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Alessandro “Brother”

Silvia “Sister”
Luca
Rosy

in

Into the wild


Nella natura selvaggia
seguendo il Danubio
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INDICE

Introduzione 5
Ringraziamenti 7
Into the wild 9
21 febbraio 2009
Bowling o non bowling? 11
19 Agosto
The long and winding road 13
20 agosto
Going to California 21
21 agosto
L’apparenza inganna 33
22 agosto
La donzelletta vien dalla campagna 39
23 agosto
Un lunedì da leoni 47
24 agosto
Passavia e il complesso di Edipo 53
25 agosto
Train de vie 61
26 agosto
Danubio blu e McDonald 65
Pensieri … 67

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INTRODUZIONE

L’introduzione è solitamente la parte più difficile


da scrivere, in un’opera. A maggior ragione se
lo scritto in questione non è un’opera vera e
propria, ma un semplice diario di viaggio scritto
qualche tempo dopo il viaggio stesso.

Ebbene, questa introduzione non è un’introdu-


zione, e pertanto non mi dilungherò, come
spesso si fa, a descrivere i motivi per cui scrivo,
né la distribuzione dei capitoli.

L’ispirazione mi suggerisce che quest’introdu-


zione dovrebbe già essere finita, ma poiché
persisto nel volerla scrivere, continuerò dicendo
che la terra è rotonda. Una cosa inutile
insomma, giusto per riempire questa pagina di
introduzione a ciò che non necessita di essere
introdotto, e che per questo non avrei dovuto
introdurre.

Capito?

Buona lettura.

Adattata da A.Piana, “Agosto sul Nilo”, 2009


Così cito me medesimo, come neanche i più
grandi premi Nobel si sognavano di fare.

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RINGRAZIAMENTI

Per una volta, i ringraziamenti sono una delle


parti più facili nello scrivere un libro;
indubbiamente, devo ringraziare Luca, Rosy e
Silvia (in ordine alfabetico), per la splendida
vacanza trascorsa insieme. Ringrazio Cinzia
per la piacevolissima comparsa in una delle
puntate.

Ringrazio la bicicletta, Leonardo da Vinci


perché l’ha inventata, e Firenze perché ha
inventato Leonardo Da Vinci.

Ringrazio la Germania e l’Austria, (la Svizzera


NO!), il Danubio, l’Italia e gli Italiani.

Ringrazio il mio amico Teka per aver fatto la


ciclabile del Danubio prima di me, e per essere
tornato vivo per raccontarmela e
raccomandarmela.

Ringrazio l’ossigeno e soprattutto l’idrogeno,


perché accoppiandosi sfacciatamente davanti a
tutti, ha contribuito alla nascita dell’acqua che a
sua volta ha contribuito alla nascita del
Danubio.

Ringrazio nuovamente l’Italia, perché contiene il


Po.

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Ringrazio i soliti noti, amici, genitori e parenti
tutti, perché è consuetudine ed è doveroso.

Concludo con una breve dedica a tutti coloro


che vorrebbero fare la ciclabile: allenatevi! E poi
vivete questa splendida avventura, che vi
rimarrà nel cuore.

Che il dio Donau mi aiuti nello scrivere questo


diario, sperando che non risulti troppo
macchiavellico e poco desiderabile ai suoi pochi
lettori.

Di nuovo grazie,

Alessandro “Donau” Piana

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Into the wild

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21(?) febbraio 2009
Bowling o non bowling?

“La felicità è reale solo quando condivisa.”

Durante un innocuo sabato di febbraio, nei


pressi di quel luogo schivo, frazione del paese
di Soverato, qual è il bowling di Nerviano, il
sottoscritto, la mia “non ancor” sorella Silvia,
Luca, Michele, la Kate, la Ka-Kami e non
ricordo chi altro, dopo una qualsivoglia
discussione che forzatamente non mi sovviene,
giungemmo a parlare di vacanze. E fu così che
ingenuamente, inaspettatamente e
inconsciamente saltò fuori questa idea un po’
malsana; tale idea, come tutte le cose geniali
che l’umana natura ha cogitato nella sua storia,
rimase nel cassetto per molto tempo prima di
essere attuata.

Mesi e mesi trascorrono inesorabili, e le umane


gesta si protraggono quotidianamente, con atti
eroici e gesti epici che la nostra antologia non
tratterà.

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19 Agosto 2010
The long and winding road

“L'essenza dello spirito dell'uomo sta nelle


nuove esperienze …”

È il gran giorno della partenza. Personalmente


arrivo dall’idillica e bucolica campagna Veneta,
da un mondo quasi irreale e beato, salvo poi
ritornare nella realtà grazie ai mille disagi del
viaggio Vicenza – Milano ad opera di Trenitalia.

Silvia è, come sappiamo, già là ad aspettarci,


Luca è appena tornato dagli Urali (o dai
Pirenei?) bergamaschi, mentre la Rosy è
reduce, superstite, della famosa Battaglia di
Busto Arsizio che vede da anni affrontarsi,
all’ultimo sangue, i giovani “ribelli” contro gli
anziani patriarchi attaccati alla poltrona.

In questa situazione un po’ malsana, tutti non


aspettano altro che lasciare la terra dei Cachi
per andare verso Die WurstelLand. (Sister
perdonami le macabre escrezioni di germanico
linguaggio che troveremo man mano!)

Una volta svegliati, si fanno gli ultimi controlli e


via. Via non dall’Italia, ma dagli Italiani. Siamo
sicuri, sicurissimi, che non troveremo italiani;
dove c’è da far fatica, gli italiani non ci sono.

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Rho – Eichstätt (ca. 650 km)

Che dire di un viaggio in macchina? Che dire di


un’interminabile autostrada svizzera, con
l’incubo dei limiti di velocità? Che dire delle
discussioni su cosa si è fatto d’estate, con
enorme soddisfazione del sottoscritto che non
ha fatto assolutamente niente, non essendoci
assolutamente nulla da fare, laddove invece gli
altri erano già provati dallo studio, o dall’idea di
dover cominciare a studiare? Che dire del
baretto al confine tra Svizzera e Austria dove
non si capiva come pagare, se in Franchi
Svizzeri o in Euro? Che dire del profumo
dell’erba, del leggero e sinuoso cinguettare
degli uccelli, che già immaginavamo ci
aspettasse all’arrivo?

Il viaggio fila liscio (altro che Egitto!). Nessun


ritardo, nessun problema. In men che non si
dica, eccoci al numero 5 di
UberUnterNeueOldeStrasse, a salutare la
visione di una quanto mai in forma Silvia.

Eichstätt, col suo castello. Eichstätt, con i suoi


campi. Eichstätt, con le sue case per gli
studenti dotate di :

• n. 1 frigorifero “per 4 persone” grande


abbastanza per farci stare BEN due
tavolette di cioccolato al tamarindo.

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• n. 1 tavolo invisibile in cucina per far
credere di poter mangiare tutti insieme
come dei cristiani, salvo poi rendersi conto
che il tavolo invisibile non vuole proprio
saperne di comparire e dunque tutti sono
costretti a mangiare dove capita.
• n. 3 uova che a quanto pare sono le uniche
sopravvissute all’ultima scorpacciata del
povero Bismarck, prima di iniziare il suo
Kulturkampf (1870) e dichiarare bandite le
uova dalla faccia della Germania.
• n. 2 lavandini, di cui uno in bagno e uno in
camera.
• n. 0 bidet, perché in Germania, come nel
resto del mondo, non ci si lava mai.

Una volta depositati (era ora!) i bagagli, e


essermi personalmente innamorato della mia
camera con lavandino, andiamo tutti quanti a
prendere le nostre bici, le nostre future
compagne di viaggio, le nostre fedeli partner,
quelle che non ci dovrebbero mai tradire, quelle
che contribuiranno a rendere speciale ciò che ci
aspetta.

Ma la realtà è sempre più dura dell’immagi-


nazione; tre “city bike, al top della tecnologia
nella sicurezza, che hanno superato i crash test
con pieni voti e in grado di fornire comfort
impensabile anche e soprattutto per lunghe
distanze. Il top di gamma nel mondo delle due

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ruote“ . Tradotto, tre ferracci con il freno a
pedale (e per chi non l’ha mai provato, non c’è
modo di spiegare cosa significhi, per l’uomo
medio, guidare una bici con il “freno a pedale”),
sofferenti del morbo di Parkinson (almeno la
mia, che guidata senza mani pareva subìre una
scossa sismica del nono grado della scala
Richter). “Dei mezzi perfetti”. Si, per un museo.
Ma tant’è, forse io e Luca siamo abituati troppo
bene e in effetti siamo stati gli unici a
lamentarci. Una volta prese le bici, e lasciato un
quarto del nostro stipendio annuale per
noleggiarle per sei giorni, ci dirigiamo verso
casa per lasciarle e fare un giro della città a
piedi. Nel frattempo, Silvia aveva lasciato la sua
bici per farle sistemare il freno, con la promessa
di ritirarla entro mezz’ora. E chi conosce Silvia,
sa già che cosa succederà!

Il giro a piedi di Eichstätt si snoda tra luoghi


ameni e dimenticati da Dio, tra piazze in fase di
ristrutturazione (con conseguente eccitamento
di Luca per la vista di una FANTASTICA gru
con ben 5 assi portanti! Cioè, mica da ridere),
tra tedeschi vocianti e parchi cittadini, tra
laghetti con acque miracolose che dovrebbero
far bene alla circolazione e molto altro.

Ventisette minuti sono passati. Sono le 17,57


minuti e 23 secondi. Noi siamo dall’altra parte di
Eichstätt. Avete già capito? Corri, Forrest, Corri!
Usain Bolt nei 100 metri, a confronto, appare un

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principiante. Sfrecciando tra le vie quali aquile
alla vista di un serpente, giungiamo in negozio
a ritirare la bici di Silvia alle 17, 59 minuti e 59
secondi. Quel secondo ci ha salvato la vita,
cosa che invece non succederà più avanti.
L’uomo del negozio, tedesco “perfetto”, stava
già per chiudere il negozio. Ma noi no, noi
gliel’abbiamo eroicamente impedito!

Così, ripresa anche l’ultima bici, ben presto


siamo di nuovo fuori per una passeggiata;
giungiamo al Lago dei Cigni, dove ovviamente
dei cigni non si vede nemmeno l’ombra,
discutendo sull’avvenire e sulle modalità con cui
avremmo dovuto raggiungere Ingolstadt il
giorno seguente. Bici – Treno – Treno – Bici.
Treno o bici, questo è il problema. Aaah,
Shakespeare, tu sì che mi capisci.

Il vero problema, però, erano le gambe stanche.


E fu così che, già stanchi ancor prima di partire,
ci avviammo verso casa, dopo una breve tappa
al Lidl per valutare quale minestra di dubbia
provenienza avremmo dovuto trangugiare la
sera stessa.

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Menù di serata

Primi piatti
Pasta in bianco, senza burro e senza olio

Secondi piatti e contorni


Fagioli
Cipolle
Insalata
Pomodori

Dessert
Banane al cioccolato, dolce un po’ salato (del
colore e della consistenza di qualcos’altro che
non devo nemmeno specificare)

Le donne, dopo aver giustamente (scherzo eh)


lavato i piatti e pulito la casa, decidono di
andare a fare una passeggiata, mentre gli
uomini, dopo non aver, giustamente, fatto
alcunché, decidono di stare a casa, dove fanno
in televisione una splendida partita tra Borussia
Dortmund e la celeberrima squadra dell’Azer-
bajgian chiamata Agdan. Alti livelli di gioco,
partita interessantissima che infatti ci vede,
dopo qualcosa come ventiquattro secondi,
spegnere la televisione e parlare a caso.
Serata tranquilla, passata a preparare al meglio
i bagagli, e a parlare con i genitori di Silvia, di
cui cito i complimenti per la perfezione stilistico
concettuale delle mie opere precedenti (vd.
Alessandro Piana, Bibliografia essenziale, dalla

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nascita al Premio Nobel, ed. Mondadori, e
Accademia di Stoccolma, Albo d’oro dei Premi
Nobel per la letteratura e per la fantasia, ed.
StockHolmes).

La giornata volge tranquillamente al termine, in


compagnia di una camomilla, e di discorsi
riguardanti l’intestino e il suo incostante
funzionamento.

“Buona notte, e se non dovessimo vederci,


buona sera, buon pomeriggio e buon giorno”
(tratto da Show Truman, The)

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20
20 agosto
Going to California

“Ho letto da qualche parte che nella vita importa


non già di essere forti, ma di sentirsi forti. Di
essersi misurati almeno una volta, di essersi
trovati almeno una volta nella condizione
umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e
sorda, senza altri aiuti che le proprie mani, e la
propria testa.”

Uno zaino. Una bici. Il silenzio assordante della


propria anima. Il tumulto del cuore che batte
rapidamente. Il respiro affannoso. Il plik! della
goccia di sudore sull’asfalto. La natura. La
sensazione di vittoria.

Riapro gli occhi, e sono ancora nella camera di


Eichstätt. Una notte, per me, senza cuscino.
Una notte, per Luca, con le zanzare. Una
colazione, a cui Luca non partecipa causa
sonno pesante, in cui si parla di Godot, di Joyce
e del Grande Silenzio; una colazione in cui il
caffè è accompagnato da yogurt bianco, cereali,
cioccolato, e frutta.

Poi, la partenza verso Ingolstadt.

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Eichstätt – Ingolstadt (ca. 30 km)

“Musa, quell'uom di multiforme ingegno


Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra
Gittate d'Ilïòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L'indol conobbe; che sovr'esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desïava i suoi compagni,
Ché delle colpe lor tutti periro.”

Odissea è la parola che meglio descrive questo


breve tragitto supplementare che dobbiamo fare
per raggiungere l’agognata Donauradweg.
Odissea, e l’isola di Circe, per essere precisi.
L’isola dalla quale nessuno è mai tornato.
Com’è ovvio, non siamo stati trasformati in
maiali, né , come Ulisse, ci abbiamo messo
vent’anni a trovare la via di casa, tuttavia
abbiamo chiesto infinite volte indicazioni ai
passanti, abbiamo guardato cartine al contrario,
abbiamo implorato il Signore che ci illuminasse.
Ogni volta si era convinti di essere sulla strada
giusta, e ogni volta venivamo smentiti, tra mille
peripezie, sentieri senza uscita, boschi, foreste,
passi dolomitici e pirenaici, attraversamenti
pericolosi e così via.
Ma se Maometto non va alla montagna, è la
montagna che va a Maometto. Così, se noi non

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arriviamo a Ingolstadt, è Ingolstadt ad arrivare a
noi.

Giunti alla nostra Itaca, veniamo assaliti da


miraggi sotto forma di Wurstel und Kartoffen,
ma finiamo mestamente dentro una catena di
ristorantini fast food solo pesce, giusto per fare i
diversi, una volta tanto! C’è da dire che il
pranzo è ottimo, condito da discussioni su
crociere, Tibet, Nepal e non so che altro.
Ingolstadt scorre via rapidamente, con una
breve vita alla Shoppingstrasse e al castello,
luogo in cui si scattano foto in quantità e dove si
passa una piacevole mezz’ora.

E via! Ingolstadt, via! Ripartiamo, dopo aver


commesso un quadruplice omicidio: essere
passati con il rosso a un semaforo pedonale in
una strada vuota, davanti alla faccia stralunata
di un tedesco un po’ poco flessibile.

O Danubio blu,
mio caro Danubio blu,
ti amoooooo,
ti adorooooo,
ma non ti trovo più,
mio caro Danubio blu…

Ingolstadt – Bad Gogging (ca. 41 km)

Ehi! Danubioooo! Dove sei???

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Dopo minuti interminabili di richieste di
indicazioni, troviamo un ponte! Un ponte!
Supponiamo, con un sillogismo inferenziale non
accuratamente comprovato, di aver trovato il
Danubio! Ma non si può mai sapere …

Subito, una delusione : è più largo il Po.


Subito scatta l’orgoglio norditalico, nell’affer-
mare dell’assoluta superiorità del Po rispetto a
qualsivoglia fiume del mondo. Ma dopo la
delusione, l’amara verità : da che parte si va?

Voi che siete sicuri, nelle vostre tiepide case,


considerate di trovarvi di fronte a un fiume, in
terra straniera, e di non sapere dove andare.
Non c’è aiuto del pubblico, né chiamata a casa:
solo l’aiuto del 50 e 50, che nel nostro caso
consiste di provare prima una e poi l’altra
direzione. Alla ricerca di cartelli invisibili ed
eventualmente contrastanti, indicanti nomi di
città note o quantomeno indicate sulla mappa
(che, OVVIAMENTE, non abbiamo dietro,
avendola lasciata, volutamente, in macchina ad
Eichstätt), vaghiamo per ore e ore, giorni e
giorni, affamati e disperati. Decidendo infine di
tornare a casa.

Fine della storia.

Ho detto fine! E’ così, non siamo mai stati a


Passau, abbiamo fatto 30 chilometri, per
scoprire che non era la vacanza giusta per noi.

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Siamo stati 5 giorni ad Eichstätt, andando in
piscina dalla mattina alla sera, prendendo il sole
e non facendo proprio nulla. E voi che
speravate di leggere le cronache di una
vacanza in bici, vi state per sorbire un
noiosissimo racconto di ore e ore passate sotto
il sole cocente a leggere Novelle Duemilen e a
spettegolare su tutto e tutti.

E così, altro che eroi! Solo dei comuni italiani


sbruffoni che a 20 anni credono di spaccare il
mondo ma che a 40 sono a ancora a casa a
mangiare il sugo della mamma.

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Ho pensato tutto questo, quel primo giorno. E
credo che, minimamente, l’abbiano pensato un
po’ tutti. Ma chi BEEP ce l’ha fatto fare?

E vabbè, niente gossip, niente spiaggia, niente


piscina, ma solo bici, bici, bici!

Dopo qualche chilometro, e una leggera salita,


eccolo che (ri)appare LUI, il magnifico, il
fantastico ed indescrivibile Danubio blu. Volessi
fare il poeta, scriverei un’elegia bucolica, un po’
nostalgica, dedicandola all’imago dei nostri volti
radiosi, con i capelli sconvolti dall’aere leggero
che rinfresca la giornata. Ma siccome sono un
(quasi) ingegnere, vi descrivo il Danubio per
come è : lunghezza 2888 km, portata media
530 metri cubi al secondo, portata massima
6500 metri cubi al secondo, composizione :
ACQUA. Tutta questa fatica, o meglio tutta la
fatica che dobbiamo ancora fare, per un po’
d’acqua. La stessa acqua che abbiamo dal
rubinetto tutti i giorni. Certe cose “non me le
soooo spiegare, io” (Tiziano Ferro, sappi che ti
sto onorando citandoti qui!).

Dopo questa “poetica” contemplazione su


questa minima quantità d’acqua, ci rimettiamo
in cammino. Sennonché, il danno è fatto.

Vi lascio tre tentativi, poi vi do la soluzione.

Tentativo uno.

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Tentativo due.

Tentativo tre.

Ok. Immagino abbiate pensato che magari mia


sorella abbia dimenticato il bagaglio a
Ingolstadt. No, non è così sbadata. (Silvia
perdonami eheheh). Poi, magari, avete pensato
che siano scappati urgentissimi bisogni
corporali che non si possono fare all’aperto, ma
che , essendo sul Danubio, il più vicino bagno
pubblico fosse a 356 km. Nemmeno questo.

Non avete ancora indovinato???


Ebbene, una discesa galeotta provoca un’in-
cessante emissione di aria da un micro-foro
innestatosi lungo la circonferenza esterna della
ruota posteriore del veicolo eroicamente
guidato dal nostro Luca. Tradotto, Luca ha
forato. In mezzo al nulla. Senza kit di
riparazione.
Ivi urlando per la rabbia, ivi innervosendosi per
cotanta sfortuna, egli tenta di gonfiare la ruota
nella speranza di protrarre lo sforzo motorio per
cotanti minuti quanti quelli necessari perché
altresì si sgonfiasse parimenti.
Fatti non più di 134,2 metri, la ruota sgonfiassi
nuovamente. E ivi la storia si ripeté.

Allor ivi dunque passando lo volto angelico di


un uomo il quale, nonostante trovandosi in stato

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di pensione e desideroso di andare a pescare,
nel mentre in cui vedendoci in preda al delirio,
si fermò e si offrì di aiutarci. Presa dunque la
sua automobile, tal generoso signore tornò
indietro, prese il suo kit di riparazione, ci riparò
la gomma e ci regalò il suddetto kit,
andandosene come un arcangelo portatore di
divine notizie, senza voler alcunché in cambio.

Troppo facile sarebbe partire con un discorso


anti italiani, troppo facile sarebbe puntare il dito
contro una cultura (la nostra) del
menefreghismo. Troppo facile. Ma traete da voi
le vostre conclusioni! In Italia, probabilmente, ci
avrebbero detto : la città più vicina è a 36 km. A
piedi ci si mette solo otto ore!

Bene! Così sistemati, soprattutto dal punto di


vista morale, ripartiamo in mezzo ai campi,
finché troviamo un signore un po’ anzianotto
che ci avverte, parlando con Luca che capisce il
tedesco alla perfezione, che la strada è chiusa,
ma che non ci sono cartelli perché la gente del
posto lo sa. Ovvio no? La strada è chiusa, ma
non segnaliamolo perché lo sanno tutti. Mi
sembra normale.

Allora, tra altre mille indicazioni, richieste di


informazioni e così via, si arriva finalmente a
Neuestadt (per i vicentini in lettura, città
gemellata con Recoaro Terme), e di qui a Bad
Gogging (che tradotto suona come “le Terme di

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Gogging”). Città per giovani, come avremo
modo di verificare.

Stanchi nell’animo, stufi da morire, con la sola


voglia di una doccia calda, andiamo in un
centro informazioni, dove delle gentilissime
signorine indicano a Silvia e Rosy, le due
interpreti del viaggio, i luoghi dove soggiornare,
chiamando i vari hotel per sentire
personalmente l’effettiva disponibilità delle
camere.

Arrivati in questo “hotel”, che chiamerei


piuttosto pensione a conduzione familiare, ci
prendiamo le camere; non facciamo neanche in
tempo a mettere giù i bagagli che le ragazze ci
invitano a fare scambio con la loro camera
perché “non c’è il bagno”. Ineccepibile
ragionamento, le donne necessitano più degli
uomini. Non fosse che, magicamente, passiamo
dal nostro tugurio provvisto di bagno, alla loro
camera, con due stanze, televisione, cucina (!)
e frigo integrati e, ovviamente, il BAGNO ben
presente, anche se le ragazze non se ne erano
per niente avvedute. Un bagno CLAMOROSO,
in marmo di Carrara, con 15 asciugamani per
persona e dotato di ogni comfort immaginabile.
Ma ormai, povere ragazze, lo scambio è fatto. A
loro il tugurio, a noi la Suite presidenziale.

Dopo una doccia caldissima durata mezz’ora


nel mio caso, usciamo per la cena a base di

30
mega wurstel lungo 1,2 metri, e patate in
quantità. Un wurstel a testa per me, Luca e
Silvia, e un’insalata per la Rosy, per una cena
che sarà quasi costante lungo tutto il nostro
viaggio.

Durante la cena, numerosi discorsi sul modo


d’essere derivante dalla lingua, o sulla lingua
derivante dal modo d’essere, dal bilinguismo al
trilinguismo all’importanza della crescita rispetto
al calcolo del volume di una bottiglietta di
plastica.

Dopo la cena, una passeggiata serale


tranquilla, nel centro della città (che, tra
parentesi, non esiste), e che mi fa pensare al
cimitero de “La notte dei morti viventi”. Dopo
questa sferzata di allegria dettata dall’enorme
vita sociale della cittadina di Bad Gogging,
galvanizzati da tanta gioia, ci appropinquiamo
nelle camere dove Silvia e Rosy leggono il
primo dei 137 libri (a testa) che hanno da
leggere, mentre io e Luca guardiamo la partita
tra Bayern Monaco e Wolfsburg. In men che
non si dica, dopo ben 4 righe lette, Silvia cade
tra le braccia di Morfeo, mentre la stoica Rosy
continua a leggere.

La serata, e la giornata, si chiude così, con la


stanchezza fisica che fa da padrone e che,
anche dopo giorni di distanza, mi priva dell’i-

31
spirazione necessaria per chiudere in bellezza
questo resoconto.

Beh, io ho chiuso la giornata scrivendo sul


diario. Ciò significa che ora sto scrivendo sul
diario che io stavo scrivendo sul diario; tutto ciò
crea uno spazio temporale infinito che crea un
loop irreversibile.

Ho capito.
Buona notte.

32
21 agosto
L’apparenza inganna

“Vivere soltanto vivere, in quel momento, in


quel luogo. Senza mappe, senza orologio
senza niente. Montagne innevate, fiumi, cieli
stellati. Solo io e la natura selvaggia.”

Bad Gögging – Kelheim (ca. 25 km)

Personalmente ho vissuto una notte strana, in


cui mi sono svegliato n (enne) volte, e in cui ho
sognato cose insignificanti come il gancio che
permette al “coperchio” del bagagliaio di alzarsi
all’apertura del bagagliaio stesso. Dopo queste
premesse deliranti, la giornata non può che
essere particolare, e così si presenta fin da
subito: la colazione, trascorsa tranquillamente
per qualche minuto, ci vede protagonisti di un
episodio spiacevole; stavamo preparando i
panini e, mi dicono, (essendo io in camera), la
padrona della pensione non l’abbia presa
troppo bene. Differenza culturale, tutto qui. Per
loro il pagare per la colazione non ti dà il
permesso di prepararti delle cose da portar via.
Dopo una enorme multa di 5 euro (in totale),
partiamo mestamente e col morale un po’
abbattuto. Dopo aver comprato qualcosa come
65 litri d’acqua per il viaggio, ci avviamo verso
la nostra prossima meta, pedalando in mezzo ai

33
cambi, tra pannelli solari da una parte e
piantagioni di luppolo dall’altra.

Chiediamo informazioni ad una ragazza che


stava pattinando e che, per risponderci,
inchioda arrischiando di produrre un solco sul
terreno; seguendo le indicazioni, abbiamo
poche possibilità di sbagliare, sicché,
nonostante tutta la buona volontà di andare a
caso, troviamo la strada e giungiamo a un
porticciolo, dove ci avvisano della presenza di
un monastero a circa 10 km di distanza. La
strada per raggiungerlo non è proprio
ortodossa, e viste le esperienze del giorno
precedente, tutti temiamo un’altra foratura,
consapevoli che l’angelo si manifesta una volta
sola, e che nonostante fossimo dotati di kit per
riparare tutto, ciò non sarebbe stato gradito.

Il percorso dunque procede con assoluta calma,


tra foto, fermate fisiologiche e discorsi nor-
malissimi, accompagnati dall’imponente e
altresì rassicurante fiume che ci guida lungo la
via.

Arrivati nel centro abitato circondante il


monastero, giriamo avanti e indietro alla ricerca
del porto e del battello che ci avrebbe portato a
Kelheim, prima delle due tappe di oggi. Trovato,
con buona dose di fortuna, il battello, lo
prendiamo ben 2 minuti prima della partenza,

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dopo aver fatto una breve ma quanto mai
intensa pedalata per raggiungerlo.

Il viaggio sul battello è piacevole e tranquillo, e


il sole, riflettendo sulle limpide acque fluviali,
dona una vivace sensazione di calore addolcito
dalla brezza tardo-mattutina. Di sottofondo,
l’altoparlante pretende di spiegare la storia del
monastero e del Danubio, con ovvi problemi di
interpretazione da parte mia e, ne sono sicuro,
anche di Luca; il tempo di qualche foto, di
qualche riflessione personale e silenziosa, e
siamo già arrivati.

Tirate fuori le bici, sappiamo di essere a


Kelheim, ma questo è tutto; l’altra cosa che
sappiamo, è di aver fame. FAME, FAME,
FAME. Per tutti, ma non per me; non so perché,
ma ricordo di non aver avuto fame quel giorno.
Per mangiare, siamo andati nel centro di
Kelheim (che, tra parentesi, non è molto
grande), in una piazzetta laterale di fronte a una
chiesa.

Dopo aver mangiato i gustosissimi panini


preparati in mattinata, giriamo in centro
bevendo un caffè, eventualmente corretto, e
parlando un po’; tornando al “parcheggio delle
bici”, a turno entriamo in chiesa per visitarla.
Primi io e Silvia, ci guardiamo attorno e non
notiamo niente se non le foto di alcuni bambini
in via di comunione; una volta usciti Luca e

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Rosy, ci narrano di mirabolanti sculture e dipinti,
nonché di un organo molto grande. Io e Silvia li
fissiamo stralunati. Ma siamo sicuri di essere
stati nello stesso posto? E così, non convinti,
rientriamo ed effettivamente notiamo tutto ciò
che ci era sfuggito in precedenza.

Kelheim - Regensburg (ca. 32 km)

Dopo questa “gaffe”, decidiamo di partire,


ancora una volta chiedendo informazioni e, per
fortuna!, sbagliando e ri-sbagliando strada,
finché non capitiamo in una strada tranquilla.

Pedala, pedala…

Si giunge a Bad Abbach, dove comincia un


tratto di asfalto veramente pessimo e dove io e
mia sorella cominciamo a parlare di amici e
università, mentre Luca e Rosy proseguono più
avanti.

Regensburg è indicata a 18 km.


Due minuti dopo, Regensburg è indicata a 13
km.
Altri tre minuti dopo, Regensburg è indicata a
8,5 km.
Decidiamo così di sostare presso una panchina
e il relativo tavolo da picnic, parlando di cose
che la mia memoria, penso per fortuna, fa fatica
a ricordare.

36
Dopo una mezz’ora di pausa, il cui maggior
pregio è quello di far riposare il deretano
sufficientemente sofferente per le numerose ore
di bicicletta fin qui effettuate, ripartiamo
raggiungendo in scioltezza Regensburg.

Qui, dopo l’apparizione angelica del giorno


precedente, abbiamo la seconda
manifestazione della Provvidenza nel momento
in cui troviamo le ultime due camere doppie
disponibili in questa piccola e sconosciuta città
chiamata Regensburg. Due minuti dopo
vediamo infatti arrivare una coppia di mezza età
che non può prenotare avendo noi rubato loro
gli ultimi posti.

Dopo una doccia e un minimo di riposo


ristoratore, ci avviamo per la cena. Silvia, che
aveva già visitato questa minuscola e
insignificante città, ci suggerisce di mangiare in
un luogo storico, una delle più antiche
WurstelHaus (nelle mie intenzioni, “case dove si
cucinano i Wurstel”) della Baviera. Non fosse
che l’orario segnava le 7:31 PM, e la cucina
chiudeva alle ore 7:30 PM; i soliti italiani
sempre in ritardo, direte voi; a questo punto, “i
soliti tedeschi perfezionisti”, diciamo noi.

E fu così che un pochino tristemente ci


accingemmo a mangiare il kebab che, data la
quantità di turchi in Germania, si appresta a
diventare il prossimo piatto nazionale; su una

37
panchina con vista Danubio, mangiamo il primo
kebab, che non ci sazia e che ci impone di
ordinarne un altro, e un altro ancora.

La classifica della serata dice :


1. Luca : 2 kebab
2. A pari merito, Silvia e Ale : 1,5 kebab
3. Rosy : 1 kebab

In virtù di questa classifica finale, non succede


niente. Non so cosa vi aspettavate, ma non
succede niente.

Piuttosto, cala la sera, e veniamo a conoscenza


(sarebbe meglio dire che Luca e Silvia vengono
a conoscenza) di un poliglotta un po’ particolare
che ci (li) intrattiene per qualche minuto. Il
Danubio si presta a foto particolari e a discorsi
completamente a caso; finito ciò, la classica
passeggiata serale per notare la desolazione
dei negozi e dei ristoranti chiusi e spenti. Dopo
un gelato italiano, un giro sul ponte di
Regensburg, e poco altro, rientriamo in hotel
dove io e Luca ricapitoliamo l’intera giornata,
parlando anche di pugilato.

Il sonno ci colpisce e, che ne so, potrebbe


colpirmi proprio mentre sto scrive

38
22 agosto
La donzelletta vien dalla campagna

“C'è una gioia nei boschi inesplorati, c'è


un'estasi sulla spiaggia solitaria, c'è vita dove
nessuno arriva vicino al mare profondo, e c'è
musica nel suo boato. Io non amo l'uomo di
meno, ma la Natura di più.”

Regensburb – Wörth a.d.Donau (ca. 25 km)

Il mattino è condito da una colazione


abbondante e da discorsi sui giri in bicicletta,
uniti a citazioni e aneddoti sull’apparecchio per i
denti; rapidamente e semplicemente, ci
prepariamo e usciamo pronti a partire.
Destinazione di oggi sarà Straubing, con alcune
tappe intermedie quali il Partenone di
Ratisbona.

Ratisbona. Ah però, dev’essere una bella città


da visitare, non credete? Infatti, è un peccato
non poterci andare. Ratisbona, la città di
Keplero e, non ultimo, del nostro papa attuale.
Dev’essere proprio bella.

Non fosse che, in tedesco, Ratisbona è


Regensburg: lo scopriamo, almeno io e Luca,
con un giorno di ritardo.

39
Non c’è bisogno che mi citi da solo, ma lo faccio
lo stesso: “piccola e sconosciuta”, “minuscola e
insignificante”, Regensburg .
Quanto è strano ripensare a Regensburg,
sapendo che è quella che noi chiamiamo
Ratisbona. Non è più “piccola e sconosciuta”,
“minuscola e insignificante”, ma all’improvviso
diventa “famosa e piacevole”, oltre che
“romantica nella sua semplicità”. Per cui, viva
Ratisbona! Abbasso Regensburg! Aumenta in
me il rimpianto per averla osservata con un
occhio distaccato, e non averla apprezzata per
come merita; ma la vita è una sola, e si deve
andare avanti. Addio Regensburg! Addio
Ratisbona!

Dopo quest’excursus di pianti sul latte versato,


proseguiamo lasciandoci alle spalle quel borgo
medievale da me mal valutato; la partenza è
facile, troppo facile, tanto che mi sento di
sbilanciarmi dicendo : “che triste, non c’è
neanche il gusto di sbagliare strada”.

C’è bisogno che lo dica?


Non ce n’é bisogno.

Le ultime parole famose.

Prima deviazione, primo errore.

40
Per fortuna, affidandoci al buon orientamento di
Luca, e a qualche indicazione di persone gentili,
ritroviamo il Danubio, destinazione Walhalla!

Lo vediamo in lontananza, il Walhalla. Sembra


di essere ad Atene, immaginiamo già gli dei
che, tra un tradimento e l’altro, ci mandano i
loro auguri e ci intimano di sacrificare loro
qualche povero capretto. Il Partenone di
Ratisbona ci appare in tutta la sua maestosità
non appena arriviamo ai suoi piedi. Il caldo ci
accompagna mentre saliamo ogni singolo
gradino. Questo è il momento che ricorda più
l’Egitto con le sue nude rocce e il sole che
penetra di nascosto nelle viscere dell’anima,
dilaniando la resistenza umana dei poveri
turisti.

Facciamo molte foto e poco altro in questo


magnifico luogo sacro; ripartiamo, con Silvia
che grida al mondo la sua fame e la sua scarsa
autonomia vitale. Proseguiamo dunque,
pedalando con energia, fino a che, in un posto
dimenticato da Dio, Silvia si ferma perché vuole
mangiare.

Ed ecco che inizia la parte horror della giornata.


Per chi l’ha visto, cito Le colline hanno gli occhi.
Il posto dove mangiamo è un bar isolato, in un
luogo semidesertico dove le uniche forme di
vita sono i cactus, dove ci sono scheletri di
bufali sul terreno, e dove gli uomini non mettono

41
piede dal 1931. Entriamo, affamati, e ci
troviamo un baldo giovane che non fa
assolutamente niente se non dirci di sederci
dove vogliamo.

Cast del film (in ordine di apparizione) :


• The A-Team (io, Luca, Silvia, Rosy)
• Il baldo giovane
• Due anziani signori, dal colore così bianco
che sembrano lavati con il Dash.
• L’uomo pigliamosche.

I due anziani signori cominciano a parlare in


stretto bavarese, che per intenderci sta al
tedesco come il dialetto austro-ungarico sta
all’italiano. L’uomo pigliamosche, dotato di ampi
ammortizzatori adiposi naturali, in silenzio
scruta nella nostra direzione in attesa di vedere
comparire forme animali vagamente simili a
degli insetti assassini. Il barista che, una volta
prese le ordinazioni, va avanti e indietro dalla
cucina per qualcosa come 45 minuti, ogni volta
trasformandosi inconsciamente, come il
protagonista di Psyco di Hitchcock, in
un’anziana signora che ci prepara da mangiare.

All’alba delle tre, quasi un’ora dopo le


ordinazioni, ci arriva il cibo che in realtà non è
altro che un’insieme di affettati della casa, buoni
quanto basta, ma preparabili in un tempo pari a
36 secondi. Ma è l’atmosfera ad essere

42
surreale: noi ci guardiamo e ridiamo,
inconsapevoli dei pericoli, dei discorsi ignoti che
fanno le altre tre persone presenti. Una volta
rifocillati il giusto, decidiamo di ripartire sotto il
sole sahariano, desiderando solo di incontrare
pinguini e orsi polari, volpi bianche e iceberg.

Destinazione attuale è il castello di Worth ad


Donau; anche in questo caso ci pare di vederlo
da lontano, e difatti senza particolari problemi
riusciamo a raggiungere la città. L’unico,
piccolo, inconveniente, è una salita di 6/700
metri che ricorda, per pendenza, il Mortirolo
(sarà stato il caldo, sarà stato lo zaino, ma
questo mi è venuto in mente). Io e Luca
tentiamo la scalata in bici, mentre le donne per
una volta si dimostrano più sagge e vengono su
a piedi.

Pro seniore. Questo è il primo cartello che


capisco da quando sono in Germania. Pro
seniore. “Non sarà mica una casa di riposo???”
- dico io. “Ma va!” – dicono gli altri.

E invece sì. Silvia comincia a ridere non appena


riscontriamo l’amara verità, non appena
scopriamo di aver fatto un’enorme fatica per
venire a vedere, con tutto il rispetto, un castello
adibito a casa di riposo. Incredibile. In effetti, a
posteriori, sull’unico foglio che abbiamo come
guida c’è scritto di lasciarsi alle spalle il castello,
non di visitarlo. In effetti, non aveva tutti i torti.

43
Forti di questa nuova esperienza, scendiamo
rapidamente, quando all’improvviso sentiamo il
suono delle sirene antiaereo, proprio quelle
usate durante la seconda guerra mondiale;
personalmente, l’ho trovato agghiacciante,
considerando anche il posto dove ci trovavamo.
Non abbiamo capito il perché, ma il suono
riesco ancora a sentirlo nelle mie orecchie ogni
volta che penso a quel giorno.

Wörth a.d.Donau- Straubing (ca. 25 km)

Proseguendo verso Straubing, la strada è in


mezzo al nulla, con campi brulli da ambo le
parti, e col Danubio che prosegue per conto suo
a qualche decina di metri sulla destra.
Siamo nel deserto, fa caldo, non sappiamo, se
non a spanne, quanto manca. In questo delirio,
la Provvidenza ci appare ancora sotto forma di
una donzelletta di terz’età che, in macchina, ci
ferma e ci chiede se stiamo cercando un posto
dove dormire. A Straubing, ci dice, c’è la
seconda festa più grande di Germania dopo
l’Oktoberfest (il mio amico Teka mi dice che si
chiama Gäubodenvolksfest, e non posso che
credergli), e le camere degli hotel sono tutte
occupate. Lei ci spiega che ha due camere
doppie libere e che sarebbe gentile di ospitarci.

Allora, siamo seri. Alzi la mano chi avrebbe


accettato senza problemi. Alzi la mano chi non

44
ha pensato di essere nel bel mezzo del film
Hostel dove a dei ragazzi viene offerto posto in
un ostello e poi questi ragazzi vengono
mangiati dai cannibali. Alzi la mano chi, in Italia,
avrebbe accettato. Nessuno. Perfetto.

Ma siamo in Germania, e accettiamo volentieri


e la salutiamo per il momento; da lì in poi, è un
continuo parlare e scherzare (ma non troppo)
sull’eventualità che il marito della signora ci
aspetti a casa con un coltellaccio insanguinato.
Troppi film, direte voi. Potrei darvi ragione.

Arriviamo a Straubing, e lì inizia la nostra


seconda Odissea alla ricerca della casa della
famiglia Pflugl; ricerca conclusasi solo grazie a
un tassista che, cartina alla mano, ci spiega
passo passo come arrivare. I signori Pflugl,
gentilissimi, ci accolgono con un rinfresco e
discutono con noi per un’ora, un’ora della quale
non posso dire nulla, non avendo capito UNA
parola che sia una.
Le camere sono perfette. Tutto pulito, 4
asciugamani a testa. Fantastico, sembra di
essere a casa. Il profumo di candido e pulito del
bagno è raro a sentirsi. Dopo la doverosa
sistemazione, usciamo per andare alla festa.

La festa! La ricordo per gli incontri di Boxe, per


la carne di bue (?) mangiata in grande quantità,
per il piattone di crauti, per la birra da 1 litro e
per la faccia scura della cameriera che, al

45
momento di pagare, si aspettava una mancia.
Che razza di gente! Ma come loro non fanno i
panini a colazione, noi non siamo soliti dare la
mancia. E come noi, alla fine, i panini li
abbiamo fatti lo stesso, quel giorno lì abbiamo,
alla fine, dato la mancia alla cameriera. E’
giusto così.

Il seguito è breve. Un giro al parco divertimenti,


osservando la gente in piedi sui tavoli a urlare e
cantare, una breve passeggiata, e il ritorno alla
nostra nuova casa. La stanchezza è sempre la
componente principale, e il sonno non ci
manca. Siamo abbastanza in anticipo sul
programma, e domani ce la possiamo prendere
con calma.

46
23 agosto
Un lunedì da leoni

“Non datemi l'amore, non il denaro, non il


lavoro, non la famiglia, non la giustizia, quello
che voglio è la verità!”

Straubing – Mariaposching (ca. 27 km)

Di buon ora ci alziamo, pronti ad un’altra


giornata di fatica e piacere in bicicletta; la
colazione, come tutto ciò che ci è stato dato
dalla famiglia Pflugl, è ottimo. In particolare, mi
ricordo della crema di miele, della marmellata e
dell’uovo, ma sicuramente c’era molto altro che
a causa della demenza senile non riesco
proprio a rammentare.

In breve tempo salutiamo cordialmente i nostri


angeli custodi che ci hanno così gentilmente
ospitato durante la notte, e visitiamo la città a
piedi, discutendo, tra le altre cose, di architetti e
ingegneri, di esami di stato e bla bla bla.

Personalmente non ho affatto un ricordo


piacevole di quella passeggiata mattutina;
ricordo le gambe stanche, la fatica nel
camminare; ricordo i vestiti tipici bavaresi,
qualche campanile, qualche edificio particolare,
ma non molto. Ripartiamo in fretta e pedaliamo
un po’, passando attraverso Bogen (anche se

47
ce ne accorgiamo solo qualche chilometro
dopo), una frazione minuscola di qualche città
più famosa, e andiamo avanti fino a
Mariaposching-beach, un paese composto da
una sola via e affacciato sul Danubio.

Dio volle che fosse ora di pranzo. Il sole


finalmente si concede un po’ di riposo, e la
temperatura è piacevole. Dovete sapere che a
Mariaposching vi sono due sole trattorie, a
distanza di ottanta metri scarsi l’una dall’altra;
dovete anche sapere che se è Lunedì e avete
fame, non ci sono santi che tengano perché le
trattorie sono entrambe chiuse e, benché
imploriate per qualunque schifezza abbiano in
casa, vi lasceranno in mezzo alla strada. Infine,
sappiate che in quel di Mariaposching è facile
trovare signori di mezza età che girano in
bicicletta alla ricerca di bar o trattorie aperti per
bere un boccale di birra, e che, pur di bere
quella dannata birra, bussano pesantemente
alle porte delle trattorie facendole aprire
apposta. Se Dio vuole, con voi avrete due o tre
tavolette di cioccolato, qualche caramella e due
o tre prugne vecchie di quattro giorni; non
mangerete altro che quello, e sarete grati di
avere almeno quello. Infine, se per caso vi
fermaste presso la fermata del pullman, (sì,
anche a Mariaposching sono arrivati gli
autoveicoli), potreste trovare un cartello che vi
invita, per non so che occasione, a trovarvi alle
18 e 17, non un minuto di più, non un minuto di

48
meno, pronti per andare da qualche parte. Se vi
succede tutto questo, allora vi chiamate, in
ordine alfabetico, Alessandro, Luca, Rosy e
Silvia.

Mariaposching – Hofkirchen (ca. 27 km)

La ripartenza è molto rapida e la condizione


fisica generale è decisamente buona, cosa
sorprendente visto le premesse di giornata.

Arriviamo in breve tempo a Deggendorf, tappa


finale per la giornata di oggi, stando alle
indicazioni della “guida”. Non c’è molto da dire
su questa città; io la chiamerei la “fotocopia” di
Straubing con un nome diverso. Tale opinione
sembra condivisa da tutti noi, tanto che la visita
viene condotta in tempi rapidi, e ben presto si
decide di mangiare un gelato.

Entriamo nella gelateria Venezia. La giovane


padrona, di Treviso, (eh nessuno pensava che
fosse davvero di Venezia), ci parla con
cordialità e saputi i nostri propositi ci augura
delle buone vacanze. Seduti al tavolino,
veniamo gentilmente serviti dal carrrrrro
cameriere proveniente da Sanremo (di Sotto,
aggiungo io), il quale ci garantisce che Passau,
la nostra mitica Passau, è ben vicina e
raggiungibile in un’oretta abbondante. Colpiti
dalla sua (sospetta) gentilezza, ci avviamo
convinti di arrivare a Passau.

49
Pluc.

In un piacevole percorso lungo il Danubio, io e


Luca cerchiamo di insegnare alle ragazze ad
andare senza mani, ottenendo un discreto
successo.

Pluc. Pluc.

Pluc. Pluc. Pluc.


Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani

50
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

Come avete capito, piove. Poco, leggermente,


ma piove. Tutto ciò dura la bellezza di venti
minuti scarsi, in seguito dei quali il cielo rimane
plumbeo ma clemente. Perdonatemi l’ecces-
siva importanza data a tre gocce, ma sono e
rimarranno l’unica “pioggia” che incontreremo
per tutto il viaggio; mi sembrava doveroso
render loro omaggio, affinché possano anche
loro rimanere in piccola parte sepolte nei ricordi
dei nostri quattro viaggiatori, e degli altri due
lettori.

Le gambe girano alla grande. Continuiamo di


paese in paese, di nazione in nazione;
arriviamo in Serbia, in Ucraina e torniamo
indietro. Decidiamo, infine, di fermarci a
Hofkirchen, un fantastico mirabolante eccelso
iperarciextrasuperstraordinario borgo medievale
in cui l’unica forma di vita è data dal campanile
della chiesa che fino alle ore sette di sera
continua a suonare ininterrottamente tutto il

51
tempo emettendo suoni non convenzionali e in
realtà assai gradevoli, laddove invece dalle ore
sette e zero uno di sera fino a un orario non ben
identificato “si limita” a suonare ogni quarto
d’ora, notte compresa; ivi essendo la nostra
“locanda” dietro la chiesa ed essendo
Hofkirchen un paese di 12 metri quadrati, le
campane si sentono benissimo e conciliano in
maniera particolare l’insonnia. Detto questo a
Hofkirchen si sta benissimo ci vivono ben 32
persone e 4 turisti devo dire che mi sono
innamorato a prima vista di questa megalopoli e
soprattutto della nostra locanda del taverniere
dalla pancia piena e delle camere che odorano
di vita vissuta e del legno che copre le pareti e
del cioccolatino sopra il cuscino oh che colpo
da maestro.
Doccia cena e bisteccona con patate
condiscono la nostra serata trascorsa a parlare
di film di vegetariani e di cola mix. Dopo la
cena, allo stesso modo, segue la passeggiata
sul Danubio dove la gente e in particolare il
sottoscritto si divertono a dare definizioni
auliche e raffinate su cose oggetti e persone
conosciute.
Sonno sonno sonno e forse riuscirò a
recuperare le virgole i punti e i punti e virgola
visto che evidentemente le ho perse durante il
viaggio.

52
24 agosto
Passavia e il complesso di
Edipo

“Nella vita quello che conta non è essere forti


ma sentirsi forti, e se vuoi qualcosa veramente,
datti da fare e prendila …”

Hofkirchen – Passau (ca. 35 km)

Dopo una esauriente e interessante (per chi l’ha


capita!) spiegazione del vecchio taverniere su
vita morte e miracoli del Danubio, sulla fontana
dei quattro fiumi a Roma, su Piazza Navona, il
Bernini e qualcos’altro, partiamo senza
particolari problemi lasciandoci alle spalle il
fantastico mirabolante eccelso
iperarciextrasuperstraordinario borgo medievale
di Hofkirchen. Passau è a trentacinque
chilometri, ben lontano dal punto indicatoci dal
nostro “caro” cameriere di Sanremo bassa.
Pedaliamo in mezzo a sentieri un po’ fangosi
per via del diluvio universale avvenuto nella
notte, ma inebriati e allo stesso tempo
alimentati dalla frescura e dal profumo presenti
nell’aria; Passau, detta Passavia in italico
linguaggio, ci viene incontro già in mattinata,
con la sua aria gotico-romanico-neoclassico-
preistoricheggiante, e con la caratteristica, per
me vicentino doc quando serve, di essere

53
gemellata con il mitico comune di Montecchio
Maggiore in Vicenza.

Passau. Il nostro traguardo. Ci rendiamo conto,


e mi rendo conto anch’io scrivendo questo
diario, che la nostra missione è compiuta.
Siamo arrivati vivi, integri e in salute alla fine del
nostro percorso. Non è ancora tempo di bilanci,
ma si può già dire che l’appetito vien
mangiando, e che nel corso dei giorni abbiamo
notato un netto miglioramento sia nell’umore
che nella resistenza alla fatica. Non è il
momento di fare i romantici, ma è questo il bello
della bici.

Vogliamo fare i romantici? Sì, dai. Facciamolo.


Ci pensa Pascoli, quello dei rondinini piccolini
piccolini, a farlo per me :

La bicicletta

I
Mi parve d'udir nella siepe
la sveglia d'un querulo implume.
Un attimo . . .Intesi lo strepere
cupo del fiume.
Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule messi.
Un battito . . . Vidi un filare
di neri cipressi.
Mi parve di fendere il pianto
d'un lungo corteo di dolore.

54
Un palpito . . . M'erano accanto
le nozze e l'amore.
dlin . . . dlin . . .

II
Ancora echeggiavano i gridi
dell'innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l'umida zolla.
Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.
Io dissi un'alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sè.
dlin . . . dlin . . .

III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io ?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è che un addio!
Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo . . . Già cala
la notte: io ritorno.
La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va. . .

55
dlin... dlin...

Giusto perché anch’io, leggendo la poesia, non


ho assolutamente capito cosa c’entri con la
bicicletta, inserisco un excursus di critica
letteraria :

[ … Ed ecco allora, come ha notato uno dei maggiori


critici pascoliani contemporanei, Giuseppe Nava,
che “il veloce trascorrere della bicicletta”
rappresenta “per traslato il fuggire della vita”;
diventandone il simbolo. E inoltre, nota lo stesso
Nava “l’illusione ottica del paesaggio in movimento
rispetto all’osservatore, consente uno scambio tra la
corsa del velocipede ed il moto stesso della terra”.
Eppure queste correlazioni, che potremmo definire
cosmiche, tra il piccolo movimento della bicicletta e il
moto universale del pianeta, sono rese dal Pascoli
attraverso lievi quadretti di vita quotidiana e il sottile
suono del campanello. ]

Ecco, asciugate le lacrime possiamo procedere


con il racconto di Passau; arrivati all’info-Point,
troviamo una camerata da quattro posti sopra
una panetteria. Dopo aver parcheggiato le bici
con difficoltà, andiamo quasi subito a mangiare
in un self service vicino alla stazione, dove
prendiamo un pesce dal nome impronunciabile
ma che, una volta mangiato, si fa apprezzare.
Onde evitare l’abbiocco da relax post pranzo,
sotto insistenza mia e della Rosy andiamo tutti
a camminare per visitare questa tenera

56
cittadina che sembra uscita da un racconto di
Geoffrey Chaucer.

A dire il vero, non penso che vogliate leggere


una guida turistica di Passau, anche perché in
questo caso questo diario non è per niente
indicato. Bisogna dire, però, che in questa
cittadina c’è molto da vedere, a partire dalla
chiesa principale e dall’organo più grande della
cristianità (anche se, a dire il vero, me lo
aspettavo ben più grande); ma la parte migliore
di Passavia è la città in sé, con la sua
atmosfera di città vissuta, antica, con le sue
viuzze (da segnalare la via degli artisti) strette e
in pendenza, con i ciottoli che costituiscono il
terreno del centro storico. Un suggerimento?
Non visitate il museo di arte moderna, che è un
modo nascosto per indicare un’accozzaglia,
artistica quanto volete, di fotografie sulla New
York degli anni ’40 e ‘50 (perfetto, se siete patiti
della Grande Mela di quegli anni, questo è il
vostro paradiso), e di collage artistico-poetici di
Henri Matisse che, personalmente, mi hanno
lasciato un po’ perplesso ma che a molti altri
potrebbe piacere.
Sono le ore 16.02. Siamo davanti al Rathaus, il
municipio, con l’intenzione di chiedere qualcosa
da portare a Montecchio Maggiore come
“segno” del gemellaggio che unisce le due città;
come ormai avete capito, osservando l’orario,
non ci siamo riusciti. TUTTO, ma proprio
TUTTO, chiudeva alle 16:00 e non abbiamo

57
trovato neppure un addetto delle pulizie. Beh,
forse è ancora meglio che in Italia, dove cinque
minuti prima della chiusura la gente è già via;
però, c’è da dire, nel nostro Belpaese gli uffici,
forse, chiudono un’ora dopo.

Rimasti a bocca asciutta, proseguiamo il nostro


viaggio per Passavia e ci rechiamo dall’altra
parte del ponte. Neanche a dirlo, lo splendido
castello di Passau lo troviamo chiuso, perché
sono le 16:07 e OVVIAMENTE chiude alle 16.
A questo punto, dopo aver ammirato la città
dall’alto, ci chiediamo se non ci convenga
cenare a quest’ora per evitare di rimanere a
stomaco vuoto. Tuttavia, il buon senso prevale
e nel tornare in camera controlliamo gli orari di
chiusura dei ristoranti e dei fast-food; ci sono
voluti 6 giorni per capirlo, ma ce l’abbiamo fatta!

Prima di tutto ciò, stavo quasi dimenticando la


caratteristica fondamentale di Passau, chiamata
la città dei tre fiumi; come vi ho appena detto, ci
sono tre fiumi che si incontrano e
contribuiscono a formare il Danubio. Il primo è il
Danubio itself, il secondo è l’Inn (Inns-Bruck) e
il terzo è così fondamentale per la storia
dell’umanità che mi sono permesso di
dimenticarne il nome.

Dopo una doccia ristoratrice, ci mettiamo a


preparare i letti, il che significa mettere
coprimaterasso, lenzuolo, copri-coperta e

58
federe; Silvia comincia a sfidarci dicendo che
“noi ingegneri” non siamo capaci di fare i letti.
Ma come ogni (quasi) buon ingegnere che si
rispetti, può imparare a farlo semplicemente
osservando il meccanismo; e così feci,
imparando per osmosi e arrivando alla
conclusione ben prima della suddetta Sister,
con Luca che nel frattempo stava già dormendo
sul suo nuovo letto ben preparato. La Rosy
assiste tranquilla alla scena, preparando con
rara abilità il suo letto.

Nel tardissimo pomeriggio (che per intenderci è


notte inoltrata per i bavaresi) ci avviamo per
mangiare in un piccolo locale semi-fast-food
dove prendiamo il solito wurstel+patate+insala-
ta+pane+birra+cola-mix. La cena trascorre
serenamente.

Nonostante aver pedalato per pochissimo


tempo, anche oggi siamo molto stanchi;
chiudiamo la serata andando a guardare gli
orari dei treni per il giorno successivo. Ecco:
l’orario dei treni è il miglior modo per capire
quanto i tedeschi siano MALATI di mente. Fatta
breve, esiste un biglietto particolare (il
BayernTicket) che ci permette di girare in 4 con
le bici per tutta la Baviera ad un prezzo più che
onesto; il problema è che questo biglietto vale
dalle ore 9 alle 3 del mattino successivo.
Ovviamente, i treni non girano dopo
mezzanotte, e quelle 3 ore non servono a

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nessuno; i nostri 4 eroi, però necessitano di un
treno in grado di portare le biciclette, e questo
treno è alle 8.25; ci sono BEN 35 minuti
scoperti. Se, in un paese civile, tutto ciò si
risolve andando direttamente dal controllore del
treno e spiegando la situazione, in un paese da
malati di mente tutto ciò si risolve con un
casino, perché i controllori passano
sicuramente e, in secondo luogo, sono
INFLESSIBILI. Onde evitare una multa
stratosferica, ipotizziamo di nuotare attraverso il
Danubio, di prendere l’aereo, di andare a piedi
e infine di prendere le biciclette per fare quel
tratto di strada che ci separa dalla prima
stazione “successiva alle ore 9”. Devo
confessare di non essere riuscito a descrivere
al meglio la nostra discussione a riguardo.
C’era Silvia che insisteva sulla multa assicurata,
c’era Luca che non sapeva cosa dire, c’era la
Rosy che insisteva nel dire che, avendo parlato
con un’operatrice che aveva dato il benestare al
nostro viaggio, tutto il nostro discorso non
aveva senso. Io, dal canto mio, asserivo che i
tedeschi fossero malati di mente, a buon diritto
oserei dire, ma nonostante tutto non contribuivo
certo a risolvere il problema. E così, dopo aver
discusso per qualche tempo, andiamo a letto
con l’idea di decidere l’indomani ed,
eventualmente, di fare l’ultima sgambata in
bicicletta.

60
25 agosto
Train de vie

“Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di


energia che non trovava sfogo in una vita
tranquilla.”

Oggi il programma prevede una visita a


Norimberga e il ritorno a Eichstätt; ma la spada
di Damocle del treno e del sempre più probabile
ritorno in sella per raggiungere la prima
stazione dopo l’orario del Bayernticket, altera e
rende difficoltosa la nottata dei quattro ciclisti.

La sveglia è fissata alle 6:30. Fervono i


preparativi, gli zaini vengono rapidamente
riempiti fino all’orlo; le ragazze, uniche portatrici
sane del tedesco, si recano in stazione per
ricevere le ultime informazioni. Tornate, ci
avvisano della perentoria impossibilità di
prendere il treno prima delle 9 e pertanto ci
condannano ad usare le biciclette come già
detto. Immaginate voi di sentire di colpo la
notizia di dover fare un numero imprecisato di
chilometri alla ricerca di una città di cui si
conosce solo il nome, sperando di trovare la
stazione prima che il treno passi; immaginate la
frenesia dei preparativi, la rapidità con cui
abbiamo trangugiato la colazione (tra parentesi:
10 krapfen per 3,50 euro), per poi sapere che
era uno scherzo.

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Sì, uno scherzo.

Nessuna parola può descrivere la mia faccia,


né quella di Luca, ad apprendere questa
notizia, noi che mentalmente eravamo già in
bici, preoccupati per l’incolumità propria ed altri,
sperando di trovare il treno ; per contrasto,
immaginate la serenità con cui le ragazzacce
vivevano quei momenti, quegli istanti così
divertenti, nel vederci soffrire.

Lo scherzo fu molto apprezzato. A posteriori,


però. La prima cosa che ci è venuta in mente,
per una certa manifestazione d’orgoglio
maschile, è la V per Vendetta. Già mi
immaginavo con la maschera del giustiziere a
bruciare il Parlamento; già mi immaginavo a
elucubrare con Luca lo scherzo perfetto.

Nel frattempo, le 8 e 25 arrivavano e noi, con


tempismo perfetto, prendemmo il treno dove,
manco a dirlo, sarebbero salite 2.358.471
persone solo nel nostro vagone. Questa prima
parte di viaggio dunque, è trascorsa nel pieno
stile “sardine compresse”, con le ragazze che
parlavano con una signora di medio-alta età,
appassionata di Palermo e delle sue catacombe
(ovviamente, questo lo so per sentito dire, non
avendo capito un’acca del loro discorso).

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Per scendere con le bici, abbiamo dovuto far
spostare 1.833.259 persone, impiegandoci
all’incirca 287,6 secondi, tanto che, alla fine, il
macchinista dall’altoparlante di ha chiesto se
eravamo pronti.

Il secondo treno che prendiamo scorre


tranquillo e senza particolari problemi arriviamo
alla stazione di Norimberga, dove
parcheggiamo i bagagli. La visita della città, in
bici, è tranquilla e deliziosa; Norimberga si
presta ad essere, almeno da me, considerata
come la miglior città visitata dall’inizio della
vacanza (dopo Hofkirchen ovviamente), con la
sua storia antichissima, il suo centro storico
medievaleggiante e le sue chiese maestose.
Tra i luoghi da segnalare vi è il castello e
soprattutto l’Historische Bratwurstküche,ossia il
luogo più antico dove fanno i Bratwurstl di
Norimberga, ossia i Wurstel piccoli, stretti e
speziati che sono il piatto di rappresentanza di
questa città nel mondo.

Davvero, senza pretese di fare da guida


turistica, Norimberga merita ben più di una
visita di un giorno.

Una volta assolte le necessità alimentari,


ripartiamo per la seconda parte della visita alla
città, salvo poi ripartire, alle 16 circa, verso
Eichstätt; il tempo, per fortuna, è stato
clemente: nuvoloni carichi di pioggia hanno

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solamente svolto la funzione di eliminare il
caldo in eccesso, decidendo di risparmiarci una
doccia non richiesta. Anche questo viaggio
prosegue tranquillo, tra i miei tentativi di
imparare il tedesco e poco altro.

Arrivati a “casa”, ci aspetta una cena in un


localino tipico in compagnia di Cinzia, una
ragazza simpaticissima tutta pepe (si può dire?
È inteso positivamente!) che è anche lei qui a
fare l’Erasmus. La cena è deliziosa, con una
bistecca enorme ricoperta di marmellata e
gorgonzola (non provo neanche a ricordare il
nome), e con un’ottima compagnia. La
passeggiata serale ci fa scoprire l’altra parte di
Eichstätt, quella in cui abita Cinzia. Dopo tanti
bla bla, e altrettanti bla bla, torniamo e
completiamo gli ultimi preparativi per il ritorno a
casa.

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26 agosto
Danubio blu e McDonald

“Due anni lui gira per il mondo: niente telefono,


niente piscina, niente cani e gatti, niente
sigarette. Libertà estrema, un estremista, un
viaggiatore esteta che ha per casa la strada.
Così ora, dopo due anni di cammino arriva
l'ultima e più grande avventura. L'apogeo della
battaglia per uccidere il falso essere interiore,
suggella vittoriosamente la rivoluzione
spirituale. Per non essere più avvelenato dalla
civiltà lui fugge, cammina solo sulla terra per
perdersi nella natura selvaggia.”

Non abbiamo molta fretta; o meglio, ce l’a-


vremmo ma non ce ne curiamo. Siamo arrivati
in fondo al nostro viaggio by bike e ci ritroviamo
più vecchi di una settimana, ma molto più forti
sia fisicamente che mentalmente. Il viaggio di
ritorno scorre con tranquillità, con la consegna
delle bici, con una tappa al McDonald per
pranzo e con il cambio alla guida tra me e Luca
poco prima del passo del San Bernardino. La
stanchezza è generale, e il nervosismo
conseguente dev’essere giustificato anche in
quest’ottica.

Non c’è il tempo, ancora, perché ciascuno


rifletta sulla vacanza, su come è andata, su
cosa è piaciuto o meno; ora tutti, o quasi,

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torniamo alle nostre attività. Solo i giorni che
passano ci daranno la possibilità di analizzare,
di riflettere, di pensare a tutto ciò. Ma, forse,
non è nemmeno necessario: forse è proprio la
spontaneità di tutta la settimana, il vivere alla
giornata, in balìa degli eventi, a costituire la
bellezza di questo viaggio. Non so. Però so che
un’esperienza come questa, per mille motivi,
rimarrà indimenticabile.

Allora. Eccoci qua.

Spero di aver rapidamente e un po’


argutamente descritto la bellezza della nostra
vacanza, cercando di rendere un po’ il senso
della stanchezza che ogni sera si appropriava
delle nostre anime, ma che in fin dei conti
rappresentava la nostra vittoria. Sarete voi a
giudicare se io sia stato degno o meno.

Questa è la vera fine della storia.

“La quale, se non v'è dispiaciuta affatto,


vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un
pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece
fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non
s'è fatto apposta.“
[Adattato da “Agosto sul Nilo”, A.Piana]

Ancora una volta, l’autocitazione è il miglior modo per


esprimere lo “splendore” della propria arte. Spero mi
perdoniate.

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Pensieri vari,
eventuali,
parziali, casuali,
attitudinali,
escatologici,
astrofisici,
filosofici,
ergonomici e
anche un po’
catartici

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Le frasi che introducono ogni singolo giorno
sono tratte dal film Into the Wild, da cui è tratto,
evidentemente, anche il titolo. Ho scelto questo
film perché nel mio mondo immaginario
rappresenta al meglio lo spirito con cui abbiamo
(almeno, con cui ho) affrontato la vacanza di cui
sopra. La natura, così bistrattata al giorno
d’oggi, è una componente fondamentale della
nostra vita; il fatto di poter riscoprire un rapporto
genuino con lei, per me è stato il punto basilare
che ha dato un senso a questa vacanza che, di
per sé, è molto faticosa. La soddisfazione che
personalmente ho provato in questa
“riscoperta”, unita alla capacità di unione e di
cementificazione del gruppo data dalla
sofferenza e condivisione quotidiana delle
proprie sensazioni, hanno ampiamente ripagato
qualunque sforzo.

Un altro aspetto, che non vorrei aver ignorato


nel diario, è il rapporto con la bicicletta; per me,
come penso sia per Luca, la bicicletta è un
amico, da accarezzare, da coccolare: una
compagna di viaggio che non ti tradisce, che ti
segue silenziosa nei tuoi viaggi. Questa visione
romantica del bicicletta, un po’ mi è caduta nel
vedere i “catorci” che ci sono stati dati; forse,
però, siamo abituati troppo bene, e in fin dei
conti io mi sono minimamente affezionato
anche al mezzo che mi ha accompagnato in
questo viaggio.

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Poiché la mia ispirazione poetica è giunta al
termine da parecchio tempo, mi riservo di
condividere un ultimo pensiero sulla bicicletta,
opera di un tal Alfredo Oriani :

Il piacere della bicicletta


di Alfredo Oriani
"Il piacere della bicicletta è quello stesso della
libertà, forse meglio di una liberazione
andarsene ovunque, ad ogni momento,
arrestandosi alla prima velleità di un capriccio,
senza preoccupazioni come per un cavallo,
senza servitù come in treno. La bicicletta siamo
ancora noi , che vinciamo lo spazio e il tempo;
stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un
giuoco colla tranquilla sicurezza di vincere;
siamo soli senza nemmeno il contatto colla
terra, che le nostre ruote sfiorano appena, quasi
in balia del vento, contro il quale lottiamo come
un uccello.
Non è il viaggio o la sua economia nel
compierlo che ci soddisfa, ma la facoltà
appunto di interromperlo e di mutarlo, quella
poesia istintiva di una improvvisazione
spensierata, mentre una forza orgogliosa ci
gonfia il cuore di sentirci così liberi. Domani la
carrozzella automobile ci permetterà viaggi più
rapidi e più lunghi, ma non saremo più né così
liberi né così soli: la carrozzella non potrà
identificarsi con noi come la bicicletta, non
saranno le nostre gambe che muovono gli
stantuffi, non sarà il nostro soffio che la spinge

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nelle salite. Seduti come in un treno non ci
tornerà più l’illusione di essere giovani,
correndo coll’impeto stesso della giovinezza;
non avremo trionfato del vento, non ci saremo
ritemprati nella fatica al sol; ma la nuova
macchina c’imporrà le preoccupazioni dei propri
guasti non riparabili al momento, c’impedirà di
sognare, perché non potremo più guidarla
istintivamente, e ci darà il senso doloroso del
limite, appunto perché separata da noi, sospinta
da una forza che non può fondersi colla nostra".

Non potrei essere più d’accordo.

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