paesi, dove per tali lavori semplicemente non è richiesta alcuna dichiarazione. Qui non si
tratta di penalizzare, ma semplicemente di riconoscere una realtà e legittimizzarla. Lo è già
legittima, ma è illegale. È legittima perché dettata da necessità (è un necesse esse) ma è
illegale perché la legge non la approva. È un po’ come il discorso sulla cannabis. La Giustizia
vede ben oltre certe falsità; la Giustizia deve sempre riconoscere il principio della necessità.
Sento alcune critiche e le affronterò più avanti.

Si tratta anche però di cambiare il mondo del lavoro in modo che tale soluzione non sia
l’unica possibile. Si devono avere opportunità di scegliere se lavorare in quello che oggi è
detto nero e avere un lavoro stabile e con i vari benefici che ne seguono. Sia chiaro, ad
alcuni va bene lavorare saltuariamente e portare a casa quattro soldi; e non vedo cosa ci
sia di male a patto che sia una scelta indipendente. Gli altri preferirebbero un altro tipo di
impiego e bisogna che la società glielo offra. La soluzione più semplice rimane la
promozione di cooperative.
Pensando ad una possibile critica, certamente anche promossa dal dibattito attuale, si
potrebbe dire che se si permettesse ciò, tanti si metterebbero a pagare in contanti e quindi
si arricchirebbero senza pagar tasse, ed allora bisogna imporre il pagamento via carta di
credito, banca ecc. Un attimo... A parte il fatto che io abbia i miei dubbi su tale promozione
dell’uso del pagamento “in plastica”, ciò è vero solo se si mantiene il pagamento in nero
come tale. Se si permette un limite alle entrate in contanti non tassabile, e si richiede
fatturazione semplice da entrambe le parti, il problema diminuirebbe enormemente. Ci
potrà essere ancora chi nasconde soldi sotto il letto, ma intanto non sarebbe più
incentivato a farlo, poi ci rendiamo conto che il suo nome apparirebbe comunque sulla
fatturazione di chi glie li ha dati? Basta inserire il codice di una persona nel computer per
vedere quanto è stato pagato in un anno. Anche in contanti.

Si possono pensare anche a cuscinetti fiscali come in Gran Bretagna, dove chi lavora
veramente saltuariamente può essere pagato anche in contanti senza fatturazione; l’ho
visto fare persino dalla Polizia... Dare 50 sterline ad un poverello per fare un lavoretto di
manutenzione in centrale è un atto di generosità sociale, non evasione fiscale. E quel
poverello era una bellissima persona...

Non bisogna temere; tutto ciò si può e si deve solo implementare congiuntamente con una
riforma fiscale seria. Dico si deve per un discorso di Giustizia. Non si può pretendere che chi
stenta a tirare la fine del mese passi dal nero ad un sistema di fatturazione semplice se non
si garantiscono i diritti fondamentali. Quanto ha bisogno un singolo per vivere
decentemente? 10.000 o 15.000 euro l’anno? Bene, sui primi 10.000 o 15.000 euro lo stato
non ha diritto di porre tasse; lo dice la Costituzione. Sì, perché essa in realtà restringe il
diritto alla tassazione dello stato; l’Art. 53 dichiara, “Tutti sono tenuti a concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.” È un principio molto
interessante, perché tale capacità dipende dall’avere un surplus sul necessario per vivere
decentemente e dignitosamente, o andrebbe contro i principi della Costituzione stessa e
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; ricordate la parola “dignità” nell’Art.1? Ci
ricordiamo come la Costituzione non può e non deve essere mai letta come privativa di
diritti personali inalienabili? La dignità è uno di quelli.

Ci rendiamo conto che in Gran Bretagna non si paga un penny sulle prime 10.000 sterline,
mentre qui la prima fascia IRPEF va dagli 0 (!!!) ai 15.000 euro ed è del 23%? Ovvero se
guadagni 50 euro ne devi pagare 11,5 di tasse mentre in GB se guadagni 9.999 sterline non
devi nemmeno fare la dichiarazione dei redditi? Lasciamo stare che ci vuole mezz’ora a
farla nel paese di Sua Maestà. Ma la cosa scandalosa è che tale tassazione in Italia non è
solo palesemente ed inconfutabilmente ingiusta; è anticostituzionale. Come si fa a
sostenere il principio per cui chi non ha abbastanza per sopravvivere abbia “capacità
contributiva”? Ci stanno chiedendo di morir di fame pur di pagar le tasse? Nessuno ha
capacità contributiva se non ha capacità di sostentamento. Vorrei vedere chi possa
sostenere questo principio. Vivere è il più basilare dei Diritti Umani, e non può esistere
legge alcuna in nessuna parte del globo che si opponga e di fatto o di principio si opponga a
tale principio. In breve, lo stato deve ai poveri una fortuna. E i diritti sono retroattivi in
Italia.
È vero che esistono esenzioni in Italia, ma il concetto rimane sbagliato. Io sono molto a
favore del fatto che pensionati sotto gli 8.000 euro siano esenti, e figurarsi, da un ex
simpatizzante di DP… Anzi, secondo me la pensione non è reddito, ma solo riprendersi un
prestito fatto allo stato. Ma la Giustizia è Giustizia e non esiste alcun principio per cui non si
debba passare un sistema di tassazione equa che non faccia distinzioni di categoria. Da un
lato, il sistema iniquo dà una bella scusa (e sappiamo come funziona bene avere una scusa)
a chi può evadere per poterlo fare. Chiaro, un sistema equo si introduce coi controcoglioni,
non deve essere un modo per chiudere un occhio verso chi evade, anzi, deve essere un
modo per evitare che chi può si avvalga di questa scusa per evadere e chi non può se la
piglia là dove il sole batte solo sulle spiagge dei naturisti.

Ribadiamo alcuni concetti fondamentali della Democrazia e della sociologia, che sono
rispettati nella Costituzione, o personalità, dello stato italiano: è la società che ha
responsabilità di cura verso i bisogni dell’individuo ed è lo stato che serve il cittadino e
residente, non il contrario, che implica un principio autarchico e dittatoriale. Tassare sotto
la soglia di ciò che la persona necessita per sopravvivere infrange entrambi i principi.

Tra parentesi l’IRPEF tassa la Persona Fisica e lo stato non ha alcuna giurisdizione sulla
Persona Fisica per Diritto Internazionale, cosa che andrebbe un attimo analizzata. Ma
questo è un discorso che si farà nei prossimi anni.

Ci vorrebbe anche uno scaglionamento più dettagliato ed ovviamente una semplificazione


della tassazione; io ricordo nel paese straniero già menzionato tante volte che sotto la
soglia ti chiedevano di non presentare la dichiarazione dei redditi; inoltre si inserivano i dati
anagrafici, quello che per loro è il codice fiscale, quanto si era guadagnato e quanto si
volesse detrarre, e poi il modulo calcolava automaticamente le tasse da pagare (l’anno
dopo in questione) e con l’esplicita richiesta di non includere documenti perché avrebbe
“rallentato” il processo. Due cifre, solo due cifre da inserire. Allora si può fare! Io non dico
di passare dall’oggi al domani ad un sistema così semplice; ma un sistema così complesso
non è semplicemente accettabile. Certo, se chiunque però può scalare visite, spese per
medicine, prestazioni, persino spese per educazione e donazioni di beneficenza ecc...
Cominciamo a vedere come il loro sistema si avvale di un processo virtuoso per combattere
l’evasione, quella vera. Ah, e eventuali rimborsi arrivano entro un mese...

Ma qui abbiamo perso di vista il vero elefante dell’evasione e della tassazione. Le


corporazioni che evadono ed eludono. Mentre per i poveri esiste un sistema che è
complessissimo e penalizzante al punto di infrangere i diritti fondamentali della persona,
per le corporazioni ad un tratto tutto si ribalta. Loro sguazzano, con il loro contabili e legali,
nella complessità che, guarda caso dà risultati interessanti. A livello mondiale le
corporazioni eludono (loro non evadono, “eludono”, capito?) almeno 550 miliardi l’anno ed
in Italia si tratta di almeno 24 miliardi, ovvero la manovra finanziaria in corso. Sono
convintissimo che siano sottostime, ed infatti si parla di “almeno” (Panorama, 24
settembre 2019), ma anche presi così, si tratta di almeno mille euro per famiglia, ogni
anno. Abbastanza per togliere le tasse ai più poveri come si dovrebbe e non dover neanche
fare una correzione fiscale. Si parla di mille euro per lavoratore, anzi un po’ di più. E questo
in aggiunta allo sfruttamento dei lavoratori...
Sembra ovvio che questo sistema sia arrivato al punto di negare un diritto fondamentale ed
inalienabile degli Esseri Umani per arricchire le corporazioni. Non è più possibile né
accettabile tollerarlo. Semplicemente, non ha diritto di esistere ed è in realtà in bancarotta
fraudolenta. È chiaro che i soldi e le risorse rubate con truffa dalle corporazioni devono
tornare a chi è stato derubato; non importa quanto complessa sia la truffa, rimane una
truffa.

E allora? E allora vuol dire che siamo noi che abbiamo la partita in mano; e saremo noi a
mostrare gentilezza. Che il risarcimento possa essere fatto in comode rate si può anche
pensare, ma devono essere comode per il Popolo, non solo per le corporazioni (riferimento
ai 49 milioni puramente voluto). E se parte di tali fondi fossero passati allo stato col vincolo
che si debbano usare per opere pubbliche di vero valore socioculturale ed anche per
permettere che le persone divengano economicamente autosufficienti tramite cooperative
si potrebbe allora vedere anche un compromesso. Certo, questo discorso non piacerà alle
corporazioni; ma prima o poi deve essere affrontato ed ormai stanno giocando a carte
scoperte e centinaia di milioni di persone in tutto il mondo sono al corrente della truffa, se
non miliardi. È un discorso di Giustizia e la Giustizia si realizza.

Prendiamo un respiro profondo... Capisco che arrivare fino a questo punto nel seguire e
servire la Giustizia possa causare reazioni opposte e comunque scioccanti; da un lato la
prospettiva di restituire il maltolto ai bisognosi derubati, dall’altro la prospettiva di un
cambiamento radicale. Radicale lo sarà. Le corporazioni sono destinate a sparire dalla
faccia della Terra a mio avviso. Ma ricordiamoci che radicale non significa “repentino” ma
“profondo” e “fondamentale”. Noi siamo e rimarremo per la rivoluzione gentile, e se da un
lato le corporazioni meritano di rispondere di tutti i loro crimini immensi, la nostra
responsabilità non è e non sarà mai verso di loro, persone non fisiche per definizione
(questa è la definizione legale di corporazione) e quindi che non godono di Diritti di Natura
e non sono in grado di soffrire. La nostra responsabilità va verso tutte le persone fisiche che
potrebbero soffrire da un cambiamento repentino. La via verso l’inesistenza delle
corporazioni sarà lunga ma sicura. Ma al contempo bisogna assolutamente proteggere gli
interessi delle persone la cui vita dipende dalle corporazioni.

Ciò però non vuol dire farsi tenere sotto scacco con la minaccia di chiudere i battenti e
buttare gli/le impiegati/e e gli/le operai/e in mezzo alla strada. Si ricordi che questa è una
minaccia allo stato, alla società ed al Popolo e quindi aggravante serissima. Non deve
passare nemmeno come sussurro da “fonti ignote”. Loro hanno, al contrario, proprio come
conseguenza delle proprie azioni, il dovere assoluto di proteggere i loro “dipendenti”, e se
non lo osservano, non solo dovranno restituire il maltolto, ma saranno espropriate di tutti i
beni da loro accumulati e sciolte. Chiaro che ciò pare difficile col clima geopolitico mondiale
odierno. Chiaro che ciò succederà solo quando esisterà una Legge mondiale sul diritto delle
corporazioni che abbia una minima autorità nella Giustizia. Al momento, la Legge stessa
sulle corporazioni non ha autorità, quindi in realtà non hanno diritti. Ma questo è il
discorso geopolitico che si farà in proposito nei prossimi decenni. A chi si affacci a questo
scenario oggi ciò pare quasi impossibile, ma esistono giuristi a livello mondiale che già si
stanno occupando di questo argomento, e chi da tempo stia guardando la maschera del
corporativismo sciogliersi alla luce della Verità ha già intuito che questo è lo scenario che si
sta aprendo. Chi poi guardi lo sviluppo geopolitico del pensiero, si è accorto che, se da un
lato la plutocrazia sta tirando calci e pugni, lo sta facendo perché sa che la sua esistenza è
vicina alla fine, un po’ come le vespe in autunno, punge perché innervosita dal prospetto
della sua fine imminente. Non solo, chi guardi da vicino il pensiero geopolitico sa che ormai
il discorso del socialismo è diventato uno dei discorsi principali anche nel paese dove fino
poco fa sarebbe stato considerato tradimento solo menzionarlo: negli USA e parlo di Bernie
Sanders che in questi giorni è arrivato a proporre addirittura che le cure dentistiche siano
un Diritto inalienabile... Sono segnali positivi ma si parla comunque di decenni.

Comunque, qua in Italia è dovere dello stato intervenire in situazioni in cui l’interesse
privato si metta in diretta opposizione all’interesse del Popolo e dei lavoratori, ed
avendone il dovere, ne consegue tutti i diritti ed i mezzi per seguire il proprio dovere.
Anche questo fa parte della personalità dello stato italiano, di fatto, se rispettata, una
personalità protosocialista. E ciò è vero anche in gran parte d’Europa. Lo è e lo sarà in
Sudamerica; lo è in India, lo è in molti paesi islamici... Insomma... la maggioranza del
mondo è fatta da stati dove il capitalismo non ha diritto di regnare, ma è per definizione
soggetto allo stato.

Ma scusate, sono tornato su un discorso geopolitico... Lo stato italiano, si diceva, ha un


dovere di intervenire nella difesa dei lavoratori; bene, e purtroppo ciò non è successo come
avrebbe dovuto succedere. Tale dovere è stato spesso usato per intervenire a proteggere
non “il lavoro” su cui si fonda la Repubblica, ma il “datore di lavoro” (altro doublespeak:
“sfruttatore” è la parola corretta) ed i suoi interessi. Il caso Alfa Romeo penso sia esempio
storico ed eclatante. Non esiste un principio per cui lo stato debba proteggere gli interessi
del capitalista per proteggere il lavoro; lo si fa come scusa tante volte (non sempre, ma
spesso). Il caso ILVA lo mostra; là si era imposto un contratto colla corporazione che la
obbligava a proteggere il lavoro, nel senso del lavoro dei dipendenti. Ora, grazie alla mossa
diversamente intelligente del governo giallonero che ha rotto tale contratto togliendo il
tanto discusso scudo fiscale, lo stato ha di fatto liberato l’ILVA da tale contratto. In parole
povere, è venuto meno al suo dovere, e si tratterebbe di un caso di tradimento verso il
Popolo ed i principi, persino la personalità, dello stato steso che si potrebbe ipotizzare. Ora,
poco conta il dettaglio di questi punti che poi dovrebbe essere stabilito in una corte di
tribunale, ma il principio fondamentale resta e si vede che è applicabile. Lo stato italiano ha
dovere di intervenire qualora una corporazione metta a rischio il lavoro dei dipendenti.

Penso che questo chiuda il cerchio: la società ha diritto di difendere il lavoro e lo stato ne
ha il dovere. Noi siamo la società, il Popolo, e dobbiamo usare questo diritto, come quello
di avere il maltolto rimborsato, nel modo più gentile possibile. Se da un lato urge fermezza
nel difendere i diritti altrui, quindi quelli dei lavoratori, urge anche gentilezza nell’ottenere
Giustizia da chi li ha infranti. Siccome siamo noi ad avere le carte vincenti di questa partita
senza alcun dubbio dobbiamo pensare di giocarle nel modo meno aggressivo possibile. Se
si guarda quello che sta succedendo nel mondo oggi con Trump, Johnson, anche colui che
se nominato porta maltempo, atto accertato su Twitter di recente, e non parlo del
Colonnello Bernacca, la reazione da parte della Giustizia anche nella forma delle sue
istituzioni è immensamente più gentile degli atti degli stessi. Trump incarcera bambini in
campi di concentramento, e viene sottoposto ad impeachment. La contro reazione alla
plutocrazia da una parte deve essere efficace, dall’altra deve assorbire il colpo per evitare
che chi ne soffra siano poi le persone coinvolte, spesso i più deboli. Questo è parte
integrante del metodo. Assorbendo parte dell’aggressività del colpo si toglie loro il pretesto
di reagire.

Visto il principio, magari parliamo dei passi necessari. Intanto bisogna impedire che le
corporazioni truffino altri soldi; avendo letto la direttiva anti elusione dell’UE già citata che
entrerà in vigore nel gennaio 2020, devo dire che questo passo è già saldo: le corporazioni,
come accennato, non potranno spostare capitale, risorse o lavoro da un paese all’altro
senza prima pagare le tasse sullo spostamento. Si guardi ancora come il loro punto forte si
è, con semplicità, trasformato nel loro tallone d’Achille. La Giustizia è cieca davanti alle
differenze tra le persone, ma ha occhi da falco quando si parla di strutture, come è giusto
che sia. Questo è un passo importantissimo, ma ovviamente bisogna assicurarsi che non si
diano anche all’evasione. Abbiamo già detto che esse si approfittano di cavilli legali e della
complessità della legge, ma bisogna anche mettere le risorse nel posto giusto. Non
dovrebbero nemmeno sognarsi di poter agire senza essere controllate, e purtroppo lo
fanno. I controlli si fanno spessissimo su commercianti, bancarellisti e anche chi vende
quattro stracci per strada per evitare di chiedere l’elemosina; io penserei prima di
controllare chi guadagna di più e quindi è a rischio di evadere di più. Certo, il controllo su
un commerciante di provincia è suscettibile a corruzione, mentre quello su, per esempio, la
Fininvest non ha, dato l’alto profilo ed il numero degli ufficiali coinvolti, opportunità di
corruzione facile. Se si parla di corruzione o abuso d’ufficio in controlli di tale spessore, si sa
che questi avvengono sotto gli occhi della Magistratura, mentre la caciotta dal formaggiaio
finisce direttamente in tavola.

Si intenda bene che non sto dicendo che tutti gli ufficiali sono corrotti, anzi, altrimenti non
avremmo avuto Mani Pulite e Berlusconi sarebbe incensurato, ma se il sistema permette la
corruttibilità, prima ancora di guardare alla responsabilità degli individui, dove, ricordiamo,
dobbiamo sempre garantire non solo Giustizia, ma anche gentilezza, bisogna correggere il
sistema. Punire (parola che non amo) chi ha sbagliato non offre soluzione al problema. Sia
chiaro che ci siamo resi tutti conto che ci sono discorsi molto importanti da fare al riguardo;
scandali che avrebbero dovuto fare i titoli dei telegiornali per settimane sono passati in
sordina. Penso alla pagina Facebook con solo membri della Guardia di Finanza dove si
minacciava persino di assassinare parlamentari, penso al caso Cucchi ed ovviamente all’uso
di parte della Polizia di Stato come Guardia Pretoriana di colui che gira l’Italia su palchetti
incrementando il commercio di peperoncini di plastica e santini contro la malasorte. Non si
può chiudere gli occhi davanti a tali scandali; bisogna però uscire dal discorso dello
scandalo e mettere le cose apposto, che vuol dire anche pensare a riforme strutturali che
impediscano che ciò accada. È un principio dell’ecosocialismo, come abbiamo visto, che
nulla togliendo alla fiducia nelle persone, se si vuole lasciare un mondo migliore non
possiamo farlo sperando che nascano persone fidabili, ma solo cambiando le strutture che
lasceremo loro in eredità, perché ai nostri figli, noi lasceremo delle persone solo la storia,
ma le strutture da gestire.

Purtroppo, avrete notato, un approccio integrato ai vari problemi può portare a quelli che
sono di fatto streams of consciousness; stavamo parlando di corporazioni e siamo finiti a
parlare di corruzione in chi ha il dovere di servire il Popolo ma finisce, non solo per scelte
sbagliate, ma tramite le strutture del sistema e cattiva amministrazione, a servire la
plutocrazia. Allora ci siamo capiti; è ovvio che chi è a rischio di evasione di milioni o miliardi
debba essere un soggetto di priorità nelle indagini, e non chi dimentica di fare lo scontrino
una volta ogni tanto. E basterebbe una legge di regolamentazione che metta come priorità
all’evasione fiscale “possibili evasioni da centomila euro in sù” (ho abbassato la soglia,
tanto per fare il bischero) così di fatto correggendo, se pure in parte, il sistema.

Devo dire che anche qua vedo segnali positivi; mi sembra sia chiaro che io non sia un
grande sostenitore del M5S, ma Conte ha messo in tavolo la proposta sia di detenzione per
grandi evasori (cosa che incontra un ostacolo di cui parleremo tra poco, la natura stessa
delle corporazioni, che non si possono incarcerare) che la priorità di bloccare la grande
evasione. È la direzione giusta a prescindere dalle simpatie politiche o partitiche.

Io ribadisco anche, visto che siamo sul discorso, il mio sgomento al fatto che le Forze
dell’Ordine non siano in tutto e per tutto alle dipendenze della Magistratura, che è, si noti,
un corpo molto più collettivo nella sua struttura e nei suoi sistemi che l’esecutivo, che
invece è, tra i poteri dello stato, quello più gerarchico in assoluto. Quando i fasci dipinti di
verde perché daltonici (o forse per qualche antico rito scaramantico di origine padana)
parlano di “colpo di stato della Magistratura” intanto mi devono dare un caso in cui sia mai
successo, secondo sproloquiano, perché un colpo di stato è per natura gerarchico cosa che
non si addice alla Magistratura; ma quando mai è esistito un leader della Magistratura? È
come lo farebbero loro un colpo di stato senza leader? È invece quasi sempre dall’esecutivo
che golpisti di vario tipo crescono come funghi.

E il problema è che se si guarda la storia dei colpi di stato, sono quasi sempre due i
protagonisti, anzi due più uno: un politico, un militare e i media collusi. Ed è esattamente
quello che tanti hanno intravisto quando il famoso personaggio emanava la sua iettatura
direttamente dal Viminale. Dei tre cardini del colpo di stato, uno è “scardinato” al
momento. Ora, non possiamo mai più rischiare che ciò che accada. Ma ci vuole tanto a
cambiare da “la Polizia dipende dal Ministero dell’Interno e la Magistratura ne dispone” a
“la Polizia dipende dalla Magistratura ed il Ministero dell’Interno ne dispone quando nel
suo ruolo di garante della sicurezza”? Ciò libererebbe tantissime risorse spesso sprecate (a
cercar spinelli o perquisire gente colla pelle troppo scura per poter vivere in Pace) da
circolari del Viminale che potrebbero veramente essere adoperate per quella che è una
necessità nonché loro funzione: servire la Magistratura nelle indagini.

La Guardia di Finanza è l’immagine speculare della Polizia; fa capo al Ministero


dell’Economia, che quindi dipende da una volontà politica. Ma qualcuno mi sa spiegare
come sia una volontà politica che abbia il diritto di amministrare Giustizia nel settore
economico? Ci possiamo porre questa domanda ad infinitum, ma non riusciremo mai a
trovare una risposta logica. Sappiamo benissimo, e sarebbe da beoti far finta di non
saperlo, che la plutocrazia ed il potere economico influenza, se non controlla direttamente,
politici e la loro politica. Pare evidente che un ministro corrotto (e la storia ci insegna che è
difficile trovarne altrimenti) o solo asservito (non so quale sia la differenza) possa, ed anzi
sia propenso ad utilizzare la Guardia di Finanza per favorire le corporazioni, magari
impegnandola con circolari in ispezioni su piccoli evasori, o persino basando la sua politica
sulla lotta alla piccola evasione (che poi divenga meno efficace tramite corruzione di basso
livello poco conta, anzi, fa comodo al sistema).
E cosa dobbiamo assicurare noi? Non che tale politico non sia propenso a fare ciò... Già si
nota che sarebbe rischioso, che tanti si faranno abbindolare, che tanto i ministri non li
scegliamo noi, e che, onestamente, sarebbe come cercare il pelo nell’uovo. Noi dobbiamo
per dovere verso i nostri figli e la Giustizia garantire che non lo possa fare. È la soluzione
c’è: si chiama Giustizia e correttezza del sistema. Si potranno ovviamente vedere occasioni
in cui il ministro incaricato abbia bisogno di disporre della Guardia di Finanza, ma che la
Giustizia fiscale dipenda dalla politica è un assurdo e una pernacchia alla nostra storia ed
alle sue lezioni.

Ciò che è oggi straordinario deve divenire ordinario e vice versa. Deve essere straordinario
che si “colpisca” il piccolo, e ordinario che si indaghi il grande evasore e corruttore della
giustizia fiscale nel Paese intero. Non succederà mai sino a che la struttura stessa dello
stato dispone altrimenti.

Questo è un esempio di proposta integrata per risolvere un problema enorme, anzi, alcuni
potrebbero dire il problema più grande del nostro paese. E si nota come ciò combatta
anche la corruzione a basso livello mentre previene quella ad alto livello.

Ma guardiamo anche il sistema attuale da un’altra prospettiva: sapete che un ministro ha la


capacità di usare le Forze dell’Ordine per influenzare e cambiare, ovvero condizionare,
l’umore di cittadini e residenti e quindi l’opinione pubblica? E vi do un bell’esempio che
casca a fagiolo: nel documento Delitti, imputati e vittime dei reati con i dati ufficiali del
Viminale del 2017 si parla tanto di crimini di “stranieri” (non “migranti”, faccio notare che
straniero è anche lo svizzero in vacanza) e certamente emergono dei dati: gli “stranieri”
compiono in proporzione più crimini in percentuale sulla popolazione residente in Italia
rispetto alla percentuale dei migranti. Questo è il discorso sfuocato, per vari motivi, che si è
fatto: si paragonano mele a pere. Infatti la tabella 5.1 include Cina, Germania, Polonia,
Bulgaria... e pure la Svizzera (ed altri paesi UE dell’Est Europa) tra i 15 stati con più (nota
bene) “imputati” in Italia. Infatti, quelli poi popolarizzati come “migranti” occupano solo 5
posizioni sulle 15 analizzate, e non la prima! Ma quando poi si guarda ai reati “imputati” a
tali stranieri, si nota una percentuale altissima di reati di “prostituzione e spaccio” (fino al
22,6% del totale), ricettazione e, guarda un po’ anche un tasso alto di reati di
“immigrazione” (fino all’11,7%) che i cittadini non possono commettere. Esistono anche
crimini gravi, per carità, ma due che appaiono solo tra chi non viene su barconi, i cinesi,
reati di “omesso versamento di ricevute previdenziali” ed “evasione fiscale” (tabelle 5.7 e
5.8). Ma questa panoramica sui dati non può, all’occhio acuto, nascondere un dettaglio: in
nessun luogo si parla delle condanne e dei processi di stranieri o immigrati nel 2017. Questi
dati riportano le tante denunce (si noti quante sono chiaramente fatte dalle Forze
dell’Ordine), ma non sappiamo nemmeno quante siano state archiviate, quante siano
andate a processo e quello che veramente conta, quante sono state le condanne, sebbene
parziali. Manca il dato più importante.

Che poi questo documento sia stato steso con l’intenzione di servire a colui che è meglio
non nominare perché la nazionale gioca stasera un discorso già fatto e sviante per la sua
propaganda lo penserà solo il diffidente, ma dire che, tra un lavoro da iettatore e l’altro,
egli non abbia usato e strumentalizzato questi dati per condizionare l’opinione pubblica è
come dire che il Sole non è sorto ieri mattina (e chiedo scusa al Fratello Sole per averlo
menzionato nella stessa frase... anzi no! Non l’ho menzionato.)

Quindi un ministro ha i mezzi per condizionare l’opinione pubblica di fatto influenzando la


formazione stessa e la stesura dei dati da fornire, poi farci propaganda sopra. La
Democrazia è tanto sana quanto sono sane le sue strutture ed i suoi sistemi, e questo è
indubbiamente un sistema malato, anzi, questo può sia causare un cancro che poi
alimentarlo. Non esiste nemmeno un garante per l’informazione politica, non esistono
regole chiare su come stendere tali dati... Un potenziale aspirante dittatore potrebbe
benissimo usare questo buco nella struttura democratica per fare i suoi giochini, e non sto
pensando solo al passato... Ma chi darebbe mai in eredità ad un figlio una macchina senza
freni? Chi darebbe ai propri figli giocattoli che possono rompersi causando danni? Eppure
siamo pronti a lasciar loro il sistema che avrà più impatto sulla loro vita senza nemmeno
accertarci che sia in regole colle norme di sicurezza? E parlo di vera sicurezza…

Penso di aver passato abbastanza tempo su questo punto, ma ora veniamo al punto
fondamentale. L’illegalità ed illegittimità delle corporazioni stesse nella loro forma
presente. Per capire bene questo punto dobbiamo guardare alla storia di queste entità. Le
corporazioni nascono già nel diciassettesimo secolo, ma sono due passi più recenti che le
rendono pericolose. Il primo avvenne nel 1844 quando in Gran Bretagna si passò il Joint
Companies Act che permise che corporazioni potessero essere trattate come unità legali;
ovvero, che invece di affrontare la Giustizia come gruppo di persone, le corporazioni
potessero rispondere delle loro responsabilità come unità legale. Prima, se una
corporazione veniva processata, si processavano tutti i membri per l’atto in questione.
Certo, non era molto pratico, ma pensiamoci, se la mafia fosse una corporazione (e
illegalmente o meglio segretamente lo è) si potrebbe presentare a processo senza che i
suoi membri vengano processati. Non potremmo processare i mafiosi, ma solo la mafia...
Sempre in Gran Bretagna, poi, nel 1855 fu passato alla Magistratura e solo alla
Magistratura il diritto di controllarle. Purtroppo, furono anche garantite quella che si
chiama “limited liability” ovvero “responsabilità limitata” che significa che il patrimonio
delle corporazioni non è protetto dalla dalle conseguenze delle loro azioni. Ovvero, se
compiono un crimine, il loro capitale sociale non può essere usato per risarcire i danni ecc.
Ma fosse solo quello, la cosa più ridicola che si passò sulle corporazioni è una sentenza di
un tribunale statunitense sul Quattordicesimo Emendamento della Costituzione USA del
1886: questo era in realtà un emendamento per garantire i diritti delle persone di colore, e
dice, “Nessuno stato depriverà qualsiasi persona di vita, libertà e proprietà”. A parte il
fatto che non si capisce come questo emendamento non valga per le persone, quelle
fisiche, in uno stato dove vige la pena di morte, ma guarda caso. La Corte Suprema nel caso
‘County v. Southern Pacific Railroad’ di Santa Clara, dichiarò non solo il falso, ma
l’impossibile: una corporazione è Persona Fisica.

Spieghiamo; si dice Persona Fisica l’Essere Umano stesso, la persona naturale. Si dice
Persona Giuridica la sua rappresentazione per la Legge. È un po’ come il concetto di Popolo
e stato. Il Popolo è fisico, lo stato no, ne è solo la sua rappresentazione o manifestazione in
istituzioni ecc. Le corporazioni non sono persone fisiche né materiali, non esistono
letteralmente nel mondo materiale, sono associazioni, ovvero strutture. La Persona Fisica è
colei che va in galera quando la Persona giuridica viene condannata al carcere. Ma le
corporazioni non hanno corpo. Non possono andare in galera, né essere private della
Libertà. Ora, non stiamo nemmeno ad elencare i tantissimo modi per cui tale verdetto sia
ingiusto, e quindi non valido davanti alla Giustizia, senza alcuna autorità. Semplicemente
va contro l’esistenza stessa, va contro la realtà fisica. Basterebbe, in teoria, chiedere che si
porti la Persona Fisica in tribunale per un processo ad una corporazione per far vedere
l’assurdità di tale concetto, e di fatto delegittimare tale legge. Un tribunale non ha diritto di
giurisdizione su ciò che non esiste.

Un attimo, vi starete preoccupando... Ma se non è una Persona Fisica come la si può


processare? Il fatto è che il Diritto parte dal principio esattamente opposto: si processa la
Persona Giuridica e non la Persona Fisica. È per quello che ogni processo inizia
coll’identificazione dell’imputato; “identificazione” significa stabilire che la Persona Fisica
corrisponda a quella giuridica, che viene processata. Si può anche processare in assenza
della Persona Fisica. Ma la cosa diviene ancor più interessante quando la si guarda da un
punto di vista dei diritti. La Persona Fisica gode dei Diritti Universali e tutti i Diritti di
Natura, incluso quello alla vita ed alla Libertà. Quella Giuridica non può godere del Diritto
alla Vita, per il semplice fatto che non ce l’ha e non potrà mai averla. È come dire che un
pesce abbia il diritto di essere una regola della matematica: no, sono due cose diverse e per
quanto possa godere delle conseguenze di tale regola, non sarà mai per definzione la
regola stessa, e posso dire con sicurezza che non ho mai visto una regola matematica che
sia un pesce. Siamo in due dimensioni dell’esistenza diverse semplicemente.

Ma andiamo avanti un passo alla volta. Ora, se le corporazioni non sono Persone Fisiche (e
non lo sono perché un tribunale lo decreta, neanche il tribunale più alto della Terra può
cambiare la realtà, e come abbiamo visto, per stabilire l’autorità di tale asserzione
dovrebbe poter presentare una corporazione come Persona Fisica, e mi divertirò tanto
quando ciò verrà richiesto!) Vabbè, è chiaro che quella sentenza è ormai negata dalla realtà
stessa, quindi totalmente nulla. Ma andiamo avanti. La menzogna che tale sentenza copre
è che con un falso giuridico chiude il processo di schermatura delle Persone Fisiche
interessate con una menzogna cominciato in Gran Bretagna nel diciannovesimo secolo che
abbiamo visto. Presentando una Persona Fisica che non esiste, si responsabilizza il nulla
delle azioni di altre persone. E si ritorna al Joint Companies Act del 1844.

E vediamo un po’ cosa succede... Se si presenta un’entità non fisica a rispondere degli atti
di persone fisiche, non solo si compie un falso giuridico enorme, ma si nega la Giustizia
stessa, che non riesce ad essere applicata. È quel famoso puntare le dita nella direzione
sbagliata, ma pensiamoci attentamente: una legge che prevenga l’amministrazione della
Giustizia stessa non può essere legge. La Giustizia non può prevenire la Giustizia; la
Giustizia non può negare se stessa. Siamo al più grande assurdo logico che io abbia mai
incontrato (uno dei più grandi, ne ho sentite di cose!)

È chiaro che qui si è giocato nei secoli un giochetto delle tre carte che si oppone al concetto
di Giustizia stessa, nascondendo la carta in questione dagli occhi della dea bendata. Questo
è un crimine contro la Giustizia, oltre che l’Umanità. E per chi crede, un crimine contro la
Giustizia è un crimine contro Dio (o come la chiamo io Madre Creatrice) stessa/o/e/i. Ma
rimaniamo laici; questa era solo una nota per chi volesse vedere questo argomento in
un’altra prospettiva. Noi pensiamo alla Giustizia degli Umani, che la Madre Creatrice alla
sua ci sa già pensare. Detto semplicemente, e questo è un discorso sulla Giustizia in
generale, la Giustizia divina in quanto tale semplicemente non rientra nel nostro campo
etico, nel nostro ruolo (attenti a chi impare “giustizia” in nome di Dio, che è un po’ come
soffiarle il lavoro!) Come detto, la Giustizia si amministra perché giusta ed in nome del
Popolo. Questo principio è importantissimo. Come ed in nome di chi si amministri la
Giustizia è cosa che dovrebbe essere insegnata almeno alle scuole medie.

Mi sono perso in un altro stream of consciousness... Abbiamo visto qua i principi per cui,
come dissi prima, sono convinto che le corporazioni siano destinate a sparire. Come ciò
verrà attualizzato nel dettaglio, se ne occuperanno i grandissimi giuristi di livello
internazionale che stanno studiando questo argomento. Non so dirvi in quale processo
(Monsanto? Tanto per buttarne lì una!) questa verità verrà riconosciuta da chi deriva la
propria autorità nel riconoscimento della Verità (é questo il lavoro e l’autorità dei Giudici,
che non hanno un diritto innato di amministrare Giustizia, ma ne hanno le competenze e
derivano la loro autorità dal fatto che stabiliscono la Verità).

Questo viaggio a ritroso ci ha riportato al falso dilemma del 1844: è vero che può apparire
difficile portare a processo tutti i membri di una corporazione, ma intanto non è
necessario, e poi non è assolutamente vero che la soluzione sia portare chi non può
rispondere comunque di responsabilità penali in loro vece perché non esiste fisicamente.
Non si possono portare tutti gli azionisti di una corporazione in tribunale, specie se grande,
ma non è per niente né necessario né corretto. Non è difficile stabilire che l’azionista che
ha solo investito i suoi risparmi e non ha mai presenziato ad alcuna riunione non sia
imputabile per esempio. Ed invece, si guardi come le corporazioni difendono dietro una
falsità l’interesse corporativo a spese degli azionisti; il capitale sociale non si tocca, ma in
caso si debbano pagare danni, vengono detratti dai guadagni degli azionisti, cosa che
aggiunge un altro strato di ingiustizia. Ma torniamo al penale... Solo chi ha accesso alle
decisioni, per definizione, può avere responsabilità. Sembra un principio semplice ed
innegabile. E qua il numero da portare davanti alla Giustizia si riduce significativamente.
Ma chi ha la capacità di commettere un atto criminale e lo commette è impensabile ed
inaccettabile che non possa essere responsabilizzato. E poi, se si tratta di una decisione
specifica di un dirigente o gruppo di dirigenti, il gruppetto si riduce ancora. Ma cosa ci
vuole a fare un’indagine interna (non dall’interno, ma sull’interno della corporazione) sulle
responsabilità prima di portare il caso davanti al Giudice? Anzi, esiste già il sistema ed il
momento corretto prescritti dal nostro sistema giudiziario: si chiamano indagini
preliminari. Mica hanno mandato avvisi di garanzia a tutto il Viminale per il sequestro di
persone sulla Open Arms oggi (ma guarda caso sto scrivendo sulla Giustizia... Sarà che sono
io che gli porto sfiga?). Semplice; una corporazione è una istituzione privata, come il
Viminale è una istituzione pubblica: un insieme di strutture e sistemi con uno scopo ben
preciso. Ma mentre si può far causa sia al Viminale (allo stato stesso se si vuole) che ai
responsabili di reati fatti da suoi dipendenti, ministri o no, stranamente questo pare
“infattibile” per strutture omologhe solo perché private? E io sono Babbo Natale allora!

Ma qui dico anche un’altra cosa, e vorrei stabilire questo concetto: noi siamo diversi da
loro perché offriamo un sistema che controlli e responsabilizzi anche le strutture che noi
proponiamo. In parole povere, è semplicemente giusto che lo stesso principio si applichi
alle cooperative. Mi pare ovvio che se un membro dei una cooperativa commette un
crimine ne risponda, e se dovesse succedere che una cooperativa intera commette atti
criminali, che si responsabilizzino tutte le persone responsabili per ciò che ognuno abbia
commesso volontariamente e consciamente. Noi offriamo la vera sicurezza, quella per cui
noi non cambiamo le regole per favorire le nostre idee ed i nostri progetti, e siamo pronti a
rispondere delle nostre responsabilità. Noi vogliamo un sistema Giusto per tutti.

E però... Già se chiedo di pensare a quali cooperative siano mai finite in scandali tipo
Bayern, Monsanto, Nestlé, Nike, Facebook... lo devo finire sto libro, non posso andare
avanti all’infinito... si fa fatica a sceglierne solo una. E poi, in Italia, come all’estero, le
cooperative già non godono dello scudo menzognero di essere Persone Fisiche; l’Art. 2511
del Codice Civile le definisce come “società a capitale variabile con scopo mutualistico”, e
non solo, ma le Persone Giuridiche non possono esserne soci; una corporazione non può
essere socio di una cooperativa, e questo deve rimanere; le cooperative sono quindi
“società di Persone Fisiche” di già, e non false Persone Fisiche come le corporazioni.

Si sta parlando, ovviamente di una prospettiva; la via della Giustizia ovviamente non può
essere totalmente predeterminata. Ricordo che questa è una proposta. Non solo, ma la
Giustizia ha i suoi tempi. E questi tempi hanno non solo un motivo logistico, ma anche uno
di Giustizia sociale. È ovvio che un cambiamento repentino rischia di danneggiare i più
deboli e, come abbiamo visto, offre ai plutocrati un’apertura per controllarne gli esiti che la
storia insegna non solo che l’abbiano usata con regolarità impressionante, ma che sia il
caso sospettare che i plutocrati cerchino attivamente certi spiragli durante tempi di crisi.

In ogni caso, assodato che esiste un problema di Giustizia colla struttura stessa delle
corporazioni ed un grande problema giuridico colla loro legittimità, si aprono tre strade a
lungo termine:

1. Se le corporazioni continuano su questa strada, si arriva ad un fascismo totalitario a


livello mondiale; ne siamo alle soglie chiaramente, uno scenario da Robocop.
Fortunatamente si stanno vedendo contro reazioni da tutto il mondo a questo
incubo, dagli USA all’UE.
2. Le corporazioni possono finire ad essere dichiarate semplicemente illegali ed
abbandonate per sempre, un po’ come è successo al partito fascista in Italia;
qualora venisse riconosciuto il principio per cui, per loro stessa natura, ovvero il
fatto che per sua costituzione la corporazione ha come unico imperativo la ricerca
dell’accumulazione del benessere, che ovviamente non è etico, e non solo, ma che
questo si opponga ai Diritti Universali, in quanto per sua natura sfrutta le persone,
non v’è dubbio che non abbiano futuro alcuno. Pare quasi utopico (senza alcuna
connotazione di valore) pensare a questo concetto, ma chiediamoci veramente
quante persone al mondo ormai lo pensino e siano venute a tale conclusione. Si può
solo rallentare un pensiero che ormai divaga, ma i cambiamenti di paradigma come
quello che sta avvenendo ora, hanno l’abitudine di avere una lunga preparazione
dal punto di vista culturale, ma quando l’idea raggiunge massa critica, tale idea si
diffonde con velocità impressionante, anzi, gli studi su tale fenomeno, parlano
persino di immediatezza, perché qui si tratta del fenomeno ben studiato e
conosciuti chiamato “hunderdth monkey” o centesima scimmia. E da quello che so,
siamo molto vicini se non oltre questo punto di massa critica.
3. Si può pensare ad una terza via, che non si traduca, però, in una concessione alla
destra da parte della sinistra, come disse Achille Occhetto (che tra parentesi per me
merita l’appellativo di Padre della Sinistra odierna, o padre tradito dalla sinistra
odierna) a Propaganda Live il 15 novembre 2019 con la sua lucidissima analisi. Non
si può pensare a corporazioni che continuino nel loro orribile meccanismo ma siano
“limitate” o “parzialmente controllate” o “che includano qualche contentino di
valore sociale nei loro statuti”. Questo è già in atto e non funziona. Se si vuole
lasciare la corporazione come entità per il futuro, essa deve abbandonare il profitto
come suo unico imperativo, a pena di scioglimento immediato secondo me, e
costituirsi come struttura al servizio della società con un limitato diritto di profitto.
E intendo dire veramente limitato, e io proporrei che tale limite sia dettato dal
numero dei dipendenti con fasce discendenti. Una corporazione con tre dipendenti,
per esempio, potrebbe fare profitti pari a 1.1 quelli del dipendente (tanto hanno il
capitale sociale, che comunque, andrebbe rivisto), una con mille dipendenti pari a
0,0011 quella del dipendente medio ecc. È solo un’idea per dare loro una chance di
esistere nel futuro. Il resto va reinvestito ecc, e certamente non possono
permettersi di fuggire alla Giustizia col gioco elle tre carte esposto qua. Ma non
solo, nel futuro, se esistessero, non dovrebbero mai avere alcuna egemonia nel
settore. Il monopolio non è ammissibile (ed è anticostituzionale); e per monopolio si
intende egemonia. Ma per egemonia si intende anche azioni ed atteggiamenti
egemonici. Lascio ad altro luogo una discussione sui dettagli, ma in caso (e non
penso che tra quarant’anni saremo qui a ricordare quelle vecchie società
sfruttatrici, ad essere onesti, forse nemmeno tra venti) il Popolo della Terra decida
di dar loro un’altra possibilità, si debbano decidere chiaramente quali siano i
principi di Giustizia a cui esse debbano aderire. E questi sono i minimi requisiti.

Poi tanto, a parità di gioco, ovvero, senza truccare il mercato o le carte, le corporazioni non
avrebbero nessuna attrazione né vantaggio competitivo rispetto alle corporazioni, anzi, per
loro natura sarebbero inappetibili ed anche non competitive rispetto alle cooperative (studi
sull’efficienza del lavoro a volontà lo dimostrano). Ed allora? Penso che pragmaticamente si
possa vedere questa realtà realizzarsi: che esse si convertano in cooperative e cessino di
esistere nella loro forma presente. La conversione vera va dall’interesse privato come unico
“valore” (o meglio falso valore) all’interesse pubblico come valore condiviso. Alla fine come
si fa a condividere un valore basato sulla divisione? Esistono solo due tipi di valori, quelli
assoluti, coma Pace, Giustizia ecc. e quelli condivisi, e l’individualismo non è condivisibile, in
quanto ognuno può usarlo per sé, ma nessuno per il prossimo; esso è, infatti, un buco nero
nella galassia dei valori. Mi spiego, non è il concetto del valore che deve essere
condivisibile perché sia considerabile un valore; ogni concetto é condivisibile; è il valore
stesso che deve essere condivisibile, la Pace lo è, la Giustizia lo è; l’individualismo
semplicemente non lo è e per questo motivo non può essere definito un valore. Chi
conosce Platone saprà già bene questo concetto. E non mi si critichi Platone dicendo che
un concetto non può dare autorità a se stesso, perché i concetti derivano la loro autorità
dalla ragione e dalla loro correttezza e giustizia, ed il fatto che un valore derivi la sua stessa
esistenza dalla sua condivisibilità è innegabile. Se qualche capitalista volesse obiettare,
offritevi di pagarlo con una moneta non condivisibile e fatevi due risate!
Non solo la condivisibilità è parte innata dei valori stessi, i valori si realizzano solo nella
condivisione. Questo è vero anche della Giustizia, che non esiste se non condivisa e non
può che essere realizzata tramite condivisione. Ed è per questo che spetta a noi volere,
perché ricordiamo che la Giustizia è una volontà, esigere, perché la Giustizia è un diritto e
realizzare la Giustizia, perché essa è valore. Non sono amante del termine “perseguire”,
che da un lato pone l’accento sul seguire, piuttosto che volere, ma non solo; esso si è stato
inquinato da una connotazione giustizialista e persecutoria che non si addice alla Giustizia
stessa; preferisco “realizzare” nel riconoscimento che un valore si realizza nella sua
condivisione, e non nell’impartire lo stesso. D’altro canto, la Giustizia può essere realizzata,
nell’insieme sociale italiano, solo qualora lo stato sia dedito a costituire istituzioni che
seguano l’imperativo della sua realizzazione; se da un lato è il Popolo che la deve volere, è
lo stato che ne deve rendere possibile la realizzazione tramite condivisione. Pare ovvio da
questa prospettiva che l’interesse plutocratico, corporativista ed antidemocratico si ponga
in diretta opposizione al concetto stesso di Giustizia nonché alla sua realizzazione; pare
ovvio che sia compito dello stato, che si delegittimizza ogni qual volta viene meno al suo
ruolo di servitore del Popolo, abbia obbligo imprescindibile di risolvere questa falsità
giuridica ed incorrettezza istituzionale. I ruoli sono chiari nella costituzione dello stato
come anche di qualsivoglia società democratica, da quella di piccole dimensioni a quella
dell’Umanità intera ed oltre; mettere una qualsivoglia struttura, un qualsivoglia sistema,
scrivere una qualsivoglia legge che non tenga conto della Giustizia e del bene comune, ma
che di fatto si opponga al bene di tutti per favorire i pochi è di per sé atto eversivo ed
ingiustificato, in quanto in diretta contrapposizione col valore che la dovrebbe guidare
nonché con i Diritti Umani, della Natura e della Madre Terra.

La vita è fatta di valori perché la vita è fatta di condivisone. Anche quando si guarda un
fiore per un istante l’esperienza è condivisa col fiore; quando ci si guarda negli occhi si
condivide, persino le memorie sono condivisioni col sé passato ed anche altri; senza
condivisione, non esiste l’esperienza. E la vita non è altro che la condivisione dell’anima.
Non ci piace anima? Usate mente e cuore. Purtroppo, esiste qualcosa che previene la
condivisione, ed è lo scontro; lo scontro previene esperienza, ed il sistema dominante si
basa sullo scontro, non sull’incontro; non solo, ma lo promuove in ogni sua forma; chi
nasce cercando lo scontro? Esso viene, e si vede molto chiaramente nei rapporti sociali
(anche con la Natura è la Madre Terra), da una società malata del morbo
dell’individualismo e dell’interesse personale presentato falsamente come interesse
gerarchicamente posto in cima a tutto il nostro operato in questo mondo; ma questo porta
a perdere, perdere il valore della vita stessa, fino, in casi estremi, alla psicopatia. Bisogna
saper mettere tale interesse nel suo posto, che non è nel sociale, non è come falso
parametro dei nostri rapporti, ma solo come strumento difensivo, un po’ come l’ego; ed è
questo che il sistema dominante sfrutta: ci tiene permanentemente in una posizione
difensiva. Ma trovare l’uso giusto dell’interesse personale non vuol dire perdere benessere,
si ricordi, ma vuol dire guadagnare in esperienza; condividere non significa dividere, ma
moltiplicare nell’unione, nella collaborazione e nell’incontro. Che si abbattano le porte
sprangate dello scontro e ci si avvii sulla strada fiorita dell’incontro. Le farfalle, certo non
vivono a lungo, ma io mi domando spesso se la loro esperienza di vita, dedita solo
all’incontro con fiori e con la luce del Sole, non sia, nella loro brevità, molto, ma molto più
ricca d’esperienza di quello che noi possiamo mai immaginare.
Chi credesse che qui si sarebbe proposta una riforma della giustizia (colla minuscola), spero
sia piacevolmente deluso; intanto non è possibile riformare la Giustizia, in quanto giusta e
quindi non riformabile; la metalessi nasconde l’idea che la Giustizia possa essere ingiusta; il
nostro concetto di Giustizia può crescere, e quello che si può fare è adeguare i sistemi dello
stato nel servizio della Giustizia; qui ci si propone di crescere la nostra consapevolezza della
Giustizia, condizione necessaria perché essa possa essere realizzata. Si parla tanto dei
battiti d’ali delle farfalle, poi si vuole che tali battiti avvengano senza ali né aria; ora noi
dobbiamo usare la nostra volontà come ali di farfalla, e mandare quelle idee giuste nel
mondo del cambiamento, come brezza lieve che sola può cambiare la realtà con una
rivoluzione che nasca e rimanga democratica e gentile.
La via della ragione

Dopo un lungo capitolo sulla Giustizia, uno breve sulla ragione. La ragione, tanto per
cominciare, non si dà a questo o quello; ragione si dà solo alla ragione stessa. È ovviamente
la verità dell’argomento che ne stabilisce la ragione, non chi lo presenti. Qui la sinistra deve
riscoprire il suo pensiero critico; il personalismo di per sé è ostacolo alla ragione. Il
personalismo si può infatti vedere come uno spostamento a destra del pensiero di sinistra.
Ma quando si parla di ragione, a cosa ci si riferisce esattamente?

Anche la ragione ha come conditio sine qua non una volontà: la ricerca della Verità e la sua
realizzazione. Mai si pensi di poter aver ragione senza aver voluto stabilire la Verità, per
quanto scomoda essa possa apparire.

Ma se la Verità deve essere stabilita, non si può supporre che essa sia puramente di natura
razionale; la Verità, come tutti i valori, deve essere condivisibile e non solo; deve essere
buona. Se si guardano i valori, si nota che essi non esistono come entità divise, ma come un
sistema simbiotico dove l’uno richiede l’altro ed al contempo aiuta l’altro. Se la falsità è
male, la Verità non può che essere Bene. Ed il Bene non esiste qualora una persona (umana
o non) ne soffra di conseguenza; mors tua vita mea non è un bene né un valore. A chi dica,
“Ma è vero che, ad esempio, il capital corporativismo, sia maligno,” rispondo, “Sì, ma non è
la verità della sua malignità che è negativa, anzi tale Verità è bene, perché senza di lei non
potremmo nemmeno criticarlo.” Qui ci si pone davanti ad un bivio: la Verità si riconosce, e
poi si indirizzano il pensiero e le azioni sulla sua base. Se nel riconoscerla si poi adotta un
percorso verso il male, si cominciano a costruire falsità; la Verità non è solo un principio ma
anche una via. La Verità è anche base di uno dei doni più importanti che abbiamo: il Libero
Arbitrio.

Senza sapere la Verità è impossibile usare il Libero Arbitrio, ed è proprio qui che il fascismo
funziona come schermo per difendere i suoi camerati, capital corporativismo e plutocrazia;
è questa la trinità demonica (nel senso corretto della parola, ovvero di perpetuazione di
falsità, tutti i demonologi attenti sanno che questa è la Verità sui demoni, nascosti dietro
facce e simboli da una cultura esoterica che, per sua natura, non può che perseguire la
falsità stessa): esso nasconde la Verità puntando le dita altrove, e previene l’esercizio del
Libero Arbitrio. Il fascismo non è solo un crimine perché non etico, ma crimine contro
l’Etica stessa, e chi bacia crocefissi a tradimento sappia che non solo quell’atto porta
sfortune indicibili, ma se credente non può che credere che l’Etica appartenga a Dio, e che
quindi il fascismo è crimine contro Dio stessa/o/e/i.

Comunque, nel far notare il paradosso anche a livello teologico del fascismo, il pensiero
ecosocialista rimane laico, non perché si opponga ad una dimensione spirituale, ma perché
non ha né per la sua autorità, che è basata sulla sua correttezza, né ha diritto di reclamare
una giustificazione derivante dalla spiritualità stessa. E questo diritto non lo hanno
neanche le altre ideologie politiche: non si nomina il nome di Dio in vano, ed usarlo per
giustificare i propri pensieri è letteralmente usarlo in vano.

Ricapitolando, per la natura stessa della ragione, è impossibile cercarla nel seguire il falso,
ma solo nella ricerca della Verità. E la Verità necessita volontà, come la Giustizia. La
Giustizia è, infatti la volontà del vero e del buono. È quindi ogni volta che ci troviamo
davanti ad una scelta che dobbiamo farci guidare da tale volontà, e non la volontà
dell’opposto. La volontà è sempre bidirezionale: se da una parte essa guarda il bene, il
vero, dall’altra percepisce il male, il falso. Pensateci, ogni volta che voi scegliete una cosa,
percepite e scartate il suo opposto. È così che agisce la volontà o, se volete, così che la si
esercita. Ma non è così che essa viene diretta. Ciò che dirige la volontà è frutto di una
dicotomia tra pensiero e sentimento. Se da un lato il pensiero può decidere contro i
sentimenti, dall’altro si può allineare ad essi. Ed è qui che la frase segui il cuore ed usa la
mente diviene un imperativo etico; seguire i sentimenti buoni è seguire la Bontà e l’Amore,
mentre seguire reazioni di stomaco, che non sono sentimenti, ma reazioni (nemmeno
emozioni, l’emozione è ben altra cosa, l’emozione è un eccitamento delle sensazioni e
dell’essere stesso), preclude sia la via della razionalità che quella del cuore. Si pensi
all’odio; non è un sentimento. Pensate ogni volta che abbiate creduto di sentirlo; cosa
sentivate? Sentivate solo l’eccitamento della rabbia è un vuoto assoluto di sentimento ma
una volontà enorme di contrasto, di opposizione, di contrapposizione. Quello che sentivate
era la volontà stessa, non un sentimento. Essa si sente, pensandoci, sul lato destro del
corpo come campo quasi magnetico e quasi con un peso fisico ma, in realtà, questa volontà
è dovuta al bisogno di bloccare l’eccitamento, ed infatti, l’odio è fermo come sensazione,
pensateci. E questo è in grado anche di bloccare i sentimenti. L’odio non può essere
sentimento, perché ne è la loro privazione. L’odio non viene mai dal cuore, ma da una
reazione ad una eccitamento che parte dallo stomaco e, bypassando il cuore, arriva diretta
alla mente, bloccandola.

Ed è per questo che la volontà non può seguire la ragione stessa. Se lo facessimo,
cadremmo nel rischio di seguire una reazione ad un eccitamento che è controllata dallo
stomaco e che quindi può aver perso ogni cognizione del Bene. La volontà deve per forza
almeno tenere conto, ma io direi seguire, i sentimenti, il cuore. E se i sentimenti sono
buoni, solo allora si dovrebbe innescare il pensiero razionale per realizzarli.

Anche qua, forse sarete delusi, magari pensando che si parlasse di “metodi della ragione”
di “logica” o peggio di “retorica”; invece no; sono le radici che fanno gli alberi forti e
restano nell’inverno, mentre le foglie cadono e si rigenerano nel discorso tra terra e radici
stesse. Ma è vero che la ragione ha dei mezzi, o meglio dei principi e dei meccanismi ben
definiti. Abbiamo già parlato del principio di necessità; esiste anche il principio di causalità,
che spesso viene falsato, e tanti altri, ma esistono già chiari ed esaurienti testi su come
funziona la logica; questo non è né il posto né l’occasione giusta per vedere tali principi e
relazioni. Però vale la pena ricordare che la i metodi della logica sono tutte relazioni, e non
solo, che queste relazioni sono in realtà relazioni di tipo matematico, o meglio razionale, e
che quindi seguono regole universali e sempre corrette. La logica è la matematica delle
parole, lo sappiamo. Sia chiaro, che nel cercare la Verità, se da un lato bisogna seguire il
Bene come guida, non si può uscire dalle regole della logica e della razionalità. Non esiste
un fine che giustifica i mezzi nella ragione come nella Giustizia. Non esistono scorciatoie
sulla via della ragione. Ma ciò non è cosa da temere, ovviamente, è solo una questione di
esercizio.

Ed ecco che si arriva ad un discorso più pratico ma comunque interessante: come si


sviluppano le capacità razionali? Si devono avere quattro elementi per svilupparle:
1 – la volontà di cercare il vero
2- la conoscenza ed esperienza dei processi logici e razionali
3- lo sviluppo di un sistema mentale (anche neuro fisiologico) che agevoli lo la realizzazione
o manifestazione di tali processi logici
4- l’esercizio di tali processi

Purtroppo, non conosco un solo sistema scolastico che dia veramente i mezzi necessari per
fare ciò. I processi logici e razionali si imparano a volte per abitudine, ma non esiste un loro
insegnamento esplicito e metacognitivo, a meno che si vada a studiare logica come
specialissimo all’università. Ed invece essi sarebbero utilissimi non solo nelle scelte
personali ecc. ma anche per il discorso democratico. Siamo in una situazione assurda, in cui
si fanno discorsi insostenibili dal punto di vista logico e razionale e la gente non se ne
accorge nemmeno; semplicemente non sanno le regole del gioco. Spetta a scuole ed
educazione insegnare le regole del gioco, e questa è una riforma importante. Non solo il
sistema educativo corrente non insegna a ragionare, ma neanche ad analizzare il
ragionamento altrui.

Ma chi avesse un gran desiderio di contrastare i discorsi incorretti della propaganda


fascista e non avesse il tempo di leggere trattati di logica non disperi. Ho seguito i discorsi
del fascismo con grande attenzione, e tutti usano ripetutamente, coerentemente (lo so,
pare un ossimoro) e costantemente fallacie logiche, e non poche, le usano proprio tutte, al
punto che mi trovo a dover sospettare che in un modo o nell’altro a questi sostenitori
(anche i sock puppets) del sovranismo da Los Angeles a Vladivostok sia stato insegnato ad
usarle. Le fallacie logiche sono tantissime, ma ne esistono alcune che sono impiegate molto
comunemente, tra cui false dicotomie, equivocazione, quid hoc ergo propter hoc,
argomenti fantoccio, ad hominem / personam ecc. Non è difficile individuarli, e consiglio a
chi legge di fare una ricerca online per impararne il più possibile mentre si aspetta che esse
vengano insegnate a scuola. È impressionante come esse siano usate quasi in ogni frase del
pensiero fasciosovranista, da cui si deduce non solo che stiano impazzendo tra una falsità e
l’altra, che è conseguenza dell’aver scelto di seguire il male (ma vi rendete conto di cosa
significhi cercare di dimostrare il falso usando ragionamenti sbagliati? È vivere un incubo,
essere in uno stato che non posso che definire infernale in cui si corre alla prossima falsità
in un voto assoluto di verità, sapendo, ma non più ricordando che si sta inseguendo il nulla
assoluto e che non si trova più la strada per uscire da tale situazione; a me vengono i brividi
solo a pensarci; ed è questo un risultato dell’odio: cancellando i sentimenti nasconde la
soluzione al loro inferno). A noi che vogliamo il Bene, ciò deve rimanere come monito per
evitare di sceglier mai il falso; succede, anche per brevi periodi, ed in realtà, lo facciamo
ogni volta che analizziamo un pensiero falso: la nostra mente è in grado di reggere tale
processo per periodi anche significativi, a condizione che si sappia che stiamo seguendo
processi mentali falsi (ad esempio quando analizziamo un ragionamento errato) e che
teniamo sempre l’occhio rivolto alla luce della Verità; ma quando l’odio interviene, esso,
come si è visto, distoglie l’occhio da tale luce, e ne rivolge l’attenzione, proprio come il fa il
fascismo, verso un reazione ad un eccitamento che causa immobilità. Seguirla significa
aprire la porta a pensieri sbagliati che si inseguono l’un l’altro in un vortice dove il pensiero
viaggia senza relazione coi sentimenti, e che, quando si chiude la porta alla luce del Bene e
della Verità, apre del carcere della paranoia, letteralmente “pensiero fuori, pensiero di
fianco”, un pensiero che non è più connesso colla Verità e la realtà.

Le regole della logica e della ragione, quindi, non possono in se stesse essere guida, ma
solo limiti che indichino il pensiero corretto, la guida a tale pensiero deve sempre essere la
galassia dei valori condivisi e condivisibili. Solo così, invece di seguire il vortice dell’oscurità,
noi si ballerà colle stelle.

E per chi le stelle non le vede più? Tocca a noi tendere la mano per far si che possano
tornare “a riveder le stelle”; la nostra rivoluzione non può essere gentile senza essere anche
generosa.

È anche per questo che qualora si cambi idea, bisogna perdonare ed accettare, e per
rispetto verso la psiche ed i sentimenti della persona stessa, non ribadire gli errori del
passato; è bene ricordarli come lezione, ma non è accettabile rinfacciarli. La Giustizia
diventa giustizialismo anche in questi atti apparentemente piccoli. Se ragione si dà alla
ragione stessa, anche il torto si dà al torto stesso, ed è irragionevole accusare persone che
abbiano cambiato idea, pensiamoci. Ci sarà tanto da perdonare negli anni e nei decenni che
verranno. Ma se il perdono da un lato è un processo emozionale, dall’altro esiste un
discorso di pura razionalità; non si chiede che chi ha subito un torto perdoni “d’ufficio”; se
dentro di sé non sente che tale perdono esista, ovvero non sente, secondo le proprie
possibilità e parametri personali, che possa sopportare o controllare l’emozione che tale
torto ha causato, tale persona non ha obbligo di perdonare, e sebbene lo possa dire per
motivi nobilissimi, tale perdono non sarebbe veritiero. Ma non si preoccupi, un perdono
anche non veritiero fatto per il motivo giusto non può avere conseguenze negative su chi lo
dà, anzi, forse ne avrà di positive, perché anche scegliere un principio e valore più alto a
confronto colle proprie emozioni è atto stupendo e di grande coraggio. Non resterà a lui o
lei il falso se fatto per il bene di chi il falso l’ha causato. E chi dovrà chiedere perdono pensi
bene alle implicazioni di tale concetto. Ma esiste un altro tipo di perdono, che forse
perdono non è, ma pura correttezza logica e sociale: laddove la persona che ha sbagliato o
errato si ravveda, noi non esiste ragione di rinfacciargli gli errori del passato, e senza
ragione non v’è diritto.

A scanso d’equivoci, ovviamente è probabile che ci sarà a chi scappa, “Ma tu me l’hai
combinata grossa,” e se scappa, è perché la persona non è ancora in grado di controllare
l’eccitamento ed emozioni causategli, e ciò non comporta colpa. Ma il rischio che vedo e
vorrei evitare è che ciò diventi un atteggiamento gratuito; anche per questo dovrà
intervenire la società dando valvole di sfogo ad emozioni fortissime; sì, toccherà alla
società che stiamo costruendo riparare i danni causati da sto schifoso sistema dominante;
prepariamoci per il poi, per il dopo, perché essere gentili significa anche quello e perché
questo domani potrebbe essere molto più vicino di quello che si pensi e non dovremo farci
trovare impreparati. La ragione serve anche a prevenire il male, ed è solo logico che la si usi
anche per questo, perché essa è in grado di prevedere. L’ecosocialismo deve, allora, fare
proposte per alleviare i sintomi sociali di quello che è (stato) un malessere globale
profondissimo, e ci stiamo arrivando. Ma noi pensiamoci a come ci muoveremo in questo
nuovo scenario e, quando possibile, nello spostare idee e sentimenti, cerchiamo di non
essere elicotteri ma farfalle.
La via dell’umorismo

Sappiano bene che l’umorismo è straordinario; sappiamo, e possiamo constatare con i


nostri occhi, che laddove cresce l’ingerenza plutocratica ed antidemocratica si vede un calo
sia della quantità che della qualità della satira. Essa non è offesa gratuita, ma migliorativa di
natura, come dice Linda Hutcheon in A Theory of Parody; è carattere essenziale della satira
voler far notare il falso per aprire la via del vero. Non si confonda satira con sarcasmo, né
satira con sbeffo (che può essere uno strumento della satira), né collo sfottò (anche lui
possibile strumento); ma quando questi sono stati presi e trasformati in meme, poi ancora
trasformati in insulti e poi persino minacce, la natura migliorativa della satira è stata
abbandonata se non addirittura insultata. Il diritto di satira non è diritto di insulto, e la
distinzione è chiara. Nel contempo, abbiamo visto un’emarginazione dai media di talenti
che criticano il sistema profondamente ed al contempo, la chiusura delle porte che portano
ai palchi televisivi e simili a chi si affaccia al mondo dell’umorismo con un vero intento
satirico.

Al contempo, abbiamo visto che il fascismo ha proposto buffoni come suoi pupazzi: da
Trump a Farage, da Johnson alla Meloni, per non nominare quello che sta già facendo
cancellare il volo a tanti solo al pensiero che io possa menzionarlo, si nota bene che nel
casting delle marionette fasciste si siano scelti personaggi grotteschi, e questo è stato fatto
a mio avviso volutamente e con un chiaro disegno: presentare un buffone per farlo arrivare
fino ad un certo punto nella sua carriera come “innocuo” proprio perché tale.

Ma abbiamo anche visto che questi presto si rivelano per quello che sono; dal punto di
vista politico, come statisti, non sono altro che buffoni. Ed è proprio lì che casca l’asino
(guarda caso)! Quello che è un loro vantaggio nel gonfiare la bolla è anche un loro punto
debole quando la si sgonfia. I loro discorsi devono essere trattati e svelati per quello che
sono: buffonate. Ed è così che prenderli per i fondelli è un modo per farli uscire dalla scena
con quello che si meritano: una chiara, forte e lunga pernacchia che risuonerà nella storia
come eco precedendo la loro reputazione ovunque.

Non è ormai più il caso di prendere le loro proposte seriamente ogni volta; per onestà
intellettuale, nel caso dovessero dire qualche cosa di sensato avremmo il dovere di
prenderlo in considerazione, ma questo è un po’ come aspettare la pioggia nel Sahara,
perché chiaramente se ne hanno fatte in questi anni, si contano probabilmente sulle dita di
una mano e non ci si aspetta, anche se possibile, che gli asini comincino a belare domani.

Ma esiste un altro motivo, forse il principale, per cui parlo di metodo dell’umorismo, e si
basa su quello che abbiamo detto in chiusura del discorso sulla via della ragione:
aspettiamoci un lungo periodo di transizione dove bisognerà evitare scontri, anche non
violenti, ma verbali, e comunque scontri dovuti all’eccitamento di emozioni molto forti
dovute al sistema dominante. E come si ricorda, sarà compito della società che stiamo
costruendo promuovere valvole di sfogo, e la migliore è sempre una bella risata.

Dovremo promuovere l’umorismo nelle scuole, nelle piazze, nei bar, nelle strade, nei
mercati, nei teatri, nelle arene ed anche sui media. Dovremo veramente ridere, e ridere
tanto, con una grande risata collettiva e luminosa che guarda al futuro mentre demistifica
ed esorcizza il passato del mondo dominate plutocratico, insomma, una grande catarsi
collettiva.

Ed è qui che ritorna il valore assoluto della Libertà; essa è anche libertà da emozioni
negative, dagli effetti di un sistema criminale e malato; essa è anche la libertà dal proprio
passato in quel mondo, ed è anche la libertà di non doversi sfogare contro l’individuo,
contro chi l’ha combinata grossa, cosa che abbiamo detto è comprensibile e prevedibile; la
Libertà è anche il poter sfogare le proprie emozioni nel modo più innocuo e gioviale che
esista: e chi non si sente libero ridendo?

Insomma, l’ecosocialismo propone un mondo che non è solo bello e giusto, è anche molto
ma molto divertente.
La via dell’arte

Scusate, io di solito scrivo Arte, è un mio germanismo, ma questo è il mio primo libro in
italiano e tante maiuscole sono diventate minuscole... Ma quello che conta è che il mondo
proposto dall’ecosocialismo sia anche molto bello. Anche la Bellezza è un valore, e lo
sappiamo bene; forse il più intangibile di tutti i valori, il più “leggero”, il meno descrivibile
(insieme all’Amore); ma l’arte in tutte le sue espressioni ci connette non tanto col razionale
(cosa che la concept art ha continuato a fare sino alla nausea), ma coll’irrazionale, con
quella perte della mente che non solo non funziona per classificazioni e processi, ma che
più si collega con il nostro cuore e coi nostri sentimenti. La Bellezza e l’arte sono parti
essenziali della nostra esperienza e della nostra vita. Non ho bisogno di ricordare a chi
legge quanto sarebbe insulsa una vita senza Bellezza. Non siamo qui a definire l’arte,
questo non è un libro di estetica, anche se personalmente propendo per le teorie
espressiviste dell’arte. Certo, se l’arte è in primo luogo espressione, perché filtrarla tramite
la razionalità ed esprimerla come concetto? Forse perché quando ciò accade, si asseconda
e spesso adombra una sua dimensione fondamentale, l'espressione dei sentimenti, alla
esposizione di idee. Non dico che l’arte non possa anche esporre e proporre idee, anzi, ma
come un testo di filosofia in primo luogo debba esporre idee ma può anche essere bello,
qualora la prima funzione manchi, farei fatica a chiamarlo testo di filosofia.

Io penso fermamente che dobbiamo riscoprire il valore espressivo ed estetico dell’Arte. Dai,
mi è scappata la maiuscola. Ma esiste un altro motivo importantissimo perché tale valore
andrebbe riscoperto e suppongo sia il motivo speculare per cui il sistema dominante abbia
promosso un’arte concettuale, come la Brit Art, che stranamente in pochi anni ha visto
gente come Damien Hirst fare centinaia di milioni di sterline; pare certo che abbia avuto
l’appoggio della plutocrazia che ha investito somme impressionanti per condizionare il
messaggio dell’arte e promuovere una nozione della stessa che intanto non piace alle
masse, e a tanti artisti, ma che non si capisce nemmeno come possa essere così importante
ed è, per essere generosi, grezza e nemmeno degna del termine elementare, nonché
incapace di evolversi e ripetitiva. Quale sarebbe la ragione speculare? Come l’umorismo,
l’Arte come espressione è catartica. L’arte concettuale non è per nulla catartica; non solo,
ha promosso attivamente lo scandalismo, la risposta di stomaco, proprio quella che serve
ed è servita a corporativismo e camerati vari.

Ma ci pensiamo che la catarsi avviene solo tramite i sentimenti? La catarsi non è un


processo razionale, è un processo emotivo. L’Arte (passiamo alla maiuscola) fa bene
all’artista perché può esprimersi (un freudiano direbbe sublimare, termine che non mi
spiace alla fine dei conti, ma io preferisco il semplice “esprimersi” o anche “esprimere”, che
è molto più consono ad un’idea di realizzazione fisica di sentimenti ed anche di realtà
metafisica). Ma l’Arte fa bene anche a chi la incontra, alla persona che condivide
l’esperienza dell’artista. Se in un modo l’Arte e la Bellezza sono difficili da definire, esse
meglio dimostrano tramite l’esperienza stessa (come l’Amore ed i sentimenti) la realtà
tangibile della condivisione. Non la spiegano, ma semplicemente la realizzano con
un’immediatezza sublime. Davanti a un quadro si può piangere al solo incontro coll’opera.
Non c’è bisogno di spiegarsi perché si piange, l’Arte ci ricorda che si piange, e che il pianto è
vera esperienza. L’Arte ci tiene in contatto con una dimensione dell’esperienza e della vita
che altri linguaggi no possono nemmeno approcciare. Ma è proprio quella dimensione
dell’esperienza tanto dimenticata, tanto sottovalutata e repressa dall’ideologia dominante
per cui la vita vale la pena di essere vissuta.

Viviamo in un mondo che disprezza e reprime l’espressione ed i sentimenti, e nel far ciò ci
priva della Libertà. Non esiste Libertà senza espressione. E cosa si fa se non si possono
seguire i sentimenti e non si può esprimersi? Si cerca una compensazione; e cosa ci offre il
corporativismo come contentino? La ricerca vuota ed incessante di accumulare ricchezza e
beni il più delle volte inutile. Anche la Bellezza fa parte dell’abbondanza; ed anche quella ci
viene nascosta.

L’ecosocialismo non può ignorare una necessità fondamentale dell’Umanità intera: il


bisogno di esprimersi e di vivere i propri sentimenti liberamente. Ed è per tutti questi
motivi che dovremo promuovere l’Arte; una cooperativa dedita all’ Arte è una cooperativa
sociale, e questo può includere compagine di teatro, gruppi musicali, gruppi di danza,
circoli letterari; questo si potrà realizzare con festival, mercatini, esibizioni, ma anche sui
banchi di scuola e nel doposcuola; si potrà anche realizzare con comunità intenzionali
dedite all’Arte; si potrà realizzare nella valorizzazione del tempo libero, e darà anche grandi
opportunità di vivere una vita piena, bella, espressiva a tutti, ma anche a chi sia in pensione
o non lavori. L’Arte è terapeutica, e dovrebbe essere aiutata a compiere questo suo
bellissimo ruolo.

Un mondo dove ci si possa esprimere tramite l’Arte elimina la necessità di doversi


esprimere tramite scontro. L’Arte è un antidoto al fascismo stesso ed un anticorpo della
Democrazia.

Coloreremo i muri delle periferie, anzi, lo faranno coloro che in quella periferia ci abitano;
questo le renderà più belle, ma non solo, anche più “loro”; ci saranno luoghi per esibizioni
ed esposizioni in ogni quartiere, ed in ogni villaggio ed in ogni paese, così che la gente
possa incontrarsi tramite l’Arte. Si potrà persino viaggiare seguendo percorsi d’Arte, per
condividere l’espressione dei sentimenti più profondi con persone lontane; l’Arte è
empatia, e l’empatia, condivisione profonda, e l’empatia non può che portare alla
condivisione, e non solo, alla crescita e fioritura del Bene stesso.

Ma è ovvio che un sistema come quello dell’ecosocialismo, basato sulla condivisione sia il
migliore per promuovere ciò che fa della condivisione un’esperienza tangibile; ed il
contrario vale per il suo più grande avversario. L’ecosocialismo libera l’Arte dal
condizionamento del capital corporativismo. E l’Arte o è libera o Arte non è.

Si guardi al dopo, al domani per un istante; quando tutti vedranno che le periferie
fioriscono e si colorano, quando non guarderanno più alla loro vecchiaia come a un
pannello grigio senza colori, ma come a un giardino di espressione e Libertà, quando
andare in vacanza potrà anche dire seguire un percorso d’Arte e di espressione condiviso,
invece di andare dove ci dicono i plutocrati con la loro propaganda e depliant patinati,
quando nel tempo libero non ci si dovrà per forza rincitrullire davanti al piccolo schermo,
che ormai non ha nulla di piccolo né di espressivo e tutto di repressivo e grande come un
fratello che fratello non è. Ma si pensi, si pensi, a quando ciò comincerà a toccare la vita di
tutti, chi mai tornerebbe ad un sistema che ci ha negato tutto ciò? Chi vorrà tornare a
fissare un muro grigio quando davanti a sé ha un campo fiorito?
La via della cultura

La cultura è coltivazione; questo discorso etimologico ben si adatta agli ideali ecosocialisti,
che ovviamente uniscono Natura e società imprescindibilmente. La cultura però, anche
quando personale, ha il suo valore nella sua condivisibilità ed acquista valore qualora
condivisa, ed è per questo che per molti la cultura è un valore; sarebbe strano che un
valore culturale si basi sulla definizione stessa di cultura, perché ciò appare tautologico, ma
se siamo pronti, come dobbiamo essere, ad accettare valori non solo assoluti, ma culturali,
se togliessimo la cultura essi tutti sparirebbero. È chiaro quindi che la cultura, tra i valori
morali e culturali, acquista una dimensione un po’ particolare, che la pone tra i valori
culturali stessi e quelli assoluti, come la Giustizia. Non si sta qui cercando di definire una
gerarchia dei valori, ma piuttosto una tassonomia, e di vederne le specificità. Ed è proprio
in questa specificità che troviamo un’idiosincrasia spettacolare: la cultura fine a se stessa è
stupenda nel suo viaggio ma può essere inutile, ed è solo qualora la cultura è condivisa che
acquisisce una funzione unica e rivoluzionaria.

Se la cultura è messa al servizio dell’interesse privato e contro quello della società e della
collettività, allora essa diviene persino pericolosa, e si allontana dai valori, divenendo uno
strumento di controllo. Questo è quello che fa la massoneria, che fanno tutte le
organizzazioni che agiscono al buio per sopraffare gli altri. Se la cultura è fine a se stessa
può essere un gran piacere, e chi ha studiato sa che tale piacere è appagante; conoscere è
un’esperienza di per sé positiva. Ma è solo quando la cultura è condivisa, ed ancor più
quando essa è messa al servizio del prossimo che essa diviene un valore vero e proprio. Per
la sinistra, la cultura non può che essere un valore, mentre la destra deve distinguere tra
una cultura di condivisione e al servizio del prossimo ed una contro tale direzione. Questo è
un discorso che deve affrontare il centrodestra democratico, perché vista la storia recente,
devono al Popolo tutto una risposta. Ma ciò che conta di più è che la cultura ha due
direzioni: una virtuosa ed una viziosa.

Ma se poi si segue la direzione virtuosa della cultura, essa non può che portare a sinistra,
che si sa essere il servizio della collettività e del prossimo. Ne segue che la cultura come
valore, di suo, porti a sinistra. Esiste una dissonanza cognitiva in chiunque usi la cultura per
altro fine. È infatti ben difficile mantenere la posizione di una persona che si acculturi senza
mai capire che esistono valori universali che dovrebbero guidare l’uso ed il fine di tale
cultura. Questo è un concetto molto interessante, perché la cultura porta anche
responsabilizzazione. Quando la bolla fascista sarà sgonfiata, chi vi è caduto per mancanza
di cultura non avrà le stesse responsabilità di chi invece, con cultura, abbia promosso tale
bolla sapendone benissimo i rischi, e sapendo benissimo di aver usato la propria cultura per
il male del prossimo. I vari Feltri e Sgarbi dovranno rispondere per lo meno alla storia delle
loro parole ed azioni, e non potranno mai godere dell’attenuante dell’ignoranza. Penso si
siano accorti che per loro esisterà la condanna storica e culturale, e forse anche per questo
non fanno altro che sperare nella loro ultima chance; che vada sù il fascismo e faccia loro il
condono culturale colla falsità storica tipica di tale mostro. Ed è per quello che strillano
sempre più forte: hanno paura di come saranno ricordati e si gettano sempre di più ai piedi
dell’unica voce che prometta loro sepoltura dignitosa negli archivi della storia.
Ma nel vedere quanto sia orribile il loro presente, dove hanno abbandonato Verità e
dignità, ed inimmaginabilmente triste il loro destino storico, noi traiamo lezione, e offriamo
loro uno spiraglio: sono intrappolati in una falsa dicotomia che è fallacia logica tra la
speranza vana di essere riscritti dalla falsità e la Verità stessa; esiste infatti una terza via, ed
è quella che spassionatamente consiglio loro: chiedere perdono sapendo che noi non gli si
rinfacceranno i loro errori, ma che comunque rimarranno nella storia, e come tali, verranno
sempre ricordati.

La cultura della sinistra e di tutto il mondo democratico si troverà infatti a gestire una
situazione non facile; se i loro errori e sbagli non potranno essere dimenticati ed anzi
dovranno costituire la base di tanti discorsi per crescere gli anticorpi della Democrazia,
dall’altro dovremo assolutamente evitare vendette culturali, il “Tu sei quello che,” qualora
proponessero idee corrette nel futuro. Ricordiamoci il discorso sulla ragione; questo deve
valere anche per la cultura del futuro; una cultura che ignori tale discorso è a rischio di
compromettersi. L’anticorpo più forte che abbiamo è proprio questo: la ragione ed il torto
non si danno a persone né si ereditano; si danno alla ragione ed al torto stesso. Anzi, io
consiglierei loro di aprire la loro cultura al bene altrui ed usare ciò che hanno imparato al
servizio del Bene. Ciò non toglie che la Giustizia debba fare il suo corso, e che qualora si
siano compiuti anche crimini usando la propria cultura non si possa non risponderne; ma
anzi, ciò dovrebbe essere parte della Giustizia che deve offrire via di rimedio per le proprie
azioni.

Al solito, chi smette di credere alla Giustizia smette di poter credere a qualsiasi cosa;
questo è un concetto che riaffiora continuamente in questo libretto. Ma per noi che
vediamo nella Giustizia, cosa resta da fare, oltre il progettare come offrirla anche a chi ha
sbagliato nel futuro? È chiaro che si debba promuovere la cultura, ma visti gli errori altrui,
bisognerebbe ricordarsi che una cultura senza Etica è pericolosa. Ed è proprio per questo
che l’Etica deve avere un ruolo centrale in tutti gli studi. Non è possibile laurearsi in
biologia senza aver studiato l’etica che tale scienza comporta, come non è possibile
diventare giornalisti senza sapere i principi fondamentali dell’Etica; abbiamo visto che
danno ciò ha provocato. Anche quando i giornalisti ben conosciuti legati a colui che ci fa
pensare che la cultura sia una manifestazione scaramantica forse si rifanno alla deontologia
professionale, ma dimenticano le Leggi base dell’Etica, ed in particolare modo, la Regola
d’Oro: come possono questi giornalisti tranquillamente impartire ad altri gogne
mediatiche, falsità, fake news, e poi riconciliare tutto ciò con “non fare agli altri quello che
vorresti fosse fatto a te”? E io chiedo all’Ordine dei Giornalisti come sia possibile che esista
un’etica professionale che non si basi sulla prima (e forse unica) Legge dell’Etica stessa?
Non può esistere campo di una scienza che non rientri nelle regole basi di tale scienza.

Scusate, mi sono perso in un altro stream of consciousness... Ora cosa dobbiamo fare noi?
Si diceva promuovere l’Etica ad ogni “livello” o meglio in ogni sfera della cultura, dalle
elementari alla ricerca più avanzata. Ma dobbiamo anche promuovere la cultura stessa;
dobbiamo fare sì che la cultura non coincida più con il percorso scolastico, dobbiamo fare sì
che la cultura cresca nelle piazze, nei bar (perché no?) ed anche nei parchi, non solo sui
banchi di scuola ed università. Bisogna far sì che la cultura sia promossa, e non insultata dai
media; non abbiamo nemmeno un canale televisivo storico ed uno scientifico, ma stiamo
scherzando? A cosa serve la televisione a parte rincitrullire oltre ogni limite accettabile?
Dovremmo averne uno di Arte, uno di storia, uno di giardinaggio, uno di culture alternative,
uno scientifico, uno di musica, uno di teatro, uno di letteratura, uno di filosofia, uno di
educazione, uno per il tempo libero... No invece, ne abbiamo almeno cinquecento di
televendite a circa sei di propaganda politica. È così che siamo ridotti; la televisione
definisce ciò che costituisce il discorso popolare, e la cultura appare per sbaglio tra uno
spot politico e uno commerciale quando tutti sono in ferie o a dormire, o fanno zapping
quando Maurizia Paradiso manda la pubblicità. Dal suo stesso palinsesto è evidente che la
televisione è un mezzo di propaganda del capital corporativismo. E di questo il Popolo ne
chiederà conto.

La politica è uno strumento, il mercato è un altro strumento; essi non sono l’Essere Umano,
che invece è fatto di sentimenti e pensieri, e che si identifica culturalmente; e allora perché
“mamma Rai” non riflette l’Essere Umano ma la plutocrazia?

Ma andiamo oltre la televisione, e spegnetela per cortesia che si sta meglio senza. Si
parlerà in altro luogo della riforma della televisione, per ora ci siamo limitati a parlare dei
danni che essa ed altri media hanno fatto alla cultura. Noi si deve promuovere la cultura
ovunque, ed agevolarne la dimensione condivisiva; concerti, festival di artisti di strada,
esibizioni per strada, teatro all’aria aperta, chi più ne ha più ne metta. Non possiamo
lasciare la cultura chiusa nei musei, e visto che siamo sull’argomento, tutti i musei pubblici
dovrebbero essere gratuiti, come già succede in Gran Bretagna da quasi due decenni, cosa
che è risultata di fatto non solo essere in grado di incrementare enormemente le visite, ma
pure le entrate. E allora è fattibile.

Bisogna agevolare piccole e nascenti compagnie di teatro e non solo aspettare che gli attori
ed attrici possano sperare di avere un contratto decente nell’età del pensionamento dopo
anni di fame e gavetta. Dobbiamo promuovere un cinema di cultura (che si è salvato in
Italia, chissà come, forse perché di forte tradizione), e non solo inseguire il mercato con la
solita coppia che ripete le stesse battute ogni natale per vedere quanti se le sono
dimenticate nei dodici mesi trascorsi. Niente contro la comicità, per cortesia, e niente
contro i film leggeri e “popolari”, ma che almeno abbiano uno sviluppo, un minimo di
creatività. Il problema non è “negare a chi meno acculturato ciò che vuole vedere ciò che
vuole”; il progetto è di offrirlo, ma non di dirgli ciò che vuole tramite condizionamento e
pubblicità enorme e poi offrirglielo come fosse ciò che vuole. Poi che cultura sarebbe
quella di “cercare di capire ciò che la gente vuole” come ci si vuol far credere (leggi: “far
creder loro che vogliano ciò che diciamo noi” e ogni discorso al contrario è falso ed
ipocrita) per poi offrirglielo? Dov’è la condivisione? Pago per ciò che già ho in mente? E tu
che mi dai? Ma pagami tu per quello che ho in mente io se proprio è così! Scusate il bathos
(anti climax) stilistico, o come la chiamo io “fartatio”, una latinizzazione del termine inglese
“fart,” o scoreggia. Quello che voglio dire è che un’opera che non condivide nulla non può
essere espressione, ma solo, in questo caso, ipocrita riproduzione dei desideri indotti
dell’audience. Anche nel film leggero e “di cassetta” deve esserci un’offerta di condivisione
di un’esperienza per essere Arte, come deve esserci un discorso un ampliamento minimo
della cultura (o almeno tentativo) di chi lo va a vedere per essere cultura. Cultura vuol dire
far crescere, non buttare diserbante sui neuroni.
Si pensi pure ai film di cassetta alla Lino Banfi; sì, certo non sono la Divina Commedia, ma
almeno esisteva uno sguardo a temi, come l’emigrazione, la povertà, una certa ironia verso
le tradizioni del cattolicesimo del Sud, anche discorsi sull’omosessualità (forse non ben
affrontati in tutti i film). Purtroppo lo sfruttamento della sessualità femminile li condanna
culturalmente ad una dimensione maschilista e retrograda. Ma ci si spigola qualche cosa di
buono. E all’altro polo noi abbiamo Johnny Stecchino, che non mi pare sia stato
“impopolare” e che certamente è culturale ed artistico. Allora non solo si può fare, ma gli
italiani ne sono maestri!

Noi dobbiamo riconoscere cultura ovunque la possiamo vedere ed indirizzarla verso l’Etica
e verso la condivisione. È chiaro che quando si usa il termine “cultura popolare” non per
parlare di gruppi underground o di graffiti ma di cagate (scusate ma non mi veniva un
termine più adatto) preconfezionate e surgelate per servire solo gli interessi cosiddetti del
mercato (del capitalismo, che ha sempre interesse a spremerti di più) non si tratta di
cultura. Ma facciamo la differenza tra pizzica e tarantella da una parte ed una boy band
reclutata tra ragazzini nemmeno maggiorenni, impacchettata da qualche studio
discografico e poi venduta sugli scaffali ad utenti sempre più giovani solo colla scusa che
“questo è quello che vogliono”… e se invece si insegnasse musica e canto a tutti i gradi
scolastici come si fa in altri paesi qua vicini in Europa invece?

Non può esistere un crescente e voluto divario culturale tra l’utente ed il fornitore (per
usare termini consoni alla teoria culturale e letteraria marxista – lasciamo stare l’ironia che
ironia non è – e chiediamoci se Marx sia stato più utile a noi o al capitalismo) in cui il primo
diventi sempre meno preparato a criticare (e quindi poter scegliere liberamente) ciò che il
secondo galantemente “offre”. La cultura non cresce in questo modo. La cultura deve
crescere nel e dal Popolo, non dalle corporazioni e per le corporazioni.

Basta colla manifattura artificiale di pseudo cultura che serve solo gli interessi della
plutocrazia. Che si investa seriamente in associazioni e cooperative culturali ovunque; che
si ritorni al vero senso di tradizione, che non significa accettare il passato come unico
parametro per la propria condotta etico morale (quello lo lasciamo a Catone come
concetto), ma significa “passare”, “consegnare” e “trasmettere” e che quindi ha al suo
cuore la condivisione tra la gente e non l’imposizione o l’inculcare dalla plutocrazia al
Popolo.

Dare accesso alla cultura non significa dire alla persone meno colte (spesso non per loro
scelta ma necessità imposte dal sistema stesso) ciò che vogliono per poi darglielo; significa
invece dare i mezzi a tutti per crescere culturalmente, dare gli strumenti per capire e
sviluppare la cultura nonché incoraggiare l’espressione culturale in tutti, sempre all’interno
di quella grande luce del pensiero che è l’Etica.

Ma la cultura ecosocialista e non solo, di tutta la sinistra, almeno deve anche ricordarsi di
essere progressista. Non è sufficiente progredire socialmente senza che progredisca la
cultura stessa; questo è un concetto base del populismo, quello vero di cui abbiamo
parlato, che bisogna tener presente. Ma per progredire non si può mai dimenticare che
deve esistere sempre un’alternativa. È un corollario ad Hegel; se il progresso è nella sintesi,
la tesi necessita l’antitesi. Ed è qui che, sempre nello spettro democratico e dei valori, non
dovremo mai pensare che non ci possa essere una proposta migliore. Uno degli errori
enormi del pensiero di sinistra odierno non è di aver abbandonato Marx, ma di aver
dimenticato il suo maestro: Hegel. È proprio da quella che si auto definisce sinistra che si
vedono tendenze ad ignorare e negare l’alternativa. Lo noto in molti atteggiamenti; c’è chi
pensa che l’unica verità possibile sia il materialismo, ad esempio, idea molto diffusa a
sinistra e, posti davanti a pensieri alternativi, deride ed ignora senza nemmeno guardare
ciò che è presentato. Non entro nello specifico di tale atteggiamento, che però ha reso
possibile, si pensi, la nascita e crescita del M5S. Non è stato lo spiegare la propria posizione
che ha spinto tanti di sinistra ad appoggiarlo; davanti alla frase, “Io temo per le scie
chimiche,” li si è derisi senza alzare gli occhi al cielo e porsi razionalmente la stessa
domanda, e si è dato ad un gruppo enorme di persone, alcuni con dubbi sulla favola di
9/11, alcuni che non credono all’allunaggio, alcuni che si preoccupano giustamente della
salute dei loro figli, beh, li si è chiamati tutti “terrapiattisti” insultando quelli che avevano
ragioni serie ed anche dati su cui basare le proprie opinioni. Non si è cercata una risposta
ed una sintesi su basi oneste, ma si è ricorso allo sfottò. E questo è stato un errore culturale
della sinistra enorme, anzi colossale. Ora noi siamo qui a dir loro, “Attenti al fascismo,” e
magari loro non l’hanno visto, ma loro sono ancora feriti perché quando hanno chiesto,
“Ma siamo sicuri che i vaccini facciano bene?” Li abbiamo mandati noi affanculo. Eppure sì,
esiste uno studio screditato dalla comunità scientifica sull’argomento, e questo ci è stato
buttato per abboccare, ma non ci siamo mai chiesti se ci fossero stati casi comprovati, e la
realtà è che il Dengvaxia fu ritirato dal commercio perché pericoloso dall’FDA tribunali USA
nel 2017 perché rischioso per la salute, che i tribunali USA avevano già nel 2016
condannato e sentenziato, ordinando risarcimento per un totale di $1,740,282,062.10
(quasi due miliardi di dollari) per “vittime dei vaccini” con 4.153 vittime riconosciute non da
sparaminchiate patentati, ma da Magistrati basate sulla competenza di Medici. Ad ottobre
2019, tale cifra è arrivata a 4,2 miliardi di dollari. Bastava guardare su Wikipedia per trovare
i dati, come ho fatto io, o guardare sul sito ufficiale della sanità USA, HRSA (Health
Resources and Services Administration) alla pagina ‘Vaccine Compensation’. E allora non
siamo riusciti a guardare se ciò fosse il caso anche in Italia (usiamo vaccini diversi), se
esistesse veramente una preoccupazione seria e legittima (e con tali cifre ufficiali, la
preoccupazione è legittima), e al solito i demagoghi se ne sono approfittati. Non voglio qui
entrare nel discorso dei “no vax” perché intanto non è mai stato fatto un discorso serio sui
“vax” , ma entro sì nel discorso su come tacciare la gente di imbecillità senza andare a
guardare la fonte delle proprie preoccupazioni non possa definirsi un atteggiamento
progressista. Poi che si arrivi alla conclusione onesta e razionale; ma se cominciamo a
pensare che un’idea, anche se sconcertante, non abbia il diritto di essere analizzata
chiudiamo una porta ad una possibile alternativa. E se questo atteggiamento diventa
dominante ci ritroveremo ad essere come il vecchio sistema dominante, e di fatto, finire in
stasi. Detto semplicemente, il punto non è qui se i vaccini siano o no nocivi; non è il luogo
per stabilirlo; il punto è che chi davanti a dati reali, quando ha espresso preoccupazioni
fondate è stato denigrato.

Ribadisco, capisco che tali discorsi sono inquinati, e sono pronto ad accettare che i vaccini
siano sicuri in Italia, ma voglio che le preoccupazioni dei genitori abbiano una risposta seria
e non siano combattuti con insulti. Spezzo qua una lancia a favore di tanti che hanno votato
M5S non perché questi ultimi abbiano offerto una risposta, ma solo perché hanno fatto
finta (a mio avviso) di ascoltare le loro preoccupazioni. E se non lo capiamo che è stato
nell’atteggiamento dove abbiamo sbagliato, queste persone, tante di sinistra alternativa,
non ci perdoneranno mai.

La mia risposta sarebbe stata quella di imporre allo stato di condurre una ricerca seria ed
imparziale sull’argomento, con uno studio a spese statali e non diretto dalle corporazioni,
che riportasse al Parlamento stesso; stiamo parlando della preoccupazione di milioni di
persone per la salute dei loro figli e abbiamo risposto coi titoli dei giornali. Questa non è
cultura progressista. Nel negare l’antitesi si cade per necessità nella stasi, e non si giunge
alla sintesi, e non ci si può basare sul preconcetto che la tesi che noi proponiamo sia
sempre quella giusta. A volte lo sarà ed a volte no, ma non possiamo permetterci di lasciare
ai nostri figli un mondo che si basi sulla convinzione delle proprie idee; quello non è un
sistema corretto né giusto. Non abbiamo imparato Hegel e ci siamo buttati su Marx.

Scusate la critica profonda alla cultura di sinistra, ma è un elemento e fondamento stesso


della cultura (per lo meno quella progressista) che sia in grado di autocriticarsi ed
autocorregersi; è per quello noi lasceremo un sistema che funziona, non una serie di
precetti. Un sistema è in grado di generare, di funzionare ed anche di autocorregersi.

Cultura significa crescere e far crescere; per questo la cultura si nutre dell’alternativa. Senza
alternativa, la cultura rinsecchisce e rischia anche la morte, ma con l’alternativa la cultura
diviene rigogliosa, abbondante e generosa. Impariamo dalla Natura; qual è il limite alla sua
bellezza? Non è forse vero che la Natura si evolve e si adatta per donarci sempre nuova
bellezza e nuovo benessere? Un albero rende le sue foglie alla terra ogni autunno per
tornare a darci fiori in primavera e frutti in estate. Anche questo è un processo, guarda
caso, di sintesi; sintesi tra acqua, terra, luce e vita, sintesi con il tempo, sintesi con il clima,
sintesi persino con altre piante, funghi ed animali. È solo colla sintesi che si hanno sempre
nuovi frutti. E cos’è il processo culturale se non un processo di sintesi?

Ma c’è un’altra caratteristica che Natura e cultura hanno in comune: entrambe crescono
anche nei posti più impensati.
La via della scienza

Vi avviso che questo non è un capitolo facile da leggere: è pieno di dati e concetti anche
difficili per chi non si intenda di scienza. Se lo trovate duro, però per cortesia non
abbandonate il libro, come per ora ho fatto io con un testo stupendo che consiglio a tutti
coloro che amano la scienza rivoluzionaria, The Secret Life of Plants di Peter Tompkins, libro
prettamente scientifico che dà all’ecosocialismo una dimensione del tutto nuova, che va
ben oltre il tracciato del libretto che state leggendo; mi sono bloccato sulla descrizione
tecnica di alcuni strumenti usati nel quarto capitolo (penso) e non l’ho ancora finito.
Piuttosto, tornando al capitolo di questa proposta, se lo trovate “stopposo”, saltatelo o
prendetene i concetti base e ritornateci più avanti se volete. O magari, se volete evitare il
discorso prettamente scientifico, cominciate dal paragrafo marcato all’inizio con un
asterisco.

Ma cominciamo dai fondamenti. La scienza è un metodo; bene, ho ribadito l’ovvio e


l’elementare. È un metodo che funziona per i suoi scopi. Ancora ovvio ed elementare. Ma il
sistema dominante è riuscito persino a corrompere la scienza. Sorpresi? Molti di coloro che
leggono lo sapranno già, ma questo è un discorso che va affrontato seriamente e
pubblicamente.

La scienza è stata invasa da “miti”, usando il termine non con la sua accezione corretta di
origine greca, ma col suo uso nel doublespeak, ovvero di dogmi fallaci. Esiste una tendenza
nella scienza che va contro i principi della scienza stessa; quante volte ci siamo trovati
davanti ad una teoria o pensiero, e la risposta è stata, “Ma la comunità scientifica non la
pensa così?” Questa non è solo una fallacia logica, chiamata argumentum ab auctoritate,
esattamente la stessa fallacia che Galileo si trovò ad affrontare quando propose le sue
teorie (anzi, guardando il processo stesso, si scopre che la Chiesa fu molto più aperta ed
onesta verso le sue teorie di quanto si creda, e di certo di atteggiamento più coerente col
principio scientifico di quello che molti hanno oggi). La storia famosa, sebbene mal
ricordata, di come la scienza dovette opporsi a pregiudizio è proposta per condannare un
atteggiamento, ma al contempo, questo atteggiamento è molto comune nel mondo
scientifico. Non esiste un’autorità nella scienza, non una di tipo personale; l’autorità deriva
dalla correttezza dell’osservazione, dell’analisi e poi della correttezza (in varie dimensioni,
tra cui quanto riesca a predire, quanto sia coerente ecc.) della teoria che ne deriva. E
purtroppo questo spesso non è il caso. Questo non significa, ad esempio, che quando si citi
uno scienziato non si possa riconoscere che abbia compiuto atti e portato teorie di grande
importanza; ma tale importanza deriva dalla correttezza delle teorie stesse, non dal fatto
che siano state presentate da scienziati.

Invece, siamo in una situazione paradossale; ciò che è scienza e ciò che viene popolarizzato
come tale sono spesso due realtà diverse. Esistono oggi teorie che stanno affrontando
critiche fondamentali e profondissime, e che se si guardano le critiche, si nota che sono
serie e basate sul metodo scientifico correttamente. Non entro nel dettaglio, ma alcune
delle teorie più fondamentali e centrali del panorama scientifico odierno sono chiaramente
in grave difficoltà, anche tra quelle più amate dal pubblico, come il Big Bang. Il punto è che
è normale nel metodo scientifico accettare la critica a teorie anche fondamentali, ma ciò
incontra spesso una ostilità enorme, che va di principio contro il metodo scientifico stesso.
Rupert Sheldrake, che penso di aver già citato, e non si accettano critiche basate su altre
sue idee, ma solo discorsi su ciò che presenta, fa notare in The Science Delusion, che
esistono ben dieci concetti che vengono passati come fondamentali di teorie scientifiche
che sono in realtà comprovatamente falsi. Ad esempio, la velocità della luce non è una
costante; ciò è scientificamente sicuro, ma ancora la si propone come una costante. Non
solo, ma andando oltre, la velocità della luce è semplicemente non misurabile. Questo è
uno di quei “segretini” degli scienziati di cui evitano di parlare. Per la natura stessa della
Teoria della Relatività, è impossibile misurare la velocità della luce. Sapete come si misura
la luce? Si manda un raggio laser ad uno specchio a distanza per poi misurarla quando
ritorna al punto di partenza. Ma questo pone un problema; non sappiamo e non possiamo
sapere se la luce riflessa viaggia alla stessa velocità di quella emessa. Non è altresì possibile
misurare la luce sincronizzando i due orologi atomici nei due posti, uno di partenza ed uno
di arrivo, perché se si sincronizzano, devono essere nello stesso punto, siccome la
sincronizzazione a distanza acronica è impossibile; ogni viaggio di informazione richiede
tempo, e questo tempo dipende dalla velocità della luce stessa. E se si sincronizzassero
nello stesso punto, una volta divisi per misurare la velocità della luce, avrebbero tempi
diversi dovuti alla velocità della luce stessa. Si tratta di variazioni minime, ma che
precludono la possibilità stessa di misurare la velocità della luce in modo da stabilire se
essa abbia o no due velocità quando riflessa e quando no. Ma a prescindere da questo
problema, anche quando misurata per riflessione, essa varia, e varia continuamente di
anno in anno ed ad ogni misurazione; i dati vengono raccolti ogni anno ed ogni anno e (fino
ad uno stratagemma recente) questi dati sono risultati diversi. E sapete come è stato
risolto il problema? Cambiando il metro di anno in anno per adattarlo alla velocità della
luce. Cosa può esserci di più antiscientifico di cambiare i metodi di misurazione di
un’osservazione per adattarli ad un precetto che risulta sbagliato dall’osservazione stessa?
Eppure tutto ciò è passato totalmente non inosservato, ma accondisceso dalla comunità
scientifica che dovrebbe essere garante che il metodo scientifico sia sempre applicato. È
dal metodo che la scienza deriva la sua autorità, e da nient’altro.

Ho dato qua un esempio che forse, nell’immediato, non pare abbia grandi conseguenze,
ma mostra una disattenzione nei riguardi del metodo stesso. Ma cosa mi direste se vi
facessi notare che oggi esiste, e la comunità scientifica dovrebbe esserne al corrente, una
vera e propria crisi nel mondo scientifico, chiamata replication crisis, o crisi della
repetibilità, che colpisce la conoscenza scientifica nelle sue fondamenta, mostrando che il
metodo non è stato usato correttamente in un numero impressionante di casi? Mi spiego,
parte integrante e fondamentale del metodo scientifico è che gli esperimenti siano
ripetibili. Se io faccio un esperimento e mi dà dei risultati, ma poi quando questo
esperimento viene ripetuto tali risultati non venissero confermati, è chiaro che debbano
esserci dubbi sulla validità dei risultati stessi e che quindi io non possa basare la mia teoria
su risultati sbagliati o potenzialmente tali. Mentre l’effetto dell’osservatore è stato ripetuto
e trovato valido moltissime volte e non si è mai trovata eccezione, proprio l’effetto che
mostra che tanti precetti ora accreditati della scienza non possono funzionare, il problema
con altri esperimenti è un altro; per molto tempo, semplicemente non sono stati ripetuti,
ovvero si è preso il primo esperimento come valido senza controllarne l’accuratezza. Il
fenomeno si intreccia anche con uno conosciuto come p-hacking ovvero la falsificazione
dei dati positivi, ossia l’esclusione dei dati negativi dal proprio studio per presentare solo
quelli positivi. Il problema è che quando moltissimi esperimenti sono poi stati replicati, i
risultati semplicemente non erano gli stessi degli originali. Faccio fatica a selezionare gli
studi, molti, di metaricerca (la ricerca che studia la ricerca) pubblicati in riviste prestigiose
specialistiche che mostrano questo fenomeno; ma tanto per darne uno, pubblicato da John
P.A. Ioannidis in POLOS, una rivista medica scientifica “peer reviewed”, ovvero dove gli
studi vengono letti, controllati e confermati da altri scienziati esperti nel campo, già il 30
agosto 2005 intitolata ‘Why Most Published Research Findings Are False’ (perché la
maggioranza degli studi scientifici pubblicati è falsa), facendo una metaricerca, ovvero
ricerca sulla ricerca, ed in questo caso sulla riproducibilità della ricerca, su studi medici,
trova che solo l’11% ha riportato esperimenti riproducibili. Ci rendiamo conto di quanto sia
basso questo numero? Non il 95% che potrebbe essere dovuto ad errori e sbagli
strumentali ecc. (che comunque vanno calibrati prima di un esperimento e esso è invalido),
ma solo l’11%... I campi più affetti da tale crisi sono gli studi sociali e, guarda caso,
l’economia e la medicina, in specie negli studi sui farmaci...

Sarebbe bello avere uno studio su quanto questa situazione abbia giovato le case
farmaceutiche, e, nell’attesa che esso venga fatto, le analisi di questa crisi sono continuate,
trovando anche atteggiamenti endemici nel mondo accademico; pare apparente che la
necessità di ricevere fondi per la ricerca da corporazioni abbia spinto un numero
impressionante ed accademici a “massaggiare i dati” per farli allineare alla volontà e agli
interessi delle corporazioni stesse. Il fenomeno è così vasto e profondo che persino Nature,
considerato nella top 5 dei periodici più autorevoli del mondo scientifico di sicuro, se non
“il più”, ma anche il più pro-establishent, ovvero quello che più rappresenta la scienza più
tradizionale, ha pubblicato sull’argomento, dicendo chiaramente che esiste un grave
problema non solo di irrepetibilità, ma di “misconduct” ovvero di infrazione volontaria
delle regole scientifiche; il 19 giugno 2008, Science, Vol. 453, pubblica un articolo firmato
da Sandra L. Titus, James A. Wells e Lawrence J. Rhodes intitolato ‘Repairing Research
Integrity’ (riparare l’integrità della ricerca) in cui si propongono soluzioni, direi “ampie”
piuttosto che radicali e specifiche al problema, e si riporta che su 2.212 ricerche ben 201
presentavano casi di probabile infrazione delle regole di ricerca. Qui si parla non di casi in
cui i dati della ricerca non fossero poi riproducibili, ma di vero e proprio comportamento
illecito e contro i fondamenti della scienza. L’allarme è suonata dal campanile più alto nel
mondo della scienza, ma invece di trovare una soluzione reale, si è pensato bene di limitare
il discorso a qualche titolo di giornale è un brivido scomodo nella comunità scientifica.

Ancora in POLOS si legge un sondaggio tra scienziati di Daniele Fanelli intitolato ‘How Many
Scientists Fabricate Data? A Systematic Review of Meta-Analysis of Survey Data’ (ovvero,
‘Quanti scienziati fabbricano i dati? Una revisione sistematica della meta-analisi di dati
sondati’, 29 maggio 2009) in cui si guarda a quello che ammettono i ricercatori stessi,
studiando ben 21 sondaggi sul tema condotti tra scienziati; l’1,7% ammette apertamente di
aver falsificato i dati almeno una volta, ma ben il 33,7% dice di aver usato metodi non
corretti, e quando si chiede dei colleghi, ovvero quanti abbiano osservato o nota totali
comportamenti, si parla del 14,12% di vere e proprie falsificazioni e di un incredibile 72%
che userebbero metodi non scientificamente corretti. Mi fermo qua nel riportar ricerche;
penso che bastino per mostrare il problema.
Riporto solo un altro dato, tra i casi accertati giuridicamente, il più grande ed eclatante è
quello di Dong Pyou-Han della Iowa State University, che ha dovuto pagare ben 7,2 milioni
di dollari guadagnati fraudolentemente pubblicando ricerche finte sull’HIV (!!!). E quali
sono i motivi per cui gli scienziati sono tentati a commettere frodi? Anche qua, non posso
citare tutte le ricerche, ma esiste la “pressione di pubblicare”, che quindi deriva
direttamente da un mondo accademico che promuove accademici non in base qualità e la
radicalità del pensiero proposto, ma dalla sua accettazione dal mondo accademico stesso,
che quindi rende l’accademia conservatrice, e, secondo il Professor Ian Freckelton QC
(“Queen’s Counsel”, ovvero avvocati che siedono al “bar”, che non ha niente a che fare con
ombrette e spruzzati ma indica legali di grande esperienza ed esperti a livello nazionale di
Diritto), che in una lucida analisi dei casi giuridici in questione indica ovviamente anche
motivi finanziari (Scolarly Misconduct, Oxford University Press, 2016); la ricerca scientifica è
corruttibile semplicemente perché per avere i fondi per una ricerca si deve andare con il
cappello in mano davanti ad una corporazione; e chi si illude che una corporazione dia
fondi per ricerche che vadano contro i propri interessi non solo non capisce come
funzionano le corporazioni, ma crede pure che Babbo Natale voli con una slitta trainata da
renne.

Quindi abbiamo visto che esiste una crisi profonda della credibilità non del metodo
scientifico e quindi della scienza stessa, ma di come la ricerca sia stata tante volte
condizionata, fino ad arrivare a vere e proprie frodi accertate di dimensioni ed implicazioni
colossali, da un sistema che non funziona. E qui si torna nel nostro campo; quello di
analizzare i problemi e trovarne le soluzioni. Il problema è chiaro: esistono due cause
principali, come indica Feckleton, anche se altre sono state riscontrate: la necessità o
desiderio di far carriera e la necessità di fondi. Si noti che entrambe le cause non derivano
dal metodo scientifico, ma dal sistema dominante plutocratico. Si fa carriera in accademia
in base agli articoli pubblicati in riviste specializzate e “peer reviewed” ed in base a quanto i
propri studi siano poi citati da altri; ma per pubblicare, bisogna avere i fondi per fare tale
ricerca, che, specie in alcuni campi, dipendono direttamente dalla volontà delle
corporazioni.

Ma ancor prima di continuare voglio far notare un difetto del sistema di “peer review”;
intanto esso non è parte del metodo scientifico, ma solo un sistema inventato per, in
teoria, assicurarsi che gli studi pubblicati passino degli standard stabiliti. Si noti che chi
legge ed approva tali studi non controlla che i dati siano stati raccolti correttamente; non si
va in laboratorio a guardare cosa succede, né si riproduce l’esperimento; quello che si fa è,
presi i dati per quello che vengono proposti, poi si controlla che la loro analisi e le
conclusioni siano corrette. Guarda caso la crisi corrente viene dal modo in cui si raccolgono
i dati. Ma esiste un altro problema; chi si immagina che tu possa mandare uno studio a
queste grandi testate e che loro poi lo analizzino indipendentemente non sa come funziona
veramente; nel mandare lo studio si deve anche nominare almeno un altro accademico che
ne faccia l’analisi. Te lo scegli tu chi dà il nullaosta o no alla pubblicazione! È chiaro che un
professorone con tante persone a sua dipendenza possa nominare chi voglia; ed è anche
chiaro che siccome la loro carriera dipende da lui, sarebbe spararsi sappiamo tutti dove il
bocciargli uno studio. Ecco qua come la gerarchia e le conoscenze personali influenzano,
anzi controllano letteralmente il sistema messo in atto per garantire la validità di uno
studio. E facciamo l’esempio di un ricercatore nella squadra di un professore la cui carriera
è basata su una teoria, e facciamo che venga nominato per fare l’analisi per una
pubblicazione di una teoria opposta e che la smonta... Chi vorrebbe trovarsi nei suoi panni?
Ed ecco come solo certe teorie trovano la via della pubblicazione nelle riviste specializzate.
Il caso eclatante è quello del Professor Michael Behe, andatevelo a guardare...

Ma allora, quali sono le soluzioni? Non posso entrare nel dettaglio, ovviamente, ma se ne
può parlare in altra sede, ma vorrei cominciare dai dati, visto che parliamo di metodo
scientifico. Se ho detto che chi si è interessato a questa grave crisi con implicazioni
gigantesche ha continuato nell’analisi, è anche vero che sono state proposte vie di
soluzione pratiche e credibili. In Plato, nome che adoro, enciclopedia dell’Università di
Stanford, USA, al capitolo Reproductivity of Scientific Results, alla voce ‘Meta Science:
Establishing, Monitoring, and Evaluating the Reproducibilty Crisis’ proprio sull’argomento,
riportando una serie di ricerche fatte da varie università e studi di ricerca ci dà un dato in
contro corrente: analizzando molto criticamente e persino ampliando il campione (cosa che
chi si occupa di scienza sa bene cosa significhi, anche in relazione alla falsificazione o falsa
rappresentazione dei dati; spesso i campioni presi in considerazione da molti studi sono
piccoli, ma non sto qui a parlare di tutti i “trucchetti”, non finirei più..., ma visto che ci
sono, uno è usare campioni piccoli quando conveniente ed un altro campioni larghissimi
per ricercare dati piccoli, che possono essere casuali e poi riportarli come statistica
credibile che stabilisca una falsa causalità; me ce ne sono altri), quindi, dal punto di vista
della riproducibilità limitando la possibilità che sia dovuta a piccolo campione, ed anzi
rendendola meno probabile, in 100 esperimenti su 270 studi di 64 studi di ricerca in 11
paesi la riproducibilità sale dall’11% al 75% che potesse essere dichiarato riproducibile! La
differenza? Questi studi non erano stati finanziati da corporazioni e sono raccolti tramite
crowd-sourcing ovvero tramite collaborazione; e questo viene fatto spesso usando cittadini
comuni piuttosto che scienziati in un sistema collaborativo. Ovvero, laddove la gente
comune fornisce i dati i risultati sono sette volte più attendibili di quando lo fanno i
professionisti? E non si può certo parlare di bias, perché quando lo studio stesso fu posto
sotto analisi e revisione, il risultato di riproducibilità fu alzato dall’originale all’attuale 75%
considerabile tale; ovvero, erano stati molto severi coi loro parametri.

Ma ciò che conta è che la differenza nel modo di condurre di finanziare la ricerca ha un
impatto diretto sulla credibilità dei risultati della ricerca stessa, cosa che non sfugge alla
colossale opera dell’Università di Stanford che inserisce la “collaborazione” ed il “lavoro di
squadra” nonché la ricerca tramite crowd sourcing tra le soluzioni alla crisi.

Ora, guardiamo bene i dati; laddove uno studio è legato ad un interesse individuale, solo
l’11% è riproducibile; laddove tale interesse sparisce, tale percentuale raggiunge il 75%. La
differenza tra i due, a me pare chiaro, non è solo che in una tutto è in mano ad uno
specialista o squadra di specialisti, ma che nella seconda spariscono gli interessi di chi
finanzi tale squadra.

La soluzione alla crisi è quindi nella collaborazione. Ma se la collaborazione è poi


assoggettata alla causa di tanti problemi, come si è visto, ovvero alla volontà di chi finanzia
il progetto, mi pare ovvio che tale soluzione possa essere vanificata almeno in parte. Io
vorrei prendere uno spunto anche verbale da quello di cui abbiamo parlato e provare a
vedere come sarebbero i risultati in cui la ricerca non sia tanto o solo “crowd sourced”, ma
anche “crowd funded”. Certo, esistono altre variabili in un crowd funding della ricerca,
ovvero che non si può e non si deve mai promettere qualcosa a chi faccia parta di tale
crowd funding una ricompensa che dipenda dagli esiti stessi della ricerca.

* Ma a prescindere dall’idea buttata lì come possibile esperimento, rientriamo nei principi


del socialismo e della sinistra in generale: ma se la scienza e la ricerca hanno un effetto
enorme sul benessere o altrimenti comune, quindi collettivo, come si può accettare che sia
controllata dal finanziamento e quindi dagli interessi dei privati e nella fattispecie delle
corporazioni? Siamo davanti ad un enorme conflitto di interessi, per cui le corporazioni che
traggono profitto dalla ricerca sono anche le stesse che decidono quali ricerche finanziare.
Per ora, abbiamo visto a quali danni, danni che sono riusciti a minare la credibilità stessa
della ricerca, questo paradosso sia riuscito a causare.

E allora cosa propone l’ecosocialismo? Intanto che ogni studio pubblicato dichiari
chiaramente tutti i finanziamenti ricevuti. E già si sa che si inventerà un sistema di holdings
ecc. per nascondere da dove venga il finanziamento in origine; ed allora, per difendere la
ricerca stessa, che tali holdings vengano dichiarate pubblicamente. Ma ancor più, bisogna
far sì che sia criminalizzato ogni atto teso ad influire sui risultati di una ricerca, e che,
qualora esso avvenga, i ricercatori coinvolti siano comunque pagati fino al compimento
della ricerca. Certo, questo farebbe diminuire significativamente i fondi spesi dai privati per
la ricerca, ma anche qua ci sono soluzioni. Intanto, se una corporazione fa una donazione
ad un Università, non deve permettersi neanche di sognarsi di poterne influenzare le
direzioni, la libertà accademica e la ricerca.

Ovviamente, mi sembra ovvio che se le corporazioni si avvalgono dei frutti della ricerca,
siano loro a dover pagare la ricerca, al momento dello sfruttamento. Un po’ come i diritti
d’autore. Invece succede il contrario; pagano la ricerca e poi sfruttano indefinitamente.
Questo potrebbe essere escluso o ridotto per le cooperative, che, avendo di natura una
funzione sociale, non sfruttano la ricerca per loro stesse, ma per definizione la mettono al
servizio del Popolo. Sia ben chiaro, bisogna fare una differenza qualitativa tra l’usare una
ricerca per il bene comune ed usarla per accumulare denaro. Nel primo caso, si può
benissimo parlare della libertà della consocienza scientifica, nel secondo no. Si tratta di
usufrutto di ricerca, e come tale si deve pagare chi la ricerca l’ha fatta. Se una cooperativa
onestamente usa ricerca per seguire il suo vero ruolo, che è di aiutare la società, mi pare
ovvio che sia in linea colla funzione della scienza stessa e quindi non sia altro che un mezzo
per rendere i frutti della scienza fruibili dal Popolo. Ma quando si basano guadagni enormi
sul lavoro di un ricercatore o gruppo di ricercatori, si va nella direzione diametricamente
opposta, e si perde tale diritto.

Qua facciamo un distinguo importantissimo; non si può parlare di una ricerca come mera
proprietà intellettuale; la ricerca e la scienza sono mirate a scoprire la Verità tramite il
metodo empirico-scientifico, e quindi non è immaginabile che la verità sia proprietà
intellettuale. E finora, pensarla tale ha portato solo alla falsità; esso è un valore ed un bene
assoluto. Hanno persino provato a mettere il brevetto sul genoma umano; non è
assolutamente ammissibile metter un brevetto su ciò che la Natura ha fatto; se un brevetto
deve esserci, questo appartiene a Madre Natura ed alla Madre Creatrice. È come mettere il
brevetto su una montagna. Una minchiata madornale ed insostenibile. Qui si dice una cosa
chiara; se la ricerca scopre una verità, essa è proprietà della scienza, e quindi di tutti, o
proprietà condivisa. Ma qualora si voglia sfruttare tale proprietà per fare un profitto,
ovvero per sottrarre benessere ai tanti per metterlo nelle mani dei pochi, allora si avvale di
un bene comune per arricchire il privato, e deve risarcire il Popolo di tale furto. Io non dico
che le corporazioni paghino direttamente i ricercatori; questo aprirebbe una finestra al
condizionamento buttato fuori dalla porta, rendendo appetibili solo ricerche poi sfruttabili
dalle corporazioni. Io dico che paghino tale sfruttamento ai vari stati o anche ad un fondo
di ricerca mondiale, che poi verrebbe ridistribuito alla ricerca, così da servire il Popolo.

Trattasi di progetto complesso, vero, con grandi complicazioni logistiche, ma la logistica è


per definizione risolvibile; ma questo progetto comincerebbe a fornire agli stati fondi per la
ricerca enormi, che invece, finora, viaggiano nella direzione opposta. Questi vengono
spesso raccolti colle tasse (come se per noi il diritto alla scienza fosse un privilegio) per poi
finire nelle tasche di corporazioni, che poi a loro volta finanziano la ricerca in Università ed
istituti di ricerca per quello che fa comodo ai loro interessi, non a quelli del Popolo da cui
provengono i fondi. Stanno tassando l’entità sbagliata! Sono le corporazioni che devono
pagare le tasse sulla ricerca invece di incassarle. E che cavolo!

Si noti che seguendo la Giustizia, nella fattispecie questo principio giusto, non solo si
potrebbe risarcire anche se parzialmente il mondo scientifico ed il Popolo dello
sfruttamento fatto sulla ricerca dalle corporazioni, ma si troverebbero anche tanti fondi per
la ricerca, che gli stati fanno fatica a recuperare. E poi? Immaginando un giorno non
lontano in cui le corporazioni non saranno più egemoni, se non addirittura esistenti, a chi
toccherebbe finanziare la ricerca? Semplice, toccherebbe finalmente al Popolo, tramite lo
stato. Ma qui si parlerebbe di un mondo in cui il 90% del benessere non sparisce nelle mani
dell’1% delle persone come succede (mi pare sia un dato statistico) ora; e col 90% del
benessere al Popolo, sapete quante risorse si troverebbero per ricerca e scienza? Se solo
nel futuro invece di pagare l’elettricità (che sappiamo bene si può non pagare divenendo
autosufficienti dal punto di vista energetico), tale somma potrebbe essere devoluta alla
ricerca. Ironicamente, le bollette pagate dagli italiani ogni anno coincidono colla spesa
dello stato per la ricerca. E se si pensa che le famiglie tutte saranno molto, ma molto più
benestanti, tale somma sarebbe irrisoria, mentre oggi può gravare seriamente sulle uscite.
Sto solo dando un esempio, ma il fatto è che un’occhiata ad un mondo equo e non
controllato dalle corporazioni non solo ci fa vedere una porta spalancata a scienza vera e
ricerca non condizionata, ma ci mostra anche chiaramente che quello che oggi pare un
problema, domani sarà una piccolezza.

Questo, però, è un progetto ecosocialista, e non può dimenticare il bene della Natura e
della Terra. Umanità, Terra e Natura sono sempre unite nel discorso ecosocialista.
Storicamente, la scienza e la ricerca sono state indirizzate quasi esclusivamente (non sono
sicuro del quasi) in una direzione che definir dannosa per Natura e Terra è usare un
eufemismo. Abbiamo già avuto modo di parlare di come ogni scoperta, ogni ricerca, ogni
studio che andassero in una direzione di servizio verso la collettività, l’ambiente ed il
pianeta siano sempre stati o scartati, o letteralmente repressi, con anche omicidi
commessi. Chi conosca Nikola Tesla capirà benissimo di cosa parlo, e menzionarlo nel
capitolo sulla scienza non è solo atto dovuto, è un triste piacere.
Il capital-corporativismo, mostra il caso Tesla, ha tenuto ricerca e scienza in ritardo; o
meglio, le ha sfruttare, specie in ambito militare, ma ha tenuto il Popolo in ritardo; di cento
anni per l’esattezza – anzi qualcuno di più. Perché tutto ciò? Intanto perché una scienza
libera ed al servizio del Popolo andrebbe in diretto contrasto cogli interessi delle
corporazioni e della plutocrazia che esse generano; poi perché tutte le volte che una
scoperta scientifica o ricerca indichi una via al servizio della Natura e della Terra, guarda
caso si scontra con? Esattamente gli stessi interessi. L’industria del petrolio ne è esempio
eclatante. È inutile che si pensi che le corporazioni investano in pannelli solari quando
sappiamo bene che coi pannelli solari ci liberiamo dal giogo della fornitura di energia.
Meglio continuare trapanare mezzo mondo persino col fracking e poi usare combustibili
fossili per poi portarci combustibili fossili che non durano, inquinano, e guarda caso
dobbiamo pagare ad ogni consegna. La sappiamo la storia.

Non entro nemmeno nel discorso sulla farmaceutica, già accennato, perché è talmente
schifoso e criminale da far venire il voltastomaco. Faccio solo notare che colle scoperte
recenti sull’Artemisia annua, una bella piantina che cresce anche spontanea, che mostrano
che sia la cura più efficace mai trovata per il cancro, con cura fino al 96% dei casi ed in
tempi impressionanti, ci si domanda perché non ci siano né titoloni di giornali, né
investimenti ingenti in tali studi, né campi di Artemisia un po’ ovunque. Sarà mica che le
ditte farmaceutiche non la possono sfruttare? O stanno aspettando di brevettarne un gene
per poi renderla (falsamente) illegale?

Vediamo che le scelte naturali, purtroppo, non sono sfruttabili, ed in un sistema il cui unico
imperativo è lo sfruttamento, certe cose semplicemente non si fanno. Ma le soluzioni
naturali sono anche quelle che meno danneggiano la Natura e la Terra.

Ma ancor di più, anche se nella stessa direzione: la scienza non può solo servire l’Umanità;
essa deve anche servire Natura e Terra. È chiaro che sia ridicolo pensare di poterci
migliorare in isolamento dal pianeta in cui viviamo; dobbiamo comprendere che la
soluzione è olistica ed organica; aiutare il pianeta e l’ambiente è un dovere, non è solo
qualcosa che poi farà bene anche a noi. Dobbiamo tenerci stretto questo concetto, per non
ricadere negli stessi sbagli nel futuro. Ho ribadito l’ovvio, ma penso che dobbiamo imparare
la lezione, per quanto banale essa sia.

E dove sono i mega investimenti in ricerca per salvare il pianeta? Shell ci fa vedere che ha
speso degli spicci per fare ricerca “verde”, di cui buona parte son finiti nel cambiare la
pagina web con un colore più “verde” ed il resto in vicoli ciechi scelti col microscopio; ma
nel frattempo ha continuato ad investire somme ingenti in petrolio e gas; ma il contentino
diventa video pubblicitario, i buchi nella terra e le nuvole di fumo tossico invece li
nascondono.

Non è pensabile che le corporazioni vadano contro i loro interessi, e chi guarda solo ai
propri interessi è miope; per loro natura, le corporazioni non sono in grado che di portarci
diritti nel baratro. E siccome sono state loro a causare questa situazione, è giusto che siano
loro a risarcire i danni, e che tali fondi vengano messi con emergenza assoluta al servizio di
ricerca per il bene della Natura e della Terra. Assoluta! Se ciò non avvenisse, è chiaro che i
fondi che ora i Popoli devono pagare tramite gli stati per fare ciò che è comunque una
necessità inevitabile, siano solo un prestito alle corporazioni che dovranno poi ripagare e
con gli interessi. Siamo veramente al punto in cui l’unica soluzione è che gli stati fondino
ricerca indipendente (e vuol dire indipendente dalle corporazioni) per salvare il pianeta dai
danni delle corporazioni, e non si sognino per un nano secondo di potersi rifilare. Chi è
colpevole paga i danni.

Dobbiamo pensare non solo a crescere gli anticorpi della Democrazia, ma anche quelli della
scienza; certo, l’educazione scientifica è fondamentale, ed andrebbe migliorata;
l’atteggiamento di chi dice, “Sì, ma io non me ne intendo di scienza quindi mi fido di ciò che
dicono gli scienziati,” è lecito, ma è antiscientifico; tale argomento è molto più diffuso
quando si parla di scienza che quando si parla di letteratura o arte, e figurarsi di filosofia,
eppure questi sono tutti campi che arrivano a livelli di complessità enormi; si pensi al
decconstruttivismo o a Kant; ma su letteratura ed arte ci sentiamo tutti intitolati a parlare,
di scienza si tace e si fa parlare gli esperti. È una argumentum ab auctoritate che ormai è
dilagante, proprio nel campo in cui tale argomento non può e non deve mai essere fatto
per sua definizione; si nota un chiaro problema, per cui in un metodo dove ciò che conta è
la raccolta corretta dei dati ed un’analisi razionale e non chi compie tali operazioni,
stranamente l’opposto si applica quando gran parte del Popolo ne parla. Questo nasce da
un senso di incompetenza, di ignoranza, che deve essere curato con un’educazione che dia
accesso ai discorsi della scienza. La Fisica Quantistica è magari difficilissima, specie quando
si entra nella sua dimensione matematica, ma i concetti li può capire chiunque abbia un
grado di educazione medio e voglia di informarsi.

Ed ancor di più bisogna far sì che la scienza stessa sia protetta, come metodo, da qualsiasi
tentativo di influenzarla; solo il pensiero di poter influenzare la scienza è inaccettabile;
siamo arrivati al punto di determinarne i risultati tramite lo stanziamento dei fondi stessi
alla ricerca. Ma chi è stato così ingenuo da credere alla favoletta delle corporazioni che
avrebbero dato fondi alla scienza senza volerne indirizzare la ricerca? Chi è così stato
ingenuo da pensare che dare alle corporazioni non una tassa corretta sul loro sfruttamento
della ricerca, ma la chiave del rubinetto della ricerca non fosse un modo per permetter loro
di controllarla? Ed uso “ingenuo” per gentilezza. Bisogna riconoscere una verità, ovvero che
un ingerenza nel pensiero scientifico di un interesse che vada contro la funzione della
scienza, ovvero di servire Verità, Umanità, Natura e Terra (ed oltre) è un vero e proprio
reato; come si devono riconoscere i crimini contro la Terra, contro la Natura e contro
l’Umanità, si devono anche riconoscere contro la Scienza.

Noi non partiamo dal principio, che tanto ha fatto danno, di sostituire un potere con un
altro, come successe in URSS, in Francia colla Rivoluzione Francese, in Cina ecc; noi non
chiediamo potere, chiediamo Giustizia, ed è ben altra cosa. Tale ingerenza nel pensiero
scientifico non deve essere accettata da nessuno; né dalle corporazioni, né dal professore
che volesse usarla per un suo interesse (ideologico o per carriera), né dalle cooperative,
che diverranno, se si vuole salvare questo pianeta, il motore dell’economia. Noi dobbiamo,
lo ripeto, cambiare il sistema, non chi ne è alla guida per lasciarne uno sicuro ma
migliorabile ai nostri figli. Questo vale anche per la scienza, la cui crisi profonda viene ora
nascosta, e non risolta.
Vi avevo avvisato che questo sarebbe stato un capitolo difficile; è stato difficile per me
scriverlo, non perché non conoscessi il problema nel dettaglio, ma perché veramente
complesso e uno che mi sta a cuore; sono stufo di vedere gente che davanti ad un elefante
si chiude gli occhi e tappa le orecchie per far finta che non esista. Bisogna fare discorsi
anche coraggiosi se si vuole veramente cambiare questo mondo in meglio; non è più
possibile sperare che alla fine qualcuno metterà le cose apposto perché buono/a in un
sistema che di suo seleziona i più corruttibili e che ha interessi e mezzi colossali tutti messi
a disposizione della plutocrazia; bisogna denunciare e debellare tale sistema, per poi
proporne uno corretto, basato sulla Giustizia e non l’interesse privato. Qui o si cambia, o si
muore, ed io vedo tutti i tentativi di legittimare il sistema come o disinformati, o come
servilismo ipocrita ad un male che sta distruggendo il pianeta intero.

Ricordiamo sempre, però, che tutto ciò deve avvenire in modo gentile, sempre seguendo il
concetto per cui non sono gli addetti del settore, vittime più o meno consce del sistema
stesso che ne debbano pagare le spese; a loro bisognerà offrire la libertà intellettuale che
ora spesso non hanno, ed i mezzi per poter essere onesti nelle loro ricerche; a loro
bisognerà offrire la sicurezza del lavoro, che non dipenda più dai finanziamenti ed i capricci
delle corporazioni, ma dal fatto che scienziati e ricercatori servono il Bene comune. A loro
bisognerà offrire anche l’opportunità di seguire vie di ricerca meno pre-approvate
dall’establishment stesso; a loro dovrà anche essere concessa quell’immunità che viene dal
proprio ruolo, non ai reati, ma di non essere tacciati come “pazzi” qualora volessero
proporre una ricerca alternativa. Ormai la comunità scientifica, anzi, i potentati della
scienza, letteralmente ostracizza chi non aderisce alla linea; si discreditano non gli studi
sulla base di osservazioni oggettive, ma chi li ha fatti sulla base del fatto che non rientrano
negli schemi e teorie accettati, e non parlo di metodo, anzi, parlo proprio di schemi; ma
come si può pensare che la scienza progredisca veramente così? Se ciò fosse stato
applicato a Newton, non avremmo il calcolo e la fisica, perché se lui avesse scritto adesso,
sarebbe stato screditato perché il suo primo interesse era l‘alchimia, non la fisica. Tra
parentesi l’alchimia non ha niente a che fare col commutare pietre varie in oro; è un
discorso metafisico in cui tali sostanze e processi sono visti come simboli e metafore per
capire concetti metafisici, altra bella palla che ci si racconta per far vedere che una volta
eravamo tutti rincitrulliti (anche Newton apparentemente, si dimenticano sempre di dirlo)
e ora siamo tutti corretti... A loro dobbiamo garantire che i loro studi siano valutati sul
valore stesso è solo dello studio stesso, non su altri studi o persino idee personali. Ma
scherziamo?

E questo mi porta ad un discorso che farà storcere il naso a molti; ma non me ne frega
niente, che lo storcino pure fino a che dice a come quello di Cyrano de Bergerac; io seguo la
Giustizia, non i preconcetti. Dobbiamo dare a ricercatori e scienziati il diritto sacrosanto
spesso negato di avere le proprie idee personali in altri campi. La scienza è un metodo; non
è un’ideologia. E pensiamoci che ormai esiste, per esempio, l’immagine costruita, ed anche
promossa, ad esempio da una famosa serie comica televisiva statunitense, che gli scienziati
debbano essere atei. E mi domando, ma che c’entra? Se la spiritualità è una questione
personale, ed un Diritto Umano, perché si deve propagare un preconcetto che intanto non
corrisponde a realtà, e secondo che nega loro tale diritto? Il loro operato professionale,
come il mio ed il tuo, non deve assolutamente essere giudicato sulla base di rapporti
personali che non c’entrano niente. La scienza è un metodo, e in quanto tale laico, ma da
laico ad ateo esiste un passo che non può essere fatto né tantomeno imposto con costrutti
culturali. E ci ricordiamo che tanti scienziati (in particolare modo matematici e fisici) hanno
ed hanno avuto idee spirituali che non hanno mai impattato sul loro operato? O vogliamo
fare a meno del loro contributo perché non atei? Facciamo un paio di nomi? Einstein,
panteista dichiarato, Newton, Galileo, Volta, Pasteur, la lista continua, ed il Pew Research
Center, riportando un sondaggio tra gli scienziati viventi, trovò che il 51% (neanche la
minoranza) crede in una “divinità o potere più alto”, il 33% crede in Dio propriamente
detto e il 18% crede in uno spirito universale (ibid. 5 novembre 2009).

Nella stessa ricerca, il 48% degli scienziati intervistati si lamenta di che i media semplificano
troppo gli studi scientifici e che questo sia un problema, ma addirittura il 75% crede che i
media non distinguono bene tra “ricerca che è fondata e ricerca che non lo è”; l’85% dice
quello che dico io, che tra i grandi problemi della scienza c’è il fatto che il pubblico non ne
sa abbastanza; allora gli scienziati non è vero che vogliano porsi come una casta di esperti,
anzi, desiderano l’opposto. La mancanza di fondi è denunciata come problema grave dal
48% degli scienziati (USA, figuriamoci in Italia!) e, tanto per concludere, che gli scienziati
trovano i fondi pubblici migliori dei fondi privati (il 57% contro il 37%, una bella
differenza!). Troverete tutti i dati sul sito del Pew Research Center alla data 5 luglio 2009.

Allora mi sembra ovvio che non solo i dati denunciano un malessere della ricerca, ma che
anche i professionisti stiano soffrendo e chiaramente per causa del sistema dominante e
plutocratico; mi sembra ovvio che la categoria interessata denunci il problema che io ho
posto, e non solo, oserei dire che si vede come la maggioranza non sia contenta col sistema
di finanziamento della scienza e che chiaramente preferisca il finanziamento pubblico.

È ovvio che si debba rispondere concretamente alle perplessità della comunità scientifica
ed ai problemi che la ricerca sta affrontando; ciò non si può fare senza liberare scienza e
ricerca dall’ingerenza della plutocrazia e del corporativismo; ancor più, bisogna rendere il
Popolo capace di discutere di scienza senza sentirsi esclusi per mancanza di educazione, il
che ci porta alla prossima via, appunto, quella dell’educazione.
La via dell’educazione

Nessuna delle vie precedenti, in particolare quelle della cultura, dell’arte e della scienza,
sono possibili senza educazione. Intanto cominciamo a parlare di “educazione” e non di
“istruzione”, come già detto, che sono due concetti opposti. Istruzione viene dal latino “in-
struo” ovvero “metto dentro, riempio”, mentre educazione dal latino “e-duco”, ovvero
“porto fuori”. Da uno che ha lavorato in educazione per quasi vent’anni sono stufo di sentir
parlare del concerto sbagliato.

Educare significa dare i mezzi per capire e crescere, e questo non si realizzerà mai fino a
che si parte dal concetto di riempire di dati. Ma che siamo, computer a cui dare istruzioni e
programmi? Questo doublespeak rivela chiaramente l’intento negativo verso gli allievi e
l’Umanità tutta della plutocrazia di usarci come macchine da profitto e null'altro. Invece
noi, all’istruzione dobbiamo contro proporre l’educazione.

Laddove l’istruzione spinge al nozionismo, che poi a sua volta si riempie di falsità, perché il
nozionismo è metodo debole; esso non solo privilegia alcune persone, che da un lato sono
coloro con buona memoria, dall’altro coloro che sono pronti ad accettare un dato o fatto
solo perché comunicatogli da una autorità, che sia un testo scolastico o un insegnate, che
invece di insegnare, dovrebbe educare. Non si dice qui che tutto ciò che si impara sia falso,
ma che sia facile promulgare il falso tramite tale metodo. Tra le materie più nozionistiche
nel nostro sistema v’è la storia... Ancora si impara, per dare un esempio, che Hitler si
suicidò, perché questo è scritto nei libri di testo, nonostante il fatto che non solo non esiste
prova alcuna di tale opinione, ma che le presunte prove vennero occultate da Stalin, e che
quando si ritrovò il teschio del nazista si scoprì che era di una donna. Di fatto, si prende per
vera la parola di Stalin. Io direi che ciò mi suggerisce che questa versione fa comodo, non a
Stalin, non a noi, ma ai nazisti che ancora lo vedono come eroe morto eroicamente, e non
come codardo che scappò in Argentina per lasciare il suo Popolo a combattere la sua
guerra e morire per lui come indicano tantissimi dati storici, tutti più credibili quando
analizzati della bufala storica di un suicidio che pare non solo non comprovato, ma
forensicamente impossibile; basti guardare il divano vicino il quale egli si sarebbe suicidato
che non ha alcuna macchia di sangue. Ma a prescindere dall’esempio, che invito chiunque
ad accertare con metodo critico analitico, si vede benissimo che nell’istruire non si chiede a
chi viene istruito di essere un po’ anarchico e chiedersi se ciò che gli si dice abbia un
fondamento e sia criticabile, ma solo di poi ripeterlo per prendere un buon voto.

Questo non succede sempre, ed anzi, tutta la mia stima ai tanti educatori che hanno
remato contro corrente, educando a sviluppare pensiero critico ed analitico e a pensare
colla propria testa, come si dice. Ma quando ci si trova davanti ad un esame, e questo
succede anche a livello universitario e spesso, e si sa che si deve ricordare la frasetta
sottolineata in un libro di testo e ripeterla, è chiaro che non si abbia né il tempo né l’invito,
né l'opportunità di riflettere, analizzare e tanto meno dissentire da ciò che spesso è stato
scritto dall’esaminatore/trice stesso/a.

Ovviamente i dati, i fatti o presunti tali vanno forniti; non è possibile educare senza dare gli
elementi su cui costruire un discorso, ma non può pensare che ciò sia l’unica cosa da fare
sui banchi di scuola ed oltre. Bisogna che chi si educa conosca ed applichi le strutture dei
discorsi delle varie discipline, e che le sappia esplicitamente; bisogna che si impari (ovvero
prender possesso, dal latino “parare” o “acquistare”, “procacciare” e quindi “acquisire”) il
metodo analitico adatto ad ogni disciplina, e che lo si faccia consciamente ed
esplicitamente. Allo stesso tempo, si deve progredire da un metodo analitico ad uno critico.
Una volta imparato a fare analisi corrette, l’educare impone che si sappia valutare ciò che è
proposto. E poi si va oltre, e si arriva al teorizzare, ovvero a discutere e pensare teorie,
criticarle ecc. Se pensate che ciò sia difficile, quando ero professore a Londra, anche classi
di sedicenni riuscirono a fare discorsi di teoria letteraria anche profondi. Non è per niente
impossibile; non tutti, perché esistono tanti percorsi educativi quanti sono gli alunni, ma
ciò che è riservato agli ultimi anni di università trova invece menti già pronte alla tenera età
di sedici anni.

Educare richiede anche dare spazi e tempi di riflessione; la riflessione è parte fondamentale
dell’apprendimento; pensate a quante cose vi sono state “impartite” a scuola da cui avete
tratto il nulla assoluto e sono finite nell’oblio? Bisogna dare tempo di riflettere a chi sta
imparando; bisogna che le persone possano “far proprie” le cose studiate, e lo si fa
analizzandole e criticandole, non cacciandole giù a memoria per poi rigurgitarle a comando.
Anche solo il processo dell’istruzione, da una prospettiva comportamentista (ricordate
Watson e Skinner, Pavlov e Thorndike e gli esperimenti col topolino il cui nome mi scappa,
ma a cui avrei tanto voluto ricordare qua?), è un processo di indottrinamento e
condizionamento. È una questione etica permettere a chi sta imparando di riflettere su ciò
che è proposto, non solo di rispetto delle regole dell’educazione stessa; se tale opportunità
non viene concessa, si impara solo un comportamento, che è quello di ricevere
informazioni ed istruzioni e poi ripeterle a comando. Un sistema educativo nozionistico è
fascista per matrice. E poi ci dicono che il fascismo era morto... Non sui banchi di scuola,
pare...

Se dobbiamo liberare il pensiero, possiamo farlo solo tramite l’educazione, quella vera, e
non l’istruzione, che è un sistema collaudato dal behaviorismo per controllare
mentalmente i soggetti, ovvero per il condizionamento mentale? Dal credere ad una cosa
“perché lo dice un testo o insegnante” a crederla “perché lo dice il TG” e poi “era su
Facebook,” il passo non è solo breve ma lineare. E non si preoccupino gli educatori, perché
avranno i mezzi per educare ed anche un salario decente. È ovvio che un sistema che si
basa sull’educazione voglia e stanzi fondi considerevoli nell’educazione stessa. Fondi che
sappiamo già tutti dove trovare; non si deve andare col cappello in mano da corporazioni
varie a chiederli; esiste la famosa evasione fiscale, esiste un investimento in armamenti che
deve sparire nel medio termine ecc. Le risorse ci sono, e lo sappiamo bene tutti.

Ma parlando di educazione stessa, non bisogna dimenticare la sua dimensione


metacognitiva; bisogna educare a pensare al processo educativo e di apprendimento
stesso; solo così si diventa autosufficienti come alunni e studenti; solo sapendo come si
impara ad imparare, cosa che se viene fatta, è occasione rarissima in tutti i sistemi
educativi che conosco. Qualora una persona lasci la scuola o gli studi formali senza sapere
come imparare autonomamente, questa persona di fatto è incapace di continuare ad
imparare correttamente ed efficacemente da sola. Ma noi dobbiamo pensare ad
un’educazione che continua per tutta la vita e non si fermi sui banchi di scuola o i seminari
dell’università.
Per questo l’educazione deve divenire, come arte, cultura e scienza, parte integrante della
vita di tutti. Abbiamo già parlato della necessità di aprire corsi di ogni tipo gestiti dalla
comunità a cui si possa accedere liberamente anche durante la vita lavorativa ed oltre; che
questi siano gestiti dal comune di residenza o ancor meglio da cooperative pare la via
migliore, ovviamente. E che si trovino occasioni per educare ovunque si possa, anche
usando i media correttamente, è altra soluzione da mettere in pratica.

E non si parla solo del fatto che i comuni agricoli dovrebbero, per esempio, fare corsi di
agricoltura organica, si parla anche di fare mercati dell’educazione, dove chi sa fare un
batik possa anche insegnare a chi volesse affacciarsi a questa tecnica, oltre che vendere le
proprie opere; si parla di fare festival musicali che includano anche seminari sulla teoria
della musica, o sui suoi impatti sociali, o sulla sua storia, ed anche, laddove possibile,
introduzione a vari strumenti... Sbizzarritevi colla fantasia.

E che l’educazione debba servire Umanità, ambiente e pianeta mi pare assodato. Si pensi
sempre alla centralità dell’Etica in tutto ciò che è conoscenza; si deve introdurre l’etica non
solo nelle università, come già accennato, ma anche dalle elementari. Ed invece, a
proposito voglio fare due esempi...

Quando si sviluppò l’ingegneria genetica il mondo intero si accorse di un grande problema;


quello etico. Si parla degli anni ottanta e novanta, in cui si cominciava a parlare di etica
della scienza. Cos’è successo? Che il discorso è sparito dai media, è diventato secondario se
non nota a piè di pagina nelle università e nel frattempo Monsanto ha fatto tutto quello
che vuole in barba ad ogni principio etico. Ciò non deve mai più succedere, e complici sono
stati i media che hanno affossato il discorso etico. Solo l’etica può dare il permesso alla
realizzazione di un’idea o progetto. Questo non è un principio ignorabile in alcun caso.
Tutto ciò che il sistema dominante ha fatto contro i principi dell’etica è di fatto un crimine
ed un reato.

L’altro esempio è quello che io chiamerei del rilanciare la patata bollente al Popolo. Chi si
ricorda quando la cultura ambientalista venne alla ribalta ricorderà anche che i media
cominciarono subito il discorso del “cosa puoi fare tu per salvare l’ambiente.” Bene, ci
siamo mesi tutti (in molti) a cercare di fare il meglio possibile; ma nel frattempo i media
hanno spostato l’attenzione dalle colpe scandalose delle corporazioni a quello che noi non
facevamo “abbastanza”. Per carità, io sono uno di quelli che non spreca nemmeno una
goccia d’acqua se può, non usa dentifricio chimico, non ha automobile, non uso nemmeno
detersivi chimici e raccolgo pure la spazzatura per strada. Lo faccio volentieri ma questo
non basta; nel frattempo, hanno impacchettato i mandarini individualmente (iperbole),
hanno aumentato le pubblicità di shampoo chimici (che non funzionano, usate un decotto
di rosmarino e salvia se avete la forfora) e per “nostre” necessità inesistenti (manca solo
quello che sposta i capelli più a destra o a sinistra e siamo apposto) ecc... Ci hanno distratto
puntando le dita alle nostre responsabilità mentre loro facevano i loro sporchi comodi. E di
sporchi comodi si tratta.

Cos’è mancato? È mancata una vera educazione all’ambientalismo, che invece in tanti casi
si è limitato ad una cultura del “bloccare i lavori”, che tenesse conto sì dei doveri delle
persone, ma che non lasciasse nel frattempo scappare chi le responsabilità le aveva enormi
e che nel frattempo ha pure reso il compito dei cittadini più difficile, e penso ad imballaggi
vari e alla tentazione di avere i capelli come quello o quella della televisione. Non si è fatto
un vero discorso analitico e critico sull’argomento, perché la popolazione, nel suo insieme,
non è equipaggiata per fare tali discorsi ed è facilmente condizionabile da ciò che dicono i
media. Ci siamo sentiti tutti colpevoli e i veri colpevoli, o quelli più grandi, hanno fatto
esattamente quello che volevano senza mai cambiare rotta né prendersi le loro
responsabilità.

Una via etica e basata sull’educazione, invece, avrebbe richiesto intanto che si seguisse la
Giustizia, perché mi sembra ridicolo che il Popolo paghi la plastica quando compra un
prodotto e poi pure il suo smaltimento, quando tale plastica è voluta non dal a Popolo, ma
dalle corporazioni. E no, caro Renzi, la tassa sulla plastica c’è già, ma la paghiamo noi... Ma
si vede bene l’atteggiamento di chi fa profitto scandalosi su una cosa nociva e spesso
inutile appena si dice di fargli pagare una tassucola che inciderebbe minimamente sui loro
profitti: la minaccia di licenziamento. Solito discorso; minacciare il Popolo non è forse un
reato? Hanno bisogno di licenziare per una tassa di centesimi su ogni euro fatto? Che
presentino il loro bilancio e se devono intaccare i loro enormi profitti si tocchino quelli, e se
non ce la fanno (con ispezione sul bilancio) che chiedano un’esenzione per salvare i posti di
lavoro. No? Era difficile pensarlo? Ma no, ci si lascia minacciare invece. Ho divagato, vero,
ma tutto ciò va a dimostrare come il sistema istruisca e non educhi; se ci fosse stata, ad
esempio, un’analisi e pausa di riflessione (anche breve) su tale argomento, e se si fossero
applicati metodi razionali, la soluzione sarebbe stata evidente. Ma invece il discorso è stato
diretto da destra, e ci sono arrivate subito le non soluzioni delle corporazioni, presentate
come minacce mal mascherate sui media. Siamo ai soliti giochetti.

Un popolo educato è un popolo libero. Certo anche qua la strada è ben lunga, è proprio per
questo esiste un’urgenza di prendere la strada giusta; procrastinare con scuse varie non
solo non serve, ma è pericoloso.

Infine, non dimentichiamo chi lavora nell’educazione, e scusate se lo dico: ma ancora siamo
qua a parlare di precariato quando il problema avrebbe potuto essere risolto decenni fa?
Se un docente è abilitato, basta. Vuol dire che é capace di insegnare. Non esiste alcuna
autorità vera che possa imporre loro anche un concorso. Sono per legge capaci di
insegnare, o meglio educare. E allora? Che si faccia quello che si fa in quasi tutto il mondo
dove i presidi e altri docenti fanno un colloquio di lavoro, fanno insegnare una classe come
lezione prova e poi assumono a tempo determinato. Dai, fare finta di non sapere la
soluzione che è semplicissima ed attuata in quasi tutta l’Europa non è solo ipocrisia, è un
crimine vero e proprio!

Se si guarda ai sistemi educativi di altri paesi, si scopre una galassia di realizzazioni diverse:
non penso che ce ne sia una perfetta e nemmeno ottimale, ma io mi chiedo tutti sui
ministri e politici che vanno in viaggi di scoperta all’estero se abbiano mai imparato
qualcosa... Steso il velo pietoso, possiamo ad esempio guardare il sistema che conosco
meglio, quello britannico; in tale sistema le scuole pubbliche e private sono paritarie
(ironicamente chiamate pubbliche), o almeno così sulla carta; le scuole private offrono
un’educazione enormemente superiore da quelle pubbliche in media. Se da un lato i
docenti e tutto il personale vengono assunti dalla scuola stessa dopo l’abilitazione, cosa
che auspico anche in Italia, non è giusto che esista una disparità del servizio tra chi si può
permettere rette anche astronomiche e chi no. Ed è qui che si vede come non debba essere
l’interesse privato a guidare scuole ed università, ma ancora una volta, il bene pubblico.
Tale sistema nel paese di Sua Maestà, infatti, ha anche lati positivi (sebbene accessibili solo
ai ricchi il più delle volte) tra cui un’educazione veramente ricca e creativa, che prepara
veramente al pensiero critico (che là rimane alle classi abbienti). Ma noi potremmo avere
un sistema simile ma senza il lato negativo? La proposta è sempre la stessa: che si fondino
cooperative scolastiche no profit (e insistere su questo come principio) che possano
entrare nel mondo dell’educazione per offrire alternative valide alla scuola statale, a
condizione che non vi siano assolutamente rette da pagare e l’accesso si gratuito a tutti.

Si dovrebbe parlarne a lungo ed a fondo, e qui semplicemente non ne abbiamo il tempo.


Ma che gli educatori e lo staff tutto possano costituirsi in cooperative per fornire un
servizio pubblico mi pare molto auspicabile, e che tali cooperative possano anche allargarsi
a genitori ed alunni è per lo meno concepibile (purché i ruoli siano chiari, ed è cosa facile
da stabilire, non mi si venga fuori col discorso che poi i genitori possono fare pressioni per
interessi personali se il loro ruolo sarebbe uno di supporto all’educazione dei figli; questi
sono i soliti problemi i logistici, tutti risolvibili ed in questo caso si tratta di equazione di
primo grado, ma ne parleremo nel luogo opportuno; non solo, si noti che qualora i genitori
si pongano come “utenti” ed ancor più “clienti” che pagano rette, allora sì che si notano
atteggiamenti ingerenti ed esigenze anche illecite; qui non si vuole dire ai genitori, “Voi
siete i nostri clienti,” ma al contrario, “Voi siete i nostri collaboratori”). Ovviamente tali
cooperative dovrebbero essere finanziate dallo stato, in quanto offrono un diritto
inalienabile ed un servizio pubblico e non hanno modo di finanziarsi. Anzi, pensando al
futuro, bisognerebbe tenere questa proposta sul tavolo nel momento in cui si cominci a
parlare di “scuole private” a finanziamento più o meno pubblico. Stiamo attenti che come
nelle regioni governate dalla lega si stia già cominciando a privatizzare la sanità; la scuola
rende meno, ma anche essa è a rischio nel medio e lungo periodo. Non è ammissibile che si
sfrutti un diritto universale per interessi privati, ed è per quello che se si vuole variare il
panorama scolastico, la via da seguire è quella delle cooperative ed associazioni no profit.

Noi si vuole un mondo dove l’educazione sia al centro della vita e della società. Si dice
tanto che investire in educazione significa investire nel futuro, ma ciò è stato ridotto ad
uno slogan a cui tutti dicono di credere e su cui tutti giurano e nessuno poi laddove abbia le
capacità di far qualcosa ha mai mosso un dito. C’è sempre una scusa per non migliorare
l’educazione, non hanno manco trovato il tempo di cambiare la targhetta fuori dal
ministero in 70 anni di Repubblica. È chiaro che non sono seri a riguardo, dai, non
pigliamoci in giro da soli.

Noi invece pensiamo ad un mondo dove le opportunità di educazione siano onnipresenti


nella vita è sul territorio, che non si limitino ai banchi di scuola (per giunta abbiamo scuole
che fanno pena proprio come strutture nella maggior parte dei casi), ma che continui sul
lavoro, nel tempo libero ed assolutamente durante quel periodo che dovrebbe essere il più
bello della vita ma che invece finisce per essere di un grigiore agghiacciante, la vecchiaia e
la pensione. Si vuole un sistema educativo che faccia il suo dovere: educare, ovvero sì dare
i dati necessari ad analisi e critica, ma che non abbia sto feticcio della nozione che serve
solo a condizionare, ma che si concentri su, appunto, analisi, critica, astrazione e
teorizzazione e d anche sul metadiscorso educativo; vogliamo un sistema che permetta al
talento di crescere, dive non ci siano materie di serie A e materie di serie B, perché se
esiste un nuovo Giuseppe Verdi in Italia, sarà ben difficile che riesca a realizzarsi, e non
solo, se lo farà, sarà dopo anni ed anni di emarginazione come “uno strano che andava
male nelle materie tradizionali”; infine vogliamo un sistema educativo etico, perché non
importa quanta teoria una persona possa capire, se manca l’etica, mancano i mezzi per
dirigere la propria educazione e conoscenze verso il Bene di tutti, Esseri Umani, Natura e
Terra.
La via della collaborazione e della Pace

Che bello lavorare in una cooperativa! Ma ci pensate a quanti conflitti si risolvono solo
cambiando la struttura dei mezzi di produzione? Non solo, ma ci pensate che se si
offrissero abbastanza opportunità di scegliere in che cooperativa noi si possa lavorare, si
potrebbe sceglierne una con cui si condividono i principi e gli scopi, un po’ come succede
per le comunità intenzionali? Certo, ci saranno sempre differenze, ma quelle sono
necessarie e parte del processo di sintesi; ma invece di dover obbedire senza nemmeno il
più delle volte avere voce in capitolo, cosa che causa frustrazione (che tra parentesi è causa
o concausa di molte malattie), tali differenze sarebbero comunque tutte all’interno di valori
comuni ed il desiderio di raggiungere lo stesso scopo.

Molto spesso, a meno che si sia fortunati e molto più in Italia che altrove, chi lavora non
condivide assolutamente gli obiettivi della corporazione per cui lavora. Non parlo solo dei
tanti laureati che fanno gli imbianchini, ma anche degli elettrotecnici che fanno i
rappresentanti di, magari, gomme per automobili ecc. Ma penso anche a chi
semplicemente non condivide scelte e/o sistemi di gestione e/o le finalità stesse della
corporazione. La maggioranza di noi va a lavorare solo per guadagnarsi il pane.

Questo ci priva di una dimensione importantissima sul lavoro: essere appagati. Se invece si
potesse scegliere una cooperativa, magari all’inizio di questa rivoluzione non potremmo
tutti trovarne una nel campo che noi amiamo di più, ma almeno avremmo modo di essere
compartecipi della gestione, dell’organizzazione e delle decisioni prese. Già questo cambia
la qualità della vita; arrivare a casa la sera con frustrazioni da sfogare prima o poi finisce
per farle sfogare sui propri cari. E allora tanti si incollano davanti alla televisione che glie le
fa dimenticare, o meglio, glie le reprime in senso freudiano. È la società che reprime, non la
Natura, e noi dobbiamo costruire una società che non reprima. Questa, per partire di
nuovo con uno stream of consciousness, è la mia critica più fondamentale a Freud, e non
solo la mia, che mi sembra calzi a pennello in un libretto sull’ecosocialismo. Dicevamo,
invece torniamo a casa con un senso di essere stati ascoltati, rispettati ed aver contribuito
alla cooperativa in cui lavoriamo. Sediamoci a tavola e condividiamo le nostre esperienze
positive con i nostri cari, che se vivono in un sistema cooperativo, avranno tante esperienze
positive da condividere anche loro... E chi se la ricorda più la televisione allora? Ce l’hanno
rifilata per non farci parlare in famiglia, e poi ci hanno dato vite sociali che sono difficili da
comunicare. Siamo a posto così!

Si pensi invece che per diminuire il livello di conflitto, che abbiamo già visto è causa di
perdita di esperienza, si deve cominciare dalla vita quotidiana. È chiaro che un Popolo
sfruttato, frustrato ed arrabbiato possa poi essere diretto a sfogare tale sfogo su un altro
Popolo; il loro sistema gerarchico canalizza il malessere “dal basso all’alto”, direbbero loro,
ma è poi la plutocrazia che controlla dove tale sfogo va a dirigersi quando la gente non ne
può più. In realtà è più un sistema di cerchi concentrici da una parte, ovvero di dimensioni
piccole di malessere che si allargano al malessere generale fino a rompere il cerchio, e
dall’altra sempre cerchi concentrici ma decrescenti nell’indirizzo di tale malessere. Con un
sistema causano e raccolgono malessere, coll’altro lo incanalano e dirigono dove vogliono
loro. È un gioco di pressione che sfrutta il malessere. Ed è per questo che tale sistema
necessita il male e lo persegue ovunque.
Invece se noi ridisegniamo la società in cooperative ed associazioni dove già esiste meno
conflitto al loro interno, queste avranno meno spinte centrifughe per scontrarsi contro
altre società simili, così di fatto rilassando tutta la società. Un sistema cooperativo rilassa,
uno corporativo e gerarchico innervosisce.

Ed è su queste cose che si costruisce la Pace. Noi ci si spetta che sia l’ONU da sola a poterla
realizzare e certo l’ONU, come una cooperazione tra tutti gli stati ecc., con tutti i suoi difetti
ha anche un grande ruolo e dovere; ma gli si può anche dare una gran mano partendo col
rilassare le relazioni di tutti i giorni. Ma per far ciò, dobbiamo passare da un modello
gerarchico e conflittuale ad uno egalitario e cooperativo.

La riforma della comunità internazionale in tale senso deve essere voluta e realizzata, ma
può anche nascere spontaneamente, qualora il mondo si sia riallineato alla sua naturale
struttura societaria nelle altre dimensioni; i sistemi grandi riflettono spesso la struttura dei
sistemi piccoli. Ciò non è sempre corretto; in una logica gerarchica, è l’opposto che accade,
ovvero che il sistema grande impone la sua struttura a quelli piccoli, ed è quindi
semplicemente contro Natura. Ci rendiamo conto di che crimine han commesso la
gerarchia e la plutocrazia? Un vero e proprio crimine contro la Natura.

Noi si vuole invece una società naturale. E non si guardi a chi ci dice che in Natura esistono
anche i branchi di lupi, vero, ma noi non dobbiamo smettere di crederci ed atteggiarci da
lupi e leoni; questo ha portato alla prospettiva della morte del pianeta stesso e tutti i suoi
abitanti; è chiaro che abbiamo scelto il modello e l’esempio sbagliato. Noi siamo invece più
simili ad api e formiche, ed è il loro esempio che dovremmo seguire.
La via del Risveglio

Abbiamo già parlato di questo fenomeno mondiale poco conosciuto in Italia. Ci tenevo ad
introdurlo in questo libretto (ormai siamo a 300 pagine), perché é un fenomeno
importantissimo che coinvolge centinaia di milioni se non miliardi di persone. In realtà non
esistono stime ufficiali su quanti siano le persone cosiddette risvegliate, anche perché è
difficile dire cosa significhi esserlo. Il Risveglio ha tante sfumature e sfaccettature, ed è un
percorso, una via, non un momento.

Per Risveglio si intende un fenomeno colossale che sta vedendo una miriade di persone
accorgersi che il mondo in cui viviamo è falso, e che, per tale realizzazione, entrano nel
cammino della ricerca della Verità. Esso ha tanti aspetti, tra cui uno anche politico, ma
esiste anche un Risveglio Spirituale ed un Risveglio della Coscienza. Tra questi tre è l’ultimo
che ci interessa, non solo perché forse il più fondamentale, ma anche perché
l’ecosocialismo è un pensiero laico. Ma ricordiamo che il laicismo è tale nel rispetto della
spiritualità e non in opposizione ad essa. Se no si parla di ateismo di stato e sappiamo bene
come va a finire. Quindi non mi occuperò qua del Risveglio Spirituale, ma del Risveglio della
Coscienza.

Vedo tutto il movimento ambientalista mondiale come un fenomeno molto legato al


Risveglio della Coscienza; è come se noi fossimo stati drogati collettivamente (più una
realtà che una similitudine) ma che questa droga abbia smesso di avere effetto su
moltissime persone. Trattasi ovviamente della propaganda, trattasi di un sistema che non
accetta il contraddittorio, trattasi dell’aver convinto le persone che la plutocrazia capital
corporativista sia l’unico sistema possibile quando la realtà è ben altra.

Come si arriva a questo Risveglio è ben difficile da spiegare facilmente; pare che vi siano
tante vie quante le persone che si risvegliano; c’è chi semplicemente ci arriva per un
discorso razionale, chi incappa in quel dettaglio che non gli torna e quindi comincia a
mettere in dubbio tutto ciò che gli/le viene raccontato, chi ci arriva semplicemente per
quello che ad alcuni pare essere dettato dal caso, chi ci arriva per un percorso di autoanalisi
(tanti nella crisi di mezza età), c’è chi spegne la televisione e si accorge di quante palle
abbia dovuto subire da essa (e di solito chi si risveglia tende a spegnerla), chi si rende conto
che stiamo andando in una via che può solo portare all’autodistruzione e si domanda se ci
sia una via alternativa, chi ovviamente ci arriva con un’esperienza spirituale, chi guarda le
menzogne dei politici e semplicemente smette di creder loro, chi si accorge che la propria
vita, nel consumismo moderno, è diventata quella di un animale da traino per un’economia
che fa solo i comodi elle corporazioni e cerca una dimensione più vera della propria
esperienza, chi si è accorto che tante verità, anche enormi, ci vengono nascoste, chi si
accorge che siamo la prima generazione da secoli che rischia di lasciare un mondo molto
peggiore di quello che abbiamo trovato ai nostri figli, e si ricorda che la vita non ha senso
senza lasciare un mondo migliore a chi verrà dopo di noi, chi riscopre il proprio amore per
la Natura, cosa che è importantissima nel Risveglio, forse la cosa che più accomuna i
risvegliati... La lista continua.

Qualunque sia la via che porta al Risveglio, i sintomi del Risveglio sono ben conosciuti; è
una strada molto lunga (forse infinita), con alti e bassi, ma chi la per ore si accorge di questi
alti e bassi, come se la propria vita fosse un viaggio in mare, a volte pure in tempesta ed
altre su una distesa d’acqua liscia e baciata dal Sole. Esistono sintomi ormai ben conosciuti
di quando inizia il Risveglio e non posso indicarli tutti; un cambiamento del sonno, con
momenti di insonnia e momenti dove si potrebbe dormire tutto il giorno, alcuni malori fisici
(mal di testa, a volte confusione ecc.), un’attenzione a cose che prima non si erano mai
notate, anche spesso perdita di capacità finanziarie e/o lavoro. Se questi sintomi possono
preoccupare, e capisco bene che lo facciano, essi sono forti specie al principio del percorso
e del tutto involontari il più delle volte. Ma per chi li dovesse sentire ora, sappia che questi
sintomi sono spesso transitori e che, nonostante queste difficoltà, si stanno imbarcando su
un percorso stupendo; la loro Coscienza si sta risvegliando e, da uno che il Risveglio l’ha
cominciato tanti, tanti anni fa (2011), non tornerei indietro per nulla, anzi...

Il Risveglio della Coscienza, dimenticavo, viene anche dal ricollocare la propria presenza in
questo mondo; pensiamoci bene, i nostri nonni ed i nostri genitori (parlo della mia
generazione, quella di quelli che dovrebbero guidare il paese; io ho 47 anni) ebbero sempre
un sogno, ed era lo stesso sogno, anzi, obiettivo, dei loro nonni, e dei nonni dei loro
nonni... Quello di lasciare un mondo migliore a chi sarebbe venuto dopo di loro. Noi invece
vediamo che il sistema dominante ci ha non solo negato questo sogno, ma l’ha fatto
dimenticare a tanti, e non solo, che forse non lasceremo proprio nessun mondo ai nostri
nipoti! Accorgersi di aver smarrito la via di questa vocazione, se così si può dire, o obiettivo,
e vedersi davanti una realtà inaccettabile è forse il momento più importante per avviarsi
verso il Risveglio della Coscienza. Quindi, se non sappiamo quante persone siano
risvegliate, sappiamo quante si stanno risvegliando: sette miliardi e mezzo, ovvero tutta
l’Umanità.

Quando il mostro ha gettato la maschera, hanno visto tutti la sua orribile faccia; e da quel
momento, il mostro non ha fatto altro che puntare dita di qua e di là, distrarre con bombe
e guerre, inventare nemici nuovi da combattere, urlare sui media contro chi non può
rispondere... Insomma, se volessimo essere precisi, quello è il comportamento che la
demonologia ascrive a quel tipetto spesso disegnato con la coda a punta e le corna... E
questo sarebbe il sistema dominante plutocratico capital corporativista... Ma non l’avete
capito che questi “personaggi” si nascondono sotto il fatto che sono stati descritti come
persone ed invece persone non sono ma sistemi? Tutti i demoni sono idee o sistemi, ed
anche lui, il diavolo lo è. E qual è il punto debole di quel tipetto là? Che una volta scoperto
non esiste più. Ribadisco che rimaniamo in un discorso puramente laico, il discorso che i
massoni ci hanno nascosto per secoli. Ma guardatelo; non ha anima, non ha corpo, non può
che seguire e realizzare il male, è solo una volontà, o meglio l’imperativo di sottratte
benessere per accumularlo, si nasconde, e quando lo si scopre scappa. Se la definizione ci
azzecca...

Ma non v’è nulla da temere; come detto, questo mostro può funzionare solo se non lo si
scopre; una volta che la Coscienza si Risveglia, tale sistema svanisce nel nulla; il sistema
dominate per una persona risvegliata è semplicemente una falsità, senza alcun diritto né
autorità di imporci come vivere la nostra vita. Abbiamo una scelta, o guardare veramente
cosa sta succedendo, o cadere vittime del sistema. E chi non lo vede che è a rischio, non chi
lo vede per quello che è. È per quello che insisto che questo sistema deve sparire dalla
faccia della Terra; non si può permettere di aver portato il pianeta intero sull’orlo della
distruzione ed abitarci ancora, o ancor peggio pretendere di governarlo. Che se ne vada
con una pernacchia cosmica, che è quello che si merita.

Tolto di mezzo l’intruso, pensiamo al positivo. Cos’è la Coscienza? Questa è la domanda più
difficile che si possa fare. Ma il termine stesso ci aiuta; è conoscenza condivisa. Non può
esistere Coscienza in isolamento; il solipsismo crolla sulla sua stessa definizione; già
Cartesio aveva affrontato il discorso ed aveva trovato che senza il dualismo non esiste
conoscenza, per essere cosciente della mia esistenza io debbo per forza essere cosciente
dell’esistenza dell’altro. Altrimenti non sarei me stesso, ma il tutto ed il tutto io non lo
sono. Anche quando si pensa alla Coscienza di se stessi ci si pone in due posizioni: una
persona che osserva, o si rende conscia, ed il se stesso che viene osservato. Ed infatti
quando si osserva un fiore, si perde di vista il se stesso osservato; ovvero la Coscienza si
muove e stabilisce relazioni tra osservatore ed osservato. Ma non possiamo entrare nel
dettaglio di come essa funzioni; né é questa una vera e propria definizione, perché dà solo
delle sue caratteristiche.

Ma sono proprio queste caratteristiche che ci interessano: se la Coscienza si risveglia, essa


è in grado di percepire l’altro come prima non poteva. Per altro si intendono sia altre
persone (umane o no) che fenomeni. Fino a che la Coscienza è distratta da falsi bisogni
materiali e false idee, essa non riesce a spostare la sua attenzione verso ciò che conta, che
è il rapporto con gli altri ed anche con sé stessi. Ricordiamo che socialismo ed
ecosocialismo sono teorie sociali, e non politiche, in primo luogo, ma mentre il primo si
concentra sui rapporti tra gli Umani, il secondo guarda anche i rapporti con Madre Natura e
Madre Terra.

Non si può nemmeno arguire che non si possa parlare di Coscienza senza averne una
definizione; infatti la scienza è piena di “cose” fondamentali di cui non si ha una
definizione; volete degli esempi? Come dice il Prof Lennox, nessuno sa cosa sia la gravità,
sappiamo che è una forza, quindi ne abbiamo una tassonomia, sappiamo come si comporti,
ma non sappiamo cosa sia. E non si pensi che esista una vera definizione di materia;
quando la si cerca, si trovano i suoi comportamenti. Se si vuole mettere la Coscienza in una
classificazione tassonomica, essa è una capacità conoscitiva, come la ragione, la logica ed i
sentimenti. Si passi pure quella di “capacità mentale” per ora, anche se limitativa, e ne
parleremo a lungo nei decenni che vengono; ma la Coscienza, come abbiamo detto, è
innegabile, perché per negarla bisogna usarla. Quindi esiste.

Ma andiamo oltre, forse uno degli effetti più importanti del Risveglio della Coscienza è che
ci si emoziona per cose che prima passavano come insignificanti; questo fenomeno
arricchisce l’esperienza oltre ogni immaginazione. È anche spiacevole a volte, e lo dico
senza nessuna malignità, guardare chi è ancora incastrato nelle logiche del sistema
plutocratico, che mi fa pure schifo nominare in questo discorso, e lo dico onestamente;
dicevo, fa veramente spiacere vedere che chi non è risvegliato non prova nulla, o per lo
meno non ha un’esperienza così intensa, davanti ad un uccellino che soffre, davanti ad un
fiore che sboccia o davanti ad una farfalla baciata dal Sole.

Il Risveglio della Coscienza comporta l’apertura di vie conoscitive inesplorate (anzi anche
esplorate nel passato ed anche da studi molto seri, ma inesplorate dall’individuo), esso
dona una ricchezza all’esperienza che prima era sconosciuta, e certamente chi è preso dai
“beni” materiali (e non dico chi voglia farsi una vacanzina, ma chi crede di trovare
soddisfazione nel consumismo) ha l’attenzione diretta lontano da ciò che dà veramente
valore all’esperienza.

E parlando di valori, il Risveglio della Coscienza porta alla scoperta o riscoperta vera dei
grandi valori condivisi; Libertà, Pace, Amore, Giustizia ecc. non sono più cose studiate a
scuola e a cui si crede perché paiono corrette; essi diventano realtà tangibili, dimensioni
dell’esistenza stessa. Ed è per questo che la via del Risveglio rientra benissimo nella
proposta ecosocialista. Non si sostiene qua che il Risveglio sia parte dell’ecosocialismo, né
che il Risveglio non possa portare ad altre soluzioni; si dice che i due vanno a braccetto, che
sembrano essere sulla stessa strada.

Ma il Risveglio può essere anche una via per scoprire il proprio vero ruolo, la propria
missione in questa vita, che non può essere servire un sistema corrotto ed essere sfruttati
per i suoi fini. Invece, chi si risveglia comincia a darsi una risposta a quella domanda che
riempie la vita di significato: “Cosa ci faccio io qua? Qual è il significato delle vita?” Non
dico che sia l’unica strada per trovare una risposta a questa domanda, ma di sicuro non chi
si risveglia inizia il percorso per scoprire la risposta a tale domanda, e chi sia sulla strada del
Risveglio da molto tempo, nella stragrande maggioranza dei casi quella risposta l’ha già
trovata.

Purtroppo però, bisogna fare una nota; anche da sinistra esiste una resistenza a tale
Risveglio; non nella sua interezza, ma da quella parte della sinistra materialista, il
risvegliato o la risvegliata spesso sono guardati come “fricchettoni” e di fatto ridicolizzati.
Mi duole dover ammettere che parte della sinistra non sia stata in grado di accettare il
pluralismo nel pensiero di sinistra tanto per cominciare, spaventata da discorsi di
spiritualità e al di fuori del materialismo (a ragione, per carità, dopo anni di repressione da
parte di istituzioni religiose, ma quello che devono imparare a distinguere, e nei miei
discorsi con queste persone trovo spesso che non sia facile, è che un conto è l’istituzione
religiosa, un conto la spiritualità ed un altro il Risveglio della Coscienza; identificare l’ultime
con la prima è sbagliato, insomma, diamo a Pietro ciò che è di Pietro!), dicevo, queste voci
si alzano spesso in modo sfottente (per essere gentile) verso chi è a sinistra come ed a volte
più di loro ma semplicemente non accetta l’ateismo o peggio il materialismo di stato della
sinistra. Se una persona non sa ammettere che l’esperienza altrui possa essere vissuta
diversamente dalla propria dovrebbe veramente chiedersi se si stia comportando da
persona di sinistra o di destra. E mi sono tolto un macigno dalla scarpa.

Quando si guarda una farfalla in volo, è il volo stesso della farfalla la nostra esperienza. La
Coscienza risvegliata riesce a sentire tale esperienza come sua ed al contempo condivisa;
ma chi fosse ancora nel sonno della Coscienza, o no capisce proprio l’esperienza, o non ne
sente la condivisione, e la vede come due esperienze diverse: quella della farfalla e la
propria. È un salto qualitativo dell’esperienza in una dimensione prima ignorata, si noti,
non inesistente, ma ignorata. Si immagini dove tale qualità dell’esperienza può portare... Di
sicuro in un mondo in cui il Bene del prossimo non è più cosa che viene a discapito del
proprio, come ci vogliono farci credere. Ci si pensi un attimo; ma se la felicità di una farfalla
è la mia, io come potrei non volerla? Ma ricordiamoci che, affinché ciò avvenga, bisogna
capire e volere il Bene altrui per l’altro, non per se stessi; non si tratta qua di poter
utilizzare un do ut des (dare per avere), perché questo è l’ostacolo più grosso alla
condivisione dell’esperienza stessa; questo concetto blocca la Coscienza.

Ben vengano coloro che vogliono salvare il pianeta perché temono per se stessi; stanno
comunque facendo la cosa giusta. Ma mi auguro che nel farla la loro Coscienza si risvegli, e
che un giorno possano anche loro godere di un’esperienza più completa, una che non è
solo fatta dal se stesso, ma che abbracci il valore, e non solo, la vera e propria dimensione
della condivisione. Saper mettere il Bene altrui davanti al proprio quando possibile (e non si
chiederà mai che un senzatetto possa prima pensare alle necessità di chi ha una casa; ma io
ne ho conosciuti tanti a Londra, e la loro generosità d’animo mi toccato fino al punto che
solo a pensarci mi emoziona e mi fa venire la pelle d’oca), ma capire che volere il Bene fine
a se stesso sia la cosa più bella che possa mai succedere a chiunque è certamente un passo
importantissimo.

Come detto, noi dobbiamo tornare a volere un mondo migliore, ma non per noi; per tutti,
ma veramente tutti; siamo tutti piccoli Mosé; tutti vogliamo un mondo migliore anche se
forse non lo vedremo mai, ma, a differenza di Mosé, noi dovremo assicurarci che questo
mondo sia veramente migliore; il futuro non è la conquista di una terra promessa; è la
restituzione alla Madre Terra di ciò che le abbiamo tolto.
La liberazione dei media dal giogo della plutocrazia

Siamo ancora in una situazione in cui se si nomina la parola “socialismo” si sentono urla da
destra che gridano “dittatura”; chi urla, vedi Berlusconi, che ha lanciato questa moda
propagandistica, sa benissimo di mentire. Il problema è che la gente cade nella trappola
degli slogan specie quando non viene fornito alcun contraddittorio. Berlusconi sarebbe
stato da querelare ai tempi. Vero che i cosiddetti mezzi di informazione, chiaramente al
servizio della plutocrazia nella loro stragrande maggioranza, sono ben felici di lasciar
passare certe falsità, e questo è un ostacolo non indifferente.

Ma se ciò è vero, è anche possibilissimo cominciare ad aprire canali di informazione


ecosocialisti tramite cooperative dell’informazione. Dobbiamo organizzarci, ma questa via
va seguita, e non solo per l’ecosocialismo, ma per tutti il pensiero di sinistra. Come si vede,
la rivoluzione gentile non può che seguire il metodo populista (quello vero, quello
dell’educazione ed informazione). Ne parleremo più a fondo dopo.

Questo pare un grande ostacolo, ma lo si può guardare da un altro punto di vista: siamo
semplicemente in ritardo (si sa che storicamente il fascismo è sempre corso a colonizzare e
controllare i mezzi di informazione ed anche oggi si vede la stessa storia). Bene, siamo in
ritardo, ma da un lato la disinformazione della plutocrazia capital-corporativista è anche un
suo punto debole. Sì, avete sentito bene.

Se si guarda chi si affaccia alle alternative al sistema si nota un “pattern”, un motivo, un


andamento costante: chi arriva al punto di vedere la falsità del sistema non torna più
indietro. Milioni di persone perdono fiducia totale in ciò che racconta la propaganda
ufficiale ogni anno. Questo fenomeno, parte del Risveglio, di cui abbiamo già parlato, e che
esperti definiscono come un fenomeno di natura cosmica (qui si entra nella metafisica) e
quindi impossibile da bloccare, è ben documentato in tutto il mondo, e poco conta qui che
sia cosmico o puramente sociale, questo fenomeno è chiaramente in crescita, specie in
certi paesi come abbiamo detto, e comunque ha una caratteristica certa, una volta
risvegliata, la Persona smette di credere per sempre al sistema dominante. Tale fenomeno,
come detto precedentemente, è anche un risveglio sociale e politico. Sia chiaro che il
sistema dominante è ben conscio di tale fenomeno ed infatti è corso ai ripari, introducendo
infiltrati e disinformatori sui media alternativi per fare quello che sa far meglio: nascondere
la Verità, avvalersi di reazioni “di stomaco” e canalizzare il pensiero nella direzione che
meglio serve la plutocrazia.

Ma guardando questo fenomeno, la tecnica del sistema dominante mostra un difetto di


base: propone falsità a chi cerca la Verità. Certo, si possono ingannare le persone per un
po’ di tempo, ma non le si possono ingannare per sempre. Il sistema dominante è per
questo motivo destinato a fallire. Non posso entrare qui nei dettagli di un fenomeno
globale di dimensioni epocali, ma quello che conta è che la perdita di fiducia nel sistema
dominante può solo essere canalizzata di nuovo al servizio di tale sistema per un periodo
limitato. Anche chi si affaccia a questo fenomeno tramite disillusione viene poi ripescato
spesso dai movimenti estremisti prima che raggiunga quel “turning point”, quel punto di
non ritorno per cui tutto il sistema dominante appare per quello che é: falso e criminale.

Vediamo pure come ciò succede: la plutocrazia sa benissimo che chi si trova in situazioni
disagiate rischia di disaffezionarsi dal sistema; ed è proprio in questa fase che intervengono
quelle reti di estrema destra che fermano queste persone dal compiere il passo successivo,
che sarebbe di cominciare a criticare il sistema dalle sue fondamenta, ovvero dalla
gerarchia, dalla plutocrazia e dal capital-corporativismo. Io sono sicuro che tanti che oggi
inneggiano a Casa Pound diventeranno un giorno grandi sostenitori dell’ecosocialismo.
Conosco già persone ex fasciste che, visto il loro sbaglio, si sono diretti coerentemente
verso la Verità. Ora, gli altri sono scontenti e gli è stata offerta una falsa soluzione. Lo
vedranno presto quale è la realtà. Non tutti e non subito, ma molti e presto.

Ma passiamo oltre; il Risveglio politico sociale è molto forte laddove esistano due
condizioni: informazione ed uno stato autocratico. Infatti, gli USA sono all’avanguardia in
questo fenomeno, e qui casca l’asino. Ogni tentativo che il sistema dominante fa per
bloccare il Risveglio non fa altro che alimentarlo, nonostante tutte le loro strategie di
contenimento. Se guardiamo la storia di questo fenomeno dalla prospettiva
dell’informazione e della politica, vediamo come in USA il movimento dei “truthers” o
cercatori di verità nacque in reazione alle menzogne anti scientifiche della versione ufficiale
dell’11 settembre. Lasciamo stare tutte le varie teorie e contro teorie sull’evento; quello
che a noi interessa è che ad un’azione reazionaria del sistema è di lì a poco corrisposta una
contro reazione in direzione opposta. Lo stesso sta lentamente succedendo in Italia, colla
contro reazione molto forte al fascismo e al sovranismo; in Gran Bretagna, la contro
reazione a Brexit ha portato milioni di persone ad abbandonare la strada indicata dal
sistema plutocratico. È infatti una Legge Cosmica, anche qualora non la si guardi dal punto
di vista non metafisico, ma puramente socioculturale: una legge della fisica, la Terza Legge
di Newton per cui ad ogni azione esiste una reazione eguale e contraria, che si applica
anche (e la storia ne è piena di esempi) nella dimensione socioculturale dell’esistenza, e chi
si occupa di Coscienza sa benissimo come funziona.

Quello che però è importante, è la gestione della reazione. Ed é qui che entrano in gioco il
populismo vero, l’educazione, l’informazione e anche l’ecosocialismo.

Prima di continuare devo dire due cose: intanto mi devo scusare per la diversione sul
Risveglio, argomento molto caro a me da tantissimi punti di vista; secondo, non perdetevi
d’animo a questo punto; se pare che il metodo proposto incontri molti ostacoli, sono tutti
superabili e possiamo imparare da esempi recenti per evitare errori.

Tipico di questo fenomeno è l’abbandono in massa dei mezzi di informazione tradizionali,


in particolar modo la televisione. Ormai la BBC e la televisione britannica in genere perde
visioni e perde iscritti al canone rispetto alla crescita della popolazione ed anche,
recentemente, in termini assoluti. Verissimo che purtroppo fonti alternative di
informazione si sono introdotte nel mercato offrendo spesso crogioli allucinanti di
menzogne. Il caso di Facebook è un classico; ma anche Facebook sta perdendo utenti ad
una velocità impressionante. Sono dati che si possono leggere in chiave positiva, ma se non
si fa niente per gestire questa situazione e la si lascia a quello che si autodefinisce
ironicamente libero mercato, stiamo sicuri che nuove piattaforme di disinformazione
spunteranno come funghi. E secondo voi dove andranno i soldi per pubblicità e sviluppo di
tali piattaforme? Verso quelle che vanno contro gli interessi di chi stanzia i fondi? Siamo al
solito discorso.

Ma è proprio qui che bisogna gestire il cambiamento; e lo possiamo anche fare noi. Intanto
stanno nascendo testate di informazione più corrette rispetto a quelle tradizionali; tanti di
noi leggeranno Fanpage, L’Inkiesta, Globalist ecc. e bisogna dire che nel passato
l’Huffington Post ecc. hanno avuto un ruolo positivo nel promulgare informazione
affidabile. Ma esistono anche nuove piattaforme social dove la discussione avviene in
modo civile ed approfondito. Certo non hanno in Italia gli utenti dei colossi dei social, ma la
gente si sta letteralmente stufando di quelli ormai istituzionalizzati.

“Ma cosa si può fare,” direte voi, “contro Facebook?” La cosa bella, e questo è un vero
punto debole della propaganda del sistema dominante, è che le idee non si fermano
all’interno di un social. È virtualmente impossibile presentare un contraddittorio su
Facebook, e si sta notando chiaramente che la corporazione sta rispondendo a pressioni
forti di cambiare o limitare la diffusione di odio e fake news sulla sua piattaforma
(Facebook è sotto inchiesta da parte del Congresso USA, e invito a tutti di guardare con che
forza i rappresentanti del Popolo hanno criticato Zuckerberg; vedere la sua faccia davanti
ad accuse di aver fatto finta di non vedere una delle minacce “più profonde alla
Democrazia” è uno spettacolo; cito a memoria). Ma esiste un altro fenomeno; quando
Facciamorete fu lanciato su Twitter, io ricordo bene che si parlò di lanciarlo anche su
Facebook; consensualmente fu pesa la decisione che sarebbe stato inutile e non
necessario. Basta rompere l’egemonia della propaganda del sistema dominante per farne
crollare la retorica. Ed è bastato Twitter per far tremare la Bestia dell’innominato padano e
presentare un contraddittorio in tutto il suo discorso. Vero, voi direte che però su Facebook
continuano a girare fake news senza contraddittorio; corretto, ma molti passano da un
social all’altro, e non è necessario che tale contraddittorio sia sul social di origine della
notizia falsa, anche se sarebbe auspicabile.

Certo, oggi come oggi LVI si sta avvantaggiando del fatto che non è al governo e
continuando a promuovere odio e fake news (e mi quereli se vuole, ma la perde la causa!)
ma questo non ci deve scoraggiare. Ci stiamo avvicinando alla realizzazione che i social
vadano regolamentati; si sta facendo il punto nel discorso democratico, e lo si sta facendo
a livello internazionale. Questo è un segno positivo, perché come abbiamo detto, il discorso
democratico non può essere viziato e storpiato da piattaforme che di fatto ne impediscono
lo svolgimento regolare, accusa diretta esplicitamente a Zuckerberg dal Congresso USA. La
Democrazia sta mostrando, come si sta dicendo, di avere anticorpi forti.

Ma c’è di più; è cosa poco conosciuta che la Germania, che è molto avanti nella legislazione
sui social abbia portato una nuova proposta di legge per bloccare la diffusione di odio e
fake news sui social. Sul sito della London School of Economics appare un articolo in data
29 maggio 2019 che analizza tale proposta firmato dal Professor Natali Helberger
(Professore di Legge Informatica presso l’Istituto di Informazione dell’Università di
Amsterdam) ed altri due membri del suo team accademico, Paddy Leerssen e Max Van
Drunen dal titolo ‘Germany Proposes Europe’s First Diversity Rules for Social Media
Platforms’. La loro analisi della proposta di legge rincuora; definendola “il tentativo più
ambizioso di regolamentare il contenuto del processo di moderazione delle piattaforme ad
oggi in Europa.” Dando uno sguardo alla legge proposta, si vedono iniziative veramente
all’avanguardia, inclusa la dichiarazione degli algoritmi usati dalle piattaforme e l’obbligo di
selezionare notizie vere su notizie false, e tutto ciò nell’ambito della legislazione contro la
discriminazione, che è la cosa che mi piace di più.

Altri paesi hanno tentato mosse in tale direzione, inclusa la Gran Bretagna (per ora ancora
in UE) nell’aprile del 2019; nel maggio dello stesso anno anche l’UE stessa ha passato una
legge per la regolamentazione dei contenuti online dei social (Documento 321019R1150
dell’UE), anche questa che va alla fonte del problema, ovvero gli algoritmi adoperati e l’uso
di dati personali per identificare possibili bersagli sui social e non solo. Infatti. È dal 2015
che l’UE si sta occupando del problema, con varie proposte e regolamentazioni che hanno
anche visto Facebook opporsi molto fortemente dicendo in sostanza che loro non hanno
bisogno di regolamentazione, cosa poco credibile e riportata da Politico UE il 23 gennaio
2019, in un articolo di Laura Kayali intitolato ‘Inside Facebook’s Fight against European
Regulation’, dove si svelano gli altarini del social, riportando anche le parole
dell’Europarlamentare Marietje Schaake (Paesi Bassi) in cui accusa la corporazione di
Zuckerberg di aver voluto avere un “impatto su risultati di elezioni” e di aver usato
“discorsi d’odio.” È chiaro che qualcuno sta puntando il dito nella direzione giusta. E
quando ciò succede è segno di vero cambiamento del vento.

Il bello dell’UE, con tutti i suoi difetti, è che è un insieme di esperimenti sociali tutti diversi
tra loro come abbiamo detto; ma è anche che se una legge funziona in un paese la si può o
adattare o riprodurre in tutti i paesi dell’Unione. In realtà, esiste un’urgenza vera di
regolamentare i social. L’UE si sta muovendo verso la via della responsabilizzazione della
corporazione per i contenuti pubblicati, che è quella giusta. Non si può pretendere di trarre
profitto da qualcosa senza prendersene le responsabilità; inviterei chiunque negare questo
concetto.

Che poi si sia arrivati, in Italia, a vere e proprie campagne criminali di minacce, insulti e
linciaggio mediatico è gravissimo; ma questo si girerà presto a sfavore e delle piattaforme
che li hanno resi possibili (o che ne hanno anche tratto profitto, o che siano persino in
complicità con tali campagne, e complicità significa “partecipazione diretta o indiretta ad
un’attività criminale”) e a chi queste campagne le ha realizzate ed orchestrate. Ormai
stanno giocando allo scoperto e solo la falsa credenza che i Magistrati siano stupidi dà loro
un senso di falsa sicurezza. Trattasi di crimini indagati d’ufficio per Art 339 del Codice
Penale. Aggiungo a questo punto che proprio in questi giorni abbiamo visto una campagna
mediatica disgustosa, da pusillanimi vomitevoli, rigirarsi su se stessa, e gente come Meloni,
Borgonzoni e quello là che se si nomina la gente si precipita a toccare legno ed anche parti
intime trovarsi accusati apertamente dalle vittime di tale campagna di crimini molto seri
davanti al Tribunale di Strasburgo.

Bisognerà impararne una lezione seria, come con tutte le cose; e per chi volesse un’idea dei
tempi, non penso si parli che di qualche mese prima che i nodi vengano al pettine. Come
spesso accade, prima si muoverà il Giudiziario e poi il Legislativo a mio avviso.
Ma noi cosa possiamo fare? Di sicuro possiamo cominciare a discutere i veri temi che
interessano il paese, ed anche i temi di sinistra in altri luoghi. A noi spetta la scelta della
nuova piattaforma social su cui discutere, ed invece di seguire la pubblicità e quello che
dice (ingannandoci) il mercato, questa volta scegliamone una seria.

Il mondo virtuale deve diventare un mondo virtuoso. Il corporativismo ci ha privati di una


grande opportunità coi social; ci ricordiamo quando ci vennero proposti? Tutte rose e fiori,
al solito. Ci si diceva che avremmo potuto conoscerci in tutto il mondo; che ci saremmo
potuti scambiare idee... Ma ovviamente ciò non è successo, o è successo parzialmente, e
laddove idee contro il sistema dominante si sono veramente diffuse, le corporazioni hanno
pensato bene di farle sparire o imboscarle; penso a YouTube che, dopo anni in cui
circolavano video, documentari ecc. che denunciavano le ingiustizie del sistema, la
corporazione ha trovato il modo di farli sparire dalle prime pagine della ricerca sul tema,
anche se i video erano i più popolari (e spesso i meglio informati). Penso a James Corbett,
documentarista e giornalista nonché persona pacata ed informata, i cui video e
documentari, anche qualora siano i più “gettonati” in certi campi, sparirono d’un tratto
dalle prime pagine di YouTube per lasciar posto video che spesso non c’entrano nemmeno
nulla e hanno centinaia (non 3 milioni come nel suo caso) di visualizzazioni. E di cosa si
occupa James Corbett? Di tante cose, ma molto assiduamente di disinformazione,
manipolazione dei media (anche da parte della Russia putiniana, guarda caso), frodi di
banche e delle varie corporazioni. È chiaro leggendo la mossa del colosso mediatico che il
corporativismo ha imposto quella che si chiama “censura morbida” a chi va contro i loro
interessi. Lo stesso non è assolutamente accaduto per chi usi bots e falsi acconti per
spargere odio e fake news, anzi, esiste un mercato enorme che offre visualizzazioni false,
bots, “mi piace” e condivisioni varie. Non v’è dubbio a mio avviso che il sogno proposto era
una falsità e che abbiano fatto di tutto per realizzare l’opposto. E queste sono azioni chiare
delle corporazioni che hanno non solo assecondato tali sviluppi, ma li hanno studiato,
programmati ed implementati, come nel caso famoso dei crimini accertati di Cambridge
Analytica.

Ma noi quel sogno lo possiamo prendere e ricostruire; ormai non è pensabile (almeno a
breve termine) un mondo senza social. Ma se la legge servirà ad impedire un mondo dei
social corrotto e al servizio dei potenti e delle destre antidemocratiche, essa non basta per
dare un contenuto positivo ai social. Quello spetta solo a noi.

Ormai si vedono anche gruppi di persone abbastanza in vista che a sinistra stanno
abbandonando i social tradizionali per cercarne nuovi; esiste un desiderio di piattaforme
che permettano e rispettino un discorso democratico e approfondito. Se Twitter rimane e
forse rimarrà per tempo il mercatino dove tutti cinguettavano e si spera tornino a
cinguettare, e non strillare, links e riassuntivi delle proprie idee, certo esso non è adatto a
discorsi approfonditi. Bisogna guardare altrove per poter realizzare quell’agorà o forum
vero e proprio dove si può discutere nel dettaglio e civilmente. Ne esistono già alcuni che si
propongono come alternativa civile alla situazione odierna. Per ora siamo limitati dal fatto
di dover parlare sulla stessa piazza dove ascoltano anche i nostri avversari, ma dobbiamo
cominciare a pensare ad un trasloco di massa su social diversi quando ciò sarà possibile.
È anche vero che i fascisti si stanno ritirando su una piattaforma russa (mi pare) che
favorisce odio e fake news; qui dovranno intervenire gli stati, non solo a monitorarla, ma a
responsabilizzarla e responsabilizzarne chi la usa per scopi antidemocratici e si può
supporre persino criminali; e penso onestamente che li stiano già osservando tutti. Quindi
rischiano di sparire in un buco nero (ironia della sorte sul colore!)

Insomma, dobbiamo pensarci noi a costruire una comunità civile e rispettosa delle regole
del discorso democratico in cui, finalmente, potremo scambiarci idee in uno spirito di
incontro che non escluda la critica è posizioni diverse, ma escluda la demagogia, l’insulto, le
fake news e persino le minacce. Dobbiamo riprenderci quell’opportunità promessa e poi
rubata di costruire veramente un “villaggio globale” come ci era stato promesso, che poi si
rivelò una megalopoli anonima, rumorosa ed inquinata, altro che villaggio.

Il villaggio globale rimane una buona idea, se visto come forum per l’incontro di idee e
culture diverse; ma nei villaggi si va al pub o alla bettola, nei parchi ed a teatro, ci sono
scuole ed altri punti di incontro, e si chiacchiera amichevolmente tra amici, anche di altri
villaggi, non si strilla con megafoni dall’alto di grattacieli di bots...

E ricordiamocelo nel futuro che ogni volta che il corporativismo ha promesso una cosa
(bella) e ci ha poi rifilato un’altra al suo posto, e pure più brutta dell’immaginabile.

Recentemente, parlando di social media, è apparsa l’idea di legare i profili a persone reali,
magari chiedendo documenti. L’idea non ha avuto l’appoggio degli esperti, tra cui amici,
che l’hanno scartata. Capisco benissimo le motivazioni di fondo sia di principio che
tecniche. Tale proposta darebbe alle corporazioni accesso alla nostra carta d’identità,
tessera sanitaria, codice fiscale o passaporto che sia; e sappiamo bene che hanno una
storia di traffico di dati che guarda caso sono serviti sempre agli interessi delle corporazioni
nonché della propaganda fascista. E quindi che se li scordino quei dati. Secondo, sembra
draconiano imporre a tutti gli utenti tale soluzione. Terzo sarebbe ben difficile
implementarla. Ma se tale soluzione non si può imporre, se ne può prendere spunto per
sviluppi democratici...

Si pensi un attimo se si volesse fondare un forum (locale o mondiale, ma meglio sempre


cominciare dal piccolo) che sia anche una cooperativa degli utenti; si pensi che ogni utente
metta anche solo un euro per esserne membro anche pagabile dal giornalaio, per non
escludere chi non abbia carta di debito (come si pagano le ricariche dei telefonini; è
fattibilissimo), e che la cooperativa si impegni (pena il suo scioglimento immediato) a non
condividere i dati forniti; si pensi che se un membro venisse trovato a rompere le regole
della cooperativa (che devono essere semplici e leggibili), sarebbe immediatamente
escluso, e la sua somma distribuita tra gli altri soci (o reinvestita). Anche se non si
chiedessero documenti, questo sistema, offerto come scelta e non imposizione a chi
volesse sentirsi al sicuro nell’esprimere le proprie idee senza essere soggetta/o ad insulti
ecc, potrebbe essere proposto. Certo ci vorrebbe un sistema di segnalazione veloce ed
anche la sicurezza che chi segnali falsamente possa essere mandato via (poi i dettagli
logistici si possono discutere), ma certo, un euro all’anno per poter parlare a fondo,
liberamente (nel senso vero di Libertà, che significa anche senza diversi far venire i nervi a
colpa di bots ed utenti aggressivi), potrebbe risolvere molti problemi, non ultimo togliere
alle corporazioni il controllo dei social. Notasi che i bots non sarebbero più convenienti in
tale piattaforma. Se sono social, che siano sociali anche nelle loro strutture, o sbaglio?

O magari si potrebbero formare cooperative di fora sociali a tema; una per l’ecologia, una
per la politica, una per la cultura, una per la scienza, una per l’Arte (m’è scappata la
maiuscola) e via discutendo, ed invece di avere “take overs” come succede tra
corporazioni, tali cooperative potrebbero magari associarsi liberamente, offrendo magari ai
membri di una di partecipare ai discorsi dell’altra (gratis, con sconto o quel che si voglia,
poco conta). Ecco che avremmo un villaggio globale che ha una struttura da villaggio, anzi,
da villaggi, invece che da megalopoli impazzita. Ecco che ognuno potrebbe seguire, non la
trazione di massa, ma i propri interessi; ecco che i social servirebbero a conoscersi, ad
educare, a crescere la cultura ed a diffondere idee. Insomma, dobbiamo riprenderci il
nostro sogno, e ce lo riprendiamo tutto, dalle sue basi, ma affinché il sogno sia nostro e
condiviso, le corporazioni se ne devono uscire, solo allora avremo finalmente quel villaggio
globale pacifico, fatto di una miriade di realtà diverse che si parlano nel rispetto reciproco,
con prati, botteghino, mercatini, circolino della cultura, dell’Arte e della scienza, e
ovviamente, giardini fioriti di idee ed opportunità nuove.
Conclusione

Quando ho visto che le vie proposte erano tredici, fissato come sono con quello che ci
nascondono, o meglio si illudono di nasconderci, i massoni, devo ammettere che me la
sono risa! Ciapa lì e porta a cà. Certo si è parlato a lungo di come realizzare la rivoluzione
gentile, che come si vede va per vie molto diverse da quelle che alcuni avrebbero potuto
aspettarsi o utilizzate da altre rivoluzioni. La nostra non è un presa di potere; quello è
fascismo. E lo era anche nel caso di Lenin o Mao. Rimpiazzare la classe dirigente non è una
rivoluzione, per quanto violenta. Dobbiamo distanziare i concetti di “rivoluzione” e
“radicale” da quello di “violenza” che devono sempre rimanere opposti se si guarda a
sinistra. Certo, anche la sinistra deve farsi delle domande serie e darsi delle risposte; il
pluralismo è un valore e va rispettato, e questa è e rimane una proposta, che crede nella
sua forza perché crede nel valore delle idee qui presentate. La partita si giocherà sulle idee,
sempre nella ricerca della Giustizia, almeno da parte nostra.

Vi sarete accorti che non ho indicato una via della politica. Certo, la politica dovrà fare il
suo ruolo, ma questa non è la proposta per la fondazione di un partito; questa rimane una
proposta di idee da condividere.

Il metodo proposto ha infatti volutamente evitato di passare per i corridoi e le anticamere


della politica; sarà essa a doversi adattare alle nuove idee, e certo non dovrà mai cercare di
condizionare né di rigirarle al servizio dei soliti non ignoti, come spesso ha fatto. Il
socialismo e l’ecosocialismo sono e devono rimanere teorie sociali e di filosofia; ed è
questo il loro punto più forte. Che poi si fondino patiti ad esse ispirati è un altro discorso;
ma se mai ci sarà un partito ecosocialista, toccherà sempre a noi assicurarci che non
abbandoni mai i principi veri dell’ecosocialismo, anzi, che li rispetti sempre e non li
contraddica mai. La storia della politica è piena di partiti che fingendo di proporre certe
idee poi hanno di fatto cercato ben altro.

Per questo l’ecosocialismo deve mantenere la sua identità di teoria popolare, ovvero dal
Popolo e per il Popolo e per tutto il pianeta; non potrà ne dovrà mai farsi condizionare da
chi sia in posizione di farlo. Il rispetto democratico delle idee richiede anche che le idee si
sviluppino tra il Popolo, e non che vengano imposte da leader vari. Non solo, ma pensare
l’ecosocialismo come fenomeno politico è molto riduttivo; si pensi alle comunità
intenzionali, i cui membri, pur facendo parte di un fenomeno rivoluzionario, hanno tutti i
diritti di votare e sostenere chi vogliono. L’ecosocialismo si estende ben oltre i limiti della
politica; esso propone principi, metodi e modi di vivere che riguardano ogni campo
dell’esistenza e della vita.

Se poi si pensa alla mobilitazione, alle manifestazioni, ben vengano. Ma l’ecosocialismo non
si propone di strumentalizzarle. Se ci saranno un giorno manifestazioni a favore
dell’ecosocialismo, sarò il primo a voler partecipare, ma non siamo qui a dire che una
manifestazione, ad esempio, contro il femminicidio possa essere “di pensiero”
ecosocialista. Certo pare ovvio che la sinistra tutta ne prenda parte, ma che nessuna forza
di sinistra possa mettere il cappello a ciò che è una protesta contro un problema. A
differenza della destra che mette cappelli anche sul culo dei problemi (scusate la metafora)
pur di strumentalizzarli, la sinistra deve mantenere un atteggiamento rispettoso verso tali
manifestazioni. Ben vengano, ovviamente, ma non appartengono a nessuno se non a chi
voglia manifestare contro un problema o per una soluzione.

Abbiamo visto come la rivoluzione gentile si diffonda tramite la condivisione di idee e


cultura nella ricerca della Giustizia anche sociale e nel rispetto dei valori veri. Se si pensa
che ciò richieda tempo, beh, sì, ma l’altra via anche richiede tempo, e non solo, se da un
lato porta avanti le lancette dell’orologio della storia, dall’altro è sempre poi stata usata per
riportarle indietro. Ed intanto, la rivoluzione gentile è anche generosa, perché noi si pensa
in primo luogo al prossimo, a chi verrà dopo di noi, poi, se si guardano i tempi in cui le vere
rivoluzioni del pensiero, quelle che hanno visto il cambiamento di un paradigma, i tempi
non sono poi così lunghi: 25 anni, ovvero una generazione. E la rivoluzione gentile è già
cominciata, anzi, è molto più avanzata di quello che pare. Se si pensa alla Rivoluzione
Russa, dopo 25 anni si era pronti ad avere Stalin al governo, se si pensa alla Rivoluzione
Francese, dopo 25 anni si vide l’ascesa di un dittatore. Ma in una rivoluzione gentile, come
il Rinascimento, dopo 25 ci si guarda semplicemente indietro e ci si dice, “Ma quanto
eravamo stupidi,” poi ci si gira verso il Sole e, con un sorriso, si va mano nella mano verso
una nuovo giorno.
Temi ecosocialisti

Ovviamente esistono tantissimi temi connessi coll’ecosocialismo ed abbiamo avuto modo


di parlarne già un po’; ne tratteremo solo alcuni che magari necessitano approfondimento
e che, sebbene tutti i temi dell’ecosocialismo siano a me cari, penso sia giusto parlarne più
in dettaglio in questo libricino.

Questi sono temi di discussione, analisi e critica, ma che dovrebbero, a mio avviso, fare
parte delle conversazioni di tutte le famiglie e gruppi di persone che vivono insieme a
tavola, come tra amici al bar ed alunni nelle scuole. Parleremo dell’acqua, dell’energia, del
lavoro, del pensionamento, dell’agricoltura e delle periferie.
L’acqua

L’acqua è un bene comune e collettivo, nonché naturale. Siamo davanti ad una situazione
paradossale, dove ormai il sistema plutocratico corporativista è arrivato a proporre e
persino perseguire la privatizzazione dell’acqua, sta succedendo, mentre scrivo, ad esempio
negli USA. Ciò non è accettabile; l’acqua è vita, o se non vi va di dirla così, non esiste vita
che si sappia senza acqua, ovvero, l’acqua è un bene ed un diritto fondamentale, non solo
dell’Umanità intera, ma della Natura e della Terra stessa. Privatizzare l’acqua o di fatto
renderne difficoltoso l’accesso è come minimo un crimine contro i Diritti Umani.

Ciò però non è sufficiente; le corporazioni non possono permettersi non solo di privatizzare
l’acqua, ma nemmeno di sfruttarla. In nessun modo. Se distribuirla significa trarre profitto,
allora si tratta in realtà dello sfruttamento di un diritto; e sfruttare un diritto (specie se
necessità assoluta) è di fatto un crimine contro tale diritto. Se è un dritto non si deve
pagare per averlo, e sia ben chiaro che tale diritto è garantito dall’Art. 3 della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha diritto alla vita,” e se l’acqua è necessaria
alla vita, e non esiste vita senza acqua, questo diritto si estende per necessità all’acqua
stessa. Una cosa che pare buona non è solo tale, è un diritto universale: ogni individuo su
tutta la Terra ha diritto all’acqua. E poco conta che ci si attacchi a cavilli insostenibili tipo,
“Ma io vi faccio pagare per la distribuzione.” Ma da quando si paga per la distribuzione di
un diritto inalienabile e naturale? È un concetto insostenibile. La Natura ce la dà gratis, e
gratuita deve rimanere. A cosa serve la società, a far pagare diritti che sarebbero altrimenti
gratuiti? Siamo ad un paradosso, per cui per servire l’interesse privato la società diviene da
servitore del Popolo a suo strozzino, fino al punto di mettere ostacoli ad un diritto
inalienabile, ovvero intoccabile. Ed ancora, ma cosa importa se questi si giustificano col
fatto che si paga la distribuzione? Di fatto tale distribuzione a pagamento ha un effetto sì o
no su tale diritto? Sì, e quindi lo vìola.

Ma noi pensiamo che siamo tutti, ma proprio tutti eguali; non solo noi dovremmo avere
acqua potabile gratis in tutto il paese, ma dovremmo come atto di minima decenza da
parte nostra veramente investire (e non dico di dare soldi a corporazioni colla scusa di
aiutare i paesi poveri, come spessissimo si fa) in risorse, anche umane, per far sì che
laddove esistono bambini, donne ed uomini che non hanno acqua potabile, si vada a
costruire pozzi, e che lo si faccia solo tramite no profit, che siano esse cooperative o vere
opere caritatevoli; non quelle che subappaltano ad una corporazione, ma quelle che
mandino volontari e non sul campo per sporcarsi le mani e lasciare pozzi, canali e tubature
e che non possa mai esistere modo di sfruttare tali strutture da parte dell’interesse privato.
Io penso che ogni stato per lo meno europeo dovrebbe fondare una cooperativa statale di
aiuto vero per le persone che non hanno accesso all’acqua potabile, e mandi persone (e
volontari ce n’è disponibili), anche studenti, gente che vuole viaggiare con vitto ed alloggio
pagati in paesi stranieri, chi sia nel gap year e se necessario anche lavoratori ed esperti a
scavare pozzi e costruire canali. E facciamola questa cortesia a chi sta morendo di sete!

Quindi è chiaro che la distribuzione dell’acqua deve essere gratuita e che non si possa
speculare o trarre profitto su questa attività. Non mi vengano gli gne gne del capitalismo a
dire che ciò costerebbe; sì, magari in tasse (e facciamo che compriamo un paio di caccia
bombardieri in meno, che delle bombe non c'è ne facciamo un’emerita minchia, e scusate il
mio francese), se proprio non si vuole far gravare la spesa sulle tasse, ma si sa bene che si
realizzano consorzi cooperative (statali o no) no profit per distribuire l’acqua a spesa
statale, tale spesa graverebbe sulle tasse molto, ma molto meno che se si deve pagare una
corporazione che ne trae profitti enormi e non solo, poi tiene la mano sul rubinetto della
vita stessa. E ancora non ascoltiamo gli gne gne che “gli appalti costano”; chiaro che
costano, sono gonfiati per arricchire le corporazioni coi nostri soldi; e se costano cosa
facciamo? Finta di niente e continuiamo a sborsare cifre enormi per arricchire chi i soldi li
ha già tramite lo stato? O passiamo a dare certi servizi a no profit che poi presentino il
bilancio allo stato stesso? Non accettiamo più falsi pretesti! Punto e basta. Certo, se
l’appalto va ad una corporazione, è ovvio che ci mangi sopra e possibile (anzi probabile) che
faccia anche sparire i soldi che guadagna (di cui non deve rendere conto); ma se i diritti
essenziali sono passati in gestione a chi non può trarne profitto, come cooperative no
profit, tutte le risorse andrebbero al servizio del Popolo, ed ovviamente avremmo forse
anche più fondi per gli stipendi, perché le no profits devono reinvestire tutto nella loro
opera se hanno avanzi in bilancio, non possono farli sparire in Svizzera, Lussemburgo e altri
paradisi fiscali vari.

Sono partito su una tangente, ancora una volta, ma tangente dettata dal discorso stesso; il
caso dell’acqua ci mostra come i diritti essenziali non possano né debbano essere fonte di
profitto e speculazione del capitalismo, e come una soluzione molto economica esista: la
distribuzione di Diritti essenziali, come l’acqua, deve solo essere fatta tramite società e
cooperative no profit che rendano conto delle proprie attività e bilanci al Popolo. E ciò non
costerebbe un solo posto di lavoro, anzi, libererebbe fondi dai profitto del capitalismo per
offrire opportunità di lavoro.

Se volessimo aggiungere il verde, l’educazione, la casa... Si vede bene che si deve andare
verso un mondo dove non si speculi più sui Diritti. E chi mi venisse a dire che la
speculazione porta “benessere” al Popolo, intanto si rifà alla “trickle down economy” che è
dimostrato che non funziona e non può funzionare, poi mi spieghi cosa ha studiato sui
banchi di scuola invece della matematica, perché una sottrazione non può diventare
un’addizione.

Ma torniamo a parlare dell’acqua; l’acqua non è solo un bene, ma una sostanza con
grandissime proprietà e capacità straordinarie che conosciamo (beh, ne conosciamo
alcune) ma non indirizziamo nella direzione giusta. Potrei parlare per ore delle proprietà
dell’acqua, ma mi limito a qualche esempio. Pochi conoscono Luc Montagnier, che vinse il
Premio Nobel per la Medicina nel 2009, che dimostrò che l’acqua è in grado persino di
riprodurre esattamente il DNA senza mai entrarne in contatto; come? Semplice, basta
mettere due vasetti isolati d’acqua pura uno accanto all’altro, mettere in uno una doppia
elica di DNA, passare un filo di rame attorcigliato (a distanza) alla prima ed alla seconda, far
passare corrente a 16 Volt e in 18 ore quello senza DNA riposizionerà le sue molecole
replicando esattamente la forma del DNA del primo. Pochi sanno che l’acqua magnetizzata
dà risultati straordinari in agricoltura, pochi conoscono gli studi del Professor Emoto
(guardateveli perché sono impressionanti); pochi sanno che l’acqua “non apprezza” angoli
di 90o quando passa in tubature. Pochi hanno pensato di utilizzare una proprietà semplice e
ben conosciuta dell’acqua, anzi necessaria al trasporto dell’acqua in piante ed alberi, per
creare energia pulita: l’acqua accelera quando si trova in una strettoia, ma non solo, se si
mette un tubo in acqua stagnante l’acqua spontaneamente lo attraversa, mettendosi in
moto perpetuo spontaneamente; basta pensare ad un mulino, ad una dinamo, a delle
palette che ne raccolgano il movimento e si potrebbe avere energia pulita, semplice da
ottenere, ed anche a portata di tutti.

Questi sono solo alcuni di comportamenti strabilianti di questa molecola così comune e
così strana, un po’ “balenga”, come si direbbe a Milano, perché si comporta diversamente
da tutti gli altri fluidi (“balengo”, termine che adoro, significa un po’ pazzariello, ma nel
senso più simpatico della parola), ma quello che qui si vuole far notare è che noi non ci
siamo messi sulla strada di conoscere l’acqua e capirne la vera funzione in questo mondo;
l’abbiamo data per scontata, ignorata, inquinata, considerata insignificante, non l’abbiamo
condivisa... insomma, ci siamo dimenticati di conoscere la sostanza più necessaria è
fondamentale della vita stessa; e poi ci crediamo intelligenti... Invece dobbiamo cambiare
anche il nostro rapporto con l’acqua, imparare a conoscerla, piuttosto che cercare di
sfruttarla, persino nella sua distribuzione iniqua, senza alcun rispetto per la sua natura;
dobbiamo imparare, e fatemi usare questa parola, a rispettare la molecola della vita, o non
sapremo mai rispettare la vita stessa.
L’energia

L’energia è decisamente un discorso fondamentale a tutti i movimenti verdi ed


ambientalisti, politici e non. Che delusione ogni volta che in un paese (occidentale) il
governo parla di “piattaforma per il rinnovo energetico” e poi salta fuori con discorsi di
politici il cui alito puzza dei deretani dei potenti dell’energia... Si parla tanto di energie
rinnovabili, ma poi, con una scusa o con l’altra, i fondi vanno sempre per la stragrande
maggioranza ai combustibili fossili. Quando il discorso diviene difficile per chi si è asservito
al potere di petrolio e gas, notasi che qualcuno vicino a lui (più raramente lei) salterà fuori
colla proposta di espandere il nucleare. Secondo me lo fanno apposta; sanno bene che
l’opinione pubblica è terrorizzata dal nucleare e mettendolo sul tavolo ci vogliono far
credere fortunati che si scelgano i tradizionali combustibili cancerogeni. Alla fine, meglio
crepar di cancro più avanti che vivere col terrore dell’incenerimento istantaneo dovesse
Omer Simpson addormentarsi ancora una volta nella cabina di controllo...

La questione dell’energia ancora ci propone una sinergia, quasi una simbiosi, tra riforma
sociale ed energetica. Lo so, lo so... Non sto ancora parlando di fiori e farfalle, ma ci
arriveremo in un secondo; bisogna guardare per un attimo la falsità di questo distopico
Assurdistan per vedere che la scelta fiorita è fattibile e semplice, ma richiede, sempre, un
ritorno ad una società in cui il rapporto tra stato e residente / cittadino sia più egalitario.

Abbiamo rotto gli zebedei per decenni sulla necessità di passare ad energie rinnovabili ed
abbiamo ottenuto... solo dei contentini ed una presa per i fondelli. Siamo in Italia, il paese
del Sole, e cosa si è visto spuntare su colli ed in pianura? Mulini eolici brutti, rumorosi,
impopolari e, quel che conta veramente nella scelta assurda, costosi e che ci tengono
dipendenti da una corporazione che ci fornisca l’energia. Si pensi a che tipo di tecnologia e
che costi sono implicati nel costruire tali strutture; poi, ovviamente, il passaggio è stato
(con grugniti dei residenti e diciamola, tirati per i capelli) da una centrale che inquina ad
una che non. Ma sempre ad una centrale. E mi domando se non sapevano in anticipo che
queste centrali sarebbero state esteticamente un problema ed impopolari... E se avessero
investito in pannelli solari? Anche uno sconto sui pannelli solari, alla fine lo fecero per i
televisori digitali ed i decoder prodotti dal magnate della TV stessa. Ma quella era una
priorità assoluta che doveva avere fondi statali... Come avrebbero potuto rincitrullirci
davanti al grande fratello (e non parlo del programma) altrimenti? Sassolino: altro esempio
di politica asservita alle corporazioni. Scusate, andiamo avanti con il tema; se invece si
investisse in energia solare? Se ogni famiglia avesse il proprio pannello solare? Allora
saremmo (più) indipendenti dalle corporazioni per il nostro fabbisogno energetico. Ed è
anche questo un tema abbracciato dall’ecosocialismo; proprio in un settore fondamentale
dell’economia bisognerebbe rendere gli individui indipendenti nel loro fabbisogno
energetico (concetto un po’ opposto di ciò che accomuna il sistema capitalista all’URSS,
guarda caso). Problemi tecnici? Beh, lo fanno in Germania e altri paesi nordici, non
diciamoci fesserie; da noi il solare renderebbe di più. Persino in Gran Bretagna 840.000
case hanno pannelli solari, e là, si sa, la luce solare è una frazione della nostra.

Ma allora sarà che mancano i soldi! Il GSE, o Gestore dei Servizi Energetici, investì 14,2
miliardi di investimenti statali in energia rinnovabile nel 2017 e (guarda caso in calo con un
governo che si dichiarava verde in un partito e ed uno che soleva dipingersi le facce di
verde nell’altro) 13,4 miliardi nel 2018. Nonostante il calo di investimenti dello stato, le
energie rinnovabili sono cresciute all’insoddisfacente, ma sempre meglio che niente, 18,1%
di tutta la produzione energetica da energie rinnovabili. Leggo nel Sole 24 Ore del 15
maggio 2019 che la produzione di energia da fonti rinnovabili è cresciuta, nonostante il calo
dell’investimento statale, di ben 11TWh (terawattora) nel 2018 sul 2017, mi viene un
sorriso che poi mi stroncano dicendo “principalmente grazie all’idroelettrico”. Ah... È là
dove si sta andando, in mega dighe che rovinano l’ambiente e cose varie. Ma mi
raccomando non rendiamo mai i cittadini indipendenti, lungi da noi! E sarebbe uno stato al
nostro servizio... Si va beh, contatelo a qualcun altro...

Come si vede, gli investimenti statali sono ingenti, ma vanno a grandi centrali, il che dà due
“regalini” alle corporazioni: uno gli si paga la costruzione della centrale, due gli si offrono
gli italiani o residenti del paese di turno come clienti a vita. Dije de no! Vero, i pannelli
solari costano, per rendere totalmente indipendente una famiglia media il prezzo si aggira
sui 5.000 euro. Questo, ovviamente, il costo al dettaglio. All’ingrosso o ancor meglio
finanziando una ditta sociale di costruzione dei pannelli solari in Italia certamente il costo si
ridurrebbe. Allora, facciamo i conti... Anche non aumentando per niente l’investimento
statale in rinnovabili, ogni anno lo stato potrebbe regalare almeno un pannello ad ogni
famiglia italiana. Ogni anno. Ne servono dai 4 agli 8 per renderci indipendenti. Questa
sarebbe la via più pigra e meno creativa possibile.

E se queste somme fossero investite nello sviluppare, produrre ed istallare pannelli solari
con una cooperativa no profit? Avremmo lavoro specializzato, vedremmo magari alcuni dei
nostri laureati scappati per disperazione all’estero tornare in Italia, incentiveremmo un
settore in cui, se solo si guarda il mappamondo, si capisce che dovremmo essere leader
indiscussi in Europa, magari con Spagna e Grecia ecc. e ovviamente, taglieremmo le
bollette della luce agli italiani aumentando la capacità di spesa della popolazione e quindi
incentivando l’economia. Ma no, dai... Continuiamo a dar palate di soldi a mega
corporazioni invece!

13 miliardi possono comunque sembrare tanti, anche se indirizzati male. Lo sono per
qualsiasi persona comune, ma come investimento totale nelle energie pulite sembra essere
poco a detta di moltissimi esperti, che in alcuni casi dicono persino che rischiamo di non
raggiungere il target di riduzione di CO2 prefissato per il 2030, che già non sarebbe risolvere
tutti i problemi dell’ambiente, ma giusto giusto sperare di non distruggerlo nel decennio
successivo. Di certo non un progetto ambizioso abbastanza dal punto di vista ambientalista
in generale. Ma conoscete il TAP? La Trans-Atlantic Pipeline? Chi vive in Puglia
probabilmente sì, perché sta scempiando il paesaggio. Trattasi di un gasdotto che
collegherà l’Italia all’Azerbaijan. Gasdotto. Avete letto bene. Pensiamoci bene, nel 2019 si
sta investendo una cifra colossale per importare gas da un paese vassallo della Russia (di
Putin si spera per poco). Un investimento di (udite, udite!) 45 miliardi per renderci
dipendenti da gas straniero? Non parliamo del fatto che se un dittatorello in uno dei tanti
stati instabili dove passa questo gasdotto decidesse di chiudere il rubinetto ci metterebbe
sotto scacco, ma ci pensiamo che questa somma esorbitante non include nemmeno il costo
del gas? Solo per l’infrastruttura. E non è che venga realizzata a spese private. La proposta
è privata ma la BEI (Banca Europea per gli Investimenti) l’UE ed i paesi interessati (anche
noi) pagheranno il conto a spese dei contribuenti. L’Italia pare debba pagare da sola circa
un decimo del progetto: più di un terzo dell’investimento annuo in tutte le energie
rinnovabili pagato ad una sola ditta privata (per giunta straniera) per un solo progetto per
importare un'energia sporca da un paese satellite di Putin? E dopo tutto ciò non potremo
neanche decidere il prezzo del gas... E lo pagheremo nelle nostre bollette e coi nostri
polmoni.

Ed invece quanto costerebbe finanziare una cooperativa no profit (o anche più di una) per
distribuire pannelli solari alle varie famiglie italiane? Mancanza di iniziativa, miopia politica
e sociale, mancanza di competenza e certamente una bella dose di servilismo alle
corporazioni di chi gestisce la res publica portano a paradossi come quello del TAP, ed
impediscono un cambiamento vero, profondo e positivo nella società e per l’ambiente.

Si vede come nel settore dell’energia, fondamentale per tutto il benessere dell’Umanità,
per l’economia ecc. lo stato in un sistema capitalista investe ma non nell’interesse primo
del Popolo, della Natura e della Terra, bensì in quello delle corporazioni: i cittadini se
fortunati passano in secondo piano, altrimenti diventano veri e propri oggetti da essere
sfruttati dalle corporazioni con complicità dello stato che dovrebbe rappresentarli. Invece,
seguendo i valori fondamentali del socialismo e dell’ecosocialismo, lo stato dovrebbe
investire nella società. Anche qualora ci fosse una mancanza di volontà politica
nell’investire i 4,5 miliardi del TAP in una cooperativa che potrebbe, per restituire i fondi
ricevuti, per esempio, essere vincolata a fornire pannelli solari per un certo numero d’anni
alla società gratis o a prezzi agevolati ecc. (di opzioni ce ne sono tante e si possono
decidere di caso in caso), cosa che farebbe bene a tutti, non si vede investimento
nemmeno su scala sperimentale per piccole cooperative o progetti sociali con condivisione
dei mezzi di produzione in questo campo. L’ecosocialismo richiede allo stato di fare il suo
dovere, ovvero di investire nella società. Non si parla di una richiesta difficile né non
plausibile o nemmeno coraggiosa: trattasi del dovere dello stato stesso.

E i fiorellino e le farfalline? Ora ci arriviamo; basti pensare a come una scelta per
l’indipendenza energetica delle persone sia anche e possa solo essere veramente una
scelta di energia pulita, pulita dal punto di vista ambientale come anche sociale. Ma
pensiamoci un attimo; se per i servizi essenziali non si dovranno più pagare bollette salate,
eliminando in pochi anni di fatto la bolletta della luce, risparmiando sull’acqua ed anche sul
gas, perché se si ha energia pulita e gratis, chi mai continuerebbe ad usare il gas per
riscaldamento ecc.? Pensiamoci, se si risparmiano tutti questi soldi, sarebbe veramente
necessario lavorare le stesse ore per mantenere lo stesso tenore di vita? No. Ed allora si
potrebbe avere più tempo per uscire ed andare nei parchi, a vedere fiori e farfalle, api
impollinare e coniglietti uscire dai cespugli per guardare il Sole; ma la cosa ancor più bella,
è che con una scelta energetica corretta, ci sarebbero ancor più api, farfalle, fiori e
coniglietti, ed anche più luce del Sole! E quale mondo vorreste lasciare voi ai vostri figli? La
scelta è nostra, ma la vita la loro. E allora quando guardate un bambino o una bambina
negli occhi, chiedetevi quanti fiori vogliate che questi occhi vedano nella vita, chiedetevi
con quante farfalle questi occhi balleranno alla luce del Sole se faremo noi la scelta giusta,
e ricordatevi sempre che quando si parla d’energia, non dobbiamo sentirci esclusi perché
“non siamo esperti”, ma inclusi “perché amiamo i nostri figli.”
Il lavoro

Abbiamo già visto come riducendo solo le bollette si potrebbe ridurre l’orario di lavoro
senza cambiare il proprio tenore di vita. E sappiamo che la risposta che ci viene imboccata
ad ogni proposta di riduzione del lavoro è quella che si ridurrebbe il tenore di vita dei
lavoratori. Ma è veramente così? Certo, se le corporazioni vogliono continuare a
mantenere i loro profitti, certamente. Ma andiamo al sodo, sapete qual è il profitto
dichiarato dalle corporazioni statunitensi nel 2018? Tolti gli investimenti, salari ecc. si parla
di ben 2.074 miliardi di dollari. Sono quasi 6.000 dollari per abitante (5.925) o 13.380 dollari
per lavoratore (inclusi negozianti, lavoratori indipendenti ecc.), il numero dei dipendenti è
116 milioni, e quindi si tratta di un profitto per dipendente di quasi 18.000 dollari fatti
tramite lo sfruttamento di ogni dipendente in media (17.879). Ci rendiamo conto che si
parla di poter tagliare centinaia circa 300 ore di lavoro per persona l’anno senza diminuire
lo stipendio? Sarebbe già un’ora e mezza al giorno.

Ma pensiamo pure che riducendo i profitti delle corporazioni si ridurrebbero i prezzi dei
beni di consumo. Non si sta qui pensando al consumismo come soluzione, anzi, ma
pensiamo che avendo le stesse entrate e dovendo spendere meno, potremmo o
risparmiare di più o lavorare ancora meno. Si arriva facilmente ad una giornata lavorativa di
6 ore; se poi si tolgono le spese per l’energia anche alle cooperative, che è una delle spese
più grosse, e sappiamo ormai come farlo, si ridurrebbe ancora il costo della produzione, e
quindi ovviamente anche il prezzo dei beni di consumo. Aggiungiamo che tanti beni di
consumo sono inutili, e si potrebbe persino pensare che, a lungo termine, non è
impensabile lavorare tutti mezza giornata e vivere bene, anzi meglio. Certo, ciò non è
fattibile se prima non si elimina lo sfruttamento della manodopera, degli impiegati ecc.

È proprio l’eliminazione di questo sfruttamento che permetterebbe di innescare un circolo


virtuoso in cui si lavora meno, e si ha lo stesso tenore di vita, al contempo risolvendo i
problemi di disoccupazione.

Ciò darebbe molto più tempo a chi lavora da dedicare alla famiglia, agli amici, alla società,
al tempo libero, alla cultura e alla Natura, ovviamente. Noi abbiamo solo bisogno di
lavorare 40 ore la settimana perché siamo sfruttati. Tolto il sistema di sfruttamento
sparirebbe quel bisogno. Questo è un concetto semplice, anche vecchio, ma che ormai è
diventato tabù non solo tra chi è dichiaratamente asservito alle corporazioni ed al
capitalismo, ma anche nei dibattiti della sinistra.

È chiaro che la via della cooperativa, che non deve e non vuole fare profitti enormi come le
corporazioni, tale profitto, o furto all’economia ed al Popolo, semplicemente sparirebbe; e
questo, ribadisco, mantenendo lo stesso livello di investimento che hanno le corporazioni.
Allora anche il discorso che le corporazioni devono esistere perché possono investire è una
palla scandalosa. E cosa c’entra il loro investimento col loro profitto, se il profitto è al saldo
degli investimenti?

È ovvio che bisogna fare le cose con calma, ed è un concetto che abbiamo già ribadito, ma
questo concettino qua che si potrebbe benissimo lavorare meno, lavorare tutti e tenere lo
stesso tenore di vita andrebbe comunicato ai colleghi, agli operai, agli impiegati ecc.
Pensiamo di riportare disegni grandi nel mondo del lavoro cosiddetto “dipendente”;
pensiamo ai grandi discorsi, profondi, che riempivano i circoli operai negli anni settanta e
che hanno fatto grande la sinistra italiana? Dove sono finiti? Di cosa si parla oggi? Beh,
intanto trovatemi un circolo operaio... Ma anche sul lavoro di cosa si parla? Del contentino
in busta paga? Del vincitore dei talent shows televisivi? Bella fregatura.

Ora, pensiamo anche alla qualità del lavoro, non solo alla quantità. Lavorare in una
cooperativa abbiamo già visto che migliora la qualità del lavoro, migliorandone
l’esperienza. Ma pensiamo anche che siccome la cooperativa è gestita dai lavoratori stessi,
sono loro che decidono come migliorare la qualità del lavoro; in una cooperativa la qualità
del lavoro non dipende dal capitalista, ma è decisa e voluta dai lavoratori stessi. Questa è
Libertà!

E poi si pensi alla qualità del lavoro in una cooperativa ecosocialista, che ovviamente avrà
come suo scopo la cura dell’ambiente, anche quella lavorativa. Una cooperativa può essere
ecosocialista perché cura la Natura, ma la si potrebbe definire tale anche perché non
inquina, o perché offre spazi verdi per lavoratori e famiglie ecc.

Questi due discorsi, della quantità e qualità del lavoro vanno ripresi. Non se ne parla
abbastanza o non se ne parla per niente. La distrazione di massa è arrivata anche sul posto
di lavoro. E a chi leggesse questo libro e vedesse delle belle idee chiedo solo una cosa:
rifletteteci, criticatele, fatele vostre e portatele fuori da queste pagine, nelle fabbriche, sui
campi, nelle officine, negli uffici ed anche sui banchi di scuola, perché è in questi posti che
si fa, propriamente, il discorso della sinistra. Ed il lavoro è sempre stato nel cuore del
discorso della sinistra e lì deve rimanere. E quando si guarda nel cuore della sinistra si
riscopre una verità forse troppo spesso ignorata: che rosso e verde sono coloro
complementari.
Il pensionamento

Dobbiamo smettere di concepire il pensionamento come un parcheggio grigio nell’attesa


dell’inevitabile. Anzi, bisogna che la società faccia in modo che il pensionamento sia un
periodo attivo; purtroppo in un sistema in cui valiamo solo quanto siamo in grado di
produrre, questo concetto è difficile da far valere. Ma essere economicamente attivi ed
essere socialmente attivi sono due cose diverse.

Non si sta dicendo che i pensionati debbano continuare a lavorare nel sociale, ma che si
possa almeno offrire questa opportunità, accanto a quella di avere una vita espressiva e
culturale piena e soddisfacente. Non ci si può permettere di rinchiuderli in casa davanti alla
televisione senza dar loro l’opportunità di sentirsi utili, valorizzati, di divertirsi, di
contribuire, insomma, di vivere pienamente la terza età.

Non solo, ma forse bisognerebbe offrire vie alternative al pensionamento; non tutti
vogliono andare in pensione improvvisamente; non solo questo può portare a problemi
psicologici non indifferenti, ma è in realtà anche la negazione di un diritto. Se una persona
volesse andare in pensione gradualmente, riducendo l’orario di lavoro in fasi, o sostituendo
ore di lavoro con ore di educazione o di impegno sociale, questa via dovrebbe essere
offerta.

Nel frattempo, bisognerebbe dare a chi vada in pensione l’opportunità di cambiare e


preparasi a quel periodo della vita; per questo imparare, ad esempio, a dedicarsi al
giardinaggio, ad un hobby e comunque attività che facciano bene intanto al futuro
pensionato, poi alla società ed all’ambiente, dovrebbe essere parte del percorso di
prepensionamento.

Mi sembra ovvio che mantenere i pensionati indipendenti, anche dal punto di vista fisico,
ma certamente mentale ed emozionale, cosa non di poca importanza, debba essere un
dovere della società. Che i pensionati poi possano entrare in associazioni di vario tipo, a
scopo culturale o sociale e che abbiano il diritto di gestirle come pari in una società di pari,
invece di dover aspettare il contentino dalle autorità è molto auspicabile ed in linea col
pensiero di sinistra ed ecosocialista. Se poi venissero occasioni di arrotondare la pensione,
non vedo perché no: la pensione se la sono meritata, pagata e guadagnata di già, e non
riesco a capire il principio per cui se guadagnano da altra parte debbano rinunciare a soldi
già risparmiati ed affidati allo stato. Solo affidati!

Purtroppo anche i governi di centro sinistra nel passato non hanno pensato profondamente
ai temi importanti del pensionamento, che non è solo quello di avere una pensione
decente (che certo è innegabile), ma anche di avere prospettive. E chi volesse continuare gli
studi abbandonati per lavorare? O chi avesse scoperto una grande passione negli anni
lavorativi che vuole seguire dopo l’età lavorativa? Bisogna che queste porte si aprano, e
non che si chiudano a chi ha raggiunto una certa età. E non parliamo nemmeno dei benefici
sulla salute…

Io vedo, ad esempio, i pensionati in un ruolo utilissimo nell’educazione; si sta parlando di


persone che hanno acquisito esperienze ed imparato lezioni a volte molto dure, e tutta la
loro conoscenza non solo viene ignorata, ma di fatto se una volta li si vedeva come saggi,
oggi molti li considerano “rimbambiti;” e non neghiamoci che questa concezione sia molto,
ma molto diffusa. Esiste un pregiudizio profondo verso le persone anziane; le donne
devono smettere di sentirsi donne a quarant’anni e gli uomini hanno solo una ventina
d’anni di più prima di essere scartati dalla società. E quale metodo migliore per combattere
tale pregiudizio che mostrare che esso è totalmente falso?

Siamo tutti Fantozzi in questo paese; guardiamoci onestamente; una vita ad essere sfruttati
per poi essere relegati al grigio più bieco. Ma se tutto il paese ha riso di se stesso
guardando la famosa serie di film comici, poco si è fatto per evitare la tragedia di quella
commedia; e si ricordi, che tecnicamente è tragedia una storia dove il male si perpetua, o
dove per eliminarlo il protagonista debba morire; ma è commedia una qualsiasi storia dove
si trova una soluzione al problema proposto. Spetta noi fare in modo che i nostri figli
guardino il famoso film tra dieci, venti o trent’anni e lo interpretino come una commedia, e
non più come una tragedia.

Io invece prenderei spunto da Diana Trent e Tom Ballard (interpretati superbamente da


Stephanie Cole e Graham Crowden) nella commedia Waiting for God (“Aspettando Dio”),
due pensionati pieni di vita, di idee anche rivoluzionarie, dispettosi ed intelligenti, lei
pittrice, lui sognatore, che non solo non accettano lo status quo, ma lo combattono, e
spesso lo battono.

È così che vogliamo i nostri pensionati e così che dovremmo essere noi alla loro età: non
più persone che abbiano dovuto rinunciare a se stesse per fare la fila alla posta ed essere
grati di ciò che loro hanno prestato allo stato, ma membri attivi della società, con potenziali
enormi, con interessi da coltivare… insomma, semplicemente Esseri Umani.
L’agricoltura

Sembra ovvio che la rivoluzione gentile e quella agricola si incontrino. L’agricoltura, specie
dalla prima metà del novecento, ha preso la via dell’industrializzazione e della chimica, ma
la tendenza sta cambiando. Se l’agricoltura cosiddetta convenzionale, a volte detta
tradizionale (che ben poco ha di veramente tradizionale, ed io chiamerei industriale) ha
portato a latifondi, monocolture ed inquinamento, nonché ad un degrado dell’ambiente
senza precedenti, sono orami decenni che si vedono voci in controtendenza. Sappiamo
bene che l’uso di fertilizzanti chimici, promessi agli agricoltori come una panacea, si sono
poi rivelati traditori, secondo lo schema del capital corporativismo che ormai abbiamo
trovato ovunque; essi sì danno nutrimento immediato alle piante, ma a lungo termine
impoveriscono il suolo; al contempo, si è notoriamente fatto uso spesso indiscriminato di
diserbanti e pesticidi, e sappiamo benissimo come questi abbiano distrutto l’ecosistema
(che rende anche i contadini dipendenti) per sostituirlo con tre gruppi di sostanze chimiche
che rendono i contadini dipendenti dalle industrie chimiche. Se infatti un contadino o una
contadina può facilmente produrre compost, è impossibile pensare che possa produrre
fertilizzanti chimici ed ancor meno pesticidi. Ancora una volta vediamo come la morsa del
capital corporativismo si proponga come una liberazione, come un sogno, che poi diviene
dipendenza ed incubo.

Se la produzione è aumentata (fino a produrre molto di più di ciò che l’Umanità necessita e
consuma per vivere), è anche vero che questo ha spinto i prezzi dei prodotti alimentari
verso il basso, di fatto danneggiando gli agricoltori; nel frattempo, le grandi catene di
supermercati (che in paesi come USA e GB sono ormai colossi sproporzionati) si sono
messe alla guida del mercato agricolo, dettando sia i prezzi alla vendita che quelli
all’acquisto dai produttori. Ovvero, sì i contadini prendono meno, ma ciò non si è tradotto
in una corrispondente decrescita dei prezzi ai consumatori. Se prima i prezzi erano anche
alti, ma su un chilo di pomodori la maggior parte delle entrate andavano a contadino e
commerciante (che in tanti casi erano la stessa persona), ora i profitti dell’agricoltura
vanno principalmente alle corporazioni e ditte di trasformazione, trasporto e distribuzione.
E si parla di percentuali sul prezzo al dettaglio di circa il 10% ai contadini e del resto
suddiviso tra i supermercati (che fanno la parte del leone), trasporto e trasformazione.
Ovvero, l’aumento della produttività non si è per nulla tradotto in un aumento del
benessere delle comunità contadine, ovviamente per arricchire le corporazioni.

Ciò è risultato ovviamente nell’abbandono delle zone rurali, storia che sappiamo tutti bene,
e nell’urbanizzazione feroce (in Italia specie nel secondo dopoguerra); insomma,
nell’inquinare le campagne, il sistema dominante ha visto anche l’opportunità di inquinare
le zone urbane e ridurle a distese di cemento invivibili, occasione che ovviamente non
hanno mancato di cogliere per rovinare la vita un po’ a tutti. Nel frattempo il fenomeno ha
fornito manodopera a basso costo per industrie varie e le corporazioni che le controllano.
Anche quella fu una rivoluzione sociale, ma definirla positiva sarebbe ironico.

Analizzare lo sviluppo dell’agricoltura nel dettaglio in questo breve testo sarebbe fuori
luogo ed impossibile, ma chiunque si affacci all’ecosocialismo con consapevolezza dei
problemi causati dall’agricoltura chimica sia nell’ambito ambientale che in quello sociale li
conoscerà benissimo. Qui si sta guardando al grande quadro, e forse pochi sanno che
l’agricoltura biologica fu definita tale già da Lord Norhbourne all’alba degli anni quaranta,
che sembra aver coniato il termine “organic farming”, ma forse ancor meno conosciuto è il
fatto che essa ebbe un antenato recente, chiamato “humus farming” e che si era già diffuso
in Europa tra le due guerre. V’è un motivo che presto vi sarà chiaro per cui voglio tornare
alle origini di questo fenomeno. L’humus farming aveva tre principi fondamentali: nutrire il
suolo (piuttosto che le piante), rotazione agraria e, udite bene, la realizzazione di una
catena di distribuzione alternativa a quella convenzionale. Si noti che il terzo principio non
venne mai realizzato, osteggiato dai potentati plutocratici che ci hanno mandati tutti a fare
la coda ai supermercati il sabato mattina.

Invece era proprio lì che si doveva operare; quello che è mancato in tutta la storia degli
ultimi decenni dell’agricoltura è lo sviluppo di una catena di vendita equa che non schiacci
gli interessi dei contadini ma che lavori insieme a loro in mutuo interesse e sostegno. Vero,
si vedono piccoli passi, con mercatini di agricoltori e GAS (gruppi di acquisto solidale), ma
bisogna rimediare a decenni di invasione del mercato da parte di potenze economiche
impressionanti, e la strada è lunga. Ma la direzione è quella giusta. Ovviamente, saprete già
che penso che debbano intervenire cooperative di distribuzione della produzione agricola
per riguadagnare terreno in un mercato in realtà in mano al monopolio o egemonia di un
gruppo di corporazioni. E si noti che l’alimentazione non può non definirsi un Diritto
Umano, né essere vista come un settore in cui lo stato non abbia il dovere di intervenire
come previsto dalla Costituzione.

È quindi auspicabile che vi sia l’agevolazione a cooperative e della distribuzione e della


conversione dell’agricoltura da chimica a biologica, o come preferisco chiamarla io,
“organica.” Chi conosce il settore sa benissimo quali sono i grandi sviluppi, l’energia che chi
vi si dedica ha e mette nel proprio lavoro, ma anche le grandi difficoltà che si incontrano.
Tra queste, di sicuro una è quella di poter vendere indipendentemente dalle grandi catene,
un’altra è quella di poter vendere a prezzi competitivi rispetto a prodotti non biologici.

Bisogna guardare bene i dati; sebbene la distanza tra la rendita dell’agricoltura


convenzionale è quella biologica si stia chiudendo, in UE, secondo i dati ufficiali
dell’Unione, essa era ancora del 21% nel 2018 (dati sul sito UE ‘The Crop Difference
Between Organic and Conventional Agriculture’). Bene, anche se fosse rimasto così,
sarebbe possibilissimo colla produzione attuale mondiale nutrire tutta l’Umanità con
metodi biologici, visto che la produzione agricola supera di circa il 30% del necessario. Ma il
quadro è molto più complesso; chi conosce il settore saprà che esistono esempi di
agricoltura organica con rendita impressionante; ci si riferisce qui a permacultura, “food
forests”, agricoltura sinergica, rigenerativa e biodinammica. È poi da aggiungere un altro
discorso che viene sottolineato dalla rivista Genetic Literacy Project, con articolo intitolato
‘USDA Data Confirm Organic Yields Significantly Lower than with Conventional Farming’,
del 16 febbraio 2018; negli USA secondo i dati analizzati, include tra le ragioni della
differenza questioni di geografia, tra cui una differenza sostanziale nel rapporto tra terreno
irrigato e non quando si parla di agricoltura biologica o convenzionale; non solo, questo
articolo fa notare un difetto nel dato, perché molti raccolti (specie di vegetali da foglia
come lattuga e spinaci) nel caso dell’agricoltura biologica sono più spesso nella categoria
“baby” (ovvero raccolti precoci, mini lattuga, raccolti “novelli” piuttosto che dopo pieno
sviluppo) che nella produzione convenzionale, ma, nonostante questi dati mostrino che gli
USA siano indietro rispetto all’UE nel settore, nel confronto tra 292 coltivazioni, in ben 55
quelle biologiche rendevano di più di quelle convenzionali. Il quadro è complesso, ma il
discorso semplificativo per cui non sia possibile passare al biologico perché rende di meno
non può più essere accettato. Intanto rende di meno ma può essere sufficiente per nutrire
tutti in tutto il mondo, secondo tale discorso andrebbe analizzato nel dettaglio, terzo non si
parla di un passaggio da un metodo all’altro immediato, e la tendenza mostrata da tutti i
dati è che tale divario si sta riducendo significativamente di anno in anno.

Ma analizziamo un altro dato; in uno studio comparativo già nel 2012 apparso su Nature il
25 aprile 2012 firmato da Verena Seufert, Navin Ramankutty e Jonathan A. Foley intitolato
‘Comparing the Yields of Organic and Conventional Agriculture’, la differenza nella
produzione variava (e si parla di sette anni fa) a seconda del suolo, del raccolto ma anche
significativamente dal tipo di tecniche usate, dal 5% al 34% con una media del 13% dove
“pratiche organiche ottimali” erano utilizzate. Ed è qui che bisogna soffermarsi; la
differenza sembra essere enorme in base alla conoscenza dei metodi biologici e uso di
tecniche da parte dei contadini. E qui ci si affaccia ad un altro discorso. Mentre le pratiche
convenzionali sono spesso impartite (si potrebbe dire imposte) da destra, ovvero da chi
detiene il potere di sviluppare prodotti chimici ecc., quelle biologiche vengono da sinistra,
ovvero dalla condivisione di pratiche sperimentali fatte sul campo dagli operatori. Ed è
proprio qui che bisogna operare. Se era già possibile dimezzare il divario nella produzione
tramite “pratiche ottimali” sette anni fa, con gli sviluppi recenti si può ben pensare che tale
divario possa essere ancor più ridotto. Ma ci vuole educazione. Qui non si tratta più di
leggere le istruzioni scritte da un chimico negli uffici di una corporazione per mischiare una
polverina senza neanche capire cosa contenga; qui si tratta di imparare principi, concetti e
metodologie nuove.

Abbiamo già accennato come i comuni rurali vengano meno al loro dovere quando non
offrono corsi gratuiti, con seminari ecc. per l’educazione all’agricoltura biologica; alla fine
essi hanno il dovere di aiutare lo sviluppo dell’economia locale, non di tenerla soggiogata al
potere delle corporazioni della chimica che non sanno più che scuse inventarsi per smaltire
i residui delle loro produzioni. Ma ovviamente devono esistere anche associazioni,
cooperative educative ecc. che si propongano di diffondere questa nuova o crescente
cultura. Purtroppo, buona parte dell’informazione, specie quando si parla di alternativa, ed
anche quando si parla di agricoltura biologica, viaggia in inglese. Bisogna che queste
informazioni ed innovazioni siano comunicate correttamente, perché succede che chi provi
una tecnica nuova lo faccia con informazioni incomplete e non veda i risultati, e come
conseguenza abbandona tale tecnica. Invece dovrebbe esserci anche una rete di supporto
nell’implementazione di tali nuove tecniche; esperti che possano girare per le varie realtà
agricole per mostrar loro dove hanno sbagliato e come possano migliorare. Si tratta di
conoscenze nuove, e come tutte le conoscenze nuove, la loro applicazione spesso cade in
errori e sbagli diffusi. È come quando si impara come risolvere una moltiplicazione; ai primi
passi, si fanno sbagli molteplici, ed è compito dell’educatrice o educatore accompagnare
l’alunno nei primi passi.

E nel frattempo, bisogna che i prodotti biologici diventino accessibili. Non è pensabile
espandere il settore solo pensando a chi può permettersi prezzi sproporzionati, ovvero le
persone più abbienti. Io non discuto che chi produce con meno rendita debba alzare il
prezzo, ma questo deve trovare nella società un sostegno per rendere tale prezzo
competitivo. Ed una cosa è quando chi produce innovativamente alza il prezzo, un altro è
quando lo fanno i supermercati, che nel fare ciò a livello nazionale ed oltre, di fatto
limitano il mercato dei prodotti biologici. Leggo che ad esempio, il costo medio nei
supermercati britannici di prodotti biologici era dell’89% più alto che dei prodotti cosiddetti
convenzionali! In uno studio riportato da Eliot Beer in Food Navigator intitolato ‘UK
Shoppers Pay 89% More for Organic Food: Survey’ del 29 gennaio 2016. Le differenze tra
supermercati sono enormi, il che mostra ancora una volta quali margini di guadagno si
possano permettere, con una media del 109% in più in ASDA (che guarda caso ha una
clientela meno abbiente) e con prodotti che arrivano a costare in media tre volte di più nei
supermercati dei loro simili convenzionali, come i broccoli e carote. Ora, si parla di
differenze enormi, mentre i supermercati, se anche pagassero i prodotti biologici il doppio
alla fonte, tale spesa inciderebbe di circa il 10% del prezzo al pubblico, per giunta differenza
che rientra ampiamente nel loro margine di profitto. Ma il 10% in più lo mantiene
appetibile, quasi il doppio del prezzo significa in realtà far scappare il consumatore medio
basso e reprimere il mercato del biologico. Una mano lava l’altra, o sporca in questo caso.

E mentre la FIAT ha goduto di sostegni statali per decenni, io non sento voci venire dallo
stato a favore di un settore nascente fondamentale all’economia ed al benessere dei
cittadini e residenti. Dove sono i fondi per favorire un mercato che fa bene alla salute e
farebbe probabilmente risparmiare anche in sanità? Non si sa. I contadini sono lasciati ai
propri mezzi, senza né rete educativa né fondi per conversione, per compensare le entrate
ed essere competitivi. Pensavo che la Costituzione fosse chiara ai nostri politici.

Ma la bellezza dell’ecosocialismo è che propone una rivoluzione non solo gestibile ma


realizzabile, e lo sforzo di tutti coloro che lavorano nel biologico dimostra che anche
nell’assenza dello stato tale settore sta crescendo a vista d’occhio. Lo fa perché la gente sta
riscoprendo la Natura, ripensando al proprio rapporto con essa, e cercando vie nuove per
vivere in armonia con l’ambiente; lo fa anche perché si rende conto che essere avvelenati
dal cibo che mangiamo è insostenibile, insomma, sono le motivazioni stesse degli addetti
del settore che lo fanno crescere, e siccome il Popolo tutto se ne sta rendendo conto, è
chiaro che questa consapevolezza non potrà essere ignorata a lungo.

È un fenomeno, quello dell’agricoltura biologica, che nasce da e punta a sinistra; è un


fenomeno che sta di fatto realizzando una rivoluzione verde, e lo fa non solo nella piccola
fattoria, nell’orto urbano, e nelle comunità intenzionali, lo fa a livello locale ed al contempo
globale, dando una dimensione diversa a quel “villaggio globale” asfaltato dalle
corporazioni; un villaggio di villaggi, un villaggio verde, vario, ricco di biodiversità, pulito,
responsabile e che guarda al futuro nell’interesse di tutti, un villaggio che non cresce solo
fragole e pomodori, ma cresce anche fiori, foreste e, quello che non va dimenticato,
persino conoscenza nel rispetto dell’ambiente, un modo diverso di vivere e la Coscienza
stessa dell’Umanità.
Le periferie

Questa proposta ecosocialista desidera ridimensionare le periferie. Non si creda infatti che
l’ecosocialismo riguardi solo chi abbia scelto o possa scegliere una vita rurale, anzi, è
proprio laddove l’ambiente è più degradato che bisogna intervenire per aiutare con
proposte di cambiamento profondo e realizzabile. Le periferie sono state storicamente
dimenticate, e sappiamo tutti quanto siano brutte ed invivibili.

Si propone di ridimensionarle, che non vuole dire solo cambiarne le dimensioni fisiche, e
vedremo come ciò sia possibile, ma anche quelle sociali, culturali ed ambientali.

Bisogna intanto comprendere i grandi errori urbanistici che hanno portato alla situazione
delle periferie attuali; si tratta di speculazione, spessissimo, che è seguita come corollario
all’esodo dalle campagne e l’emigrazione verso le città per fornire manodopera a basso
costo alle corporazioni, ovvero lo stesso fenomeno di cui si è parlato precedentemente:
l’abbandono dei villaggi e paesi rurali, con il loro tessuto sociale immerso nel verde ha
come rovescio della medaglia l’edificazione di mostri di cemento orribili nelle periferie
urbane. Sappiamo benissimo come anche solo dover subire la bruttezza sfegatata di tali
quartieri infierisca sulla qualità della vita.

Se forse a lungo termine tali mostri potrebbero essere abbattuti e sostituiti (sembra un
progetto impossibile, ma si già facendo in grandi metropoli come Londra), senza
ovviamente nuocere alla popolazione; anzi dando loro abitazioni migliori, a breve termine
devono comunque essere attuati interventi seri per rendere tali scempi per lo meno più
accettabili, o meno inaccettabili. Dipingerne le pareti con murales si sta facendo in tanti
posti del mondo, e già porta colore, arte e cultura in zone grigie e degradate.

Vanno ovviamente anche rinverdite, e questo mi pare ovvio. Ma bisogna anche guardare al
difetto di fondo dei palazzoni, che non è solo nella loro elevazione, ma è spesso a piano
terra. Laddove il piano terra di questi edifici non offre che un muro o un cancello che ti
“scorta” nel tuo cammino, non si creano opportunità d’incontro. Quando invece al piano
terra si aprono negozi ed attività, anche culturali, la strada diventa un luogo di incontro,
dove ci si può fermare, passare il tempo libero ecc. Bisogna cominciare, in questo caso
letteralmente, dal basso. Questo già cambierebbe la dimensione dei quartieri di periferia,
portando gli abitanti ad un passo più lento, a camminare a piedi e non prendere l’auto
anche per andare a comprare il pane e, in particolare modo, a conoscersi.

Più sono capillari e diffusi i luoghi di incontro, più si riduce la dimensione sociale delle
periferie, agevolando tante realtà è comunità locali più integrate. Invece cosa si promuove
(a livello comunale ed oltre) nei quartieri di periferia? Il supermercato dove mettersi in fila,
se va di lusso il centro commerciale (comunque ambiente finto, dove solo catene di negozi
enormi possono permettersi l’affitto dei locali), ovvero, tutte iniziative che sottraggono
benessere (anche soldi) dalla periferia stessa, non i mercatini al coperto di gente locale, non
negozietti gestiti da chi in quei palazzi ci abita, non il baretto dove ci si può fermare un
giorno intero a discutere davanti ad un bicchiere di vino... No! Si fa finta di credere che la
soluzione sia il caffè asettico di un centro commerciale gestito da lontano (magari pure da
un paradiso fiscale) dove ci si siede in tavolini piccoli, alti e scomodi a bere un caffè senza
parlare con nessuno e serviti, se va bene, da una persona locale, ma sicuri di aver pagato
col proprio caffè una corporazione anonima che per giunta impiega un’agenzia di pulizie
basata centinai di chilometri più in là. Bellissima soluzione, vero? E nel frattempo si
obbligano tutti a dover prendere l’auto, finire in un orribile megapargheggio che avrebbe
potuto essere un parco attrezzato, caricare l’auto colla spesa settimanale di corsa e poi
rimettersi in fila per tornare a casa. Spesso, quando i problemi sono grandi, le soluzione
non è un grande progetto, ma tanti piccoli progetti.

Ridimensionare le periferie significa sia dare opportunità alla gente del posto di lavorare
(anche in proprio o, ovviamente in cooperative più o meno piccole) in zona, significa
ridurre il traffico, ovviamente anche mettendo mezzi pubblici, significa aprire spazi verdi,
bar, zone d’incontro culturali, favorire la nascita di gruppi musicali e teatrali locali, dare
spazzi sociali, anche tramite centri sociali con propositi culturali. E cosa continuano a fare lì
le ditte dismesse? Ci si chiede poi perché giovani che sono costretti ad andare in macchina
su strade grigie dieci chilometri più in là poi li occupino? Ma che domande... Anzi, conosco
comuni dove è il comune stesso che fa da mediatore tra i proprietari di ditte dismesse ed i
giovani che cercano uno spazio dove incontrarsi ed esprimersi liberamente. Non ci voleva
molto a capire che la soluzione c’era già...

Ma andiamo oltre, fornire tanti punti di incontro, tante piccole piazze significa trasformare
le periferie da giungle di cemento enormi ad una serie di comunità basate sul concetto è la
misura del villaggio, quella in cui si formano i rapporti sociali più saldi, quella in cui le idee si
scambiano senza scontro, e ciò non toglierebbe, ovviamente, la Libertà di avere anche una
vita sociale urbana in centro: Londra è già strutturata in modo simile in molte delle sue
periferie; bisognerebbe cominciare a rendere anche le nostre periferie belle e vivibili.

Bisogna pensare a periferie che possano accogliere le diverse sfere della vita e della
società, dall’abitazione, al lavoro, alla cultura al tempo libero. Ma quanti chilometri si fanno
in macchina, aumentando il traffico ed inquinando, se si vive in periferia e si vuole andare
al cinema, a fare la spesa, a portare i figli al parco? Non è la gente che deve viaggiare per
avere accesso a questi beni, è la società che glie li deve portare vicini, a distanze percorribili
a piedi. E si pensi a chi ha problemi a spostarsi, chi ha difficoltà di deambulazione, gli
anziani, e anche i bambini. Ma che schifo di prospettive stiamo offrendo loro? Di farsi
accompagnare all’anonimo centro commerciale una volta la settimana invece di fare un
salto giù a vedere gli amici al bar, incontrare gli altri bambini (e qui ritorna il concettino
della cooperativa di genitori che facciano a turno a curarli) al pacchetto sotto casa o al
giovane di poter anche usare strumenti musicali in prestito dal centro culturale, dove possa
incontrare e condividere la sua passione con coetanei per seguire i propri sogni, ed un
giorno esprimere il suo talento a tutti colle note della sua musica?

Faccio fatica a credere che questa soluzione non sia mai finita sui tavoli dei nostri
amministratori comunali, provinciali, regionali e statali. Ma strano, pochi sono quelli che
non hanno preferito l’altra via, quella del livellamento sociale e culturale, quella falsa, di
una vita vuota ed anonima, che però, guarda caso, giova ai soliti interessi del capitale e
delle corporazioni.
Invece bisogna aprire librerie nelle periferie, e per libreria intendo un posto che abbia
anche una sala musica con strumenti che si possano prendere in prestito, dove ci sia una
sala conferenza (carina per favore, non quelle porcate anonime da sala riunioni della
Megaditta!) dove si facciano conferenze e dibattiti, dove ci sia una sala esibizioni di artisti
locali, dove ci siano anche giochi educativi per i bambini... E affianco alle librerie, bisogna
trovare anche lo spazio per far tornare la Natura nelle periferie, non solo con aiuole verdi
ed alberi sulle strade (non isolateli per cortesia, gli alberi stanno meglio in compagnia), ma
con pacchetti, facendo giardini sui tetti, con luoghi dove fare sport, aprendo anche percorsi
ciclabili sicuri e verdi, anche coltivando laddove si può, come sta succedendo in tante parti
del mondo, dove proprio nelle periferie esistono gruppi di persone che condividono orti
urbani, dove possano tornare farfalle ed api (e tanto per dirlo ai vari assessori, se le volete,
dovete piantare fiori, non solo siepi tristemente tagliate per sembrare muri), uccelli,
scoiattoli anche volpi ecc. Si può essere giardinieri anche nelle periferie.

Per chi non sia saltata/o direttamente alle ultime pagine di questo libro, forse non vale
neanche la pena dirlo, ma queste associazioni e cooperative non devono essere gestite
centralmente, ma dalle comunità stesse. La partecipazione non può essere detta vera se si
forzano le persone ad un ruolo di puri fruitori di un servizio; la comunità ha diritto di essere
veramente partecipe; sono i bambini delle scuole che devono essere consultati ed anche
fare progetti per l’area attrezzata a loro dedicata nel pacchetto vicino, e li si può anche
portare là a piantare tulipani e garofani nel corso di giardinaggio del doposcuola. Sono gli
anziani che magari vorrebbero pure fare un po’ di giardinaggio nel tempo libero, e bisogna
dargliene l’opportunità; e non si preoccupino i giardinieri professionisti, nessuno intende
togliere loro il lavoro; ma si guardino i parchi italiani! Si fa fatica a trovare un fiore e la
manutenzione pubblica fa fatica a tenere la manutenzione ordinaria... Anzi, è chiaro che i
giardinieri possano (e si spera organizzati in cooperative) anche avere un ruolo educativo
mentre curano i parchi; tutto, ma tutto il mondo si deve ispirare alla Natura, anche le
periferie, ed in Natura, si lavora tutti insieme per crescere, fiorire e portare frutti; gli alberi
non crescono in isolamento, ma con muschio, funghi ed uccelli, ed è proprio nella loro
relazione che la Natura ci insegna esiste un valore grandissimo, quello della collaborazione
ad ogni livello è su ogni progetto.
La via del futuro

Siamo giunti alla fine di questo viaggio, che spero voi abbiate gradito. Ma questa proposta
non è che una via fuori dal passato e verso il futuro. Certo, bisogna mettersi in mente che
le corporazioni e la plutocrazia appartengono al passato, mentre nel futuro ci si va solo
tramite condivisione e collaborazione.

E se avete apprezzato questo libro, per cortesia condividetelo; condividete questo libretto
liberamente, discutete con amici e colleghi le proposte qui presentate, criticatele,
miglioratele, è solo così che si può ricominciare a costruire un mondo migliore, dalle idee e
dalla loro condivisione; l’idea è seme, e solo quando condivisa inizia il suo cammino per
divenire pianta, e poi riprodurre, dar frutto e dare vita a nuove idee...

Le porte sono aperte e davanti a noi si aprono tante vie fiorite, nessuna però potrà mai
prendere quella che abbiamo percorso sono ad ora; quella non porta nemmeno indietro,
quella porta al nulla perché parte dal nulla; essa parte dall’assenza di valori e costruisce un
sistema che li reprime e li sostituisce con falsi valori.

La nostra via, invece, è diversa; essa è una via collettiva, piena di sentieri ed esperienze
diverse ma rispettose l’una dell’altra che si dipartono per poi ritrovarsi all’ombra di una
quercia, imparare dal lei, dalla sua immensa generosità e ripartire verso prati fioriti, verso
un mondo luminoso, dove nessuno, ma proprio nessuno debba mai dire di non saper
vedere la luce della Verità e del Sole; una via dove le farfalle possano posarsi sui fiori senza
temere del loro domani, una via dove i bambini, crescendo, ci possano ricordare con un
minimo di gratitudine, una via dove si possa dipingere il Bene di tutti, dove all’orizzonte
guardi sempre l’alba di un mondo migliore, dove ogni giorno sia un’occasione di nuove
opportunità, un mondo dove la vita possa ancora avere speranza, e dove l’Umanità, Madre
Natura e la Madre Terra possano per sempre guardare negli occhi le stelle ed il Fratello
Sole.

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