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STORIA DEL PENSIERO POLITICO

CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 1
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
I linguaggi
STORIApolitici della Modernità
COSTITUZIONALE

Il linguaggio del repubblicanesimo

Il linguaggio della ragion di Stato

Il linguaggio dell’economia politica

Il linguaggio del giusnaturalismo


Il linguaggio del giusnaturalismo
STORIA COSTITUZIONALE

Potere sovrano

Contratto

Individui liberi ed eguali


Il linguaggio del giusnaturalismo
STORIA COSTITUZIONALE

…un dispositivo logico che prevede alla base gli


individui con i loro diritti e, proprio per la
salvaguardia di questi ultimi, un potere legittimo
da tutti voluto , che emani quelle leggi che, valide
per tutti e rese efficaci da una forza comune,
permettano la coesistenza pacifica degli uomini.
Il linguaggio del giusnaturalismo
STORIA COSTITUZIONALE

Eguaglianza

Libertà
(indipendenza della volontà)

Potere
(prodotto della volontà di tutti)
Il linguaggio del giusnaturalismo
STORIA COSTITUZIONALE

Logica della rappresentanza politica:

riconoscere come propria la volontà di


un altro
STORIA DEL PENSIERO POLITICO
CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 2
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche:

Il pensiero di Nietzsche consiste in «un


sistema al cui principio sta la morte di
Dio, nel mezzo il nichilismo che da
quella deriva, e alla fine
l’autosuperamento del nichilismo verso
l’eterno ritorno».
Le opere principali:
La nascita della tragedia dallo spirito della musica
(1871)
Considerazioni inattuali (1876)
Umano, troppo umano (1878)
Aurora (1881)
La gaia scienza (1882)
Così parlo Zarathustra (1885)
La genealogia della morale (1887)
Ecce Homo (1888)
La volontà di potenza (1901)
«Il pensiero di Nietzsche è un sistema
al cui principio sta la morte di Dio, nel
mezzo il nichilismo che da quella
deriva, e alla fine l’autosuperamento
del nichilismo verso l’eterno ritorno»
(Karl Löwith)
La morte di Dio:
"Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad
ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo
fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il
lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è
morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo
noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú
possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri
coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo
noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi
inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa
azione?« (La gaia scienza, Af. 125)
La morte di Dio:
La nascita del Dio cristiano… ha… portato sulla terra anche il
maximum del sentimento del debito. Ammesso di essere entrati,
più tardi, in un movimento opposto, si potrebbe, con molta
probabilità, dedurre dalla inarrestabile decadenza della fede nel
Dio cristiano il fatto che già ora vi sia una notevole decadenza
della coscienza umana della colpa; non è anzi scartabile l’ipotesi
che la completa e definitiva vittoria dell’ateismo possa liberare
l’umanità da questo sentimento di avere dei debiti verso il suo
principio, la sua causa prima. L’ateismo e una specie di seconda
innocenza sono intimamente legati (F. Nietzsche, Genealogia
della morale).
Il nichilismo:

Che non ci sia verità; che non ci sia una


costituzione assoluta delle cose, una “cosa
in sé”; - ciò stesso è nichilismo, è anzi il
nichilismo estremo (Frammenti postumi
1887-88, pp. 13 s.).
Il superamento della metafisica:
Un grado, certo molto elevato, di cultura è raggiunto quando
l’uomo si libera dalle idee e dalle paure superstiziose e
religiose… Se egli è a questo grado di liberazione, gli resta
ancora da superare con la massima tensione della sua
riflessione la metafisica. Poi però è necessario un movimento
all’indietro: egli deve capire la giustificazione storica, come
pure quella psicologica di tali rappresentazioni, deve
riconoscere come sia di là venuto il maggior progresso
dell’umanità e come senza un tale movimento all’indietro, ci
si priverebbe dei migliori risultati finora ottenuti
dall’umanità.
F. Nietzsche, Umano, troppo umano:

Glorificare l’origine – è questo il


germoglio metafisico che rispunta nella
considerazione della storia e che fa
ogni volta credere che al principio di
tutte le cose si trovi il più perfetto e il
più essenziale…
Il metodo storico-scientifico:
F. Nietzsche, Umano, troppo umano:

L’immediata osservazione di sé è ben


lungi dal bastare per conoscere se
stessi: abbiamo bisogno della storia,
giacché il passato continua a scorrere in
noi in cento onde …
F. Nietzsche, Umano, troppo umano:
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e che allo stadio attuale delle
singole scienze può esserci concesso, è una chimica delle idee e
dei sentimenti, morali, religiosi, estetici, come pure di tutte quelle
emozioni che sperimentiamo in noi nel grande e piccolo
commercio con la cultura e la società e persino nella solitudine:
ma che accadrebbe, se questa chimica finisse per concludere che
anche in questo campo i colori più belli sono quelli che si ricavano
da una materia umile, e persino spregiata? Quanti avranno voglia
di seguire tali indagini? L'umanità ama fugare dalla propria mente
gli interrogativi sull'origine e sugli inizi: non si deve forse essere
quasi disumanizzati per sentire in sé l'inclinazione contraria?
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia:

Là dove l’anima ha la pretesa d’unificarsi, là dove l’Io s’inventa


un’identità o una coerenza, il genealogista parte alla ricerca
dell’inizio, - degli innumerevoli inizi che lasciano quel sospetto di
colore, quella traccia quasi cancellata che non potrebbe ingannare
un occhio un po’ storico; l’analisi della provenienza permette di
dissociare l’Io e di far pullulare nei luoghi della sua sintesi vuota
mille avvenimenti ora perduti.
La provenienza permette anche di ritrovare sotto l’aspetto unico
d’un carattere o d’un concetto la proliferazione degli avvenimenti
attraverso i quali (grazie ai quali, contro i quali) si sono formati…
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia:

La genealogia non pretende di risalire il tempo per ristabilire una grande


continuità al di là della dispersione dell’oblio; il suo compito non è di
mostrare che il passato è ancor lì, ben vivo nel presente, animandolo
ancora in segreto, dopo aver imposto a tutte le traversie del percorso una
forma disegnata sin dall’inizio. (…) Seguire la trafila complessa della
provenienza è, al contrario, mantenere ciò che è accaduto nella
dispersione che gli è propria: è ritrovare gli accidenti, le minime
deviazioni – o al contrario i rovesciamenti completi – gli errori, gli
apprezzamenti sbagliati, i cattivi calcoli che hanno generato ciò che
esiste e vale per noi; è scoprire che alla radice di quel che conosciamo e
di quel che siamo – non c’è la verità e l’essere, ma l’esteriorità
dell’accidente…
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia:
Infine la provenienza ha a che fare col corpo. (…) Il corpo – e tutto ciò
che ha a che fare col corpo, l’alimentazione, il clima, il suolo – è il
luogo della Herkunft: sul corpo si trova la stigma degli avvenimenti
passati, così come da esso nascono i desideri, i cedimenti, e gli errori; lì
anche si annodano e a un tratto si esprimono, ma in esso ancora si
slegano, entrano in lotta, si nascondono gli uni gli altri e continuano la
loro lotta insormontabile.
Il corpo: superficie d’iscrizione degli avvenimenti (laddove il linguaggio
li distingue e le idee li dissolvono), luogo di dissociazione dell’Io (al
quale cerca di prestare la chimera di un’unità sostanziale), volume in
perpetuo sgretolamento. La genealogia, come analisi della provenienza,
è dunque all’articolazione del corpo e della storia: deve mostrare il
corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo.
F. Nietzsche, Ecce Homo:
Tra le cose che possono portare un pensatore alla disperazione è il
riconoscere che l’uomo ha bisogno dell’illogicità, e che dall’illogicità
nascono molte cose buone. Essa è piantata così saldamente nelle
passioni, nella lingua, nell’arte, nella religione e in genere in tutto ciò
che conferisce valore alla vita, che non la si può estirpare senza
danneggiare con ciò irreparabilmente queste belle cose.
L’errore ha reso l’uomo così profondo, delicato e inventivo da produrre
un tal fiore come le religioni e le arti. Il puro conoscere non sarebbe
stato in grado di farlo. Chi ci svelasse l’essenza del mondo causerebbe
in noi tutti la più spiacevole delusione. Non il mondo come cosa in sé,
bensì il mondo come rappresentazione (come errore) è così ricco di
significato, così profondo e meraviglioso, e reca in senso tanta felicità e
infelicità.
L’eterno ritorno e l’Űbermensch:
Quale che sia lo stato che questo mondo può raggiungere, deve averlo
già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era
già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze
distribuite esattamente come ora; lo stesso avviene per l’attimo che ha
generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale. Uomo!
La tua vita intera, come una clessidra, sarà di nuovo capovolta, e sempre
di nuovo si vuoterà – un grande minuto di tempo frammezzo, finché
tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto, nel corso circolare
cosmico, si verificano di nuovo. E allora troverai di nuovo ogni dolore e
ogni piacere e ogni amico e nemico e ogni speranza e ogni errore e ogni
filo d’erba e ogni raggio di sole, la connessione totale di tutte le cose.
(Frammenti postumi, 1881).
L’eterno ritorno e l’Űbermensch:
Un tale spirito divenuto libero sta al centro del
tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella
fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne
sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi
nel tutto – egli non nega più. Ma una fede siffatta
è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho
battezzata col nome di Dioniso (F. Nietzsche,
Così parlò Zarathustra:).
La profezia di Zarathustra:
La terra è divenuta piccola, e su di essa saltella l’ultimo
uomo, che rende piccola ogni cosa. La sua stirpe è
inestinguibile come quella degli scarafaggi; l’ultimo
uomo vivrà molto a lungo… Non si diventa ormai più né
poveri né ricchi: entrambe le cose costano troppa fatica.
Chi vuole ancora regnare? Chi vuole ancora obbedire?
Entrambe le cose sono troppo gravose. Nessun pastore e
un solo gregge! Ognuno vuole allo stesso modo, tutti
sono eguali: chi sente in maniera diversa se ne va
spontaneamente al manicomio (Così parlò Zarathustra:).
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra
Oggi i filosofi, partendo dallo spirito della
funzione, riflettono su come trasformare
l’umanità in un organismo – è l’opposto della mia
tendenza: il numero maggiore possibile di
organismi diversi e che si trasformano, i quali,
giunti alla loro maturità e putrefazione, lasciano
cadere il loro frutto: gli individui, dei quali certo
la maggior parte perisce; ma solo i pochi contano
F. Nietzsche, Ecce Homo:

Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al


mio nome il ricordo (…) di una crisi, come non
ce ne fu un’altra simile sulla Terra, al più
profondo conflitto di coscienza, ad una decisione,
proclamata contro tutto ciò che sinora era stato
creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un
uomo, sono una dinamite…
F. Nietzsche, Ecce Homo:
Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado
ciò sono l’antitesi di uno spirito negatore… Con tutto ciò
sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se
la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo
di tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai
erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora
entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme
di dominio della vecchia società sono saltate in aria – esse
riposano tutte quante sulla menzogna; ci saranno guerre
come non ce ne sono state mai sulla terra. Solo da me
comincia sulla terra la grande politica.
F. Nietzsche, Frammenti postumi:

La mia opera ha tempo e non voglio essere per nulla


scambiato con ciò che il presente ha da risolvere come
proprio compito. Tra cinquant’anni, forse, alcuni (…)
avranno occhi per vedere ciò che da me è stato
compiuto. Ma al presente non è soltanto difficile, ma
assolutamente impossibile (…) parlare di me
pubblicamente senza rimanere illimitatamente dietro la
verità (1884).
F. Nietzsche, La volontà di potenza :
Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io
descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire:
l’avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere
raccontata; perché la necessità stessa è qui all’opera. Questo
futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia
dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono
già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove da
lungo tempo in una torturante tensione che cresce di decenni in
decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta,
precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine,
che non riflette più e ha paura di riflettere.
F. Nietzsche, La volontà di potenza :
– Chi prende qui la parola non ha fatto, invece, altro
sinora che riflettere: come filosofo e solitario di istinto
che ha trovato il proprio vantaggio nello starsene
appartato ed estraneo, nel pazientare, nel differire; come
uno spirito che osa osare e tentare, e già si è smarrito una
volta in ogni labirinto del futuro; (…) che guarda
indietro quando racconta ciò che dovrà avvenire; come il
primo compiuto nichilista europeo, che però ha già
vissuto dentro di sé sino all’esaurimento il nichilismo
stesso, e lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé.
F. Nietzsche, Al di là del bene e del male:
Trattenerci reciprocamente dall’offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire
un’eguaglianza tra la propria volontà e quella dell’altro: tutto questo può, in un
certo qual senso grossolano, divenire una buona costumanza tra individui, ove ne
siano date le condizioni (vale a dire la loro effettiva somiglianza in quantità di forza
e in misure di valore, nonché la loro mutua interdipendenza all’interno di
un unico corpo). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente
terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si
mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di negazione della vita,
un principio di dissoluzione e di decadenza. Su questo punto occorre rivolgere
radicalmente il pensiero al fondamento e guardarsi da ogni debolezza sentimentale:
la vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è
estraneo e piú debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un
incorporare o per lo meno, nel piú temperato dei casi, uno sfruttare – ma a che
scopo si dovrebbe sempre usare proprio queste parole, sulle quali da tempo
immemorabile si è impressa un’intenzione denigratoria?
F. Nietzsche, Al di là del bene e del male:
Anche quel corpo all’interno del quale, come è stato precedentemente ammesso, i singoli si
trattano da eguali – ciò accade in ogni sana aristocrazia – deve anch’esso, ove sia un corpo
vivo e non moribondo, fare verso gli altri corpi tutto ciò da cui vicendevolmente si astengono
gli individui in esso compresi: dovrà essere la volontà di potenza in carne e ossa, sarà volontà
di crescere, di estendersi, di attirare a sé, di acquistare preponderanza – non trovando in una
qualche moralità o immoralità il suo punto di partenza, ma per il fatto stesso che esso vive, e
perché la vita è precisamente volontà di potenza. In nessun punto, tuttavia, la coscienza
comune degli Europei è piú riluttante all’ammaestramento di quanto lo sia a questo proposito;
oggi si vaneggia in ogni dove, perfino sotto scientifici travestimenti, di condizioni di là da
venire della società, da cui dovrà scomparire il suo “carattere di sfruttamento” – ciò suona alle
mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si astenesse da ogni funzione
organica. Lo “sfruttamento” non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva:
esso concerne l’essenza del vivente, in quanto fondamentale funzione organica, è una
conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. –
Ammesso che questa, come teoria, sia una novità – come realtà è il fatto originario di tutta la
storia: si sia fino a questo punto sinceri verso se stessi!
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
Non sarebbe dunque per il movimento democratico una specie
di scopo, di redenzione e di giustificazione, il fatto che venisse
qualcuno a servirsi di esso, e che attraverso questa nuova (…)
configurazione della schiavitù (…) trovasse la sua strada quella
specie superiore di spiriti dominatori e cesarei, che su tutto ciò
si appoggerebbe, si sosterrebbe e potrebbe innalzarsi’ (…)
L’aspetto dell’attuale Europeo mi dà molte speranze: va
formandosi una audace razza dominatrice sulla base di una
massa estremamente intelligente… Le stesse condizioni che
favoriscono lo sviluppo dell’animale del gregge provocano
anche la formazione dell’animale capo.
F. Nietzsche, La volontà di potenza:
Chi ha conservato ed ha educato in sé una forte volontà, e
possiede al tempo stesso uno spirito ampio, gode di
possibilità più favorevoli che mai in precedenza. La
plasmabilità degli uomini è infatti diventata grandissima in
questa Europa democratica; uomini che imparano facilmente
e si adattano facilmente rappresentano la regola: l’animale
del gregge, per di più assai intelligente, è preparato. Chi può
comandare trova quelli che debbono ubbidire: penso, per
esempio, a Napoleone e a Bismark. La concorrenza di
volontà forti e non intelligenti, che costituisce il maggior
ostacolo, è minima…
F. Nietzsche, La volontà di potenza:
In tali condizioni, quali sono presentate alla nostra civiltà, di
movimenti eccessivi per il ritmo e per i mezzi spiegati, il centro di
gravità degli uomini si sposta… In questo caso il centro di gravità cade
necessariamente sui mediocri: la mediocrità, in quanto garanzia e
portatrice dell’avvenire, si consolida contro il dominio della plebe e
dell’eccentricità (per lo più collegate tra loro). Dal che sorge per gli
uomini di eccezione un nuovo avversario, o anche una nuova seduzione.
Posto che essi non si adattino alla plebe e non cantino le loro poesie per
compiacere all’istinto dei diseredati, dovranno essere necessariamente
«mediocri» e «solidi»… Ancora una volta (…) tutto quanto il mondo
completamente esaurito dell’ideale viene ad ottenere una pregiata
difesa… Risultato: la mediocrità acquista spirito, arguzia, genio, diventa
divertente, seduce…
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CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 3
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
In passato l’anima guardava al corpo con
disprezzo: e questo disprezzo era allora la
cosa più alta: - essa voleva il corpo
macilento, orrido, affamato. Pensava in tal
modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra.
Ma quest’anima era anch’essa macilenta,
orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di
quest’anima (pp. 6-7).
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:

’Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa


parola. Ma la cosa ancora più grande,
cui tu non vuoi credere – il tuo corpo e
la sua grande ragione: essa non dice
‘io’, ma fa ‘io’ (p. 34).
F. Nietzsche, Frammenti postumi (1885):

Se io ho in me qualcosa di unitario, certo


ciò non consiste nell’io cosciente e nel
sentire, volere, pensare, bensì in qualche
altra cosa: nella saggezza di tutto il mio
organismo che conserva, si appropria,
elimina, sorveglia, e di cui il mio io
cosciente non è che uno strumento…
.
F. Nietzsche, Frammenti postumi (1885):

Riteniamo avventato che si sia così a lungo considerata proprio la


coscienza umana come il grado più alto dello sviluppo organico e come
la più meravigliosa di tutte le cose terrene, anzi quasi come il loro fiore
e il loro fine. Ciò che è più meraviglioso è invece il corpo: non si finisce
mai di ammirare, considerando come il corpo umano sia divenuto
possibile; come una tale enorme unione di esseri viventi, ciascuno
dipendente e sottomesso, e tuttavia in certo senso a sua volta imperante
e agente con volontà propria, possa vivere, crescere e sussistere per
qualche tempo come un tutto; e ciò avviene chiaramente non grazie alla
coscienza! Per questo “miracolo dei miracoli” la coscienza è appunto
solo uno “strumento” e niente più – nello stesso senso in cui lo stomaco
è un altro strumento…
F. Nietzsche, Frammenti postumi (1885):

…Di favoleggiare dell’«unità», dell’«anima», della


«persona», ce lo siamo oggi vietato: tali ipotesi servono solo
a rendere il problema più difficile, questo è chiaro. E anche
quei piccolissimi esseri viventi che costituiscono il nostro
corpo (o meglio: del cui cooperare ciò che chiamiamo
«corpo» è la migliore immagine), non sono per noi atomi
spirituali, ma qualcosa che cresce, lotta, si accresce e a sua
volta muore: sicché il loro numero muta in modo variabile, e
la nostra vita è, come qualunque vita, in pari tempo un
continuo morire…
F. Nietzsche, Frammenti postumi:

Tutto ciò che entra nella coscienza costituisce


l’ultimo anello di una catena, di una chiusura.
Che un pensiero sia immediatamente causa di un
altro pensiero, è cosa solo apparente. I veri
avvenimenti concatenati si svolgono al di sotto
della nostra coscienza: le serie e successioni di
sentimenti, pensieri, eccetera, che si producono,
sono solo sintomi del vero accadere.
F. Nietzsche, Frammenti postumi:
…Ci sono dunque nell’uomo tante “coscienze” quanti sono gli esseri – in ogni istante
della sua esistenza – che costituiscono il suo corpo. Ciò che distingue quella che è
abitualmente pensata come l’unica “coscienza”, l’intelletto, è proprio che essa rimane
protetta e staccata dall’infinita varietà delle vicende di queste molte coscienze, e, come
coscienza di rango superiore, come pluralità e aristocrazia dominante, ha a che fare solo
con una scelta di esperienze, per di più solo esperienze semplificate, rese perspicue e
intelligibili, e dunque falsate, - perché l’intelletto continui da parte sua in questo
semplificare e rendere perspicuo, e dunque falsare, preparando ciò che si chiama
comunemente «una volontà». Ogni siffatto atto di volontà presuppone per così dire la
nomina di un dittatore. Ma ciò che presenta questa scelta al nostro intelletto, ciò che ha
in precedenza semplificato, assimilato e interpretato le esperienze, in ogni caso non è
appunto questo intelletto: non più di quanto lo sia ciò che esegue la volontà, ciò che
accoglie una pallida, esigua ed estremamente imprecisa rappresentazione di valore e di
forza, e la traduce in forza viva e in precisi criteri di valore…
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra:

Il corpo è formato da «una pluralità


con un senso, una guerra e una
pace, un gregge e un pastore».
F. Nietzsche, Frammenti postumi:

Io comprendo solo un essere che sia


al contempo uno e plurimo, che si
trasformi e permanga, che conosca,
senta, voglia – questo essere è il
mio fatto originario.
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Lezione n. 4
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
G. Le Bon, Psicologia delle folle (1895):
Ciò che più colpisce in una folla psicologica è il fatto che gli individui
che la compongono – indipendentemente dal tipo di vita,
dall’occupazione, dal temperamento o dall’intelligenza - acquistano una
sorta di anima collettiva per il solo fatto di appartenere alla folla. Tale
anima li fa sentire, pensare ed agire in un modo del tutto diverso da
come ciascuno di loro – isolatamente – sentirebbe, penserebbe e
agirebbe.
Certe idee, certi sentimenti non sorgono o non si trasformano in atti se
non negli individui che costituiscono folla. La folla psicologica é un
essere provvisorio, composto di elementi eterogenei per un istante uniti
fra loro, proprio come le cellule di un corpo vivente che con la loro
unione formano un essere umano il quale manifesta caratteri assai
diversi da quelli che ognuna di quelle cellule possiede.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
I nostri atti incoscienti derivano da un substrato incosciente formato specialmente da influenze
ereditarie. Questo substrato racchiude gli innumerevoli residui atavici che costituiscono l'anima
della razza. Dietro le cause palesi dei nostri atti, si trovano cause segrete, ignorate da noi. La
maggior parte delle nostre azioni quotidiane sono effetto dei moventi nascosti che ci sfuggono.
Specialmente per gli elementi incoscienti che compongono l'anima di una razza, tutti gli individui
di questa razza si assomigliano. Per gli elementi coscienti, frutto dell'educazione, ma soprattutto di
un'eredità eccezionale, essi differiscono. Gli uomini più dissimili per intelligenza hanno istinti,
passioni, sentimenti a volte identici. In tutto ciò che é materia di sentimento : religione, politica,
morale, affezioni, antipatie, ecc., gli uomini più eminenti non superano che assai raramente il
livello degli individui comuni. Tra un celebre matematico e il suo calzolaio può esistere un abisso
sotto il rapporto intellettuale, ma dal punto di vista del carattere e delle credenze la differenza é
spesso nulla o lievissima Ora, queste qualità generiche del carattere, guidate dall'incosciente e
possedute press'a poco allo stesso grado dalla maggior parte degli individui normali di una razza,
sono precisamente quelle che, nelle folle, si trovano messe in comune. Nell'anima collettiva, le
attitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano.

L'eterogeneo si sommerge nell'omogeneo, e le qualità incoscienti dominano.


G. Le Bon, Psicologia delle folle:
Diverse cause determinano l'apparizione dei caratteri particolari alle folle. La prima
consiste nel conferire agli individui di una folla, per il solo fatto del numero, un
sentimento di potenza invincibile che permette loro di cedere agli istinti, che
individui isolati avrebbero saputo frenare. L'individuo cederà tanto più volontieri
inquantoché nella folla, essendo essa anonima, e di conseguenza irresponsabile, il
sentimento della responsabilità che sempre trattiene gli individui, scompare
completamente.
Una seconda causa, il contagio mentale, interviene ugualmente per determinare
nelle folle la manifestazione di caratteri speciali e nello stesso tempo il loro
orientamento. Il contagio é un fenomeno facile a constatarsi, ma non ancora
spiegato, e che bisogna ricollegare a fenomeni di ordine ipnotico. (…) In una folla,
ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e contagioso a tal punto che l'individuo
sacrifica il suo interesse personale all'interesse collettivo. E questa un'attitudine
contraria alla sua natura, e di cui l'uomo non diventa affatto capace se non
allorquando fa parte di una folla.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
Una terza causa, e assai più importante,
determina negli individui in folla dei
caratteri speciali a volte intensamente
opposti a quelli dell'individuo isolato.
Voglio dire della suggestionabilità, il cui
contagio, sopra menzionato, non é del resto
che un effetto.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
(…) Delle attente osservazioni sembrano provare che l'individuo,
tuffato da qualche tempo in seno ad una folla in fermento, cade in
breve in seguito agli effluvi che ne sprigionano, o per altra causa
ancora ignorata - in uno stato particolare, simile assai allo stato di
fascinazione dell'ipnotizzato tra le mani del suo ipnotizzatore.
Essendo, nell'ipnotizzato, paralizzata la vita del cervello, egli
diventa lo schiavo di tutte le attività incoscienti che l'ipnotizzatore
dirige a suo talento. La personalità cosciente é svanita, la volontà
e il discernimento aboliti.
Sentimenti e pensieri sono allora orientati nel senso determinato
dall'ipnotizzatore.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
Questo é all'incirca lo stato dell'individuo che fa parte della folla. Egli
non é più cosciente dei suoi atti. In lui, come nell'ipnotizzato, mentre
certe facoltà sono distrutte, altre possono essere condotte a un grado
estremo di esaltazione. L'influenza di una suggestione lo lancerà con
una imperiosità irresistibile verso il compimento di certi atti.
Impetuosità più irresistibile ancora nelle folle che nei soggetti
ipnotizzati, poiché la suggestione, essendo la stessa per tutti gli
individui, straripa diventando reciproca. Le unità di una folla che
posseggono una personalità abbastanza forte per resistere alla
suggestione, sono in numero troppo esiguo e la corrente le trascina.
Tutt'al più esse potranno tentare una diversione per una diversa
suggestione. Una parola felice, una immagine evocata hanno a volte
sviato la folla dagli atti più sanguinari.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
Dunque, annullamento della personalità cosciente, predominio della
personalità incosciente, orientamento per via della suggestione e di
contagio dei sentimenti e delle idee in un medesimo senso, tendenza a
trasformare immediatamente in atti le idee suggerite: tali sono i principali
caratteri dell'individuo nella folla. Egli non é più sé stesso, ma un automa
diventato impotente a guidare la propria volontà.
Per il solo fatto di far parte di una folla, l'uomo discende di parecchi gradi
la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è
un istintivo, per conseguenza un barbaro. Egli ha la spontaneità, la
violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri
primitivi. Si fa simile ad essi anche per la sua facilità a lasciarsi
impressionare da parole, immagini, e guidare ad atti che ledono i suoi
interessi più evidenti. L'individuo della folla é un granello di sabbia in
mezzo ad altri granelli di sabbia che il vento solleva a suo capriccio.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
Non appena un certo numero di esseri viventi sono riuniti, si tratti d'un
branco di animali o di una folla d'uomini, si mettono istintivamente
sotto l'autorità di un capo, cioè di una guida.
Nelle folle umane, il caporione ha una parte notevole. La sua volontà é
il nodo intorno a cui si formano e si identificano le opinioni. La folla é
un gregge che non potrebbe far a meno di un padrone. Il condottiero
quasi sempre é stato prima un fanatico ipnotizzato dall'idea di cui in
seguito s'é fatto apostolo. Quest'idea ha talmente invaso che tutto
sparisce all'infuori di essa, e tutte le opinioni contrarie gli sembrano
errori e superstizioni. Così Robespierre, ipnotizzato dalle sue chimeriche
idee, e che adoperò i procedimenti dell'Inquisizione per propagarle.
G. Le Bon, Psicologia delle folle:
Gli agitatori tendono oggi a sostituire progressivamente i poteri
pubblici a misura che questi ultimi si lasciano discutere e
indebolire. Grazie alla loro tirannia, questi nuovi padroni
ottengono dalle folle una docilità completa che nessun governo
può ottenere. Se, per un incidente qualsiasi, il condottiero sparisce
e non é subito sostituito, la folla ridiventa una collettività senza
coesione né resistenza. Durante lo sciopero dei conducenti
d'omnibus a Parigi, fu sufficiente arrestare i due agitatori che lo
dirigevano, per farlo subito cessare. L'anima delle folle é sempre
dominata dal bisogno di servitù e non da quello di libertà. La
sete di obbedienza le fa sottomettere d'istinto a chi si dichiara
loro padrone.
STORIA DEL PENSIERO POLITICO
CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 5
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
Il Super-io impone all’Io inerme, che è in sua balia, criteri morali rigorosissimi; è in
generale il rappresentante delle esigenze della moralità e (…) il nostro senso morale di
colpa esprime la tensione fra l’Io e il Super-io.
(…) Tale coscienza (…) si pone in diretto contrasto con la vita sessuale, la quale esiste
realmente sin dall’inizio della vita e non sopravviene solo più tardi. Per contro il
bambino piccolo è notoriamente amorale, non ha alcuna inibizione interiore contro i
propri impulsi che anelano al piacere. La funzione che più tardi assume il Super-io viene
dapprima svolta da un potere esterno, dall’autorità dei genitori. I genitori esercitano il
loro influsso e governano il bambino mediante la concessione di prove d‘amore e la
minaccia di castighi; questi ultimi dimostrano al bambino la perdita dell’amore e sono
temuti per se stessi. Questa angoscia reale precorre la futura angoscia morale; finché
essa domina non c’è bisogno di parlare di Super-io e di coscienza morale. Solo in
seguito si sviluppa la situazione secondaria (…) in cui l’impedimento esterno viene
interiorizzato e al posto dell’istanza parentale subentra il Super-io, il quale ora osserva,
guida e minaccia l’Io, esattamente come facevano prima i genitori col bambino…
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
Fondamento di tale processo è la cosiddetta «identificazione», cioè l’assimilazione di un
Io a un Io estraneo in conseguenza della quale il primo Io si comporta sotto determinati
riguardi come l’altro, lo imita, lo accoglie in certo qual modo in sé. (…) L’insediamento
del Super-io può essere descritto come un caso ben riuscito di identificazione con
l’istanza parentale. (…) Questa neocreazione di un’istanza superiore nell’Io è
strettamente vincolata alla sorte del complesso edipico, talché il Super-io appare come
l’erede di questo legame emotivo così importante pe l’infanzia. (…) Il Super-io langue e
si atrofizza se il superamento del complesso edipico riesce solo in parte. Nel corso dello
sviluppo, il Super-io accoglie anche gli influssi di quelle persone che sono subentrate al
posto dei genitori, ossia educatori, insegnanti e modelli ideali. Normalmente eso si
allontana sempre più dalle individualità originarie dei genitori, diventa per così dire più
impersonale.
(…) Ci resta da menzionare ancora un’importante funzione che attribuiamo a questo
Super-io. Esso è anche l’esponente dell’ideale dell’Io, al quale l’Io si commisura, che
emula, e la cui esigenza di una sempre più ampia perfezione si sforza di adempiere…
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
Non abbiamo il diritto di chiamare ‘Sistema Inconscio’ il territorio
psichico estraneo all’Io, poiché il carattere di essere inconscio non
è esclusivo ad esso. Allora non useremo più il temine «inconscio»
in senso sistematico, ma daremo a quanto finora abbiamo
designato così un nome migliore, che non si presti più a malintesi.
Adeguandoci all’uso linguistico di Nietzsche (…) lo chiameremo
d’ora in poi «Es». Questo pronome impersonale sembra
particolarmente adatto ad esprimere il caratttere precipuo di questa
provincia psichica, la sua estraneità all’Io. Super-Io, Io ed Es sono
dunque i tre regni, territori, province, in cui scomponiamo
l’apparato psichico della persona e delle cui reciproche relazioni
ci occuperemo…
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
L’Es è la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità; il
poco che ne sappiamo, l’abbiamo appreso dallo studio del lavoro
onirico e della formazione dei sintomi nevrotici; di questo poco, la
maggior parte ha carattere negativo, si lascia descrivere solo per
contrapposizione all’Io. All’Es ci avviciniamo con paragoni: lo
chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti ribollenti. Ce lo
rappresentiamo come aperto all’estremità verso il somatico, di cui
accoglie i bisogni pulsionali, i quali trovano dunque nell’Es la loro
espressione psichica. Attingendo alle pulsioni, l’Es si riempie di
energia, ma non possiede un’organizzazione, non esprime una
volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per
i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio di piacere…
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
La concezione secondo la quale l’Io è quella parte dell’Es che è stata modificata dalla
vicinanza del mondo esterno non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la
parte predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione degli stessi. Il rapporto
con il mono esterno è diventato decisivo per l’Io, il quale si è assunto il compito di
rappresentarlo presso l’Es; fortunatamente per l’Es, il quale, incurante di questa
preponderante forza esterna, e anelando ciecamente al soddisfacimento pulsionale, non
sfuggirebbe all’annientamento. Nell’adempiere tale funzione, l’Io deve osservare il
mondo esterno, depositarne una fedele riproduzione nelle tracce mnestiche delle sue
percezioni, tener lontano, mediante l’esercizio dell’«esame di realtà», ciò che in questa
immagine del mondo esterno è un’aggiunta proveniente da fonti interne di eccitamento.
Per incarico dell’Es, l’Io domina gli accessi alla motilità, ma ha inserito tra bisogno e
azione la dilazione dell’attività di pensiero, Durante la quale utilizza i residui mnestici
dell’esperienza. In tal modo ha detronizzato il principio del piacere da cui il decorso dei
processi dell’Es è integralmente dominato e l’ha sostituito con il principio di realtà, che
promette più sicurezza e maggiore successo…
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
Il povero Io (…) è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di
mettere d’accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre tra loro
discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l’Io
fallisce così frequentemente nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il
Super-io e l’Es. (…) Ci è facile immaginare che certe pratiche mistiche possano
riuscire a rovesciare i normali rapporti fra i singoli territori della psiche, così che,
per esempio, la percezione sia in grado di cogliere eventi profondamente radicati
nell’Io o nell’Es, che le sarebbero stati altrimenti inaccessibili. Che per questa via si
possa giungere in possesso della sapienza suprema, da cui ci si aspetta la salvezza, è
lecito dubitarne. Tuttavia bisogna ammettere che gli sforzi terapeutici della
psicoanalisi seguono una linea in parte analoga. La loro intenzione è in definitiva di
rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente del Super-io, di ampliare il suo campo
percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove
zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad
esempio il prosciugamento dello Zuiderzee.
Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi:
Il povero Io (…) è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di
mettere d’accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre tra loro
discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l’Io
fallisce così frequentemente nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il
Super-io e l’Es. (…) Ci è facile immaginare che certe pratiche mistiche possano
riuscire a rovesciare i normali rapporti fra i singoli territori della psiche, così che,
per esempio, la percezione sia in grado di cogliere eventi profondamente radicati
nell’Io o nell’Es, che le sarebbero stati altrimenti inaccessibili. Che per questa via si
possa giungere in possesso della sapienza suprema, da cui ci si aspetta la salvezza, è
lecito dubitarne. Tuttavia bisogna ammettere che gli sforzi terapeutici della
psicoanalisi seguono una linea in parte analoga. La loro intenzione è in definitiva di
rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente del Super-io, di ampliare il suo campo
percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove
zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad
esempio il prosciugamento dello Zuiderzee.
Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):
…La teoria di Darwin non accorda un posto alle origini del totemismo. Un
padre violento, geloso, che tiene per sé tutte le femmine e scaccia i suoi figli
man mano che crescono: ecco tutto ciò che essa suppone. Questo stato
primitivo della società non è mai stato oggetto di analisi. L’organizzazione più
primitiva di cui siamo a conoscenza, e che ancora attualmente esiste in certe
tribù, consiste in una comunità di uomini che godono di uguali diritti e sono
sottomessi alle limitazioni del sistema totemico, ivi compresa l’eredità in linea
materna. Questa organizzazione potrebbe essere derivata da quella supposta
dall’ipotesi darwiniana? Ed in che modo vi si sarebbe giunti? Basandoci sulla
festa del banchetto totemico possiamo rispondere così a questo interrogativo:
un giorno, i fratelli scacciati si sono riuniti, hanno ucciso e mangiato il padre,
ponendo fine all’orda paterna. Una volta riunitisi, si sono fatti audaci e sono
stati in grado di realizzare ciò che ciascuno di loro, isolatamente, sarebbe stato
incapace di fare…
Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):

… E’ possibile che un nuovo processo della civilizzazione, l’invenzione


di una nuova arma, abbia dato loro la coscienza della loro superiorità.
Che essi abbiano mangiato il cadavere del padre non ci stupisce, dato
che si trattava di primitivi cannibali. Il violento progenitore costituiva
certamente il modello invidiato e temuto da ciascuno dei membri di
questa associazione fraterna. Essi realizzavano con l’atto del pasto la
loro identificazione con lui, ciascuno si appropriava di parte della sua
forza. Il banchetto totemico, che è forse la prima festa dell’umanità,
sarebbe la riproduzione e come la commemorazione di questa azione
memorabile e criminale che ha costituito il punto di partenza per tante
cose: organizzazioni sociali, limitazioni morali, religioni…
Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):
…Per trovare attendibili queste conseguenze, a prescindere dalle loro
premesse, è sufficiente riconoscere che il gruppo dei fratelli ribelli fosse
animato, nei confronti del padre, dai sentimenti contraddittori che ,
come sappiamo, costituiscono l’ambivalente contenuto del complesso
del padre nei nostri bambini e nelle nevrosi. Essi odiavano il padre che
con tanta violenza si opponeva ai loro desideri e alle loro esigenze
sessuali, e tuttavia l’amavano e l’ammiravano. Dopo averlo eliminato,
dopo aver placato il oro odio e realizzato la loro identificazione con lui,
essi dovettero dar sfogo agli impulsi affettuosi che erano stati
sopraffatti. Lo fecero sotto forma di pentimento; provarono un senso di
colpa che in questo caso coincide col rimorso sentito collettivamente. Il
morto divenne più potente del vivo; tutte cose che anche oggi troviamo
nelle vicende umane…
Sigmund Freud, Totem e tabù (1913):

…Ciò che prima il padre aveva impedito con la sua presenza, i


figli ora se lo proibivano da soli, nella situazione psichica nota in
psicanalisi come «obbedienza postuma». Essi rinnegarono la loro
azione, proibendo l’uccisione del totem, sostituto del padre, e
rinunciarono a goderne i frutti, rifiutando di avere rapporti sessuali
con le donne che ora erano libere. Così il rimorso filiale ha
generato i due tabù fondamentali del totemismo che coincidono
perciò con i due desideri rimossi del complesso di Edipo. Chi
contravveniva a questi tabù si rendeva colpevole dei due soli
crimini che interessassero la società primitiva…
S. Freud, Psicologia di massa e analisi dell’io (1921):

"Finché la formazione collettiva persiste e fin dove si


estende il suo dominio, gli individui si comportano come
se fossero omogenei, tollerano il modo di essere
peculiare dell'altro, si considerano uguali a lui e non
provano nei suoi confronti alcun sentimento di
avversione. In base alle nostre concezioni teoriche, tale
limitazione del narcisismo può essere il prodotto di un
solo fattore: il legame libidico con gli altri. L'amore per
se stessi trova un limite solo nell'amore esterno,
nell'amore volto agli oggetti".
S. Freud, Psicologia di massa e analisi
dell’io:
Per quanto riguarda il rapporto con il capo, esso va
ricondotto all'identificazione, che è " la prima manifestazione
di un legame emotivo con un'altra persona" e "tende a
configurare il proprio Io alla stregua dell'Io della persona
assunta come modello", determinando dunque la produzione
dell'ideale dell'Io.
«Il legame reciproco tra gli individui componenti la massa ha
la natura di tale identificazione dovuta a un importante
aspetto affettivo posseduto in comune. Si può supporre che
questa cosa in comune sia il tipo di legame istituito con il
capo».
S. Freud, Psicologia di massa e analisi
dell’io:
La “formula della costituzione libidica della
massa”:

“Una massa è un insieme di individui che


hanno assunto a loro ideale dell’Io lo stesso
oggetto e che pertanto si sono identificati
gli uni negli altri nel loro Io”.
S. Freud, Psicologia di massa e analisi
dell’io:
S. Freud, Psicologia di massa e analisi
dell’io:
"La massa ci appare quindi come una reminiscenza dell'orda
primordiale. Come in ogni singolo è virtualmente conservato
l'uomo primigenio, così a partire da un raggruppamento umano
qualsivoglia può ricostituirsi l'orda primordiale; nella misura in
cui la formazione collettiva domina abitualmente gli uomini, in
essa riconosciamo la continuazione dell'orda primordiale.
Dobbiamo concludere che la psicologia della massa è la
psicologia più antica: ciò che, omettendo tutti i residui collettivi,
abbiamo isolato come psicologia individuale, si è venuto
staccando dalla vecchia psicologia collettiva solo in un secondo
tempo, gradualmente e in un certo senso in modo tuttora parziale".
S. Freud, Psicologia di massa e analisi
dell’io:
"Il carattere perturbante, costrittivo, della formazione
collettiva, il quale è manifesto nei fenomeni di suggestione
che la contraddistinguono, può quindi venir con ragione
ricondotto alla sua derivazione dall'orda primordiale. Il
capo della massa è ancora sempre il temuto padre
primigenio, la massa continua a voler essere dominata da
una violenza senza confini, è sempre sommamente avida
di autorità, ha, secondo l’espressione di Le Bon, sete di
sottomissione. Il padre primigenio è l'ideale della massa
che domina l'Io anziché l'Ideale dell'Io".
STORIA DEL PENSIERO POLITICO
CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 6
II SEMESTRE
A.A. 2017-2018
George Sorel, Riflessioni sulla violenza:
«Gli uomini che partecipano ai grandi movimenti sociali si figurano le
loro future azioni sotto forma di immagini di battaglie per assicurare il
trionfo della loro causa. Io proponevo di chiamar ‘miti’ tali costruzioni,
la cui comprensione è di così alta importanza per lo storico: in questo
senso, lo sciopero generale dei sindacalisti e la rivoluzione catastrofica
di Marx sono miti. Come esempi notevoli di miti ho dato quelli costruiti
dal cristianesimo primitivo, dalla Riforma, dalla Rivoluzione, dai
mazziniani; ciò che volevo mostrare è che non bisogna cercare di
analizzare un tale sistema di immagini allo stesso modo che si scompone
una cosa nei suoi elementi; e che, invece, bisogna prenderli nel loro
insieme, come energie storiche; e guardarsi, soprattutto, dal confrontare
i fatti compiuti con le rappresentazioni fantastiche formatesi prima
dell’azione».
George Sorel, Riflessioni sulla violenza:
Un mito non troverebbe possibilità di essere
rifiutato, poiché esso è, nell’insieme,
identico alle convinzioni di un gruppo, ed è
l’espressione di queste convinzioni in
linguaggio di movimento, e quindi, per
conseguenza, non è scomponibile in parti, le
quali si possano applicare su di un piano di
descrizioni storiche.
George Sorel, Riflessioni sulla viiolenza:
il socialismo è diventato una preparazione delle masse impiegate dalla
grande industria, le quali vogliono sopprimere lo Stato e la società; da
ora in avanti il modo in cui gli uomini si adopereranno per godere la
felicità futura non sarà più oggetto di ricerca; tutto si riduce
all’apprendistato rivoluzionario del proletariato. Disgraziatamente Marx
non aveva sotto gli occhi i fatti che ci sono divenuti familiari; noi
sappiamo meglio di lui ciò che sono gli scioperi, perché abbiamo potuto
osservare conflitti economici considerevoli per estensione e durata; il
mito dello sciopero generale è divenuto popolare ed ha fatto solida presa
nei cervelli; in fatto di violenza noi abbiamo delle idee che Marx non
avrebbe potuto formarsi facilmente; noi dunque possiamo completare la
sua dottrina, invece di commentare i suoi testi come per tanto tempo
hanno fatto dei malfortunati discepoli.
George Sorel, Riflessioni sulla violenza:
Oggi la fiducia dei socialisti è più grande che mai da quando
il mito dello sciopero generale domina tutto il movimento
realmente operaio. Un insuccesso non può provare niente
contro il socialismo dopo che esso è divenuto un lavoro di
preparazione; se viene sconfitto, ciò vuol dire che la
preparazione è stata insufficiente; bisogna rimettersi
all’opera con più coraggio, più insistenza, più fiducia che
mai; la pratica del lavoro ha insegnato agli operai che è
mediante un paziente apprendistato che si può divenire un
vero compagno; ed è anche la sola maniera per divenire un
vero rivoluzionario…
George Sorel, Riflessioni sulla violenza:
Sappiamo che lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel
quale si racchiude tutto intero il socialismo, cioè a dire una organizzazione
di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che
corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal
socialismo contro la società moderna. Gli scioperi hanno fatto nascere nel
proletariato i sentimenti più nobili, più profondi e più stimolanti all’azione
che esso possiede; lo sciopero generale li raggruppa tutti in un quadro
d’insieme e, attraverso il loro reciproco accostamento, porta ciascuno di
essi alla sua massima intensità; facendo appello a dei ricordi molto intensi
di conflitti singoli, colora di una vita intensa tutti i dettagli della
composizione presentata alla coscienza. Otteniamo così questa intuizione
del socialismo che il linguaggio non poteva dare in modo perfettamente
chiaro – e l’otteniamo in una totalità percepita istantaneamente.
George Sorel, Riflessioni sulla violenza:
Sappiamo che lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel
quale si racchiude tutto intero il socialismo, cioè a dire una organizzazione
di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che
corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal
socialismo contro la società moderna. Gli scioperi hanno fatto nascere nel
proletariato i sentimenti più nobili, più profondi e più stimolanti all’azione
che esso possiede; lo sciopero generale li raggruppa tutti in un quadro
d’insieme e, attraverso il loro reciproco accostamento, porta ciascuno di
essi alla sua massima intensità; facendo appello a dei ricordi molto intensi
di conflitti singoli, colora di una vita intensa tutti i dettagli della
composizione presentata alla coscienza. Otteniamo così questa intuizione
del socialismo che il linguaggio non poteva dare in modo perfettamente
chiaro – e l’otteniamo in una totalità percepita istantaneamente.
George Sorel, Riflessioni sulla violenza:
Lo studio dello sciopero generale ci porta a comprendere meglio una
distinzione che si deve avere sempre presente quando si riflette sulle
questioni sociali contemporanee. Talvolta si impiegano i termini forza e
violenza parlando degli atti dell’autorità, talvolta parlando degli atti di
rivolta. E? chiaro che i due casi danno luogo a conseguenze molto
differenti. Io sono dell’avviso che ci sarebbero grandi vantaggi ad adottare
una terminologia che non dia luogo ad alcuna ambiguità e che bisognerebbe
riservare il termine violenza per la seconda accezione; noi diremmo dunque
che la forza ha per obiettivo di imporre l’organizzazione di un certo ordine
sociale nel quale una minoranza governa, mentre la violenza tende alla
distruzione di quest’ordine. La borghesia ha utilizzato la forza fin
dall’inizio dei tempi moderni, mentre il proletariato reagisce oggi contro di
essa e contro lo Stato attraverso la violenza.
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
Bisognerà forse (…) prendere in considerazione la
sorprendente possibilità che l'interesse del diritto a
monopolizzare la violenza rispetto alla persona singola
non si spieghi con l'intenzione di salvaguardare i fini
giuridici, ma piuttosto con quella di salvaguardare il
diritto stesso. E che la violenza, quando non è in
possesso del diritto di volta in volta esistente, rappresenti
per esso una minaccia, non a causa dei fini che essa
persegue, ma della sua semplice esistenza al di fuori del
diritto.
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
Per quanto possa sembrare a prima vista paradossale, si può definire, in certe condizioni,
come violenza anche un contegno assunto nell'esercizio di un diritto. E precisamente questo
contegno, ove sia attivo, potrà dirsi violenza, quando esercita un diritto che gli compete per
rovesciare l’ordinamento giuridico in virtù del quale esso gli è conferito; ove sia passivo,
potrà essere definito allo stesso modo, se rappresenta un ricatto nel senso delle considerazioni
precedenti. Testimonia quindi solo di una contraddizione oggettiva nelle situazione giuridica.
e non già di una contraddizione logica nel diritto che esso si opponga, in certe condizioni, con
la violenza alla violenza degli scioperanti. Poiché nello sciopero lo Stato teme, più di ogni
altra cosa, quella funzione della violenza che questa indagine si propone appunto di
determinare come unico fondamento sicuro della sua critica. Poiché se la violenza, come
sembra a prima vista, fosse semplicemente il mezzo di assicurarsi direttamente di quella cosa
qualunque a cui si mira. essa potrebbe assolvere al suo scopo solo come violenza di rapina. E
sarebbe affatto inetta a fondare o modificare rapporti in modo relativamente stabile. Ma lo
sciopero mostra che essa può farlo, che essa è in grado di fondare e modificare rapporti
giuridici, per quanto il sentimento di giustizia possa restarne offeso…
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
Ogni violenza (Gewalt) è, come mezzo,
potere che pone o che conserva il diritto. Se
non pretende a nessuno di questi due
attributi rinuncia da sé a ogni validità. Ma
ne consegue che ogni violenza come mezzo
partecipa, anche nel caso piú favorevole,
alla problematicità del diritto in generale.
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
Poiché il diritto positivo, dove è consapevole delle sue radici, pretenderà
senz’altro di riconoscere e di promuovere l'interesse dell'umanità nella
persona di ogni singolo. Esso vede questo interesse nell'esposizione e nella
conservazione di un ordine stabilito dal destino. E anche se quest'ordine
(che il diritto afferma a ragione di custodire) non può sfuggire alla critica
resta tuttavia impotente, nei suoi confronti, ogni contestazione che si affacci
solo in nome di una «libertà» informe, senza essere in grado di definire
quell'ordine superiore di libertà. E tanto più impotente se non impugna
l'ordinamento giuridico stesso in tutte le sue parti, ma singole leggi o
consuetudini giuridiche, che poi, del resto, il diritto prende sotto la custodia
del suo potere che consiste in ciò che c’è un solo destino e che proprio ciò
che esiste e soprattutto ciò che minaccia, appartiene irrevocabilmente al suo
ordinamento. Poiché il potere che conserva il diritto è quello che
minaccia…
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
La funzione della violenza nella creazione giuridica è (…) duplice
nel senso che la creazione giuridica, mentre persegue ciò che
viene instaurato come diritto, come scopo, con la violenza come
mezzo, pure – nell’atto di insediare come diritto lo scopo
perseguito – non depone affatto la violenza, ma ne fa solo ora in
senso stretto, e cioè immediatamente, violenza creatrice di diritto,
in quanto insedia come diritto, col nome di potere (Macht), non
già uno scopo immune e indipendente dalla violenza, ma
intimamente e necessariamente legato ad essa. Creazione di diritto
è creazione di potere, e in tanto un atto di immediata
manifestazione di violenza. Giustizia è il principio di ogni finalità
divina, potere il principio di ogni diritto mitico.
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
Lungi dall’aprirci una sfera più pura, la manifestazione mitica della
violenza immediata si rivela profondamente identica ad ogni potere
giuridico, e trasforma il sospetto della sua problematicità nella certezza
della perniciosità della sua funzione storica, che si tratta quindi di
distruggere. E questo compito pone, in ultima istanza, ancora una volta
il problema di una violenza pura immediata, che possa arrestare il corso
della mitica. Come in tutti i campi al mito Dio, così, alla violenza
mitica, si oppone quella divina, che ne costituisce l’antitesi in ogni
punto. Se la violenza mitica pone il diritto, la divina lo annienta, se
quella pone limiti e confini, questa distrugge senza limiti, se la violenza
mitica incolpa e castiga, quella divina purga ed espia, se quella incombe,
questa è fulminea, se quella è sanguinosa, questa è letale senza sangue…
W. Benjamin, Per la critica della violenza (1921):
Il sangue è il simbolo della nuda vita. La dissoluzione
della violenza giuridica risale quindi (…) alla
colpevolezza della nuda vita naturale, che affida il
vivente, innocente e infelice, al castigo, che ‘espia’ la sua
colpa – e purga anche il colpevole, non però da una
colpa, ma dal diritto. Poiché con la nuda vita cessa l
dominio del diritto sul vivente. La violenza mitica è
violenza sanguinosa sulla nuda vita in nome della
violenza: la pura violenza divina sopra ogni vita in nome
del vivente.
STORIA DEL PENSIERO POLITICO
CONTEMPORANEO
Docente Prof. Scuccimarra

Lezione n. 7
II SEMESTRE
A.A. 2018-2019
Lenin, Che fare? (1903)
Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una
strada dirupata e difficile, tenendoci per mano. Siamo da
ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre
marciare sotto il loro fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di
una decisione liberamente presa, proprio per combattere
i nostri nemici e non sdrucciolare nel vicino pantano, i
cui abitatori, fina dal primo momento, ci hanno
biasimato per aver costruito un gruppo a parte e preferito
la via della lotta alla via della conciliazione.
Lenin, Che fare? (1903)
La coscienza politica di classe può essere portata all‘operaio solo
dall‘esterno, cioè dall‘esterno della lotta economica, dall‘esterno della
sfera dei rapporti tra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile
attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di
tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo
dei rapporti reciproci di tutte le classi. Perciò alla domanda: che cosa fare
per dare agli operai cognizioni politiche? Non ci si può limitare a dare
una sola risposta, a dare quella risposta che nella maggior parte dei casi
accontenta i militanti, soprattutto quando essi pencolano verso
l‘economismo, e cioè: "andare tra gli operai". Per dare agli operai
cognizioni politiche, i socialdemocratici devono andare fra tutte le classi
della popolazione, devono inviare in tutte le direzioni i distaccamenti del
loro esercito.
Lenin, Che fare? (1903)
L’ideale del socialdemocratico non deve essere il segretario di una
trade-union, ma il tribuno popolare, il quale sa reagire contro ogni
manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa si
manifesti e qualunque sia la classe o la categoria sociale che ne
soffre, sa generalizzare tutti questi fatti e trame il quadro completo
della violenza poliziesca e dello sfruttamento capitalistico; sa,
infine, approfittare di ogni minima occasione per esporre dinanzi a
tutti le proprie convinzioni socialiste e le proprie rivendicazioni
democratiche, per spiegare a tutti l'importanza storica mondiale
della lotta emancipatrice del proletariato.
Lenin, Che fare? (1903)
Tutti coloro che parlano di "sopravvalutazione della
ideologia", di esagerazione della funzione dell'elemento
cosciente, ecc., immaginano che il movimento puramente
operaio sia di per sé in grado di elaborare - ed elabori in
realtà - una ideologia indipendente; che ciò che più conta
sia che gli operai "strappino dalle mani dei dirigenti le
loro sorti". Ma questo è un profondo errore.
Lenin, Che fare? (1903)
Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse
masse operaie nel corso stesso del loro movimento, la questione si può porre solamente
così: o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c'è via di mezzo (poiché l'umanità
non ha creato una "terza" ideologia, e, d'altronde, in una società dilaniata dagli
antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori o al di sopra
delle classi). Ecco perché ogni menomazione dell'ideologia socialista, ogni
allontanamento da essa implica necessariamente un rafforzamento dell'ideologia
borghese. Si parla della spontaneità; ma lo sviluppo spontaneo del movimento operaio fa
sì che esso si subordini all'ideologia borghese, che esso proceda precisamente secondo il
programma del "Credo", perché il movimento operaio spontaneo è il tradunionismo, (…)
e il tradunionismo è l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia. Perciò il nostro
compito, il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità,
nell'allontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a
rifugiarsi sotto l'ala della borghesia; il nostro compito consiste nell'attirare il movimento
operaio sotto l'ala della socialdemocrazia rivoluzionaria.
Excursus sul concetto di ideologia in Marx

1) Credenze illusorie o socialmente sconnesse, che si


considerano il fondamento della storia e che distraendo
gli uomini e le donne dalle loro vere condizioni sociali
(comprese le determinazioni sociali delle loro idee),
servono a sorreggere un potere oppressivo.
Il contrario di ciò è una conoscenza esatta e
spregiudicata delle condizioni sociali materiali
Excursus sul concetto di ideologia in Marx

2) Idee che esprimono direttamente gli interessi


materiali della classe sociale dominante e che
sono utili alla difesa del suo dominio.
Il contrario di ciò è o la vera conoscenza
scientifica o la coscienza delle classi non
dominanti.
Excursus sul concetto di ideologia in Marx

3) Tutte le forme concettuali in cui si combatte la


lotta di classe, compresa probabilmente l valida
coscienza di forze politicamente rivoluzionarie. Il
contrario di ciò è qualsiasi concezione al
momento non coinvolta nella lotta.
Excursus sul concetto di ideologia in Marx

4) Una non verità esistente, praticamente fondata,


dotata di conseguenze pratiche ed infine
interamente sopprimibile soltanto attraverso la
prassi. (Il Capitale, Analisi del feticcio della
merce)
Lenin, I compiti del proletariato nella nostra
rivoluzione (1917)

Il marxismo si distingue dall’anarchismo in ciò che esso


riconosce la necessità di uno Stato per il passaggio al
socialismo, ma non […] di uno Stato del tipo della
repubblica democratica borghese parlamentare ordinaria,
ma bensì di uno Stato del tipo della Comune di Parigi del
1871, del tipo dei Soviet dei deputati operai del 1905 e
del 1917.
Lenin, Stato e rivoluzione (1917)

Aspirando al socialismo, noi abbiamo la convinzione che


esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà
quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza
contro gli uomini, alla sottomissione di un uomo a un
altro, di una parte della popolazione a un’altra, perché gli
uomini si abitueranno a osservare le condizioni
elementari della convivenza sociale, senza violenza e
senza sottomissione.

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