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dei legami di parentela, il declino del significato del vicinato, il venir meno
delle basi tradizionali di solidarietà sociale, il trasferimento di attività
industriali, educative e ricreative ad istituzioni specializzate; cui si
accompagna, dal momento che l’azione individuale è inefficace e
l’efficienza si raggiunge solo in gruppi, una moltiplicazione di associazioni
volontarie, La moltiplicazione del numero di persone in interazione, che
rende impossibile contatti pieni tra persone, ha conseguenze sulla
personalità e il comportamento collettivo urbano: la personalità urbana –
“schizoide” - intrattiene contatti impersonali, superficiali, transitori e
segmentali, che conducono alla riserva, all’indifferenza, ad una
prospettiva blasee e all’immunizzazione del proprio io contro le richieste
degli altri. La superficialità, anonimità, e carattere transitorio delle relazioni
sociali urbane rendono conto della sofisticazione e razionalità degli
abitanti della città. La libertà dal controllo emozionale personale dei gruppi
intimi li lascia in uno stato di anomia. A tutto ciò. si accompagna un
aumento di disorganizzazione personale, malattie mentali, suicidio,
delinquenza, corruzione, disordine 1 .
1
L. WIRTH, Urbanism as a Way of Life, « American Journal of Sociology », 4, I, 1938, pp. 1-23.
Abbiamo utilizzato la sintesi del pensiero wirthiano che si trova in D. MARTIN- DALE, Community,
Character and Ci'vilization, The Free Press of Glencoe, Chicago 1963, pp, 145-146.
2
Ci riferiamo soprattutto alla rassegna degli studi sulle aree metropolitane di New York, Chicago,
Los Angeles, St. Louis, San Francisco, Detroit, Rochester, che. si trova in S. G~ER, The Emerging
City, The Free Press of Glencoe, Chicago 1962, pp. 90-92. Si veda anche D. L. MEIER -W. BELL,
Anomia and Differential Access to the Achievement of Life Goals, « American Sociological Review
», 24, 2, 1959, pp. 189-202.
3
S. GREER, Op. cit., pp. 91-92.
4
O. A. OESER -S. H. HAMMOND, Social Structure and Personality in a City, Routledge and
Kegan Paul, London 1954.
5
C. U. S., Tall Flats in Pimlico, in London: Aspects of Change, MacGibbon and Kee, London 1964,
pp. 256-290. Si veda anche, nello stesso volume, J. H. WESTERGAARD - R. GLASS, A Profile of
Lansbury, pp. 159-206.
6
Si veda in particolare M. YOUNG -P. WILLMOTT, Family and Kinship in East London, Routledge
and Kegan Paul, London 1957; P. WILLMOTT -M. YOUNG, Family and Class in a London Suburb,
Routledge and Kegan Paul, London 1960; P. WILLMOTT, The Evolution of a Community,
Routledge and Kegan Paul, London 1963. L’inadeguatezza dello stereotipo della grande città
sterile, amorfa e impersonale, è confermata anche dai risultati di recenti ricerche ecologiche: la
Grande Londra -risulta da un'indagine di John Westergaard -è una « conglomerazione di comunità
locali solo parzialmente dipendenti l'una dall'altra » e dotate ciascuna di una propria identità. L
'immagine corrente della metropoli come « a vast sea of inchoate development », una palude di
sobborghi-dormitori che circondano il vecchio cuore economicamente attivo, non può essere
mantenuta: si veda J. H. WESTERGAARD, The Structure o! Greater London, in London: Aspects
of Change, cit., pp. 93-127.
7
P. H. CHOMBART DE LAUWE, Des hommes et des villes, Payot, Paris 1965. Si vedano inoltre le
opere, ivi cit., dello stesso autore e M. QUOIST, La ville et l'homme, P-ditions Ouvrières, Paris
1952.
8
Alcune indicazioni, non tutte ugualmente interessanti per il nostro problema, si possono trarre da
ricerche sui quartieri di aree metropolitane; cfr., ad es., L. CAVALLI, Quartiere operaio, USIL,
Genova 1958; ID., La gioventù del quartiere operaio, Pagano, Genova 1959; L. DIENA, Gli uomini
e le masse, Einaudi, Torino 1960; A. ROSE, Indagine sull'integrazione sociale in due quartieri di
Roma, Istituto di Statistica, Roma 1959; M. TARTARA, L'«Isolotto »a Firenze, Ente Gestione
Servizio Sociale Case per Lavoratori, Roma 1961.
9
R. GLASS, Urban Sociology in Great Britain: A Trend Report, « Current Sociology », 4, 4, 1955,
pp. 12-19. La documentazione sulla tradizione antiurbana negli Stati Uniti è ab- bondantissima: si
veda in particolare, per l'atteggiamento degli intellettuali, M. WHITE -L. WHITE, The Intellectual
versus the City: from Thomas Jefferson to Frank Lloyd Wright, Harvard University Press,
Cambridge 1962; e la sintesi ad opera degli stessi autori in L. RODWIN, The Future Metropolis,
Braziller, New York -Constable, London 1962 ( traduz. Ital. Marsilio, Padova 1964). Per la
Germania si veda il cap. di H. P. BAHRDT, - Vie moderne Grosstadt, Rowohlt Taschenbuch
Verlag, Harnburg 1961 (traduz. ital. Marsilio, Padova 1966).
10
P. K. HATT -A. I. REISS, Cities and Society, The Press of Glencoe, Chicago 1957, pp. 17-21.
11
W. J. GOODE., L'industrialisation et les changements familiaux, in B. F. HOSELITZ -W. E.
MOORE, lndustrialisation et societe, UNESCO-Mouton, Paris 1963, pp. 230-249.
12
É noto come molte ricerche confermano ormai la vitalità della famiglia moderna proprio
attraverso l'illustrazione delle sue trasformazioni, considerate come indici della sua capacità di
adattamento. Si veda a titolo di esempio, rispettivamente per la Germania, la Francia, l'Inghilterra e
gli Stati Uni- ti, G. WURZBACHER -R. PFLAUM, Das Dori im Spannungsleld industrieller
Entwicklung, Enke, Stuttgart 1954,- cap. 4; I. STOETZEL, Les changements dans les fonctions
familiales, in R. PRIGENT, Rènouveau des idees sur la famille, Presses Universitaires de France,
Paris 1954; E. BOTT, A Study of Ordinary Families, in N. ANDERSON, Recherches sur la famille,
Mohr, Tlibingen 1956, pp. 29-68; E. W. BURGESS -H. J. LOCKE, The Family from lnstitution to
Companionship, American Book, New York 1953.
delinquenza e malattie sono più frequenti - che gli antichi sociologi urbani
prendevano come base della loro teorizzazione. Essi non conoscevano la
città dei suburbia, del baby-boom e del benessere, su cui teorizzano i
sociologi urbani revisionisti: è insomma possibile che le divergenze tra
pessimisti e ottimisti dipendano in parte da differenze nei rispettivi oggetti
di studio.
Tuttavia il problema non è così semplice. Perché, vi abbiamo accennato,
è in certe caratteristiche metodologiche che va ricercata la peculiarità
delle ipotesi della vecchia sociologia urbana. Certo nelle prime fasi
dell’urbanizzazione la città può essere più facilmente descritta nei termini
delle vecchie ipotesi: ma è la “idealizzazione” (negativa) di questo tipo di
città che diventa discutibile. Dubbi sul pessimismo relativo alla città erano
già stati sollevati dagli inizi: studiosi come Adna Weber non erano affatto
convinti che la città portasse alla rovina morale 13 . Gli stessi ecologi
classici credevano all’esistenza di processi anabolici-catabolici 14 e di
successioni alternate di processi di disorganizzazione e organizzazione.
13
A. P. WEBER, The Growth of Cities in the Nineteenth Century, MacMillan, New York 1899, pp.
370-407.
14
E. W. BURGESS, The Growth of the City: An Introduction to a Research Project, ristampato in
G. A. THEODORSON, Studies in Human Ecology, Row-Peterson, Evanston-Elmsford 1961, pp.
40-42.
15
La critica è ripresa da l. M. BESHERS, Urban Social Structure, The Pree Press of Glencoe,
Chicago 1962, pp. 172 55.
16
Cit. da L. REISSMANN, The Urban Process, The Pree Press of Glencoe, Chicago 1964, p. 174.
17
J. M. BESHERS, op. cit., pp. 173-174. Pellin e Litwak hanno trovato che il gruppo primario di
vicinato non viene distrutto dalla mobilità quando esso è strutturato in maniera adeguata per
trattare la mobilità: ad esempio quando tra i suoi valori culturali vi è l'accettazione della
trasformazione: cfr. P.. PELLIN -E. LITWAK, Neighborhood Cohesion under Conditions of Mobility,
« American Sociological Review », 28, 3, 1963, pp. 364-376. Si veda anche E. LITWAK, Reference
Groups Theory, Bureaucratic Career, and Neighborhood Primary Group Cohesion, « Sociometry »,
23, 1, 1960, pp. 72-84.
18
Cfr. J. M. BESHERS, op. cit., cap. 8.
19
È opportuno ricordare che, come i teorici della disorganizzazione sociale, anche i loro critici
possono cadere nello stesso errore di assumere come necessaria quella particolare relazione tra
stati psicologici e struttura sociale, cui abbiamo accennato. Lo nota J. M. BESHERS, op. cit., p.
173. Ma è ovvio che non è necessario aderire a quel punto di vista tutte le volte che si sostiene
l'esistenza di « stretti » rapporti sociali nella città.
20
W. P. WHYTE, Street Corner Society, Chicago University Press, Chicago 1943.
21
Se la ricerca ha potuto sostenere un certo numero di immagini inadeguate, lo si deve anche alla
tendenza, diffusa allora come oggi, di generalizzare come caratteri “della città” quei tratti che
venivano individuati attraverso ricerche su casi particolari, e particolarissimi. Si tratta di una specie
di difetto di campionamento, di cui tra l'altro soffrono anche molte ricerche recentissime, favorendo
la tendenza a sostituire ai vecchi stereotipi immagini nuove altrettanto stereotipiche: sia i primi studi
sugli slums che le recenti ricerche sulle periferie italiane o sui suburbia americani rappresentano
spesso una selezione di estremi polari e un'accentuazione di drammatici contrasti attraverso
l'inferenza incontrollata da un'osservazione limitata. Osserva Greer che una teoria che accentua gli
estremi non ci dice necessariamente qualcosa su quello che sta in mezzo, che può, dopotutto,
comprendere la gran maggioranza degli abitanti della città. L'uso di questi estremi come tipi ideali
della società urbana, che è suscettibile di “convalidare” attraverso un empirismo casuale i punti di
vista che questa o quell'ideologia ci forniscono a priori, è reso possibile dalla mancanza di una
“teoria urbana”: si veda in proposito L. REISSMANN, op. cit., pp. 39-149.
22
M. AXELROD, Urban Structure and Social Participation, in P. K. HATT -A. J. REISS, Op. cit., p.
729.
23
P. H. CHOMBART DE LAUWE, op. cit., pp. 16, 194.
quantità. Fermo restando il fatto che i rapporti con amici e parenti sono
frequenti e significativi per qualunque categoria di abitanti della città, è
possibile ad esempio che i membri delle classi elevate possano trovare
più facilmente i loro amici tra i compagni di associazione. Greer ritiene
inoltre che negli strati socio-economici superiori - dove l’amicizia è spesso
strumentale per fini economici - gli amici possano coincidere
maggiormente con i compagni di lavoro. La stessa possibilità viene
proposta per le donne lavoratrici non sposate, per le quali il lavoro
sostituisce la parentela come ambito sociale predicibile 24 . Infine è
probabile che gli amici ( specialmente i gruppi di amici) siano più
importanti per i giovani che per altre classi di età per le quali la famiglia
può essere più significativa. Per i rapporti con i parenti l’interpretazione è
problematica: se da una parte molte famiglie operaie hanno stretti rapporti
con i parenti, dall’altra è possibile che per esse la situazione vari
notevolmente secondo il tipo di quartiere. Sembra credibile l’ipotesi di
Vieille secondo cui soltanto le famiglie borghesi possono sempre
intrattenere rapporti con la famiglia estesa, mentre le famiglie operaie
possono essere costrette a limitare i rapporti alla famiglia coniugale e
quindi a centrare gran parte della loro vita di relazione sui rapporti di
vicinato 25 .
24
S. GREER, op. cit., pp. 91-92.
25
A. VIEILLE, Relations parentales et relations de voisinage chez les menages ouvrières de la
Seine, “Cahiers internationaux de sociologie”, 1, 17, 1954. Si tengano però presenti le possibilità
che vicini e parenti, in un quartiere operaio, hanno di coincidere.
26
H. D. McKAY, The Neighborhood and Child Conduct, in P. K. HATT - A. J. REISS, op. cit., pp.
815-825.
27
P. H. CHOMBART DE LAUWE, op. cit., pp. 16, 81. Si vedano anche le opere citate di M.
QUOIST e A. VIEILLE.
29
Si veda, ad es., P. E. CHOMBART DE LAUWE, Le logement, le menage et l’espace familial,
“Informations sociales”, 19, 9, 1965, e Des hommes et des villes, cit. Lo stesso autore, ed altri citati
(tra cui Quoist), suggeriscono la possibilità che altre “opportunità” (come la dimensione
dell’abitazione e l’uso comune di servizi) giochino un ruolo nel configurare i rapporti di vicinato. Una
correlazione tra possesso di un auto e ampiezza della zona entro cui vengono organizzate le
proprie relazioni sociali e commerciali è stata trovata a Los Angeles da S. RIEMER - J.
McNAMARA, Contact Patterns in tbe City, “Social Forces”, 36, 2, 1957, pp. 137-141.
30
S. GREER, op. cit., pp. 95-97. Sembra evidente che il termine “urbano” non viene usato da
Greer per definire una fase avanzata del processo di urbanizzazione di cui il “familismo” sarebbe
una prima fase: ma piuttosto per indicare uno “stile” che viene definito “urbano” in riferimento alle
vecchie ipotesi sui rapporti sociali nella città che Greer critica.
31
P. H. CHOMBART DE LAUWE, Le logement ecc., cit.
32
P. H. CHOMBART DE LAUWE, op. cit.
33
Si veda M. QUOIST, op. cit., e E. GENTILI, L’unità di vicinato e l’urbanistica, “Centro sociale”, 2,
1, 1955, pp. 8-12. Che esista una relazione tra caratteri culturali e condizioni di vita non significa,
ovviamente, che i”fattori culturali” possano essere ridotti a “costrizioni materiali”. Abbiamo detto che
le opportunità concrete sono soltanto in parte correlate con gli stili di vita: e il significato causale
della correlazione può essere nel senso che la cultura svolge un ruolo nel definire e costituire le
opportunità concrete.
34
Le differenze culturali svolgono un ruolo, oltre che nel differenziare i modelli entro una
determinata area urbana, nel determinare le differenze fra diversi Paesi. Sotto questo secondo
aspetto, che va al di là dei limiti della nostra indagine, si può supporre che ad esempio in Italia la
tradizione familistica, la presenza di valori come il “contatto sociale” e l’esibizione, l’espressività
della partecipazione, o la caratteristica alienativa della cultura politica non siano irrilevanti nel
configurare i tipi di appartenenza. Oppure si pensi alle implicazioni che può avere il fatto che in
Francia (e probabilmente anche in Italia) sia maggiore la proporzione di associazioni “espressive”
rispetto agli Stati Uniti, dove invece è maggiore la proporzione di associazioni con scopi di riforma
o welfare: fr. O. R. GALLAGHER, Voluntary Associations in France, “Social Forces”, 36, 2, 1957,
pp. 153-160.
35
W. BELL, The Utility of the Shevky Typology for the Design of Urban Sub-Area Field Studies, in
G. A. THEODORSON, op. cit., pp. 250-251.
36
H. J. GANS, Some Notes on Physical Environment, Human Behavior and their Relationships, in
M. ABRAMS, Planning Environment, “Journal of the Town Planning Institute”, maggio 1962, p. 122.
37
M. BROADY, Social Theory in Architectural Design, ciclostilo, pp. 7-8.
composizioni sociali.
É in questa luce che vanno interpretati i risultati di molte ricerche che
trovano certe relazioni tra tipo di rapporti sociali e collocazione del vicinato
nel modello spaziale dell’area urbana. Si tratta di risultati parzialmente
contrastanti, in quanto secondo i casi si può trovare che i residenti nella
città centrale tendono a limitare i loro contatti all’interno della città stessa,
mentre i residenti nei sobborghi hanno spesso relazione fuori della loro
città 38 o che gli abitanti dei vicinati suburbani hanno un maggior interesse
per il vicinato 39 . L’apparente contraddizione si spiega se si pensa che
entro un’area suburbana o centrale vi possono essere vicinati diversi
quanto a tipo di popolazione.
Questa precisazione ci permette di fare un’ulteriore considerazione sui
rapporti tra spazio e vita sociale. É opinione ormai corrente che nella
metropoli è diminuito il significato della localizzazione nello spazio come
fattore di differenziazione della struttura sociale urbana. L’attività sociale
dell’abitante della città è selettiva: egli oltre che tra i vicini può scegliere le
sue relazioni sociali tra la vasta gamma di raggruppamenti con cui entra in
contatto. Come l’unità residenziale, anche l’unità di lavoro, le unità
ricreative, ecc., hanno loro caratteri strutturali e culturali che concorrono
con quelli dell’unità residenziale a configurare le appartenenze sociali
dell’abitante della città che entra in contatto con essi: trattandosi di unità le
cui basi territoriali non coincidono, o non sono identificabili, ne risulta una
perdita di significato dell’area (quella residenziale in particolare) nel
differenziare la struttura urbana. Anderson arriva a differenziare dai
“vicinati di partecipazione primaria” quelli “di partecipazione secondaria” e
a integrare il concetto di vicinato con quello di “rete” di conoscenza e
amicizia: “un’astrazione che può essere usata con o senza la dimensione
spaziale così necessaria al concetto di vicinato”.
38
Cfr., per es., Metropolitan Challenge, Metropolitan Community Studies, Dayton 1959, pp. 224-
226.
39
S. GREER, op. cit., pp. 94-97.
40
N. ANDERSON, op. cit., pp. 32-36. La distinzione tra i due tipi di “rete” è ripresa da E. BOTT,
Family and Social Network, Tavistock, London 1957.
questi termini: “Le comunità, con cui egli (l’abitante della metropoli) si
associa e a cui egli “appartiene”, non sono più soltanto le comunità di
luogo in cui i suoi antenati erano rinchiusi; gli Americani stanno
diventando più strettamente legati a varie comunità di interesse che a
comunità di luogo, interessi basati su attività occupazionali, divertimento,
relazioni sociali, o desideri intellettuali. I membri di comunità d’interesse
entro una società in libera comunicazione non hanno bisogno di essere
spazialmente concentrati (tranne, forse, durante le fasi formative dello
sviluppo della comunità d’interesse), perché essi sono sempre più in
grado di interagire l’un l’altro dovunque essi siano localizzati. Questo
impressionante carattere dell’urbanizzazione contemporanea sta
rendendo sempre più possibile per uomini di tutte le occupazioni di
partecipare alla vita nazionale” 41 .
41
M. M. WEBBER, Order in Diversity: Community without Propinquity, in L. WINGO jr., Cities and
Space, John Hopkins Press -Resources for the Future, Baltimore 1963, pp. 29-30.
42
S. GREER, op. cit., p. 95.
43
Se, come sembra, con il progredire dell'urbanizzazione, aumenta in una società il grado di
accessibilità, è possibile che quanto più una società è urbanizzata tanto più facilmente le
differenziazioni della sua struttura urbana possono essere interpretate secondo schemi del tipo
social area analysis piuttosto che del tipo human ecology: ciò in quanto questi ultimi “collocano i
vicinati nello spazio geografico”, mentre i primi li collocano nello “spazio sociale”; si veda W. BELL,
op. cit., e E. SHEVKY W. BELL, Social Area Analysis, Stanford University Press, Stanford 1955.
44
S. GREER, op. cit., PP. 92-93.
45
S. GREER, op. cit., p. 93.
Può darsi che non si possa ancora vedere in questo quadro un’immagine
adeguata della vita sociale di molte città europee: quello che è certo è che
questa è la tendenza rilevabile dovunque. D’altra parte anche per le città
americane Greer ritiene necessario distinguere tra “tipi” diversi. Sono le
tendenze comuni verso certi tipi di rapporto e, entro queste tendenze, le
differenziazioni relative a certi raggruppamenti sociali e a certe variabili
culturali che ci descrivono la situazione della vita sociale urbana della
nuova città e fanno emergere nuovi tipi di problemi.
Se il quadro precedentemente delineato è corretto, possiamo concludere
che non sono la scarsità di raggruppamenti primari in rapporto a quelli
formali o la scarsità assoluta di rapporti significativi a caratterizzare la vita
sociale degli abitanti della città moderna, ma la particolare configurazione
che le reti di appartenenza assumono nelle loro reciproche relazioni. La
base territoriale delle reti di rapporti sociali tende, lo abbiamo visto, a
divenire indeterminata. Inoltre, è stato notato, il sistema di relazioni sociali
nella città tende a diventare “incoerente”. Osserva Anderson che, mentre i
“membri di una comunità primitiva si trovano tutti più o meno nella stessa
trama di relazioni, nella comunità moderna ogni individuo ha il proprio
ambito di rapporti e, di conseguenza, una particolare concezione della
comunità a seconda del lavoro, della mobilità, della classe sociale, dei
gruppi cui appartiene, dell’età, delle tendenze cosmopolite. La comunità
come ambiente ove si hanno gli stessi interessi e si trova il maggior
adempimento della propria vita, ha un significato diverso perfino per
persone della stessa famiglia”. Dalla comunità in una “prospettiva locale” -
vi abbiamo già accennato - si passa alla comunità in una “prospettiva
globale”: i contatti al di fuori della comunità si moltiplicano ed ogni
comunità si trova in un intreccio di comunità, mediante la partecipazione
46
S. GREER, op. cit., pp. 93-94. Cfr. la descrizione di Greer con quella fornita da O. HANDLIN,
The Social System, in L. RODWIN, op. cit., pp. 19-41.
Gli antichi sociologi urbani si erano resi conto della complessità delle reti
sociali in cui sono implicati gli abitanti della città. Questa complessità
comporta un’eclissi dei tipi tradizionali di comunità: certamente per gli
abitanti di uno stesso quartiere può mancare una rete di relazioni sociali
“coerente”, una implicazione di strutture particolari entro una struttura di
insieme, e una “presa di coscienza sufficiente per gli interessati dei legami
che li uniscono” 48 . Quello che ha generato l’equivoco è stato il ritenere
che esistesse una relazione tra “inconsistenza” delle reti sociali e
isolamento. Ma tale relazione non ha bisogno di essere assunta.
Se un isolamento esiste nella società urbana non c’è l’isolamento degli
individui, ma l’isolamento tra le loro reti di appartenenza. Le relazioni di
lavoro sono isolate da quelle per il tempo libero e da quelle familiari,
quelle associative da quelle primarie. Inoltre le relazioni emozionalmente
più significative - quelle personali, a livello di piccoli gruppi - si isolano
dalle altre, privatizzandosi: e ciò proprio nel momento in cui le
appartenenze pubbliche significative tendono a centralizzarsi
configurandosi a livello di grandi collettivi (partiti, comunità nazionali,
ecc.). Come risultato, le relazioni intermedie - comunità locali e
associazioni - si indeboliscono quanto a partecipazione significativa e
divengono sempre più appannaggio di determinate élites 49 . Non è chi non
veda a questo punto come la nuova configurazione delle appartenenze
sociali riproponga vecchi problemi “politici” e ne imponga di nuovi.
47
N. ANDERSON, Diverse Perspective of Community, «Centro Sociale», 8, 37-38, 1961, pp. 18
ss.
48
P. H. CHOMBART DE LAUWE et al., Famille et habitation, CNRS, Paris 1959, vol. II, p. 268.
49
Cfr. la diagnosi delle tendenze della società di massa e delle loro implicazioni politiche in W.
KORNHAUSER, The Politics of Mass Society, The Free Press of Glencoe, Chicago 1959; pp. 74-
101.
50
Si veda la critica di questo punto di vista in M. S. OLMSTED, I gruppi sociali elementari, il
Mulino, Bologna 1963, pp. 47-59.
51
Cfr. S. GREER, op. cit., p. 98. Anche le osservazioni contenute in questo paragrafo si riferiscono
prevalentemente all'esperienza americana.
52
É superfluo notare che se queste tendenze accentuano l'importanza di orientamenti comunitari
extralocali, resta al vicinato e alla comunità locale l'opportunità di continuare ad essere punti focali
d'integrazione grazie alla possibilità (limitata) che organizzazioni come le scuole, i negozi, i caffè, e
certi mezzi di comunicazione hanno di orientare la popolazione verso raggruppamenti locali.
Questa funzione dei gruppi locali può esprimersi in Italia anche in molte situazioni notevolmente
urbanizzate.
53
S. RIEMER J. McNAMARA, op. cit., hanno mostrato come a Los Angeles il raggio di
spostamento rispetto all'abitazione è più ampio per i rapporti sociali che per altri tipi di rapporti (ad
es. quelli commerciali).
54
R. T. ANDERSON G. ANDERSON, Voluntary Associations and Urbanization: A Diachronic
Analysis, “American Journal of Sociology”, 65, 3, 1959, pp. 265-273.
55
O. HANDLIN, op. cit., pp. 19-31.
56
M. AXELROD, op. cit., p. 729.
57
A. M. ROSE, A Theory of the Function of the Voluntary Associations in Contemporary Social
Structure, in Theory and Method in the Social Science, University of Minnesota Press, Minneapolis
1954, pp. 50.71.
58
É un'opinione espressa da C. Wright Mills: cfr. W. C. ROGERS, Voluntary Associations and
Urban Community Development, “Centro sociale”, 8, 37-38, 1961, p. 143.
59
W. C. ROGERS, op. cit., pp. 143-145.
60
L. J. DUHL, The Human Measure: Man and Family in Megalopolis, in L. WINGO, op. cit., p. 137.
61
Studiando una città industriale tedesca, Kieslich trovò che la percentuale di donne che non
avevano avuto vacanze nell'anno precedente era del 63%: percentuale che saliva al 69% per le
casalinghe. Mentre per i maschi la percentuale era del 14%. Cfr. G. KIESLICH, Freizeitgestaltung
in einer Industrienstadt, Institut für Publizistik der Westfiilischen Wilhelm Universität, Münster 1956,
p. 32.
62
S. GREER, op. cit., p. 105.