latino parlato
forme tipiche del latino parlato = volgarismi
dove: iscrizioni murarie graffite/dipinte, glossari, testimonianze di scriventi popolari, opere di autori che
tentano di riprodurre il volgare, letteratura d’ispirazione cristiana, trattati tecnici (autori si preoccupano di
dominare la materia più che la lingua e lo stile), opere di grammatici e insegnanti di latino
[APPENDIX PROBI: maestro di scuola del III sec. d.C.; lista di parole divisa in due serie: nella prima la
norma del latino scritto, nella seconda la forma errata. La parola italiana è più vicina alla forma errata!*]
latino volgare: latino parlato in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni circostanza e da ogni gruppo sociale della
latinità. Da esso nascono le varie lingue d’Europa.
Perché il latino volgare si è affermato sul latino classico?
1. Perdita di potere dell’aristocrazia (conseguente all’instaurazione dell’impero): decadde anche il ceto
che lo utilizzava (intellettuali)
2. Diffusione del Cristianesimo: la lingua delle prime comunità cristiane era il greco (quindi in latino:
molti grecismi), i Vangeli vennero tradotti in un linguaggio più vicino ai ceti bassi
3. Invasioni barbariche (dal IV sec. d.C.): il latino classico si è comunque mantenuto grazie ai monasteri
medievali (trascrizioni)
processo di trasformazione dal latino ai vari volgari si concluse nell’VIII secolo d.C.
CAPITOLO 2
latino: aveva 10 vocali, caratterizzate dalla quantità della pronuncia, la quantità vocalica aveva valore
distintivo. Da un certo momento in avanti, vocali lunghe = pronunciate chiuse, vocali brevi = pronunciate
aperte (quantità > qualità): nell’italiano rimane attiva la differenza chiuse/aperte
vocalismo tonico latino volgare:
ī > i ĭ/ē > e ě > ɛ ă/ā > a ŏ > ɔ ō/ŭ > o ū > u
vocalismo tonico italiano:
ī > i ĭ/ē > e ě > ɛ/jɛ ă/ā > a ŏ > ɔ/wɔ ō/ŭ > o ū > u (dittongamento toscano: sillaba libera)
vocalismo atono del latino volgare e dell’italiano:
ī > i ĭ/ē/ě > e ă/ā > a ŏ/ō/ŭ > o ū > u
• monottongamento di AU, AE, OE: dittonghi pronunciati come un’unica vocale, che essendo stata
lunga, ha timbro chiuso (ma non sempre)
AU > ō (chiusa) solamente in poche parole: CAUDA > coda, FAUCEM > foce
> [ɔ] (aperta) nel resto dei casi: AURUM > òro, CAUSA > còsa
AE > ē (chiusa, ma pronunciata da subito aperta, infatti nel passaggio in italiano subisce lo stesso
trattamento di ě: dittongamento toscano): LAETUM > lièto
OE > [e] (chiusa): POENA > pena
• chiusura delle vocali toniche in iato: fenomeno che riguarda [ɛ], [e], [ɔ], [o] toniche; queste vocali
tendono a chiudersi sempre di più progressivamente
[ɛ], [e] / [ɔ], [o]/ _ V (non [i]) > [i] / [u] DĚUM > dieo > déo > dio
• chiusura della [e] protonica in i (< ě/ē/ĭ, vocalismo atono): il processo non è stato né uniforme né
generale, in alcune parole il passaggio è avvenuto prima che in altre. In alcune parole si verificò
questo mutamento, ma la i venne poi ripristinata in e per un processo di rilatinizzazione
(DELICATUM > dilicato > delicato)
DĚCĚMBREM > dicembre
NB: il fenomeno non si produce:
1. nelle parole dotte (memoria)
2. per influsso di altre con stessa radice (in cui non avviene): FIDELEM > (in teoria) fedele >
fidele, (in pratica, per influsso della parola base fede) > fedele
3. per analogia in alcune coniugazioni verbali
protonia sintattica [e] (< ē/ĭ): il fenomeno è stato invece generale nei monosillabi, nei quali
sintatticamente la [e] si trova in una condizione di protonia, perché queste parole non si utilizzavano
mai da sole, ma sempre accompagnate; questo tipo di protonia è quello che riguarda una chiusura
vocalica all’interno di frase. DE > de > di, ME > me > mi
• chiusura della [o] protonica in u (< ō/ŏ/ŭ, vocalismo atono): questo fenomeno spiega l’alternanza
vocalica di o/u in alcune coniugazioni verbali (odo/udiamo), dove risulta protonica vi è chiusura. Non
è un fenomeno sistematico, ancora meno del fenomeno precedente.
• Chiusura della [e] postonica in i (< solo da ĭ, non da ě; potrebbe derivare anche da ē, ma se fosse
nella penultima sillaba per la legge della penultima sarebbe tonica!): non appartiene mai alla sillaba
finale di una parola. Non è un fenomeno sistematico, ma solamente una tendenza. FACILEM > facele
> facile
• Passaggio da ar intertonico e protonico a er: fenomeno del fiorentino antico e si è indebolito nel
corso del tempo, si è verificato nelle parole:
1. uscita -erìa (frutteria)
2. suffisso -erello (acquerello)
3. suffisso -ereccio (festereccio)
4. forme del futuro e del condizionale dei verbi della I coniugazione (canterò/canterei)
✗ palatalizzazione dell’occlusiva velare ([g], [k]): in origine la vocale che seguiva queste occlusive non
incideva nella loro pronuncia, nel latino tardo invece:
[k], [g] > [tʃ], [dʒ] / _ e, i sia in posizione iniziale, sia all’interno di parola, inoltre la [g]:
[g] > a. intensificata (LEGIT > legge) b. dileguata (SAGITTAM > saetta)
✗ labiovelari [kw], [gw]: vi sono le labiovelari primarie (esistenti già in latino) e quelle secondarie
(prodotte dal passaggio lat > ita).
[gw] > tutti i contesti: conservata, non esiste in posizione iniziale, possibile sonorizzazione di [kw]
[kw] (secondaria) > tutti i contesti: conservata (quello, qui)
[kw] (primaria) > / _ A posizione iniziale: conservata (QUATTUOR > quattro)
posizione intervocalica: conservata + rafforzamento [k] (AQUA > acqua)
/ _ V tutti i contesti > [k]
✗ spirantizzazione della labiale sonora intervocalica [b]: fenomeno che ha origine molto antiche,
passando da uno stadio intermedio presente in altre lingue romanze. È un progressivo indebolimento
della consonante originaria. È presente nel’imperfetto dei verbi della II e III coniugazione (VIDEBAT
> vedeva): di fianco a queste vi è un’altra forma (videa) in cui la [v] si è dileguata.
[b] > [β] > [v] FABULA > favola
✗ sonorizzazione delle consonanti [p], [t], [k], [f]: processo di indebolimento articolatorio per il quale
una consonante sorda si trasforma in una sonora. I dialetti del settentrione hanno questo fenomeno,
mentre quelli del meridione no, la Toscana si colloca in mezzo a queste due forme: vi sono zone in cui
il fenomeno è generale e altre in cui non si produce (sonorizzazione di [k]: metà degli esempi, di [p] e
[t] poco meno della metà) perché in Toscana il fenomeno non è generale? Diverse teorie, quella più
probabile: favorirono il fenomeno i commercianti che dal settentrione si spostarono in Toscana e lì
questa pronuncia fu sentita più elegante.
[p], [t], [k](seguita da a, o, u) > [b], [d], [g] / V_V
[f] > [v] questo suono in posizione intervocalica non esisteva in latino, lo riscontriamo nei prestiti dal
greco
fenomeni generali
discrezione dell’articolo (aferesi): sillaba iniziale di una parola interpretata come articolo ed eliminata dalla
parola stessa. lasagna > la sagna
concrezione dell’articolo: articolo interpretato come parte del nome. l’astrico > lastrico
raddoppiamento fotosintattico: rientra nella fonetica sintattica, è un’assimilazione regressiva all’interno della
frase. Sono pronunciate unite una parola ternimante per consonante e unasuccessiva iniziante per consonante.
È un fenomeno tipi co dell’Italia centromeridionale. Succede in questi contesti:
1. dopo i monosillabi forti (dotati di accento): es. a, che, me, qua, tre
2. dopo le parole tronche: es. virtù
3. dopo quattro monosillabi piani: come, dove, sopra, qualche
singolare:
Declinazione Può derivare da
I Nom, acc, voc, abl Non consente di stabilirlo
II Nom, acc, abl Non consente di stabilirlo
III masch/femm: acc, abl Non dal nom (salus)
neutro: accusativo non dall’abl (flumine)
plurale:
Uscita italiano (sing/plur) Derivano dal latino
Maschili: -o/ -i Nom plur II declinazione
Femminili: -a/ -e Acc plur I declinazione
masch/femm: -e/ -i Acc plur III declinazione
formazione degli articoli: vi fu una forma intermedia chiamata articoloide (gli articoli determinativi
venivano usati alcune volte come articoli, ma non lo erano propriamente; esempi in Plauto e Cicerone) di cui
gli esempi più importanti si trovano in una versione del Vecchio e Nuovo Testamento l’Itala: venne tradotta
dal greco, che possedeva gli articoli, e per restarne il più fedele possibile si utilizzò talvolta ille per tradurre
l’articolo determinativo greco. Divenne sempre più frequente l’uso e progressivamente divenne un vero e
proprio articolo.
• UNUM > uno
• (IL)LU(M) > lo : inizialmente esisteva solo questo, poi: C _ > lo / V _ > l, si creò una vocale
d’appoggio (in Toscana il/el (che per protonia sintattica > il)
norma di Gröber: lo a inizio frase e dopo consonante, il dopo vocale
(IL)LI > li : /_ V > lj > gli
(IL)LA(M) > la
Gli scrittori latini privilegiano la sequenza SOV, ma in realtà non è la posizione delle parole a dar loro valore
sintattico nella frase; nel latino tardo si afferma la sequenza SVO, che rimane poi in italiano
enclisi del pronome atono: alcune forme del pronome personale non hanno un accento proprio, ma si
appoggiano nella pronuncia a un’altra parola; quando si appoggiano al verbo che segue si dice pròclisi
(pronomi proclitici es. mi dìce), se si appoggiano al verbo che precede si dice ènclisi (pronomi enclitici es.
aiùtami)
legge Tobler-Mussafia, enclisi obbligatoria (italiano antico):
a. dopo una pausa, all’inizio del periodo
b. dopo la congiunzione e
c. dopo la congiunzione ma
d. all’inizio di una proposizione principale successiva a una subordinata
l’enclisi obbligatoria ad un certo punto decadde (Boccaccio: già nella sua opera si nota che talvolta non sono
rispettate alcune norme). Oggi rimane solo in formule clistallizzate (dicesi)