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STANISLAO SMIRAGLIA (intervento seminario 11/12/2006)

(per i riferimenti istituzionali si prega di usare la seguente formulazione:


Psicologo Sociale, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali – Università degli Studi di Cassino)

Mi piace affrontare i temi di questo seminario come ricercatore e come progettista di formazione,
ovvero dal duplice punto di vista di colui che da un lato le innovazioni le indaga e dall’altro le
coglie nel contesto dell’interazione con il mercato e le imprese. Mi si consentirà anche di saltare
molti passi teorici e premesse situazionali per toccare aspetti e temi diversi entro i tempi
dell’intervento.
Intanto vorrei partire da una considerazione sul rapporto tra tecnologia e creatività. Sicuramente le
tecnologie favoriscono la creatività, ma non la determinano. Le idee che contano possono emergere
anche con tecnologie povere e mezzi non straordinari. Per sostenere questa idea faccio riferimento a
qualcosa che ha preceduto la rivoluzione digitale. Noi oggi siamo portati a pensare che molte
caratteristiche cruciali della contemporaneità mediatica derivino dall’introduzione del digitale,
mentre in realtà non è così: già all’epoca delle prime radio libere ritroviamo lo stesso principio
basilare della rivoluzione digitale: l’integrazione delle tecnologie. A dire il vero per quel caso si può
parlare di associazione delle tecnologie, dove le due tecnologie erano soltanto la radio e il telefono,
ma con il valore sociale aggiunto del ribaltamento del principio gerarchico fonte-emittente: il
telefono era utilizzato dall’audience per entrare in diretta – ed era una grande novità - nella
trasmissione radiofonica. Questi due elementarissimi principi, mutualismo tecnologico e ruolo
attivo degli utenti-pubblico, sono gli stessi che governano la grande transizione del mondo digitale:
multimedialità e web activism. Ovviamente oggi siamo ad un superiore livello di opportunità
tecnologiche rispetto a trent’anni fa, ma il principio è lo stesso.
Possiamo dunque affermare che lo scenario del mondo come noi lo conosciamo è tale perché le
tecnologie ne consentono un’edificabilità reticolare e sinaptica che soddisfa particolari istanze
sociali di comunicazione ed informazione.
Si può riconoscere anche la continuità delle dinamiche politiche ed istituzionali per il controllo
ideologico dei media e la gestione economica dei flussi del consumo che ne derivano; riferendoci
ancora all’esempio precedente, basta pensare alle azioni inibitrici nei confronti delle radio libere per
comprendere che tutte le iniziative che verranno fatte per conformare e normativizzare l’espansione
pervasiva della comunicazione globale (e di come essa venga microgestita dall’utenza, in un
determinato tempo ed ai fini di una qualsiasi istanza d’uso e gratificazione), produrranno battaglie
che saranno inevitabilmente perse per la semplice ragione che se era difficile controllare media
locali, nessuno potrà mai veramente governare un media globale ma alimentato essenzialmente da
una massa di fonti tutte probabilisticamente rilevanti per nuove mutazioni degli stili informativi ed
approcci comunicazionali nel campo del lavoro (sempre meno) e del tempo libero (sempre più). Le
legge darwinistiche universali dei processi evolutivi, sia biologici sia culturali, ci dicono che le
competizioni e le battaglie che implicano informazione non sono mai vinte, una volta e per sempre.
Un grande biologo dell’evoluzione del vivente, Leigh Van Valen ha mirabilmente richiamato il
Principio della Regina Rossa, con riferimento al mitico Alice nel mondo delle meraviglie di Lewis
Carroll, per spiegare come nel confronto per il mutamento si possa solo correre moltissimo per
trovarsi sempre allo stesso punto e come, per essere avanti, bisogna correre due volte di più. Il
paradosso vale anche per l’evoluzione digitale, naturalmente, anzi ancora di più. Esempi di
coadattamenti evolutivi sono le modificate strategie della diffusione pubblicitaria con la comparsa
del telecomando o l’evoluzione dei sistemi di protezione (e di loro aggiramento) in conseguenza dei
nuovi supporti musicali (dalle audiocassette ai cd, all’mp3.)
Si potrebbero fare molti esempi sul nuovo e la creatività (che è poi un prodotto della varianza
opportunistica propria dei processi evoluzionistici), su come il vecchio possa cavalcare il nuovo e
su come il nuovo possa dare vantaggi al vecchio, per così dire. Consideriamo le nuove frontiere
della comunicazione d’impresa messa di fronte all’incontrollabilità della produzioni emergenti dal
basso rese possibili dalle nuove tecnologie. Sarà nota a tutti la joint venture tra alcuni sconclusionati
inventori di soluzioni chimiche in rete e potenze come Google, Coca-cola e Mentos, Youtube.
Gli esperimenti on the road che hanno visto miscelare il contenuto di una Coca-cola e pasticche di
Mentos, ad evidenziarne il mutualismo memetico, sono diventati un business molto interessante da
tutti i punti di vista laddove proprio Coca-Cola e Mentos hanno deciso di sostenere le nuove forme
della comunicazione, fatte di ciò che la gente elabora e condivide esponenzialmente sul web, quello
che si definisce user generated content.
Il vero, efficace product placement si realizza ovunque e comunque grazie alla creatività dei
naviganti in rete ed al passa parola, economico e coinvolgente, perché agito e promosso dal
bersaglio stesso.
Ma anche nel settore televisivo questo ribaltamento delle relazioni produttive-riproduttive trova
qualche nitido riferimento. Un esempio molto efficace sono le soluzioni brand to the people, che
affermano “l’espropriazione pacifica del marchio” attivata da una rete Mediaset con uno slogan
plebiscitario e popolare (Italia 1), rielaborato da innumerevoli pubblici.
Sono esempi - questi - differenti ma che evidenziano le connotazioni efficaci della comunicazione
emergente: il principio dell’ego involvement e le leggi della diffusione virale di tipo memetico.
Meglio ancora se a tali principi si accompagna la teoria del piccolo mondo con cui Stanley Milgram
ha dimostrato già negli anni sessanta che chiunque è in grado di raggiungere chiunque attraverso
una catena di soli sei contatti interpersonali. Con maggiore facilità, poi, se si viaggia in rete, in una
condizione di cablaggio diffuso.
La formula vincente di questa fase dell’evoluzione digitale è dunque quella che consente di ricavare
il massimo vantaggio in modalità simbiotica: opportunisticamente, rispetto alla capacità degli
utenti, dei consumatori, di creare innovazione; viralmente, rispetto alla possibilità di trasmettere il
meme (con efficace espressione introdotta da Richard Dawkins ad indicare una qualsiasi unità di
informazione che si replica attraverso l’imitazione) ovvero anche il brand, verso nuovi potenziali
riproduttori-consumatori. Questo, che piaccia o no, è ciò che emerge dall’uso di punta delle
tecnologie (le nostre protesi esperenziali) e la cosa interessante è che questa tendenza non è
scaturita dal mondo della comunicazione istituzionale ma da quella probabilistica dell’utente più o
meno esperto. Le nuove tecnologie incarnano infatti bisogni basilari dell’individuo sociale, quali il
bisogno di condividere (file sharing), di sostegno sociale, di appartenenza ed identità come ben si
evidenzia nella proliferazione di communities e newsgroups. Bisogno tanto più forte quanto più i
legami comunitari tradizionali si sono indeboliti o persi.
E tutto ciò attraverso flussi e processi diffusivi di natura essenzialmente virale (buzz), che possiamo
considerare la modalità più efficace di comunicazione interpersonale: il passaparola.
Questa dinamica è accresciuta da una componente essenziale del mercato delle utenze e dei
consumi che deriva dalla propensione dei consumatori a sottrarsi (almeno in parte) alle regole ed
alle limitazioni che i diversi grandi attori produttivi, organizzativi e legislativi tentano e tenteranno
di imporre alla rete e ai protocolli della condivisione ed alle affordances rappresentate dai softwares
emergenti, primariamente nell’ambito della compressione e riproduzione dei formati audio-video.

Avviciniamoci dunque al tema televisivo.


E’ stato recentemente diffuso un rapporto di ricerca commissionato da Ibm sull’evoluzione del
mercato audiotelevisivo che si proietta al 2012; qui si individuano diverse tipologie di utenti: quella
costituita da soggetti sostanzialmente passivi, orientati ad un uso tradizionale dei media (Massive
Passives); quella rappresentata da soggetti interessati all’innovazione tecnologica come componente
esibizionistica (Gadgetiers) e la tipologia dei Kool Kids di coloro cioè che possiamo identificare
come le avanguardie nell’utilizzo delle nuove tecnologie, capaci di introdurre creatività all’interno
della rete e di generare mutazioni. Il lavoro di ricerca non enfatizza l’assunto di un primato
quantitativo di quest’ultimo tipo di utenza, ma ne rappresenta chiaramente la salienza evolutiva
anche ai fini di una migliore capacità da parte dei grandi operatori di anticipare gli scenari dei
possibili cambiamenti. E lo scenario è rappresentato da processi di consumo televisivo sempre più
riconducibili a palinsesti personali, a tempi e modi di consumo assolutamenti indipendenti e ad un
uso primario delle tecnologie di rete, con un altissimo grado di integrazione tra tutte le diverse
tecnologie, portabili e domestiche.
La cosa interessante che ho avuto modo di riscontrare nei miei studi sulle élites tecnologiche è esse
sono anche quelle che più consumano e talvolta si richiamano attivamente alla pubblicità,
considerata forma artistica post moderna, espressione viva di nuovi linguaggi e nuove estetiche.
Sicchè grazie alle nuove tendenze, la pubblicità si diffonde senza che certe direzioni ed usi siano
nemmmeno previsti dalle grandi imprese. Avanguardie creative, competenze tecnologiche sempre
più precoci, sono elementi qualificativi delle nuove generazioni di utenti e del professionismo
informale dei nuovi consumatori multimediali.
Sul web, in particolare grazie ai nuovi formati video, si sta affermando uno spazio di
comunicazione pubblicitaria e anche di counteradvertising (che è talvolta memeticamente più
efficace e penetrante di quella a favore), che può rilevarsi essenziale nel sostenere le politiche di
branding. Ci sono quindi dei fenomeni di cambiamento in atto che evidenziano quello che mi pare
il punto di maggior salienza: il vero business è dove il business non c’è. Se noi pensiamo di
esportare e cavalcare ciò che esiste indubbiamente avremo possibilità derivanti dalla forza di cui si
dispone (concezione del potere-successo a somma zero). Ma questo è troppo poco per rispondere al
Principio della Regina Rossa.
L’altro aspetto importante è il concetto di democrazia emergente e del nuovo rapporto che si
delinea con la politica, la sua crisi evidente, perché è crisi di idee e di relazioni. Non c’è ombra di
dubbio che l’evoluzione delle comunicazioni sociali tutte sta evidenziando un’esigenza di
partecipazione e di identificazione, di riconoscibilità e autoaffermazione delle idee da parte dei
pubblici e degli utenti che ha un grande peso politico ed economico. Le appartenenze ideologiche,
manichee, categoriali ad un gruppo o a un altro stanno sfumando nella testa della gente. In realtà le
cose che avranno maggiore successo sono quelle che costeranno meno e che offriranno vantaggi
d’uso (e partecipazione) ai loro utilizzatori. Il peer to peer, per esempio, funziona benissimo perché
ricostruisce una società ancestrale in cui si scambiano oggetti e servizi, valorizzando
utilitaristicamente la comunicazione ed il contatto; quindi con tutta evidenza il mercato non può che
determinare l’affermazione di ciò che avrà il maggiore riscontro in termini di economicità e di
flessibilità dell’interazione. Come già sta avvenendo nel settore delle telecomunicazioni (mobile e
fissa) se si legge ciò che programmi come Skype ci preannunciano per il trend futuro.
Si diceva del bisogno dei pubblici di esserci e di contare, ben cavalcato dalle nuove e-imprese e
rinforzato dall’utilizzo di pronomi personali (I, MY, YOUR, OUR…).. e riconoscibile nelle nuove
forme di giornalismo che danno la possibilità di costruire le notizie dal basso, il giornalismo di
strada, ai media grassroot fenomeno ancora poco conosciuto in Italia ma in sicura espansione come
il blogging ci insegna; e nella funzione delle Communities. Favorendo la comunicazione dal basso e
valorizzando il bisogno delle persone di ritrovarsi in comunità si aprono straordinari scenari
culturali che aspettano i media tradizionali, come la tv ancora sulla soglia di una vera e propria
mutazione funzionale e tecnologica. A volte avverto un disagio che gli addetti ai lavori
attribuiscono all’incertezza della transizione…ma non posso condividerne il segno negativo. Vorrei
ricordare che sempre più spesso, anche in termini di analisi di mercato si iniziano a valorizzare le
aree grigie, quegli spazi del consumo di socialità e prodotti che anziché rispondere ai determinismi
segmentali, rispondono alle cosiddette logiche fuzzy, logiche del confuso, dell’indistinto. Che poi
sono gli spazi dell’interazione e della sperimentazione. Che spesso mancano o sono claustrofocici.
La verità è che si ha paura delle contaminazioni e che anche i grandi operatori spesso agiscono
come se potesse valere una logica del profitto e dell’interesse a somma zero, anziché variabile.
Gli effetti di queste apartheid delle mentalità si riconosce anche nella mancata o carente
integrazione tra sistema della formazione e risorse della comunicazione-conoscenza. Si pensi al
reale utilizzo della rete nella scuola di base e alla poca sinergia che si verifica tra la formazione
universitaria e il sistema dei media e televisivo, in particolare. A prescindere dal fatto che nelle
scuole gli insegnanti il più delle volte non sono in grado di gestire gli strumenti tecnologici (ma per
fortuna ci sono i ragazzi che ne sanno un po’ di più), ci sono poi gli impedimenti burocratici che
lasciano i computer bloccati nelle aule di informatica, o la tv confinata nell’aula dei professori. Non
ci si deve poi meravigliare che niente di nuovo si affacci sullo scenario della formazione
universitaria; basta notare che è insussistente una sperimentazione adeguata, in grado di coinvolgere
realmente la nuova televisione e le risorse on line. In Italia ancora si insiste e persiste con
l’esperienza del Consorzio Nettuno. Niente da dire sul Consorzio.. ma che dire dei suoi prodotti,
fatti di videocassette e statiche narrazioni con sfondi in Powerpoint!
In questo come si può non convenire sul fatto che un’indicazione di indirizzo importante sia
rappresentata dalla confluenza tra il settore della ricerca e dello sviluppo e quello della formazione?
Questo perché fare formazione (all’Università come nell’ambito della produzione e dei servizi)
significa promuovere processi di creatività e di innovazione, attraverso la capacità di leggere il
mondo nuovo ma anche di valorizzazione di ciò che già c’è. E viceversa fare ricerca e sviluppo
significa soprattutto sperimentare nuove formule creative e produttivo-riproduttive.
La cosa interessante è che il crogiuolo delle competenze non sta più soltanto nelle imprese ma nel
cuore del mondo. Quindi bisogna iniziare a pensare ad una formazione diversa, capace di integrare
l’interno con l’esterno. Si pensi alle communities, ai network sociali, che sono i più forti punti di
convergenza di nuove idee e della capacità del sistema audiovisivo, audiovisuale di recuperare
questi contributi e saperli valorizzare, perché in realtà i format del futuro sono già presenti nella
rete, bisogna saperli cogliere….riorientare la ridistribuzione della redditività non in termini di una
vetusta idea della forza lavoro interna che produce, ma di una forza sociale creatrice che produce
comunque, per motivazione propria e per convinzione personale.
Quanto prima ci si rende conto che il frutto digitale dell’innovazione è un DNA esteso che
appartiene agli individui quanto alle imprese ed alle istituzioni, tanto prima si coglieranno gli effetti
di una migliore convivenza tra componenti pur tanto diverse. Forse anche la politica farebbe bene a
valorizzare la creatività (anziché la normatività), accogliere e sostenere le idee piuttosto che
imporle.
Il tema della creatività è dunque centrale e, per la politica e per le imprese, e la sua promozione mal
si concilia con gli impulsi normativi (in qualsiasi modo essi si esprimano).
Nessuno, in questo scenario globale può più difendere la propria rendita di posizione anche perché
la vera concorrenza è dove non la si coglie, in accordo al principio complementare che il vero
business è esattamente dove non c’è.

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