limiti
Alessandra Sestini
9 ottobre 2017
1 Introduzione
In queste note si indicherà con Ω un dominio in IRd (aperto, non vuoto) che
assumeremo limitato e connesso, mentre si indicherà con ∂Ω la sua frontiera.
Un generico problema differenziale al contorno può allora essere formalmente
formulato come segue:
data la funzione f : Ω → IR, trovare u : Ω → IR tale che
Lu = f in Ω + boundary conditions su ∂Ω ,
dove L indica un operatore differenziale e le condizioni al contorno spesso
sono di Dirichlet (u assegnata su ∂Ω) o di Neumann (derivata normale di u
assegnata su ∂Ω).
I metodi numerici si pongono l’obiettivo di approssimare la soluzione u del
problema al contorno dato (che naturalmente deve essere ben posto) con una
sua approssimazione opportunamente (univocamente) definita e costruibile
con l’ausilio di un elaboratore elettronico. A questo scopo tutti utilizzano
una discretizzazione del problema differenziale che risulta definibile dopo che
è stata fissata una mesh, dove, genericamente, possiamo pensare ad una mesh
come un ricoprimento di Ω̄ (o anche di una sua porzione o estensione in certi
casi) fatto mediante politopi d–dimensionali (vedi sotto per , d = 1, 2). In
genere ad ogni mesh si associa un parametro di finezza che si indica con
h e che rappresenta il diametro massimo dei politopi che compongono la
mesh. Si noti che una condizione necessaria per l’utilizzo di un qualsiasi
metodo numerico è che esso risulti convergente, ossia che l’approssimazione
1
da esso definita, se calcolata in aritmetica esatta, tenda alla soluzione esatta
u quando h tende a zero.
Alcuni metodi numerici si pongono l’obiettivo di approssimare u solo sui
vertici della mesh mentre altri (per esempio il metodo degli elementi finiti) ne
costruiscono un’approssimazione uh in spazi funzionali a dimensione finita la
cui definizione dipende anche dalla mesh scelta. I metodi alle differenze finite
appartengono al primo gruppo e quindi costruiscono solo le approssimazioni
ui , i = 1, . . . , Nv (Nv = # vertici della mesh) di u(Vi ) (dove Vi indica l’i–esimo
vertice della mesh). Più precisamente essi definiscono il problema discreto
utilizzando delle approssimazioni mediante differenze finite delle derivate di u
che compaiono in L e eventualmente nelle condizioni al bordo. Considerando
qui solo problemi al contorno, tutti i valori ui , i = 1, . . . , Nv saranno calcolati
simultaneamente risolvendo un sistema lineare o nonlineare (a seconda se il
problema differenziale è lineare o no).
2 Problemi 1D
Quando Ω è un intervallo I limitato della retta reale parleremo di problemi
differenziali ai limiti.
−u00 + σu = f in I , (1)
combinato con condizioni assegnate agli estremi, dove f e σ sono due funzioni
assegnate, con σ ≥ 0 . In particolare le condizioni agli estremi possono essere
di Dirichlet,
u(0) = g0 , u(1) = g1 , (2)
di Neumann
u0 (0) = g00 , u0 (1) = g10 . (3)
o miste,
u(0) = g0 , u0 (1) = g10 . (4)
2
Si noti che le ipotesi σ ≥ 0 e σ, f ∈ C 0 [0 , 1] , garantiscono l’unicità della
soluzione purchè si evitino le condizioni di Neumann quando σ ≡ 0 . Facen-
do esplicitamente riferimento al problema di Dirichlet, possiamo infatti far
vedere che, se z è tale che −z 00 + σz = 0 e z(0) = z(1) = 0 , allora risulta
z ≡ 0 . Questo si ottiene subito moltiplicando ambo i membri dell’equazione
differenziale per z stesso e integrando in I . Infatti, integrando per parti, si
ottiene che Z 1 Z 1
0 2
(z ) (x)dx + σ(x) z 2 (x)dx = 0 ,
0 0
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2.2 Metodo alle differenze finite
Definiamo uno schema alle differenze finite innanzi tutto fissando una mesh
su I, ossia un ricoprimento di [0 , 1] mediante i segmenti definiti da una
partizione 0 = x0 < · · · < xN = 1. Per semplicità supponiamo che tale
partizione sia uniforme, ossia xj = jh, j = 0, . . . , N, dove h = 1/N. Osser-
viamo che, supponendo che u ∈ C 4 [0 , 1], dagli sviluppi di Taylor in xj di
u(xj±1 ) = u(xj ± h) fino al terzo ordine, si ottiene che
u(xj+1 ) − 2u(xj ) + u(xj−1 ) 1 (4)
u00 (xj ) = − u (ξj )h2 ,
h2 12
dove ξj è un punto opportuno in (xj−1 , xj+1 ). Quindi, considerando il proble-
ma modello con condizoni di Dirichlet, per j = 1, . . . , N − 1, si può scrivere
che
−u(xj+1 ) + 2u(xj ) − u(xj−1 ) 1 (4)
2
+ u (ξj )h2 + σ(xj )u(xj ) = f (xj ) .
h 12
1 (4)
Se introduciamo la notazione τj = 12
u (ξj )h2 (errore di troncamento
locale) e poniamo
Ah u = bh + τ h , (5)
dove Ah = h12 tridiag(−1, 2, −1) + diag(σ1 , · · · , σN −1 ) e σj = σ(xj ). Il metodo
alle differenze finite consiste allora nel determinare un’approssimazione uh di
u andando a risolvere il sistema lineare
Ah uh = bh . (6)
Osserviamo che uh risulta ben definito in quanto Ah è una matrice non sin-
golare, essendo sdp. Infatti la sua simmetria è evidente e si può verificare
che, ∀y ∈ IRN −1 non nullo risulta yT Ah y > 0. Infatti si ha che
N
X −1 N
X −1
T
y Ah y = σj yj2 + [y12 + 2
yN −1 + (yj − yj−1 )2 ]/h2 .
j=1 j=2
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Risultando che τ h tende a zero quando h tende a zero, il metodo dicesi
consistente. In particolare nel nostro caso risulta τ h = O(h2 ) . Tuttavia la
consistenza non assicura da sola la convergenza del metodo. Per studiarne la
convergenza dobbiamo considerare il comportamento dell’errore eh = uh − u
quando h tende a zero. Dato che risulta Ah eh = τ h , e quindi eh = A−1 h τh ,
possiamo scrivere
keh k ≤ kA−1
h k kτ h k .
Vogliamo allora far vedere che, lavorando in norma infinito, siamo in grado di
trovare una costante che, per ogni h, maggiora kA−1 h k. A questo scopo osser-
viamo che si può dimostrare che sia Ah che la matrice A0h = h12 tridiag(−1, 2, −1)
hanno inversa non negativa (vedi Appendice C) e si ha
A−1 −1 −1 −1
0h − Ah = A0h (Ah − A0h )Ah ≥ 0 ,
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Teorema 1. Sia F (x, y, z) : D → IR con D := I × (−∞, +∞)2 una funzione
continua con derivate parziali Fy e Fz continue in D e tale che esistono finiti
max |Fy | e max |Fz | .
(x,y,z)∈D (x,y,z)∈D
Se risulta
Fy ≥ q > 0 ∀(x, y, z) ∈ D ,
allora il problema (7) ammette una e una sola soluzione.
Consideriamo per esempio il seguente problema lineare, detto problema di
diffusione–trasporto–reazione che per brevità nel seguito indicheremo come
problema ADR (acronimo dell’inglese Advection–Diffusion–Reaction),
7
Dimostrazione : Poniamo ej := uh (j) − u(xj ) e supponiamo che sia |ek | ≥
|ej |, j = 1, . . . , N − 1. Supponiamo inoltre che sia 1 < k < N − 1 (altrimenti
si può adattare il ragionamento). Poiché risulta che Ah eh = τ h , tenendo
presente i segni degli elementi non nulli di Ah , si ha che
(2 + σk h2 )|ek | ≤ (1 + 21 hγk ) |ek−1 | + (1 − 21 hγk )| |ek+1 | + h2 |τk |
≤ 2|ek | + h2 |τk |
σk h2 |ek | ≤ h2 |τk |
e quindi la tesi.
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In questo caso siamo quindi in grado di scrivere a priori l’espressione ana-
litica della soluzione del problema discreto. Infatti la soluzione generale
dell’equazione alle differenze considerata è la seguente,
ui = a1 λi1 + a2 λi2 ,
a1 + a2 = 0 , a 1 + a2 λ N
2 = 1
λi2 − 1
ui = , i = 0, . . . , N .
λN
2 −1
(Lh uh )i = 0 , i = 1, . . . , N − 1 , u0 = g0 , uN = g1 ,
o anche con un formalismo diverso che ci farà comodo avanti come un sistema
nonlineare
Φ((g0 , uTh , g1 )) = 0 , (11)
dove Φ : IRN +1 → IRN +1 , e dove, se y = (y0 , . . . , yN )T , si ha
Φ0 (y) := y0 − g0 ,
Φi (y) := −yi−1 +2y
h2
i −yi+1 −yi−1
+ F (xi , yi , yi+12h ) , i = 1, . . . , N − 1 , (12)
ΦN (y) := yN − g0 ,
dove ζi è un punto opportuno compreso fra u0 (xi ) e u0 (xi ) − 16 u(3) (ηi )h2 .
Naturalmente è prioritario essere certi che anche nel caso nonlineare, se il pro-
blema continuo ammette una e una sola soluzione, anche il corrispondente
problema discreto ne ammette una e una sola (cosa che nel caso lineare cor-
rispondeva a controllare la nonsingolarità della matrice Ah ). A tale riguardo
ci viene in aiuto il seguente teorema,
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Teorema 4. Se siamo nelle ipotesi del Teorema 1, posto L ≥ |Fz (x, y, z)|, e
0 < q ≤ Fy (x, y, z) ≤ Q in D , se
hL
≤ 1,
2
il sistema nonlineare in (11) definito dallo schema DFC ammette una e una
sola soluzione.
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e quindi si ottiene
h2
ai + b i + c i
|Gi (V)−Gi (W)| ≤ kV−Wk∞ = 1 − Fy (xi , ξi , ηi ) kV−Wk∞ .
1+ω 2(1 + ω)
Maggiorando ancora si ha
h2 q
K := 1 − < 1.
2(1 + ω)
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identità ed è tridiagonale in quanto Φi dipende solo da yi−1 , yi e yi+1 . Più
precisamente si ha che
−yi−1
JΦ (y)(i, i − 1) = − h12 − 2h
1
Fz (xi , yi , yi+12h ),
2 yi+1 −yi−1
JΦ (y)(i, i) = h2
+ Fy (xi , yi , 2h
),
−yi−1
JΦ (y)(i, i + 1) = − h12 + 2h
1
Fz (xi , yi , yi+12h ).
max |vi −wi | ≤ M max{||v0 −w0 | , |vN −wN | , max |(Lh V)i −(Lh W)i |} .
i=1,...,N −1 i=1,...,N −1
risulta
max |ũi − ui | ≤ M max |i | .
i=0,...,N i=0,...,N
Dato che in aritmetica finita la soluzione che si trova non è mai esattamente
uh bensı̀ ũh , se M non è troppo grande, ci si aspetta che l’accuratezza con
cui ũh approssima uh sia dell’ordine del corrispondente residuo relativo, ossia
di maxi=0,...,N |i |. Osserviamo che se il problema è lineare e la matrice Ah di
DFC risulta invertibile con inversa limitata uniformemente rispetto ad h, si ha
stabilità (secondo la definizione formale data sopra) con M = kA−1 h k∞ . Per il
caso nonlineare vale il seguente teorema del quale si riporta solo l’enunciato.
Teorema 5. Se siamo nelle ipotesi del Teorema 1, posto L ≥ |Fz (x, y, z)| e
0 < q ≤ Fy (x, y, z) , (x, y, z) ∈ D , allora se
hL
≤ 1,
2
lo schema DFC applicato al problema nonlineare (7) è (condizionatamente)
stabile con M := max{1 , 1/q}.
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Notiamo che un’ulteriore importante conseguenza della stabilità è la con-
vergenza dello schema DFC. Infatti si ha che per la stabilità risulta
ku − uh k∞ ≤ M kτ h k∞
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3 Appendice
Definizione 2. Una matrice quadrata A dicesi convergente se
lim Ak = 0 .
k→+∞
Ak v = λk v → 0 ⇒ λk → 0 ⇒ |λ| < 1 .
Quindi, per quanto detto sopra, deve essere ρ(B) < ρ(A) + . Passando allora
al limite per che tende a 0 si ottiene la tesi.
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Definizione 3. Una matrice quadrata A è una M –matrice se si può scrivere
A = α(I − B) , con α > 0 , B ≥ 0 , e ρ(B) < 1 . (14)
Proposizione 1. Se A è una M-matrice, allora essa è invertibile e si ha
A−1 ≥ 0.
Dimostrazione : Scritta A come in (14), essendo ρ(B) < 1, la matrice I −B
non può essere singolare, altrimenti B ammetterebbe l’autovalore 1. Inoltre,
considerando che B è convergente, si ha che
k
X
(I − B) B i = I − B k+1 → I .
i=0
+∞
X
Questo implica che (I − B) −1
= B i . Essendo B ≥ 0, questo a sua volta
i=0
implica che (I − B)−1 ≥ 0.
Nel caso del problema ai limiti non lineare dei due punti, abbiamo dimo-
strato sotto opportune ipotesi l’esistenza e unicità della soluzione discreta
generata dal metodo DFC considerandone la soluzione come il punto fisso di
un’opportuna contrazione. A tale scopo ci siamo basati sul seguente teorema
di mapping contrattivo,
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Teorema 6. Sia D ⊆ IRd o tutto IRd o un suo sottoinsieme chiuso e limitato.
Se φ : D → D e φ è in D una contrazione (ossia esiste una costante γ
positiva e minore di 1 tale chekφ(x) − φ(y)k ≤ γkx − yk , ∀x, y ∈ D), allora
qualunque sia x0 ∈ D la successione xn = φ(xn−1 ), n = 1, . . . risulta ben
definita e convergente all’unico punto fisso di φ in D.
ossia
γn
kxn+p − xn k ≤ kx1 − x0 k .
1−γ
La successione è quindi di Cauchy e quindi, essendo D completo, essa è
convergente a un certo α ∈ D. Essendo kxn − φ(α)k = kφ(xn−1 ) − φ(α)k <
γkxn−1 − αk → 0 , deve essere xn → φ(α) e quindi per l’unicità del limite
deve essere α = φ(α) (punti fisso). La contrattività implica subito che non
possono esistere altri punti fissi in D.
Riferimenti bibliografici
[1] V. Comincioli (1990), Analisi Numerica, Metodi, Modelli e Aplicazioni,
Mc Graw Hill, Milano.
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