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Anoressia e bulimia sono sintomi alla moda, sosteneva Hilde Bruch.

Cosa intendiamo oggi con questa


affermazione? La diffusione dell’anoressia-bulimia è un effetto dell’influenza esercitata dall’industria della
moda? Possiamo far coincidere la diffusione epidemica della patologia con la diffusione mediatica?
Potremmo, ma sarebbe troppo poco per determinarne la causa dello scatenamento. L’anoressia è un
sintomo nuovo non perché lo scopriamo ora per la prima volta, ma per come si allaccia all’Ideale sociale che
in quest’epoca è inesistente, è crollato, non serve più come bussola che orienta il soggetto nel trovare
un’identificazione, un riconoscimento.
Il disturbo anoressico-bulimico non è un problema dell’appetito. Il rifiuto ostinato del cibo o la sua ricerca
compulsiva sono i due modi di agire che caratterizzano la sindrome anoressico-bulimica, ma i disturbi
alimentari non sono malattie dell’appetito quanto piuttosto dell’amore, un modo di esprimere disagi
psicologici profondi. È una sofferenza che cela gelosamente i suoi segreti: lutti, separazioni, abbandoni,
eventi traumatici. Sicuramente per i genitori è più semplice credere che sia solo un problema di appetito,
ma le cause sono ben diverse ed è indispensabile che la famiglia sia in grado di chiedersi cosa faccia soffrire
il soggetto da spingerlo ad esprimersi in un modo così estremo.
Chi colpisce? Se ne ammalano quasi esclusivamente le donne, accompagnate da una piccolissima
percentuale di uomini. Si tratta di un disturbo enigmatico declinato al femminile e per decifrarlo è
essenziale distogliere lo sguardo dalla questione alimentare e concentrarlo sull’essere della donna, spostarsi
dallo stomaco al cuore. Ha effetti curativi molto efficaci offrire uno spazio di ascolto dove dare parola ai pesi
che gravano sulle spalle delle pazienti.
L’insorgenza dell’anoressia-bulimia spesso coincide con l’adolescenza, periodo in cui avvengono il
passaggio dal corpo infantile a quello adulto, la separazione dalla famiglia e l’ingresso nella società, che
generano nuove richieste e particolari bisogni da affrontare. Se la maggior parte delle ragazze riesce a
superare con successo la fase adolescenziale, ve ne sono delle altre che purtroppo non ce la fanno e la
causa di quest’impasse è da ricercare negli eventi della loro storia di vita, non nell’alimentazione. C’è
qualcosa della femminilità che è rifiutato e lo testimonia il fatto che il dimagrimento è accompagnato
dall’interruzione delle mestruazioni, segno di femminilità per antonomasia.
L’insorgenza del sintomo intacca l’equilibrio familiare. Non è facile per i genitori essere coinvolti in un
problema come questo: le insicurezze, l’impotenza, i sensi di colpa sono tanti ed è frequente che non
sappiano cosa fare o facciano la cosa sbagliata. Capita molto spesso che l’eccessiva perdita di peso li porti a
diventare particolarmente insistenti con la figlia per indurla a nutrirsi, ma questo è assolutamente errato e
non fa che offrirsi come appiglio: il cibo sembra essere così importante a scapito dei bisogni affettivi che
l’anoressica inconsciamente rafforza ancor di più la sua decisione di dimagrire. Inizia, così, una lotta
interminabile che conduce immancabilmente ad un peggioramento della situazione. In questi casi, è
opportuno non colpevolizzare o accusare come se il problema dipendesse dalla volontà, l’affetto e la fiducia
sono certamente più utili dei rimproveri e delle costrizioni.
Ciò che più preoccupa è l’incapacità dei soggetti anoressici di rendersi conto della situazione e il
continuare a ritenersi sovrappeso, che porta al perdurare dell’astensione dal cibo e delle pratiche di
espulsione, senza mai concedersi una tregua. Solitamente, questo può avere delle forti ripercussioni sul
corpo e, nei casi più gravi, condurre al decesso. Spesso si riscontra la cosiddetta dismorfofobia: nonostante
la perdita di peso, permane la convinzione di essere grassi e l’unica soluzione sembra essere il continuare a
dimagrire. Astenersi dal cibo è vissuto come un segno di forza e controllo, per questo il chiedere aiuto a
qualcuno non viene quasi mai preso in considerazione. I primi a chiedere aiuto sono di solito i genitori che,
angosciati, si rivolgono ad un centro specializzato in grado di supportarli ed aiutarli a fare chiarezza. Si
ripercorrono con loro le tappe della storia del soggetto anoressico, analizzando le dinamiche familiari in
gioco e cercando di capire cosa si è interrotto, offrendo uno spazio dove possano parlare dei loro problemi
senza sentirsi giudicati. Spesso accade che, dopo un certo periodo di colloqui con i genitori, il soggetto si
senta rassicurato ed accetti di iniziare un percorso psicoterapeutico.

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