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SOMMARIO:
global warming
(riscaldamento globale)
L'argomento su cui in concreto si ragiona è quello dell'aumento delle temperature
medie sul pianeta, e delle nefaste conseguenze previste per il clima
(conseguenze che secondo alcuni studiosi già iniziate, con l'imponente verificarsi
di recenti fenomeni quali inondazioni, tsunami, uragani, siccità: fenomeni sì
sempre esistiti, ma ora con frequenza e intensità sempre più ingravescenti).
Il motivo per cui la temperatura media del pianeta và aumentando è stato
da tempo attribuito alla eccessiva produzione e rilascio di gas serra e in
particolare di CO2 (anidride carbonica) in atmosfera. Fu quindi sottoscritto, con il
protocollo di Kyoto, l'impegno solenne dei Paesi sottoscrittori di ridurre le proprie
emissioni di CO2 nell'atmosfera.
Fece scalpore all'epoca, l'assenza tra i firmatari dell'accordo degli USA.
Più atteso quello, altrettanto importante, della Cina. Le due assenze, molto
pesanti per l'entità dell'inquinamento prodotto da quei due Paesi, in un certo qual
modo hanno svuotato di senso tutto il protocollo di Kyoto.
*
Lo scopo dell'accordo da raggiungere a Copenhagen è dunque quello
di un nuovo e più ampio trattato per fronteggiare i cambiamenti
climatici, per giungere a condotte efficaci nello scongiurare il cataclisma
climatico.
2) I termini del problema
Salvare il Pianeta. Con questa missione, si è tenuta dal 7 al 18 dicembre 2009 al
Bella Center di Copenhagen la conferenza internazionale detta COP15 (da "15th
Conference of the Parties"). Quasi tutti i Paesi del Globo riuniti per 11 giorni nella
capitale danese, ribattezzata per l'occasione "Hopenhagen", il porto della
speranza.
Preceduta da annunci clamorosi, ricche di enfasi sulla minaccia epocale, questa
conferenza si è fatta rappresentare come l’ultima occasione utile per invertire la
rotta e garantire ancora un futuro. Dopo sarà drammaticamente troppo tardi.
Lo conferma un gruppo di 1500 scienziati che dal 1988 lavora per le Nazioni
Unite sui problemi del cambiamento climatico (gruppo denominato UN-IPCC o
anche semplicemente IPCC: International Panel on Climate Change). Costoro
hanno elaborato in vari studi scientifici la conclusione che, se il pianeta vuole
evitare la catastrofe ambientale, bisogna contenere entro i due gradi l’aumento
della temperatura media dell’atmosfera terrestre da qui al 2100.
Ci dicono che la temperatura media della Terra è aumentata di 0,74°C nel
periodo dal 1906 al 2005 e sostengono che il riscaldamento continuerà ancora,
soprattutto con l'incremento dei gas serra.
Tutto lascia intendere che il “punto di non ritorno” non sia lontanissimo nel
tempo, forse qualche anno, forse un decennio, o poco più. In altre parole, se non
si interviene "da subito" e con estrema decisione, "dopo" sarà troppo tardi per
invertire la rotta. Sarà letteralmente impossibile per il pianeta recuperare, poichè
si và oltre la sua capacità di rigenerazione.
Durante l'ultima generazione i pericoli sono diventati più evidenti: 11 degli ultimi
14 anni sono stati i più caldi mai registrati, la calotta artica si sta sciogliendo e
sono già aumentati in modo tremendo i prezzi del petrolio e dei generi alimentari.
La domanda degli scienziati non è più se la causa sia imputabile all'Uomo, ma
solo quanto tempo ci rimane per contenere i danni.
The age of stupid
Fece clamore la presentazione, in anticipo di pochi mesi rispetto alla conferenza
danese, di un documentario appositamente concepito per diffondere ed illustrare
i termini del problema climatico e l'urgenza dell'intervento.
Il documentario, di produzione britannica, indipendente e collettiva (223
finanziatori per 450mila dollari), è stato intitolato «The age of stupid».
Accantonato dai più saggi il mito paradossale della crescita economica infinita su
un pianeta dotato di risorse finite, si devono invece ancora sradicare altri miti: il
mito più tenace è quello della fede nella "soluzione tecnologica", chiamata a
portare soluzioni per superare qualunque limite, per restituirci energia senza
inquinare e fabbricare acqua non inquinata. In realtà, come gli struzzi, si
nasconde il vero problema che è quello di arrivare ad instaurare una "decrescita
felice" dei consumi, di abbattere gli sprechi, di agire in coordinamento e armonia
internazionale. Il nodo è che i politici odierni non sono capaci di proporre sacrifici
ai loro elettori, non hanno sufficiente carisma né possono pensare di imporli con
la forza. Invece occorrono provvedimenti impopolari ed immediati.
Uno dei primi temi toccati dalla conferenza sarà il REDD (riduzione delle
emissioni da deforestazione e degrado forestale), che si tradurrà nella proposta
di offrire ai paesi crediti di emissioni per fermare la deforestazione.
Si stima infatti che il 20% delle emissioni di gas serra sia dovuto alla
deforestazione e al degrado forestale. Il tema del REDD non basta a risolvere il
problema ma è una parte della soluzione.
Si cercano quindi ancora le alternative
Studiando l'efficienza energetica oppure le tecniche di sequestro di CO2 (tipo lo
stoccaggio del gas in caverne sotterranee). Si studiano strumenti pratici quali
incentivi economici (la cosiddetta fiscalità verde).
Le idee peggiori sono quelle di un "Ets" (Emission Trading Scheme), cioè in
termini brutali la mercificazione dell'aria, la compravendita dei diritti ad emettere
CO2. Situazione che destina i Paesi ricchi a comprarsi il diritto dei poveri ad
inquinare e quindi andando ad inquinare al posto loro... e che in fondo più che
salvaguardare il pianeta può al massimo rianimare qualche economia dei soliti
pochi e noti Paesi "fortunati". E' insomma la vecchia mentalità di scaricare i costi
su qualcun altro, ricorrendo, se inevitabile a spese di denaro, pur di difendere i
propri privilegi.
Ma è una mentalità perdente per risolvere i problemi globali su un pianeta dal
clima malato e che nel suo insieme non può scaricare ad altri i propri problemi.
Tutte queste soluzioni ventilate mi sembrano però solo dei palliativi, utili al
massimo per guadagnare qualche anno di tempo, prima di convincerci a
correggere il nostro stile di vita. Serve, e deve essere preparata da subito, una
rivoluzione verde, che avrà un inevitabile impatto sociale, culturale, economico e
industriale senza precedenti. Cambiamenti difficili e faticosi: per poterli attuare
occorre maggiore consapevolezza del punto a cui siamo, occorre la
consapevolezza dei popoli. E questa occorre favorirla e stimolarla, anche con
decisioni politiche pregiate, coordinate, condivise ed urgenti.
Serve più la mobilitazioni dei popoli che le auto elettriche e i pannelli solari (che
sono comunque graditi). Servono più foreste, ma anche meno spreco.
Obiettivi minimi
In ogni caso, in termini strettamente pragmatici, dal Trattato di Copenhagen si
vuole ottenere il primo, e non più rinviabile, passo in avanti: un accordo
vincolante per un impegno comune di tutti nella forte riduzione delle emissioni.
Partendo dai dati attuali significherebbe ridurre entro il 2015 le emissioni del 80%
per i Paesi ricchi e del 20% per gli altri Paesi. Infatti per una efficace riduzione
delle emissione di CO2, occorre ridurre le emissioni soprattutto da parte di quei
Paesi che più inquinano.
E’ facile leggere come Stati Uniti e Cina siano i Paesi che inquinano più di tutti,
ma è altresì evidente che, rispetto alla Cina, gli Stati Uniti e molti Stati europei
inquinino di più in base al valore pro capite.
Se i principali inquinatori del mondo non fanno la loro parte, è difficile ipotizzare
che siano disposti a farlo gli altri. E' ovvio che Paesi come l'India reclamino il loro
diritto a poter elevare le emissioni in base ad un bassissimo valore pro-capite.
Da queste valutazioni, oltre che dalle logiche di potere per l'egemonia, nascono
le posizioni politiche che alla fine hanno affossato il concretizzarsi di un “accordo
solido ed immediatamente efficace”, che era invece auspicato dall'ONU.
*
Ma prima di continuare, vedendo le differenti posizioni politiche,
occorre capire le diverse posizioni scientifiche sul global warming...
4) gli “scettici” (gli scienziati contestatori)
Gli allarmi lanciati dall'IPCC non sono unanimemente condivisi nel mondo
scientifico internazionale. Il fronte dei contestatori alla lotta al global-warming è
molto nutrito e anche molto differenziato.
Numerosi scienziati e persone appassionate, più o meno direttamente addette ai
lavori, contestano i numeri e i dati di chi sostiene invece la ineluttabilità di una
lotta al global warming. Le contestazioni toccano diversi aspetti.
Occorre distinguere: a) chi contesta l'esistenza del fenomeno chiamato global-
warming; b) chi contesta che la causa del riscaldamento sia la CO2; c) chi
contesta che l'Uomo sia la causa del riscaldamento globale; d) chi contesta le
soluzioni che si vogliono proporre; e) chi contesta comunque la presunzione di
proporre soluzioni (contesta la presunzione di contrastare i mutamenti climatici):
secondo quest'ultimi dovremmo semplicemente adattarci a quel che accadrà (e
biologicamente avverrà indipendentemente dalla nostra volontà), dovremmo
affidarci serenamente "al corso naturale degli eventi".
Bisogna ricordare che da anni esistono scienziati che contestano i calcoli legati
all' "effetto serra" e alle previsioni climatiche connesse e che attaccano i lavori e
le conclusioni dell'organismo scientifico internazionale ONU: l'IPCC (insomma li
dipingono come dei catastrofisti). E accusano sia i ricercatori che i gruppi
ambientalisti di voler lucrare sulla paura del cambiamento climatico per trovare
ulteriori finanziamenti e sostegno economico e politico.
Alcuni ambientalisti hanno viceversa accusato questi contestatori di prendere
soldi sotto-banco dalle aziende petrolifere, fatto verificatosi sicuramente in alcuni
casi: clamoroso il caso della UCS (Union of Concerned Scientists), che raccoglie
decine di organizzazioni di scettici (tra cui anche alcuni ricercatori) che
contestano la matrice antropica del riscaldamento globale. La Royal Society
biasimò alcuni finanziamenti dati dalla multinazionale Exxon negli anni 1998-
2005 alla UCS. La Exxon ha infatti finanziato le loro campagne di contestazione
erogando in sette anni la bellezza di 16 milioni di dollari.
Quindi chi sono veramente questi contestatori? tutti scienziati o pazzi o gruppi
prezzolati e corrotti, oppure no?
Ad ogni modo, le contestazioni hanno trovato negli anni più volte spazio anche
sulla stampa. Ho potuto quindi fare qualche ricerca. Fa un certo effetto per
esempio scoprire che esiste (ed è pubblicamente disponibile in rete in file pdf) un
documento depositato al Senato degli USA nel quale, al 16 marzo 2009 si
raccolgono i nomi di 700 scienziati internazionali che dissentono dalla teoria del
AGW (“More Than 700 International Scientists Dissent Over Man-Made Global
Warming Claims”). Ulteriori pubblicazioni e analisi sono state presentate anche a
ridosso della conferenza.
*
Oggettivamente i dati sono controversi, e non ho le competenze sufficienti
per dire chi abbia ragione. E anche i fenomeni climatici sono complessi.
Più di quanto appaia ad un primo sguardo superficiale.
Non sono in grado di descrivere neanche a grandi linee tale complessità, riporto
solo alcuni esempi, in termini molto semplici, per accennare alla complessità dei
fenomeni in gioco: un riscaldamento, qualunque sia la causa, può in generale
provocare sia effetti che inducono ulteriore riscaldamento (retroazione positiva),
oppure al contrario effetti che agevolano il raffreddamento (retroazione negativa).
La principale retroazione positiva nel sistema climatico è legata al vapore
acqueo, mentre la principale retroazione negativa è considerata quella legata alle
emissioni di radiazione infrarossa. Più la Terra si scalda, più cede calore.
Nel primo caso, con un aumento di temperatura, si ha una precisa relazione con i
fenomeni della evaporazione dell'acqua: ad un maggiore rilascio di vapore
acqueo corrisponde un maggiore effetto serra e di conseguenza un ulteriore
contributo al riscaldamento.
Viceversa con il riscaldamento c'è maggiore cessione di calore, tramite la
radiazione infrarossa (che cambia in funzione della temperatura): all'aumentare
della temperatura di un corpo, la radiazione emessa aumenta in proporzione alla
potenza quarta della sua temperatura assoluta (legge di Stefan-Boltzmann):
dove:
(nota: la legge così formulata vale solo per i corpi neri ideali)
In pratica si verifica una retroazione negativa talmente potente che stabilizza il
sistema climatico nel tempo.
Altro fenomeno: il disgelo del permafrost può rilasciare ulteriori gas serra (in
Siberia si è visto che le torbiere ghiacciate contengono CO2 e gas metano).
Anche i fondali oceanici potrebbero contenere gas metano, sotto forma di idrati e
clatrati di metano, che verrebbero rilasciati in atmosfera con l'aumento della
temperatura.
Oltre ai fenomeni fisici, come gli esempi fatti fin qui, entrano in gioco anche i
fenomeni legati agli ecosistemi e agli organismi viventi: gli ecosistemi oceanici
hanno la capacità di trattenere (“sequestrare”) il carbonio. Nell'oceano tra i 200 e
i 1000m di profondità, di fronte ad un aumento della temperatura si riscontra una
riduzione delle quantità di nutrienti. Si osserva una limitazione della crescita delle
diatomee in favore dello sviluppo del fitoplancton. Tuttavia le diatomee hanno
una maggiore capacità di agire come pompa biologica del carbonio rispetto al
fitoplancton e quindi avremo meno CO2 sequestrata (e più CO2 in atmosfera con
in ultima analisi, anche qui, una retroazione positiva).
Mi spiego meglio.
Il famoso grafico "a mazza di Hockey", descritto nel film di Al Gore e basato sugli
studi sugli anelli del legno degli alberi, è stato confermato sostanzialmente anche
dai dati glaciologici prelevati in Groenlandia.
Questa è l'immagine che meglio descrive come questo riscaldamento sia "unico
ed eccezionale" ed è proprio la sua eccezionalità che sta seriamente mettendo in
pericolo il clima e il pianeta.
Qui perfino quel picco di “caldo medievale" diventa poca cosa se confrontato alla
temperatura del 1200 a.C. Inoltre dal 2000 a.C. al 500 circa la temperatura era,
per tempi molto lunghi, sugli stessi livelli medi di quelli del “picco medievale”.
Se esaminiamo ancora più a ritroso nel tempo i dati fino a 10 mila anni fà e
osserviamo il grafico, vedremo ben pochi eventi "unici ed eccezionali" in arrivo.
E' stato inoltre fatto notare che i modelli adottati dall'IPCC predicono uno
scenario malamente “cannato”, rispetto alle misure degli ultimi dieci anni. Ovvero
il modello predittivo del più importante ente di ricerca internazionale specifico ha
sbagliato di molto tutte le previsioni di questi ultimi anni!!! Il modelllo previsionale,
messo alla prova, non ha funzionato per niente!!! Sulla scorta delle previsioni
dell'IPCC, la rivista National Geographic, nel giugno 2008 affermò che lo strato
dei ghiacci stagionali artici sarebbe scomparso totalmente entro l'estate dello
stesso anno, cosa che non si è verificata.
Questa carrellata di dati, fenomeni, correlazioni solo per far comprendere come
non si possano facilmente contestare i dati di riferimento (nessuno può alzarsi,
andare al termometro della Terra e dire: “ehi, ma qui non sta affatto scaldando!”).
Altri scienziati invece contestano non tanto i dati climatici o termici, contestano la
(indimostrata) relazione di causalità: costoro dicono che non è la CO2 che
provoca il riscaldamento globale, ma è il contrario: è il riscaldamento globale che
aumenta la quantità di CO2 che rimane nell'aria. Per quello che nei grafici c'è più
CO2 quando c'è più caldo! L'aspetto importante è che così si spiega l'andamento
termico esulando dal fattore umano: la maggior parte della CO2 si trova disciolta
nelle masse d'acqua oceaniche (sotto forma di acido carbonico). Secondo
costoro quindi l'aumento di gas serra e di CO2 in particolare non è la causa del
riscaldamento, bensì un effetto di quest'ultimo fenomeno. E tutti i protocolli di
Kyoto sono incapaci di influire su questo e quindi anche sulle temperature.
Ma trovo anche altri scienziati che sostengono che, in fondo, tutta la disputa non
è importante: la CO2 che immettiamo in atmosfera è circa il 3% di quella che già
c'è. La riduzione delle emissioni di CO2 non avrebbe alcun senso pratico: ridurre
per esempio del 30% le emissioni, che incidono solo su questo 3%, equivale ad
agire senza intaccare il 99% della CO2 presente in atmosfera!!!
Un'altra obiezione che deriva ancora dai dati storici glaciologici è che la CO2 è
stata registrata con valori fino a 20-30 volte il livello di oggi, e le oscillazioni
massime corrispondenti di temperatura sono state di 10 gradi.
Ora accade non solo che alcuni contestano la effettiva consistenza di un global-
warming anomalo, ma anche che molti altri contestano, per varie motivazioni,
l'aggettivo "antropogenico", quando riferito al riscaldamento globale. Alla fine,
sostengono costoro, anche ammettendo che siamo di fronte ad un trend di
riscaldamento globale, non è affatto provato che questo sia una conseguenza
dell’attività umana (né quindi è scontato che si riesca a cambiare il corso della
natura). Del resto nella storia del pianeta abbiamo assistito più volte a glaciazioni
e successivi riscaldamenti... insomma la chiamata catastrofista sembra
ideologica e indimostrata: il clima ha sempre oscillato, anche ben prima dell’
industrializzazione e dell'uomo. E le soluzioni proposte, che vogliono agire sulla
attività umana, secondo costoro, non hanno quindi ragione di aver successo.
Tra gli scettici sul ruolo antropico nell'attuale riscaldamento merita una speciale
segnalazione il discusso premio Nobel per la Chimica Kary Mullis, già famoso
anche per i non addetti ai lavori come il “contestatore del buco dell'ozono”.
Gli “scettici” possono inoltre contare nelle loro fila anche ex membri dei vari
comitati IPCC come il meteorologo Hajo Smit o come Philip Lloyd. Alcuni di essi
rimarcano il ruolo di altri fattori naturali sul clima. Tra essi la variazione
dell'attività solare, oppure l'effetto dei raggi cosmici.
Non mi dilungo, se non per un minimo accenno, sul fenomeno detto “global
dimming”, oscuramento globale: il fenomeno è stimato ridurre dell 2%-5% la
radiazione solare che giunge al suolo. Si crea quindi un effetto di raffreddamento
climatico che si sovrappone a quello del global warming, mascherandone la
gravità. Questo trend è rallentato solo nell'ultimo decennio, ed è legato alla
presenza di traffico aereo. In termini molto schematici il particolato, contenuto
nelle scie degli aeroplani, ha sia l'effetto di diffondere la luce (e in parte di
rifletterla) sia quello di fungere da nucleo di condensazione per il vapore acqueo.
La formazione di goccioline comporta un aumento dei punti di riflessione e
aumenta l'albedo dell'atmosfera. Il fenomeno, studiato da anni, è balzato
all'evidenza empirica registrando un aumento anomalo dell'escursione termica
tra notte e giorno quando furono sospesi i voli aerei nel settembre 2001.
Il fenomeno è ricomparso nuovamente con il riprendere dei voli.
Il grafico seguente mostra la serie storica dal 1950 fino al 2008 dell'andamento di
uragani, temporali violenti etc registrati nell'emisfero nord. Difficile riscontrare una
tendenza al rialzo.
Altri scienziati denunciano il tutto come una colossale retorica che ha l'unico
scopo di preservare il primato delle economie occidentali di USA e Europa,
trovando nell'ambientalismo una sponda su cui poggiare ottime scuse per
limitare lo sviluppo di Paesi più poveri e per rallentare l'ascesa economica di
Cina, India e Brasile. L’idea che il protocollo di Kyoto faccia gli interessi di tutti gli
abitanti è dunque secondo costoro una forzatura: in realtà Kyoto lavorerebbe a
favore dei Paesi più ricchi. Infatti sono proprio i meno ricchi quelli che hanno
maggiormente bisogno di un’economia in crescita.
Qualcuno richiama alla mente i catastrofismi del Club di Roma (comprese quelle
previsioni già fallite) e sostiene che in sostanza la storia si ripete e si assiste ad
una ufficializzazione di dati scientifici a sostegno di tesi preconcette. Tesi che
sono sostenute dagli interessi di chi ha in mano le leve della economia.
*
Che dire? Una bella confusione, vero? Sembra difficile che si debbano
prendere decisioni tanto importanti e difficili quando poi a ben vedere ne
sappiamo ancora così poco!
Ma il bello viene adesso, con il prossimo paragrafo.
il Climate-gate
Uno scandalo di cui si è parlato poco. Ma è comunque riuscito ad imporsi
all'attenzione, anche perchè venuto alla luce proprio a ridosso dei lavori del
COP15, con quindi una inevitabile visibilità internazionale. A mio avviso non è
stato uno scandalo da poco, anzi ritengo proprio che la stampa in Italia non abbia
dato il dovuto risalto. Spesso ne è stata sminuita la portata.
*
Personalmente io sono rimasto un po' più che perplesso. Ma forse è
meglio andare con ordine, e riepilogare di cosa si tratta. Dovrò entrare
gioco forza un poì nel dettaglio, spero si riesca comunque a seguire il filo logico.
Il Climate-gate nasce da un furto di e-mail e dallo scandalo successivo alla
pubblicazione dei relativi contenuti.
Il centro CRU ammette l'attacco e non smentisce l'autenticità di gran parte del
materiale (ovviamente nel dire questo non specifica se tutto il materiale fosse
veramente genuino). Il giorno 1 dicembre il capo del CRU (Phill Jones) si
autosospende dall'incarico temporaneamente e fino a conclusione dell'inchiesta
dell'Università. Al suo posto viene temporaneamente nominato Sir Muir Rusell.
Intanto il Met Office si attiva per una revisione dei dati climatici degli ultimi 160
anni. Un lavoro di revisione totale, che durerà tre anni e si concluderà quindi solo
nel 2012. Queste per ora le conseguenze dello scandalo al CRU.
Dalla lettura delle e-mail appare evidente che la tesi del riscaldamento globale
antropogenico non possa essere avvalorata con certezza di fronte ad una lettura
oggettiva e non ideologica dei dati. Quindi gli scienziati (specialmente Phillip
Jones e Michael E. Mann) si scambiano un po' di consigli su come "presentare
al meglio" i dati, in modo da "sostenere al meglio" la tesi del global-warning. Si
accordano per tacere alcune rilevazioni e si sarebbero anche accordati con
alcune organizzazioni ambientaliste (per es. con Greenpeace) per agevolare la
pubblicazione di alcune notizie su alcuni quotidiani inglesi.
In particolare, nella e-mail più controversa, Jones suggerisce a Mann come fare
per applicare il «trucco (trick) di aggiungere le temperature ad ogni serie (di dati)
per nascondere (hide) il declino». Questa e-mail è la vera pietra dello scandalo
ed è quella che apre diversi interrogativi.
Ancora notiamo che nelle comunicazioni fra i climatologi non mancano le palesi
“cadute di stile”, e gli atteggiamenti da “crociata ideologica”. Jones scrive: «Non
diamo agli scettici qualcosa su cui divertirsi!». Non è di certo questo lo spirito
popperiano che vedremmo in un corretto confronto scientifico basato sui fatti!
Il professor Mann (Pennsylvania University) al contrario pensa che non è la verità
scientifica che conta: «Come sappiamo tutti, qui non si tratta di stabilire la verità,
ma di (prepararsi a) respingere accuse in modo plausibile». In altre parole dice:
cari colleghi, noi dobbiamo essere pronti a tutto per difendere il nostro lavoro,
anche agli errori e alle bugie!
*
Questo a mio avviso si traduce solo in termini di risultati falsificati, o
manomessi che dir si voglia. Io ora faccio molta fatica a dire se queste
accuse siano davvero tutte fondate, difficile insomma capire dove inizi la
disonestà.
Credo, ma in fondo NON LO SO e devo stare giocoforza a quanto mi dicono altri,
dicevo, credo che i dati climatici per loro natura siano disponibili a molti studiosi e
da molte fonti differenti, dati che restano in fin dei conti controllabili e non troppo
manipolabili senza che qualcuno se ne accorga. Di fronte a dati pubblici e ad
elaborazioni taroccate mi aspetterei qualcuno che protestasse, e infatti c'è chi
l'ha fatto. Chi sono questi scienziati contestatori? Mitomani? Corrotti dalle lobbies
industriali (per es. petrolifere e della industria pesante)? Oppure contestano
perchè in competizione con i climatologi per i finanziamenti? Per capirci di più
aspettiamo il 2012.
*
A me ora viene da chiedere per quali meriti l'IPCC abbia vinto il Nobel nel
2007! (quello ritirato da Al Gore, per intenderci). Cresce in me il sospetto
che tutti i lavori del IPCC siano da considerare "naked data" o "naked theory"!
Alleggerisco con una nota leggera di ironia: le giornate danesi sul riscaldamento
globale hanno visto un clima molto freddo e più rigido del solito, non solo a
Copenhagen (-4°C), e nevicata alla vigilia di Natale (capita solo 7 volte in 100
anni). Anche il resto del Pianeta pare in una morsa di freddo: in Russia nei giorni
-25°C e in Spagna i meno 20°C! Anche Olanda, Belgio e Francia giacevano sotto
una spessa coltre di neve. Ancora, mentre Obama parlava di riscaldamento
globale, la Casa Bianca era insolitamente innevata...
5) Una conferenza difficile
Con queste premesse l'urgenza della conferenza diventa pari alla sua difficoltà.
E con le contrapposizioni di interessi e con la recente crisi economica globale,
rischia di diventare assurdo pensare di riuscire a salvare la Terra (!).
Quindi il peso di Obama e degli USA era indebolito e sarebbe stato poco
trainante per i lavori del COP15.
Il principale ostacolo tecnico ad un accordo sul clima è in ultima analisi legato
alla sovranità degli Stati. Nessuno Stato od organismo internazionale può
imporre controlli e/o sanzioni ad un Paese che non sottoscriva l'accordo. E tutti i
risultati prospettati in realtà si fondano sull'impegno e sulla promessa di
cooperare dei singoli Stati.
Insomma il tutto si regge partendo da una forma di "moral suasion" e dal
successivo rispetto della parola data. Quelle classiche situazioni che a volte non
vengono rispettate neanche per scongiurare una guerra...
Ma riflettendo un poco, ben presto si inizia a capire che senza un impegno di tutti
dichiarato e vincolante, in assenza di impegni vincolanti e di possibilità di attuare
controlli, nessuno si impegnerà ad inquinare meno per primo.
Il tutto funzionerebbe solo in uno spirito cooperativo per il bene comune (e non
competitivo per l'egoismo dei singoli attori).
Le diplomazie quindi lavorano da diversi mesi per cercare dei punti comuni su cui
la maggioranza sia d'accordo e su cui poi far convergere i Paesi più recalcitranti.
Ma è lampante come alcune posizioni paiono inconciliabili.
Diplomaticamente uno stato di stallo, occorrerebbe tempo.
Molte gaffe e molti errori sembra siano stati commessi anche dai padroni di casa
(i danesi), molte potenzialità sembra anche che siano evaporate a causa delle
difficoltà legate alla crisi economica globale, che ha "bruciato" molte delle risorse
necessarie per realizzare gli investimenti necessari alla conversione delle
tecnologie.
Ad un certo punto era circolata una bozza, scritta dalla presidenza danese,
secondo la quale nel 2050 i diritti di emissione pro-capite sarebbero stati doppi
per i Paesi industrializzati rispetto a quelli in via di Sviluppo. In pratica i ricchi di
oggi potevano inquinare il doppio, portando così non solo un sentimento di
ingiustizia ma anche ribaltando la filosofia fino ad allora espressa che i Paesi
sviluppati, inquinando di più, dovrebbero assumersi un maggiore impegno
E' dovuto intervenire personalmente l'Alto responsabile Onu per le questioni del
riscaldamento climatico, Yvo de Boer, per sottolineare congiuntamente alla
presidenza danese che si trattasse solo di una bozza, un testo informale, volto
semplicemente a sondare l’opinione delle parti in causa. Molti delegati hanno
minacciato di abbandonare i lavori. E' stata l'opera di Xie Zhenhua, delegato
cinese, a rilanciare i lavori, proponendo di dimezzare le emissioni cinesi entro il
2050 ma ha chiesto agli Stati Uniti di intervenire sulla propria soglia (che
attualmente è al 17% entro il 2020) come punto di partenza di un eventuale
accordo.
Non sono mancati i paradossi e gli aspetti surreali: oltre 20mila persone si
ritrovano a parlare del riscaldamento globale, ma fuori c'era un freddo
eccezionale. E proprio dove si volevano programmare le emissioni di CO2 di
tutto il pianeta, si sono riservati posti insufficienti a contenere tutti i conferenzieri
accreditati! La gestione meramente organizzativa ha fatto così molte vittime: file
di 6-7 ore per i conferenzieri, ministri dei paesi africani e sudamericani fermati e
controllati dalla polizia danese, chiusa la fermata del metrò vicino alla sede della
conferenza, arrestati quasi mille manifestanti creduti black-blok, ma poi ne furono
trattenuti solo 19!
I Paesi più potenti si sono presentati con un accordo del tipo "prendere o
lasciare", accordo rifiutato dagli altri Paesi, che stavano anche lasciando in
anticipo i tavoli delle trattative, essendo pressoché chiuso in anticipo ogni
margine di discussione. E non sono stati i 100 miliardi di dollari all'anno messi sul
tavolo a poter modificare in modo importante le posizioni (e comunque ne
sarebbero serviti quasi il doppio).
Durante le trattative, subito stupisce il Sudafrica che ha proposto il taglio
addirittura del 34% delle emissioni entro il 2020, da portare fino al 42% entro il
2025. Essendo un Paese povero si pensava non fosse disponibile a diminuire il
suo inquinamento. Un'offerta molto coraggiosa. Non offre di meglio l'Europa che
avanza la nota proposta formula “tre volte venti” 20-20-20: riduzione del 20% del
consumo di energia da fonti non rinnovabili; riduzione del 20% delle emissioni di
CO2 e incremento del 20% della efficienza energetica. Francia e Gran Bretagna
avevano anche proposto di alzare ulteriormente gli obiettivi per sbloccare le
trattative. Ma altri Paesi europei si sono tirati indietro (per esempio l'Italia). Ha
sicuramente pesato molto per la Germania la difficoltà di sblinaciarsi oltre visto
che sta imponendo una sorta di riconversione forzata al proprio sistema
industriale (Volkswagen in primis). Ma lo stesso si potrebbe dire per i governi di
Francia e Gran Bretagna.
Il peso carismatico della UE si è comunque dimostrato pressoché ininfluente.
Gli USA invece propongono un obiettivo assai scarno, una riduzione del 4% delle
emissioni rispetto al 1990, proposta facilmente giudicata ridicola e non
soddisfacente: un livello addirittura al di sotto degli standard del protocollo di
Kyoto, trattato che gli USA di G.W. Bush non avevano neppure firmato!
Nelle trattative, come era logico aspettarsi, hanno anche “pesato” le sfide
collaterali: lo scontro tra USA e Cina era molto atteso, ma non si è articolato tra
la responsabilità ambientale e il diritto ad inquinare ed a svilupparsi
industrialmente.
Il confronto ha quindi avuto il respiro di tutta la complessiva manovra sullo
scacchiere geopolitico. Da almeno vent'anni la Cina compete per le risorse
energetiche e investe economicamente in Africa, scalzando pian piano tutte le
influenze delle economie occidentali (ex-colonialiste) e la Cina ormai cavalca da
tempo in sede ONU l'odio dei poveri verso i ricchi. Ma la Conferenza, pur nella
annunciata difficoltà nel raggiungere risultati concreti, era comunque importante
come primo banco di prova per determinare chi avrà la miglior tecnologia per la
nuova era (la “green economy”) e, non meno importante, chi ha avrà la autorità
per definire quali saranno i nuovi standard industriali e dettare la tempistica della
loro attuazione.
Molti giornalisti hanno interpretato il confronto come lotta per la leadership tra la
ecologia obamiana da una parte e la inquinante economia pianificata cinese
dall'altra. Ma è una analisi superficiale, anche perchè i maggiori investimenti
nelle tecnologie “green” sono tutti in Cina, o perlomeno in Cindia, tra Bangalore e
Shangai.
Il primo round da questo punto di vista l'ha vinto indubbiamente se non la Cina
da sola, almeno Cindia. La posta in gioco è importante perchè potranno nascere
nuovi equilibri nei rapporti di forza internazionali.
Il giorno successivo, alle tre del mattino a Congresso finito, la presidenza danese
riunisce 27 Paesi per cercare di chiudere, a nome di Obama, un progetto
d’accordo alla cui elaborazione non ha partecipato nessuno dei restanti leaders
del resto del mondo.
L'accordo quindi alla fine da molti Paesi non viene riconosciuto e anzi un po' tutta
la conferenza ha visto bozze "negoziate in gruppetti serrati che parlavano di una
riduzione del 50% per l’anno 2050", ma poi improvvisamente disconosciute alla
fine da un "documento che omette precisamente le già magre e insufficienti frasi
chiave che il precedente conteneva", documento nato in primo luogo dalle
volontà di Cina e India.
Il testo finale che viene rilasciato è "incompatibile con il criterio scientifico
universalmente riconosciuto, che considera urgente e indispensabile assicurare
livelli di riduzione di almeno il 45% delle emissioni per l’anno 2020 e non inferiori
al 80%-90% di riduzione per il 2050.". Inoltre la bozza finale risulta totalmente
carente in merito "agli impegni specifici di riduzione delle emissioni da parte dei
paesi sviluppati, responsabili del riscaldamento globale, per il livello storico e
attuale delle loro emissioni, ed è a loro che corrisponde applicare riduzioni in
maniera immediata. A questo ruolo non è stata dedicata una sola parola
d’impegno da parte dei paesi sviluppati."
*
La frattura tra nord e sud del mondo quindi si allarga, ognuno dovrebbe
fare la propria parte, ma molti dichiarano di non voler rinunciare alle proprie
possibilità di sviluppo se gli altri non faranno altrettanto. Gli egoismi e la strategia
delle alleanze invadono il campo. I capricci. Le trattative segrete, i complotti, i
tavoli ribaltati per aria, i finti abbandoni dei tavoli delle trattative, etc
Non la faccio molto lunga, visto che questo aspetto non mi appassiona poi molto.
Anzi, un po' mi nausea.
* Una tragica crisi di leadership
In termini espliciti, vuol dire che gli altri Stati, pur non opponendosi all’accordo,
non si riconoscono affatto nel documento finale.
La formula scelta di «prendere atto dell'accordo» garantisce uno statuto giuridico
sufficiente per rendere l’intesa operativa, senza avere bisogno dell’approvazione
delle parti e permettendo quindi di rendere operativa almeno l'erogazione di fondi
compensativi previsti dall'accordo e destinati ai paesi in via di sviluppo.
Tirando le somme, sembra che, alla fine, la diplomazia cinese abbia fatto la
figura migliore, a spese di una UE (molto ININFLUENTE) e dell'altrettanto inutile
Giappone. Anche il presidente USA Obama ne esce con più sconfitte che vittorie
(anche perchè l'ecologia era stato un suo importante terreno di confronto nella
campagna elettorale contro Bush).
Alla fine la decisione conclusiva è che per adesso l’Europa mantiene l’impegno
per una riduzione del 20%, ma Barroso dichiara di voler alzare il valore fino al
30% (i valori di riferimento sono quelli del 1990 come da Protocollo di Kyoto).
Ma un onere unilaterale non è sufficiente.
Si prevede che, con tale scarsità di risultati, la temperatura aumenterà di 3°C.
7) I capisaldi dell'accordo
L’accordo concluso tra gli Stati Uniti e i maggiori Paesi in via si Sviluppo prevede:
- che tutti gli Stati si impegnino a prendere le misure necessarie per contenere
l’aumento di temperatura del Pianeta al di sotto dei due gradi centigradi;
- che venga istituito dai paesi industrializzati un fondo di cento miliardi di dollari
all’anno destinato ai Paesi in via di sviluppo per la riconversione energetica e la
riduzione delle emissioni. Purtroppo nel trattato non si specifica da chi dovranno
essere sborsati questi soldi. La cifra sembra ambiziosa, visto che la UE si è
impegnata a sborsare solo 2,4 miliardi di euro all’anno nei prossimi tre anni;
- che la responsabilità dell’effetto serra venga ripartita in maniera diseguale tra
stati di prima e seconda industrializzazione e stati in via di sviluppo, secondo
principi simili a quelli alla base del protocollo di Kyoto;
- che a partire da gennaio ciascuno stato renda pubblico il proprio obiettivo di
riduzione delle emissioni di gas serra;
- che si raggiunga un vero e proprio trattato sul clima, condiviso e sottoscritto da
tutti, entro la fine del 2010;
- che la prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima avvenga a novembre
2010 in Messico.
La struttura dell'accordo di cui ha preso atto la Cop15 contiene due tabelle, più
una terza incompleta, ancora da riempire con le cifre relative alla quota di
riduzione di emissioni di gas serra che i Paesi dovranno comunicare entro il 31
gennaio 2010.
Da sottolineare anche come non sia stato definito niente su come agire per
elaborare un differente sistema energetico e produttivo, per nuovi modelli di
consumo volti a migliorare le condizioni di vita di tre miliardi di esseri umani,
condannati a vivere sotto la soglia della povertà assoluta. I “piccoli progressi” del
COP15 saranno perfettamente inutili per il 50% più povero dell'umanità.
*
Gli USA si confermano sé stessi, anche sotto la guida di Obama, al
contrario la UE, che brillava per volontà prima della riunione, si è scoperta
incapace di pesare veramente sulle decisioni.
* I commenti
Per ridurre le emissioni, occorrono soldi, tanti soldi per riconvertire le centrali
elettriche, le industrie, i trasporti verso tecnologie "verdi" o almeno un po' meno
inquinanti. Tecnologie che per chi dovesse averle disponibili per primo,
costituirebbero un bel vantaggio economico.
La proposta degli Stati industrializzati di offrire ai Paesi in via di sviluppo 10
miliardi di dollari all’anno per il triennio 2010-2012 non convince il G-77 che
ritiene sia necessario un impegno più consistente e a lungo termine.
In effetti viene da chiedersi che senso abbia "sostenere lo sviluppo di energie
pulite" in Paesi che inquinano poco, mentre gli altri Paesi continuano non solo ad
inquinare 10-20 volte di più (in termini pro-capite) ma mandano anche le loro
industrie ad inquinare dove possono, cioè nei Paesi poveri.
Per gli Stati africani e insulari. “Il documento è basato esattamente sugli stessi
valori che hanno portato sei milioni di persone in Europa alle camere a gas” ha
dichiarato il capo negoziatore sudanese Stanislao Lumumba Di-Aping. Ricordo
che gli Stati insulari sono quelli maggiormente esposti al rischio di cancellazione
dalle carte geografiche per l'innalzamento del livello del mare.
Se ne riparlerà a Bonn, tra 6 mesi, e a Città del Messico, tra un anno. Ma una
precisa agenda di impegni, il minimo dei risultati possibili per non parlare di un
fallimento, non è stata compilata. Se i governi troveranno un accordo, per
contenere l'aumento entro i 2°C, occorrerà abbattere di almeno il 50% le
emissioni globali di carbonio entro il 2050.
8) Gli insegnamenti da trarre...
Presentata come una delle ultime possibilità per salvare il mondo, la Conferenza
di Copenhagen non è stata dunque all'altezza delle aspettative. Nel sottotitolo
dicevo "una superflua parata ecologica".
Per i più cinici la testimonianza dell'emergere di tutti gli egoismi, le pressioni, gli
interessi, le meschinità, le prepotenze della razza umana anche di fronte alla
catastrofe incombente. Da tutti i fronti.
Per gli idealisti la prova provata che certi problemi non possono essere risolti
affidandoli al libero mercato o ai criteri della “stabilità economica” ma vanno
necessariamente affrontati con i tempi e gli strumenti della programmazione
politica. Vanno governati.
Ma le premesse su cui si stava lavorando, e su cui si lavora da decenni, restano
(a mio modesto e fortemente in-qualificato parere) per molti versi fragili e spesso
sbagliate.
*
La mia personale riflessione, e mi scuso per non riuscire ad esprimerla
brillantemente, è che si continui a ragionare per “mercati” ed “economie”,
mentre proprio il mercato globale è stato il volano che ha amplificato ma anche
esposto sotto gli occhi di tutti il vacuo risultato di quel “turbocapitalismo” che
porterà ad estromettere gli aspetti economici dalle decisioni politiche. O almeno
dalla gestione delle emergenze.
*
Occorre accantonare il “mercato globale”, perchè la globalizzazione è un
motore che funziona solo consumando il clima quale benzina. Il mercato
globale comporta l'esistenza di navi lunghe 400 metri che inquinano quanto 50
milioni di vetture medie. Per fare solo un esempio, su queste navi, né sui loro
carburanti (che sono in realtà catrami), ancora nessuno si è preoccupato di
incidere.
*
Servirebbe allora proprio una mentalità differente, di consumo orientato
sull'etica dei "chilometri zero". Una cultura della "decrescita dei consumi".
Ma, per quanto l'affermazione sembra ingenua e utopistica, servirebbe anche
una più equa distribuzione delle risorse e delle ricchezze sul pianeta.
Ancora, non si può fingere di ignorare che esistono problemi di inquinamento
ambientale altrettanto o anche più seri e più veri di quello della CO2 nell'aria:
problemi di inquinamento dell'acqua e del terreno. Con contaminanti
cancerogeni, con rifiuti altamente tossici, con materiali radioattivi. Lo so, questa
affermazione è catalogabile come un inutile e vano “benaltrismo”. Ma esistono
scandalose realtà da inquinamento decisamente urgenti, e di cui si parla poco.
Lo scienziato James Hansen, sul Guardian, avvertiva a proposito del COP15 che
siglare un patto senza un accordo sarebbe talmente imperfetto che tanto
varrebbe ricominciare da zero. "Se finissimo per ottenere qualcosa di simile a
Kyoto, la gente passerebbe anni a cercare di capire che cosa vuol dire". Tempo
che, secondo le premesse della conferenza, non abbiamo più a disposizione.
Per il direttore dell'istituto Goddard (Nasa), il riscaldamento climatico è come il
nazismo o la schiavitù: "si tratta di una di quegli argomenti sui quali non si può
scendere a compromessi". Una missione quindi anche ideologica.
*
Secondo la mia umile riflessione, una conferenza politica di quasi 200
Stati non può gestire né una vera emergenza né una missione ideologica...
Quindi è in primo luogo anche lo strumento ad essere inadeguato agli obiettivi.
Ma a ben vedere il fallimento non solo c'è stato, in barba alla proclamata
emergenza, ma è stato inusitatamente pesante: in politica può capitare di
concordare come unico accordo possibile "il decidere di non decidere" ma
ancora non si era ancora visto, in anticipo rispetto ai mesi della conferenza, il
prevedere che nessuna decisione vincolante possa essere adottata, nonostante
l'appuntamento fosse programmato da tempo e i lavori ancora non avviati...
Un accordo ucciso nella culla... prima di nascere!
Quasi un sabotaggio, o la onesta consapevolezza che un risultato utile fosse
completamente fuori portata??
Insomma, con il buon senso dell'uomo della strada vien ironicamente da
osservare: "Ottima strategia per affrontare le emergenze, vero?"
Anche per gli ottimisti è stato quindi evidente che nessun accordo serio si
sarebbe mai raggiunto. La possibilità di risolvere un problema è sempre
intimamente legata, oltre che alla volontà e alla determinazione di raggiungere
l'obiettivo, anche agli strumenti prescelti a questo scopo.
Che si è fatto allora al COP15? Si è giusto cercato di formulare "un qualche
accordo placebo", una "dichiarazione congiunta di intenti" (e non vincolante)
solamente perchè non è una bella figura muovere quasi 200 capi di Stato e
tornare a casa con un fallimento. Perdere tempo e denari. Con la fame nel
mondo e la crisi finanziaria. Almeno un accordo, ancorché sul nulla, andava
firmato!
Per quanto riguarda infine l'Italia, ha svolto un ruolo al limite del ridicolo. Assente
ogni figura istituzionale importante, a capo della delegazione italiana c'era il
Ministro per l'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Il Ministro, complice forse
qualche disguido, è stato obbligato a fare la coda per ore prima di ottenere
l'ingresso nel luogo ufficiale dei negoziati. Inoltre, l'intervento ufficiale dell'Italia è
stato programmato tra l'1.30 e le 2 del mattino del 18 dicembre e il Ministro ha
parlato dinanzi a soli due spettatori (!). La presenza italiana si è notata solo
quando, sola insieme alla Polonia, ha ostacolato qualunque pur minima riduzione
ulteriore ai livelli di emissione di CO2.
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Appendice
emissioni a confronto
- 0,19 t / die partecipanti Cop15
- 68 t anno, ovvero 3-4 volte più di un cittadino americano
Ci sono poi da mettere in conto anche i "costi" degli spostamenti e del soggiorno
dell'esercito di delegati, partecipanti e ospiti sbarcato nella capitale danese: solo
considerando gli spostamenti aerei, infatti, si parla di 12.500 tonnellate di emissioni di CO2.
Da aggiungere, poi, alle 17 mila tonnellate legate agli spostamenti in loco ed ai consumi
degli alberghi.
Circa il 60 per cento dei servizi offerti gratuitamente dagli ecosistemi -regolazione climatica,
fornitura di acqua dolce, smaltimento dei rifiuti, risorse ittiche- si sta impoverendo.
E la tendenza più recente non conforta: negli ultimi cinque anni i consumi sono saliti del 28
per cento. Nel 2008 globalmente si sono acquistati 68 milioni di veicoli, 85 milioni di frigoriferi,
297 milioni di computer e 1,2 miliardi di telefoni cellulari.
Non sono aumenti dovuti solo all'incremento demografico: tra il 1960 e il 2006 la popolazione
globale è cresciuta di un fattore 2,2, mentre la spesa pro capite in beni di consumo è quasi
triplicata.
Ancora si osserva una ineguale capacità di divorare le risorse del pianeta: i 500 milioni di
individui più ricchi del mondo (circa il 7 per cento della popolazione globale) sono responsabili
del 50 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica, mentre i 3 miliardi più poveri
(50%) sono responsabili di appena il 6 per cento delle emissioni di CO2.
3- SUPER-NAVI CHE INQUINANO COME 50 MILIONI DI AUTOMOBILI
Il settore del trasporto aereo-marittimo che è in costante aumento, è sicuramente un
settore legato alla emissione di CO2, e oggi contribuisce per circa il 3% delle emissioni
globali di carbonio. Come riportato nel Greenhouse Gas Emissions from Aviation and
Marine Transportation, redatto da David McCollum e Gregory Gould (University of
California) con David Greene (OAK Ridge National Laboratory). Si calcola una crescita
costante del trasporto aereo del 5,9% annuo, arrivando così ad un aumento del 300% delle
emissioni di CO2 da traffico aereo nel 2050. Analogamente il trasporto marittimo cresce al
ritmo di poco più del 5% annuo. Quindi si stima che nel 2050 copriranno insieme circa il
10% del totale delle emissioni.
Quantitativi che giustificano un intervento importante. Sia con una migliore organizzazione,
possibile con l'informatizzazione, che con l'adozione di nuovi materiali, nuovi motori e
miglior aerodinamica, è possibile ridurre i consumi (e le emissioni) di circa il 30%. Inoltre si
potrebbe ridurre l'inquinamento agendo sui combustibili utilizzati.
Mentre le compagnie aeree, prima della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite per
l’Accordo sul Cambiamento Climatico, hanno deciso spontaneamente di tagliare le loro
emissioni del 50% entro il 2050, i rappresentanti del trasporto marittimo hanno confermato
solamente una generica predisposizione favorevole ad attuare nel futuro iniziative di buona
volontà dello stesso tipo. Ovvero nessun impegno concreto.
Un esempio.
Un gigante del mare, come la Emma Maersk, è una nave lunga ben 397 metri, capace di
trasportare 14000 containers, viaggiando alla velocità massima di 25,5 nodi.
E' mossa tramite sei motori, un turbodiesel a due tempi Wärtsilä-Sulzer, alto 13,5 metri da
109mila cavalli e cinque propulsori Caterpillar, che producono ulteriori 40mila cavalli di
potenza. Il solo Wärtsilä-Sulzer è può consumare quasi 4 litri di olio combustibile al
secondo. Il carburante utilizzato in queste super-navi è praticamente catrame (definito
come "olio combustibile denso"). In pratica è lo scarto della produzione di petrolio, dopo
che sono stati raffinati tutti gli altri componenti.
Christian Eyde Moller della DK, società di trasporti di Rotterdam, spiega candidamente: "il
combustibile più economico e più sporco al mondo". A queste navi è consentito impiegare
olio combustibile con percentuali di zolfo che possono arrivare al 4,5%.
Ognuna di queste super-navi emette oltre 5mila tonnellate di anidride solforosa l'anno,
come 50 milioni di auto medie messe assieme.
Una stima dice che in giro per il mondo circolano circa 800 milioni di autoveicoli.
Bastano 16 super-navi come la Emma Maersk a produrre altrettanto veleno quanto l'intero
parco auto mondiale. Non esistono ragioni che impediscano il passaggio a combustibili più
puliti per le navi, a parte ovviamente considerazioni economiche.
Come nel settore aereo, esistono margini per un miglioramento tecnologico anche sui
motori marini.
Si stima che circa 20.000 persone abbiano partecipato a una marcia svoltasi a Londra, una
settimana prima dell'inizio della conferenza. Hanno chiamato il leader britannico per
convincere i paesi sviluppati a ridurre le proprie emissioni del 40% entro il 2020 e per
fornire 150 miliardi dollari l'anno, entro il 2020, per aiutare i paesi più poveri del mondo ad
attuare un adeguamento tecnologico ridurre l'impatto climatico.
Oltre 50.000 persone hanno partecipato a una serie di marce in Australia, durante i giorni
della conferenza, per sensibilizzare i leader mondiali a creare un accordo forte e
vincolante. Il corteo più grande ha avuto luogo a Melbourne.
6- "LA PROBLEMATICA" VISTA DAL CLUB DI ROMA
A marzo del 2009 il Club di Roma, con altre associazioni internazionali e forum di politica,
ha condotto una conferenza sul tema: "perché i ripetuti allarmi sul cambio climatico
globale, non hanno avuto l’impatto desiderato sulla politica mondiale?". I contenuti
possono brevemente essere riassunti.
Lo scenario mondiale è certamente complesso, essendo in corso minacce
importanti alla stabilità del sistema finanziario mondiale, con una questione del picco della
produzione di petrolio (e la fine dell’era delle risorse energetiche a poco prezzo), ed
essendo in atto importanti crescite di sicuro impatto politico ed economico (la Cina tra venti
anni avrà triplicato il suo peso economico).
Tutti questi scenari vanno accoppiati tuttavia con un costante degrado di tutti gli
ecosistemi, con un drammatico impoverimento dei terreni e una critica disponibilità di
acqua in tutto il mondo. Con un incremento demografico importante (9 miliardi di uomini nel
2050). E ovviamente le pesanti conseguenze sulla povertà durevole e sulla crescente
ineguaglianza, aggravate da un aumento del protezionismo. Se il processo di
globalizzazione continuerà lungo questo percorso, demolirà l’intero sistema.
Si rende quindi necessaria un’azione combinata ad ogni livello per gestire delle
questioni così ampie e complesse. Saranno coinvolti i governi, il mondo degli affari, della
scienza, delle accademie, ovviamente la società civile, ed il ruolo dei media sarà centrale
per garantire il supporto pubblico ad ogni azione.
E' ormai convinzione del gruppo di studio del Club di Roma che rispondere ad una
crisi dopo l’altra non risolve i problemi di fondo. C'è una "problematica" dove le soluzioni
sono connesse tra loro come i problemi. C’è bisogno di un approccio più coerente,
sistematico e fattivo, dobbiamo inoltre prevenire i problemi prima che si verifichino.
Il Club di Roma ha elaborato un programma triennale di ricerca. Il programma si
focalizza su cinque aree-chiave (grappoli di questioni), questioni che sono così
strettamente connesse da non poter essere trattate separatamente. I grappoli sono: clima,
energia, ecosistemi ed acqua; globalizzazione ed economia internazionale; sviluppo
mondiale e Millennium Development Goals; trasformazione sociale; pace e sicurezza.
In tutto questo i media giocheranno un ruolo fondamentale nel determinare il
futuro. Nel bene oppure nel male. È possibile che i media contribuiscano a costruire una
coscienza pubblica più profonda della serietà del rischio che corriamo, cosicché la società
sostenga l’azione in tempo utile per evitare l’imminente cambiamento climatico? In che
modo possono i media incoraggiare cambiamenti nello stile di vita, nei comportamenti e nei
valori, che sono alla base dei consumi e quindi dell’economia?
Queste le conclusioni di Martin Lees(*) ad una recente Conferenza:
"Per molti anni gli scienziati hanno lanciato allarmi sugli impatti negativi, ma i governi, le
élites politiche e la società civile non sono stati in grado di prevenirli. È perciò urgente che
la comunità mondiale –gli stati nazionali, le organizzazioni governative e non governative
internazionali– trovino un accordo sulle strategie e le azioni da adottare per evitare danni
irreversibili agli ecosistemi mondiali causati dall’acceleramento del processo di
riscaldamento globale. Tale crisi comprende l’impoverimento delle risorse energetiche, la
diminuzione di acqua potabile, il degrado degli ecosistemi mondiali, l’estinzione delle
specie, carestie, la persistente povertà, le emergenze sanitarie e così via. Per di più, la
popolazione globale si trova in fase di transizione da una crescita esplosiva e incontrollata,
ad un nuovo paradigma di sviluppo e sostenibilità mai sperimentato prima d’ora dal genere
umano. Questi elementi, sommati ai loro risvolti ambientali, aumentano il potenziale di un
violento conflitto politico."
(*) Martin Lees: È Segretario Generale del Club di Roma dal 2007. È stato Rettore
dell’Università per la Pace delle Nazioni Unite in Costa Rica. È consulente del governo
cinese sul tema del climate change.
7- UNA SCOMODA VERITA'
“An Inconvenient Truth” è un film-documentario sul tema del riscaldamento globale, ha
come protagonista l'ex vicepresidente degli Stati Uniti d'America, Al Gore, che sviluppa una
presentazione multimediale.
Il film (regia di Davis Guggenheim) ha vinto il premio Oscar 2007 come miglior
documentario e per la migliore canzone originale. Il debutto fu a New York e Los Angeles il
24 maggio 2006. Ricevette tre standing ovation al Sundance Film Festival dello stesso
anno, fu in seguito portato a Cannes e a Durban. Il film ha incassato più di 23 milioni di
dollari, che Al Gore e la moglie hanno promesso di devolvere per la causa del “clima”.
Nel documentario Gore spiega il fenomeno del riscaldamento globale, illustrando
le variazioni di temperatura e dei livelli di CO2 nell'atmosfera negli ultimi 600mila anni.
Gore riassume la posizione degli scienziati, discute le implicazioni politiche ed economiche
della catastrofe, e illustra le importanti conseguenze previste. E' esemplificato come con lo
scioglimento dei ghiacci Antartici e della Groenlandia si avrebbe un innalzamento delle
acque oceaniche di circa 6 metri, un esodo di 100 milioni almeno di sfollati, e ancora, con i
ghiacci sciolti della Groenlandia, l'alterazione della salinità, e la probabile interruzione della
Corrente del Golfo (con un drammatico calo delle temperature in tutto il nord Europa).
L'Uragano Katrina, che era avvenuto da poco, viene preso come esempio dei fenomeni a
cui andremo incontro se la società continuerà di questo passo.
Sono riportate anche alcune scene dove gli “scettici” sostengono che il
riscaldamento globale sia una falsa minaccia.
Il documentario chiude con l'auspicio di Gore che ricorda come gli effetti del
riscaldamento globale possano essere scongiurati solo attraverso una cooperazione a
livello globale degli stati e dei singoli individui, volta a ridurre le emissioni di CO2
nell'atmosfera.
Nel documentario Gore in persona illustra numerosi dati e ricerche: con una serie
di foto mostra la ritirata dei ghiacciai, alcuni ricercatori illustrano i dati raccolti nei ghiacci
dell'Antartide, con le concentrazioni di CO2 di gran lunga superiori a qualsiasi altro
periodo negli ultimi 650mila anni.
Tuttavia, nell'editoriale del 26 giugno 2006 del Wall Street Journal, il prof. Richard S.
Lindzen del MIT critica gli aspetti scientifici del film, dubitando di quanto affermato: si
finisce in tribunale e il giudice dell'Alta Corte inglese stabilisce che il film «non è solo un
documento scientifico, è un film politico»., che è «largamente accurato», ma «in un
contesto di allarmismo ed esagerazione»; vengono inoltre evidenziate presunte
incongruenze scientifiche (rilevando 9 principali errori commessi nel giungere ad alcune
conclusioni).
Nota: Il professor Richard S. Lindzen -autore delle critiche a Gore- è stato a sua volta stato
criticato per aver ricevuto i finanziamenti di aziende petrolifere.
Il film è stato pubblicizzato con frasi come "A global warning" (Un avvertimento
globale) , "We're all on thin ice" (Siamo tutti su di un sottile strato di ghiaccio), "By far the
most terrifying film you will ever see" (Di gran lunga il più terrificante film che vedrai),
oppure "The scariest film this summer is one where you are the villain and the hero"
(Questa estate il film più spaventoso è uno in cui tu sei sia il cattivo che l'eroe).
8- IL DISCORSO DI HUGO CHAVEZ
Reperibile in più forme
-il video) http://fora.tv/2009/12/16/President_Hugo_Chavez_Lambasts_Capitalism_at_COP15
-il testo) http://www.aporrea.org/venezuelaexterior/n147198.html
-una traduzione) http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=29543
Quello che segue è il discorso del presidente venezuelano al vertice climatico di Copenhagen,
nella traduzione di MARINA GERENZANI (vedi i riferimenti in calce al testo).
Signor Presidente, signori, signore, amici e amiche, prometto che non parlerò più di quanto
sia già stato fatto questo pomeriggio, ma permettetemi un commento iniziale che avrei voluto
facesse parte del punto precedente discusso da Brasile, Cina, India e Bolivia. Chiedevamo la
parola, ma non è stato possibile prenderla.
Tra varie cose ha detto, ho preso nota: il testo che è stato presentato non è democratico, non
è rappresentativo di tutti i paesi. Ero appena arrivato e mentre ci sedevamo abbiamo sentito il
Presidente della sessione precedente, la signora Ministra, dire che c’era un documento da
queste parti, che però nessuno conosce: ho chiesto il documento, ancora non l’abbiamo.
Credo che nessuno sappia di questo documento top secret.
Certo, la collega boliviana l’ha detto, non è democratico, non è rappresentativo, ma signori e
signore: siamo forse in un mondo democratico? Per caso il sistema mondiale è
rappresentativo? Possiamo aspettarci qualcosa di democratico e rappresentativo nel sistema
mondiale attuale? Su questo pianeta stiamo vivendo una dittatura imperiale e lo denunciamo
ancora da questa tribuna: abbasso la dittatura imperiale! E che su questo pianeta vivano i
popoli, la democrazia e l'uguaglianza!
E quello che vediamo qui è proprio il riflesso di tutto ciò: esclusione. C'è un gruppo di paesi
che si credono superiori a noi del sud, a noi del terzo mondo, a noi sottosviluppati, o come
dice il nostro grande amico Eduardo Galeano: noi paesi avvolti come da un treno che ci ha
avvolti nella storia [sorta di gioco di parole tra desarrollados = sviluppati e arrollados =
avviluppati NdT]. Quindi non dobbiamo stupirci di quello che succede, non stupiamoci, non c'è
democrazia nel mondo e qui ci troviamo di fronte all'ennesima evidenza della dittatura
imperiale mondiale.
Poco fa sono saliti due giovani, per fortuna le forze dell'ordine sono state decenti, qualche
spintone qua e là, e i due hanno cooperato, no? Qui fuori c'è molta gente, sapete? Certo, non
ci entrano tutti in questa sala, sono troppi; ho letto sulla stampa che ci sono stati alcuni arresti,
qualche protesta intensa, qui per le strade di Copenaghen, e voglio salutare tutte quelle
persone qui fuori, la maggior parte delle quali sono giovani.
Non ci sono dubbi che siano giovani preoccupati, e credo abbiano una ragione più di noi per
essere preoccupati del futuro del mondo; noi abbiamo – la maggior parte dei presenti – già il
sole dietro le spalle, ma loro hanno il sole in fronte e sono davvero preoccupati. Qualcuno
potrebbe dire, Signor Presidente, che un fantasma infesta Copenaghen, parafrasando Karl
Marx, il grande Karl Marx, un fantasma infesta le strade di Copenaghen e credo che questo
fantasma vaga per questa sala in silenzio, gira in quest'aula, tra di noi, attraversa i corridoi,
esce dal basso, sale, è un fantasma spaventoso che quasi nessuno vuole nominare: il
capitalismo è il fantasma, quasi nessuno vuole nominarlo.
È il capitalismo, sentiamo ruggire qui fuori i popoli. Stavo leggendo qualcuna delle frasi scritte
per strada, e di questi slogan (alcuni dei quali li ho sentiti anche dai due giovani che sono
entrati), me ne sono scritti due. Il primo è Non cambiate il clima, cambiate il sistema.
E io lo riprendo qui per noi. Non cambiamo il clima, cambiamo il sistema! E di conseguenza
cominceremo a salvare il pianeta. Il capitalismo, il modello di sviluppo distruttivo sta mettendo
fine alla vita, minaccia di metter fine alla specie umana. E il secondo slogan spinge alla
riflessione. In linea con la crisi bancaria che ha colpito, e continua a colpire, il mondo, e con il
modo con cui i paesi del ricco Nord sono corsi in soccorso dei bancari e delle grandi banche
(degli Stati Uniti si è persa la somma, da quanto è astronomica). Ecco cosa dicono per le
strade: se il clima fosse una banca, l'avrebbero già salvato.
E credo che sia la verità. Se il clima fosse una delle grandi banche, i governi ricchi l'avrebbero
già salvato. Credo che Obama non sia arrivato, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace quasi
nello stesso giorno in cui mandava altri 30mila soldati ad uccidere innocenti in Afghanistan, e
ora viene qui a presentarsi con il Premio Nobel per la Pace, il Presidente degli Stati Uniti. Gli
USA però hanno la macchinetta per fare le banconote, per fare i dollari, e hanno salvato,
vabbè, credono di aver salvato, le banche e il sistema capitalista.
Bene, lasciando da parte questo commento, dicevo che alzavamo la mano per unirci a
Brasile, India, Bolivia e Cina nella loro interessante posizione, che il Venezuela e i paesi
dell'Alleanza Bolivariana condividono fermamente; però non ci è stata data la parola, per cui,
Signor Presidente, non mi conteggi questi minuti, la prego.
Ho conosciuto, ho avuto il piacere di conoscere Hervé Kempf – è qui in giro -, di cui consiglio
vivamente il libro “Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta”, in francese, ma potete
trovarlo anche in spagnolo e sicuramente in inglese. Hervé Kempf: Perché i mega-ricchi
stanno distruggendo il pianeta. Per questo Cristo ha detto: E' più facile che un cammello passi
per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Questo l'ha detto Cristo nostro
Signore.
Voglio ricordarlo: le 500 milioni di persone più ricche del pianeta, 500 milioni, sono il sette per
cento, sette per cento, seven per cento della popolazione mondiale. Questo sette per cento è
responsabile, queste cinquecento milioni di persone più ricche sono responsabili del
cinquanta per cento delle emissioni inquinanti, mentre il 50 per cento più povero è
responsabile solo del sette per cento delle emissioni inquinanti.
Per questo mi sembra strano mettere qui sullo stesso piano Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti
hanno appena 300 milioni di abitanti. La Cina ha una popolazione quasi 5 volte più grande di
quella degli USA.
Gli Stati Uniti consumano più di 20 milioni di barili di petrolio al giorno, la Cina arriva appena ai
5,6 milioni di barili al giorno, non possiamo chiedere le stesse cose agli Stati Uniti e alla Cina.
Ci sono questioni da discutere, almeno potessimo noi Capi di Stato e di Governo sederci a
discutere davvero di questi argomenti.
Inoltre, Signor Presidente, il 60% degli ecosistemi del pianeta hanno subito danni e il 20%
della crosta terrestre è degradata; siamo stati testimoni impassibili della deforestazione, della
conversione di terre, della desertificazione e delle alterazioni dei sistemi d'acqua dolce, dello
sovrasfruttamento del patrimonio ittico, della contaminazione e della perdita della diversità
biologica. Lo sfruttamento esagerato della terra supera del 30% la sua capacità di
rigenerazione.
Il pianeta sta perdendo ciò che i tecnici chiamano la capacità di autoregolarsi, il pianeta la sta
perdendo, ogni giorno si buttano più rifiuti di quanti possano essere smaltiti. La sopravvivenza
della nostra specie assilla la coscienza dell'umanità. Malgrado l'urgenza, sono passati due
anni dalle negoziazioni volte a concludere un secondo periodo di compromessi voluto dal
Protocollo di Kyoto, e ci presentiamo a quest'appuntamento senza un accordo reale e
significativo.
E voglio dire che riguardo al testo creato dal nulla, come qualcuno l'ha definito (il
rappresentante cinese), il Venezuela e i paesi dell'Alleanza Bolivariana per le Americhe, noi
non accettiamo nessun altro testo che non derivi dai gruppi di lavoro del Protocollo di Kyoto e
della Convenzione: sono i testi legittimi su cui si sta discutendo intensamente da anni.
E in queste ultime ore credo che non abbiate dormito: oltre a non aver pranzato, non avete
dormito. Non mi sembra logico che ora si produca un testo dal niente, come dite voi.
L'obiettivo scientificamente sostenuto di ridurre le emissioni di gas inquinanti e raggiungere un
accordo chiaro di cooperazione a lungo termine, oggi a quest'ora, sembra aver fallito.Almeno
per il momento. Qual è il motivo? Non abbiamo dubbi. Il motivo è l'atteggiamento
irresponsabile e la mancanza di volontà politica delle nazioni più potenti del pianeta...
Il conservatorismo politico e l'egoismo dei grandi consumatori, dei paesi più ricchi
testimoniano di una grande insensibilità e della mancanza di solidarietà con i più poveri, con
gli affamati, con coloro più soggetti alle malattie, ai disastri naturali, Signor Presidente, è
chiaramente un nuovo ed unico accordo applicabile a parti assolutamente disuguali, per la
grandezza delle sue contribuzioni e capacità economiche, finanziarie e tecnologiche, ed è
evidente che si basa sul rispetto assoluto dei principi contenuti nella Convenzione.
I paesi sviluppati dovrebbero stabilire dei compromessi vincolanti, chiari e concreti per la
diminuzione sostanziale delle loro emissioni e assumere degli obblighi di assistenza
finanziaria e tecnologica ai paesi poveri per far fronte ai pericoli distruttivi del cambiamento
climatico. In questo senso, la peculiarità degli stati insulari e dei paesi meno sviluppati
dovrebbe essere pienamente riconosciuta.
.... Le entrate totali delie 500 persone più ricche del mondo sono superiore alle entrate delle
416 milioni di persone più povere, le 2800 milioni di persone che vivono nella povertà, con
meno di 2 dollari al giorno e che rappresentano il 40 per cento della popolazione mondiale,
ricevono solo il 5 per cento delle entrate mondiale...
Ci sono 1100 milioni di persone che non hanno accesso all'acqua potabile, 2600 milioni prive
di servizio di sanità, più di 800 milioni di analfabeti e 1020 milioni di persone affamate: ecco lo
scenario mondiale.
E ora, la causa, qual è la causa? Parliamo della causa, non evitiamo le responsabilità, non
evitiamo la profondità del problema, la causa senza dubbio, torno all'argomento di questo
disastroso scenario, è il sistema metabolico distruttivo del capitale e della sua incarnazione: il
capitalismo.
Ho qui una citazione di quel gran teologo della liberazione che è Leonardo Boff, come
sappiamo, brasiliano, che dice: Qual è la causa? Ah, la causa è il sogno di cercare la felicità
con l'accumulazione materiale e il progresso senza fine, usando, per fare ciò, la scienza e la
tecnica con cui si possono sfruttare in modo illimitato le risorse della terra.
Può una terra finita sopportare un progetto infinito? La tesi del capitalismo, lo sviluppo infinito,
è un modello distruttivo, accettiamolo.
..... Noi popoli del mondo chiediamo agli imperi, a quelli che pretendono di continuare a
dominare il mondo e noi, chiediamo loro che finiscano le aggressioni e le guerre. Niente più
basi militari imperiali, né colpi di Stato, costruiamo un ordine economico e sociale più giusto e
equitativo, sradichiamo la povertà, freniamo subito gli alti livelli di emissioni, arrestiamo il
deterioramento ambientale ed evitiamo la grande catastrofe del cambiamento climatico,
integriamoci nel nobile obiettivo di essere tutti più liberi e solidari.
.... Questo pianeta è vissuto migliaia di milioni di anni, e questo pianeta è vissuto per migliaia
di milioni di anni senza di noi, la specie umana: non ha bisogno di noi per esistere. Bene, noi
senza la Terra non viviamo, e stiamo distruggendo il Pachanama*, come dice Evo e come
dicono i nostri fratelli aborigeni del Sudamerica...
Fonte: http://selvasorg.blogspot.com
Testo originale: http://selvasorg.blogspot.com/2009/12/discurso-de-chavez-en-
copenhage.html
16.12.2009
CLIMATE-GATE
- le mail rubate dal CRU: http://www.examiner.com/x-25061-Climate-Change-
Examiner~y2009m11d20-ClimateGate-Climate-centers-server-hacked-revealing-documents-and-
emails
- primi commenti a caldo (IT): http://svolte-epocali.blogspot.com/2009/11/climategate.html
- sito sul ClimateGate (ENG): http://www.climategate.com/
- videoclip "hide the decline" http://www.youtube.com/watch?v=nEiLgbBGKVk
- intervista con Singer (divisa in tre parti) http://www.examiner.com/x-33398-LA-Public-Policy-
Examiner~y2009m12d29-Climate-Change-101-Is-the-globe-warming
- polemiche pubbliche @ BBC http://www.climatedepot.com/a/4292/Climategate-Professor-to-
Skeptic-on-Live-BBC-TV-What-an-Asshle
- ClimateGate and the “Green Dragon”
http://www.aim.org/aim-report/climategate-and-the-green-dragon/
- l'appello di Copenhagen
il 24 e 26 maggio, nel World Business Summit, il governo danese convoca il
mondo del business e della finanza, e più di mille persone si sono riunite e hanno
approvato il documento: “The Copenhagen Call”, l’appello di Copenhagen. In
pratica, il mondo degli affari avanza le proprie richieste ai politici e ai futuri
negoziatori del trattato di Copenhagen: la prima è che occorre puntare
sull’innovazione tecnologica; la seconda è che i poteri pubblici devono rendere
"economicamente razionali" le innovazioni, istituendo fondi di incentivamento e di
facilitazione fiscale dell’iniziativa privata.
In realtà l'appello ha buone probabilità di riuscire, avendo molti Stati il problema
di risolvere l’uscita dalla crisi economico /finanziaria attuale, e vedendo
nell’economia verde e delle energie uno sbocco economico e occupazionale per
rimettere in moto l'economia.
Se l'accordo è già difficile politicamente, si può facilmente immaginare quanta
"distrazione" e conflitti possano sovrapporre la pressione delle lobby e gli aspetti
economico / finanziari! Basta pensare ai ghiotti ed ingenti capitali che, di fronte
ad una emergenza su scala globale, si possono mobilitare per il sostegno alle
tecnologie per produrre energia con minor consumo di CO2 e alle tecnologie per
la mobilità automobilistica oppure aerea accompagnate da minori emissioni.
......
RITAGLI
- i leader
Obama è comunque stato chiaro in merito alla reale portata dell'accordo raggiunto: «Non è
sufficiente per combattere il cambiamento climatico, ma si tratta di un importante inizio. Nessuna
nazione è completamente soddisfatta, ma l'intesa in questione costituisce un significativo e
storico primo passo nonché una base sulla quale costruire ulteriori progressi».
Il presidente venezuelano Hugo Chavez, dopo aver affermato che il capitalismo è la causa
dell'inquinamento, ha definito «ridicoli» i 100 miliardi di dollari che verranno destinati dai paesi
ricchi a quelli poveri per aiutarli a far fronte ai cambiamenti climatici, ricordando come – per
aiutare le banche – in poco tempo siano stati spesi ben 700 miliardi di dollari. Egli ha poi definito
«antidemocratica» la genesi dell'accordo.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha spiegato che l'accordo non è stato trovato, e che
l'opposizione della Cina a un monitoraggio delle emissioni è stato uno dei problemi principali. «La
mancanza di numeri sui gas serra è un fallimento. Questo vertice ha dimostrato il limiti del
sistema Onu, pari a quelli di una bolla di sapone»
- bozze
Prima dell'incontro decisivo, l'ultima bozza diffusa prevedeva le seguenti quote di riduzione:
mondo intero -50% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990; paesi industrializzati:
-80%; paesi in via di sviluppo: 15-30% in meno. L'aumento della temperatura globale del pianeta
dovrà essere contenuto entro i 2 gradi centigradi sui livelli preindustriali.
- giudizi
- tassa mondiale
[…] solo una bufala, un mito creato ad arte finalizzato a bloccare lo sviluppo del terzo
mondo e la salvaguardia delle risorse residue (quelle sì, in esaurimento), nonchè un pretesto per
l’inizio dell’introduzione di un sistema di tassazione globale e transnazionale (a partire dalla
cosiddetta “carbon tax”), prodromo dell’avvento di un governo mondiale?
- codice velenoso
Il frammento che segue è un commento scritto lasciato all'interno del programma per il
calcolo delle statistiche che, per via dell'ambiguità contestuale dei termini “avoid” e “decline”, è
stato un po' la pietra dello scandalo del Climategate
;
; Specify period over which to compute the regressions (stop in
1940 to avoid
; the decline
;
- utopie e proposte
Proposta per un Patto mondiale del vivere insieme (una specie di Carta Costituzionale
dell'umanità e del pianeta) centrata sull'idea «salviamo la vita e il pianeta».
http://svolte-epocali.blogspot.com/2009/11/letica-della-liberta-e-il-cambiamento.html
27 novembre 2009
Libertà non significa assoluta mancanza di restrizioni: la mia libertà finisce dove
inizia quella di un altro; la mia proprietà è finita ed è limitata alla proprietà degli
altri. I diritti di libertà e proprietà sono equivalenti all'assioma di non aggressione:
l'utilizzo della forza non è legittimo, la forza può essere usata solo per difesa e
per giustizia. L'aggressione, l'invasione della proprietà altrui senza il consenso, è
vietata. L'aggressore deve riparare i danni fatti e risarcire la vittima.
Un'aggressione non è solamente intesa nel senso stretto di violenza di una
persona contro un'altra e contro la sua proprietà (omicidio, furto, rapimento,...).
L'aggressione in senso astratto comprende qualsiasi cosa sia
sufficientemente intensa e nociva, causata da una persona o dai suoi
possedimenti sulla proprietà altrui. Essere il padrone di qualcosa non è
sempre un bene; esiste infatti anche un lato negativo. Il proprietario è
responsabile anche dei danni che le sue proprietà possono causare ad altri
(volontari o involontari, noti o ignoti, previsti o imprevisti). Tutte le azioni
implicano la produzione di residui indesiderati o scarti di cui si deve prendere
cura il proprietario affinchè non danneggino gli altri. Tutte le cose che
appartengono alla realtà sono interconnesse dalle forze fondamentali, così che
un cambiamento può causare effetti grandi o piccoli, Le regole etiche si
riferiscono però solo ai cambiamenti e agli effetti causati dall'uomo e che
possono danneggiare gli altri o creare conflitti. Queste interazioni possono
coinvolgere la materia (solido, liquido, gas; macroscopiche o microscopiche
particelle), l'energia (calore, onde elettromagnetiche, onde di pressione) o
alterazione delle condizioni dell'ambiente naturale (luminosità, pressione,
temperatura, vento, umidità). Gli effetti possono essere forti o deboli, concentrati
o diffusi, diretti o indiretti, locali o globali, frequenti o sporadici, cumulativi o non
cumulativi, istantanei o ritardati, temporanei o permanenti.
Per via delle limitazioni della mente umana, la realtà è spesso studiata in un
modo semplificato, come se fosse lineare e semplice; ma la realtà è una rete
complessa di entità e relazioni. Una causa può avere diversi effetti su individui
diversi, talvolta positivi o talvolta negativi. Un effetto può avere cause molteplici,
naturali o artificiali, da una persona a molte che fanno la stessa cosa (come
respirare) o aspetti complementari (come la produzione e l'utilizzo delle
automobili o la produzione e il consumo di energia). In sistemi caotici e non
lineari, piccole cause possono avere effetti giganteschi e viceversa. Per poter
essere qualificati come aggressioni, gli eventi reali devono essere
fisicamente riconoscibili, pricologicamente percettibili e pertinenti per le
preferenze dell'individuo. Sono le valutazioni umane che percepiscono le
situazioni come opportunità o minacce, benefici o danni. Ed è la possibile
incompatibilità tra le preferenze individuali soggettive che origina conflitti: ciò che
a qualcuno piace, a qualcun altro potrebbe non piacere. Il contenuto specifico
della nozione di aggressione è aperto e discutibile, non è un concetto facilmente
circoscrivibile, ma arbitrario. Non può essere determinato usando
esclusivamente la ragione pura, dipende dalle abitudini, dalle tradizioni, dalle
consuetudini. Criteri oggettivi possono essere utilizzati per determinare se
un'azione può essere considerata un'aggressione o no: intensità, immediatezza,
estensione, durata.
Non esiste un clima ottimo, e in conflitti per la determinazione del clima possono
crescere in maniera direttamente proporzionale al controllo che si raggiunge
dello stesso. Anche se gli uomini si sono adattati a questo clima non significa che
non possano fare altrettanto con climi diversi, se le differenze non sono
eccessive. Il cambiamento climatico può sembrare repentino se rapportato ad
una scala dei tempi geologici, ma è lento rispetto all'uomo, tanto da permettere
un adattamento e una pianificazione per il futuro. Le politiche di mitigazione del
cambiamento climatico hanno certamente altissimi costi nel presente [*3] e
garantiscono benefici impercettibili per il futuro. I poveri di oggi si stanno
sacrificando per aiutare i ricchi di domani.
Gli uomini sono proattivi (ovvero in grado di reagire agli eventi in modo
consapevole e responsabile non lasciandosi condizionare dalle proprie impulsive
remore psicologiche e dalle circostanze ambientali esterne, ndt) non si
sottomettono passivamente all'influenza della natura e contrastare il
cambiamento climatico non è quindi l'opzione migliore. L'acqua corrente è un
problema dove non ci sono diritti di proprietà, un mercato e dei prezzi. Le
malattie tropicali dipendono dalle condizioni socioeconomiche. Le nazioni
sottosviluppate sono povere soprattutto per via dell'inadeguatezza delle loro
istituzioni sociali, non per il cambiamento climatico. Le ondate di caldo
possono essere affrontante con l'utilizzo dell'aria condizionata (e il riscaldamento
globale ridurrebbe le morti associate al freddo). L'estinzione degli esseri viventi è
dovuta alla distruzione degli habitat o alle invasioni dell'uomo (o alla loro
uccisione diretta nella caccia e nella pesca). I catastrofisti del cambiamento
climatico sembra che si dimentichino altre più importanti e urgenti questioni che
riguardano l'allocazione di risorse scarse richieste per mitigare il cambiamento
climatico. É assurdo ritenere il riscaldamento globale il problema primario
da affrontare per l'umanità quando c'è guerra, fame, malattia e povertà in
buona parte del globo.
fonte: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/10_gennaio_20/clima-himalaya-ghiacci_0749a970-
05c8-11df-a1d7-00144f02aabe.shtml
MILANO - Scusate, ci siamo sbagliati: faremo meglio i conti. L'Ipcc (Gruppo intergovernativo
dell'Onu sul cambiamento climatico), premio Nobel per la pace nel 2007, ha presentato le proprie
scuse all'India, il cui governo aveva vivamente protestato per una previsione catastrofica. Nel
2007 l'Ipcc aveva infatti previsto che, se la tendenza al riscaldamento climatico resta quella
attuale, i ghiacciai dell'Himalaya si scioglieranno entro il 2035, e forse anche prima.
Sconvolgendo le vite di circa 2 miliardi di persone che vivono con l'acqua che scende dalla
catena montuosa più alta del mondo.
GHIACCI - Jairam Ramesh, ministro indiano dell'Ambiente, aveva detto al quotidiano The Times
of India che lo studio dell'Ipcc «mancava di dati scientifici» e ora lo ammette lo stesso organismo
delle Nazioni Unite. Chris Field, direttore del gruppo di studio responsabile del rapporto criticato,
ha riconosciuto l'errore e ha detto che a breve l'Ipcc renderà pubblico un nuovo studio con date
diverse. Che i ghiacciai himalayani stiano perdendo massa - come quelli di quasi tutto il mondo -
è un dato di fatto ma, dato il loro spessore, è impossibile che alle temperature attuali possano
sciogliersi del tutto entro il 2035. Yao Tandong, un glaciologo specializzato nell'altopiano del
Tibet, in una recente conferenza internazionale ha indicato che al passo attuale i ghiacciai
himalayani si scioglieranno per il 30% entro il 2030, per il 40% entro il 2050 e per il 70% entro la
fine del secolo. Questo è il secondo controverso episodio che vede coinvolto l'Ipcc negli ultimi
mesi dopo la diffusione di email, forse per l'intrusione di hacker russi, di ricercatori dell'università
inglese di East Anglia in cui si ammetteva che alcuni dati erano stati «potenziati» per evidenziare
meglio il riscaldamento globale.
MENO CALDO DEL PREVISTO - Ma non è l'unico dubbio sulle stime e sull'andamento futuro del
riscaldamento globale - che nessun scienziato autorevole in materia mette più in discussione. In
uno studio che sarà prossimamente pubblicato dal Journal of Climate, rivista dell'American
Meteorological Society, si evidenzia che, in base ai modelli attuali, dall'inizio dell'era industriale a
oggi l'immissione nell'atmosfera di anidride carbonica avrebbe dovuto provocare un aumento
della temperatura ben più alto di quello effettivamente registrato. Rispetto alla quantità di CO2
emessa, la temperatura sarebbe dovuta aumentare di 3,8 gradi Fahrenheit (2,11 gradi Celsius),
invece è aumentata di 1,4 gradi Fahrenheit (0,78 °C). Secondo gli autori dello studio, guidati da
Stephen Schwartz del Brookhaven National Laboratory, ciò è dipeso dall'interazione di due
fattori:
1 - la Terra è meno sensibile all'aumento dei gas serra di quanto ipotizzato
2 - la riflessione dei raggi solari dovuta al pulviscolo atmosferico sta facendo diminuire il
riscaldamento.
Una terza possibilità è l'inerzia maggiore del previsto del riscaldamento dovuto ai gas serra,
anche se gli ultimi studi hanno fatto calare il ruolo di questo ultimo fattore.
La domanda che emerge da questo studio è la seguente: quanta anidride carbonica e altri gas
serra possono essere ancora immessi nell'atmosfera prima che gli effetti diventino catastrofici?
Se la stima del fattore 1 si trova al punto più basso delle previsioni dell'Ipcc, per non superare i 2
gradi centigradi considerati come limite massimo accettabile del riscaldamento planetario restano
altri 35 anni di emissioni attuali di combustibili fossili nell'atmosfera. Ma se il fattore 1 si trova al
punto massimo della curva, la concentrazione attuale di gas serra è GIÀ a livelli tali che si
supereranno i 2 gradi di riscaldamento. Gli autori indicano che l'influenza del fattore 2 oggi è
molto difficile da stimare con buona attendibilità. Schawartz ammette che formulare politiche
energetico-ambientali con il livello attuale (incerto) di conoscenze è come navigare in acque
pericolose senza bussola. «Sappiamo che dobbiamo cambiare rotta alla nave e sappiamo dove
andare, ma non sappiamo di quanti gradi dev'essere la virata e soprattutto quando dobbiamo
girare il timone».
Paolo Virtuani
20 gennaio 2010(ultima modifica: 21 gennaio 2010)
What is the greenhouse effect and global warming?
The most recent assessment report from the Intergovermental Panel on Climate Change
(IPCC) says that the earth’s average temperature has risen by 0.74 degrees in the
period from 1906 to 2005, and that the average temperature will continue to rise.
Ministry of Climate and Energy of Denmark
The greenhouse effect is a natural mechanism that retains the heat emitted from the
earth’s surface. The earth’s average temperature is at the moment around 14 degrees
celsius (57 degrees fahrenheit). If the natural greenhouse effect did not exist, the
average temperature would be around minus 19 degrees celsius (minus 2 degrees
fahrenheit).
At present the concentration of CO2 in the atmosphere is about 385 ppm (parts per
million). Before industrialization it was about 280 ppm. Analyses of air contained in ice
from the Antarctic ice cap show that there is far more CO2 in the air today than at any
time in the last 650,000 years.
The consequence is that the greenhouse effect is becoming stronger, and therefore the
earth is becoming warmer. How much warmer has, however, been a matter of dispute.
The most recent assessment report from the IPCC is from 2007. It concludes that the
earth’s average temperature has risen by 0.74 degrees in the period from 1906 to 2005.
The warming is stronger over land areas than over the sea, and accordingly it is
strongest in the northern hemisphere. At the same time occurrences of heat waves and
violent downpours have also increased, the oceans have risen, and the ice at the world’s
poles and on its mountains has begun to melt. All of these effects are predictable in the
event of global warming.
The IPCC’s most recent assessment report concludes that the average temperature will
continue to rise, but that the extent and the duration of this rise, and the severity of its
consequences, depend on how quickly and how effectively emissions of greenhouse
gases can be restricted and, over time, reduced.