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ENEA, 2003

Produzione di energia termica e/o elettrica tramite la


combustione di biomasse legnose: le implicazioni ambientali

Nicola Colonna, Mario Conti e Vincenzo Gerardi1


Introduzione
I recenti indirizzi in merito alla liberalizzazione della produzione di energia
elettrica stanno profondamente cambiando lo scenario della generazione di
energia nel nostro paese. Le nuove aziende emergenti propongono impianti sia di
natura convenzionale, cioè alimentati da fonti di origine fossile, che impianti che
utilizzano fonti rinnovabili, con potenziali e significativi benefici ambientali sia in
relazione all’effetto di sostituzione dell’energia prodotta da fonti fossili che per la
loro minore o limitata produzione di gas ad effetto serra o nocivi per la salute
umana e gli ecosistemi.
Tali nuove iniziative trovano giustificazione sia negli strumenti di indirizzo
politico programmatico europei e nazionali, sia negli strumenti incentivanti
regolati dalle apposite normative (CIP 6, certificati verdi). Anche il Decreto
Legislativo 16 Marzo 1999, n° 79, che in attuazione della direttiva 96/92/CE reca
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, all’art. 11 dedica
particolari norme all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
Tali sollecitazioni sono state raccolte da diversi operatori del settore che hanno
proposto, in molte regioni italiane, nuove centrali per la produzione di energia
elettrica alimentate a biomasse.
La localizzazione di dette centrali richiede la disponibilità di siti adeguati la cui
identificazione e selezione avviene sulla base di considerazioni, da parte del
singolo operatore e/o della singola amministrazione interessata, prevalentemente
di natura economica e produttiva. Manca infatti l’autorità nazionale di
pianificazione delle sorgenti e dei luoghi di produzione, funzione che veniva
assolta dall’Ente elettrico nazionale, la quale permetteva di superare qualunque
strumento ostativo in una logica integrata di produzione, trasmissione e
distribuzione dell’energia elettrica funzionale al sistema produttivo e di servizio
del paese.
Di fatto molte Amministrazioni locali hanno ricevuto e ricevono proposte di
localizzazione di impianti di produzione di energia elettrica elaborate sulla base di
una conoscenza generica del territorio e/o della presenza di strumenti urbanistici
favorevoli agli insediamenti di tale natura, quali ad esempio le aree destinate agli
insediamenti produttivi note come aree PIP (Piano di Insediamenti Produttivi).

1
La presente comunicazione è il risultato della collaborazione dei tre autori ed è da attribuirsi in
parte uguale a ciascuno di essi.

Atti del convegno “Azioni locali per la diffusione nel territorio delle colture energetiche e della produzione
di energia da Biomassa”. Pagine 119- 131, Gorizia
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Gli amministratori locali non sempre dispongono di strumenti cognitivi


appropriati, e di personale tecnico di supporto, per una ponderazione adeguata
delle interferenze che la proposta di realizzazione di grandi impianti o di opere
fortemente impattanti sul territorio comporta, né di conseguenza per una
elaborazione di strategie di integrazione di tali opere in un processo di sviluppo
del territorio equilibrato che tenga nella dovuta considerazione i potenziali
benefici socio economici.
Parimenti le popolazioni interessate, hanno una conoscenza dell’opera proposta
proveniente in gran parte dai soli mezzi di comunicazione locali e assumono
atteggiamenti di prudenza se non proprio di paura, giustificati talvolta da una non
profonda conoscenza dell’opera proposta e della interferenza della stessa sui
propri beni e sulla propria salute. Nasce una duplice esigenza: una conoscenza
qualitativa e quantitativa affidabile e un processo di dibattito trasparente e
democratico di tutti i soggetti coinvolti, attraverso il quale il cittadino possa
consapevolmente partecipare alla gestione del territorio in cui vive in maniera da
vedere garantiti i propri diritti come singolo e come collettività nel rispetto della
normativa vigente. Questa esigenza si traduce, per le opere potenzialmente
impattanti sulle diverse componenti ambientali, in una richiesta diffusa di
applicazione di quel processo di indagine e di analisi tecnico scientifica che va
sotto il nome di Valutazione di Impatto Ambientale la quale può assumere rango
nazionale o regionale a seconda dell’entità dell’opera.
Tale processo è basato sull’analisi di documenti tecnico scientifici nei quali è
riportato il progetto, uno studio delle probabili interferenze impianto-ambiente e
ambiente-impianto, e altre informazioni utili per l’espressione del giudizio di
compatibilità; il complesso di tali documenti costituisce quello che viene definito
“Studio di Impatto Ambientale” (S.I.A.). In Italia gli impianti alimentati a
biomasse in esercizio sono pochi (figura 1) e per la maggior parte non sono stati
oggetto di studi di impatto ambientale o in virtú delle taglie limitate, spesso al di
sotto dei limiti per i quali scatta l’obbligo normativo per il proponente di
presentare il S.I.A. o per l’assenza di normative regionali.

Fig. 1 – Impianti alimentati con biomasse in esercizio o in costruzione con le


relative potenze al 2001.

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L’ENEA ha elaborato in forma prototipale due Studi di Impatto Ambientale di


centrali elettriche alimentate a biomassa legnosa, in considerazione del proprio
interesse nella ricerca e nell’approfondimento delle problematiche ambientali e
territoriali legate all’utilizzo delle biomasse nei sistemi energetici, anche nel
quadro degli accordi post Kyoto, e con l’intento di ricavare eventuali elementi
integrativi agli studi effettuati sino ad oggi sulle energie alternative, specie in
termini di “vantaggi e limiti”, utili all’identificazione di strategie energetico
ambientali appropriate.

1. Le implicazioni ambientali
L’esperienza maturata nella elaborazione degli studi suddetti ci ha consentito di
definire quali siano i vantaggi e i limiti della costruzione di impianti alimentati a
biomassa legnosa, le principali interferenze ambientali e di evidenziare le
specificità, anche in termini di necessità di analisi, per questo tipo di impianti. In
particolare nel prosieguo della esposizione ci soffermeremo sui seguenti aspetti
rilevanti:

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▪ La potenzialità dell’impianto, la produzione e il consumo di combustibile;


▪ La scelta dei siti;
▪ Le tecnologie proposte;

Dalle esperienze analizzate è infatti emerso che i tre aspetti elencati sono elementi
centrali del dibattito locale, sia interno alle amministrazioni che nelle assemblee
pubbliche, e le modalità e i tempi con i quali i soggetti proponenti si impegnano a
informare i cittadini e le amministrazioni locali sulle motivazioni delle scelte
effettuate, relativamente ai primi tre punti, influenzano in modo significativo
l’accettabilità dell’intervento proposto. Da questo punto di vista è utile ricordare
che la complessa procedura di VIA che pur prevede meccanismi di trasparenza e
informazione alla collettività, ad esempio l’assemblea pubblica, non è un
meccanismo partecipativo ma di garanzia.

1.1 La potenzialità dell’impianto e l’approvvigionamento del combustibile


Un sistema di produzione di energia elettrica ha come obiettivo la realizzazione di
cicli termodinamici ad elevato rendimento al più basso costo di investimento e di
esercizio, tenendo anche conto degli incentivi esistenti. Anche nel caso
dell’impiego di biomassa legnosa si tende a proporre impianti che abbiano una
potenza elettrica superiore a 10 MWe (molto piccola se si confronta con i
moderni impianti turbogas in ciclo combinato) per limitare il costo di impianto per
unità di potenza a limiti accettabili. Anche il rendimento termodinamico rimane
per questa tipologia di impianti molto basso, intorno al 25%, comportando di
conseguenza una forte richiesta di legna, stimabile, per una centrale da 10 MWe
basata su una tecnologia tradizionale, tra le 100.000 e le 120.000 tonnellate annue
(con un contenuto medio di umidità intorno al 35 %).
L’approvvigionamento di tali quantitativi di combustibile non è sempre agevole,
specie in un territorio ristretto e fortemente frammentato ed urbanizzato quale
può essere quello relativo ad una provincia italiana, per cui bisogna ricorrere a
trasporti di media e lunga distanza. Qualora si propongano, per motivi legati
soprattutto alle economie di scala dell’investimento, impianti di potenza più
elevata, ad esempio 40 MWe anche su piu' linee parallele, l’approvvigionamento
deve fare ricorso a mercati molto ricchi di risorsa e di residui dell’industria del
legno (ad esempio l’importazione con trasporti via mare) che assicurino la
regolarità e la sicurezza degli approvvigionamenti.
In sostanza il basso potere calorifico del legno 2500–3000 kcal/kg e i bassi
rendimenti degli impianti oggi proposti comportano l’impiego di elevati
quantitativi di combustibile per produrre una unità di energia (kWh) rispetto ai
tradizionali combustibili fossili. Gli sviluppi tecnologici per attenuare i limiti
sopradetti vanno nella direzione di impianti di gassificazione del legno in ciclo
combinato (IGCC) o verso gli impianti di co-combustione dove il combustibile

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base è il carbone, al quale si aggiunge la biomassa, ma non si prevede la loro


ampia diffusione nel breve periodo. (Gerardi, 2000).
L’impiego di una fonte energetica diffusa sul territorio quale è il legno che
presenta una bassa densità per unità di superficie e un elevato rapporto tra volume
e contenuto energetico (AA.VV. 1994) rende oneroso concentrare nel tempo e
nello spazio gli elevati volumi di biomassa necessari per alimentare grandi
centrali elettriche. E’ necessario a questo punto ricordare che le politiche di
incentivazione alla diffusione di tale fonte rinnovabile di energia hanno come
riferimento principale le politiche ambientali di riduzione delle emissioni di gas
ad effetto serra (AA.VV. 1999) e che la massimizzazione della riduzione delle
emissioni di CO2 la si ottiene tramite la “sostituzione” del combustibile fossile
con un combustibile rinnovabile. La movimentazione di elevati volumi di
prodotti legnosi d’altra parte richiede un grande dispendio di combustibili fossili
per unità di energia trasportata e può diminuire significativamente i benefici attesi
in termini di riduzione delle emissioni di gas serra. La quantità di CO2 emessa per
unità di prodotto legnoso raccolto, condizionato e trasportato rappresenta un buon
parametro per la valutazione della convenienza al reperimento del combustibile a
grandi distanze. Il valore che tale indice assume è funzione del tipo di trasporto
utilizzato (gomma, rotaia o mare), della distanza di approvvigionamento e anche
del tipo e pezzatura del materiale legnoso.
I limiti suddetti portano a considerare come idonea la scelta della produzione di
energia elettrica con biomassa legnosa solo in contesti di elevata produzione di
legna, residui forestali o agroindustriali dove le distanze di approvvigionamento
siano limitate entro un raggio di alcune decine di chilometri dalla centrale o
quando sia possibile usufruire di modalità di trasporto ferroviarie o navali che
hanno il vantaggio di diminuire fortemente la spesa energetica per unità di
biomassa trasportata e quindi le emissioni di gas serra ad essa connessa.
In contesti locali molto diversificati (per produzione, orografia, infrastrutture),
quali quelli normalmente presenti nel nostro paese, appare più opportuno orientare
l’utilizzo della biomassa legnosa alla produzione di calore locale e/o vapore per
impianti di piccola media scala a servizio di comunità o di specifiche realtà
produttive. In tali casi la biomassa necessaria può essere approvvigionata nelle
aree limitrofe all’impianto in una logica di continua sorveglianza produttiva e
protettiva del territorio nella quale la raccolta della biomassa legnosa e in
specifico quella forestale si integri con la prevenzione dal rischio di incendi, la
protezione idrogeologica e quelle attività turistiche che, valorizzando la risorsa
bosco, aumentano le ricadute economiche per la comunità locale. E’ da
considerare inoltre che in alcune regioni gli usi termici delle biomasse sono
incentivati ed il ciclo economico legato agli usi termici si rivela più definito e
rende più sicuro il ritorno dell’investimento.
Una alternativa alla limitata disponibilità di biomassa è la sua produzione tramite
coltivazioni appositamente dedicate (Hall e Overend 1987). Nei casi analizzati i

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proponenti gli impianti hanno ipotizzato di ricorrere alla produzione di legna da


coltivazioni arboree specializzate (Pioppo, Robinia) con cicli di taglio ridotti (2-3)
sfruttando l’elevata capacità di ricaccio di queste specie. Tralasciando in questa
sede il fatto che in entrambi i casi si tratta di mettere a coltura migliaia di ettari di
terreno con profonde modificazioni del paesaggio e sostituzione di colture
tradizionali è bene ricordare che nel nostro paese i modelli colturali proposti sono
stati sperimentati solo nell’ultimo decennio su limitate superfici (Frison et al.
1990) e non ci si può in alcun modo rifare alle esperienze nordeuropee realizzate
in altri contesti pedoclimatici. In entrambi i progetti sono stati ipotizzate ottime
provvigioni legnose per ettaro ma senza riportare il dettaglio delle tecniche di
coltivazione adottate. Le ottimistiche previsioni di raccolta indicate richiedono
certamente una tecnica colturale che faccia largo uso di fertilizzanti per sostenere
la produzione e alte densità di piantagione. Tali aspetti, trascurati in fase di
progetto per essere forse approfonditi in fasi operative successive, sono invece
essenziali a colui che deve analizzare le implicazioni ambientali dell’introduzione
di un nuovo modello di “forestazione produttiva” su cosi ampie superfici . E’ stato
quindi necessario realizzare in proprio alcune stime quantitative realistiche sulle
superfici necessarie a soddisfare le sigenze della centrale ma soprattutto indicare
la necessità di realizzare preliminarmente sperimentazioni locali con lo scopo di
identificare tecniche colturali a basso impiego di ausiliari chimici e non meno
importante verificare la redditività economica di tali colture.

1.2 La scelta dei siti


Nei casi di studio esaminati (figura 2) la scelta dei siti di localizzazione degli
impianti a biomassa legnosa non ha seguito una logica di carattere tecnico in
grado di rispondere contemporaneamente alle esigenze sia ambientali che
produttive.

Fig. 2 - Principali caratteristiche dei due impianti analizzati

Localizzazione: Veneto Localizzazione: Basilicata


Potenza elettrica: 22 MWe Potenza elettrica: 40 MWe
Netta in rete: 20 MWe Netta in rete: 36,5 MWe
Biomassa: cippato Biomassa: cippato
Quantità oraria : 29 t/h Quantità oraria: 50 t/h
Stimata annua: ~ 240.000 t Stimata annua: ~ 400.000 t
Rendimento da progetto 26 % Rendimento da progetto: 25/26 %

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E’ stata invece percorsa la strada della ricerca del sito sulla base della
disponibilità di alcune amministrazioni pubbliche interessate ad inserire sistemi
produttivi sul proprio territorio. In un caso è stato proposto un sito già
industrializzato anche se dismesso (area di un ex zuccherificio, nel Nord Italia),
in prossimità di un agglomerato urbano (circa 500 m).
L’analisi ambientale di tale inserimento ha evidenziato la valenza positiva del
recupero a fini produttivi di una gran parte delle infrastrutture e degli edifici
(peraltro di pregio, appartenendo ad architetture industriali dei primi del 900)
senza ricorrere a utilizzo di nuovo suolo. Gli impatti, peraltro limitati e comunque
contenuti entro i limiti della attuale normativa, comportano comunque un
aggravio delle condizioni ambientali che bilanciano il vantaggio offerto da un sito
già industrializzato. Uno di questi è l’incremento di traffico in prossimità
dell’abitato per l’afflusso del combustibile (legname) alla centrale tramite
autoarticolati.
Nell’altro caso studiato il sito individuato è stato all’interno di una area PIP
(Piano Insediamenti Produttivi) di un Comune del Sud Italia, peraltro già fornita
di strade, fognature, illuminazione, ma senza alcuna presenza di attività
produttive. Questa opzione ha il vantaggio di essere abbastanza lontana dai due
paesi viciniori (3 e 9 km rispettivamente), in aperta campagna, ma in vicinanza di
strade di accesso di fondovalle e di linee elettriche (a 132 kV per il conferimento
dell’energia prodotta), e quindi con impatti molto limitati sulle popolazioni. Le
concentrazioni degli inquinanti atmosferici emessi dalla centrale (principalmente
NOx e polveri), a tali distanze sono ampiamente contenute entro i limiti
normativi, così come l’incremento di rumore prodotto dall’esercizio della centrale
non ha parimenti alcun effetto significativo a tale distanza.
Resta invece di valore medio alto l’impatto visivo in quanto la centrale costituisce
un forte elemento intrusivo in un ambiente puramente agricolo; ciò è soprattutto
evidente fino a quando, paradossalmente, l’area PIP non sarà riempita di altre
attività produttive in modo da costituire un nucleo omogeneo di architettura
industriale, pur in un contesto di discreta naturalità.
Entrambe le situazioni mostrano però il limite di un contesto di
approvvigionamento del combustibile troppo ristretto rispetto alle necessità legate
alle potenze proposte (20 MWe e 40 MWe). Nel caso della centrale di potenza più
elevata, secondo il proponente le necessità possono essere soddisfate tramite
l’importazione di legname via nave per circa il 50% delle necessità. Appare
evidente come sia discutibile la scelta del sito a circa 150 km di distanza dal porto
utile più vicino, soprattutto perché provoca un aumento consistente dei mezzi
pesanti sulla direttrice stradale porto – centrale e delle emissione gassose
connesse.

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In definitiva la scelta dei siti di realizzazione di centrali a biomassa legnosa deve


essere effettuata soprattutto in relazione alla loro centralità rispetto ad un bacino
di approvvigionamento di combustibile, che diventa pertanto anche l’elemento
limitante della potenza da proporre, in una logica di integrazione delle attività
produttive di tale bacino con le necessità di gestione del territorio ivi compreso.

1.3 Le tecnologie proposte


La peculiarità degli impianti di produzione di energia elettrica a biomassa legnosa
consiste proprio nel combustibile. Nel sito della centrale è infatti da prevedere una
ampia zona, 2–4 ettari, attrezzata a ricevimento e stoccaggio provvisorio della
legna e di importanti strutture per la cippatura e lo stoccaggio al coperto del
cippato prima del trasferimento e trasporto al sistema di bruciamento (griglia, letto
fluido bollente).
A confronto con gli impianti ad olio combustibile, questo settore è molto più
complesso nella sua gestione e richiede una forte componente di manodopera
generica (operatori di mezzi mobili di cantiere); nei moderni impianti a turbogas
in ciclo combinato questo aspetto è praticamente inesistente, essendo l’adduzione
del combustibile effettuata tramite gasdotti interrati e completamente
automatizzati per la regolazione delle portate e delle pressioni.
Il limite quindi di impianti a biomasse legnose è la necessità di una notevole
estensione di territorio in aree industriali da dedicare alla gestione del
combustibile; se si considera ad esempio un indice di ”necessità di territorio” per
unità di potenza installata (m2/MWe) si vede che per una centrale a biomassa tale
indice è pari circa a 1600, mentre per una centrale turbogas da 400 MWe è 110,
cioè un rapporto di circa 14 a 1. Nondimeno è da considerare che la presenza di
grandi masse legnose accatastate in prossimità di altri insediamenti produttivi può
costituire un problema di sicurezza non indifferente anche alla luce degli
avvenimenti intercorsi al primo impianto italiano a biomasse protagonista di un
incendio che ha richiesto l’intervento per più giorni di squadre coordinate di vigili
del fuoco. A tale eventualità si può ovviare istituendo alcuni siti di stoccaggio
intermedio limitando al minimo la quantità di combustibile accumulata nei pressi
della centrale.
Gli sviluppi tecnologici futuri sono orientati a migliorare nettamente i rendimenti
termodinamici (tramite l’IGCC) in modo che i vantaggi del ciclo “neutro” della
CO2 legato all’impiego delle biomasse sia reale e competitivo nei confronti dei
combustibili fossili tra i quali primeggia, per le ridotte interferenze ambientali che
produce, il gas naturale; qualora ciò non dovesse avvenire i vantaggi dell’utilizzo
della biomassa legnosa nella produzione di energia elettrica nell’ambito della
produzione nazionale rimarrebbero modesti, in quanto limitati sarebbero gli effetti
di sostituzione dei combustibili fossili e quindi limitato il contributo alla
riduzione dei gas ad effetto serra. Nondimeno sarebbe limitata l’incidenza
relativamente agli obiettivi nazionali ed europei di penetrazione delle fonti

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rinnovabili e di diversificazione delle fonti. Le tecnologie proposte negli impianti


in esame sono consolidate e largamente utilizzate anche in altri tipi di impianti. In
entrambi i casi i proponenti hanno previsto l’eventuale spillamento di parte del
vapore per fornire calore a utenze civili o industriali limitrofe, ma la natura
accessoria di tale opzione in siti dove non sono identificabili o dove sono del tutto
assenti utenze significative che possano avvantaggiarsi del calore in eccesso
prodotto dagli impianti identifica questi impianti come non cogenerativi.
L’opzione di cogenerazione cambia e migliora significativamente la valutazione
del bilancio costi benefici, in termini ambientali, in quanto ai bassi rendimenti
elettrici degli impianti si aggiunge il rendimento termico consentendo di
raggiungere rendimenti complessivi ben superiori al 50%.
Qualunque sia la tecnologia impiegata a valle del processo di combustione
residuano elevate quantità di ceneri che devono essere opportunamente smaltite.
In media la loro quantità può variare dal 4 al 7% del peso del combustibile
impiegato il che significa che nel caso dell’impianto piu grande analizzato si
potevano ottenere oltre 28.000 tonnellate di ceneri. In teoria le ceneri possono
trovare impiego in piu settori compreso quello agricolo, in pratica è necessario
operare la separazione delle ceneri di caldaia, la cui composizione non presenta
preoccupazioni, da quelle piu sottili raccolte dai sistemi di filtrazione il cui
contenuto in elementi potenzialmente nocivi ne rende obbligatorio lo smaltimento
controllato.

2. L’accettabilità sociale
Si è detto che la potenzialità dell’impianto deve essere consistente con un
territorio di prelievo della biomassa legnosa non troppo vasto. Ciò affinché si
inneschi un processo produttivo che va dalla raccolta dei residui agroforestali fino
alla loro cippatura per l’immissione nei sistemi di bruciamento, nello stesso
ambito territoriale. Tale processo, ad elevati contenuti di lavoro manuale, viene
percepito in maniera diversificata a seconda di dove lo si proponga: non
interessante nelle pianure al Nord dell’Italia, in quanto fornisce occupazione di
nessun interesse per le popolazioni locali, le quali hanno difficoltà a trovare
addetti a lavori similari, soprattutto nel settore agro industriale; di interesse invece
al Sud in aree ad elevata disoccupazione per le prospettive soprattutto di impiego
diretto in centrale e di quelle indotte (prelievo e trasporto) che offre.
La preoccupazione per gli effetti sulla salute è invece generalizzata ovunque,
specie nei confronti delle emissioni in atmosfera, e rappresenta un limite
all’accettabilità degli impianti per una forte diffidenza nei confronti delle
valutazioni di concentrazioni di inquinanti che vengono effettuate con modelli
matematici di difficile comprensione per il cittadino; a ciò si aggiunge anche una
diffidenza nei confronti dei controlli sul combustibile in ingresso, basati
essenzialmente su controlli di tipo amministrativo, giudicati non idonei ad evitare
introduzione di sostanze diverse dal cippato di legno.

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L’epilogo dei due casi di proposte di centrali a biomassa legnosa presentati, e


studiati per gli impatti ambientali dall’ENEA, dopo una presentazione finale alle
due popolazioni locali interessate, in due assemblee pubbliche molto partecipate è
stato:

- al Nord : un referendum consultivo indetto dal Comune ha bocciato


l’iniziativa;
- al Sud: l’iniziativa al momento prosegue ed è stata sottoposta alla
valutazione di impatto ambientale secondo la procedura regionale in atto,
ma trova forti opposizioni locali. La società proponente ha in corso
modifiche alla proposta originaria tese a diminuire la potenza
dell’impianto e massimizzare l’impiego di biomasse di origine locale.

3. Conclusioni
In definitiva il passaggio dalle opportunità e potenzialità dell’utilizzo della
biomassa legnosa per produzione di energia elettrica al suo reale impiego,
nonostante le forti raccomandazioni e gli indirizzi di politica energetica, è
difficile e limitato sia da aspetti tecnico gestionali che dalla accettabilità delle
popolazioni direttamente interessate. I riflessi dei vantaggi ambientali previsti,
quali la riduzione della immissione in atmosfera della CO2 e la diversificazione
delle fonti di produzione, pur se compresi, non vengono percepiti come elementi
rilevanti per il proprio territorio. Prevale la cosiddetta sindrome NIMBY 2 che si
manifesta tramite la condivisione delle motivazioni generali di carattere
ambientale del progetto ma nella forte opposizione alla sua realizzazione nel
proprio territorio. La procedura di VIA chiesta a garanzia sia dalle
amministrazioni che dalle realtà locali non si rivela sufficiente, anche quando lo
Studio di impatto ambientale ad essa associata non rileva significative
interferenze ambientali, a garantire il cittadino della non alterazione della qualità
dell’ambiente in cui vive. Il proponente invece vive la medesima procedura o
come intralcio nel lavoro e soprattutto nei tempi o come passaggio doveroso di
garanzia con il quale presentarsi alle amministrazioni locali con un marchio di
qualità dell’intervento. Lo strumento procedurale della VIA rimane uno
strumento valido ma che potrebbe essere opportunamente preceduto da tavoli di
confronto locali che mirino, in una fase preliminare, a integrare le opere
proposte nell’ambito dei piani di sviluppo territoriale locali e nazionali tramite
una valutazione ambientale strategica locale partecipata dalla popolazione e
dall’associazionismo nelle sue varie espressioni.

2
Not In My BackYard ovvero non nel mio cortile

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di energia da Biomassa”. Pagine 119- 131, Gorizia
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Bibliografia

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- A.I.G.R. – ENEA, pp120

AA.VV. (1999), Libro Bianco per la valorizzazione energetica delle fonti


rinnovabili, approvato dal CIPE 6-08-1999,pp. 82.

Gerardi V. (2000), Analisi della convenienza tecnico economica su una ipotesi


di utilizzazione del legno a scopi energetici, in Energia Ambiente e Innovazione
ENEA, n.3, pp.30-35.

Hall D.O. e Overend R.P. (1987), Biomass, regenerable energy, John Wiley
and Sons, Great Britain 504 p.

Frison G., Bisoffi S., Allegro G., Borelli M. E Giorcelli A. (1990), Short
Rotation Forestry in Italy: Past experience and present situation, In Energy
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