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PSICOPATOLOGIA DEL CICLO DI VITA

CAPITOLO 1: PSICOLOGIA DEL CICLO DI VITA

1.LA PSICOLOGIA DEL CICLO DI VITA


La psicologia del ciclo di vita può essere definita come la disciplina che ha come oggetto
di studio la descrizione,la spiegazione del comportamento e della stabilità intra-
personali. Il presupposto teorico fondante la prospettiva del ciclo di vita è che lo
sviluppo non sia una trasformazione direzionale,lineare e coerente verso il
raggiungimento di una condizione ottimale, ma che lo sviluppo abbracci l’intero arco di
vita. Lo sviluppo è un processo che si snoda nel corso di tutta la vita.
La prospettiva del ciclo di vita supera le teorie tradizionali dello sviluppo che hanno
descritto la crescita come una progressione attraverso una serie di stadi comuni che si
succedono secondo un ordine precostituito che deve essere percorso per raggiungere
una condizione di teorica normalità. (vedi tab sotto)

® Il concetto di multidimensionalità permette di distinguere diverse dimensioni dello


sviluppo,permette di riconoscere che esso non procede
Concetto di
necessariamente in maniera simultanea o equivalente su tutti i
sviluppo
fronti,ma che si possono osservare disarmonie come ad esempio tra lo
- è un
sviluppo cognitivo e quello affettivo oppure tra ambiti diversi come
processo che
quello musicale e sociale,senza che questo stia a indicare un difetto
dura tutta la
della persona.
vita
® Il concetto di plasticità fa riferimento al fatto che l’evoluzione di un
- è un
individuo può in certa misura essere modificata dalle esperienze e
processo
dalle condizioni di vita. La plasticità si riferisce al cambio di traiettoria
multidimensi
che si può modificare nell’individuo,cioè al fatto che un percorso
onale
evolutivo può essere modificato anche una volta che è stato avviato.
- è un
(es: un ambiente ricco emotivamente e intellettualmente è in grado di
processo che
migliorare lo sviluppo di un bambino la cui vita sia stata caratterizzata
comprende
da esperienze di deprivazione).
guadagni e
® Per quanto riguarda il concetto di perdite/acquisizioni bisogna tener
perdite
presente che non sono uniformi nel corso della vita,in quanto,le
-è un processo
perdite possono diventare prevalenti con l’invecchiamento sia per
interattivo
l’influenza delle convenzioni sociali sia per la riduzione delle risorse
-è un processo
biologiche e mentali .
calato nella
® Il concetto di multidisciplinarità fa riferimento al fatto che lo
realtà storica
sviluppo va considerato come il risultato dell’influenza di diversi
e culturale
sistemi,ognuno dei quali associato a campi di studio specifici.
-è un campo di
® Lo sviluppo è inoltre un processo calato nella realtà storica e
studi
culturale,le esperienze vitali,infatti, influenzano lo sviluppo psicologico
multidisciplin
non solo in rapporto alla loro natura,ma anche all’età in cui si
are
compiono: la temporalizzazione dell’esperienza è importante sia a
livello biologico,perché i suoi effetti sul funzionamento neuronale sono influenzati dallo
stato attuale del cervello,sia a livello psicologico perché le esperienze possono essere
vissute diversamente o dar luogo a risposte diverse se avvengono in tempi
atipici,ovvero diversi da quelli normalmente condivisi da una determinata cultura. È

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necessario ,inoltre tener conto del fatto che le persone sono attive,cioè che reagiscono
e rispondono in modi differenti agli eventi e ai momenti di transizione che non vengono
semplicemente subiti passivamente. Non basta quindi limitarsi a considerare l’impatto
delle esperienze,ma occorre soffermarsi sulla loro negoziazione,cioè sulle modalità con
cui il soggetto agisce,pensa e vive quella specifica esperienza.

2. UN CONFRONTO TRA ALCUNE TEORIE DELLO SVILUPPO


Le teorie a cui viene fatto riferimento utilizzano un concetto di stadio e di fase dello
sviluppo,intendendo con questi termini un insieme di caratteristiche che connotano le
diverse tappe dell’evoluzione individuale. Il concetto di stadio viene usato con diversi
significati che vanno da quello maturazionale,che indica lo sviluppo biologico,a quello
strutturale che implica cambiamenti qualitativi,universali e gerarchici delle competenze,
e quello socioculturale che ingloba in una definizione maturazionale anche i fattori
ambientali e sociali come elementi di cambiamento. Nella prospettiva del ciclo di
vita,invece di una definizione restrittiva, è forse meglio utilizzare una definizione aperta
comprensiva del modello “crescita mantenimento e declino” che caratterizza i percorsi
evolutivi sia biologici che psicologici , e del modello “acquisizione specializzazione
integrazione” che prevede una variabilità individuale, una possibilità di oscillazione tra i
vari stadi e una complessità non lineare,nel delineare una progressione non normativa
del corso della vita che propone un percorso potenziale,senza presupporre che tutte le
persone percorrano il medesimo tratto.
2.1 LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO PIAGET
la teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget può essere considerata lo studio delle
modalità di acquisizione,modificazione e sviluppo delle capacità di pensiero,organizzata
in quattro stadi che comprendono il periodo dalla nascita all’adolescenza. Gli stadi
procedono seguendo un determinato ordine e il percorso evolutivo non può saltare
nessuno stadio. La struttura organizzativa degli stadi è di tipo gerarchico: ogni stadio è
preliminare a quello successivo e le acquisizioni precedenti vengono elaborate nel corso
del processo di sviluppo.
i tre motivi conduttori della teoria piagetiana sono:
• ipotesi dell’egocentrismo e del realismo infantile
• concetto di adattamento come equilibrio dinamico tra assimilazione e accomodamento
• concetto di contrapposizione tra irreversibile e pensiero reversibile o operatorio.
Con il termine egocentrismo Piaget indica una tendenza molto accentuata del bambino
a non rendersi conto,o comunque a non tener conto del fatto che possano esistere
punti di vista diversi dal proprio.
Con il concetto di realismo Piaget si riferisce al primato dell’attività percettiva
sull’attività rappresentativa, nel senso che la realtà materiale e tangibile appare al
bambino come l’unico tipo di realtà,almeno per un certo periodo.
L’intelligenza veniva considerata come una forma di adattamento all’ambiente che si
presenta come un equilibrio dinamico tra il processo di assimilazione e quello di
accomodamento. Per assimilazione si intende quel processo per cui ogni nuovo dato di
esperienza viene incorporato in schemi mentali già esistenti nel bambino senza però
che abbia luogo alcuna modificazione di tali schemi. Il termine accomodamento indica
un processo complementare al primo, in quanto i nuovi dati dell’esperienza che
vengono incorporati in schemi già posseduti,modificano questi stessi schemi adattandoli

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ai nuovi aspetti della realtà. L’adattamento intelligente si ha quando tra i due processi
di assimilazione e accomodamento vi è un equilibrio.
L’altro motivo conduttore del pensiero piagetiano consiste nella contrapposizione tra
irreversibilità del pensiero intuitivo e reversibilità del pensiero operatorio. Il pensiero
intuitivo non reversibile è il solo tipo di attività cognitiva presente nel bambino fino ai 6
anni circa. Esso consiste nella rievocazione di avvenimenti o di azioni ai quali il bambino
ha assistito o che ha compiuto; questa rievocazione non è altro che un rintracciare il
susseguirsi delle modificazioni che sono intervenute in una situazione,e che
costituiscono nel loro insieme l’avvenimento osservato o l’azione compiuta e tende ad
assumere lo stesso carattere di uni direzionalità che l’avvenimento o l’azione reali
hanno presentato. Il pensiero assume carattere di reversibilità nel momento in cui
l’azione mentale che ripete un avvenimento o un atto reale cessa di avere certi caratteri
che sono propri di una azione affettiva,per assumere invece quelli di una azione
puramente possibile,i cui risultati possono in ogni momento venire annullati.
La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget comprende quattro stadi,ognuno dei quali ha
caratteristiche specifiche di pensiero che vengono descritte analiticamente.
1- Periodo senso motorio (dalla nascita ai due anni circa; caratterizzato da sei sottostadi) Æ il
bambino comprende il mondo limitatamente alle azioni fisiche che egli esercita
direttamente su di esso e attraverso i vari sottostadi evolve dall’uso dei riflessi verso un
insieme di schemi organizzati corrispondenti agli adattamenti intenzionali,che utilizzano la
combinazione mentale di schemi già posseduti. L’obbiettivo fondamentale di questo periodo
è lo sviluppo di una permanenza dell’oggetto,cioè di una capacità del bambino di
comprendere che gli oggetti hanno una propria esistenza indipendentemente dal rapporto
che egli ha con ciascuno di essi. In questo stadio i bambini imparano a distinguere se stessi
dal mondo esterno e divengono capaci di mantenere un’immagine mentale di un oggetto
anche quando non è presente. Verso i 18 mesi,infatti, cominciano a sviluppare le
rappresentazioni mentali .

2- Periodo pre-operazionale (dai 2 ai 7 anni circa)Æ il bambino non compie più semplici
aggiustamenti percettivi ma può usare simboli in modo sempre più organizzato
(parole,gesti ecc…). lo sviluppo delle funzioni rappresentative è favorito dall’attività
imitativa,dal gioco e dall’uso del linguaggio verbale. Il pensiero si esplica a livello intuitivo
senza l’uso del ragionamento, in questo stadio,infatti, i bambini sono in grado di
denominare singoli oggetti ma non categorie di oggetti. Essi utilizzano anche una forma di
pensiero “magico”, secondo il quale gli eventi non sono concatenati da nessi logici ma sono
considerati l’uno causa dell’altro, ed una forma di pensiero “animistico” che gli spinge ad
attribuire agli eventi e agli oggetti caratteristiche psicologiche simili a quelle degli essere
umani. Caratteristico di questa fase è l’egocentrismo che rende n bambino incapace di
immedesimarsi negli altri e centrato esclusivamente su se stesso come se fosse al centro
dell’universo.

3- Periodo delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni) Æ vengono acquistate funzioni logiche
che permettono di compiere varie operazioni mentali come: ordinare,riunire in
serie,raggruppare in classi gli oggetti e di ragionare per sillogismi. Il bambino comincia a
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prendere in considerazione il punto di vista degli altri,perché il pensiero egocentrico viene
sostituito dal pensiero operazionale. L’obbiettivo di questo stadio consiste
nell’organizzazione e nell’ordinamento degli eventi che avvengono nel mondo reale.

4- Periodo delle operazioni formali (dagli 11 ai 15 anni circa) Æ è caratterizzato


dall’acquisizione del pensiero astratto,del ragionamento deduttivo e dalla definizione di
concetti. In questo periodo l’adolescente può generare ipotesi astratte: il pensiero diventa
logico astratto e ipotetico.

2.2 LO SVILUPPO PSICODINAMICO SECONDO FREUD


La teoria freudiana ha 4 concetti chiave:
la maturazione dell’io ÆCon lo sviluppo del bambino il suo io si differenzia
gradualmente rispetto allo stato indifferenziato neonatale,si incrementano il principio di
realtà e i processi secondari del pensiero,la graduale comparsa de meccanismi di difesa
e una comprensione più differenziata delle relazioni interpersonali.
lo sviluppo psicosessuale Æ evolve attraverso cinque stadi ognuno dei quali è
definito nei termini delle aree del corpo in cui sono centrate le pulsioni in quello
specifico periodo dello sviluppo.
1.FASE ORALE (0-1): gli impulsi orali consistono in due componenti separate: libidica e
aggressiva. Gli obbiettivi di questa fase sono rappresentati dallo stabilire una
dipendenza fiduciosa dagli oggetti di nutrimento e di sostegno. L’effetto di scarsa
gratificazione nella fase orale può causare fissazioni libidiche che contribuiscono a
indurre tratti patologici del carattere che comprendono: eccessivo ottimismo,narcisismo
e una esagerata tendenza ad essere esigenti e eccessivamente dipendenti dagli oggetti
per il mantenimento dell’autostima. Il successo della risoluzione della fase orale
fornisce una base nella struttura del carattere relativa alla capacità di dare e ricevere
dagli altri senza eccessiva dipendenza o invidia,e alla capacità di far affidamento sugli
altri con un senso di fiducia negli altri e in se stessi.
2.FASE ANALE (1-3): L’erotismo anale si riferisce al piacere provato dal bambino nella
ritenzione delle feci e nel presentarle come un dono alla madre; mentre il sadismo
anale si riferisce all’espressione di desideri aggressivi connessi con l’emissione delle feci
intese come strumenti di potere nei confronti della madre. L’eccessivo controllo
sfinterico e la mancanza di controllo sono associati ai tentativi del bambino di
raggiungere l’autonomia senza eccessiva vergogna o insicurezza. I tratti caratteriali
derivati dalle fissazioni nelle funzioni anali sono l’ordine,l’ostinazione,la caparbietà,la
parsimonia. Gli obbiettivi di questa fase sono rappresentati dal raggiungimento di una
relativa dipendenza e dall’allentamento del controllo del genitore. Il successo della
risoluzione della fase anale fornisce la base per lo sviluppo dell’autonomia
personale,della capacità di indipendenza e di iniziativa senza senso di colpa,della
capacità di determinare autonomamente il proprio comportamento senza un senso di
insicurezza e di vergogna,di affrontare l’ambivalenza e di collaborare spontaneamente
senza eccessiva ostinazione e autosvalutazione.
3.FASE FALLICA (3-5): in questa fase il pene diventa l’organo di interesse principale per
i bambini di entrambi i sessi e la mancanza del pene nella femmina è considerata come
un segno di castrazione. Lo stadio fallico è associato ad un aumento della
masturbazione genitale accompagnata da fantasie prevalentemente inconsce di
coinvolgimento sessuale con il genitore di sesso opposto. La minaccia di castrazione
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sorge in connessione con il senso di colpa per la masturbazione e per i desideri edipici
che in questa fase si consolidano. La fissazione a questo stadio di sviluppo si collega
con i problemi di castrazione nei maschi e di invidia del pene nelle femmine (complesso
d Edipo). La risoluzione del complesso di Edipo conduce al rafforzamento delle risorse
interne per regolare le pulsioni e per indirizzarle verso fini costruttivi. La fonte interna
della regolazione è rappresentata dallo svilupparsi del Super-io che si fonda sulle
identificazioni derivate da ambedue le figure genitoriali e dalle norme di vita da esse
trasmesse.
4.FASE DI LATENZA (5-11): quiescenza delle pulsioni sessuali. Questo periodo è
caratterizzato dal formarsi di relazioni amicali dello stesso sesso e dalla sublimazione
delle energie libidiche e aggressive in attività di apprendimento e di gioco,di
esplorazione dell’ambiente e di miglioramento delle abilità nel trattare col mondo
circostante.
5.FASE GENITALE (11 in poi): la maturazione sessuale conduce ad una intensificazione
degli impulsi libidici che produce una regressione nell’organizzazione della personalità
tale da riaprire i conflitti tipici degli stadi precedenti,ma anche da fornire l’opportunità
di una nuova risoluzione dei conflitti nel contesto del raggiungimento di una identità
sessuale matura. Gli obbiettivi di questa fase sono rappresentati da: conclusione delle
dipendenza dai genitori,organizzazione di relazioni mature non
incestuose,raggiungimento di un senso di identità personale,accettazione di ruoli e di
funzioni proprie dell’età adulta.
Il modello topografico della menteÆ nel modello topografico la mente è divisa in
tre regioni: il sistema inconscio,il sistema conscio,il sistema preconscio. Il sistema
dell’inconscio è una struttura dinamica,cioè i contenuti e i processi mentali sono
mantenuti al di fuori della consapevolezza attraverso la forza della censura e della
repressione (Æ meccanismo di esclusione del materiale doloroso dalla
coscienza,elemento essenziale per la formazione dei sintomi psichici).. l’inconscio è
strettamente correlato agli istinti costituiti da pulsioni sessuali e di autoconservazione.
Il contenuto dell’inconscio è limitato ai desideri che cercano appagamento,che
forniscono la motivazione dei sogni e determinano la formazione dei sintomi nevrotici .
il sistema dell’inconscio è caratterizzato dal processo primario del pensiero il cui scopo
principale è la facilitazione dell’appagamento del desiderio e della scarica istintuale. I
contenuti dell’inconscio possono diventare consci solo attraverso il preconscio: quando
la censura viene sopraffatta gli elementi inconsci possono raggiungere la coscienza. Il
sistema conscio è quella parte della mente in cui le percezioni che provengono dal
mondo esterno o dall’interno dell’organismo o dalla mente stessa sono portate a livello
di coscienza. La coscienza viene considerata come un fenomeno soggettivo il cui
contenuto può essere comunicato solo per mezzo del linguaggio o del comportamento.
Il sistema preconscio comprende quegli eventi processi e contenuti mentali che è
possibile portare a livello della consapevolezza mediante l’atto di focalizzazione
dell’attenzione. Il preconscio è collegato sia con il sistema inconscio che con quello
conscio e mantiene la barriera repressiva censurando i desideri inaccettabili.
Ipotesi strutturale dell’apparato psichico Æ Freud elaborò l’ipotesi strutturale
dell’apparato psichico definendo le strutture mentale rispettivamente come: Es,Io e
Super-Io. L’Es è la “sede” di tutte le nostre pulsioni. L’Io riguarda i rapporti del
soggetto con l’ambiente. Le funzioni dell’Io sono costituite dal controllo e dalla
regolazione degli impulsi istintivi,dal giudizio,cioè dalla capacità di prevedere le

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conseguenze delle proprie azioni,dalla relazione con la realtà,dalle relazioni
oggettuali,dalla organizzazione dei meccanismi di difesa. Nel processo di
differenziazione dell’Io sono implicate quelle modalità di funzionamento psichico definite
come processo primario,o principio del piacere, e processo secondario,o principio di
realtà. Il principio del piacere definisce la tendenza innata dell’organismo a evitare il
dolore e a cercare il piacere attraverso la scarica delle tensioni. Il principio di realtà è
considerato una funzione appresa ,strettamente correlata alla maturazione dell’Io, che
modifica il principio del piacere e permette il differimento della gratificazione
immediata. La trasformazione del processo primario in secondario è un procedimento
graduale che fa parte della differenziazione e della crescita dei processi psichici che
costituiscono l’Io. Il Super-Io si sviluppa per ultimo e comprende tutte le funzioni morali
della personalità come: onestà,autosservazione crititca,autopunizione,esigenza di
riparare il malfatto o pentirsene,autostima ecc… Le funzioni del Super-Io sono in gran
parte o completamente inconsce.
2.3 LO SVILUPPO PSICOSOCIALE SECONDO ERIKSON
Erikson ha formulato un approccio in cui lo sviluppo viene teorizzato come un processo
che si estende lungo tutto l’arco della vita. La concezione di Erikson era fondata sulla
tesi che la personalità continua a cambiare e a evolversi anche durante la maturità e
fino alla vecchiaia. Il suo contributo è stato determinante nel favorire una distinzione
tra la “psicologia infantile” e la “psicologia dello sviluppo” riferita all’intero arco
dell’esistenza. Nello specifico Erikson propone un individuo il cui sviluppo è immerso in
una società in costante cambiamento,pone l’accento sul ruolo della cultura nel plasmare
il bambino,il cui sviluppo è influenzato non solo dall’acquisizione dei vari stadi ma anche
del tipo di sistema socio-culturale in cui è inserito. Erikson attribuisce all’ambiente il
potere di influenzare le modalità con cui le tappe del ciclo di vita vengono risolte. Lo
sviluppo è influenzato in due modi dalla cultura: in primo luogo,sebbene la sequenza
degli stadi sia universale,ogni cultura ha proprie modalità di gestire,promuovere
,guidare il comportamento del bambino;inoltre anche all’interno di uno stesso sistema
sociale si possono verificare nel corso del tempo notevoli cambiamenti per cui certe
modalità,appropriate in specifiche fasce generazionali,possono non essere
completamente condivisibili per altre. Lo sviluppo psicosociale segue il principio
epigenetico secondo il quale esso si realizza in stadi sequenziali chiaramente definiti,e
ciascuno stadio deve essere risolto in modo soddisfacente perchè lo sviluppo possa
procedere senza problemi. Secondo questo principio se non si ottiene una risoluzione
adeguata di un particolare stadio,tutti gli stadi successivi riflettono questo insuccesso
nella forma di un inadeguato adattamento cognitivo,sociale e emozionale. Il modello di
Erikson prevede la risoluzione sequenziale di una serie di “crisi psicosociali” definite
come punti di svolta nello sviluppo,ovvero periodi in cui il soggetto si trova in uno stato
di maggiore vulnerabilità,la cui evoluzione positiva porta allo sviluppo di nuove capacità
e il cui insuccesso si collega con manifestazioni psicopatologiche diverse. Erikson
individua 8 stadi che il soggetto deve fronteggiare:
- PRIMO STADIO (O-3) Æ Consiste nell’acquisire un senso di fiducia,grazie all’esperienza
fornita dalla madre di soddisfacimento di bisogni fondamentali come l’alimentazione, il
sonno,il rilassamento. È proprio durante il primo anno di vita che il bambino impara a
fidarsi della prevedibilità del suo ambiente e di conseguenza del caregiver. Fiducia/sfiducia
rappresenta la prima crisi che il bambino deve affrontare: infatti, ricevere cure
adeguate,costanti e di alta qualità da parte del caregiver favorisce l’acquisizione della
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fiducia nell’altro ed in se stessi, mentre se la madre non è sollecita si sviluppa un senso di
sfiducia,di non poter ottenere quello che si desidera. Erikson ritiene che lo sviluppo della
fiducia si manifesti nella capacità di sopportare l’assenza temporanea del caregiver dal
campo percettivo senza che questo provochi ansia o rabbia esagerate. Tuttavia se il
bambino acquisisce un senso eccessivo di fiducia, può non imparare a riconoscere un
pericolo incombente o a discriminare tra persone oneste e individui disonesti; il compito di
questa fase consiste nell’acquisire un buon equilibrio tra fiducia /sfiducia.

- SECONDO STADIO (1-3) Æ la crisi di questo stadio è rappresentata da:


autonomia/vergogna e dubbio. Sebbene in questa fase il bambino sia capace di scegliere
non è stata ancora acquisita la capacità di discernere ciò che è possibile o meno fare,
quindi il bambino si può trovare davanti a numerosi fallimenti e essere punito per la sua
autonomia o eccessivamente controllato,sperimentando dubbi rabbia e vergogna,che sono
tanto più probabili quanto minore è il senso di fiducia che si è sviluppato nel primo stadio.
L’obbiettivo di questa fase consiste,quindi, nell’acquisizione di un buon equilibrio tra libertà
e controllo,al fine di permettere al bambino di sperimentare sia la libertà di scegliere sia il
sostegno necessario al senso di autonomia che va mutando.

- TERZO STADIO (3-5) Æcorrisponde alla crisi iniziativa/colpa. Il bambino in questa fase ha
acquisito una capacità intellettiva e motoria che, se non rinforzata e soddisfatta,può
determinare un senso di colpa relativo alle attività svolte autonomamente. Conflitti relativi
all’iniziativa possono impedire ai bambini di sperimentare a pieno il loro potenziale e
interferiscono a interferiscono con il loro senso di ambizione che si sviluppa in questo
periodo. Il crescente senso di curiosità sessuale si manifesta con la partecipazione ai giochi
di gruppo o con il toccare i genitali propri o di altri bambini. Se questi impulsi sessuali non
costituiscono un problema per i genitori,gli impulsi vengono progressivamente repressi per
riapparire durante l’adolescenza come parte integrante della pubertà,ma se i genitori
danno un peso eccessivo a questi impulsi,il bambino può diventare sessualmente inibito.
Alla fine di questo stadio la coscienza del bambino è stabilita: egli impara che esistono dei
limiti al suo comportamento,che gli impulsi aggressivi possono essere espressi in modo
costruttivo attraverso il gioco e la competizione,e che esiste un senso morale che regola il
bene e il male. Se la crisi dell’iniziativa viene risolta con successo si sviluppa un senso di
responsabilità,di fiducia e di autodisciplina adeguato,mentre l’eccessiva punizione può
indurre alla formazione di un Super-Io rigido e persecutorio.

- QUARTO STADIO (6-11) Æ è caratterizzato dalla crisi dell’industriosità/ inferiorità. I


bambini a questa età partecipano a programmi organizzati di apprendimento che
coinvolgono gruppi di coetanei e imparano a gestire e completare i compiti assegnati,ad
apprendere l’uso degli strumenti fisici e intellettuali tipici della società e definire se stessi
sulla base di ciò che apprendono. Esperienze positive in questo senso facilitano nel
bambino lo sviluppo dell’industriosità e della competenza,del piacere del lavoro e
dell’orgoglio di fare qualcosa in positivo. Un senso di inadeguatezza e di inferiorità può

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derivare da varie situazioni come ad esempio una discriminazione
scolastica,dall’affermazione di inferiorità espressa da una persona significativa,da un
eccesso di proiettività o di dipendenza dalla famiglia o da un confronto sfavorevole con il
genitore dello stesso sesso. Se viene posta una eccessiva enfasi sulle regole e sui doveri il
bambino può sviluppare un senso eccessivo del dovere a scapito del naturale desiderio di
lavorare.

- QUINTO STADIO (12-20)Æ In questo stadio si ha la crisi identità/diffusione del ruolo. Il


principale compito di questo stadio è costituito dalla formazione di una propria identità.
Nella ricerca del proprio senso di identità si rivivono le crisi degli stadi precedenti e si
riattualizzano situazioni di conflitto oramai superate come il complesso di Edipo,che si
ripresenta nell’adolescenza in termini più complessi e drammatici. In questo periodo la crisi
di identità può esser risolta positivamente attraverso una rielaborazione dei contenuti delle
fasi precedenti in una serie di valori e credenze più coerenti,nei confronti dei quali il
soggetto sperimenta un senso di impegno e di lealtà. Il rischio di questa fase è
rappresentato dalla diffusione dell’identità e dalla confusione del ruolo caratterizzata
dall’incertezza su se stessi e sul proprio posto nel mondo.

- SESTO STADIO (20-40) Æ se l’individuo nello stadio precedente non ha costruito una
identità ben integrata e non ha sviluppato un senso di fiducia nel proprio sé, nel sesto
stadio non sarà in grado di fonder la propria individualità con quella di un’altra persona
stabilendo relazioni di intimità. La paura di perdere se stessi,di distruggere la propria
individualità nel contatto intimo può portare il giovane adulto ad evitare le relazioni
affettive e le amicizie. L’intimità delle relazioni sessuali,delle amicizie e di tutte le relazioni
profonde non incute timore alla persona che ha risolto la crisi di identità. Infatti attraverso
la crisi dell’intimità/isolamento una persona trascende l’esclusività delle precedenti
dipendenze e stabilisce una mutualità con un gruppo sociale diverso e esteso.

- SETTIMO STADIO (40-65) Æè caratterizzato dalla crisi tra generatività/ stagnazione,


intendendo per generatività non solo educare e cresce i figli, ma anche avere un interesse
vitale, esterno alla famiglia, nel guidare la generazione successiva o nel migliorare la
società,in altri termini esprimere la propria creatività in altri settori. La mancanza di
generatività si esprime come stagnazione, cioè come una eccessiva indulgenza su sé
stessi,un senso personale di noia e disinteresse. La stagnazione è uno stato sterile e
dannoso perché la persona non è in grado di accettare l’eventualità di non esistere e l’idea
che l’impossibilità di sfuggire alla morte fa parte della vita.

- OTTAVO STADIO (OLTRE I 65) Æ se le crisi degli stadi precedenti sono state risolte si
passa all’ultimo stadio nel quale è stata raggiunta idealmente l’integrità. L’integrità
comporta l’accettazione dei limiti della propria vita,il senso di far parte di una storia più
ampia che comprende le generazioni precedenti e l’assenza di rimpianto per ciò che non è
stato possibile fare nella vita. L’antitesi dell’integrità è la disperazione,ovvero la tendenza a

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soffermarsi in modo angoscioso sulle mete mai raggiunte,sui desideri rimasti inappagati e
sulla mancanza di significatività della vita,sul timore della morte e sulla sensazione che sia
troppo tardi per trovare stimoli nell’ambiente circostante. La disperazione si esprime
spesso come disgusto,come sprezzante scontento nei confronti di certe istituzioni o di certe
persone che rispecchia il disgusto che la persona prova per se stessa.

3.CAMBIAMENTO E CONTINUITA’ NEL CORSO DELLA VITA


Le teorie dello sviluppo sinteticamente esposte,consentono di esaminare criticamente il
concetto di stadio di sviluppo.
• Una prospettiva deterministica sottovaluta sia il ritmo dinamico del cambiamento sia il
fatto che nell’arco della vita gli individui affrontano richieste e opportunità molto
differenti che,implicando problemi,sfide e situazioni di adattamento,possono condurre a
percorsi evolutivi molto diversi e a significativi cambiamenti anche nell’età adulta e
senile.
• un’altra critica va alla tendenza a presumere che lo sviluppo si svolga attraverso un
progresso cumulativo (ogni acquisizione è conseguenza di quelle fatte
precedentemente).
• un’altra questione è che non ha senso identificare lo sviluppo con una trasformazione,
in quanto non tutti i cambiamenti costituiscono necessariamente dei progressi. Il
processo di sviluppo implica anche la perdita di alcune modalità di funzionamento o di
comportamenti che si attenuano o scompaiono una volta esaurita la loro funzione.
• un’altra critica alla concezione di sviluppo declinata attraverso i concetti di stadio è
che spesso si concentra l’attenzione sulla stabilità e sulla immutabilità invece che sul
cambiamento.

4.CONTINUITA’ DINAMICA E SVILUPPO NEL CICLO DI VITA


A sostituzione del concetto di sviluppo come successione di stadi è stata proposta una
teoria della continuità dello sviluppo normale per spiegare il processo attraverso il quale
gli individui conservano nel tempo il senso della propria identità e spiegano i proprio
comportamento alla luce del suo legame col passato. Tale teoria distingue due tipi di
continuità: la continuità statica e la continuità dinamica. La continuità statica viene
intesa come un tipo di continuità difficilmente applicabile al ciclo di vita per le sue
implicazioni di immutabilità,uniformità e assenza di cambiamento proprie di questo
concetto. La continuità dinamica implica l’ipotesi di una struttura fondamentale
che,permettendo una serie di cambiamenti, rimane stabile nel tempo. La continuità
dinamica si suddivide a sua volta in continuità dinamica interna e continuità dinamica
esterna,intendendo con quest’ultima la continuità dell’ambiente,delle relazioni e dei
ruoli. Parlando di continuità dell’ambiente ci si riferisce al fatto che gli individui tendono
a scegliere ambienti nei quali possono esprimere le proprie potenzialità ed aspirazioni.
La continuità ambientale può essere il risultato non solo della tendenza a scegliere
ambienti nei quali possiamo realizzare il concetto che abbiamo di no stessi ma anche
dell’accumulo di esperienze che hanno permesso di sviluppare o affinare specifiche
abilità. La continuità delle relazioni si riferisce alla stabilità dalla quale sono
caratterizzate le relazioni più significative. È possibile,infatti, individuare per ogni
essere umano un certo numero di persone con le quali la relazione è rimasta stabile nel
corso del tempo,malgrado o cambiamenti avvenuti. La continuità delle aspettative e dei
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ruoli fa riferimento al fatto che all’interno della cerchia delle persone frequentate si
instaura l’aspettativa che il nostro comportamento non sia differente da quello mostrato
in precedenti occasioni. Con continuità dinamica interna,invece,ci si riferisce alla
stabilità della struttura interna degli individui grazie alla quale essi,dall’età adulta in poi
mantengono un senso coerente della propria identità nel corso della vita. La continuità
interna si realizza perché gli individui tendono a fare attribuzioni a se stessi di
caratteristiche che formano il nucleo dell’identità. Tali attribuzioni possono essere
ridefinite e rielaborate ma difficilmente vengono modificate del tutto.
Una definizione di sviluppo come una serie di cambiamenti continui che avvengono nel
corso della vita,piuttosto che una serie di transizioni attraverso determinati stadi, non
implica il rifiuto del concetto di stabilità. Al contrario, solo le persone che sono in
possesso di un senso del sé stabile sono in grado di gestire in modo flessibile eventuali
problemi di identità mantenendo uno stabile sentimento di sé, e al contempo di
cambiare per fronteggiare gli eventi che mettono in discussione proprio il sentimento di
identità. Detto in altri termini: il cambiamento è possibile dove c’è continuità dinamica.
Sia la continuità interna che la continuità esterna possono essere minacciate; la
continuità esterna è più vulnerabile in quanto può essere minacciata da fattori come il
trasferimento geografico o la perdita della rete sociale di sostegno. Non
necessariamente le fratture nella continuità esterna portano l’individuo verso una
crisi,in quanto i nuovi elementi derivanti dal cambiamento possono essere integrati
nell’immagine che il soggetto possiede del corso della propria vita,in modo da
preservare la coerenza del sé e il sentimento della propria identità. Il senso di
continuità interna può essere messo in discussione da quelle esperienze o eventi che
richiedono una riorganizzazione della propria identità a cui il soggetto non riesce a far
fronte adeguatamente.

5. GLI EVENTI DELLA VITA


Ogni persona incontra nella propria vita un numero consistente di eventi e di
cambiamenti da affrontare,che caratterizzano il percorso vitale dell’individuo e ne
rappresentano lo sviluppo psicosociale. L’evento è definito come ciò che avviene in una
certa data e in un certo luogo determinato,cioè una esperienza nella quale è presente
sempre un elemento di sorpresa,che ne fa un evento mentale per un soggetto o per un
gruppo di persone. Esistono due diversi tipi di eventi:
• eventi di vita: eventi che appartengono alla normalità della vita ma che per alcuni
possono essere vissuti in maniera traumatica (es: la menopausa,il pensionamento,la
perdita di una persona cara,la nascita del primo figlio ….)
• eventi stressanti: eventi il cui potere dirompente per l’equilibrio di una persona può
essere oggettivo e socialmente riconosciuto (es: subire una violenza,vivere in uno stato
di guerra …)
Eventi di vita e eventi stressanti vengono utilizzati per indicare quegli avvenimenti
occorsi nella vita di una persona oggettivamente identificabili,delimitati e circoscritti nel
tempo,che modificano in modo variabile e sostanziale l’assetto di vita del soggetto
richiedendo uno sforzo di entità significativa per adattarsi alla nuova situazione.
In alcuni soggetti eventi apparentemente non dirompenti,o almeno non considerati tali
nella normalità condivisa,come ad esempio cambiare casa,avere una delusione
affettiva,essere colpiti da una malattia fisica anche in modo non grave,o addirittura
fisiologici come partorire un figlio o entrare in menopausa,possono indurre effetti

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destabilizzanti o addirittura la comparsa di manifestazioni psicopatologiche evidenti,che
appaiono collegate con l’evento stesso con un legame temporale e di significato.
Quello che è necessario chiedersi come clinici si riferisce alla comprensione di come
l’evento viene raccontato,di come viene vissuto,di quali implicazioni può aver per il
futuro tanto del soggetto che del suo ambiente,e se,e in quale misura,esso interferisce
col funzionamento mentale del soggetto e anche degli altri. Oltre a questi aspetti
dobbiamo riflettere anche sul fatto che,di fronte ad eventi sia oggettivamente che
soggettivamente traumatici, la maggior parte delle persone sembra capace di
fronteggiarne la dirompenza senza subire danni mentali evidenti,mentre un certo
numero di soggetti pare non avere le risorse psichiche sufficienti per elaborare il
significato traumatico dell’evento e mostra segni di sofferenza psicologica che
assumono forme cliniche e intensità diverse. Quindi, se non tutti i soggetti che
subiscono eventi stressanti vanno incontro a patologie psichiatriche, è ragionevole
supporre che il rapporto sia concausale in quanto l’evento stressante può rappresentare
un cofattore in soggetti predisposti,cioè che abbiano una certa vulnerabilità di ordine
biologico e psicologico. La vulnerabilità biologica è essenzialmente relativa al carico
genetico che predispone alla malattia,mentre la vulnerabilità psicologica è soprattutto
legata a eventi di vita lontani nel tempo, in particolare dell’infanzia che incidono sullo
sviluppo della struttura del personalità del soggetto. Altri fattori influenzano l’effetto
degli eventi stressanti,primo fra questi il significato che viene attributo all’evento.
Esistono diverse classificazioni degli eventi:
Baltes et al. (1980)Æ hanno distinto tre tipologie di eventi: gli eventi normativi
(Æintendendo con il termine normativo quegli eventi che tutte le persone incontrano
nella vita) legati alla storia, gli eventi normativi legati all’età,gli eventi non
normativi,cioè che non riguardano tutti i soggetti.
• con eventi normativi legati all’età gli autori fanno riferimento a tutti i fattori di tipo
biologico o ambientale che hanno un legame con l’età cronologica dell’individuo. Tali
eventi sarebbero predominanti durante l’infanzia e ,in modo meno incisivo,durante la
terza età. Un esempio in tal senso potrebbe essere rappresentato dalla forza fisica,il cui
massimo sviluppo viene raggiunto dagli individui più o meno alla stessa età e la cui
progressiva riduzione è altrettanto prevedibile in un arco di tempo standard.
• gli autori individuano inoltre eventi normativi legati alla storia,considerandoli
associati al tempo storico e comuni in uno specifico momento agli individui facenti parte
di una stessa comunità,ma non condivisi con le generazioni precedenti e successive.
Come evento normativo legato alla storia si può citare il passaggio dalla formazione
scolastica al mondo del lavoro.
• infine gli eventi non normativi , a differenza di quelli normativi legati all’età e alla
storia, non sono caratterizzati da un alto grado di stabilità del processo. La categoria
degli eventi non normativi implica che i percorsi vitali degli individui non sono né
universali né immutabili e che non esiste nessun elenco di caratteristiche e nessuna
teoria sul corso della vita in grado di spiegare in modo adeguato la varietà dei percorsi.
Hendry e Kloep (2002)Æ suddividono gli eventi in “cambiamenti di maturazione”
“cambiamenti sociali normativi” e “mutamenti quasi normativi”
• i cambiamenti di maturazione sono tutti quegli eventi di tipo biologico che,pur
variando nell’inizio o nella durata, sono caratterizzati da obbiettivi e processi comuni a
tutti gli essere umani (es: la crescita dei denti, la menopausa ecc…) . Questi

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cambiamenti sono caratterizzati dal fatto di essere inevitabili e quindi altamente
prevedibili.
• i cambiamenti sociali normativi sono quelli eventi sociali regolati da norme codificate
e spesso legati all’età cronologica, ma a differenza di questi ultimi non necessariamente
comuni all’interno di tutti i contesti socio-culturali e quindi non inevitabilmente
caratterizzati da una impossibilità per l’individuo di sottrarvisi (non in tutti i paesi,per
esempio,i bambini sono obbligatoriamente tenuti a frequentare la scuola,così il
raggiungimento della maggiore età è differente nelle diverse organizzazioni sociali).
Mostrano un alto grado di prevedibilità dal momento che individui appartenenti agli
stessi gruppi sociali,regolati da norme non scritte appartenenti alla tradizione di un
gruppo o di una etnia o di una confessione religiosa.
• i mutamenti non normativi,infine,sono tutti quegli eventi che per loro natura o per il
momento o il luogo nel quale si presentano,vengono sperimentati da un numero
ristretto di individui. Questi mutamenti sono a loro volta classificati in “mutamenti fuori
tempo”, “mutamenti storici”, “mutamenti provocati dall’individuo”, “mutamenti
particolari” e “ non eventi”. I mutamenti fuori tempo sono rappresentati da tutti quegli
eventi inattesi rispetto ai momenti del ciclo di vita nei quali si presentano. I mutamenti
storici sono quegli eventi che comportano influenze temporanee o permanenti
all’interno di un macrosistema come ad esempio le guerre. Sebbene i cambiamenti
storici non siano prevedibili,in quanto eventi che influiscono su tutti i membri di un
gruppo culturale essi non necessariamente delineano specifiche traiettorie individuali di
sviluppo. Mutamenti provocati dall’individuo rappresentano processi di svolta che
possono avere anche conseguenze permanenti. Nella categoria dei mutamenti
particolari vengono inclusi tutti quegli eventi positivi o negativi che sono sperimentati
da un numero ristretto di soggetti come rimanere vittima di un incidente stradale o
vincere una grossa somma di denaro. Infine, ci sono i cambiamenti che possono
derivare dal non verificarsi di certi eventi. In altri termini alcuni eventi che accadono
alla maggior parte delle persone possono rappresentare un fattore stressante per quei
soggetti nel cui percorso vitale questi accadimenti non si sono verificati; un esempio di
non evento può essere rappresentato dal non avere figli per un problema di sterilità.
Nell’intento di individuare quantitativamente il peso che il singolo evento può avere
sull’individuo,viene utilizzata una categorizzazione degli eventi a cui ad ogni evento
corrisponde un punteggio fissato in base ad un criterio di carico obiettivo di
stress,calcolato tramite studi di calibrazione sulla popolazione generale,in maniera da
esprimere l’impatto potenziale medio dell’evento. Una delle tecniche più conosciute, il
Social Readjustment Rating Scale (SRRS), permette di ricavare un punteggio
complessivo di stress riferito ad un intervallo temporale prestabilito rispetto alla
comparsa dell’evento. La scala SRRS è composta da una lista di quarantatre eventi
(quali ad esempio: il matrimonio,la morte di una persona cara,la separazione,la nascita
di un figlio ecc…) considerati i più importanti e frequenti nella vita di un individuo e tali
da produrre significative modificazioni delle condizioni di vita e richiedere uno sforzo di
riadattamento psicosociale. I punteggi relativi allo stress prodotto dai singoli eventi,che
vanno da 0 a 100 e prendono come misura media dello stress i 50 punti,vengono
quindi sommati in modo da ottenere la Life Change Unit,ovvero un indicatore della
qualità di stress sperimentato dagli individui rispetto al riadattamento psicosociale
richiesto per ogni evento. Una delle principali critiche a questo metodo di valutazione
sottolinea che,nonostante abbia avuto il merito di riconoscere che sia gli eventi negativi

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sia quelli positivi possono avere un impatto stressante,la loro categorizzazione ignora le
differenze individuali per quanto riguarda l’impatto e il significato che gli eventi hanno
per i soggetti e per lo stesso soggetto in momenti diversi dalla vita. Nel tentativo di
risolvere tale limite è stato ipotizzato che lo stesso evento possa avere effetti diversi in
contesti differenti. Gli autori hanno costruito un intervista semi-strutturata che presenta
due tipi di informazione: “eventi di vita” e “difficoltà”. Nasce così il metodo contestuale
che prevede che gli eventi biografici siano raccolti in modo dettagliato per valutare
estensivamente, oltre all’evento stesso,anche il background in cui l’evento si è
verificato,cioè le circostanze ed ogni elemento della storia di vita del soggetto
considerato significativo.
Quando l’attenzione si sposta dal definire le caratteristiche degli eventi della vita al
valutare le esperienze delle persone coinvolte negli eventi,emergono aspetti relativi alle
capacità individuali di affrontare i cambiamenti e alle differenze soggettive di risposta
agli eventi. Il concetto di “coping” è stato definito come “gli sforzi della persona sul
piano cognitivo e comportamentale per gestire le richieste interne ed esterne da quelle
interrelazioni persona-ambiente che vengono valutate come eccedenti le possibilità di
risposta”. Il presupposto fondamentale di questo approccio è che quando una
situazione viene percepita come stressante le persone si attivano per dominarla,in
modo che la misura in cui la situazione viene vissuta come stressante dipende anche
dalla modalità che la persona attiva per fronteggiarla. L’impatto di un evento dipende
non solo dal processo di coping che l’individuo attiva,ma anche dal tipo di risorse
psicologiche di cui il soggetto dispone come ad esempio la percezione di controllo,la
self-efficacy ,la propensione all’ottimismo,le abilità di problem solving,la resilienza,che
rappresentano fattori protettivi potenzialmente capaci di modificare l’impatto di un
evento stressante e permettere all’individuo di superarlo con esiti positivi e costruttivi.
In questa prospettiva lo sviluppo avviene ogni volta che il processo di superamento di
una situazione traumatica,invece di ridurre le risorse individuali, ne aumenta il livello.
Quindi gli eventi di vita possono essere considerati come fattori positivi per lo sviluppo
individuale,poiché possono condurre al miglioramento di abilità precedenti e
nell’apprendimento di nuove: il processo di far fronte agli eventi potrebbe,cioè,fornire i
mezzi attraverso i quali lo sviluppo prosegue anche in età adulta.
Recentemente Schlossberg et el. hanno messo a punto un quadro di riferimento
denominato delle “quattro S” (situazione,sé,sostegno,strategie),che identifica i quattro
fattori fondamentali che influenzano la capacità di una persona di affrontare le
transizioni,ovvero i processi di cambiamento.
® per quanto riguarda la situazione gli autori hanno evidenziato otto fattori chiave (tra
cui lo stadio di vita che la persona sta affrontando nel momento in cui l’evento si
verifica,la durata dell’evento,l’eventuale presenza di transizioni simili vissute in passato
ecc…) che influenzano le modalità con le quali le persone affrontano il processo di
cambiamento.
® per quanto riguarda il sé si tiene conto delle caratteristiche delle persone
(età,sesso,gruppo etnico,stato socioeconomico ecc… ) che possono influenzare sia il
numero sia il tipo di eventi con cui l’individuo è messo a confronto.
® l variabile del sostegno fa riferimento al supporto sociale e si riferisce al ruolo giocato
dalle relazioni sociali nella valutazione di un evento. Legami e relazioni sociali possono
costituire sia fonti di stress importanti sia rappresentare fattori protettivi nei confronti
dell’esperienza traumatica.

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® l’ultimo fattore si riferisce alle reazione attivate dal soggetto per affrontare il
processo di cambiamento (variabile delle strategie). Gli autori distinguono un coping
focalizzato sull’ambiente (o situazione) da un coping focalizzato sulla persona. Il coping
focalizzato sull’ambiente può dirigersi verso la modifica della situazione e delle
richieste che essa impone all’individuo; il coping focalizzato sulla persona si realizza
attraverso lo sviluppo di strategie addizionali oppure mediante la modifica della
percezione e della valutazione della situazione. La questione dell’efficacia delle varie
strategie è particolarmente delicata in quanto un coping efficace implica un uso
flessibile delle strategie,il cui grado di adeguatezza varia in base alla situazione
piuttosto che alle caratteristiche della strategia stessa.
Gli approcci considerati affrontano solo parzialmente il versante soggettivo degli eventi
ed il loro diverso significato per ogni soggetto. Il concetto di evento contiene quindi
una sorta di ambiguità in quanto può essere destabilizzatore come rinnovatore, ma
comunque testimonia la capacità auto-organizzativa dell’essere umano inteso come un
sistema aperto. In questo senso ogni evento è anche evento interno,evento mentale
che appartiene al tempo stesso al registro attuale come a quello del passato,alla realtà
come all’immaginario.
Il trauma viene considerato come un evento della vita caratterizzato da una sua
intensità, dall’incapacità del soggetto di rispondervi adeguatamente,da viva agitazione
e da effetti patogeni durevoli .la ricerca si è orientata allo studio degli eventi
precocissimi,cioè relativi al primo anno di vita, che si possono considerare significativi
in senso traumatico in quanto gli eventi attuali possono riattivare vissuti traumatici
infantili. È stata ipotizzata l’importanza del cosiddetto “trauma silente”,che non si
presenta al bambino come evento esterno,anche se è effettivamente reale,ma come
non evidente e nascosto,del “trauma cumulativo”,dei “microtraumi”,facendo riferimento
alle vicissitudini della relazione madre-bambino,specialmente se avvenute in un’epoca
in cui non è ancora completa la distinzione tra corporeo e mentale. Il trauma può
essere costituito anche da una esperienza troppo precoce in relazione allo stato
maturativo raggiunto da quel soggetto in quel momento,e altre volte può apparire
come il risultato di una omissione,cioè di una assenza di presenze che avrebbero
dovuto esserci. Per tutti,comunque, è traumatico ciò che non è possibile
elaborare ed eventualmente rendere conflittuale in modo che,pur soffrendo,sia possibile
crescere.

6. LA CRISI
Il concetto di crisi indica situazioni di disagio soggettivo di varia natura capaci di
determinare una sofferenza tendenzialmente considerata transitoria. Il termine “crisi”
presenta una complessità semantica notevole,significando da un lato un atteggiamento
cognitivo e dall’altro un momento cruciale di passaggio e di transizione. Esso richiama
in prima istanza una esperienza subitanea a rapido decorso,tendente al
superamento,sebbene la crisi possa non essere acuta e richiedere tempi lunghi per la
sua manifestazione. Sta di fatto che le crisi possono riflettere un disagio o una
disfunzione preesistenti che,ad un certo momento,spontaneamente o con il concorso di
circostanze o fattori contingenti,si rendono palesi e irriconoscibili anche all’esterno e
contrassegnano in modo profondo l traiettoria vitale della persona. In psicopatologia col
termine “crisi” si possono intendere da un lato quelle rotture dell’equilibrio con la realtà
a risonanza prevalentemente interiore che si sviluppano spontaneamente all’interno del

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processo evolutivo individuale (microcrisi),dall’altro quelle interruzioni brusche del
processo esistenziale che coinvolgono anche il contesto socio-ambientale della persona
(macrocrisi). Come risulta evidente la nozione di crisi si pone tra il registro della
normalità e il registro della psicopatologia attraversando al tempo stesso il normale e il
patologico e ponendosi a cavallo tra i due registri.
Varie sono le definizioni di crisi che sono state utilizzate dagli autori:
- Jaspers: “un momento in cui tutto subisce un cambiamento subitaneo dal quale l’individuo
esce trasformato sia dando origine ad una nuova soluzione sia andando verso la
decadenza.

- Erikson: “momento cruciale dello sviluppo a carattere evolutivo”

- Caplan: “ uno stato che si verifica quando una persona si trova a fronteggiare un ostacolo
che le impedisce il raggiungimento di importanti obbiettivi vitali: questo è,per un certo
lasso di tempo,insormontabile tramite l’utilizzazione di metodi abituali di risoluzione dei
problemi. Ne consegue un periodo di disorganizzazione,di sconvolgimento,durante il quale
vengono fatti molti tentativi verso la risoluzione del problema che però falliscono. Alla fine
viene raggiunta una qualche forma di adattamento che può rivelarsi o meno come la
soluzione più utile per la persona e per chi le sta vicino.

- Grinberg e Grinberg: “momento cruciale,un punto critico necessario in cui lo sviluppo deve
assumere un’altra direzione che comporta la ripresa della crescita nonché ulteriori recuperi
e differenziazioni.

- Sinfeos: “intensificarsi e aggravarsi di uno stato doloroso così intenso da costituire un


punto di svolta decisivo verso un miglioramento o un peggioramento.

- Racamier: “processo specifico e globale di cambiamento consecutivo ad una rottura di un


equilibrio anteriore e con un risultato più o meno aleatorio,sottolineandone la caratteristica
di processo nel senso del suo svolgimento temporale da un lato, e del lavoro psicologico di
elaborazione necessario per risolverla dall’altro.

Queste definizioni si riferiscono a situazioni il cui carattere patologico o il cui rapporto


con la patologia è molto sfumato e discutibile. Capire una crisi emotiva significa far luce
sui passaggi che conducono alla produzione di sintomi psichiatrici prima che questi si
cristallizzino in una nevrosi e offre anche la possibilità di azioni preventive sotto forma
di interventi di breve durata per impedirne l’evoluzione. Sono infatti gli eventi
traumatici della vita o le normali vicissitudini del vivere che possono facilitare la
comparsa di una acuta sofferenza soggettiva che caratterizza il vissuto della crisi. La
crisi quindi, nel suo significato più ampio, è un momento costitutivo dell’esistenza
individuale che ha tendenzialmente una valenza evolutiva e di crescita. Nella pratica
clinica può rivelarsi utile definire le caratteristiche e i limiti di questo concetto
distinguendo tra crisi esistenziali,crisi emotive e crisi psicotiche.
La crisi esistenziale
La vita di ognuno è un continuo flusso di esperienze emozionali in cui è implicito un
elemento perturbante in quanto vi è insito il cambiamento. Ogni cambiamento è
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angoscioso in quanto richiede sempre di sperimentare una perdita e l’incertezza del
nuovo, e rappresenta una caduta del sentimento di onnipotenza. La crisi esistenziale è
da considerarsi qualcosa di fisiologico,anzi può essere ritenuta responsabile di un buon
funzionamento quando permette una presa di consapevolezza di sé in un processo di
continuo sviluppo. La storia di ogni individuo non è il risultato di un percorso di sviluppo
omogeneo e lineare, ma è ben più complessa e caratterizzata da un riequilibrio
costante tra momenti evolutivi,bruschi regressi e lunghe fasi di stagnazione.
L’esperienza di crisi esistenziale rappresenta quindi la rottura di un equilibrio e si
sviluppa in un lasso di tempo in cui il sentimento di continuità del sé è messo alla prova
e minacciato e la persona sperimenta un sentimento di pericolo e una condizione di
precarietà. Questo stato di allarme attiva le consuete strategie difensive,che di solito
sono sufficienti ad assicurare il recupero di un equilibrio interno,oppure che possono dar
luogo a nuove e più evolute forme di adattamento favorendo il cambiamento e la sua
elaborazione. Nella maggior parte dei casi la crisi viene vissuta in modo tale da non
essere avvertita dal soggetto come uno stato di particolare sofferenza, ma, contribuisce
ad arricchire la mentalizzazione e il funzionamento complessivo dell’individuo.
La crisi emozionale
Nella crisi emozionale quello che appare in primo piano è un profonda sofferenza in
relazione a una perdita di sicurezza e ad un sentimento di impotenza di fronte a pericoli
esterni e interni,stabilitasi acutamente o preparatasi silenziosamente,la cui minaccia
per l’integrità fisica e mentale del soggetto rappresenta l’esperienza fondamentale.
Questa sofferenza non può essere padroneggiata utilizzando le strategie difensive di cui
il soggetto dispone e ce abitualmente utilizza in modo inconsapevole e spontaneo.
L’individuo si trova di fronte alla sensazione di non poter più intervenire per modificare
la situazione e di dover essere egli stesso protagonista di un cambiamento, che richiede
però una perdita e l’incontro con l’ignoto che comportano inevitabilmente una ulteriore
sofferenza. La crisi emozionale viene così a configurarsi inizialmente come una
condizione bloccata dell’esistenza. Sentimenti di ansia,di disperazione,di paura e di
rabbia,ma anche di speranza,si traducono in una esperienza di vicolo cieco che è
intollerabile per il soggetto. I sintomi clinici sono rappresentati soprattutto dall’ansia
nelle sue manifestazioni anche somatizzate,dalla disforia,dalla depressione, e da un
senso di impotenza e di disperazione. Il processo psicologico della crisi è caratterizzato
da un rinforzo delle energie pulsionali e da una parallela inadeguatezza dei meccanismi
difensivi che si manifesta su due livelli: sul piano clinico si può evidenziare un rinforzo
di certi aspetti difensivi della personalità,mentre sul piano latente le difese stanno per
frantumarsi. In un secondo tempo sarà ciò che era latente a raffiorare e a rendesi
evidente. La crisi emozionale tende a risolversi secondo tre diverse modalità: stabilendo
nuovi e più efficaci equilibri,favorendo il recupero delle condizioni psichiche precedenti
oppure evolvendo verso soluzioni patologiche acute oppure croniche. L’evoluzione
positiva,che rappresenta il raggiungimento di un nuovo equilibrio,avviene quando la
persona riesce a integrare i dati dell’esperienza della crisi nella continuità della vita ed è
in grado di fare affidamento su un sentimento di sicurezza più solido e funzionale
avendo sperimentato e attuato un cambiamento. Nei casi in cui la crisi emozionale non
evolve in patologie clinicamente inquadrabili si può osservare una sorta di incistamento
e di sdrammatizzazione della sofferenza soggettiva a favore di un irrigidimento
caratteriale ce si presenta all’esterno come un recupero delle precedenti condizioni
psichiche individuali. Se la condizione di crisi non si risolve,possono comparire

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manifestazioni psicopatologiche come alterazioni della condotta o agiti suicidari,quadri
di ansia generalizzata o di ansia acuta,disturbi dell’adattamento,come anche stati
depressivi e episodi psicotici acuti.
La crisi psicotica
In questo caso il concetto di crisi va inteso come rottura,palese e spesso drammatica
dell’equilibrio con la realtà esterna che irrompe bruscamente nella continuità del
percorso esistenziale. Le manifestazioni psicotiche acute coprono gran parte
dell’urgenza psichiatrica e sono un’evidenza clinica che comporta problemi di notevole
spessore come la loro definizione diagnostica,l’evoluzione,la presenza di fattori
precipitanti,la partecipazione della personalità morbosa al costituirsi del’esperienza
psicotica,le modalità dell’intervento ecc… Si tratta di un quadro delirante e allucinatorio
con una rilevante componente affettiva che compare acutamente e corrisponde alla
categoria diagnostica di Disturbo psicotico breve: in genere è di breve durata e la
prognosi è positiva. Rappresenta il più grave livello di destrutturazione e compare con
frequenza in relazione a stress psicosociali gravi,in occasione di eventi esterni del tutto
sopportabili dalla maggior parte delle persone o addirittura in concomitanza di passaggi
del ciclo vitale,come ad esempio la maternità e la paternità. L’evento sembra infatti
agire con la sua portata traumatica soprattutto sul mondo soggettivo: nello stabilirsi
della crisi psicotica è implicita infatti la relazione tra eventi reali e accadimenti
fantasmatici. La possibilità di vivere una crisi psicotica è pur sempre una eventualità
che riguarda tutti,ma le persone più esposte sono quelle con disturbi di personalità.
Spesso si tratta di persone che sono ance discretamente adattate da un punto di vista
sociale pura avendo disarmonie nel processo di individualizzazione. Il loro equilibrio è
fragile perché troppo rigido,sono combattuti fra l’idealizzazione e la valorizzazione e si
trovano in preda a sentimenti alterni di avvicinamento e distanziamento nei confronti
degli altri significativi. L’evento, o il cambiamento, agendo sul versante della
personalità,possono farle confrontare bruscamente con la loro fragilità o al
contrario,proporre un avvicinamento intollerabile. Tutto questo comporta la necessità di
una elaborazione che diventa però impossibile: nessuna difesa è attuabile,gli
investimenti e i legami si dissolvono,la vita psichica si destruttura e la crisi psicotica
emerge drammaticamente.

6.1 CRISI EVENTI E VULNERABILITA’


I problemi che possono determinare una crisi riguardano tutti quegli eventi o situazioni
che rappresentano una fonte di cambiamento sia nel mondo esterno che nel mondo
interno e che hanno un diretto rapporto con il sentimento di identità e in particolare
problemi di perdita,problemi di cambiamento,problemi interpersonali e di conflitto.
Un evento,per il suo significato traumatico,può costituire il movente di una crisi sia
come causa sia come elemento scatenante. L crisi,di intensità e pregnanza diversa,è
quindi collegabile con le caratteristiche intrinseche dell’evento, come ad esempio la sua
qualità,intensità e durata. In sintesi, una crisi, sia essa fisiologica/esistenziale,
emozionale o psicotica è il risultato dell’interazione dell’evento traumatico e del
significato che questo assume per la persona con la vulnerabilità del soggetto e le
strutture difensive che si attivano inconsciamente in ogni occasione di cambiamento. Se
le difese sono molto rigide e ripetitive,l’impatto dell’evento sarà maggiore,cioè,in altri
termini il soggetto avrà a disposizione minori capacità di farvi fronte e minore elasticità
e possibilità di elaborazione. A questo proposito è utile richiamare il concetto di

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resilienza, questo termine indica letteralmente la capacità di affrontare situazioni
problematiche e ridefinire la propria identità in seguito a vari tipi di eventi traumatici.
Questo concetto non deve essere confuso con la resistenza,caratterizzata da
passività,né con la invulnerabilità,che si riferisce ad una assoluta impermeabilità alle
conseguenze negative dello stress, la resilienza implica,invece, un processo dinamico di
ricostruzione di se stessi che avviene attraverso un lavoro attivo sugli elementi specifici
dell’evento traumatico.
Le crisi sono quasi sempre legate a due esperienze fondamentali: quella che riguarda il
pericolo, il rischio,la minaccia per la vita e l’incolumità soggettiva e quella che rimanda
alla separazione,alla perdita,al lutto. Per entrambe queste esperienze appare centrale
l’incontro con ciò che riguarda la scoperta dei limiti,la precarietà propria e dei propri
oggetti e la finitezza della vita: non tanto una presa di coscienza quanto un più o meno
diretto e traumatico con la inevitabilità del cambiamento. In genere viene considerato
traumatico l’evento che comporta un impegno affettivo tale da superare, per quel
soggetto , la soglia di tollerabilità e di una adeguata capacità di risposta in tempi utili.
Se è evidente l’importanza traumatica di ceti eventi (le catastrofi naturali,le violenze
ecc…) è anche vero che spesso sono le lente variazioni,difficilmente coglibili ,legate allo
svolgersi dell’esistenza e al ciclo della vita a portare all’emergenza di brusche rotture
dell’equilibrio individuale. Si tratta in questo caso di situazioni che rappresentano
normali punti di passaggio nella vita individuale in cui è richiesto un cambiamento di
ruolo e di identità che non sempre è problematico,ma spesso è invece
complessivamente desiderabile.
Esistono diverse risposte agli eventi traumatici. Alcune persone sono in grado di
fronteggiare cambiamenti,perdite e altri eventi traumatici senza raggiungere livelli di
destrutturazione e gravi quadri psicopatologici, mentre altre si mostrano più esposte
alle difficoltà e possono andare incontro a psicopatologie anche gravi ma transitorie;
altre ancora sono totalmente vulnerabili da non riuscire a vivere e superare una crisi
emozionale in quanto,di fronte ai fatti della vita,adottano soluzioni inadeguate più o
meno stabili a scapito della loro autonomia e della loro realizzazione che spesso si
riducono sempre di più nel tempo. Per comprendere l’aspetto soggettivo della relazione
individuo-ambiente e per spiegare la diversità delle risposte dobbiamo analizzare i limiti
di alcuni apparati psichici che sono la causa delle diverse modalità di intervento. Nel
caso di soggetti che dispongono di una buona autonomia e che hanno acquisito la
possibilità di viver la variabilità intra e interpersonale,l’organizzazione sufficientemente
integrata del carattere consentirà loro di superare, il più delle volte,il cambiamento e la
crisi che questo comporta conservando comunque una discreta “normalità” di
funzionamento. I soggetti con funzionamento psichico meno adeguato,che li predispone
ad una disregolazione affettiva e ad una certa instabilità, in cui l’esame di realtà è
conservato ma l’identità appare disturbata e spesso diffusa,in cui sono scarse: la
tolleranza alle frustrazioni,la capacità di empatia e di simbolizzazione e le difese
appaiono talmente rigide da rendere molto difficile affrontare le vicende critiche della
vita,si possono sviluppare emergenze critiche nel tempo. Si tratta di una tipologia di
persone che possono essere inquadrate nella categoria dei disturbi di personalità.
6.2 EVOLUZIONE DELLA CRISI
La nozione di crisi implica dunque la nozione di cambiamento di un equilibrio
precedente,che diventa inadeguato,e di svolgimento nel tempo,di conseguenza è
possibile descriverne l’inizio lo svolgimento e la fine:

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• iniziale ascesa della tensione connessa con la messa in atto di abituali meccanismi di
risoluzione dei problemi
• il fallimento di queste strategie comporta un aumento della tensione tale per cui
l’individuo ne risulta sconvolto e incapace di agire
• vengono tentate nuove strategie e possono essere presi in considerazione aspetti del
problema prima trascurati e utilizzati strumenti già sperimentati in passato
• il fallimento di ogni tentativo porta ad un ulteriore aumento della tensione ma, dopo
un arco di tempo limitato, la crisi tende spontaneamente a concludersi e viene trovata
una risposta
Gli elementi psicologici costitutivi di una crisi sono:
® cambiamento nel mondo esterno e nel mondo interno
® perdita dell’oggetto e di aspetti del proprio se
® esperienza angosciosa di disorganizzazione della propria identità
® riassestamento
Il cambiamento e la perdita sono elementi e concetti strettamente collegati con una
situazione di crisi. Ogni persona ha una soglia di tolleranza collegata alla capacità di
sopportare livelli di ansia più o meno elevati e gran parte delle crisi derivano
dall’interazione tra un evento esterno e quella che si può definire la vulnerabilità del
soggetto,legata alle sue precedenti esperienze. Ai cambiamenti l’individuo agisce non
solo con angoscia per la nuova situazione,ma anche con sentimenti depressivi che
riguardano la perdita di rapporti o di condizioni precedenti.
Ogni crisi prevede una risoluzione spontanea nel giro di qualche settimana,ma non è
detto che questa avvenga sempre in senso positivo e di crescita. L’elaborazione delle
perdite può essere difficile,le possibilità evolutive della persona limitate,assente o
inefficace una funzione di sostegno da parte dell’ambiente e la crisi si configura così
come una disfatta,quasi un ripetersi obbligato di modalità fallimentari di rapporto con la
realtà. Le possibilità evolutive di una crisi infatti vanno dalla riorganizzazione in senso
positivo della personalità, all’accentuazione e all’irrigidimento delle difese
caratteriali,alla comparsa di manifestazioni psicopatologiche come segnale della
mancata elaborazione. È chiaro che non si può individuare un quadro clinico definito
come possibile evoluzione,ma ogni crisi si può collegare con quadri patologici diversi
che ne rappresentano le modalità di fallimento.
Considerando la patologia in una prospettiva dinamica,i disturbi dell’adattamento e i
disturbi di ansia si possono considerare da un lato come espressione di sofferenza, ma
contemporaneamente come segnale di una “relativa” efficacia delle risorse individuali e
delle difese. Invece i disturbi dell’umore,sia nella forma più frequente della depressione
che in quella più rara della mania, esprimono la difficoltà strutturale di organizzare
adeguatamente le difese e di elaborare le perdite e i cambiamenti. La psicosi acuta può
essere considerata come espressione estrema di una sorta di collasso totale delle difese
,che si drammatizza in un quadro delirate e confusionale.
6.3 CRISI NEL CORSO DELLA VITA
I momenti evolutivi che hanno un particolare significato trasformativo per l’individuo
nel corso della vita sono rappresentati dall’adolescenza, dall’innamoramento e dalla
formazione di un progetto ci coppia,dalla genitorialità, dalla mezza età e
dall’invecchiamento.
L’adolescenza

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L’adolescenza costituisce il momento di crisi più noto ed inevitabile per ognuno. A
partire dalla pubertà gli equilibri degli investimenti e delle difese che erano stabili nel
periodo di latenza sono rimessi in discussione e gli apporti di energie nuove che
derivano dalla spinta puberale determinano una riattivazione dei conflitti infantili e del
conflitto edipico. La relativa calma che si era stabilita nel periodo di latenza si rompe e
la tregua viene interrotta. L’aspetto più evidente dei mutamenti che avvengono nel
periodo dell’adolescenza è quello delle modificazioni corporee che hanno conseguenze
sia reali che simboliche. L’adolescente si confronta con un corpo che cambia con
estrema rapidità e la valenza sessuale di tali cambiamenti comporta la necessità per
l’adolescente di riconoscersi come corpo sessuato che si distacca dall’immagine
indifferenziata dell’infanzia. In questi anni si definisce l’identità sessuale attraverso la
maturazione dei caratteri sessuali secondari, da tenere distinta dall’identità di
genere,cioè dal vissuto di appartenenza ad un determinato sesso che esiste anche
prima della pubertà. La definizione dell’identità sessuale implica una perdita
narcisistica,ovvero la rinuncia alla fantasia onnipotente di possedere le caratteristiche di
ambedue le immagini interiorizzate dei genitori. Il riemergere delle pulsioni sessuali
comporta una riattualizzazione della conflittualità edipica e, di conseguenza, la
necessità di prendere distanza dai genitori in quanto oggetti d’amore primitivi.
L’adolescenza quindi è caratterizzata da alcuni elementi di perdita,di cui quella
narcisistica,intesa come perdita dell’immagine onnipotente di se stesso, e quella
oggettuale,intesa come l’allontanamento simbolico dalle figure significative dell’infanzia.
Il distacco dalle figure significative dell’infanzia porta l’adolescente a scegliere se stesso
come oggetto d’amore con un aumento dell’investimento narcisistico a spese
dell’investimento oggettuale. Non è raro,infatti, osservare negli adolescenti uno
spiccato interesse per se stessi,che può prendere sia la forma di una ipervalutazione sia
quella di una eccessiva insicurezza. In adolescenza la stima di sé è assolutamente
precaria ed è spesso osservabile l’alternarsi di momenti di estrema tristezza che
rivelano un’alterazione dell’equilibrio narcisistico. Il processo di trasformazione del sé si
basa quindi su nuove identificazioni e sull’eliminazione progressiva delle
rappresentazioni del sé infantile,derivate dalle identificazioni del passato. Il gruppo dei
coetanei può essere utile come punto di riferimento per l’evoluzione del sé
adolescenziale: ogni membro del gruppo è vissuto come una parte del sé che viene
proiettata all’esterno,ma il gruppo permette al tempo stesso una riunificazione delle
parti,funzionando da contenitore.
L’adolescenza comporta anche un cambiamento nei valori morali che sono stati
interiorizzati nell’infanzia sulla base delle rappresentazioni che il bambino ha avuto dai
genitori. In adolescenza si verifica una parziale rimozione del Super-io perché è
necessario che si modifichino le sue esigenze al fine di permettere l’accesso alla
sessualità e alle nuove relazioni. L’adolescente deve quindi privarsi di una parte del
Super-io,costruito sui modelli genitoriali,per modellare una morale personale. Una
eccessiva dipendenza dal Super-io che limita il cambiamento rende l’adolescente
vulnerabile a successive manifestazioni patologiche. Jeammet ha individuato due aree
peculiari come espressione psicopatologica: l’area del corpo,terreno privilegiato di
espressione dei conflitti in questo periodo di vita come documentano ad esempio i
disturbi del comportamento alimentare, e l’ara del comportamento, in quanto
l’adolescente tende a interiorizzare i conflitti interni trasformandoli in comportamenti
impulsivi spesso anche dissociali.

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L’età adulta e la crisi dell’età di mezzo
La cosiddetta “crisi dell’età di mezzo” è una esperienza soggettiva che inizia intorno ai
40 anni e si mantiene per alcuni anni successivi legata prevalentemente al conflitto
generazionale tipico di questa età e caratterizzata dalla consapevolezza della fine
propria e degli altri. La persona di età intermedia vive una particolare situazione nel
rapporto con le diverse generazioni anteriori e posteriori alla propria: da un lato si trova
a essere oggetto di crescenti richieste di accadimento e dipendenza da parte dei
genitori,o comunque inizia a pensarlo,dall’altra parte è investita direttamente dalla
ricerca di emancipazione dei figli. Si realizza così una duplice identificazione con i vecchi
e con i giovani e si riattivano sentimenti ambivalenti sia verso i genitori,che però
stanno invecchiando e non possono quindi essere considerati come rivali, che verso i
figli che si stanno emancipando e costituiscono il termine di confronto immediato. Una
dimensione soggettiva così contraddittoria determina un profondo rimaneggiamento
dell’immagine di individuo,di genitore e di figlio che viene concettualizzato
nell’espressione “crisi dell’età di mezzo”.
Jacques (1963) focalizza la crisi sull’incontro con la morte e con la vecchiaia e la
consapevolezza come un riemergere della posizione depressiva infantile: la crescente
consapevolezza del proprio invecchiamento e della propria mortalità fanno rivivere le
memorie inconsce di odio,invidia,distruzione mitigate dalla riparazione dalla gratitudine
e dall’amore. La rielaborazione dell’esperienza infantile della perdita aumenta la fiducia
nelle proprie capacità di amare e di rimpiangere ciò che è perduto,piuttosto che odiare
e sentirsi perseguitato. Oltre a questo aspetto nella crisi dell’età di mezzo sono presenti
anche tappe critiche strettamente legate alle vicissitudini della relazione amorosa
familiare e dell’attività professionale,fattori fonte ,al tempo stesso, di soddisfazione
come di insoddisfazione. Il soggetto si chiede in questa età se e in quale misura ha
realizzato i suoi obbiettivi,le sue ambizioni e i suoi ideali, confrontandosi con l’ideale
dell’Io e la conflittualità interna che una persona può vivere relativamente a questo.
Nelle donne il climaterio, cioè quel lungo periodo che va dalla piena funzione
riproduttiva alla perdita di questa e che si conclude con la menopausa,ovvero la
cessazione dei flussi mestruali,coincide in buona parte con questa fase della vita. La
menopausa non può essere considerata come un evento isolato,svincolato dalla storia
personale, dalle modalità con cui è vissuta la femminilità e dal contesto socio-culturale
di riferimento:essa infatti non è solo un evento biologico,ma una vicenda esistenziale
che investe la donna nella sua totalità. La menopausa rappresenta per ogni donna una
crisi che è caratterizzata da profondi cambiamenti interni ed esterni nelle varie sfere
dell’identità femminile. La crisi climaterica è caratterizzata da elementi di perdita e di
lutto che possono determinare nella donna una riduzione della fiducia di base. Il
climaterio è pervaso da una umiliazione narcisistica in quanto la donna perde la fertilità
e vive fantasie narcisistiche legate al distacco della sessualità dalla riproduzione che
fanno attribuire a questo periodo il significato di castrazione. È inoltre costretta a
modificare l’immagine del proprio corpo vissuto nel senso che le modificazioni
biologiche spesso non coincidono con i cambiamenti dell’immagine inconscia del corpo
che si evolve più lentamente e più in base a desideri e conflitti soggettivi che ai
cambiamenti reali,ed a rinunciare al modello ideale di giovinezza. Si deve confrontare
anche con il cambiamento negativo dell’immagine sociale,con le modificazioni della
relazione con il partner,con il distacco dei figli. Una particolare rilevanza assume, nel
periodo del climaterio, il problema della solitudine nella sua doppia valenza di

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dimensione psicologica,che corrisponde al sentirsi soli, e di elemento reale, che
corrisponde all’essere effettivamente soli. Sentirsi soli indica una situazione soggettiva
che è spesso indipendente dalla condizione di effettivo isolamento., nel senso che
sentimenti di solitudine possono essere dominanti ance quando la persona è
oggettivamente ricca di rapporti sociali. Intorno alla menopausa la donna può sentirsi
sola anche se ha intorno una famiglia che l’apprezza e relazioni sociali soddisfacenti.
Quindi l’adattamento alla menopausa dipende da una varietà di fattori che
caratterizzano la personalità individuale come la capacità di essere soli e di adattarsi a
nuove situazioni,la qualità della relazione di coppia,l’importanza del legame con i figli e
la capacità di accettare la loro autonomia, l’abilità a modificare il ruolo materno in uno
più orientato verso soddisfazioni esterne e altro ancora. Questo periodo della vita nella
donna può essere definito anche come periodo del “nido vuoto”, indicando con tale
denominazione la cessazione dei compiti di allevamento dei figli. Il periodo che
corrisponde all’allontanamento dell’ultimo figlio dal nucleo familiare,rappresenta,infatti,
un ulteriore motivo di crisi per la donna come per la coppia che si trovano a perdere
gran parte del loro significato. Nella clinica la cosiddetta sindrome del nido vuoto
corrisponde alla comparsa in alcune donne di una depressione dell’umore di varia
intensità che si manifesta in coincidenza con l’allontanamento dei figli e con la
cessazione delle funzioni di accadimento. Il concetto ormai
classico del “nido vuoto” è ,tuttavia,controverso: è stato infatti osservato che il
mancato allontanamento dei figli all’età prevista comporterebbe maggiori difficoltà per
la donna e che le donne i cui figli hanno lasciato la casa sono generalmente più
soddisfatte rispetto a quelle che ne hanno ancora il carico.
L’evoluzione della crisi del climaterio è di solito positiva in quanto la donna elabora i
lutti investendo in altri oggetti le sue energie,mentre in alcuni soggetti una
problematica depressiva ed uno stato di ansia testimoniano il relativo fallimento del
processo di elaborazione.

L’invecchiamento
L’invecchiamento è caratterizzato da una serie di modificazioni oggettive e soggettive
con significato di perdita,a sottolineare soprattutto il declino e le rinunce che fanno
parte di questo periodo della vita. Quando si invecchia infatti si devono affrontare
eventi della vita che rappresentano esperienze estremamente negative come il
pensionamento,il cambiamento dello stato sociale ed economico,il declino della
salute,l’eventuale perdita del coniuge e degli amici,il relativo isolamento ecc... Queste
modificazioni però possono essere considerate anche come cambiamenti,lasciando
aperta la possibilità di una sorta di riorganizzazione dell’identità personale. Il
disimpiego è un meccanismo per spiegare come di norma la percezione della vecchiaia
non è particolarmente dolorosa né traumatica,ma è caratterizzata dal punto di vista
affettivo da un crescente distacco emotivo e da una parallela riduzione del
coinvolgimento attivo che permettono all’anziano di “guardare dall’alto” il proprio
percorso di vita.
Ci sembra opportuno indicare alcuni fattori psicologici che interferiscono con il
sentimento di identità individuale e con il mantenimento di una adeguata immagine di
sé quali in particolare: le relazioni interpersonali,l’angoscia di morte,il sentimento di
identità,la rappresentazione mentale della vecchiaia,la solitudine e il narcisismo.
Relazioni interpersonali

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Un elemento importante nel vissuto dell’anziano è rappresentato dai cambiamenti delle
relazioni sociali e familiari legati a fattori che,hanno una grande risonanza affettiva. La
ridotta partecipazione sociale modifica le relazioni familiari soprattutto nel rapporto tra
coniugi,che può rafforzarsi con una maggiore solidarietà o dipendenza,come può
deteriorarsi con l’emergere di conflitti rimasti latenti che si manifestano sottoforma di
invidie,frustrazioni reciproche,sentimenti di rabbia focalizzati sulle modalità soggettive
di affrontare l’invecchiamento o di difendersi dalla relativa ansia. Anche il rapporto con i
figli cambia con l’accentuarsi di conflittualità generazionali legate da un lato al
cambiamento delle caratteristiche del rapporto genitore-figlio che da ablativo verso i
figli bambini diviene prevalentemente captativo verso i figli adulti, dall’altro alla
presenza di sentimenti di rivalità dell’anziano nei confronti dei figli che possono
realizzare o hanno realizzato quanto a lui non è possibile. Nella vecchiaia le frustrazioni
per le perdite inevitabili e il riaccendersi di desideri e pulsioni “per procura”, cioè
connesse all’identificazione con i figli e con i loro successi, possono essere alla base del
riattivarsi di antichi conflitti. Le spinte relative al conflitto edipico represso subiscono un
ulteriore incremento e la conflittualità che ne deriva non è rivolta a figure del passato
,bensì del presente: l’oggetto del conflitto non è il proprio genitore,ma il figlio al
culmine della sua potenzialità.
Angoscia di morte
L’esperienza del corpo che invecchia e si ammala costituisce per l’anziano
un’anticipazione della morte che diviene una possibilità reale. Gli atteggiamenti dei
vecchi verso la morte sono tutt’altro che univoci. Da un lato si può assistere ad una
rassegnata accettazione di questa realtà biologica,sostenuta e protetta dai sentimenti
attivati dalla continuità delle generazioni. Mentre dall’altro il pensiero della morte può
essere fonte di angoscia e disperazione tali da disorganizzare ulteriormente il precario
equilibrio dell’anziano.
Identità
Se i bisogni del vecchio sono il rispetto,la sicurezza e l’autodeterminazione, la
condizione senile è,invece,caratterizzata soprattutto dalla dipendenza materiale e
affettiva dall’ambiente circostante. Questa contraddizione rappresenta il dramma senile
che richiama quello adolescenziale. L’analogia è però caratterizzata da una profonda
differenza dal momento che la crisi adolescenziale rappresenta un’apertura verso il
mondo mentre la vecchiaia acquista una dimensione di bilancio e ridimensionamento
delle potenzialità vitali. È simile,invece,il pericolo che i cambiamenti oggettivi e
soggettivi e la drammatizzazione delle pulsioni portino a mettere in discussione
l’identità personale. Ogni cambiamento si collega con il sentimento di identità . il
sentimento di identità si riferisce al concetto di identità del sé intesa nel senso del
progressivo sviluppo dell’identità individuale. Il sentimento di identità di sé comporta un
livello simbolico nel campo dell’autoconoscenza,che permette di continuare a sentire
che “io sono io” nonostante i cambiamenti e addirittura proprio in funzione di questi. I
cambiamenti comunque creano angoscia per ciò che inevitabilmente si perde e
richiedono un importante lavoro psicologico. Dall’altra parte i cambiamenti costituiscono
lo sfondo,il campo che permette a una persona di continuare a sentirsi se stessa.
Rappresentazione mentale della vecchiaia
Ci sono molti fattori che influenzano la percezione del proprio essere vecchi ma da
punto di vista psicologico è importante sottolineare la modalità con cui s forma
nell’individuo l’immagine della vecchiaia. Spesso ci si stupisce dell’interesse con cui i

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bambini esplorano il significato della parola vecchio. Il bambino che vive una condizione
di dipendenza dagli adulti significativi,sa che quando sarà grande gli adulti della sua
infanzia e in particolare i genitori saranno vecchi. Se, nello sviluppo infantile è prevalsa
la rabbia per lo stato di dipendenza dai genitori l’immagine mentale della vecchiaia
avrà un significato prevalente di impotenza, se invece ha prevalso la fiduciosa attesa di
un aiuto,nell’immagine della vecchiaia prevarranno i caratteri della saggezza e della
serenità.
Solitudine
Una particolare rilevanza assume in questa fascia di età il problema della solitudine,
intesa sia come dimensione psicologica corrispondente al termine corrente “sentirsi
soli” che come condizione effettiva corrispondente “all’essere soli”. I due significati
indicano l’uno una situazione soggettiva,l’altro una condizione oggettiva che possono
essere anche indipendenti dal momento che il sentimento di solitudine non è
necessariamente collegato all’isolamento reale. In un approccio cognitivo al problema la
solitudine è stata concepita come una esperienza soggettiva più o meno correlata a
fattori situazionali come la percezione di se stessi nel tessuto sociale e le relazioni
interpersonali,coincidente così con un isolamento sociale soggettivo in cui la quantità
delle relazioni è inferiore alle attese del soggetto o in cui i desideri di intimità non sono
stati soddisfatti. Da un punto di vista psicologico “sentirsi soli” si riferisce ad uno stato
mentale,al sentimento della mancanza dell’altro,alla ricerca di una relazione con parti di
sé, a una situazione quindi nettamente diversa dall’essere soli che non è collegabile con
la quantità di contatti sociali ma che addirittura può essere accentuata dalla presenza
degli altri. Sentirsi soli quindi indica uno stato soggettivo di sofferenza che si può
sperimentare anche quando si è circondati da amici e da oggetti di interesse.
Narcisismo
L’invecchiamento interessa primariamente il narcisismo come investimento affettivo di
se stessi e richiede degli aggiustamenti che ognuno deve inevitabilmente affrontare nel
corso del proprio ciclo vitale. Infatti nella vecchiaia,oltre al processo di trasformazione
biologica che investe il corpo nella sua totalità,esiste una modificazione interiore
caratterizzata dalla necessità di far fronte al cambiamento della prospettiva
temporale,che si orienta verso il passato,all’inversione dei ritmi di cambiamento esterni
e interni per cui ogni stabilità sembra minacciata dalle trasformazioni del mondo,alla
consapevolezza dei limita della propria personalità e creatività,al riemergere della
conflittualità edipica centrata sulla generazione dei figli,alle perdite reali e simboliche
che si accumulano. Si può determinare quindi una situazione conflittuale nella quale il
soggetto non riesce più a conciliare l’immagine di se con la propria realtà e con
l’immagine proposta socialmente. In tal modo il conflitto io-mondo si risolve spesso con
un conflitto dell’io con se stesso, tra io attuale e io ideale, che attiva difese narcisistiche
volte a preservare l’immagine di sé. Di fronte a tali conflittualità si possono avere
nell’anziano modalità diverse di reazioni collegate con le caratteristiche individuali e con
le esperienze passate. Si può ,infatti, osservare,ad esempio, la messa in atto di difese
narcisistiche che permettono al soggetto di mantenere un adeguato equilibrio
consentendogli,paradossalmente,di arrivare alla morte senza essere mai
invecchiato,oppure una relativa incapacità di adattarsi alla nuova situazione senile con
la conseguente comparsa di manifestazioni psicopatologiche anche di tipo
nevrotico,oppure l’accentuazione di alcune caratteristiche della personalità narcisistica
che si piano clinico si collocano nell’ambito dei fenomeni ansioso-depressivi e

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ipocondriaci. Solo una equilibrata modulazione narcisistica permette di affrontare
adeguatamente la realtà dell’invecchiamento e della morte.

CAPITOLO 2: PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA

1.LA PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA


La nascita e la diffusione della prospettiva della psicopatologia evolutiva,propria della
branca della psicologia clinica,della psicologia evolutiva e della psicopatologia, sono
avvenute a partire dagli anni ’70. L’accostamento dei termini “psicopatologia” e
“evolutiva” ha lo scopo di evidenziare l’importanza dello studio della psicopatologia in
relazione ai principali cambiamenti che avvengono nel ciclo vitale. In particolare con il
termine evolutivo si intende l’attenzione alla specificità dei processi,cambiamenti e
caratteristiche proprie delle diverse età; tale approccio indica due obbiettivi di base:
1- Il tentativo di esaminare le specifiche capacità emergenti caratteristiche della persona nei
vari stadi dello sviluppo lungo tutto l’arco di vita,utilizzando una visione ampia che tenga
conto della complessità dei vari domini di funzionamento.

2- Il tentativo di esaminare le sequenze di adattamenti precedenti nello sviluppo che hanno


contribuito all’esito di un particolare periodo evolutivo,esprimendo l’interesse per i processi
ed i meccanismi alla base dei passaggi evolutivi.

La coerenza del significato di comportamento,che risiede nella funzione adattiva che


esso svolge rispetto al contesto interpersonale, è il presupposto su cui si basa la
psicopatologia evolutiva: l’attenzione è centrata sulla comprensione dei processi che
sottostanno sia alla continuità sia ai cambiamenti dei modelli di adattamento. Da
questa prospettiva quindi le diverse espressioni comportamentali che emergono nei vari
momenti del ciclo vitale non sono espressione di una discontinuità dello sviluppo quanto
espressione di una co-evoluzione all’interno della diade individuo-contesto. Le
trasformazioni evolutive acquistano coerenza se lette come espressione di un processo
di adattamento della persona alle diverse perturbazioni ambientali. In tal senso
possiamo considerare come obbiettivo primario della psicopatologia dello sviluppo la
comprensione del percorso ontogenico che caratterizza lo sviluppo individuale dai
pattern di adattamento precoci a quelli più maturi. La
necessità di storicizzare e contestualizzare i disagi ed i sintomi per fornire una visione
ampia,articolata e complessa che permetta la comprensione dei processi e dei
meccanismi,ha condotto ad una accezione estesa della psicopatologia evolutiva che
volge il proprio interesse al di là dei delimitati confini dell’età evolutiva e della patologia
rivolgendosi all’intero arco di vita ed alla normalità. Gli psicopatologi-evolutivi devono
quindi essere a conoscenza del percorso dello sviluppo normale,trovare le deviazioni da
tale percorso,e comprendere le trasformazioni evolutive che avvengono nel progresso
evolutivo ontogenico.
La prospettiva della psicopatologia evolutiva dovrebbe prendere in considerazione
l’emergere del repertorio comportamentale,delle funzioni cognitive e linguistiche,dei
processi sociali ed emotivi,e dei cambiamenti che avvengono nelle strutture anatomiche
e nei processi fisiologici del cervello nel corso del ciclo vitale. La
psicopatologia evolutiva fornisce una potente cornice teorica per la comprensione della
complessità dei processi evolutivi, che permette di integrare le conoscenze all’interno e
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tra le differenti discipline,contesti e domini di conoscenze. Essa non si
caratterizza,dunque, per l’assunzione di un approccio teorico unitario,ma per
l’assunzione di una prospettiva organizzativa dello sviluppo basata sul presupposto
che,come avviene nei processi biologici,l’individuo emerge dagli scambi con l’ambiente
e ogni comportamento si organizza e prende forma nel’interazione con altri
comportamenti e con il contesto. Sroufe (1995) delinea due principi generali propri
della prospettiva organizzativa dello sviluppo:
• l’unitarietà dello sviluppo: le varie dimensioni dell’organismo si sviluppano in maniera
reciprocamente dipendente; non è così possibile ad esempio,comprendere lo sviluppo
cognitivo in maniera indipendente dalla crescita emozionale e sociale,facendo tali sfere
parte di unno stesso processo
• la complessità emergente: nuovi comportamenti sono considerati proprietà emergenti
dell’organizzazione precedente, lo sviluppo procede nella direzione sia di una
complessità crescente sia di cambiamenti qualitativi tra i vari livelli di accresciuta
complessità. Quindi, ciò che emerge è qualitativamente differente dal precedente ed ha
un nuovo livello di complessità,tuttavia il precursore costituisce un prototipo per
l’emergente.
Questa prospettiva dello sviluppo ha come conseguenza che ,concependo lo sviluppo
non in termini di accrescimenti ma di integrazioni e riorganizzazioni qualitative , diviene
non ipotizzabile un isomorfismo tra i sintomi di uno stesso disturbo nei differenti livelli
dello sviluppo. Tale approccio è espressione dei contributi all’origine della psicopatologia
evolutiva principalmente rintracciabili in tre importanti apporti: la teoria evolutiva
organismica proposta da Werner, la teoria psicoanalitica di Freud e la teoria strutturale
evolutiva avanzata da Piaget. Tutti questi apporti hanno posto l’accento su una visione
“organismica” dello sviluppo versus una meccanicistica: l’attenzione è,cioè,posta sul
ruolo delle dinamiche dell’individuo considerato come un insieme organizzato, in cui i
principi comportamentali sono visti nei termini di organizzazione tra le parti ed il tutto e
di relazioni dinamiche tra l’individuo e l’ambiente; l’individuo viene considerato come
una entità dinamicamente funzionante definita dalle sue interazioni con l’ambiente.

2. LE RELAZIONI INTERPERSONALI COME CONTESTI FONDANTI PER LA DEFINIZIONE E


COMPRENSIONE DELLA PSICOLOGIA EVOLUTIVA
E’ possibile considerare la qualità delle relazioni interpersonali come un fondamentale
criterio per identificare la presenza di una possibile psicopatologia. I problemi
evolutivi,infatti,non sono mai unicamente problemi del bambino ,ma soprattutto
problemi di relazione tra il bambino e l’ambiente. In un’ottica organizzativa ,si
considerano come molteplici i fattori che conducono ad un disturbo,differenti anche nei
singoli individui che presentano anche lo stesso disturbo che,a sua volta può essere
espressione di percorsi anche molto diversi tra loro. Questo concetto viene espresso
con i principi di equifinalità e multifinalità derivati dalla teoria generale dei sistemi.
L’equifinalità si riferisce all’osservazione che in qualsiasi sistema aperto possono
condurre allo stesso esito una diversità di percorsi, includendo quelli fortuiti; il principio
di multifinalità suggerisce che all’interno di un sistema l’effetto di un componente
cambia in base alla posizione che vi occupa. In psicologia evolutiva con equifinalità si fa
riferimento alla varietà di percorsi che possono confluire in uno stesso esito. La
multifinalità indica come un particolare evento o elemento non debba di necessità
condurre allo stesso esito: esso acquista un significato ed una propria funzionalità

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all’interno dell’organizzazione più ampia che dipende da fattori quali il particolare
momento della storia evolutiva in cui accade,il contesto circostante in cui esso si
inserisce,il periodo specifico in cui avviene e la vulnerabilità individuale.
In tal senso il disagio psichico viene inteso come espressione di una molteplicità di
fattori che possono agire sia ostacolando sia favorendo l’adattamento dell’individuo.
Appartenere ad una popolazione cosiddetta “a rischio” per l’insorgere di una
psicopatologia significa che una persona fa parte di un gruppo di individui che hanno
maggiori possibilità di manifestare in futuro quel determinato disturbo,riguardano i vari
domini di funzionamento biologici,psicologici e sociali.
In linea con tale impostazione ,Cicchetti e Cohen individuano tre principali parametri
che definiscono la psicopatologia evolutiva essi sono:
1. Lo studio delle popolazioni ad alto rischio e dei disturbi;

2. L’interesse per i meccanismi ed i processi evolutivi che moderano gli esiti finali dei fattori di
rischio;

3. L’attenzione all’intero ciclo vitale che permette di conoscere pienamente la


continuità/discontinuità dello sviluppo;

Lo studio dei fattori di rischio si è scontrato nel tempo anche con le difficoltà di
distinguere tra le loro funzioni e ruoli: i fattori di rischio tendono,ovviamente, a
presentarsi contemporaneamente e risulta difficile alle volte cogliere quali siano
considerabili come processi causali per un esito, quali invece siano espressione di altri
sistemi solo indirettamente connessi con il rischio o la patologia studiata e
quali,infine,siano presenti ma difficilmente coglibili perché mascherati dall’influenza di
altri sistemi.
A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un maggior interesse allo studio dei fattori
protettivi,fattori,cioè, che quando presenti moderano o riducono l’impatto di un
variabile di rischio promuovendo l’adattamento. I fattori protettivi agiscono sia in
maniera compensatoria ,controbilanciando gli effetti dei rischi,oppure interattivamente,
come variabili di mediazione,influenzando nei momenti di forte stress l’impatto dei
fattori di rischio e rimanendo pressochè silenti in altri periodi. Tra i fattori protettivi si
includono,quindi,quelli che: a) riducono l’impatto dei fattori di rischio attraverso
l’efficacia dei loro effetti sulla pericolosità stessa del rischio oppure modificando
l’esposizione o coinvolgimento del rischio; b) riducono la catena di reazioni negative
che origina dall’incontro con il rischio; c) promuovono la stima di sé e il senso di
efficacia di se stessi attraverso la disponibilità di relazioni personali sicure o supportive
oppure il successo nel raggiungimento di obbiettivi; d) offrono nuove opportunità.
Nella psicopatologia evolutiva ,inoltre,accanto ai fattori protettivi che promuovono le
capacità dell’individuo si considerano fattori che le limitano: i cosiddetti fattori di
vulnerabilità. Quest’ultimi indicano condizioni o circostanze,solitamente durevoli,che
promuovono il disadattamento. Divengono fonti di vulnerabilità,che possono avere
cause interne o esterne all’individuo,i fattori che limitano il raggiungimento di un buon
adattamento favorendo un’organizzazione patologica nei vari domini dello sviluppo.
L’influenza di questi fattori deve essere contestualizzata sia nello specifico periodo
evolutivo sia all’interno delle condizioni sociali e ambientali nel quale si inserisce. Non
solo,infatti,fattori temporanei possono influenzare il possibile esito disadattivo rendendo
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più o meno “rischiosa” l’influenza di un fattore, ma anche le condizioni socio-ambientali
determinano la criticità di uno stesso evento,quale la perdita del lavoro di un genitore
in una famiglia in condizioni agiata vs precarie ,accanto al ruolo che quello stesso
fattore riveste nelle esigenze proprie di una determinata fase del ciclo di vita ad
esempio la perdita di un genitore in età molto precoce oppure in adolescenza.
Nella comprensione del disagio psichico,dunque,la prospettiva della psicopatologia
evolutiva considera come in ogni individuo i fattori di rischio e quelli protettivi siano
presenti in un equilibrio dinamico: il disagio emerge laddove tale equilibrio venga
alterato a sfavore delle risorse protettive,intendendo con “disagio” un equilibrio
mantenuto con difficoltà e sofferenza,con “patologia” la perdita di tale equilibrio con
l’emergere di sintomi o condotte disadattive.
La psicopatologia emerge quando è presente una storia evolutiva che ha portato ad una
organizzazione patologica e le risorse protettive e le capacità di coping della persona
non sono in grado di fronteggiare le vulnerabilità di vecchia data e i fattori di stress e di
rischio acuti attuali.

3.L’ATTENZIONE AI PROCESSI REGOLATORI DELLO SVILUPPO: EMOTIVI, BIOLOGICI E


NEURO-PSICOLOGICI,COGNITIVI E SOCIO-COGNITIVI
Nella prospettiva della psicopatologia evolutiva ogni disturbo acquista significato solo se
inscritto in una visone più ampia che consideri l’interazione tra differenti considerate
all’interno dell’organizzazione evolutiva.
Dalla prospettiva organizzativa,lo sviluppo è considerato come un processo dinamico
multi-determinato in cui le variabili e i processi in esso coinvolti operano in interazione
l’uno con l’altro al fine di contribuire al funzionamento individuale: i processi interattivi
sono centrali a tutti i livelli di funzionamento,dal funzionamento individuale alla
relazione con l’ambiente.
Lo sviluppo è,infatti,un processo unitario, in cui i funzionamenti ed i meccanismi
acquistano significato dal ruolo che reciprocamente rivestono per il funzionamento
globale dell’individuo. All’interno di questo processo,l’individuo è un partecipante attivo:
egli condivide e crea le esperienze attraverso le predisposizioni fisiologiche e
psicologiche e con lo sviluppo di capacità connesse sempre più complesse.
Lungo l’arco dello sviluppo le interazioni tra i numerosi sistemi di regolazione e gli
scambi relazionali accrescono nell’individuo le capacità di autoregolazione nei differenti
domini e permettono lo sviluppo di una regolazione intersoggettiva coerente e
complessa.
Viene ipotizzato che l’organismo in certi momenti evolutivi salienti,geneticamente
determinati,sia particolarmente sensibile all’incontro con specifici fattori ambientali. In
questi periodi critici,le influenze ambientali possono avere un effetto maggiore se
avvengono in determinati archi di tempo,minore in altre fasi.
Sono identificabili almeno due posizioni differenti rispetto al funzionamento di questi
periodi, da una parte, una visione dello sviluppo che vede i soggetti come relativamente
passivi in “attesa” di un ambiente che,in determinati peridi critici,fornisca al momento
giusto le cure adeguate durante le fasi critiche dello sviluppo; dall’altra parte si
contrappone una visione maggiormente attiva dell’individuo in cui lo sviluppo viene
considerato espressione di un adattamento ottimale ad un determinato ambiente anche
grazie a specifiche esperienze accadute durante fasi relativamente sensibili.

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3.1 PROCESSI EMOTIVI: IL RAPPORTO BAMBINO AMBIENTE NELLE TEORIE
PSICODINAMICHE
L’apporto di Sigmund Freud viene considerato un importante punto di riferimento della
psicopatologia evolutiva. Molto sinteticamente,nella prospettiva evolutiva avanzata
nella teoria freudiana l’accento è posto sull’inconscio come potente plasmatore dello
sviluppo e ,quindi,sul significato psicologico delle precoci esperienze e delle dinamiche
affettive. Per quanto concerne il legame del bambino piccolo con l’ambiente,nel modello
pulsionale non viene considerata l’esistenza di un legame pre-ordinato con l’ambiente
umano non concependo il bambino come primariamente un essere sociale: il motore
dell’apparato psichico è l’energia pulsionale,originata dal patrimonio genetico,ed il
legame con la madre è legato alla funzione materna di gratificazione dei
bisogni,costituendi così come un derivato secondario. La concezione della
psicopatologia riguarda una visione del disagio come espressione di un conflitto
intrapsichico,con una propria dinamica e trasformazione nel tempo,in cui il sintomo
acquista senso se inscritto nella personalità dell’individuo. In tale prospettiva,l’accento
nell’opera freudiana viene comunque posto sulle dinamiche intrapsichiche e sulla loro
evoluzione,leggendo prevalentemente la patologia come espressione di una fissazione o
regressione a fasi precoci e ponendo in secondo piano il ruolo dei fattori ambientali.
Negli sviluppo della teoria psicanalitica si è assistito ad una rivisitazione di alcuni
concetti teorici anche in ambito evolutivo e psicopatologico principalmente legati a due
fattori: il superamento del paradigma intrapsichico e unipersonale e lo sviluppo di teorie
psicoanalitiche evolutive basate sull’osservazione diretta del bambino. Nel
tempo,infatti,la rivisitazione della teoria motivazionale psicoanalitica ha posto una
crescente attenzione agli aspetti relazionali e contestuali all’origine del disagio psichico.
Il cambiamento di ottica nella concezione energetico-pulsionale nella mente ha portato
al prevalere di una visione dell’uomo come essere sociale motivato ad entrare in
relazione con gli altri:l’obbiettivo primario della motivazione umana è divenuto il
tentativo di stabilire e mantenere relazioni con gli altri. L’abbandono del modello
pulsionale ha comportato inoltre una modificazione nella comprensione dell’eziologia dei
disturbi mentali: dalla formulazione freudiana di una sequenza di fasi di sviluppo si è
passati ad una concezione evolutiva relazionale che comporta la necessità di
comprendere lo sviluppo del bambino all’interno della complessa rete interattiva che lo
circonda. Conseguentemente,è divenuta fonte di osservazione,di indagine e di analisi la
complessa matrice relazionale in cui il bambino è immerso. Questo cambiamento è
stato anche espressione dell’introduzione in ambito psicoanalitico di studi basati
sull’osservazione diretta del bambino. Una critica diffusa,infatti,alla teoria evolutiva
freudiana riguarda il suo essersi basata prevalentemente su ricostruzioni dello sviluppo
basate su resoconti di adulti nevrotici in analisi. Da questa lettura “ricostruita” a
posteriori dello sviluppo si è passati alla diffusione della “osservazione” diretta dello
sviluppo del bambino nel suo ambiente sociale. Questi sviluppi hanno permesso di
ridurre lo iato esistente tra ricerca e clinica ed hanno avvicinato le teorie psicoanalitiche
alla psicologia dell’età evolutiva attraverso il superamento del divario tra il cosiddetto
“bambino clinico” ed il “bambino osservato”. Questi cambiamenti hanno inoltre
permesso un sempre maggiore riconoscimento delle competenze del bambino alla
nascita e una diffusione di una visione del bambino come più attivo e partecipe alla vita
di relazione.

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3.1.1 LA PROSPETTIVA ORGANIZZATIVA DELLO SVILUPPO DELLA
PERSONALITA’ NEL CONTRIBUTO DELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: LA
REGOLAZIONE DEGLI AFFETTI
Ha rivestito un importante ruolo nella riconcettualizzazione del rapporto madre-
bambino la teoria dell’attaccamento formulata da John Bowlby costituendo un punto di
riferimento delle ricerche e della teoria nella psicopatologia evolutiva. Brevemente, la
teoria dell’attaccamento si basa sul presupposto che il bambino nasca biologicamente
predisposto ad entrare in contatto con il mondo esterno e a stabilire legami significativi.
L’attaccamento,un tipo di relazione unica tra bambino e caregiver,evolve nel primo
anno di vita da un repertorio di comportamenti innati che promuovono l’interazione con
la funzione evolutiva di proteggere il bambino dai predatori e lo scopo di mantenere la
prossimità da una figura di riferimento ben riconosciuta. Nello sviluppo l’interazione tra
predisposizione genetica e ambiente determinano il percorso che verrà intrapreso:
nell’infanzia il bambino è particolarmente sensibile agli stimoli ambientali ed ha a
disposizione una ampia gamma di potenzialità,con lo sviluppo tali potenzialità si
restringono in un percorso in cui,l’eventuale patologia,diviene espressione di una serie
di deviazioni occorse nel tempo. Sebbene il sistema di attaccamento sia biologicamente
radicato,le esperienze influiscono direttamente sulla sua organizzazione. Le differenze
individuali dipendono dalla qualità dell’organizzazione dell’attaccamento., a sua volta
espressione del livello di responsività materna e del grado di reciprocità che si è
costruita tra il bambino e il caregiver. Ciò che attiva il comportamento di attaccamento
e la ricerca della vicinanza al caregiver,sonno principalmente le variazioni del
sentimento di sicurezza,espressione quest’ultime di aspetti più qualitativi della
relazione. La qualità affettiva del legame tra il bambino e il caregiver è alla base della
stabilità dell’organizzazione dell’attaccamento nel corso del tempo: la disponibilità delle
figure di riferimento,infatti,permette al bambino di sviluppare in maniera sintona le
proprie esperienze affettive interne e l’espressione all’esterno dei propri
sentimenti,portando ad un’organizzazione sicura dei legami di attaccamento. Stili di
attaccamento sicuri si basano sull’esperienza di un genitore capace di svolgere le
funzioni di “base sicura” attraverso il suo essere presente e disponibile nel cogliere i
segnali del figlio ed il suo essere una fonte di riferimento e di rassicurazione nei
momenti di paura e di pericolo. Diversamente,esperienze con genitori non disponibili,
espongono troppo precocemente il bambino ad esperienze affettive che divengono
disorganizzanti in quanto non contenute e regolate da un caregiver sensibile a tali
segnali,portando il piccolo a sviluppare modalità di organizzazione dell’attaccamento
non sicure,ma che gli permettono di fronteggiare in maniera adattiva le esperienze
affettive vissute nel proprio contesto. La modalità di regolazione degli affetti deriva
dalla storia delle interazioni tra il bambino ed i genitori;tale esperienza è alla base della
creazione e dello sviluppo delle regole che governano l’interpretazione e l’espressione
delle emozioni e del comportamento. Il bambino organizza le proprie
esperienze,aspettative e comportamenti in “modelli operativi interni”,rappresentazioni
che si formano all’interno della matrice relazionale attraverso la costruzione di schemi
interattivi. Dalla seconda metà del
primo anno di vita il bambino inizia ad essere influenzato dall’esperienza passata e
dall’anticipazione degli esiti delle interazioni in cui è coinvolto: dagli scambi relazionali
con le figure di riferimento il bambino,infatti,inizia ad apprendere i modelli sottostanti le
regolarità delle relazioni attraverso una conoscenza implicita,registrata come

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rappresentazioni non simboliche. Tale conoscenza agisce non a livello cosciente, ma
tende ad operare sotto forma di azioni non pensate. I modelli operativi
interni,dunque,non sono repliche delle esperienze interpersonali con altri
significativi,ma svolgono una funzione di valutazione e organizzazione delle esperienze
e dei ricordi. Il
parametro fondamentale su cui valutare lo sviluppo normale vs patologico dei processi
di regolazione è la flessibilità,espressione di esperienze affettive basate sulla
sincronia,reciprocità e sintonia. Alla base dello sviluppo di una buona regolazione nella
diade non vi è solo il fornire un livello di stimolazione appropriato alle capacità del
bambino,con rari momenti caratterizzati da una attivazione disorganizzante ma sono
associati a emozioni positive,sia di interruzioni della sincronia all’interno di cicli di
rotture e riparazioni o di “riparazioni interattive”; quest’ultime sono all’origine della
modulazione dell’attivazione e dell’aspettativa di ristabilire l’organizzazione dopo una
rottura: nelle interazioni che hanno successo,infatti,la mancanza di sintonia viene
rapidamente riaggiustata. Le riparazioni che hanno successo e le esperienze di stati
coordinati sono associati a stati affettivi positivi,diversamente gli errori interattivi
generano stati affettivi negativi. Una buona regolazione nella diade madre bambino non
significa però,una sincronizzazione perfetta dell’uno a rispondere ai segnali dell’altro,
infatti,una coordinazione bidirezionale ottimale nella diade bambino caregiver è quella
intermedia in cui la coppia mantiene un equilibrio tra l’autoregolazione e la regolazione
interattiva,influenzandosi reciprocamente senza che questo legame divenga costrittivo
in quanto privo di flessibilità. Così come un livello intermedio di regolazione interattiva
predice un attaccamento sicuro,allo stesso modo è ottimale un grado intermedio di
autoregolazione,che permette alla persona una fluttuazione dell’attenzione, dell’affetto
e dell’attivazione. Coloro che hanno
sperimentato una buona regolazione affettiva e conforto,saranno in grado di valorizzare
se stessi, gli altri e le relazioni,avendo sperimentato la reciprocità e la condivisione,e
quindi di utilizzare le altre persone come risorse nei momenti di difficoltà.
Diversamente, i legami di attaccamento insicuri incidono sul sentimento di sicurezza
rendendo le persone maggiormente vulnerabili e fragili. Le organizzazioni adattive non
sicure dell’attaccamento riguardano prevalentemente due strategie opposte: quella
“ansioso evitante”,in cui l’esperienza di non disponibilità dei caregiver si esprime nel
bambino con il tentativo di minimizzare il bisogno ed i comportamenti relativi al sistema
di attaccamento attraverso il mascheramento delle proprie espressioni emotive,il
mantenimento di una immagine di se stesso come invulnerabile e degli altri come meno
importanti e la conservazione di un’immagine delle proprie esperienze di attaccamento
come perfette; la strategia “ansioso ambivalente”, in cui l’esperienza dei genitori
disponibili in maniera non consistente porta il figlio ad accentuare i propri bisogni e
comportamenti relativi all’attaccamento,con una tendenza a vivere le emozioni come
soverchianti e difficilmente contenibili con un vissuto di confusone e di invischiamento.
Una quarta classificazione definita come stile di attaccamento
“disorganizzato/disorientato” si è rivelata un forte fattore di rischio per l’insorgenza di
psicopatologie. I bambini disorganizzati mostrano comportamenti e affetti non
organizzati nei momenti di difficoltà. È stato ipotizzato che alla base di tali peculiari
reazioni vi sia una commistione di ricerca di protezione e di paura nei confronti del
caregiver che sembra impedire al bambino una organizzazione coerente
dell’attaccamento: essendo gli stessi caregiver fonte di paura o di minaccia i bambini

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sono posti di fronte ad un dilemma irrisolvibile tra la ricerca di protezione e
l’evitamento. Quindi, la contemporanea esperienza di sentimenti di paura e di
attivazione del sistema di attaccamento causano un forte conflitto
motivazionale,costituendo anche un fattore di rischio per un successivo emergere di
disturbi psicopatologici. Si ritiene,infatti,che tale conflitto interferisca in maniera
drammatica con lo sviluppo e la stabilità di strategie efficaci di comunicazione delle
emozioni e con la capacità di mantener un’organizzazione interna,portando ad una
maggiore vulnerabilità a disturbi dissociativi.
3.2 PROCESSI BIOLOGICI E NEUROPSICOLOGICI: IL CONTRIBUTO DELLE
NEUROSCIENZE
La complessità nel determinare l’influenza del ruolo dell’ambiente e/o della genetica
sullo sviluppo dell’individuo si è articolata nel tempo attorno alla spinosa questione
della contrapposizione tra natura e cultura. Tale dibattito si è inizialmente centrato su
due posizioni: i teorici “innatisti”,che asseriscono la tesi di un ruolo dominante del
codice genetico in cui la sfera emotiva e quella comportamentale sono espressione di
aspetti innati,lasciando così poco spazio ai cambiamenti innescati dalle esperienze
dell’individuo nell’ambiente; e i “culturalisti” che reputano gran parte delle variazioni
degli individui di una stessa specie come espressione della mutevolezza e della
plasmabilità dell’organismo all’ambiente,ritenendo quest’ultimo responsabile della
formazione dell’individuo. È possibile individuare due teorie intermedie tra i
“culturalisti” e gli “innatisti”: quella che ipotizza una interazione tra genetica e ambiente
e la teoria della selezione. La prima teoria si basa sul “principio dell’interazione” per cui
considera alcuni aspetti universali del comportamento umano espressione di processi
genetici,mentre ritiene influenzati dall’ambiente altri aspetti del comportamento legati
alle differenze individuali. La teoria basata sul principio della “selezione”,avanzata
principalmente nell’ambito della biologia molecolare,è regolata su posizioni fortemente
innatiste: il ruolo dell’ambiente consiste nel selezionare,e non modificare,facoltà pre-
esistenti dell’organismo. In quest’ultima prospettiva il processo di adattamento degli
organismi all’ambiente non si baserebbe su un processo formativo,che prevede una
modificazione nel tempo degli esseri viventi per meglio adattarsi all’ambiente,quanto si
fonderebbe su un processo selettivo in cui solo gli organismi con alcune opzioni innate
sopravvivrebbero.
Successivamente queste teorie limitative sono state superate a favore di una visione
interazionista nella quale l’espressione genica,l’attività mentale,il comportamento e le
continue interazioni con l’ambiente sono strettamente correlate in una serie di processi
di sviluppo. Al centro del dibattito scientifico, oramai,non è più la questione
dell’individuazione dell’origine biologica o culturale dei comportamenti umani,quanto lo
studio i “come” natura e cultura interagiscono reciprocamente nel delineare lo sviluppo
dell’individuo.
Grazie anche agli sviluppi nella biologia molecolare,l’attenzione dei ricercatori e dei
clinici,anche nell’ambito della psicopatologia evolutiva,si sta focalizzando in misura
sempre maggiore sugli studi sullo sviluppo del cervello. Vi sono numerose ragioni
all’origine di tale interesse, tra queste:
- Tutti i processi mentali,anche i più complessi processi psicologici,riflettono operazioni del
cervello. Corollario di tale principio è che i disturbi comportamentali che caratterizzano i
disordini psichiatrici sono disturbi nel funzionamento del cervello,compresi quelli
chiaramente legati a cause ambientali;
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- I geni contribuiscono in maniera importante al funzionamento mentale e
quindi,combinazioni di geni esercitano un controllo significativo sul comportamento. Ne
consegue che una componente che contribuisce alle principali malattie psichiatriche è
genetica;

- Alterazioni nella espressione genica dovute all’apprendimento comportano cambiamenti nei


pattern di connessioni neuronali. Questi cambiamenti non solo contribuiscono alle basi
biologiche dell’individualità,ma sono anche responsabili dell’insorgere e stabilizzarsi di
anomalie comportamentali indotte dalle contingenze sociali;

- I cambiamenti a lungo termine sul comportamento dovuti ad interventi psicoterapici


probabilmente sono espressioni di cambiamenti nella espressività genetica che modifica la
forza delle connessioni sinaptiche e di cambiamenti strutturali che alterano i pattern
anatomici di interconnessioni tra le cellule nervose.

3.2.1 VERSO UNA NEUROBIOLOGIA INTERPERSONALE: LA REGOLAZIONE DEGLI


AFFETTI NEL MODELLO PSICONEUROBIOLOGICO DI SCHORE
L’interesse del lavoro di Schore si focalizza sulla comprensione dei meccanismi
psiconeurobiologici sottostanti alla salute mentale,in particolare,sullo sviluppo delle
capacità regolatorie. La proposta si articola intorno all’influenza che le esperienze del
bambino ,ed in particolare le esperienze di attaccamento,rivestono sullo sviluppo
dell’emisfero destro: il modello psiconeurobiologico proposto indica chiaramente un
legame tra attaccamento sicuro,sviluppo in maniera efficiente delle funzioni regolatorie
del cervello destro e salute mentale infantile. Diversamente, contesti mentali mal
sintonizzati generano alti livelli di affetto negativo che agiscono come ambienti inibitori
per i sistemi corticolimbici in evoluzione. La capacità di regolazione delle emozioni
concerne,secondo Schore,nel raggiungimento nei primi anni di vita di due traguardi: la
capacità di sviluppare e mantenere stati di attivazione positiva e,la successiva,capacità
di regolare e recuperare stati di attivazione negativa. Per il raggiungimento del primo
traguardo è fondamentale nel primo anno di vita l’esperienza di transizioni sincronizzate
emotivamente con il caregiver,che,a livello neurobiologico, è resa possibile da una
sintonizzazione psicobiologia degli stati affettivi ed uno scambio interattivo mutuo dei
ritmi fisiologici legati al crescere/decrescere dei sistemi periferici e centrali sottostanti
le emozioni: l’emisfero destro del bambino viene psicobiologicamente sintonizzato
all’output dell’emisfero destro della madre che svolge così una funzione di regolazione
delle emozioni del figlio. Tale legame simbiotico tra il sistema nervoso maturo della
madre e quello immaturo del figlio,che passa attraverso l’attivazione del sistema
nervoso simpatico,permette la modulazione dello stato affettivo del bambino attraverso
la stimolazione di un simile stato di attività simpatica. La regolazione degli affetti non
consiste solo nella riduzione della loro intensità,nello smorzarsi di emozioni negative,ma
riguarda inoltre l’amplificazione e l’intensificazione delle emozioni positive alla base
anche del desiderio di esplorare l’ambiente circostante. Sono le comunicazioni diadiche
che generano stati affettivi intensi e positivi,con alti livelli di dopamina e oppiacei
endogeni,che promuovono la crescita della corteccia prefrontale. I forti cambiamenti
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documentati a livello della corteccia prefrontale intorno ai 10-12 mesi,legati alle
esperienze diadiche,svolgerebbero un ruolo essenziale nel generare rappresentazioni
pre-simboliche delle relazioni (i modelli operativi interni), che si organizzano infatti nel
primo anno di vita. Il raggiungimento del secondo traguardo nella regolazione degli
affetti,cioè la capacità di modulare e recuperare stadi di attivazione negativa,è
strettamente connesso all’inevitabile mutare del ruolo del genitore in “agente di
socializzazione” che assume anche il ruolo di proibire molti comportamenti del bambino
ai fini della socializzazione. Nello stesso periodo evolutivo si assiste all’emergere del
sentimento di vergogna,inibitore specifico degli affetti. Da un punto di vista
fisiologico,essa indica un improvviso spostamento da una attività dominante del
sistema nervoso autonomo,che immobilizza energie del simpatico,ad una attività con
energie del parasimpatico. Nelle relazioni interpersonali l’emergere della vergogna
viene letta dal bambino come esito dell’esperienza di non sintonizzazione affettiva da
parte del genitore che porta ad una caduta dell’affetto positivo: in questo caso la non
sintonizzazione,legata al ruolo di proibizione genitoriale,diviene un mediatore del
processo di socializzazione. La vergogna e le transizioni caratterizzate da
rotture/riparazioni,grazie anche all’intervento riparatore del genitore,permettono lo
sviluppo della capacità di regolare internamente l’affetto negativo,attraverso
l’autoregolazione ed i meccanismi di recupero dello stress. Ciò comporta,sempre
seguendo Schore, una ri-organizzazione e maturazione della corteccia orbito-frontale
alla base dell’emergere di rappresentazioni simboliche di sé e dell’altro. Tale corteccia
orbito-frontale è coinvolta nel doppio meccanismo funzionale eccitatorio e inibitorio del
sistema limbico: essa agisce come un meccanismo di recupero che monitorizza e
autoregola la durata,la frequenza e l’intensità degli stati affettivi sia positivi sia
negativi. Lo sviluppo e la maturazione della regione frontale sarebbero anche all’origine
dell’emergere di sentimenti più complessi nel bambino non polarizzati sugli estremi
positivi e negativi. Come commenta Schore:
“il raggiungimento ontogenico di un sistema interno efficiente,capace di autoregolare in
modo adattivo varie forme di aurosa, e di conseguenza l’affetto, la conoscenza e il
comportamento,avviene solo in un ambiente socio emotivo ottimale…la partecipazione
della madre nella regolazione interattiva durante episodi di sintonizzazione,mal
sintonizzazione e risintonizzazione psicobiologia non solo modula lo stato interno del
bambino,ma modella anche indelebilmente e permanentemente la capacità del sé
emergente di auto-regolarsi”
Nelle esperienze di attaccamento sicuro avviene una regolazione dell’aurousal a livello
ottimale,cioè all’interno di un range moderato,sufficientemente alto per mantenere le
interazioni,non troppo intenso da causare angoscia: un equilibrio tra stati di aurousal
simpatico-ergotropico e parasimpatico-trofotropico.
Negli attaccamenti non sicuri,invece, l’esperienza vissuta con il caregiver non permette
lo sviluppo di tale equilibrio. In particolare negli ansioso-evitanti i bassi livelli di
espressione emotiva del genitore e la sua scarsa accessibilità nell’interazione portano il
bambino a sviluppare una tendenza verso uno stato parasimpatico
dominante,espressione di un adattamento a bassi livelli di stimolazione socio emotiva:
questa organizzazione sarebbe alla radice del rischio di sviluppare una psicopatologia su
un versante ipercontrollato. Nei bambini con un attaccamento ansioso-resistente
l’esperienza di un caregiver che è accessibile in modo incoerente,labile ed
imprevedibile,sono alla base della tendenza a esprimere e vivere le emozioni in modo

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intenso e pervasivo,tendendo verso umori negativi,espressione di una predominanza
del circuito simpatico che si esprime con una organizzazione della personalità sotto
controllata ed impulsiva. Le esperienze di mancanza di sintonizzazione proprie degli
attaccamenti ansiosi,evitanti o resistenti sarebbero così all’origine di ritardi nello
sviluppo delle regioni orbito-frontali ,che maturano lentamente e che sono
particolarmente influenzate dalle esperienze con l’ambiente esterno. Essendo la prima
infanzia un periodo critico per lo sviluppo certe interazioni con ambienti non ottimali
costituirebbero un ambiente inibitore della crescita divenendo sorgenti potenziali delle
alterazioni patologiche del circuito limbico immaturo,all’origine di una predisposizione
alla psicopatologia. Il risultato sarebbe infatti una riduzione delle strategie di
regolazione dell’affetto che incidono notevolmente sull’adattamento
all’ambiente,limitando le capacità di coping,lo sviluppo dell’empatia e della capacità di
percepire gli stati emotivi degli altri esseri umani.
Schore sottolinea così il ruolo cruciale della figura di riferimento nella prima infanzia per
l’organizzazione neuronale e l’acquisizione della capacità di regolazione della propria
omeostasi interna,mettendo in luce come anche a livello biologico l’organizzazione
omeostatica sia in funzione dell’interazione con l’ambiente: la responsività genitoriale
diviene fondamentale nel guidare il precoce sviluppo ella mente essendo sia i sistemi
dei neuro-trasmettitori del bambino sia il sistema che modula le risposte allo stress alla
nascita dei sistemi aperti che dipendono dai pattern di comportamento genitoriale per
stabilizzare i parametri del loro funzionamento nel ciclo vitale.
3.3 PROCESSI COGNITIVI E SOCIOCOGNITIVI
Il contributo di Piaget viene considerato come un apporto determinante per la nascita
della psicopatologia evolutiva. Il contributo di Piaget ha costituito un ribaltamento nel
concetto del rapporto tra ambiente e persona: l’adattamento da risposta del sistema
vivente alle esigenze dell’ambiente diviene un processo attivo dell’individuo che agisce
attraverso la selezione degli stimoli ambientali al fine di garantire l’organizzazione
interna del sistema. Per Piaget la cognizione si caratterizza per due aspetti
complementari: l’assimilazione e l’accomodamento. Lo sviluppo cognitivo infantile
diviene,dunque,la conseguenza del ripetuto funzionamento cognitivo di assimilazione
dell’ambiente alla mente e di accomodamento della mente all’ambiente.
Accanto al modello piagetiano sono individuabili altri tre principali modelli dei processi
cognitivi dello sviluppo cognitivo: “l’approccio dell’elaborazione dell’informazione”,in cui
lo sviluppo riguarda la messa in pratica e maggiore efficienza dei procedimenti mentali
di attenzione,trasformazione in rappresentazioni mentali,attribuzione di significato e
conservazione delle informazioni,permettendo una maggiore flessibilità e completezza
nella codifica degli stimoli e acquisizioni di strategie; i “neopiagetiani” che,integrando il
contributo di Piaget con quello dell’elaborazione dell’informazione,pongono maggiore
attenzione alle specificità di dominio di abilità cognitive e all’aumento delle capacità
mentali nello sviluppo; “la teoria contestuale” derivata da Vygotskij,in cui le principali
fonti di cambiamento cognitivo sono determinate dalle influenze del contesto sociale e
culturale.
Attualmente con il concetto di cognizione si fa riferimento ad una concezione della
mente come di “un sistema di processi interattivi che generano, codificano, trasformano
e manipolano in modi diversi informazioni di tipo diverso”.
Nel tempo rispetto al bambino descritto da Piaget,gli sviluppi delle teorie e della ricerca
nell’ambito della prima infanzia hanno descritto un bambino più competente di quello

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piagetiano,capace precocemente di elaborazioni non solo cognitive ma anche
percettive,che giocano un ruolo cardine nello sviluppo,e dotato dalla nascita anche di
capacità intermodali,di collegamento tra i sensi,non considerate più come prodotto
dell’esperienza. Si è andata così sempre più affermando una visione dell’essere umano
come dotato di meccanismi innati pre-adattati che si sviluppano nell’interazione con
l’ambiente: l’attenzione nell’ambito della scienza cognitiva si è focalizzata sui processi
di costruzione della conoscenza e,in particolare,di formazione di rappresentazioni della
realtà. Lo sviluppo dei processi di rappresentazione come costruzione di schemi della
realtà,in cui l’essere umano è considerato attivo nell’estrapolare le informazioni rilevanti
dall’ambiente ai fini dell’adattamento,è un concetto cardine anche ai fini
dell’attaccamento. Il contributo di Bowlby,infatti,può essere considerato uno dei primi
tentativi di comprendere lo sviluppo affettivo attraverso un modello di funzionamento
mentale proprio delle scienze cognitive. In particolare,nel bambino lo sviluppo
nell’interazione con l’ambiente di modelli operativi interni di sé,dell’altro e della loro
relazione permette di spiegare come : in un sistema innato sia possibile
l’apprendimento attraverso le esperienze; si sviluppano le aspettative e le differenze
individuali in base a specifiche esperienze; la specifica storia infantile perpetui la sua
influenza nel tempo. Dalla prospettiva dello sviluppo socio-cognitivo,la teoria
dell’attaccamento rappresenta in modo eclatante il legame non districabile tra sviluppo
cognitivo e relazioni sociali. Nello studio dell’attaccamento sociale l’attenzione degli
studiosi viene posta sui pre-requisiti socio-cognitivi necessari per lo sviluppo del legame
di attaccamento. Tra i presupposti cognitivi per l’attaccamento sociale gli studiosi di
questa prospettiva si sono occupati dello sviluppo cognitivo di capacità quali:
discriminare le percezioni e fornire risposte selettive,consentendo di discriminare i
genitori dalle altre figure; costruire delle aspettative sulle interazioni con il
caregiver,che permettono di interpretare gli eventi e di predire che cosa accadrà nel
futuro; la permanenza degli oggetti,alla base della percezione degli oggetti esterni
come differenziati dalle proprie azioni e come entità separate; la competenza rispetto
all’imitazione,presente precocemente nei bambini ed alla base anche della preferenza a
prestare attenzione agli adulti che lo imitano,alla base dello sviluppo della sensazione
del noi. ‘acquisizione di queste competenze cognitive permette al bambino,alla fine del
primo anno di vita,di sviluppare concetti di sé,dell’altro e delle relazioni sociali alla base
di una emergente consapevolezza della propria mente e dello sviluppo di una teoria
della mente.
3.3.1 L’ESPERIENZA DELLA PRIMA INFANZIA: LO SVILUPPO DI UNA TEORIA
DELLA MENTE NELL’APPORTO SOCIO-COGNITIVO
Con sviluppo di una teoria della mente si fa riferimento alla capacità di attribuire stati
mentali,quali pensieri,sentimenti,desideri,intenzioni a se stessi e agli altri. Possedere
una teoria bellamente ha indubbie funzioni evolutive e adattive. Essa permette,infatti,
funzioni quali il prevedere come una persona si comporterà sulla base dei sui stati
mentali,il comprendere i significati del linguaggio,il mostrare empatia. Lo sviluppo di
una teoria della mente costituisce una capacità cognitiva particolarmente vulnerabile
nei disturbi psicopatologici,tra cui,quello maggiormente indagato,la sindrome autistica.
Le ricerche su questa sindrome hanno dimostrato come le indubbie difficoltà nella
normale acquisizione di una teoria della mente nei bambini autistici riguardi alcune
competenze specifiche: problemi sono presenti nella comprensione delle
credenze,intenzioni,conoscenze e finzioni non sono presenti in alcuni aspetti della

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comprensione dei desideri e della percezione; è risultato comunque che questi deficit
sono specifici della sindrome autistici rispetto ad altri gruppi clinici. Le serie
conseguenze delle difficoltà nell’acquisizione di una teoria della mente in maniera
generalizzata da parte di bambini autistici,sindrome di cui è stata documentata ance
una componente biologica, hanno portato ad ipotizzare l’esperienza di specifici
meccanismi cognitivi per la comprensione degli stati mentali radicati anch’essi su basi
biologiche.

4. REGOLAZIONE DEGLI AFFETTI E SVILUPPO DI UNA TEORIA DELLA MENTE:


MATURAZIONE NEUROCOGNITIVA E INTERSOGGETTIVISMO COGNITIVO AFFETTIVO
NEL CONTRIBUTO DI FONAGY E TARGET
Il costrutto di teoria della mente è stato operazionalizzato in ambito psicoanalitico da
Fonagy e Target con il concetto di riflessività o funzione riflessiva,che fa riferimento
alla possibilità del soggetto di discernere i propri ed altrui stati mentali identificandoli
come rappresentazioni,distinte dalla realtà esterna,e che influenzano in modo
determinante il comportamento. Fonagy e Target sottolineano come la capacità
riflessiva sia il prodotto influenzato da processi dinamici di varia natura e come essa
non possa prescindere da una cornice intersoggettiva di sviluppo,differenziandosi così
dalla diffusa tendenza a considerarla come esito di una sequenza maturativa prefissata
geneticamente. Punto di partenza del costrutto è che la comprensione del mondo
mentale non sia data e la qualità del suo sviluppo dipenda dall’interazione con altre
persone sufficientemente amorevoli e riflessive. In particolare,per gli autori,l’affetto ha
una priorità evolutiva nello sviluppo della teoria della mente. La funzione riflessiva si
sviluppa a partire dai quattro anni integrando due primitive modalità di funzionamento
psichico:
® la modalità “equivalenza psichica”Æ nella quale il bambino stabilisce una esatta
corrispondenza tra i propri contenuti mentali e la realtà esterna con un dominio della
realtà psichica.
® la modalità “far finta”Æ tipica del gioco infantile,in cui il bambino è in grado di
rappresentarsi i propri stati mentali,ma li considera come non avessero relazione con il
mondo esterno,scindendo quindi i pensieri ed i sentimenti della realtà quotidiana.
L’unificazione delle due modalità avviene,secondo gli autori, nelle interazioni di gioco
grazie al ruolo svolto dai genitori o dai fratelli più grandi e consente al bambino di
arrivare a sperimentare i propri stati mentali come rappresentazioni che sono distinte
sia dagli stati mentali della persona sia dal mondo esterno. Questo passaggio sarebbe
favorito da una forma “imperfetta” di rispecchiamento attraverso il quale il genitore
riflette lo stato interno espresso dal bambino nella modalità di gioco e ,al tempo
stesso,mostra quanto questo non coincida con la realtà esterna. Nel processo di
mentalizzazione ,quindi, l’adulto riveste un ruolo fondamentale nella costruzione da
parte del bambino della propria mente permettendo a quest’ultimo di divenire capace di
giocare con la realtà usando la mente del genitore: la mente dell’adulto deve consentire
la dualità nel mantenere la cornice della realtà esterna ed allo stesso tempo
ripresentare lo stato mentale del bambino. L’attenzione al ruolo delle relazioni nello
sviluppo della teoria della mente esprime uno spostamento degli studi sulla teoria
dell’attaccamento che si va a focalizzare sul ruolo delle relazioni nel determinare la
modalità e profondità con cui l’ambiente viene interpretato: nell’equipaggiare,cioè,il
bambino di abilità di mentalizzazione che permettano un adeguato funzionamento

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rispetto al contesto. Dal punto di vista della regolazione degli affetti,l’attenzione degli
autori, si è spostata sul contributo della cognizione alla regolazione affettiva: la
mentalizzazione conduce a un tipo diverso di relazione che gli autori denominano
“affettività mentalizzata” che riguarda la capacità di regolazione affettiva in cui è
presente una consapevolezza degli affetti mentre vengono sperimentati e che
costituisce un ulteriore livello della regolazione affettiva riguardando il significato che gli
affetti rivestono per la persona.
Il “Meccanismo di Interpretazione Interpersonale” (MII) costituisce il sistema di
elaborazione dell’informazione soggiacente alla funzione riflessiva,e riguarda appunto il
meccanismo che presiede alla capacità di interpretare in termini psicologici l’ambiente
psico-sociale. Esso si sviluppa nell’ontogenesi dall’interiorizzazione delle risposte delle
risposte del caregiver di rispecchiamento dello stato emozionale del figlio che permette
di sviluppare una rappresentazione del proprio stato interno. L’espressione materna
costituisce un feedback dello stato emozionale per il bambino e viene percepita come
organizzatrice del suo stato del sé: cioè diviene l’anello tra le esperienze di
attaccamento o lo sviluppo della successiva autoregolazione. Fonagy parla di “bio-
feedback sociale” del rispecchiamento dell’affetto indicando un complesso sistema
biosociale in cui il bambino istintivamente portato ad esprimere i cambiamenti dei
propri stati interni affettivi nel comportamento,mentre la madre è portata
istintivamente a rispecchiar i comportamenti che esprimono lo stato del bambino. Il
sistema MII nascerebbe da una predisposizione genetica che svolge la funzione di
moderatore delle influenze genetiche della personalità. L’interpretazione dell’ambiente
circostante acquista così il ruolo fondamentale di determinare l’espressione genica. La
mentalizzazione diviene lo snodo centrale che modera il passaggio tra genotipo e
fenotipo. In questo senso le prime esperienze di attaccamento determinano la
“profondità di elaborazione” dell’ambiente psicosociale. Le cure materne,quindi,oltre a
presiedere alla regolazione dello stato momentaneo del figlio,incidono fortemente sulla
strutturazione psichica,sulla consapevolezza e sul controllo emotivo del sé. L’insicurezza
dell’attaccamento diviene allora espressione di limitazioni nella capacità di
mentalizzare,portando a rappresentazioni di sé poco coese che richiedono l’utilizzo di
strategie per impegnarsi in relazioni interpersonali. Alla base di una vulnerabilità alla
psicopatologia vi sarebbero,quindi,difficoltà nel rispecchiamento affettivo del
caregiver,tali difficoltà sono raggruppabili in due tipi principali di fallimenti:
® un rispecchiamento affettivo congruente ma non marcato : il rispecchiamento
affettivo congruente ma non marcato riguarda genitori che,cogliendo le emozioni del
figlio,se ne fanno simmetricamente invadere non riuscendo a contenerle. Il bambino
percepirà così le proprie espressioni negative come una emozione propria del
genitore,ostacolando lo sviluppo di una propria rappresentabilità. Questa esperienza,se
ripetuta,può condurre ad una carente percezione di se stessi e ad scarso controllo degli
affetti,accanto alla tendenza ad attribuire i propri stati affettivi negativi all’esterno. Tale
modalità di funzionamento è strettamente associata con il disturbo borderline di
personalità.
® un rispecchiamento affettivo non congruente: esperienza frequente in genitori iper-
controllanti con forti meccanismi di difesa rispetto ad alcuni affetti del figlio che gli
portano a percepirli in modo distorto. Questa esperienza condurrà il bambino a
rappresentare in modo distorto le proprie emozioni e,quindi,a sviluppare una

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rappresentazione di sé distorta. Tale esperienza predispone al disturbo narcisistico di
personalità.
Come si può evincere da questa breve disamina,gli autori tentano di gettare un ponte
nella diatriba tra cultura vs natura,sostenendo che l’ambiente di cui si devono occupare
i genetisti non è quello oggettivo ma quello psicologico: è l’esperienza che l’individuo fa
dell’ambiente. A determinare lo sviluppo non sarebbero,dunque,né gli aspetti innati,né
le caratteristiche dell’ambiente,ma, l’interpretazione che il soggetto compie
dell’ambiente.

CAPITOLO 3: EVENTI DI VITA E PSICOPATOLOGIA

1. leggere (paragrafo solo discorsivo).


2. EVENTI E PSICOPATOLOGIA
In Europa nei primi del 1900 due autori in particolare svolsero un ruolo di rilievo nel
definire il concetto di forme psicopatologiche secondarie e reattive ad eventi: Jaspers e
Schneider. Le “reazioni ad avvenimenti” descritte da Jaspers sono disturbi considerati
come risposte ad eventi esterni,a cui sono collegabili in un rapporto di comprensibilità
psicologica,che non hanno comunque un loro inquadramento clinico preciso. Le
“reazioni abnormi all’avvenimento” definite da Schneider sono considerate tali
soprattutto per l’insolita intensità,per l’inadeguatezza rispetto al motivo o per
l’abnormità della durata o dell’aspetto clinico o del comportamento,centrando
l’attenzione non sulla comprensibilità psicologica,ma sul metodo analitico descrittivo
della reazione psicopatologica. Negli
Stati Uniti Adolf Meyer ha sostenuto che molti disturbi mentali possono essere
interpretati come reazioni ad esperienze di vita ed espressione dell’adattamento attivo
dell’individuo alla realtà e alle circostanze sociali,introducendo il concetto di malattia
mentale come reazione,che ha influito anche nella costruzione del DSM.
Il pensiero freudiano,passato dal considerare un evento traumatico reale come causa di
disturbi nevrotici al vederlo,invece, come la fantasia di un trauma,ci rimanda ad un
processo caratterizzato da oscillazioni tra la valutazione degli eventi come accadimenti
esterni,e quella del loro significato soggettivo,cioè dal vissuto che può essere
indipendente dal loro far parte della realtà esterna condivisa.
È evidente che un evento passa attraverso una elaborazione intrapsichica che
attribuisce ad esso un significato (significato individuale) specifico,connesso con la
situazione,col contesto nel quale l’evento si è verificato e con i significati legati a
recedenti esperienze,quindi alla storia ed alla memoria della persona,che coloriscono
questo evento e possono anche costituire possibili fattori che hanno contribuito a
generarlo. Accanto al “significato individuale” unico e irripetibile degli eventi,esiste
anche un “significato gruppale”,collettivo,condiviso che è connesso verosimilmente al
valore degli eventi per la specie e per la sua evoluzione. In quanto condiviso questo
significato è conoscibile e,entro certi limiti prevedibile e valutabile. A questo
presupposto si deve la messa a punto di metodi di valutazione standardizzata dei così
detti “life events” (casi della vita),che permettono di attribuire un peso concordato e
codificato ai diversi tipi di evento. Si sono sviluppati in
psicopatologia due metodi di valutazione del significato degli eventi,uno psicologico e
uno quantitativo. Quello psicologico,di origine psicoanalitica, studia caso per caso i
possibili significati ed i diversi livelli degli eventi,giungendo alla identificazione della

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sovra determinazione degli atti,concetto secondo il quale i significati individuali hanno
un peso molto forte anche se,in definitiva,riportabile ad alcune grandi aree,il cui valore
antropologico e storico interferisce,spesso inconsciamente, col significato attuale
valutabile di un evento. Quello quantitativo valuta il peso di ogni evento che si può
verificare nella vita delle persone basandosi sul suo valore condiviso. Utilizzando questo
metodo si possono ottenere dati empirici riproducibili,che hanno permesso di collegare
alcune patologie mentali con gli eventi della vita,i “life events”,nell’ottica di stabilire un
rapporto fra la patologia psichica e gli elementi ambientali e di individuare i fatti di
rischio delle diverse forme cliniche.
Il problema del ruolo degli eventi stressanti in psicopatologia può essere affrontato
facendo riferimento ad alcune tematiche principali quali:
1) lo studio del ruolo degli eventi e degli affetti ad esso collegati nella formazione,nello
sviluppo e nella crescita della vita mentale e delle origini infantili dei disturbi
psicopatologici,attraverso le prospettive aperte dalla “psicopatologia dello
sviluppo”,intesa come quella disciplina che studia le origine ed i processi che conducono
a modelli individuali di comportamenti mal adattivi. In questa prospettiva gli eventi
possono influenzare lo sviluppo della vita psichica sia in senso positivo che negativo.
2) lo studio di modelli animali di risposta agli stressors,anche in una prospettiva
evolutiva.
3) lo studio delle osservazioni cliniche e delle posizioni teoriche che riguardano i disturbi
collegati a traumi psichici rilevanti.
Gli eventi sono necessari per la nascita e lo sviluppo della vita mentale come anche
della disposizione alla salute o ad un equilibrio non adattivo. Il rapporto tra esperienze,
eventi e sviluppo psicologico normale si può evidenziare nel seguente schema:
• gli eventi sono insostituibili nello sviluppo sia per il loro valore affettivo che per quello
cognitivo;
• gli eventi infantili creano una base fondante per la vita successiva,e pongono le basi
sia per la successiva risposta agli eventi che per una quota di genesi degli eventi stessi;
• gli eventi lasciano tracce sia nella memoria implicita che in quella esplicita o
dichiarativa. Un ruolo fondamentale assumono gli affetti collegati agli eventi,che
acquistano la funzione di segnali comunicativi. Gli affetti costituiscono una funzione
mentale che facilita lo scambio di informazioni con l’ambiente sociale,di percezioni e di
comunicazioni di segnali sui propri stati interni e su quelli degli altri membri del gruppo
sociale, così importante che molti eventi vengono a costituirsi come conseguenza di
scambi comunicativi;
• gli eventi tendono a porsi in catene causali anche di segno contrapposto.

3. I PROCESSI DISSOCIATIVI
Fa parte degli eventi traumatici la “nevrosi traumatica”,un’entità nosografica collegata
con gli incidenti,con le catastrofi naturali e con quelle legate alla civiltà industrializzata
ed alle guerre. Questi eventi possono generare da un lato conseguenze fisiche acute e
gravi,che minacciano la vita e l’integrità dei soggetti,dall’altro alcune situazioni che non
comportano lesioni fisiche,ma un quadro di grave shock con confusione mentale e
agitazione,a cui segue una seconda fase caratterizzata da sintomi quali
paralisi,tremori,anestesie,disturbi della vista,dell’udito,amnesie ed i così detti
“attacchi”,cioè la ripetizione di alcune sequenze dell’incidente in un alterato stato di
coscienza o in sogni ripetuti. Con il termine “idea fissa” si indica,appunto,proprio quella

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scena dell’incidente di cui la mente non riesce a liberarsi e che Charcot paragonò ad un
“parassita”,riunendo le diverse componenti di questi quadri in quella che chiamò “isteria
traumatica” e che Oppenheimer denominò “nevrosi traumatica”.
Il problema del perché,a parità di esposizione ad eventi traumatici,alcune persone
possono presentare questo disturbo ed altre no,si sono evidenziati nel tempo,oscillando
tra la concezione di una “vera malattia”,e altre concezioni come quella di una
predisposizione che evidenzia un terreno biologicamente “degenerato”,o quella di un
terreno comunque alterato e vulnerabile in rapporto a esperienze infantili disturbanti o
carenze affettive primarie.
Fenichel sostenne che un trauma è un concetto relativo: un evento diviene trauma
quando supera le capacità di controllo individuale ed in questa veste può indurre sia un
blocco o una riduzione delle funzioni dell’Io,sia problemi psichici secondari legati alla
gestione mentale del trauma e alla possibile riaccensione di confitti latenti. In questa
prospettiva la piche è in grado di accogliere ed elaborare gli stimoli solo se è
organizzata,non solo per elaborare l’informazione, ma anche per preservare il proprio
senso di continuità e di identità,e quindi,di differenza,nonché la capacità di desiderare e
agire. In questo senso un evento diviene traumatico in quanto non elaborabile secondo
gli schemi mentali acquisiti,i copioni abituali di condotta,le strutture narrative solide.
Nella situazione di impossibilità o di grave difficoltà ad elaborare mentalmente gli eventi
si possono verificare “divisioni” nell’apparato mentale dell’individuo che si collegano a
manifestazioni psicopatologiche che vanno dalla “psicopatologia della vita quotidiana”,a
quelle che fanno parte di forme cliniche definite.
Si pensi alla frase freudiana “io ho fatto questo,dice la mia memoria,io non posso aver
fatto questo,dice la mia autostima….e la memoria perde sempre”. In questo caso i
ricordi possono essere “perduti” in quanto,per così dire, “nascosti” e difficilmente
accessibili o inaccessibili anche al soggetto stesso (rimozione),oppure in quanto essi
sono “spostati” in aree mentali separate e non direttamente accessibili alla coscienza
(dissociazione). Si potrebbe dire metaforicamente che nel prima caso i
ricordi,scomparsi ma non cancellati,sono sepolti sotto terra con una copertura che ne
impedisce la riemersione (la censura freudiana),nel secondo essi sono trasferiti in aree
superficiali,ma situate al di là del limite dell’orizzonte e l’individuo è “diviso” in una
parte che conosce certe cose ed in una che le ignora.

3.1 DISTURBI DISSOCIATIVI


Dal 1980 circa l’interesse sulle “personalità multiple” si è acceso negli Stati
Uniti,nazione nella quale in precedenza i lavori sull’argomento erano così scarsi da far
supporre che un tale quadro clinico fosse quasi esclusivo della cultura europea. Nel
DSM IV questo tipo di disturbi è compreso in quella categoria diagnostica denominata
“Disturbi Dissociativi”,la cui caratteristica essenziale è rappresentata dalla
sconnessione delle funzioni,solitamente integrate,della coscienza,della
memoria,dell’identità. La categoria diagnostica include il Disturbo dissociativo di
identità (Disturbo di personalità multipla) il Disturbo da depersonalizzazione, l’Amnesia
dissociativa,la Fuga dissociativa e il Disturbo dissociativo non altrimenti specificato.
I criteri diagnostici illustrati nel DSM IV per il Disturbo Dissociativo dell’Identità sono i
seguenti:

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a) presenza di due o più identità o stati di personalità distinti,ciascuno con i suoi modi
relativamente costanti di percepire,di relazionarsi e di pensar nei confronti di se stesso
e dell’ambiente;
b) almeno due di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il
controllo del comportamento della persona;
c) l’incapacità di ricordare importanti notizie personali è troppo estesa per essere
spiegata come una banale tendenza alla dimenticanza;
d) l’alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o ad una
condizione medica generale.
Nel Disturbo dissociativo dell’identità esistono nella persona almeno due tipi diversi di
personalità che si ignorano a vicenda,essendovi amnesia delle azioni, dei pensieri,delle
emozioni dell’una quando è l’altra ad assumere il controllo del
comportamento,presupponendo,quindi, almeno due stati distinti di coscienza.
Le prime osservazioni di personalità multiple avvennero alla fine dell’800 durante le
sedute ipnotiche cui venivano sottoposti i pazienti isterici,che mettevano in evidenza
uno stato “secondo di coscienza”,cioè la comparsa di un’altra personalità della quale il
paziente non aveva nessuna coscienza. Questa personalità “altra” veniva dimenticata al
risveglio dallo stato ipnotico,per poi ricomparire in una seduta successiva sotto precisa
richiesta del terapeuta. Furono poi individuati casi nei quali il fenomeno si presentava
spontaneamente,con frequenza variabile,anche al di fuori dello stato ipnotico. La
seconda personalità,o comunque le altre personalità,hanno caratteristiche
comportamentali completamente diverse dalla personalità originale ed in contrasto con
questa,possono avere età e sesso diversi,e il passaggio da una identità all’altra è in
genere improvviso. È evidente come la diagnosi di questo disturbo,di cui il soggetto
spesso non è consapevole, sia difficile e come ponga problemi di non facile risoluzione
nel differenziarlo soprattutto dai disturbi di personalità,in particolare dal disturbo
borderline,con il quale può avere in comune l’impulsività,le brusche variazioni
dell’umore e l’instabilità delle relazioni interpersonali, dalla simulazione e dall’isteria.
Non bisogna comunque considerare le varie personalità, corrispondenti a diversi stati
di coscienza,come insiemi totalmente separati,ma invece come frammenti di una
personalità unica che sono stati separati e che si manifestano saltuariamente.
3.2 LA DISSOCIAZIONE
Pierre Janet ha elaborato un modello della mente basato sull’adattamento all’ambiente
piuttosto che sulla difesa da impulsi interni inaccettabili. ‘adattamento all’ambiente si
raggiunge attraverso la “sintesi personale” delle strutture di significato che al suo più
alto livello indica il senso de sé. La dissociazione,secondo la formulazione originale del
concetto,è il fallimento della sintesi personale,causata non solo dal trauma
psicologico,ma anche da altre condizioni come emozioni violente,malattie debilitanti,
variabili di temperamento. Anche quando i processi dissociativi sono causati dall’evento
traumatico essi non sono una difesa attiva della mente,ma una conseguenza diretta del
trauma. Un aspetto delle conseguenze psicologiche del trauma è il crollo dei processi
mentali adattivi che mantengono l’integrazione del sé,e un altro aspetto correlato è che
la memoria dell’evento traumatico assume uno status subconscio,non come risultato di
un meccanismo di difesa,ma perché non raggiunge mai una piena rappresentazione
della coscienza. Il punto di vista di Janet sembra in accordo con la recente teoria
formulata da Edelman secondo la quale un più elevato livello di coscienza implica
l’integrazione,mediata dal linguaggio,di ricorsi del sé sociale e del non sé sociale. Le

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esperienze ordinarie vengono automaticamente integrate in schemi cognitivi
precostituiti che attribuiscono loro senso e organizzazione;tutto ciò avviene in
condizioni normali in modo automatico. Janet aveva definito “automatismi” questi
adattamenti. Esperienze improvvise,terrorizzanti,devastanti che corrispondono
indubbiamente ad un trauma,non possono essere immagazzinate attraverso gli
automatismi dei canali usuali. Interviene allora un processo di dissociazione e la
conseguente formazione di sacche mnesiche ,escluse dal controllo conscio, che
tendono ad esprimersi attraverso sintomi.
Questa caratteristica di inaccessibilità alla coscienza delle esperienze traumatiche
soggette a dissociazione ha sostenuto la convinzione che si dovesse bypassare la
coscienza attraverso l’ipnosi per fare riemergere il trauma. Dopo la pubblicazione degli
Studi sull’isteria Freud intraprese una strada diversa da Janet e ritenne che i fenomeni
isterici fossero il risultato di un processo mentale attivo (rimozione),mentre Janet
sottolineò il ruolo dei processi mentali passivi (dissociazione come processo
automatico). Quella di Janet è una concezione della dissociazione come spaccatura
verticale tra diversi stati del sé che non sono integrati, a cui si sostituirà nel pensiero
freudiano il concetto di rimozione,intesa come una separazione orizzontale tra
coscienza e pulsioni inconsce. Da un lato il
concetto di dissociazione di Janet come crollo basilare di fronte ad avvenimenti
traumatici delle funzioni integrative e significanti della coscienza e della memoria è di
grande interesse clinico. Da un lato è difficile ricondurre le idee di Janet alle questioni
che da Freud in poi sono indispensabili ad ogni approccio dinamico moderno alla
psicopatologia,ma che non hanno interessato Janet, cioè lo sviluppo della personalità
sin dai primi periodi della vita,le influenze interpersonali e le dinamiche spesso inconsce
dei processi motivazionali.
Oggi definiamo “Dissociazione” uno stato in cu il soggetto subisce un’alterazione più o
meno temporanea delle normali funzioni integrative come
identità,memoria,coscienza,percezione dell’ambiente costante.
Gli aspetti chiave di questa definizione della Dissociazione sono definiti come segue:
• un processo in cui determinate funzioni mentali tendono ad operare in modo più
compartimentalizzato o automatico;
• separazione dell’associazione tra due elementi;
• strategia di coping usata per fronteggiare un’esperienza soverchiante; è un processo
attraverso cui un soggetto compartimentalizza diverse parti della propria
personalità,delle emozioni e dell’esperienza corporea e le considera come separate
rispetto al suo vero sé;
• esclusione dalla coscienza e impossibilità di accesso al volontario recupero mnesico di
contenuti mentali specifici o articolati di diverso grado di complessità;
• la caratteristica essenziale dei disturbi dissociativi è la sconnessione delle
funzioni,solitamente integrate,della coscienza,della memoria,dell’identità e della
percezione dell’ambiente. Le alterazioni possono essere improvvise o
graduali,transitorie o croniche.
Esiste poi una classificazione dell’area patologica dei quadri dissociativi:
® dissociazione primaria- contenuti non elaborabili vengono immagazzinati in aree
somato-sensoriali senza integrazione nelle narrazioni soggettive usuali. Gli stessi
contenuti stimolati da imput emotivi, situazionali,sensoriali prevalentemente
visivi,possono tornar con la stessa nitidezza dell’esperienza passata dando luogo alla

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classica sintomatologia del Disturbo Post Traumatico da Stress come ricordi
intrusivi,flashback e incubi;
® dissociazione secondaria- dissociazione tra l’Io osservante e l’Io che vive l’esperienza
. un esempio può essere rappresentato dalla condizione vissuta da persone che,in
situazioni di esperienze catastrofiche,sentivano di abbandonare il loro corpo e
contemporaneamente di guardarsi dall’alto. La finalità difensiva del processo è chiaro in
quanto preserva dall’impatto intollerabile con l’evento;
® dissociazione terziaria- completa scissione dell’Individuo in personalità distinte; una
di queste porta di solito le emozioni correlate al trauma mentre l’altra (o talora le altre)
restano apparentemente intatte ed in grado di funzionare usualmente.
La “dissociazione” della vita normale è intesa,quindi,come una risposta adattiva di
fronte ad eventi che,per il loro essere intensi e terrorizzanti,non possono essere
adeguatamente inseriti nella vita mentale in quanto non assimilabili alle esperienze
precedenti,né adattabili al funzionamento mentale normale. Si tratta cioè di eventi
traumatici,di fronte ai quali la vita mentale si dissocia ,conservandoli in un’area
separata dalle esperienze quotidiane.
3.3 LA TEORIA TRAUMATICA DEI DISTURBI DISSOCIATIVI
Diverse ricerche cliniche ed empiriche hanno sottolineato il legame tra evento
traumatico e Disturbi dissociativi. Molti soggetti che sviluppano disturbi dissociativi
hanno nella storia personale traumi di vario tipo,specialmente di natura
sessuale,avvenuti per lo più prima dei nove anni,allorché la dissociazione sembra
costituire l’unica via di fuga,cioè un meccanismo di difesa “automatico” della mente di
fronte ad eventi psicologicamente traumatici,che permette di isolare drasticamente il
trauma dal campo di coscienza in una sorta di compartimentalizzazione delle diverse
parti della personalità che vengono considerate come separate rispetto al vero sé. Si
riportano di seguito i fattori in gioco nel determinismo traumatico del disturbo
dissociativo dell’identità:
1. capacità di attuare una dissociazione difensiva nei confronti del trauma attraverso
ipervigilanza,dissociazione,evitamento e confusione,operazioni efficaci al momento del
trauma ma che,persistendo,si traducono in modelli di relazione e strategie di difesa
disadattavi,compromettendo il senso di continuità della propria identità.
2. esistenza di esperienze traumatiche travolgenti come un abuso fisico o sessuale,che
superano le capacità di adattamento e le consuete operazioni difensive,in particolare
nel bambino.
3. influenze ambientali ed opportunità disponibili che contribuiscono a dare forma
specifica alla difesa dissociativa.
4. esperienze rassicuranti e ristrutturanti con il caregiver o con altre persone
significative che però non sono sufficienti a far sentire il bambino completamente
protetto.
La così detta “teoria traumatica” dei disturbi dissociativi può essere in breve così
riassunta:
1. traumi psicologici reali subiti nell’infanzia si ritrovano nella storia di soggetti affetti
da disturbi dissociativi in oltre il 95% dei casi.
2. i disturbi dissociativi sono stati considerati disturbi post traumatici da stress
cronicizzati ad insorgenza infantile.
3. traumi analoghi a quelli dei pazienti affetti da disturbo dissociativo sono stati tuttavia
riportati con alta frequenza in disturbi diversi come: il Disturbo Borderline di

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personalità, i Disturbi del Comportamento alimentare,i Disturbi d’ansia e in particolare
gli attacchi di panico.
4. solo alcune persone che subiscono traumi psicologici gravi sviluppano poi un disturbo
post-traumatico che si cronicizza in un numero ancora inferiore di soggetti.
5.esistono fattori aggiuntivi che da un lato determinano la reazione al trauma e la sua
cronicizzazione,dall’altro conducono al disturbo dissociativo.
Tra questi fattori aggiuntivi si possono individuare: la precocità del trauma,la sua
natura cronica o episodica,il ruolo dei familiari se trascurante o collusivo oppure in
opposizione ma capace o meno di intervenire,la storia della vita dopo gli eventi
traumatici,il problema della vulnerabilità individuale e quindi della diversa capacità di
resilienza che ognuno possiede nei confronti degli eventi traumatici,altre ragioni di
eterogeneità,l’influenza che l’ambiente nel quale il trauma si genera ha esercitato sia
sul soggetto che sull’oggetto primario (caregiver,madre) e sulla sua capacità-possibilità
di svolgere una funzione di accudimento in modo “sufficientemente buono”. Di recente
il Disturbo dissociativo dell’identità è stato collegato anche alle caratteristiche del
Modelli Operativi Interni di attaccamento prevalenti nel soggetto. È stato descritto in
anni abbastanza recenti nell’ambito dei modelli di attaccamento di tipo insicuro,un
ulteriore modello operativo interno nel bambino,il così detto “Tipo D” o
Disorganizzato/Disorientato. Questo pattern è caratterizzato da sequenze di modelli di
comportamento contradditori come esitamento intenso e intensa ricerca del contatto
col caregiver. Questo tipo di Modello Operativo Interno è risultato correlato soprattutto
all’esperienza di una figura di attaccamento spaventata e spaventante e a traumi
precoci come il maltrattamento,l’abuso sessuale,la depressione maggiore e il disturbo
bipolare della madre,l’abuso di alcool nel genitore. Queste conoscenze autorizzano
l’ipotesi che l’attaccamento disorganizzato sia il primo gradino in un percorso di
sviluppo che porta,probabilmente attraverso una lunga sequenza di interazioni familiari
drammatiche o violente dall’infanzia in poi,alla dissociazione patologica nella vita
adulta. L’attenzione dei ricercatori si è posta sull’ipotesi che il pattern
disorganizzato/disorientato dell’attaccamento nel bambino comporti l’attivazione di una
dissociazione come risposta difensiva alle situazioni di maltrattamento aumentando la
vulnerabilità del bambino ad entrare in stati alterati di coscienza o ad avere disturbi
dissociativi nelle loro diverse forme cliniche.
Tale ipotesi permette di esaminare la genesi dei disturbi dissociativi nel contesto delle
relazioni interpersonali,dello sviluppo e dell’espressione dei sistemi motivazionali,dello
sviluppo affettivo e cognitivo secondo la seguente schematica successione dei fatti:
• violenza o maltrattamento subiti da parte delle figure di attaccamento;
• conseguente presenza di rappresentazioni multiple di sé e dell’adulto come
persecutore,come vittima e come salvatore,cioè come personaggi di una fantasia o di
un gioco di ruoli concreto nel senso del pensiero operatorio piagetiano;
• solo con l’adolescenza le eventuali molteplici rappresentazioni di sé non integrate
potranno acquisire il carattere di veri e propri “Altri”,in prevalenza secondo il modello
del salvatore,del persecutore e della vittima, ma in modi sempre più personalizzati e
con gravità e fenomenica clinica diverse;
• l’adolescente può infatti trattare una rappresentazione di sé con i nuovi strumenti del
pensiero astratto;
• tale costruzione avviene in una matrice relazionale secondo lo schema freudiano
delle “serie complementari”.

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Secondo questo modello la dissociazione,quando non è collegata a disturbi
neuropsicologici primari,riguarda rappresentazioni del sé precoci, molteplici, incoerenti,
reciprocamente incompatibili e drammatiche,mediate da relazioni interpersonali con
una figura curante spaventata e spaventante,e basate sul bisogno innato della
vicinanza protettiva di un altro essere umano in situazioni di pericolo e di sofferenza.
L dissociazione appare oggi come una possibile difesa “automatica” della mente di
fronte ad eventi psicologicamente traumatici,una difesa che tuttavia può essere ,a sua
volta, fonte di disturbo poiché consiste essenzialmente nel fatto che una parte della
persona sa,ma un’altra parte sa di non sapere.
Riprendendo il tema del rapporto fra eventi e psicopatologia si può quindi sostenere che
alcuni eventi dell’infanzia come carenze di stimolazione ambientale ed eventi stressanti
si possono collegare anche alla strutturazione di tratti disturbati di personalità oltre che
a veri e propri quadri clinici come i Disturbi Dissociativi. I tratti anormali della
personalità potranno successivamente essere soggetti a trasformazioni in relazione ad
eventi con significato protettivo come ad eventi patogeni,spesso collegati in modo
circolare con la disposizione derivata dagli eventi infantili. Le psicoterapie, ad esempio
sono,o dovrebbero essere, comprese tra gli eventi mutativi in senso migliorativo e
protettivo.

CAPITOLO 4: CICLO VITALE E PASSIONE AMOROSA

2. CICLO VITALE ED ESPERIENZE PASSIONALI


In ogni esperienza passionale le coordinate su cui si regge l’identità personale e la
conseguente organizzazione della mente,vengono fisiologicamente sottoposte a potenti
pressioni perturbatorie con possibilità continue di rotture anche in senso
psicopatologico. Questo perché lo specifico dell’esperienza passionale si può individuare
nella irruzione in uno spazio mentale già strutturato secondo le coordinate dello
spazio,del tempo e della differenziazione,di istanze pre-simboliche,non differenziate e
atemporali. Per il determinarsi di questo stato è importante sia la tendenza centripeta
data dalla presenza di un ordine,di una “verticalizzazione” della esperienza di realtà.
inserita in questo schema possiamo intendere la passione come una sorta di viaggio la
trascendenza della propria egoicità trasferita.
Resta comunque il dato di fatto dell’alta portata mutativa dell’esperienza passionale
che, tra le sue molteplici possibilità evolutive,ammette sempre quella di essere
un’occasione,pur con molti rischi,per rimpaginare l’esistenza. Un momento di
esplosione vitalistica che pone il soggetto in una posizione esistenziale nuova ed
impone così la necessità di una ridefinizione della sua posizione del Mondo.
Infatti,specialmente alla uscita da una esperienza passionale,c’è la concreta opportunità
di ripensare la propria esistenza. I
rischi connessi con l’esperienza passionale sono da individuare nella difficoltà di uscita
dall’esperienza stessa,dal restare irretiti dalla passione. In questi casi si fa concreta la
possibilità della declinazione patologica dell’esperienza passionale.
Contemporaneamente si costruisce il terreno che permette la coniugazione della
passione con la morte,sia intesa come morte fisica (l’omicidio,il suicidio,la malattia
mortale),sia come morte psichica (la follia),sia come morte sociale (la
marginalizzazione,l’assunzione di comportamenti socialmente riprovevoli ecc…).

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Il significato delle esperienze passionali diventa quindi duplice:
- Da un lato è stata vista come lo scopo ultimo dell’esistenza,un’esperienza umana
essenziale.

- Dall’altro è stata considerata come la via per la perdizione, la fonte prima dei mali del
mondo,l’esempio più palese dell’irrazionalità della natura umana.

tradotto in linguaggio medico la passione è stata vista sia come mezzo per guarire,per
salvarsi dalle miserie della vita sia come una delle vie che possono portare alla
malattia e alla sofferenza.
5. ESPERIENZA DI INNAMORAMENTO
L’innamoramento è una delle esperienze con maggior impatto sul ciclo vitale umano
perché è capace di cambiare profondamente le persone, di modificarne l’auto
rappresentazione, il modo di pensare e di comportarsi, di modificare il micro ambiente
umano in cui ciascuno di noi vive,di destrutturare relazioni consolidate e di costruirne
di nuove anche in tempi brevi. Tutto questo naturalmente può portare a patologie sia
fisiche che psichiche.
5.4 MOMENTI COSTITUTIVI DELL’INNAMORAMENTO
Si possono individuare tre momenti che strutturano esperienza di innamoramento:
1) il primo momento Æ è dato dalla costruzione di un particolare spazio coscienziale
strutturato dall’attesa dell’amore: dal desiderio che aspira ad una esperienza amorosa
volta a riempire un “gap” ,che è prima di tutto oncologico,fra percezione della propria
limitatezza soggettiva ed aspirazione verso un incontro che sia il “definitivo”
superamento di questa percezione. Riassumendo possiamo dire che l’esperienza di
innamoramento non nasce ,dunque,dal vuoto,ma si struttura in uno spazio già
costituito,dove il “segno” esterno può colpire parlando il linguaggio della seduzione e
dell’incanto narcisistico. Proponendo ,cioè, un dialogo in cui l’Altro dice ciò che il nostro
desiderio vuole che dica. Molto spesso letture, fantasie, racconti, confidenze….,
contribuiscono ad infondere nell’animo questo atteggiamento di “attesa orientata” che
può arrivare ad occupare gran parte della vita psichica. La costruzione di questo spazio
coscienziale si può considerare come il primo momento dell’esperienza di
innamoramento.(Io non c’ho capito nulla in tutto questo discorso se lo capisci fammi un
fischio,scrive in ostrogoto questo qui!).
2) momento dell’incontro Æ è il momento dell’ingresso dell’Altro aspettato nello spazio
coscienziale costruito dall’attesa. Il “segno d’amore” non necessariamente ha i
connotati della concretezza. Spesso quello che si da è solo un “segno” che però
permette di attrarre e concretizzare quanto si era costruito nella propria interiorità. Già
fisiologicamente il segno esterno può essere solo lievemente ancorato alla realtà così
che essa finisce per essere “pretesto” che trascende ed insieme suggerisce una
“superiore” oggettività delle cose. In questo passaggio si può individuare un “salto”
trasgressivo di ogni legge della logica comune. Il salto si svela con l’intensità della
scoperta che quanto si desiderava e che precedentemente era assente,si è
materializzato. Ed è vissuto come il superamento di una distanza che pareva un abisso.
Questo secondo momento è ,prima di tutto, sostanziato da un vorticoso movimento di
istanze proprie sull’Altro,che così finisce di essere più sognato che francamente
vissuto,più ideale che reale. Naturalmente questa immaginari età dell’Altro è tale solo
se prendiamo la ragione come misura del reale,per cui tutto ciò che sfugge alla presa
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razionale passa nell’immaginario. Nel vissuto di chi vive l’esperienza questa logica è
tutt’altro che accettata,così quando l’esperienza si esaurisce questo particolare
momento dell’esistenza può risultar staccato dalla continuità esistenziale e ancorato a
un momento “magico” della vita.
3) spinta all’azione Æ a questo punto si è già costruita tutta la base soggettiva
dell’esperienza passionale amorosa che ora cerca di tradursi nella realtà attraverso la
spinta all’azione. Durante questo terzo momento l’Altro manda segnali di disponibilità,
di accettazione e di interesse così da permettere l’instaurarsi di una relazione affettiva
nella quale sono cadute le idealizzazione sull’Altro e prevale una conoscenza effettiva e
oggettiva.

4. CARATTERISTICHE DELL’ESERIENZA PATOLOGICA DI INNAMORAMENTO


Le caratteristiche dell’esperienza patologica di innamoramento vennero delineate da
Clèarambault:
1. abnorme quantità della passione
2. abnorme persistenza di un dato nucleo passionale
3. incoercibilità dei contenuti ideici: cioè,incapacità del soggetto di allontanarsi dalle
tematiche ideiche della passione che diventano addirittura ossessive.
4. impermeabilità di fronte ai riscontri con la realtà.

6. LE DECLINAZIONI PATOLOGICHE DELL’ESPERIENZA DI INNAMORAMENTO


Passeremo ora in rassegna le declinazioni patologiche dell’esperienza di
innamoramento.
6.1 SINDROME DELL’AMANTE FANTASMA
La Sindrome dell’Amante Fantasma è una declinazione patologica che si ha quando il
consueto sviluppo dell’esperienza di innamoramento si arresta al “primo momento”.
Nella Sindrome dell’Amante Fantasma quindi, viene a mancare: l’incontro con l’Altro.
Per cui il soggetto indirizza la sua passione amorosa verso persone sconosciute o
appena intraviste. Questa passione può mantenersi per anni (talvolta anche tutta la
vita),senza che l’Altro ne venga a conoscenza,né che il soggetto cerchi una qualche
sorta di reciprocazione del sentimento.
Il paziente spera di poter essere ricambiato in un futuro ma ha la dolorosa
consapevolezza dell’origine solitaria del suo amore.
Col passare del tempo la passione verso l’Altro si trasforma in un vero e proprio delirio.
Il paziente, infatti,si abbandona al “sogno d’amore” mantenendo però un sottile legame
con la realtà.

6.2 IL DELIROIDE AMOROSO (OVVERO L’AMORE DELIRANTE)


Nella Sindrome dell’Amante Fantasma si può evidenziare come l’alterazione rilevante
sia da individuarsi nel primo momento dell’esperienza di innamoramento (quello
dell’attesa orientata) che non si evolve negli altri due stati ma resta come impedita e
raggelata. Nel Delirio Amoroso l’esperienza riesce invece ad evolversi anche nel
secondo momento (quello dell’incontro) ma poi rimane ancorata a questo senza
svilupparsi nel terzo momento,quello della spinta all’azione. Per questo, il processo di
conoscenza oggettuale e di caduta delle idealizzazioni risulta altamente deficitario e il
paziente preferisce rimanere ancorato alla realtà dell’Altro intuita al momento del colpo
di fulmine piuttosto che confrontarsi con la realtà oggettuale.

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Da un punto di vista clinico il processo morboso prende l’avvio da un concreto
innamoramento e da una concreta relazione amorosa,in cui il corredo cognitivo che
accompagna la comune infatuazione, con il relativo apporto di idealizzazione dell’altro
amato, non solo si mantiene ma addirittura si accentua. La
patologia sta proprio in questo: il soggetto non riesce ad abbandonare le idealizzazioni
dell’Altro costruite durante la fase di infatuazione rischiando in tal modo di perdere di
vista il contatto con la realtà.
6.3 IL DELIRIO EROTOMANICO (SINDROME DI DE CLEARAMBAUL)
Delle possibili declinazioni patologiche dell’esperienza di innamoramento questa
condizione è senz’altro la più famosa e la più grave. La prima sistematizzazione del
Delirio Erotomanico è stata fatta da Kraepelin. Questi indicò l’erotomania come una
forma tipica di paranoia. Successivamente la sistematizzazione dell’erotomania trova in
de Clearambaul un altro inevitabile punto di riferimento. Questi arriva a distinguere nei
casi di erotomania due realtà cliniche:
1. una forma detta “pura”,o primaria,caratterizzata da un inizio improvviso,dall’assenza
di altri elementi psicopatologici come allucinazioni,ed a una evoluzione tematica
caratteristica del primo nucleo delirante;
2. una forma “secondaria” ad altri quadri morbosi in cui l’esordio è più subdolo,il tema
delirante non è unico e talvolta non è nemmeno centrale. Inoltre possono esistere
accanto al delirio erotomanico altre tematiche deliranti,allucinazioni e disordini formali
del pensiero.
Nel DSM IV l’erotomania viene inserita tra i “Disturbi deliranti”.
Il quadro clinico è caratterizzato da un delirio strutturato, e spesso anche assai
elaborato,il cui nucleo tematico è dato dal convincimento delirante,di essere amati da
un’altra persona. Nella sindrome di de Clèarambault “pura” questo convincimento si
instaura in modo improvviso,immediato,con le caratteristiche della intuizione delirante
per poi stabilizzarsi in un florido delirio. Lo sviluppo del delirio è tipico. Si parte
dall’intuizione che l’Altro (l’oggetto della passione erotomanica) sia stato preso
dall’amore travolgente per il paziente. Questo lo porterebbe a mettere in atto una serie
di accorgimenti volti a segnalare la propria dedizione e a suggerire modi e meccanismi
di contatto. In breve ad una serie di tecniche seduttive volte a far nascere la passione
anche nel paziente. In questo passaggio si snoda un copioso delirio che talvolta viene
ad assumere un andamento narrativo “epico” con progressiva comparsa di nuovi
personaggi.
Solitamente,anche se non esclusivamente,si tratta di donne di modestia origine,mentre
gli “oggetti d’amore” sono quasi sempre uomini più vecchi e di più alto livello sociale.
Le pazienti sostengono tenacemente che l’Altro è stato il primo ad innamorarsi e a
mandare messaggi di disponibilità amorosa. Spesso la paziente descrive in modo
elaborato,ma a suo dire evidente, con cui la tresca amorosa è stata portata avanti.
Talvolta questi mezzi comunicativi possono apparire sorretti da logiche condivisibili:
strizzate d’occhio,sorrisi ammiccanti,doppi sensi,telefonate,… altre volte invece
appaiono decisamente bizzarri ed improbabili: telepatia ,TV, microfoni,
altoparlanti,ipnosi…. La paziente per lo più tende a negare un suo coinvolgimento
passionale,almeno all’inizio, per proporre una immagine di sé come di persona che “ha
finito per innamorarsi” solo per le protratte insistenze e offerte amorose dell’Altro.
Ferma rimane comunque la convinzione che l’opera di seduzione dell’Altro non si sia
mai interrotta e questo si traduca in comportamenti nei suoi confronti che possono

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avere anche delle declinazioni legali.
Ricapitolando esistono delle forme pure (o primitive,o Sindrome di de Clèarambault)
che ,per dirsi tali, devono soddisfare le condizioni sotto elencate che corrispondono ai
criteri di definizione del Delirio Erotomanico:
1. esiste un delirio di rapporto amoroso
2. con una persona per lo più di rango sociale più alto rispetto a quello del paziente
3. il paziente è fermamente convinto che sia stato l’Altro ad innamorarsi per primo e
che per primo abbia fatto delle “avances”
4. l’esordio è improvviso
5. c’è una permanenza nel corso del tempo dell’ “oggetto” amoroso,nel senso che non
c’è una tendenza a cambiare l’Altro da cui si crede di essere amati
6. il paziente tende a fornire spiegazioni sul comportamento paradossale dell’Altro e
queste spiegazioni rendono talvolta estremamente efflorescente la costruzione delirante
stessa
7. il decorso è cronico
8. non si hanno allucinazioni
Esistono poi dei deliri erotomanici “spuri”,o “secondari” ad altre condizioni morbose in
cui l’esordio improvviso viene a mancare. Spesso le tematiche deliranti si fanno strada
in modo subdolo nella mente del paziente. C’è inoltre una tendenza a ampliare o
addirittura a cambiare nel tempo l’ “oggetto” delle attenzioni erotomaniche. In queste
altre forme si osservano altri fenomeni psicopatologici che si affiancano alle tematiche
erotomaniche. Di qui l’aspetto tipicamente secondario di queste condizioni che si hanno
in presenza di patologie psichiatriche diverse: disturbi schizofrenici,disturbi
dell’affettività,sindromi involutive senili ecc…
A differenza di quanto avviene nella Sindrome dell’Amante Fantasma, nel Delirio
Erotomanico esiste anche il momento dell’incontro. Il terzo momento invece,(di ricerca
della reciprocazione e di confronto passionale) è,in questo caso,semplicemente dato
per scontato. Addirittura presupposto nella misura in cui una delle caratteristiche della
condizione è che l’Altro amato sarebbe stato il primo ad essere preso da passione per il
soggetto.
7. LA GELOSIA
La gelosia, almeno nella sua tipica variante di “gelosia sessuale”,rappresenta una delle
più antiche articolazioni della esperienza passionale amorosa. La “gelosia sessuale” si
può definire come “la particolare reazione verso le intrusioni ,vere o presunte,ma
sentite comunque come minacciose,nei confronti di una relazione sentimentale”
Etimologicamente la parola “gelosia” è legata alla idea di “zelo”, e cioè,di dedizione
accurata e un po’ assillante nei confronti della persona amata. L’origine etimologica
della parola gelosia quindi, rimanda ad una idea positiva,semmai con una piccola punta
di eccessività. Con il tempo, a questo benevolo orientamento, se ne è sostituito un altro
decisamente contrario. La gelosia è venuta a veicolare una idea di intrusività ,non
rispetto, possessività nei confronti dell’Altro che si ama,finendo per essere considerata
l’espressione più tipica di chi teme di perdere il proprio oggetto d’amore.
La gelosia,quindi, evoca un ampio alone di ambivalenza. Oltre alla polarità
positivo/negativo, l’ambivalenza della gelosia allude a qualcosa di non
chiaro,indefinito,suscettibile di esame. Attraverso la gelosia,infatti, l’osservatore tende
più a intravedere che a vedere,a intuire piuttosto che ha capire. Persino nel

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delirio,infatti,la gelosia non mostra mai con chiarezza la scena temuta,ma solo
segni,vestigia,reliquie di questa.
In un’ottica socio-antropologica la gelosia può essere vista come una realtà con due
corni: ad una estremità si trova un ideale di devozione umana sostanziata dalla
devozione e dalla fedeltà. In quest’ottica la gelosia può essere considerata come un
grido di protesta nei confronti di un “ideale di rapporto” che deve essere mantenuto e
salvaguardato. All’altra estremità si trova un bieco tentativo da parte di una persona
(colui che è geloso) di imporre i propri desideri e la propria scala di valori a un’altra
(colui di cui si è gelosi). Nel primo caso siamo di fronte ad una speranza che non si
vuole venga delusa. Questo comporta prima di tutto una amorosa sollecitudine nei
confronti di qualcuno e soprattutto di una attenta salvaguardia delle travi portanti di
una relazione. Nel secondo caso,invece,l’atteggiamento presunto è quello di una
disdicevole possessività distruttiva,perché il fine non è la salvaguardia né di se stessi,né
della relazione che ci lega all’altro,bensì del puro possesso e soprattutto del divieto
all’altro amato di portare avanti un qualsiasi tipo di relazione con una terza persona.
Questo modo di leggere la gelosia l’ambivalenza che può accompagnare il vissuto
sociale nei confronti della gelosia e della persona gelosa. Ambivalenza all’interno del
problema che si traduce anche in ambivalenti reazioni all’esterno.
Nella gelosia,dunque,c’è un punto che va verso il bene (socialmente accettabile), e uno
che si muove verso il male (socialmente stigmatizzata).
Nella società occidentale del XX secolo la gelosia è finita per essere descritta come un
disastro da evitare,almeno fin quando è possibile. Se non è possibile né evitarla né
sopprimerla nasce il bisogno di “curarla”. Ecco che il campo della gelosia è finito per
essere oggetto di attenzione medica. La gelosia è diventata un “difetto di
carattere”,espressione di una bassa autostima,di una eccessiva dipendenza dal partner,
di una oggettiva inadeguatezza come amante. La gelosia è diventata una patologia
della persona.
In un’ottica psicopatologica possiamo dire che la gelosia insorge quando una relazione
con qualcuno viene minacciata o si ritiene che lo sia. La gelosia non contiene solo
sofferenza per la privazione dell’Altro ma anche per l’amor proprio ferito. È insieme
pena per l’amore perduto e rabbia per la gioia del rivale. Dunque,la
gelosia nasce da una minaccia ad una relazione e si esprime: come espressione di
privazione e perdita e come rabbia per l’amor proprio ferito.
Il dato che “apre”,nell’esperienza passionale amorosa,alla dimensione della gelosia, è
da ricercarsi nel fatto che l’Altro non è solo una nostra proiezione,ma che ha anche una
sua quota di desideri,di emozioni,di attrazioni che possono anche andare non andare
nella direzione che chi ama vorrebbe. La scoperta di questa “alterità” apre la strada al
Rivale,ad una triangolazione che ammette nella relazione quel Terzo che è condizione
fondamentale al prosperare dello stato di gelosia. Nel consueto svolgimento della
struttura coscienziale in cui si articola l’esperienza passionale
amorosa,possiamo,dunque, ipotizzare un quarto momento che possiamo definire della
“frustrante scoperta della alterità dell’Altro”.
Con questo passaggio la struttura dello spazio coscienziale di chi vive l’esperienza
amorosa si modifica in modo importante,facendo scoprire quanto l’Altro si discosti dalla
nostra primitiva proiezione amorosa. Questo momento doloroso premette,da un lato,di
uscire dalla dimensione egoistica,che aveva,fin ora, pervaso l’esperienza,dall’altro lato

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“apre” una rabbiosa rivolta verso una possibile figura terza (il Rivale) che si profila
all’orizzonte dell’esperienza amorosa.
Quindi,riprendendo lo schema proposto,il momento che è stato definito “della frustrante
scoperta dell’alterità dell’Altro” permette la costruzione di uno spazio coscienziale dove
l’esperienza di gelosia diventa possibilie e per certi aspetti inevitabile.
Contemporaneamente osta l’esperienza passionale amorosa ad una specie di bivio che
ammette:
• da un lato la possibilità dell’inserimento della figura del Terzo nella struttura
soggettiva dell’esperienza,con tutte le gradazioni quantitative dell’esperienza di gelosia.
• dall’altro lato una dolorosa coscienza di perdita che prepara lo spazio coscienziale
verso le caratteristiche che sono proprie dei lutti.
A seconda delle caratteristiche personologiche del geloso,la scoperta di questa alterità
struttura “tipi” di gelosia diversi,con tutte le possibili declinazioni: dalla normalità alla
patologia.
Ogni reazione di gelosia (patologica e non) ha come presupposto che nella relazione
minacciata venga praticato un cospicuo investimento affettivo,in altre parole è l’identità
stessa di chi ama che si gioca. Sull’Altro amato avvengono una serie di movimenti
proiettivi per cui parti importanti del proprio Sé vengono lì trasferiti. L’Altro diventa
così una cosa nostra,un oggetto che noi abbiamo intentato. Ogni pericolo che minaccia
la nostra relazione con l’Altro viene vissuto come una minaccia alla propria identità
personale. Il tentativo per riconquistare il controllo sulla relazione va visto pertanto
anche come tentativo per ripristinare il controllo sulla propria identità personale.
Il geloso patologico si può distinguere dal normale per una esaltazione passionale
prolungata,possessiva,esclusa,insaziabile,tendenzialmente oltraggiosa,dispotica,
brutale. Questa può avere declinazioni cliniche diverse, m è sempre presente il rifiuto di
permettere all’oggetto amato ogni cosa che non sia sottomissione alle proprie
incoercibili esigenze.
Anche la Psicoanalisi ha fornito importanti contributi nella comprensione sia della
gelosia normale che di quella patologica. Nell’opera di Freud si può ritrovare la
distinzione in tre tipi di gelosia:
1: una forma competitiva che si può ricondurre a situazioni di gelosia infantile edipica o
di rivalità fraterna ,molto comuni e profondamente radicate nell’inconscio. Questo tipo
di gelosia corrisponde alla cosiddetta gelosia normale. Sottende il dolore per la perdita
dell’oggetto amato e sentimenti di animosità verso il rivale. Si uniscono anche
valutazioni autocritiche per una,vera o presunta,responsabilità soggettiva.
2: esiste poi una gelosia “proiettiva”, è quella del soggetto infedele,o tendente
all’infedeltà,che si scarica dal proprio senso di colpa rigettando l’accusa sul partner.
3: esiste poi una gelosia delirante. In questo caso la inadeguatezza che viene proiettata
rivelerebbe una tendenza omosessuale. Freud fu fermamente convinto che la gelosia
psicotica avesse basi omosessuali.
Fenichel riassume e supporta il punto di vista frudiano asserendo che la gelosia si
instaura quando la necessità di reprimere tendenze alla omosessualità ed alla infedeltà
si accompagna ad una caratteristica intolleranza per situazioni di perdita dell’oggetto
amato. Queste,in alcune particolari personalità arrivano ad essere vissute come una
diminuizione di autostima ed una insanabile offerta narcisistica.
Melanie Klein porta ben oltre il problema ed a livelli ben più arcaici la ricerca sulla
gelosia. L’origine della gelosia non sarebbe autonoma ma deriverebbe dall’invidia iù per

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la capacità paterna di potersi appropriare del seno materno. Pertanto quanto più
grande è stata l’indivia per il seno materno ,tanto più grande sarà la tendenza a
sperimentare vissuti di gelosia nella vita infantile ed adulta.
La Schmideberg ipotizza che la gelosia sia la “mancanza di capacità d’amore”,basata su
di una profonda ambivalenza . nelle persone con tendenza alla gelosia
delirante,cioè,tutte le reazioni interumane finiscono per essere mescolate con bisogni
narcisistici. Questo a sua volta può spiegare la latente (o repressa) omosessualità insita
nei rapporti delle persone candidate a forme deliranti di gelosia. A sua volta questa
tendenza può ,con facilità,portare ad impotenza e questo ad un incremento nella
tendenza verso il delirio di gelosia.
Alla luce di quanto detto cerchiamo ora di definire alcuni punti riassuntivi sul tema della
gelosia:
- La gelosia si può considerare come una serie di vissuti e comportamenti rattivi a intrusioni
vissute come minacciose nei confronti della relazione.

- È una esperienza comune e umana.

- È molto difficile definire i confini tra normalità e patologia.

- Come tutti i sentimenti veicola vissuti ad ampia ambivalenza,sia da parte di chi ne soffre
sia da parte di chi la osserva.

- Nel determinare il confine tra normalità e patologia rivestono una importanza basilare
modelli culturali di tipo socio-antropologico.

- Nel mondo occidentale attualmente assisti stiamo ad una tendenza altamente


stigmatizzante nei onfronti della gelosia.

- Da un punto di vista psicopatologico si possono riconoscere nella gelosia da un lato un


vissuto di privazione (che può aprirsi a declinazioni di tipo depressivo) e dall’altra di rabbia
per l’amor proprio ferito (con l’evocazione di tendenze potenzialmente pranoicali).

- Sempre da un punto di vista psicopatologico è l’esaltazione passionale che permette di fare


una traccia tra gelosia normale e gelosia patologica.

- L’esperienza di gelosia nasce nella quarta modalità di strutturazione dello spazio


coscienziale dell’esperienza amorosa da noi indicato come “spazio della frustrante scoperta
dell’alterità dell’Altro”.

- Il punto di vista psicoanalitico fornisce utili inquadramenti clinici e genetici.

- Si possono distinguere tre quadri clinici diversi di gelosia patologica: iperestesia


gelosa,gelosia ossessiva,gelosia delirante (o sindrome di Otello).

7.1 IPERESTESIA GELOSA


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Con il nome di “Iperestesia Gelosa” si delinea un quadro clinico di confine tra normalità
e patologia. Le idee di gelosia sono quantitativamente floride e tendono ad occupare
tutto il campo esperienziale del paziente. Sono anche notevolmente persistenti tanto
che spesso,per certi pazienti,costituiscono un vero e proprio doloroso stile di
vita,diventano cioè compagne insostituibili di ogni relazione umana significativa. Le idee
di gelosia possono recedere almeno parzialmente di fronte alla critica e quindi il livello
clinico raggiunto non può considerarsi psicotico. Complesivamente nell’Iperestesia
gelosa possiamo dire di essere di fronte ad un sentimento di gelosia formalmente
normale ,ma iperbolicamente ampliato e soprattutto distorto da particolari modelli di
comportamento che peraltro si rilevano anche il anltri aspetti della vita di questi
pazienti. Si può inquadrare questa realtà clinica nell’ambito di vissuti di gelosia che
acquistano la loro patologicità per i tratti abnormi della strutturazione di personalità di
questi pazienti. In questo quadro
clinico le tematiche di gelosia hanno una forte componente affettiva e mantengono un
costante confronto con la realtà. volendo ritornare agli attributi di ptologicità di
Clèarambault,si rinvengono in questa patologia senz’altro i primi due aspetti (quantità
abnorme e abnorme ersistenza) mentre il terzo punto (incoercibilità) ed il quarto
(impermeabilità nei confronti dei dati di realtà) vengono soltanto sfiorati.
7.2 GELOSIA OSSESSIVA
Nel quadro clinico della gelosia ossessiva le immagini e le idee di infedeltà sono
incoercibili e il dubbio sulla infedeltà del partner è lacerante,non si riesce a metterlo a
tacere. Chi ne soffre è continuamente alla ricerca di segnali che possono
lenirlo,confermarlo e smentirlo. Il paziente si trasforma spesso in un detective a tempo
pieno che può impiegare nelle attività di ricerca della infedeltà del partner il più e il
meglio del suo tempo.i pazienti riconoscono l’infondatezza dei loro sospetti,arrivano
anche a vergognarsene,ma sono,loro malgrado,trascinati e sommersi dalla
tormentuosità del dubbio. Così c’è chi sottopone la moglie tutti i gorni a martellanti
interrogatori,chi controlla minuziosamente la castità del suo abbigliamento e chi magari
anche l biancheria intima alla ricerca di attività sessuali illecite. Queste persone
riescono a rendersi conto delle loro esagerazioni ma “non ce la fanno” a cambiare
condotta né a scacciare dalla propria mente certi pensieri pur sentiti come assurdi.
Secondo i criteri che de Clèarambault ha dettato si osserva che sono senz’altro
presenti il primo,il secondo (come nella ipersestesia gelosa) e vi si aggiunge anche il
terzo. Infatti i sentimenti di gelosia vengono vissuti come permeati da un incoercibile
dubbio. Sono tendenzialmente criticati e il paziente vive con pena il fatto di provarli e
ancora di piùdi dver accondiscendere alle conseguenti condotte comportamentali.
7.3 GELOSIA DELIRANTE o SINDROME DI OTELLO
La Sindrome di Otello (o Gelosia Delirante) si costruisce intorno alla certezza
dell’infedeltà dell’altro,certezza assoluta ed impermeabile ad ogni confronto con la
realtà. per meglio dire c’è la convizione assoluta che l’infedeltà sia già stata
consumata. Il comportamento del paziente pertanto non è teso alla scoperta di
qualcosa , che si pensa già di sapere, ma piuttosto a far ammettere all’altro la colpa.
Da qui una continua richiesta di confessioni assillanti,portate aventi talvolta in modo
reiteramente subdolo,altre volte con l’arma del ricatto,talvolta infine ricorrendo alla
coercizione e alla violenza fisica. L’ammissione del tradiment viene presentata sempre
come la “Medicina” che porrà fine ai tormenti e ai dubbi che ne conseguono. Talvolta il
partner accusato,nella speranza di porre fine ad una situazione insostenibile,ammette

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un magari inesistente tradimento.lungi dal placarsi il delirante,che ha finalmente avuto
la conferma dele sue certezze, intensifica la sua aggressività e tenta di far ammettere
ulteriori infedeltà. In questa varietà clinica la gelosia assume tutte e quattro le
caratteristiche che de Clèarambault indicava come criteri di patologicità delle
esperienze passionali. Infatti accanto all’abnorme quantità e persistenza e alla
incoercibilità delle idee di infedeltà si aggiunge l’impermeabilità di fronte ad ogni
confronto con la realtà. l’esperienza di gelosia acquista così anche gli attributi formali
del delirio. Questo quadro morboso è la più
tipica forma di gelosia patologica. Secondo Kraepelin è una delle più tiche forme di
paranoia. siamo di
fronte ad una forma delirante pura,senza allucinazioni,né deterioramento di
personalità,anzi spesso con il mantenimento di standard comportamentali e culturali
consueti e socialmente accettabili.
In questo tipo di gelosia sono assai frequenti declinazioni di tipo penale. Non è
raro,infatti,che i conseguenti comportamenti violenti,per la loro efferatezza,riempiano i
giornali di cronaca.

8. IL LUTTO AMOROSO
L’evoluzione naturale di ogni vicenda passionale amorosa comporta esperienze di
perdita. La fine di una relazione amorosa può comportare un rilevante stress
psicosociale che meriterebbe di essere inserito specificamente nel DSM IV. Questo a
prescindere dal fatto se l’amato è deceduto o sia soltanto terminata la relazione che
legava il paziente a quella persona.
Infatti, l’esperienza patoloigica del lutto si ha sia per la morte della persona amata sia
quando alla perdita non corrisponde la morte dell’altro e sia nei casi in cui la perdita ha
a che fare con una aspettativa verso l’Altro che deve essere modifcata.
In quest’ottica si può considerare l’esperienza del lutto come un normale vissuto di
tutte le vicende della vita passionale amorosa connesse con quel continuo movimento
di idealizzazione-frustrazione che costella il viaggio di avvicinamento all’Altro, Altro che
si rivela diverso da quello che primitivamente il soggetto che ama aveva costruito
dentro di sé. Si tratta di un vero e porprio “lvoro” denso di perdite che devono essere
accettate,modulate e elaborate. Spesso il soggetto si trova sospeso tra il deluso e
stizzito abbandono e una dolorosa accettazione di quel che rimane “nonostante tutto”
dell’immagine idealizzata dell’Altro. Fino all’accettazione che si può considerare il fine
“maturo” del lavoro amoroso,dei risvolti positivi insiti in una “diversità” che in un primo
mmento non si era desiderata.
L’esperienza di lutto con tutte le implicazioni psicologiche,sociali e
mediche,accompagna dunque con una continua concreta possibilità le vicende della
passione amorosa, per cui certi lutti non complicati possono essere visti come una
costante fisiologica e utile in ogni comune e normale esperienza amorosa.
Lutti vissuti in maniera complessa possono,invece,dar luogo a patologie nelle quali c’è
una perdita ,vera o presunta,di un oggetto d’amore ,oggetto che è esterno ed interno
insieme. È esterno nel senso che si identifica con una persona o con un legame
particolare e definito,ma è anche inteno in quanto è perdita di una

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“personale”,intima,rappresentazione dell’altro. Secondo Freud in base alla collocazione
della perdita possiamo distinguere:
- Una perdita sentita nello spazio esterno dell’individuo, e qui parleremo di Lutto.

- Una perdita sentita nello sazio interno dell’individo, e qui parleremo di Malinconia Amorosa.

Nel Lutto è il mondo che si svuota e si impoverisce,nella Malinconia è l’io stesso. Nel
Lutto la perdita dell’oggetto d’amore lascia il soggetto abbandonato e triste,senza un
“nutrimento” per le sue parti migliori. Il soggetto sperimenta una vera e propria “fame
dell’altro” che non ha la capacità di placarsi cos’ che spesso la perdita rischia di caricarsi
di venature persecutorie fino a prendere l’aspetto di un attacco autodistruttivo e
cannibalico che si scarica contro il sé. In altre parole, non potendo attaccare l’oggetto
d’amore perso,che se ne è andato,si può finire per attaccare il vuoto interno, l’assenza
che l’Altro ha lasciato dentro. Si può trasformare cioè in una rabbia diretta verso l’unica
cosa dell’Altro che rimane quando se ne va: la sua rappresentazione interna.
Tuttavia nella maggior parte dei casi la perdita dell’altro non sfocia nella patologia ma
viene superata con un normale decorso:
1. inizialmente la perdita non desiderata dell’Altro da luogo ad un dolore di fondo,una
pena con sentimenti di abbandono e conseguente perdita di senso della vita. È presente
anche un marcato ritiro dalla vita sociale con abbandono e/o incapacità di svolgere le
consuete occupazioni. Questa caduta delle “performances” è sorretta da una oggettiva
difficoltà di concentrazione con conseguenti disturbi della memoria. Molto spesso ci
sono anche modesti segni di “vitalizzazione” con disturbi dell’appetito e del sonno. Sono
frequenti anche episodi di pena, caratterizzati da crisi di pianto e disperazione. Si
presentano persino “passaggia all’atto” sostenuti dalla necessità di ricontattare la
persona amata che si può tradurre in una ricerca spasmodica dell’Altro con
pedinamenti, telefonate, lettere, biglietti….
2. Con il passare del tempole esplosioni di pena si fanno più distanziate così come il
dolore di fondo si attenua. Pochi giorni dopo scompaiono i segni di vitalizzazione, il
sonno riprende e così anche l’appetito. Riprende l’interesse per il mondo. Siccome tutto
questo lenisce la pena,per un meccanismo di rinforzo, si intensificano le condotte
esplorative. Ne consegue un ulteriore rinforzo e quindi un’ulteriore applicazione di
attitudini interne e ritrovate. Lentamente “l’assenza” che l’Altro ha lasciato si riempie e
comunque diventa più sostenibile. Si riscoprono passatempi, attività lavorative,persone
e relazioni abbandonate,piaceri dimenticati ma riconosciuti come propri in altri momenti
dell’esistenza. Da tuto questo ne deriva spesso un arricchimento ed una maturazione,
che compensa la perdita dell’altro.
8.1 PASSIONE AMOROSA E LUTTI PATOLOGICI
Quanto sopra riferito rappresenta a grandi linee la normale risposta alla interruzione
traumatica di una relazione amorosa. Ma non sempre le cose vanno così come
descritto. Si possono ,cioè,avere condizioni sotto il nome di “Lutti Patologici”. Una serie
di condizioni,cioè, in cui le reazioni all’esperienza di perdita si presentano clinicamente
abnormi:
• per intensità delle espressioni patologiche, ad esempio le crisi di pena e di
disperazione si fanno drammaticamente intense e talvolta passano le una alle altre
senza interruzione.

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• per durata. Il vissuto di perdita si imostra insanabile e supera di gran lunga la
consueta dimensione temporale,acquistando,così, le caratteristiche di una condizione
cronica.
• per qualità delle espressioni psicopatologiche. Particolarmente significativi in
quest’ottica appaiono i segni di vitalizzazione come i disordini dell’appetito e del sonno.
• per gravità degli effetti: in particolar possono essere molto gravi le cadute delle
“performances”,marcatissimo il ritiro sociale e l’incapacità a svolgere le consuete
attività e i consueti compiti sociali.
I lutti patologici possono essere di tre diversi tipi:
- Lutti conseguenti alla perdita improvvisa dell’oggetto amato: sono tipici delle
interruzioni di un legame amoroso improvvise e imprevste (morte o abbandono repentino).
Clinicamente questi lutti sono caratterizzati da una percezione di presenza dell’amato. In
questo fenomeno psicopatologico si avverte la perturbante presenza dell’Altro di cui si
ontinua a mantenere altissimo il livello di idealizzazione. Altro nei confronti del quale ci si
sente ancora carichi di doveri ome ad esempio accondiscendere alle passate abitudini
“come se ci fosse”.

- Lutti patologici che conseguono alla fine di una relazione con forti tratti di
ambivalenza: la fine della relazione in questo caso viene vissuta con sentimenti di
liberazione e esaltazione,nei primi giorni dopo la perdita prevalgono l’ottimismo, le
condotte esplorative e un senso soggettivo di pienezza. In altre parole condotte che
sembrano negare la stessa esperienza di lutto. Con il tempo fanno però la comparsa gravi
vissuti di pena e disperazione che il tempo non lenisce,ma aggrava. In questo tipo di
risposta alla perdita amorosa sono frequenti comportamenti autopunitivi,compaiono
condotte atte a produrre espiazioni per il fallimento della relazione. È frequente in questi
casi l’osservazione di condotte e espiatorie che si traducono con un divieto di ogni altra
valida relazione amorosa. L’esistenza di queste persone,perciò, può prendere la via di una
“coazione a ripetere” esiti falimentari di ogni altra relazione. Altre volte si espia scegliendo
una persona antipodica rispetto a quelle che sono le prprie inclinazioni. Ci si “condanna”
così ad un rapporto soggettivamente vissuto come insoddisfacente e che acquista un
significato soggettivo di riparazione del precedente rapporto.

- Lutti patologici che seguono a relazioni caratterizzate da profonda dipendenza tra


i due partner: relazioni simbiotiche con profondo attaccamento e dipendenza
possono,quando interrotte,dar luogo con frequenza a Lutti Patologici. Questi sono
caratterizzati,in primo luogo,da una abnorme lunghezza del lutto che da luogo alla
costruzione di un vero e proprio stile di vita caratterizzato da intensi sentimenti di
disperazione con la permanenza,anche dopo molto tempo,di quegli “attacchi di pena” che
abbiamo visto essere presenti nelle prime fasi del lutto non complicato. In queste persone
il ricordo dell’altro viene trattato come u n vero e proprio feticcio.

8.2 LA MALINCONIA AMOROSA


Il quadro del lutto cronico sovente scivole verso la Malinconia Amorosa propriamente
detta. In questo caso la perdita amorosa diventa l’evento che porta ad una vera a
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propria Depressione Maggiore,collocabile,sequendo i criteri del DSM IV fra i Disturbi
Affettivi di tipo Depressivo. Questa
condizione è caratterizzata da:
• un sentimento pervasivo di essere destinati,dopo la perdita dell’Altro,alla rovina;
• un senso profondo di impotenza e di abbandono di fronte agli eventi ed alle persone.
Il paziente si rinchude tra le pareti di casa convinto che oramai niente possa più
accadere nel mondo;
• da ambivalenti sentimenti di amore e di odio nei confronti dell’Altro e del suo
ricordo,individuato come causa prima del suo male;
• da tipici atteggiamenti disforico-irritabili nei confronti di chiunque cerchi di interporsi
tra il paziente e il ricordo dell’altro;
• da grande irrequietezza motoria;
• da episodi di irrequietezza,sonnolenza e di paralizzante stupore;
• da un’attenzione esagerata alla vita onirica che spesso produce ricordi dell’Altro
carichi di rabbia e di aggressività.
Al di là del drammatico quadro della Malinconia Amorosa possiamo dire che il lutto
amoroso ,quando giunge all’osservazione medica ha quasi sempre le caratteristiche di
patologicità. Infatti il livello di tolleranza sociale (e individuale) nei confronti delle
manifestazioni comportamentali connnesse con perdite amorose è assai alto e ne deriva
una tendenza assai diffusa alla minimizzazione. In linea con gli studi sul lutto,il progetto
terapeutico deve articolarsi intorno a misure che:
- Favoriscano l’espressione del lutto;

- Aiutino la persona nel necessario processo di rimaneggiamento della sua identità;

- Permettano di controllare sintomi ansiosi e depressivi così da evitare che raggiungano livelli
patologici potenzialmente pericolosi per la vita stessa del soggetto. In questo senso deve
essere valutata anche l’oppotunità di una terapia farmacologica.

Il primo punto fa riferimento a misure di tipo sociale. In questo senso bisognerà dare
legittimazione sociale all’esperienza di lutto favorendo,ad esempio, l’assunzione del
ruolo di malato, un periodo di assenza dal lavoro o di riduzione di impegni lavorativi.
Questo,se da un lato permette di diminuire il carico sociale di doveri, dall’altro favorisce
la acquisizione di nuovi impegni liberando dello spazio per nuove funzioni. Ma per
favorire l’espressione del lutto isogna anche assicurare uno spazio ed un tempo per
“fare il lutto”. il secondo punto è essenzialmente psicoterapeutico in quanto tende a
favorire un rimaneggiamento dell’identità del paziente. Le due misure,quelle sociali e
quelle psicoterapeutiche, devono avere come scopo quello di rendere reale la
perdita,dare a questa dei confini. Con il terzo punto si proprone un vertice più
propriamente medico volto ad un accurato monitoraggio sintomatologico e a proporre
quando necessario anche supporti medici che: permettano il controllo di sintomi quali
l’ansia la depressione ecc….. e permettano un controllo delle funzioni biologiche come
il sonno,l’appetito ecc…. .

CAP 5 : DIVENTARE GENITORI:DINAMICHE PSICOLOGICHE E RISCHIO


PSICOPATOLOGICO
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"il mestiere di genitore" è qualcosa che si deve imparare durante un percorso
complesso che richiede notevoli capacità di adattamento,di elaborazione e di tolleranza
alle frustrazioni.
Se ci domandiamo quali sono le fonti di riferimento cui attingere per crescere un figlio
ci accorgiamo che la principale resta la nostra esperienza di figli,cioè la storia dei
rapporti con i nostri genitori.
Il processo mentale individuale di diventare genitori corrisponde a una lunga evoluzione
stratiforme che atyìtraversa l'infanzia,l'adolescenza e l'età adulta.
E' oppotuno tenere presente quella sottile distinzione fra il desiderio di una gravidanza
e il desiderio di un figlio distinto da sé.
Di fronte al raggiungimento dell'obiettivo prioritario,cioè procreare come gli altri ovvero
avere finalmente realizzato la gravidanza,può essere difficile per queti genitori
confrontarsi emozionalmente col bambino reale.
i modelli di comportamento genitoriale a cui più spesso ognuno fa riferimento sono
fondati sull'imitazione dell'esperienza vissuta e sulla contrapposizione rispetto a questa
esperienza.La dimensione imitativa è quella in cui si aderisce al modello proposto dai
propri genitori e si tenta di riprodurre le condizioni ,le relazioni e i modelli educativi che
fanno parte dell'esperienza personale.
La dimensione della contrapposizione è quella in cui ci si propone di modificar5e il
modello del fìgenitore che appartiene alla nostra storia personale con l'intento di
evitare ai figli quell'esperienze conflittuali che sono state fonte di conflitto e di
sofferenza.
Diventare genitori quindi può essere considerata da un punto di vista psicologico
un'esperienza che attiva un processo di sviluppo e di cambiamento in ogni singolo
soggetto e le mantiene lungo un percorso in cui i ruoli e le relazioni sono in continua
trasformazione.
Il funzionamento mentale dei genitori,e soprattutto della madre,si modifica nel senso di
includere la rappresentazione mentale del bambino.
La qualità del legame di coppia con le sue componenti libidiche,le sue costanti
relazionali e il suo assetto difensivo acquista una grande importanza nel senso di poter
funzionare come contenitore dei conflitti intrapsichici di ciascun coniuge al momento
della nascita del figlio,fornendo un contesto affettivo di sostegno alla genitorialità.Una
relazione solida e soddisfacente prima e durante il periodo del post-partum rende più
facile l'adattamento nel nuovo ruolo di genitori,accresce la capacità
genitoriale,preannuncia una buona competenza interattiva con i bambini.

IL LAVORO DELLA MATERNITà

LA GRAVIDANZA

I nove mesi della gravidanza offrono ai futuri genitori l'occasione per una preparazione
fisica e psicologica al nuovo ruolo che li attende.La preparazione psicologica è
strettamente correlata con gli studi della gravidanza e con la sua evoluzione:infatti se
compaiono complicazioni fisiche anche l'adattamento psicologico corre qualche rischio.
Il lavoro della gravidanza può essere distinto in tre diversi periodi ognuno dei quali

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corrisponde indicativamente ad un diverso stadio dello sviluppo fetale.
1°stadio-->I genitori si adattano alla novità della gravidanza che è accompagnata dai
progressivi cambiamenti del corpo della madre.I futuri genitori sanno che sono entrati
in una nuova fase della loro vita nella quale la dipendenza dai propri genitori deve dare
spazio alla responsabilità e il rapporto di coppia deve modificarsi in una relazione a tre.
La prospettiva di diventare genitori fa rivivere agli adulti la loro infanzia e le difficoltà di
crescita affrontate.La fantasia più frequente è quella di diventare genitori perfetti("non
come mia madre" "spero di fare meglio di loro"...).I futuri genitori desiderano
proteggere magicamente i loro figli dal mondo imperfetto e salvaguadarli dai sentimenti
di inadeguatezza e di fallimento di cui ne sono consapevoli.
L'intensità della preoccupazione rende la donna incinta così vulnerabile da far diventare
reali i suoi timori nei confronti dei danni a cui può essere esposto il feto:tutte le donne
per esempio pensano con ansia agli eventuali difetti fisici che il loro figlio potrebbe
avere.
In questo periodo la donna sviluppa bisogni di dipendenza molto forti che possono
portarla a stabilire legami molto forti con le persone che l'aiutano professionalmente
come il medico specialista o l'ostetrica.La donna si rivolge alla madre o alla suocera per
essere aiutata.
2°stadio-->I genitori cominciano a riconoscere il feto come un essere che alla fine
verrà separato dalla madre.La percezione dei movimenti fetali rappresenta il momento
in cui la madre comincia ad individuare il bambino come diverso da sé e come possibile
oggetto di relazione.
Il riconoscimento che il bambino è reale favorisce le ansie della madre sulle condizioni
di salute e sul sesso come anche le fantasie sul "bambino perfetto" che ella sogna come
una sorta di compenso per la fatica che sta portando avanti.
Condividere con il partner queste esperienze riconoscendo il suo ruolo paterno non solo
aiuta la donna ad affrontare la separazione con il feto,ma la rassicura che non sarà sola
nelle responsabilità del nuovo ruolo genitoriale e attenua i suoi timori di
inadeguatezza.Indagando l'esperienza soggettiva della maternità è emerso che
l'aspettativa nei confronti del partner è molto forte.
3°stadio-->I genitori cominciano a sperimentare il figlio come un individuo e il feto
contribuisce attivamente alla propria individuazione con ritmi e livelli di attività
crescenti.
Contemporaneamente all'evoluzione del feto i genitori si istruiscono al loro bambino
imparando a riconoscere le sue reazioni ai diversi stimoli,attribuendogli
intenzionalità,capacità interattive e carateristiche personali.E proprio in questo periodo
che prende forma nella mente dei genitori il "bambino immaginario" ovvero
un'immagine del figlio che corrisponde alle fantasie coscienti che i genitori esercitano
intorno al bambino ancora sconosciuto.Quest'immagine si sovrappone a quella fantasia
che Lebovici ha chiamato"bambino fantasmatico",che ogni bambina ha sognato come
immagine riparatrice e appagatrice di ogni solitudine,dolore e perdita,ricollegabile alle
fantasie incoscie dell'infanzia in cui si intrecciano le relazioni oggettuali personali della
madre e i conflitti con le sue immagini parentali,ed anche al cosidetto "bambino mitico"
corrispondente agli elemnti culturali che rapprentano l'involucro della genitorialità e
dell'educazione del bambino.
In vicinaza del parto i timori della donna sul bambino si riacutizzano al punto da
rendere difficile anche la loro verbalizzazione,ma la madre si difende sviluppando

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ulteriormente il suo attaccamento al bambinoe personificandolo sempre di più.
Il lavoro della gravidanza corrisponde quindi ad una totale riorganizzazione della
immagine di sè,dei rapporti con le figure dei genitori,della relazione di coppia,della
valutazione della realtà che la donna deve fronteggiare per acquisire una nuova identità
che comprenda anche l'acquisizione della funzione materna.
La gravidanza rappresenta comunque un fattore di stress a causa delle trasformazioni
biologiche,psicolgiche e ambientali che comporta per la donna,per la coppia e per la
famiglia nel suo complesso.
La maggioranza delle donne vive la maternità in termini di creatività e
gratificazione,oscillando nelle diverse fasi fra sentimenti positivi e negativi secondo la
personalità,la storia personale,le relazioni affettive e la situazione socio-culturale.(leggi
tabella 1).
Nel primo trimestre l'ansia della donna si coagula sopratutto nella sua persona,sui
sentimenti ambivalenti verso la gravidanza e sulla competitività nei confronti della
figura materna,ignorando quasi completamente l'esistenza del bambino.Nel secondo
trimestre ineve l'ansia della madre si concentra di più sul feto,spesso vissuto come
sconosciuto,limitante,fonte di vincoli e responsabilità e potenzialmente mal formato e
sulla preoccupazione di vedersi sformata fisicamente e di rimanere tale per
sempre.Questa sensazione di essere brutta costituisce un aspetto importante nelle
ansia in gravidanza ,e dal momento che coincide con una riduzione del desiderio
sessuale,può contribuire all'emergenza della gelosia nei confronti del partner.Nel terzo
trimestre la paura del parto come esperienza dolorosa e potenzialmente mortale,il
timore di non potere controllare l'angoscia,il timore per il bambino e la sua salute e
l'insicurezza sullr proprie incapacità materne rappresentano i principali contenuti
emotivi.

LA NASCITA

Alla nascita la madre deve essere pronta a stabilire un nuovo legame con il bambino e
disposta ad entrare in quella condizione che Winnicott chiama"preoccupazione materna
primaria",cioè uno stato di normale malattia in cui la sensibilità della madre è così
amplificata da renderla capace di mettersi nei panni del neonato sviluppando una
sorprendente capacità di identificarsi con lui e di comprendere e soddisfare le sue
esigenze in modo tale che nessun insegnamento potrebbe far conseguire.
Mentre durante la gravidanza l'unità biologica consentiva alla donna di contenere il feto
e le ansie provocate dallo stato gravidico,dopo la nascita il bambino diviene il polo
trainante di una madre che acconsente in misura maggiore o minore di entrare in una
relazione particolare in cui il sistema diadico madre-bambino costituisce la base
dell'organizzazione del sé del bambino.
Stern ha definito"costellazione materna"la nuova organizzazione psichica che investe la
madre in occasione soprattutto della sua prima esperienza materna.Come
organizzatore psichico la costellazione materna determina una nuova serie di
azioni,sensibilità,fantasie,paure e desideri che costituiscono la linea dominante della
vita psichica della donna.Essa riguarda tre aspetti:
1)il rapporto della madre con sua madre e soprattutto in quanto madre di lei bambina;
2)il rapporto con sé stessa in quanto madre;
3)il rapporto col suo bambino.

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Questo stato mentale materno ha dirette ripercussioni sulle relazioni che la madre
stabilisce con gli altri,siano essi i sanitari,il marito,le altre donne i genitori,relazioni che
sono prevalentemente centrate sul desiderio di essere aiutata.Una mancanza di
risposta a questi bisogni viene considerata dalle donne come un rifiuto a sostenerle.

SCHEMATIZZANDO,LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE CHE LA DONNA DEVE


AFFRONTARE ALLA NASCITA COMPRENDONO:
• la perdita della fusione con il feto e delle fantasie di completezza e onnipotenza favorite
dalla condizione gravidica.
• il lutto per il bambino immaginato durante la gravidanza e l'adattamento alle
caratteristiche del figlio reale
• l'adattamento ad una persona che provoca inizialmente sentimenti di estraneità
• dominare i timori di doter danneggiare il bambino fragile e indifeso
• imparare a tollerare la dipendenza totale del bambino e riuscire a trarne soddisfazione e
piacere
• stabilire una relazione sufficientemente buona con il bambino
• mantenere la relazione di coppia
• mantenere le altre relazioni con i figli e con le persone della famiglia.

ATTEGGIAMENTI MATERNI

Joan Raphael-Leff(1986)ha definito due diversi stili di comportamento materno che


caratterizzano la gravidanza e tutto il primo anno di vita del bambino:
la madre facilitante si sa adattare ai ritmi del bambino,si lascia guidare dall'intuito e dai
segnali che il bambino le manda e sarà particolarmente capace di assecondarne le
spinte evolutive.Per lei avere un figlio,è un'esperienza centrale che sente come un
completamento della sua esistenza e della vita di coppia.Per entrare in sintonia con il
bambino deve regredire psicologicamente e rimettersi in contatto con con la propria
storia infantile soprattutto in relazione con la propria figura materna.Tutto questo la
spinge a distaccarsi in parte dalle relazioni sociali e a vivere dentro di sé,sentendosi in
alcuni momenti come il feto che porta nel suo corpo.
Inizia così un intenso legame col figlio,che durante il primo anno diventa il compagno
inseparabile di cui la madre si sente privata ogni volta che deve lasciarlo o affidarlo a
qualcun altro anche per brevi periodi.
La madre regolatrice è la madre per la quale esistono delle norme a cui cerca di
attenersi sia per quanto riguarda il concepimento che lo svolgimento della gravidanza e
l'accudimento del bambino.Questo tipo di donna crede che ad un certo punto della vita
è giusto avere dei figli,che rappresentano il copletamento della vita di coppia.La
gravidanza non interferisce troppo nella vita della donna che non si vuole far
condizionare eccessivamente.Sente come una minaccia i cambiamenti fisici ede motivi
e cerca di non farsi influenzare dallo stato di gravidanza e dalla presenza del
bambino,rinforzando le proprie difese psicologiche.Ha di solito idee precise su come
allevare un bambino e si aspetta una corrispondenza completa tra i suoi schemi mentali
ed il comportamento del neonato.
In questo tipo di donne la maternità può riattivare antichi conflitti che possono rendere
particolarmente difficile questa esperienza.Possono provare invidia per le tenerezze
rivolte al bambino da parte delle persone dell'ambiente circostante,e vivere

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priettivamente come appartenenti al bambino sentimenti di avidità e risentimento che
caratterizzavano la loro infanzia ed erano diretti verso la figura materna.
Riassumendo:La madre facilitante è è una donna che si lascia andare con piacere alla
maternità,mentre la madre regolatrice è una donna che tenta di mantenere un controllo
razionale sulle fantasie.
Questi diversi modelli di stile materni spesso coesistono nell'atteggiamento corrente
della madreverso il bambino,in una continua alternanza e sovrapposizione di stati
emotivie comportamenti interattivi.
I diversi stili richiamano l'esperienza infantile che ogno donna ha vissuto con la propria
madre.

IL LAVORO DELLA PATERNITà

Quando un uomo viene informato per la prima volta della gravidanza della sua
compagna rimane colpito da un flusso di emozioni intense che sono per lui
inconsuete.Infatti è frequente che gli uomini vivano il figlio con sentimenti ambivalenti
fino dall'inizio della gravidanza,combattuti tra la soddisfazione e il riaccendersi di antichi
conflitti.
La figura del padre è stata infatti spesso relegata nel ruolo di spettatore ai margini della
relazione duale madre-bambino,interpretando come assenza questa bmarginalità.
La paternalità e la maternalità sono l'insieme dei processi psicoaffettivi legati al divenire
rispettivamente padre e madre.
Il diventare padre può essere considerato come un momento di crisi che comporta la
elaborazione di una serie di cambiamenti,di conflitti e di angosce collegate alle
vicissitudini della realtà esterna e del mondo interno;questa elaborazione costituisce un
lavoro psicologico,il lavoro della paternità,che si svolge simmetricamente a quello della
madre.
La paternità riattiva nell'uomo timori di abbandono da parte dei genitori e sentimenti di
gelosia e rivalità che richiamano situazioni di conflitto vissute in passato quando la
nascita di un fratello lo aveva privato parzialmente dell'amore materno.Il padre si trova
ad essere il terzo elemento anche nella relazione con la compagna,dalla quale teme di
essere escluso.Una delle prime reazioni è infatti una sensazione di esclusione.La moglie
infatti concentra il suo interesse sempre di più al bambino e su stessa e divene lei
stessa il centro d'attenzione di tutti gli altri,mentre quasi nessuno si preoccupa di
quanto accade al padre.
Questi sentimenti sono complicati dal senso di responsabilità che il padre prova verso la
gravidanza:quasiasi fenomeno sperimenti la moglie,vomito,nausea,stanchezza o
altro,tende ad attribuirsene irrazionalmente la colpa.L'uomo si trova anche ad
affrontare una seirie di dubbi sulle sue reali capacità di provvedere alla famiglia,di
essere un padre premuroso ed un compagno affidabile per la moglie.
La maternità riattivca nell'uomo anche la sua antica doppia natura
sessuale:l'identificazione con la donna si traduce in invidia per le capacità
esclusivamente di produrre bambini attraverso il corpo e di nutrirli, e la rivalità verso la
donna rimanda ai conflitti vissuti con la propia madre,nel senso di inferiorità provato
nei suoi confronti in ragione del desiderio infantile di avere un bambino,presente anche
nel maschio.
I nuovi padri che spesso ricercano e ottengono l'uguaglianza con la madre,possono

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fornire il sostegno pratico che circonda e protege la madre nella prima relazione con il
neonato e possono partecipare anche a tutti i compiti di cura con buoni risultati.
Tuttavioa,come nota Stern, il padre non può nfungere da modello per la madre in modo
articolato ed esperto,poichè nel fare il genitore è inesperto quanto la sua compagna e
quindi sarà inadatto sotto questo aspetto del supporto.
Il suo apprezzamento come marito.padre e uomo,è di grande importanza,ma è di un
ordine diverso e può soddisfare solo una parte di holding psicologico della
madre.Sottoposto a questo bisogno,l'uomo rischia di venire in
parte"maternalizzato"cioè di venire investito di una competenza materna che non uèò
avere.
Mentre la donna non può sottrarsi alla gravidanza,il padre ha maggiore libertà d'azione
per quanto riguarda l'intensità del suo impegno;può infatti scegliere di mettersi da
parte ignorando quanto sta accadendo,come può allontanarsi concretamente dalla
situazione dedicandosi ad avventure extraconiugali o sviluppando un'impotenza
sessuale oppure ricorrendo all'alcool.
In alcuni soggetti l'identificazione con la moglie incinta si può esprimere nella"sindrome
della couvade"che si manifesta attraverso un comportamento rituale che mima le varie
fasi del parto mentre questo si sta svolgendo.
Anche l'uomo in occasione della sua paternità tende a rivivere,il rapporto con il proprio
padre.Una adeguata identificazione con la figura del padre consente di affrontare la
complessità e le difficoltà della funzione paterna.
Nonostante le difficoltà a cimentarsi nelle nel ruolo paterno,spesso ,l'uomo dichiara di
aver provato un sentimento di piacevolezza e di intensa attrazione ai primi contatti fisici
col bambino.
Una tale esperienza può avere importanti conseguenze sul triangolo familiare dal
momento che un padre che ha vissuto tali sentimenti è più improbabile che si senta
escluso o messo da parte dal bambino.
La costruzione mentale della funzione paterna corrisponde indubbiamente ad un
complesso percorso che richiede importanti capacità elaborative.
Quindi una buona funzione paterna è caratterizzata proprio dalla capacità di tollerare la
frustrazione di trovarsi escluso dalla relazione duale e di non essere sopraffatto dai
sentimenti ambivalenti che comporta il compito i mediare l'accesso alla realtà ed
impedire la ricomposizione continua della diade.
Il padre offre la possibilità di modificare il rapporto del figlio con i suoi bisogni in quanto
favorisce la sua indipendenza sia nelle percezioni di sé stesso che nella sua autonoma
soddisfazione.Altrettanto importante è la funzione normativa del padre,cioè di guida
rispetto alla realtà e di limite alla onnipotenza simbiotica che nel corso dello sviluppo
del bambino si deve progressivamente ridimensionare.
La funzione paterna infatti viene considerata importante per la costruzione di un sé
autonomo in quanto introduce la realtà esterna nel campo comunicativo del bambino e
facilita l'acquisizione dell'intersoggettività.
In sintesi diventare padre richiede ad ogni uomo un complesso lavotro psicologico di
adattamento a questa nuova funzione ce può avere un esito positivo,come nella
maggior parte delle persone,oppure in alcuni soggetti,un esito insufficiente o
inadeguato collegabile con ragioni complesse che riguardano i rapporti tra le
caratteristiche della personalità,le esperienze affettive precoci,e gli eventi della vita.

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LE INTERAZIONI PRECOCI

LA RELAZIONE DIADICA

Durante la gravidanza il legame col feto si forma in modo analogo a qualto avviene
dopo la nascita nella relazione madre bambino.La donna inizia così le sue fantasie sul
bambino,impara a riconoscere i diversi movimenti,e spesso conversa col bambino
originario,usa appellativi affettuosi per rivolgersi a lui e coinvolge il marito in quetsa
attività fantastica.
Mentre durante la gravidanza l'unità biologica consentiva alla donna di contenere il feto
e le angosce suscitate in lei dallo stato gravidico,dopo la nascita il bambino diviene il
polo trainante di una madre che acconsente,con una disponibilità variabile per intensità
e qualità,ad entrare in una relazione in cui il sistema diadico madre-bambino costituisce
la base dell'organizzazione del sé con il bambino.I bambini e i loro caregiver sono
parte di un sistema regolativo e interattivo in cui si influenza e si regolano
reciprocamente.
La capacità di prestare cure materne è stata spesso considerata come il risultato della
combinazione di predisposizioni biologiche e di interventi dipendenti da fattori culturali.
Gli studi riguardanti le prime fasi dello sviluppo infantile hanno rappresentato a partire
dagli anni settanta un momento di rottura,mettendo in luce le complesse competenze
percettive,cognitive ed interattive presenti nel bambino già in questo periodo.I neonati
della specie umana appaiono adattati rispetto ad un ambiente nel quale sono presenti
consistenti contatti interpersonali.Già prima dei due mesi i bambini sono in grado di
compiere la fondamentale distinzione tra persone e oggetti e sono in grado di reagire
alla qualitò del comportamento del caregiver,rappresentato in primo luogo dalla madre.
Gli affetti e le emozioni,svolgerebbero sin dalle origini dello sviluppo un ruolo di
reglazione delle prime interazioni del bambino,oltre che di organizzazione del suo
mondo intrapsichico in via di formazione,fungendo contemporaneamente da prima
codifica della realtà circostante.
I bambini sono in grado di comprendere il contenuto delle diverse sepressioni emotive
prodotte dalla madre.
Le reazioni dei bambini sembrano anche essere influenzate dal contesto nel quale
avviene la comunicazione:ad esempio,una madre che porta una maschera provoca una
risata mentre un estraneo che indossa la stessa maschera provoca distress e paura.
Le ricerche attuali quindi convergono nell'evidenziare come la competenza affettiva del
bambino si leghi strettamente a quella che la madre è in grado di manifestare nei
confronti di quest'ultimo.
Trevarthen assegna un ruolo fondamentale alla competenza emotiva del
bambino,individuando una condizione di comunicazione intersoggettiva tra quest'ultimo
e i suoi caregiver dal primo semestre di vita.Esiste una relazionalità tra madre-bambino
e tale relazionalità che copre i primi tre mesi di vita,è definita"intersoggettività
primaria"perchè è ristretta alle interazioni entro la diade madre-bambino,mentre nella
successiva fase di intersoggettività secondaria le interazioni sono mediate da oggetti
terzi,cioè oggetti presenti nel campo percettivo diadico come ad esempio anche il
padre.
I risultati delle diverse ricerche concordano quindi nell'affermare che la comunicazione
hnel periodo dell'intersoggettività primaria è puramente emotiva in quanto si

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scambiano solo emozioni.
L'intersoggettività secondaria è preparata da un periodo intermedio,dai quattro ai sei
mesi,in cui il bambino si interessa alle cose che possono essere afferrate e
manipolate,la sua attenzione si sposta progressivamente dalla madre allo spazio
circostante e l'interazione con lei si evolve in una triangolazione fra lui,la madre e le
cose interessanti che scopre in quello spazio.Ciò appare chiaramente dal fenomeno
dell'attenzione condivisa:già prima dei sei mesi i bambini sono in grado di seguire
l'orientamento dello sguardo della madre e di condividere con lei l'attenzione.
Le interazioni col sistema biologico sono più importanti nell'embriologenesi e
continuano in modo meno vistoso dopo la nascita,mentre le interazioni con il sistema
sociale ddominano la maggior parte del peiodo che va dalla nascita all'età adulta.
Attraverso lo sviluppo psicologico i bambini sono capaci di una conoscenza
autoregolata.Il contributo dei genitori è vincolante per lo sviluppo dei bambini ma è
anche determinato in modo molto complesso,cioè il complesso delle caratteristiche che
organizzano il sistema di allevamento dei bambini in una società,e del proprio codice
familiare,cioè il complesso di storie e rituali che regolano lo sviluppo di soggetti che
partecipano al sistema condiviso della famiglia.E' quindi importante indicare il genitore
come un agente di regolazione dello sviluppo del bambino,ma anche riconoscere che il
comportamento del genitore èesso stesso racchiuso in contesti di regolazione e che il
bambino rappresenta anche un elemento regolatore dell'interazione tra sè e i genitori e
della relazione fra genitori.
Il concetto di regolazione fa riferimento a quelle situazioni evolutive che sono state
definite "macroregolazioni,miniregolazioni,microregolazioni"
Macroregolazioni---> si intende momenti della vita che fanno parte della tabella di
marcia di una cultura(svezzamento,addestramento alla pulizia,scolarizzazione).
Miniregolazioni--->Si fa riferimento alle attività che operano quotidianamente nella
famiglia e riflettono le ripetute esigenze di accudimento(nutrire i bambini,punirli,).
Microregolazioni--->si intendono interazioni momentanee tra il bambino e la persona
che se ne prensìde cura.
I tre livelli di regolazione sono in costante interazione in quanto la famiglia si costruisce
le abitudini di accudimento influenzata dalle norme sociali e dalle tradizioni familiari.
Il sitema diadico madre-bambino è organizzato fin dalla nascita come uno scambio
ininterrotto di adattamento e di regolazione reciproca in cui le progressive competenze
del bambino pongono la madre in condizioni di modificare il propro comportamento in
sintonia con quello del figlio e di speimentare risposte diverse ad ogni sua nuova
necessità.
La reciprocità delle inetrazioni permette la trasmissione delle emozioni e la percezione
degli stati emotivi dell'altro:il bambino infatti partecipa allo stato affettivo della
madre,lo può influenzare e sembra anche poterlo ricercare dentro di se.
La funzione di contenimento(holding)garantisce al bambino nel corso dello sviluppo ed
il ruolo di "base sicura",che consente al bambino di esercitare la sua capacità
esplorativa e creativa avendo con la sicurezza di essere tranquillizzato e rassicurato
dalla madre nelle situazioni di ansia e pericolo,costituiscono il presupposto di uno
sviluppo cognitivo e affettivo relativamente armonico.
La prospettiva evolutiva rileva quindi le origini dell'organizzazionbe interna(sé)
nell'organizzazione diadica.

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L'ATTACCAMENTO

Il concetto di attaccamentopuò essere definito come una relazione o legame affettivo


che ciascun individuo stabilisce con un con specifico;tipicamentesi instaura tra il
bambino e la madre e,più in generale,con le figure con cui il bambino interagisce in
modo precoce,privilegiato e continuativo.
Il legame che risulta da queste interazioni costituisce una relazione che è il rodotto di
una storia di interazionie,cometale,può influenzare le interazioni siccessive non solo con
la persona con cui c'è stato un attaccamento,ma anche con altre figure significative.
Bowlby ha elaborato la teoria dell'attaccamento,utilizzandocome corpus di riferimento la
PSICOANALISI.Rispetto ai paradigmi precedenti che vedevano il legame madre-
bambino soprattutto come dipendenza,la teoria dell'attaccamento propone un decisivo
cambiamento di prospettiva:il legame non è secondario alle cure fisiche ma primario,e
si crea tra il bambino e la madre un attaccamento che presuppone l'esistenza di una
predisposizione del bambino verso la madre.
La psicoanalisi offriva due diverse descrizioni del rapporto madre-bambino:La teoria
pulsionale e la teoria delle relazioni oggettuali.
La prima veniva dalle prime formulazioni di freud:Il bambino sperimenta la libido e la
madre diviene il veicolo per la scarica di questa tensione(attraverso l'allattamento al
seno)e se la madre è assente,cresce questa tensione che viene sentita come
un'angoscia dal bambino.
La seconda teoria di freud:L'angoscia viene sperimentata al momento della separazione
dal bisogno fisiologico che la madre può dargli (angoscia segnale)sottolineando cheche
è l'assenza della madre la situazione che rappresenta un pericolo per il bambino.
Melanie klein teorizzò uno stretto legame fra i processi fisiologici di nutrimento ed
evacuazione e gli inizi delle strutture mentali ed etiche nel bambino piccolo nel senso
che il seno che nutre e dà calore è il prototipo dell'oggetto buono,mentre il seno
assente rifiutante è quello dell'oggetto cattivo contenente non solo le reali mancanze e
assenze di relazione da parte della madre,ma anche le relazioni del bambino piccolo a
queste mancanze proiettate nel seno cattivo e attribuite ad esso.
La teoria dell'attaccamento si riferisce in primo luogo al bisogno di vicinanza del
bambino ad una figura di riferimento,tendenzialmente la madre con cui stabilisce un
legame,definito per la prima volta come "interazione".Il succhiare l'aggrapparsi,il
piangere,il sorridere,sono modalità di interazione e di attaccamento con la madre
innate,che il bambino possiede come meccanismi specifici.
Sia l'attaccamento che il comportamento di attaccamento sono basati sul sistema dei
comportamenti di attaccamento,cioè un modello del mondo in cui vengono
rappresentati il sé,gli altri significativi e le loro interrelazioni e che codifica il particolare
pattern di attaccamento mostrato da un individuo.Il comportamento di attaccamento è
attivato dalla separazione dalla figura di attaccamento.Tale comportamento si attenua
quando questa figura è vicina.
Nei primi mesi di vita,il neonato nasce già predisposto a stabilire legami con gli altri
esseri umani ma,a causa della sua immaturitàoccorre del tempo perchè la relazione di
attaccamento possa manifestarsi.Egli è in grado fino dalla nascita di orientarsi verso il
volto umano e stabilire un contatto visivo.Mentre inizialmente egli invia segnali ad ogni
adulto che gli si avvicina perchè ancora non è in grado di distinguerli,nel corso dei primi
mesi di vita impara a riconoscere il padre e la madre.Così inizia a costituirsi

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l'attaccamento verso di loro che è fondamentale sia per lo sviluppo psicofisico del
bambino che per la costituzione della sua identità e per tutti gli atti della vita
successiva.
Nel primo anno di vita il sistema di attaccamento funziona nel bambino con l'obiettivo
di mantenerlo costantemente vicino alla madre,usandola come una base sicura per le
esplorazioni,quando la minaccia ambientale è al monimo.Nella seconda metà del primo
anno comincia a divenatre evidente che si è creata una relazione di attaccamento:ad
esempio intorno ai sette mesi compare nel bambino l'ansia dell'estraneo.
Dai tre anni inoltre con l'avvento del linguaggio e l'espandersi della complessità
psicologica del bambino sorge un pattern più complesso di attaccamento.La teoria
dell'attaccamento si fonde con una teoria generale sulle relazioni o legami affettivi e su
come esse vengono mantenute controllate e possono fallire.
Un concetto chiave è quello di modello operativo interno derivato dalla prospettiva
psicoanalitica e cognitivista.Il bambino in fase di sviluppo costrusce una certa quantità
di modelli di sé stesso e degli altri basati su pattern ripetuti di esperienze
interattive.Queste rappresentazioni delle interazioni che sono state generalizzate
formano modelli rappresentazionali relativamente fissi che il bambino usa per predire il
mondo e mettersi in relazione con esso.Tali rappresentazioni emergono come il risultato
delle interiorizzazione della qualità delle interazioni ripetute fra il bambino e la figura di
attaccamento.
I modelli operativi interni dell'attaccamento che si costruiscono nella prima infanzia
sono relativamente stabili e molto persistenti.E' attraverso il costituirsi di tali modelli
che i pattern di attaccamento dell'infanzia vengono trasposti nella vita adulta e
trasmessi alla nuova generazione.
Gli attaccamenti di un bambinonei confronti dei caregiver possono essere divisi in sicuri
e insicuri.Queste classificazioni sono basate sul comportamento di bambino dai 12 ai 20
mesi di età,osservato e codificato nel corso di una situazione sperimentale
specifica(strange situation).(LEGGERE BOWLBY E I MODELLI DI ATTACCAMENTO SUL
MANUALE DI SVILUPPO O DOVE VUOI)
L'espressione base sicura è stata usata per la prima volta da Ainsworth per descrivere
l'atmosfera affettiva creata dalla figura di attaccamento alla persona che le si attacca,in
altri termini dalla madre nei confronti del bambino.La funzione della base sicura è che
essa crea la possibilità di attivare nel bambino la curiosità e l'esplorazione del mondo
esterno;quanto più quetsa figura è lontana o divine einaffidabile,tanto maggiore sarà la
spinta del bambino a mettere in atto un comportamento di attaccamento,dal momento
che il bisogno di legame si fa sentire prepotentementesul piano affettivo.
Gli autori successivi a Bowlby spostano progressivamente il loro interesse dal
considerare l'attaccamento come un sistema che mantiene bambino e genitori in
contatto fisico,visivo e acustico l'uno con l'altro che può alterarsi solo in caso di
perturbazioni massicce della relazione come nel caso della perdita della madre o la
separazione dai genitori,e si concentrano da un lato sullo studio della relazione di
attaccamento nel contesto di caregiver multipli.
Il problema dei caregiver multipli è un dato di realtà della nostra attuale cultura dove i
bambini si trovano ad avere una rete di adulti nel ruolo di figure di accudimento anzichè
solo la madre.
La costruzione dell'attaccamento con i caregiver alternativi(insegnanti,nonni,baby-
sitter,operatori..)sembra simile a quella dell'attaccamento materno.

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La Adul Attchment Interview/AAI),è uin intervista semistrutturata costruita per
indagare lo stato mentale di un genitore rispetto alle proprie esperienze precoci di
attaccamento e degli effetti di queste esperienze sulla personalità e sul funzionamento
attuali.Le modalità con cui le persone producono la narrazione relativa alla loro storia e
alle figure di attaccamento costituiscono un modello della rappresentazione
mentale(modello operativo interno) che hanno costruito;si ritiene infatti che la forma
narrativa attraverso la quale un individuo può parlare di sé e della propria esperienza di
attaccamento sia un comportamento misurabile,analogo allo schema mentale costruito
nel corso dello sviluppo.
Le categorie relative all'attaccamento dell'adulto sono state classificate dagli autori
come:
1)sicuro /autonomo;
2)Abbandonanate/distaccato;
3)Preoccupato/intrappolato;
4)Irrisolto/disorganizzato.
(LEGGERE L'ADULT ATTACHMENT INTERVIEW SU SVILUPPO)
Utilizzando questo strumento,gli autori hanno descritto i pattern di attaccamento
dell'adulto e messo in relazione questi con i modelli del bambino individuando fortio
analogie,specialmente nelle madri,fra sicurezza infantile e adulta.
Sul versante dello studiodella complessità della relazione madre-bambino è stato vosto
che la sensibilità materna e la capacità di mettersi in sintonia con il bambino sono
considerate caratteristiche essenziali nel determinare il costituirsi di legami di
attaccamento sicuri o insicuri,nella condivisione sociale dell'esperienza e
nell'acquisizione di un senso del sé nel bambino.
La sintonizzazione affettiva implica che il genitore sia in grado di leggere lo stato
mentale del bambino e coglierne l'esperienza interna a partire dal comportamento e
che il bambino sia in grado a sua volta di leggere questa risposta manifesta del
genitore e rendersi conto che essa riflette la sua esperienza affettiva originaria che gli
permette di percepire in che modo egli viene percepito dai genitori.
Di conseguenza le mancate sintonozzazioni,le sintonizzazioni imperfette e le stesse
sintonizzazioni hanno implicazioni cliniche di vario tipo nello svilppo del bambino.
Quella che è stata definita"funzione riflessiva"consiste nel comprendere l'esperienza
psicologica propria e degli altri,di entrare nell'esperienza di un altro,di leggere la mente
di un altro.
Lo sviluppo della funzione riflessiva permette al abmbino di dare un senso e rendere
prevedibile il comportamento degli altri e gli permette di ripondere in maniera adattiva
a una gamma di situazioni interpersonali.
Soprattutto può fornire protezione contro gli effetti dannosi di un abuso e dei traumi.
La capacità della madre di entrare nella mente del figlio costituisce probabilmente un
aspetto vitale dell'accudimento materno empatico e sensibile.L'esperienza di sé come
reale,conosciuto e dotato di intenzionalità è centrale per l'esperienza della sicurezza.
Madri e padri devono essere considerati in linea di massima intercambiabili per quanto
riguarda la capacità di caregiver e il padre può avere la funzione di figura di
attaccamento sostitutiva quando,ad esepio la madre non può svolgere il suo ruolo
perchè sofferente di una grave forma di depressione,oppure quando la qualità della
interazione madre-bambino è estremamente negativa.Col passare del tempo comunque
il padre è sempre meno un satellite della madre e diviene progressivamente un'entità a

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sé stante che acquisisce la funzione di mediatore della separazione fra il bambino e la
madre e di catalizzatore della sublimazione dell'aggressività attraverso il gioco,oltre che
di intermediario fra il bambino e il mondo esterno..

IN SINTESI--->Come disciplina scientifica la teoria dell'attaccamento offre dei vantaggi


in quanto,fondandosi sull'osservazione diretta dell'interazione genitore-bambino,fa
riferimento all'osservazione dello sviluppo normale,che può essere quindi utilizzato
come parametro per la comprensione della psicopatologia,permette inoltre di costruire
un quadro complessivo del comportamento genitoriale adeguato e comporta importanti
implicazioni nella ricerca e nel lavoro.

IL TRIANGOLO PRIMARIO

Rimanendo nell'ambito relativo alle ricerche sulla famiglia ci si riferisce allo studio della
famiglia come gruppo reale o praticante,secondo la distinzione proposta da
Reiss(1989),secondo la quale la famiglia può essere studiata sia come represented
family(famiglia rappresentata)sia come praticing family(famiglia come gruppo rela ein
interazione),nel comune presupposto che sono le relazioni familiari che danno forma al
nostro sviluppo in quanto caratterizzate da stabilità e coerenza.
Stern(2005)mette in evidenza che l'intersoggetività, o anche la competenza
all'intersoggettività come portato motivazionale di base,riguarda innanzi tutto i gruppi
come componente dell'insieme maggiore e poi l'interazione tra due persone,anticipando
uno degli aspetti più interessanti di questa prospettiva che mette in discussione la
visione classica dello sviluppo che presuppone un percorso che va dalla diade alla
triade,dalla capacità cioè di regolare le relazioni diadiche per poi accedere a quelle
triadiche e alla triangolazione.
Anche gli studiosi dello sviluppo danno importanza alle interazioni triadiche;in realtà si
descrive l'interazione tra il bambino e la madre in riferimento ad un oggetto o un
evento terzo,che compare solo tra i 7 e i 9 mesi,combinando la comunicazione riguardo
all'azione con gli oggetti con l'interazione diadica diretta.In quel periodo il bambino
inizia a comprendere che i genitori e lui stesso hanno cose nella mente come un focus
attentivo o un'intenzione o un sentimento interno,stati della mente che possono essere
simili o diversi,condivisi o meno,armonizzati o meno.
Lo spostamento intersoggettivo del bambino corrisponde a un cambiamento nelle
risposte dell'adulto che si prende cura di lui:la sintonizzazione degli affetti prende il
posto dell'imitazione.
Interazioni triangolari,cioè in quelle che avvengono tra tre persone,come ad esempio il
bambino e la madre che comunicano con un altra persona come il padre.Da risordare
che il versante interattivo riguarda il comportamento osservabile ed è costituito da
pattern di azioni e segnali comunicativi tra i partner,mentre quello intersoggettivo si
riferisce allo stato psichico interno e comprende le intenzioni,isentimenti,e i significati
condivisi nella relazione fra le persone e fra i membri della famiglia,ovviamente i due
versanti sono indissociabili.
La competenza triangolare del bambino può essere intesa come una parte integrante
della motivazione diretta verso le persone e non dovrebbe essere confusa con lo
sviluppo di pratiche coordinate fra persona e l'oggetto.Possiamo quindi presupporre che
probabilmente dal punto di vista etologico le abilità che un bambino utilizza nel gioco

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possono essere trasferite dal gioco a due al gioco a tre,oppure che le abilità di
sintonizzazione e regolazione affettiva nelle interazioni triangolari possono essere
parallele a quelle diadiche,più studiate e documentate.
Una recente teorizzazione sullla dinamica dei processi interattivi nella famiglia ipotizza
l'esistenza di una triangolazione primaria alla base delle comunicazione che
intercorrono fin dai primi mesi di vita tra il bambino ed entrambi i genitori,che
rappresenta un processo normativo nelle inetrazioni familiari come nelle relazioni
interpersonali,che sono fondate proprio sulla dinamica delle triangolazioni.
Il concetto di triangolazione viene utilizzato sia nella teoria psicodinamica che in quella
dei sistemi familiari.
Toeria psicodinamica--->Il termine fa riferimento all'esperienza edipica soggettiva
del bambino relativa al sentimento di esclusione dalla relazione intima fra i genitori
descritta da Freud fra i tre e i quattro anni di età.
Teoria dei sistemi familiari--->Il termine fa riferimento al processo problematico in
cui un bambino viene preso nella relazione conflittuale con i genitori al fine di deviarne
la tensione.
Sia nella triangolazione psicodinamica che in quella dei sistemi familiari sono le
caratteristiche dolorose del conflitto a renderla una tematica di fondamentale
importanza.
Le donne,anche nelle famiglie in cui l'accudimento è condiviso fra varie
figure,svolgo9no la parte piu importante della cura necessaria al bambino.
Questo fenomeno è stato discusso studiando la differenza fra l'uomo che "fa"il genitore
e la donna che "è" genitore.Molti uomini sperimentano un senso di frustrazione e si
sentono esculsi dalla relazione diadica madre-bambino nei primi mesi dopo il parto
mentre altri cercano comunque di rimanere vicini alla propria partner ed al bambino.
Il coinvolgimento paterno viene tendenzialmente valutato secondo il grado di
partecipazione all'accudimento pratico del bambino,e nella gestione delle necessità
domestiche,ma potrebbe essere meglio compreso considerando anche la percezione
che la donna ha del contributo del partner nei confronti del bambino e della famiglia.
Il mutuo coinvolgimento genitoriale dovrebbe favorire lo sviluppo infantile in funzione di
quanto i partner reciprocamente si adattano alla modalità genitoriale dell'altro.Quando
un genitore,sia esso padre o madre,tenta di imporre all'altro il suo punto di vista sul
tipo di accudimento del bambino,si può giungere ad una disorganizzazione familiare.
La madre è il centro emotivo della famiglia e tutte le dinamiche del gruppo familiare
fanno comunque riferimento alle risposte della madre alla nuova condizione di genitore
ed al ruolo che assumono i due partner,tanto che le differenze individuali delle donne
nella transizione alla genitorialità possono detrminare le modalità delle dinamiche del
gruppo familiare.
Sebbene molte madri vivano i loro partner come un supporto e siano motivate a
delegare le responsabilità,poche considerano realmente il padre come sostitutivo per le
funzioni materne.
Un altro fattore importante è la considerazione che la donna ha del contributo che il
proprio partnerdà all'accudimento del bambino,e la volontà della madre di creare uno
spazio per lui nella triade familiare.

VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI PRECOCI

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Le diverse tecniche di valutazione fanno riferimento ai presupposti teorici illustrati nel
descrivere le interazioni precoci.

GLI STUMENTO OSSERVATIVI

Bernard:L'osservazione come metodo scientifico per raccogliere dati rilevanti per una
particolare ipotesi può essere invocata ,quando l'osservatore non interviene
direttamente sul fenomeno oggetto di osservazione,o provocata, quando,invece,oggetto
di osservazione è il risultato di una qualunque manipolazione della realtà effettuata
dall'osservatore.
Anche se la prima osservazione di un bambino è quella riportata da Freud nel famoso
gioco del rocchetto,in cui egli stesso sottolinea l'importanza ed il potenziale euristico
dell'osservazione diretta del comportamento,la formulazione e la definizione di un
metodo osservativo su base psicoanalitica si delinea intorno agli anni 50 e si consolida
negli anni 60 nell'ambito della psiocologia dell'Io(Hartmann,Anna Freud,Margaret
Mahler).
Fra i contributi che si siono avvalsi della metodologia osservativa quelli di Spitz e di
Stern si spostano verso un nuovo territorio in cui l'osservazione psicoanaliticamente
orientata entra nell'area della ricerca empirica.Spitz negli anni 50 rivolge il suo
interesse soprattutto all'io,alla sua onotgenesied alla sua struttura preoccupandosi di
evitare nelle teorie psicoanalitiche estrapolazioni arbitrarie.Egli si propose di fondare la
psicologia dell'io sull'osservazione diretta del bambino come garanzia di obiettività
scientifica,sviluppando una tecnica originale di osservazione denominata"screen
analysis",intesa a distanziare maggiormente osservatore ed osservato.
Stern ha introdotto in modo sistematico le metodiche osservative orientate in senso
psicoanalitico per studiare i sistemi regolativi del sé infantile.Il suo contributo
rappresenta una pietra miliare sugli studi sull'infanziaper il rigore metodologico,per la
novità del suo impianto e per la prospettiva interazionale nella diade madre-
bambino,volgendo l'attenzione alla particolarità degli scambi affettivi tra i due,mettendo
in luce la capacità della madre di sintonizzarsi con gli stati d'animo del bambino e
traducendone il profilo in una configurazione comportamentale.Le ricerche di stern
mettono in discussione alcuni capisaldi del modello psicoanalitico dello sviluppo
infantile,come ad esepio la teoria delle pulsioni.
Il neonato,infatti,biologicamente ìè "predisposto" ad instaurare relazioni sociali con la
madre e gli altri esseri umani,non è passivo e totalmente dipendente dalla madre,ma è
in grado di stimolare le interazioni sociali oltre che rispondere.
Secondo Stern vi è uno stato sombiotico costituito da relazioni interdipendenti e
mutuamente vantaggiose per i due partner;i comportamenti individuali sono
separabili,ma in virtù dell'interazione il ciomportamento dell'uno è indecifrabile quando
viene separato.

ELENCO DEGLI STRUMENTI OSSERVATIVI:

1)Infant Observation--->Prevede che un operatore addestrato esegua


un'osservazione diretta e partecipe del bambino durante i primi due anni di vita come
strumento per comprendere sia la specificità della relazione madre-bambino,sia i vissuti
di entrambi con gli altri membri della famiglia all'interno della propria casa.Attraverso

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l'uso di questa tecnica si vuole conoscere in modo approfondito come i bisogni,il mondo
interno del bambino e le funzioni già presenti alla nascita si integrano tra loro ed
interagiscono con le capacità relazionali della madre,rivelando un neonato ricco di
capacitàmotorie,sensoriali e mentali che lo rendono attivo e partecipe interlocutore
della madre,in una visione di continuità tra il periodo prenatale e quello postnatale.

2)Strange situation--->Attraverso questa tecnica mMary Ainsworth ha contribuito a


dare una base empirica alle ipotesi sui legami di attaccamento definendo i pattern di
attaccamento(sicuro,insicuro-evitante,insicuro-ambivalente,insicuro-disorganizzato).Si
crea una situazione mediamente stressante per il bambino allo scopo di valutare il tipo
di attaccamento che ha stabilito con il genitore.L'intera procedura è videoregistrata.La
tecnica della Strange Situation è composta da una sequenza di otto episodi:
*Madre e bambino entrano insieme in una stanza predisposta in cui sono presenti
alcuni giocattoli che il bambino viene invitato ad usare
*Entra un estraneo
*Esce la madre e il bambino resta solo con l'estraneo
*La madre rienta ed esce l'estraneo
*Il bambino resta solo
*Entra l'estraneo
*Rientra anche la madre
*L'estraneo esce e il bambino resta di nuovo solo con la madre
Da questa prospettiva,a partire dalla metà degli anni 70,l'interazione madre-bambino
viene vista come la matrice dello sviluppo non solo emotivo ma anche cognitivo del
bambino.

3)Global Rating Scale For Mother-Infant Interaction(GRS)--->Metodo che


consente di studiare la qualità dell'interazione precoce madre-bambino utilizzando
l'interazione face to face fra madre ed un bambino di due-quattro mesi.
L'interazione,della durata di cinque minuti,viene videoregistrata e può essere filmata a
casa della donna o in un ambiente attrezzato.Madre e figlio si dispongono l'uno di
fronte all'altro in modo da permettere la libertà e naturalezza alla coppia,in modo che i
loro sguardi siano alla stessa altezza.Il bambino si deve trovare in uno stato
ottimale.Alle madri viene richiesto solo di giocare liberamente con i figliescludendo l'uso
di oggetti,
Con l'uso di questa tecnica si analizzano vari aspetti dell'interazione sulla base di tre
scale materne composte da tredici sottoscale,e due scale del bambino composte da
sette sottoscale ed una scala globale composta da cinque sottoscale che valutano la
qualità generale dell'interazione.(LEGGERE TABELLA A PAGINA 217).
Questo strumento è stato utilizzato per valutare se la depressione materna e la
presenza di avversità personali e sociali possono influire sulla qualità
dell'interazione,quanto la qualità delle interazioni precoci,delle avversità sociali e
personali e della depressione materna influenzino lo sviluppo cognitivo del
bambino,indagato in tempi sequenziali successivi nelle varie etò.

4)Lausanne Triadic Play(LTP) --->E' una procedura che si svolge secondo un preciso
schema durante il quale vengono osservate 4 configurazioni relazionali:La prima(detta
del primo più uno) in cui il padre e il bambino interagiscono direttamente mentre la

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madre assume un ruolo di osservatrice partecipante;la seconda in cui madre e padre si
scambiano i ruoli,la terza(detta del tre insieme)in cui il padre,la madre e il bambino
interagiscono pariteticamente come una triade e la qualrta in cui il bambino assume il
ruolo di osservatore partecipante mentre madre e padre interagiscono direttamente tra
loro.L'assunto è che i genitori per poter negoziare con successo la transizione tra la
modealità del due più uno e la modalità del tre insieme debbano tradurre le istruzioni
rivolte al loro bambino in un linguaggio non verbale.
Il LTP permette la sistematica osservazione delle interazioni familiari e della
coordinazione della famiglia nel raggiungere un obiettivo,avendo come presupposto di
base che attraverso l'osservazione dei comportamenti(famiglia praticante)si possa
accedere al livello di intersoggettività,ovvero delle intenzioni,dei sentimenti e significati
che sono espressi nelle relazioni familiari.
Ciascunaseduta di gioco viene videoregistrata in modo da poterla valutare secondo
quattro letture:
1)Funzionale clinica:che consente costruendo una descrizione narrativa di quanto
avviene nell'LTP,di definire le alleanze familiari o problematiche,più efficaci nel gioco a
tre o meno efficaci,cooperative o disturbate.
2)Strutturale:considera le interazioni a tre come una struttura con una stratificazione
gerarchica delle diverse azioni
3)Lettura del processo:che tenta di descrivere le dinamiche che sostengono quel
determinato assetto triangolare,cioè come i partner coordinano le loro azioni o come
riparano le eventuali coordinazioni errate.
$)Lettura evolutiva: che prende in considerazione il cambiamento che si verifica nel
primo anno di vita e che porta il bambino dalla comunicazione socialee quella
intersoggettiva e socioaffettiva.

GLI STRUMENTI NARRATIVI


La ricerca narrativa costituisce un approccio qualitativo che mira a descrivere e
comprendere il significato ed il valore attribuito dagli individui o da gruppi sociali agli
eventio situazioni che costituiscono l'oggetto della ricerca.

1)Adult Attchment Interview--->é costruita per studiare le rappresentazioni


dell'attaccamento delle madri di ungruppi di bambini osservati utilizzando la Strange
Situation.L'ipotesi alla base dello strumento era quella di rintracciare una connessione o
un collegamento fra le esperienza di accudimento vissute dai genitori e le modalità
relazionali che si erano instaurate con i figli.
Il sistema di codifica della AAI si limita dunque ad osservare lo "stato della mente" del
soggetto relativo dell'attaccamento,ovvero un aspetto generale e narrativo del modo di
porsi dell'individuo rispetto alla propria esperienza.(le categorie dell'AAI sono in tab.7
pag.220).
La relazione tra i modelli di attaccamento e psicopatologia è oggetto di studio
nell'ipotesi che i soggetti con problemi clinici possano riportare con maggiore frequenza
rappresentazioni dell'attaccamento di tipo insicuro,ma al momento attuale nessuna
entità diagnostica può essere messa in relazione sicuramente con un particolare stile di
attaccamento.

2)Contextual Assessment of Maternity Experience(CAME) --->E' stata creata per

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vvalutare l'esperienza soggettiva della gravidanza e dei primi sei mesi dopo il parto.
Questa intervista dura circa un'ora e viene audioregistrata e trascritta utilizzando le
schede di valutazione che fanno parte del manuale d'uso dell'intervista.Il colloquio
permette di ottenere un quadro dettagliato della vita della donna durante la transizione
alla maternità ed una valutazione dettagliata dei maggiori fattori di rischio per i disturbi
emotivi,,in speciale modo per la depressione,durante la gravidanza e il post-partum.
La componente che indaga gli atteggiamenti ed i sentimenti verso la gravidanza e la
maternità considera tre ambiti fondamentali:L'impegno attuale nella gravidanza,i
sentimenti positivi verso la gravidanza,i sentimenti negatii verso la gravidanza.
La parte che affronta il post-partum si focalizza sui sentimenti e e gli atteggiamenti
della donna circa il bambino e la maternità e lo specifico contesto perinatale.In questo
caso gli ambiti fondamentali sono:la realizzazione del ruolo materno,il sentimento di
vicinanza e antipatia verso il bambino,la percezione del bambino come difficile,le
proprie competenze ed incompetenze come madre,le informazioni circa il parto e
l'allattamento.

3)Rappresentazioni Materne in Gravidanza (IRMAG)--->Elaborata su presupposti


essenzialmente psicodinamici,indaga le modificazioni che riguardano il mondo
rappresentazionale della donna nel periodo della gestazione,il modo in cui la donna
organizza ed elabora le proprie informazioni,i propri affetti,ricordi pensieri e
comportamenti affrontando l'esperienza della gravidanza.Il concetto di
rappresentazione può essere considerato uno dei cardini nella teoria psicoanalitica:esso
viene inteso come modo attraverso cui il soggetto organizza e costruisce con processi
di introiezione ed identificazione immagini mentali di sé e dell'altro.
Il presupposto su cui nasce l'intervista è quello di esplorare nella donna che si trova ad
affrontare la maternità,l'area delle rappresentazionimentali concernenti non solo sè
stessa ,ma anche il partner e la propria famiglia d'origine.
Attraverso la valutazione,in cui si analizza l'organizzazione narrativa delle risposte
indipendentemente dai contenuti,si codifica il trascritto secondo le scale della ricchezza
delle percezioni,,l'apertura al cambiamento e la flessibilità,l'intensità
dell'investimento,la coerenza,la differenziazion,la dipendenza sociale e la dominanza
delle fantasie.
*rappresentazioni materne integrate/equilibrate:L'esperienza della gravidanza è ricca
dal punto di vista affettivo,percettivo cognitivo,il modello narrativo di sé e del bambino
è coerente,flessibile ed autonomo.
*Rappresentazioni ristrette/disinvestite:La donna tende a razionalizzare l'esperienza
della gravidanza,con astrattezza,impersonalità e scarso coinvolgimento emotivo in un
racconto piatto;le fantasie quando emergono sono di timore per la perdita e la morte
del bambino;spesso vi sono atteggiamenti oppositivi e di contrasto verso la propria
madre e la propria famiglia.
*Rappresentazioni non integrate/ambivalenti:La donna mostra tendenze opposte nei
confronti della gravidanza come pure del nascituro,il modello narrativo è
oscillante,confuso e incoerente,denso di contenuti fantasmatici di
inadeguatezza,malattia,perdita,morte e colpa relativi a sé ed al bambino.
Nel post partum un'altra intervista è l'IRMAN che deriva dall'IRMAG e ha l'obiettivo di
esplorare,attraverso l'analisi dello stile narrativo della neomadre(a 4 mesi dal parto),i
cambiamenti nelle rappresentazioni materne che la nascita del figlio e le interazioni con

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il bambino"reale"possono suscitare relativamente alla percezione di sé come caregiver
ed alla rappresentazione mentale del proprio bambino.
Dall'adattamento di questo strumento,è derivata l'intervista anche per il padre che
studia le modalità rappresentative e narrative dei futuri padri nel periodo di attesa del
primo figlio e dopola nascita,nel momento cioè di passaggio ad una nuova identità
familiare.
Le aree di inadgine esplorate hanno soprattutto focalizzato le emozioni,le fantasie i
vissuti della dimensione paterna,in specifico alla sfera individuale,di sé come figlio e di
sé nella coppia.Particolare attenzione riveste,inoltre,nell'intervista il tema del
cambimento dopo la nascita.

LA PSICOPATOLOGIA DELLA MATERNITà

DISTURBI PSICHICI IN GRAVIDANZA

E' osservazione comune comune che durante la gravidanza alcune donne presentino
una sintomatologia ansiosa o ansiosa-depressiva,più frequentemente durante il primo
trimestre.
Si tende a considerare anche quelle situazioni che si riferiscono ad una alterazione
dell'adattamento alla condizione gravidica come il diniego della gravidanza e la
mancanza di attaccamento al feto.,che potrebbe costituire un fattore di rischio della
genesi dei disturbi della relazione madre-bambino.

DISTURBI NELL'ADATTAMENTO ALLA GRAVIDANZA

Durante la gravidanza la donna deve provvedere alla salute del feto e


contemporaneamente affrontare i relativi sacrifici che la maternità comporta,valutare
come la famiglia accetta la gravidanza,sviluppare progressivamente un legame con il
feto,tollerare il cambiamento del suo aspetto fisico e della sua identità complessiva e
modificare la sua relazione con il padre del bambino,in particolar modo se si tratta della
prima maternità.
E' stato evidenziato che una gravidanza non desiderata può determinare nella donna
una reazione di rabbia e di rammarico,un vissuto di frustrazione delle ambizioni
personali e notevoli difficoltà di rapporto col parter..
Inoltre è stato visto che la gravidanza modifica la relazione di coppia in quanto la donna
diviene emotivamente più instabile,più bisognosa di attenzioni e sensibile ai segnali di
rifiuto.
La gravidanza è accompagnata spesso da sintomi fisici.In questo periodo infatti la
nausea e il vomito sono molto frequenti e possono essere considerati come la
manifestazione esterna dell'adattamento psicobiologico alla gravidanza nel senso che
sono collegati da un lato con l'aumento della concentrazione delle gonadotropine
corionoche,dall'altro con la conflittualità presente nella fase iniziale della gravidanza fra
l0'accettazione ed il rifiuto della maternità.
Sono stati descritti casi di diniego della gravidanza,collegato a situazioni di gravidanze
accidentali,o di prime gravidanze in donne giovani,che può andare dal totale e duraturo
disconoscimento alla mancata consapevolezza dello stato gravidico.
I meccanismi psicologici implicati nel disconoscimento della gravidanza includono:

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*Il Diniego: è un meccanismo difensivo utilizzato inconsciamente per evitare aspetti
della realtà estremamente angoscianti quali ad esempio eventi inaccettabili come una
grave malattia o un agravidanza,oppure emozioni spiacevoli come l'invidia o la rabbia.
*La Dissociazione:consente di escludere inconsapevolmente dalla coscienza conflitti
emotivi e fonti di stress interne o esterne vissuti come troppo minacciosi,conflittuali o
ansiogeni,come ad esempio la percezione dello stato gravidico.
Al momento del parto in questi casi esiste un alto rischio di infanticidio,valutabile come
una conseguenza del diniego di gravidanza e del mancato attaccamento madre-feto.
Sono state descritte alcune alterazioni di questo processo affiliativo che non
appartengono a quadri psiopatologici precisi,ma si riferiscono alle situazioni di diniego
di gravidanza,ed a condizioni in cui la madre vive il feto come un intruso ed un
elemento di disturbo sia fisico che psicologico.

PSEUDOCIESI

La falsa gravidanza o pseudociesi è una condizione rara caratterizzata dalla presenza di


segni di una gravidanza,cioè amenorrea,aumento di volume dell'addome modificazioni
del seno,aumento di volume dell'utero.
Questa particolare condizione va differenziata rispetto ad un delirio di gravidanza,ad
una simulazione di gravidanza.Il delirio di gravidanza può manifestarsi nelle forme
acute o croniche di psicosi,ma il contesto è diverso perchè mancano i segni fisici di una
gravidanza.
La risoluzione di una falsa gravidanza viene giustificata a volte dalla donna con la morte
del feto.
La pseudociesi va ricordata per i rapporti con gli altri disturbi della gravidanza e del
puerperio.Essa è stata considerata come un sintomi di conversione,una manifestazione
dui paura e desiderio della gravidanza,una condizione collegabile ad un lutto o una
separazione,un disturbo di personalità.

DISTURBI D'ANSIA E DEPRESSIONE IN GRAVIDANZA

I quadri clinici più frequenti sono rappresentati da disturbi d'ansia a tipo attacchi di
panico,fobie,ossessioni-compulsioni,ansia generalizzata,disturbo post-traumatico da
stress,da disturbi somatoformi e da formne di depressione.E' noto anche il fatto che la
presenza di disturbi ansioso-depressivi in gravidanza si collega con la depressione
puerperale costituendone un importante fattore di rischio.
Da un punto di vista psicologico sono state individuate da Raphael-Leff alcune situazioni
conflittuali collegabili alla gravidanza.Una di esse si verifica quando questa non è
desiderata,o inopportuna,o avviene in un momento sbagliato per la donna o per la
coppia.
Una ulteriore situazione di conflitto si realizza quando la gravidanza è complicata da
problemi fisici,socioeconomici o da eventi traumatici che possono rendere la donna
ansiosa e insicura.
Abitualmente lo stato emotivo della donna durante la gravidanza è più instabile,il suo
umore tendenzialmente più iritabile e disforico con preoccupazioni per il parto e
modificazione degli interessi,caratteristiche che si mantengono abbastanza stabili nel
corso di questo periodo per poi variare nel puerperio.

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La gravidanza costituisce essenzialmente un fattore di stress a causa dei profondoi
cambiamento biologici,psicologici e sociali che determina e può essere considerata per
certi aspetti un agente etiologico per i disturbi psichici,ma con caratteristiche
particolari.
Nei confronti dei sintomi di tipo ansioso invece la gravidanza può costituire un effettivo
fattore patogenetico o quando esistano dei fattori che aumentano la vulnerabilità di
alcuni soggetti.
Si può concludere comunque che lo stress della gravidanza può avere la capacità di
indurre in donne sane la comparsa di sintomi ansiosi.
Il primo trimestre risulta il periodo in cui va segnalata con maggiore frequenza la
presenza di un disturbo depressivo,ma la presenza di una sintomatologia depressiva
nel terzo trimestre della gravidanza costituisce un importante fattore di rischio per la
comparsa della depressione post-partum.
Si può sostenere che la gravido-puerperalità comporti un relativo aumento dei disturbi
depressivi,più evidente nel puerperio ma evidenziabile anche nel corso della
gravidanza.

DISTURBI PSICHICI NEL PUERPERIO

La gravidanza costituisce un periodo relativamente silente da un punto di vista


psichiatrico in quanto la ptologia psicotica preesistentetende ad attenuarsi e le ricadute
o la comparsa di nuovi episodi psicotici sono rari durante questo periodo.
Negli ultimi vent'anni sono stati studiati le forme depressive del pueperio,i fattori
associati con i diversi quadri clinici,l'evoluzione dei quadri pueperali e le ripercussioni di
questa patologia nella relazione madre-bambino e sullo sviluppo infantile,con uno
spostamento da un piano puramente clinico-nosografica verso aspetti epidemiologici e
preventivi.
La prospettiva psicodinamica la maternià può essere considerata una "crisi d'identità"
per le modificazioni somatiche e psicologiche che la caratterizzano ed il parto l'evento
che segna la realizzazione delle potenzialità creative.
Non sorprende che le modificazioni biologiche sociali e psicologiche legate alla nascita
di un figlio possano determinare numerose manifetsazioni psicopatologiche nel periodo
pueperale quali:stati confusionali a insorgenza precoce,disturbi
d'ansia,depressione,psicosi puerperali,disturbi della relazione madre bambino..(leggere
tab 9).

STATI CONFUSIONALI

Sono stati descritti fin dall'800 stati confusionali insorti acutamente durante il parto,che
possono durare alcuni giorni dopo la nascita del bambino,caratterizzati da transitorie
alterazioni cognitive con deficit di memoria e di attenzione e stato di agitazione
psicomotoria la cui patogenesi non è chiara,anche se oggi si tende ad attribuirla ad un
parto particolarmente doloroso.

DISTURBI D'ANSIA

Alcune madri soffrono nei primi giorni dopo il parto di un disturbo definibile come

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Panico postpartum cioè una sintomatologia ansiosa acuta con attacchi di panico
ricorrenti della durata complessiva di qualche settimana che riguarda le esperienza
abituali della funzione materna come ad esempio rispondere al pianto del
bambino,allattarlo,accudirlo,che in questi soggetti vengono vussuti come una grande
fatica e responsabilità.
Un aspetto particolare di questa forma rigurda la paura della morte improvvisa del
neonato.
Possono comparire anche disturbi ossessivi,il cui inizio può essere messo in relazione
con l'evento nascita come unico evento vitale significativamente correlato,sottoforma di
impulsi a danneggiare o uccidere il bambino,gettarlo dalla finestra,maltrattarlo.
Disturbi sovrapponibili al Disturbo postraumatico da stress,che deriva da un'esposizione
imprevista ad un grave trauma,sono stati osservati in donne che avevano avuto un
parto estremamente difficoltoso per vari motivi ostetrici.
Dopo il aprto,anche durante la gravidanza,possono comparire sintomi
dismorfofobici,cioè preoccupazioni eccessive che riguardano l'aumento di volume del
corpo e dell'addome.

DEPRESSIONE POSTPARTUM

Si può cofermare questa forma collegabile a una serie di fattori.


Confermati--->si evidenziano una storia personale di depressione,la presenza di
fattori in gravidanza,una relazione di coppia conflittuale e insoddisfaciente,una carenza
di supporto da parte del partner e dei genitori e la presenza di eventi traumatici nel
corsiìo e durante l'ultimo anno.
Gli aspetti conflittuali sembrano collegati soprattutto alla cosidetta depressione
minore,cioè quella forma a insorgenza tardiva e sintomatologia non totalmente
invalidante che consente alla donna di svolgere,sia pure con grandi difficoltà,la funzione
materna.Difficoltà abitative e finanziarie acuiscono la relativa fragilità psicologica della
donna nel periodo puerperale e gravidico.
Probabili--->si evidenzia una storia familiare di disturbi dell'umore,la presenza di un
grave maternity blues,l'assenza del partner,alcune caratteristiche di personalità come
ad esepio uno stile cognitivo negativo dopo la nascita,un' esperienza del parto
traumatica con comlicanze ostetriche,una depressione del partner,difficoltà di
comportamento e di temperamento del bambino,l'alterazione del sistema
serotoninergico e dell'asse ipotalamo-ipofis-surrene.Una depressione postpartum non
curata tende alla cronicizzazione è può incidere sul funzionamento complessivo della
personalità determinando sentimenti di solitudine,riduzione,ostilità e difficoltà di
relazione con gli altri.
I figli delle donne depresse esprimono sentimenti più negativi e reagiscono più
negativamente allo stress rispetto ai bambino di madri non depresse,mettendo in
evidenza che l'alterazione dell'umore della madre interferisce negativamente con la
qualità della relazione madre bambino.
Possibili--->vengono segnalati l'allattamento,una disfunzione tiroidea di tipo
autoimmunitario segnalata dopo quattro cinque mesi dal parto,i cambiamenti
dell'assetto ormonale,l'età della donna,un parto prematuro,la presenza di disturbi fisici
come stanchezza,dolori alla schiena,difficoltà sessualialcuni mesi dopo il parto.Sembra
che le donne depresse interrompano l'allattamento più precocemente rispetto alle

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donne non depresse.

CAPACITà PREDITTIVA DEI FATTORI DI RISCHIO

Poter valutare i fattori di rischio prenatale non esaurisce il problema della predittività
della depressione postpartum,dal momento che nel pueperio sono relativamente poche
le donne che sviluppano una depressione.

PROBLEMI DIAGNOSTICI

La nozione di depressione puerperale deriva da una serie di osservazioni che hanno


evidenziato la comparsa di depressione in un rilevante numero di donne nel corso del
primo anno dopo il parto e un'alta frequenza di episodi depressivi in questo periodo.
Un primo problema riguarda la variabilità nella prevalenza della depressione puerperale
riportata da vari autori:i valori più bassi sono ricavati dalle casistiche dei medici
generici che hanno diagnosticato verosimilmente solo i casi più gravi ed evidenti di
depressione.I valori più alti corrispondono invece a criteri di valutazione basati sulla
presenza di un certo numero di sintomi derivabili dall'uso di questionari e di rating
scale.
Il lavoro di pitt ha segnato una tappa importante nella definizione della depressione
pueperale.I criteri clinici seguiti dall'autore sono stati i seguenti:
1)descrizione di sintomi depressivi da parte delle puepere;
2)i sintomi doveva ìno essere comparsi dopo il parto;
3)i sintomi dovevano essere inusuali nell'esperienza delle donne e ad un livello
inabilitante;
4)i sintomi dovevano persitere per più di due settiamane.
Un secondo problema riguarda l'intervallo di tempo cge intercorre tra il parto e la
registrazione della sintomatologia depressiva.I dati sono disomogenei poichè so iscilla
dalle tre settimane circa dopo la nascita fino ad un anno del parto,con un intervallo di
tempo troppo disperso per essere indicativo.
Un terzo problema è rappresentato dalla difficoltà di attuare una attendibile procedura
di screening della depressione puerperale utilizzando strumenti che abbiano una buona
sensibità,cioè la capacità di discriminare correttamente la depressione,ed una buona
specificità di identificare la normalità.

QUADRI CLINICI

la depressione postpartum comprende tre quadri diversi distinguibili descondo i criteri


diagnostici RDC di Spitzer:
1)Maternity Blues:Questa sindrome la cui denominazione fa riferimento alla tristezza
del postpartum è nota anche come milk fever o transitory syndrome.
Si tratta di una sintomatologia caratterizzata da facilità al pianto,che ne costituisce il
sintomo centrale,astenia,orientamento depressivo e dell'umore,ansia
irritabilità,cefalea,diminuzione della capacità di concentrazione e difficltà nel pensiero
concettuale fino ad un leggero stato confusionale.
Ha una durata di circa una settimana entro la quale si risolve completamente.
In alcuni casi però si può osservare una diversa evoluzione che comprende:

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*In presenza di una sintomatologia più marcata e duratura che supera i quindici giorni
dopo il parto;
*L'evoluzione della sintomatologia in un quadro clinico depressivo vero e proprio
*Una rapida trasformazione del maternity blues nella psicosi puerperale.
Il maternity blues si può considerare non tanto una malattia,quanto piuttosto una
reazione fisiologica,anche se la banalità del quadro non deve portarea
sottovalutarla.(leggere tabella 14 pag.238)
Si possono spiegare due differenti ipotesi per spiegare questa sindrome:una che che
considera un'origine prevalentemente organica della sintomatologia(reazione organica
acuta)confermata anche dalla presenza di disturbi cognitivi;l'altra che valorizza
soprattutto il profilo psicoendocrino,che può determinare nella donna difficoltà
nell'accettare il ruolo femminile e nell'assumere la funzione materna.
Infatti nei primi tre giorni dopo il parto le angoscie di separazione e di perdita sono
vissute intensamente,l'orientamento affettivo della donna è mutevole e l'incertezza
sulle proprie capacità materne non ancora sperimentate. è molto presente.

2)Depressione Minore:La sintomatologia di questa forma comprende una depressione


dell'umore associata a sensazione di esaurimento fisico più evidente nelle ore
serali,irritabilità,diminuzione dell'appetito,riduzione del desiderio
sessuale,insonnia,risentimento e ostilità e sintomi somatici di varia natura come
riportato in tab.15(pag.238).
Spesso sono presenti anche altri disturbi:per esempio l'ansia nella forma acuta da
panico,manifestazione fobiche e ossessivo-complusive.
L'aspetto più tipico di questa forma riguarda l'insicurezza circa la propria capacità
materna,vissuta dalle donne in modo colpevolizzante,che può tradursi al tempo stesso
in una eccessiva preoccupazione per il bambino.La sintomatologia assume le tinte di
una continua pretesa di sostegno e rassicerazione,che trova accoglimento nell'ambito
familiare.
La massima frequenza della depressione corrisponde al periodo che va dai tre ai sei
mesi dopo il parto,con segnalazione di casi anche fino ai ai nove mesi dal parto che
probabilmente corrispondono a quelle forme depressive cosidette da svezzamento che
segnano il primo significativo distacco nella relazione madre bambino.
Molti autori segnalano l'associazione tra ansia e depressione in gravidanza e la
depressione puerperale,ma relativamente pochi distinguono i casi ad insorgenza
puerperale da quelli in cui la depressione è insorta precedentemente.
La gravidanza infatti sembra costituire un fattore protettivo soprattutto nei confronti
della schizofrenia,che può mostrare un miglioramento clinico nel periodo gravidico.Sul
rapporto tra manifestazioni depressive in gravidanza e depressione puerperale c'è
attualmente una concordanza di opinioni dal momento che la presenza di depressione
in gravidanza costituisce uno dei fattori di rischio della depressione postpartum.
L'evoluzione di questa forma prevede varie possibilità:
*può risolversi in media entro 6 mesi senza lasciare conseguenze,
*può presentare recidive successive che perdono il legame con il puerperio per
assumere tutte le caratteristichhe della Depressione maggiore;
*può cronicizzarsi trasformandosi in uno stile di vita nevrotico spesso con aspetti fobici
e ossessivi,che caratterizza la relazione della donna con il figlio e con gli altri membri
della famiglia.

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Depressione Maggiore:La sintomatologia della depressione maggiore appare più grave e
persistente rispetto alla depressione minore,può essere associata a confusione ed avere
esordio acuto.La maternità e l'accudimento del bambino costituiscono il contenuto della
maggior parte dei vissuti e dei deliri depressivi.Le pazienti infatti possono manifestare
sentimenti eccessivi e perfino deliranti di inutilità e autoaccusa accompagnati da
intensa agitazione o rallentamento motorio,,o possono convincersi che i loro bambini
non siano sani nonostante le smentite del pediatra o del medico curante.
L'insorgenza della depressione maggiore è più precoce rispetto alla forma minore,dal
momento che si distribuisce nel corso del primo mese dal parto con una maggiore
concentrazione nella prima settimana.

PSICOSI PUERPERALI
FATTORI DI RISCHIO
Nelle primipare il rischio di una psicosi puerperale è più alto che nelle multipare,anche
se questo disturbo si può manifestare in occasione di gravidanze successive alla
prima,indipendentemente dal numero.
Per quanto riguarda la familirità psichiatrica non si può ipotizzare la presenza di un
fattore ereditario,ma la letteratura è concorde nel segnalare la presenza di disturbi
psichici prevalentemente dello spettro affettivo negli ascendenti delle donne affette da
una psicosi puerperale.
Gli stress psicosociali come ad esepio la condizione non coniugale,un parto cesareo o la
morte del feto costituiscono secondo alcuni autori un fattore di rischio per la psicosi
puerperale,mentre la presenza di eventi traumatici nel corso dell'anno precedente al
parto,uno scarso supporto ambientale o una situazione conflittuale con il partner non
sembra che aumentino il rischio di insorgenza di una psicosi,così come il sesso del
bambino o l'avanzata età materna al momento del parto.
In una prospettiva psicodinamica si può ipotizzare che il break-down psicotico
puerperale rappresenti una sorta di fuga dal lavoro della maternità,cioè da quel
processo di adattamento psicologico reciproco che avviene fra madre e bambino dopo
l'interruzione del legame fisico della gravidanza.

QUADRO CLINICO
La sintomatologia si manifesta per lo più entro le prime due settimane dal parto ed il
ricovero in ospedale,spesso necessario,avviene di solito entro il primo mese.Il quadro è
composito in quanto coesistono sintomi affettivi(mania,depressione,e stati manicali e
depressivi)con elementi deliranti sia congrui col disturbo dell'umore che
incongrui,allucinazioni,perplessità incoerenza,disorganizzazione evidente del
comportamento,disorientamento e confusione mentale.
Nel DSM IV allo scopo di incrementare la specificità diagnostica e migliorare la
formulazione delle diagnosi,è stata inserita la specificazione riguardante l'esordio nel
postpartum sia per il disturbo psicotico breve che per i disturbi dell'umore;questa
dizione si applica quando l'esordio di queste forme si colloca nelle prime quattro
settimane dopo il parto.
Nell'ICD 10 i disturbi mentali che insorgono nel postpartum vengono classificati come
"puerperali" soltanto quando non sono identificabili in altre categorie diagnostiche.
Studi recenti tendono ad individuare la schizofrenia nelle forme a inizio più tardivo(dopo

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le prime tre settimane dal parto)e le psiocsi affettive e cicloidi in quelle a inizio precoce.
L'elemento confusionale viene segnalato fin dall'inizio come distintivo e specifico di
queste forme e considerato come un sintomo delle forme affettive e cicloidi,oppure
come un aspetto organico delle psicosi puerperali o infine come un elemento
caratteristico del quadro della bouffè delirante allucinatoria con disorganizzazione
transitoria della coscienza che indentifica le psicosi puerperali stesse.
La durata della malattia viene indicata attualmente intorno a i due mesi.La prognosi è
generalemnte buona relativamente al singolo episodio,tanto che le psicosi pueperali
vengono condsiderate particolarmente curabili e con un esito migliore rispetto alle altre
forme di psicosi.

EFFETTI DELLA PSICOPATOLOGIA MATERNA SULLO SVILUPPO DEL BAMBINO

E' molto difficile che i bambini che vivono accanto a genitori affetti da quadri
psicopatologici lievi o severi non presentino problemi.
Non è sempre chiaro invece quali siano i meccanismi attraverso i quali la psicopatologia
del genitore possa agire sullo sviluppo del bambino.Sebbene vi siano dati che
confermano il meccanismo genetico ed ambientale nella trasmissione dei disturbi
psichiatrici,anche la qualità della relazione genitoriale,e delle interazioni familiari
costituisce un elemento fondamentale che media queste variabili.
Il bambino è visto come una parte di un sistema evolutivo e dinamico che può essere
esaminato a tre diversi livelli di
complessità(biologico,individuale,sociale,culturale)assumendo così importanza l'analisi
delle transazioni tra le caratteristiche costituzionali del bambino e le caratteristiche
affettive e sociali del suo ambiente.
Vanno poi considerate le ripercussioni della depressione sulla relazione di coppia e sui
rapporti intrafamiliari e la possibilità che si manifesti una forma depressiva anche nel
partner.
Alcuni problemi più attuali a proposito della depressione puerperale riguardano la
qualità del rapporto tra madre depressa e il bambino e gli effetti della depressione
materna sullo sviluppo infantile.
Nelle madri depresse sono state osservate una riduzione del coinvolgimento emotivo e
delle possibilità comunicative ed una notevole ostilità nei confronti dei figli.
Inoltre la valutazione di madri sofferenti di depressione postpartum hanno dato dello
sviluppo dei propri figli è risultata negativa,dal momento che esse hanno segnalato la
presenza di difetti cognitivi,di disturbi emotivi e del comportamento nei loro bambini.
Più complesse e in continuo sviluppo sono le indagini che studiano
direttamente,utilizzando tecniche di videoregistrazione,l'interazione madre-bambino e i
modelli di attaccamento.Questo tipo di osservazioni consente di valutare le
caratteristiche della relazione nel suo svolgimento dinamico e di collegare i diversi
modelli di attaccamento con le tappe significative dello sviluppo infantile.
L'interazione di una madre depressa col bambino presenta delle caratteristiche
specifiche quali la disforia,la ridotta espressività emotiva,la tonalità malinconica della
comunicazione,l'insensibilità verso il bambino,l'aspetto punitivo e controllante,la
mancata risposta alle sollecitazioni del bambino.
Rispetto all'attaccamento è risultato che i bambini di donne sofferenti di disturbo
bipolare hanno minore probabilità di strutturare modelli di attaccamento sicuro rispetto

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ai figli di donne sane,e che questi bambini adottano una strategia di attaccamento
evitante rinunciando alla vicinanza con la madre in modo da evitare in parte la sua
angoscia e tristezza,non riuscendo però ad evitare i propri sentimenti negativi.
La gravità e la durata della sintomatologia depressiva sono ste messe in relazione con
lo strutturarsi di strategie di attaccamento insicuro nel bambino,ed è stato osservato
che modelli di attaccamento evitanti e ambivalenti sono correlati con quadri clinici di
depressione maggiore nella madre.Bisogna comunque considerare che una strategia di
attaccamento evitante può avere una funzione difensiva e adattiva del bambino.
Anche se alcuni sistemi familiari patologici,queste strategie possono avere un significato
adattivo,un attacamento insicuro è comunque correlato con problemi di disregolazione
affettiva,con una ipersensibilità alle situazioni di stress,con ansia pervasiva e difficlotà
nelle relazioni interpersonali.I bambini cratterizzati da strategie di attaccamento
insicuro sono più esposti alle esperienze di stati emotivi di tristezza e di rabbia
imprevedibili e fluttuanti,che li rendono più vulnerabili e meno capaci di svilupare un
repertorio adeguato di abilità di regolazione delle loro emozioni.
Le madri depresse sono risultate raggruppabili in quattro categorie di stile
affettivo(intrusivo,ritirato,misto,positivo)valutato con l'interazione faccia a faccia
registrata nel primo anno di vita del bambino,da cui successivamente sono derivate due
classificazioni:
Madri invadenti--->Trattano il bambino duramente,con un tono di voce
arrabbiato,spingendolo con le dita e interferendo attivamente con le sue attività;I figli
di madri invadenti evitano lo sguardo della madre,prestano solo raramente attenzione
agli oggetti e pianono poco;
Madri isolate--->Non interagiscono,non sono reattive affettivamente sono piatte e
fanno poco per aiutare le attività dei propri figli;i filgi di madri isolate protestano e
mostrano con più facilità il loro stato di distress rispetto ai bambini di madri
invadenti,,suggerendo che il comportamento di isolamento della madre possa avere un
effetto particolarmente negativo sui bambini più piccoli.
E' noto il rapporto fra la depressione,la valutazione negativa che la madre dà del
proprio figlio e i disturbi della relazione madre-bambino.Lo stato affettivo,i sintomi
somatici e il quadro depressivo nel suo complesso riducono la tolleranza delle madri
verso i comportamenti problematici del bambino e aggravano la valutazione negativa
che esse danno dei propri figli,inducendole a comportamenti di accudimento ostile e
sviluppando in loro il convincimento che i filgi manifestano difficoltà di comportamento
tali da giustificare condotte coercitive.
E' comunque ormai dimostrato che i figli di madri depresse,confrontati con gruppi di
controllo,manifestano disturbi nella regolazione delle emozioni,difetti nella capacità di
investimento con oggetti e persone,problemi cognitivi durante lo sviluppo ed un
comportamento di attaccamento insicuro verso le loro madri a un anno d'età.
L'effetto negativo della depressione materna è presente dalle prime due settimane di
vita fino all'adolescenza,ma sembra che la vulnerabilità del bambino aumenti con
l'età.Tuttavia l'importanza dell'età nojn viene valutata in modo univoco,dal momento
che può ridursi nel tempo a causa del costituirsi di strategie di adattamento nei
confronti della psicopatologia materna.
La qualità dell'accudimento materno nella psicosi puerperale è stata descritta come
disorganizzata,insensibile e bizzarra,ma esistono molti effetti indiretti sullo sviluppo da
tenere presenti:ad esempio l'infanticidio o l'omicidio del bambino costituiscono la

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situazione più estrema,ma maltrattamento,traumatismi fisici e negligenza possono
caratterizzare il comportamento genitoriale.
La diagnosi di disturbo schizofrenico nel periodo precedente la gravidanza sembra
essere a prognosi più infausta per il bambino.
Uno dei primi studi sulla qualità delle interazioni delle madri psicotiche con i loro
neonati risale agli anni 70 ed ha evidenziato una tendenza significativa di queste madri
a rispondere lentamente ed in modo adeguato ai segnali dei bambini stimolandoli meno
sul piano sociale e interattivo.
Il bambino vive in un ambiente quotidiano spesso caotico e imprevedibile,caratterizzato
da momenti di avvicinamento intenso da parte della madre alternati a lunghi momenti
di assenza,distanza e abbandono.Si tratta di quelle che sono state definite "Cure
incoerenti" che possono costituire un rischio per il bambino in rapporto agli impulsi
della madre.
Studiando lo sviluppo dei bambini sembra che nei primi mesi di vita non si osservino
differenze particolari di comportamento rispetto ai bambini di mdri normali,mentre ad
un anno di età,quando il bambino ricerca un rapporto emotivo più attivo con la
madre,essi appaiono poco spontanei nelle loro interazioni e con un basso livello di
sviluppo concettuale.

LA PSICOPATOLOGIA DELLA PATERNITà

I disturbi paterni vengono considerati nell'opinione corrente con una certa ironia e
sufficienza a causa del diffuso pregiudizio che gli uomini sono superiori ai travagli
affettivi.
E' ovvio che la manifestazione patologica dipende da alcuni fattori quali la vulnerabilità
del soggetto e il significato particolare che l'evento della gravidanza può assumere in
funzione di questa.
Da un punto di vista psicologico è possibile distinguere nel padre,livelli diversi di
coinvilgimento conflittuale nel proceso di genitorialità,la cui maggiore o minore
ampiezza è strettamente collegata alla storia personale del soggetto ed alla
organizzazione delle sue difese.

LA SINDROME DI COUVADE

Nella letteratura antropologica vengono descritte due forme di couvade;una definita


pseudomaterna in cui l'uomo mette in atto una simulazione del parto che ha lo scopo di
alleviare i dolori della partoriente e di prevenire i pericoli nei quali pò incorrere,l'altra
definita dietetica che consiste nell'osservare un regime dieteticostretto per un tempo
prestabilito allo scopo di preservare la salute del bambino.Il padre pensa di essere unito
al figlio da un legame così profondo,tale che ciò che lui farà avrà ripercussioni sul
bambino e sulla sua salute.
Questa sindrome è caratterizzata dalla comparsa,in coincidenza con l'ultimo periodo
della gravidanza e della nascita,di sintomi somatici come nause,vomito,dolori addiminali
acuti, perdita di cibo etc.Gli uomini che presentano sintomi di couvade non hanno
alcuna idea del legame esistente fra i loro sontomi e la gravidanza.
Questo atteggiamento quasi autopunitivo spinge ad esaminare un elemento importante
della sindrome,l'ambivalenza.Il padre avrebbe forti impulsi aggressivi nei confronti del

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bambino e della donna,che vengono agiti nel rito collettivo della couvade nel quale il
padre svolge sia un ruolo passivo-soffrente(le simulazioni dei dolori del parto)sia
attivo(protezione esercitata dalle sue azioni sulle salute dell madre e del bambino).
Una ulterire lettura vede la sintomatologia fisica tipica della sindrome come
l'espressione di una strategia difebsiva nei confronti delle conflittualità che si riattivano
alla prima paternità che investe massicciamente l'area del corpo,che può essere
considerata come una barriera di fronte alla irruzione di angosce troppo intense.
La couvade è quindi un fenomeno di natura difensiva,una modalità che alcuni uomini
utilizzano per esprimere i conflitti derivanti dalla consapevolezza della paternità,con
tutte le responsabilità che ciò comporta,con le paure rispetto alla propria capacità di
allevare un figlio e al futuro della relazione di coppia con la compagna.
Il padre può tentare di sitituirsi alla moglie nell'accudimento del neonato rivendicando
un ruolo di sostituto materno e svolgendo nei confronti del figlio una funzione rivolta
più al mantenimento del rapporto simbiotico che al suo superamento.
Altre volte invece l'uomo può tentare di assumere un ruolo infantile e dipendente nei
confronti della propria compagna sovrapponendosi ai bisogni del bambino e
distogliendola dalla relaizone con lui,come se fosse geloso di questo legame e volesse
interromperlo.

GLI ACTING DELLA PATERNITà

Da molti autori vengono descritte modalità comportamentali definibili come "acting


della paternità"che sono il frutto di conflitti collegati al sentimento di esclusione e alla
conseguente ostilità dell'uomo verso la sua compagna.non elaborati mentalmente ma
esclusivamente agiti.Ne vengono individuati tre diverse categorie cliniche:
Categoria delle lotte: rientrano atteggiamenti a carattere aggressivo che si esprimono
ad esmpio come particolare litigiosità e aggressività dell'uomo nei confronti della
propria famiglia e di quella della moglie o degli estranei,con abuso talvolta di alcol e
stupefacenti.Tutti questi comportamenti hanno la caratteristica di essere in contrasto
con le abitudini e gli atteggiamenti usuali di questi uomini.
Categorie delle fughe: Si descrivono situazioni in cui i padri si gettano freneticamente
nel lavoro nei mesi che precedono e seguono la nascita in modo da evadere da casa per
ragioni professionali o scompaiono definitivamente.
Categoria dell'attività sessuale: è di comune osservazione l'interruzione dei rapporti
sessuali durante la gravidanza motivata soprattutto da timore di danneggiare il
bambino.Altrettanto frequente è il rilievo di relaizoni extraconiugali che avvengono in
coincidenza con la gravidanza e la nascita del figlio che sono da collegare non tanto a
insoddisfazioni e frustrazioni nel rapporto di coppia,quanto alla riattualizzazione di
conflitti e ansie che riguardano l'identità sessuale.
Le angosce della paternità possono essere rimosse o negate attraverso modalità più o
meno accettate come la couvade e i comportamenti appena descritti,ma può anche
accadere che i tentativi di elaborare falliscano.In questo caso possono comparire
manifestazioni psicopatologiche di varia gravità come depressioni e scompensi
psicotici,certamente più rari nei padri che nelle madri.

LE PSICOSI

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Le cosidette psicosi della paternità sono crisi psicotiche acute,riconducibili
essenzialmentealla diagnosi del DSM IVdi Disturbo psicotico breve,che insorgono in
occasione della prima paternità in soggetti con una storia personale
essenzialmentepriva di alterazioni psichiche manifeste.
Questi quadri clinici sono caratterizzati dalla presenza di deliri di gelosia,o meglio di
tradimento,e di persecuzione,di una importante componente affettiva sia depressiva
che maniacale.
Difficili rapporti con i genitori,un legame particolare con la madre,una figura paterna
assente o inefficace ed una dipendenza affettiva dalla compagna nella relazione di
coppia sembrano costituire le caratteristiche delle relazioni di questi soggetti.
Al momento della nascita del primo figlio,questi uomini sono costretti ad affrontare il
confronto con la figura paterna,la mancata identificazione con questa figura ed il
legame simbiotico con la propra madre,mantenuto intatto anche nella vita adulta.Tali
caratteristiche psicodinamiche costituiscono gli elementi della vulnerabilità di questi
soggetti nei confronti di un vento come la paternità.Si può quindi ipotizzare che i
sintomi psicotici possano rappresentare la drammatizzazione di un conflitto che si attiva
acutamente di fronte alla nascita di un figlio e che sia impossibile a questi soggetti
accedere alla paternità in modo equilibrato dal momento che la funzione paterna è
sostanziamente assente nel loro universo simbolico.

DISTURBI DELLA RELAZIONE GENITORE-BAMBINO

E' importante sottolineare il rapporto tra le conflittualità interne del singolo


genitore,quelle relative alla coppia e alla situazione tridica e alcune manifestazioni
patologiche del comportamento che esprimono l'incapacità di alcuni soggetti ad
assumere le funzioni di protezione,accudimento e educazione dei figli specifiche del
ruolo genitoriale.

MALTRATTAMENTO---> La world Health Organisation definisce come"maltrattamento e


abuso ai minori qualsiasi forma di maltrattamento fisico e/o pasicologico,abuso
sessuale,trascuratezza,sfruttamento commerciale e di altro tipo in grado di detreminare
un danno attuale o potenziale per la salute,la sopravvivenza,lo sviluppo o la dignità del
bambino nel contesto di una relazione di responsabilità,fiducia e potere".
Il maltrattamento fisico riguarda una fascia di età a rischio costituita da bambini fra 0 e
3 anni.I bambini oggetto di maltrattamenti possono essere fisicamente fragili,ad esemio
i portatori di handicap fisici o ritardati mentali,quindi bisognosi di attenzioni e
accudimenti particolari che costituiscono un fattore predisponente attivandonell'adulto
sentimenti di frustrazione,di rifiuto e di aggressività.
Sono state descritte forme diverse di maltrattamento fisico, come le percosse,lo
scuotimento,le ustioni,il soffocamento ,l'intossicazione e l'avvelenamento e quella
particolare forma definita come sindrome di Munchausen per procura,in cui la madre
induce uno stato di malattia a carico dl proprio figlio allo scopo di ottenere
cure,accertamenti medici o ospedalizzazioni ripetute.
I genitori non necessariamente presentano una patologia psichiatrica,ma se questa è
presente si tratta di disturbo depressivo,abuso di sostanze o disturbo di personalità.
Il maltrattamento psicologico è una forma di violenza sui minori i cui confini sono
spesso sfumati:da un lato infatti si può confondere con atteggiamenti pedagogici rigidi

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con violenza fisica,dall'altra con comportamenti generici di
incuria,svalorizzazione,permissività,deresponsabilizzazione che ne rendono difficile la
separazione con la trascuratezza.(leggere tab.20 pag 261).
La rigida imposizione di ideali genitoriali può avvenire attraverso la proiezione sul figlio
di fantasie compensatorie che riguardano l'impotenza,l'insicurezza economica,la
frustrazione l'inadeguatezza.

TRASCURATEZZA

La trascuratezza consiste in tutti quei comportamenti passivi e omissivi nei confronti


dlel bambino tali da non proteggerlo fisicamente o da non permettergli una normale
crescita evolutiva in salute fisica e benessere psicologico.Le tipologie dela trascuratezza
sono diverse:
• abbigliamento non adeguato
• condizioni igeniche scadute
• dieta inadeguata all'età
• inadempienza all'obbligo scolastico
• mancata somministrazione di cure mediche e preventive
• assenza di sorveglianza sull'integrità fisica del bambino
• privazione della socializzazione con i pari
abbandono con deprivazione fisica,emotiva e culturale.

ABUSO SESSUALE

Gli abusi sessuali opossono essere manifesti,mascherati oppure impropri cioè


riguardare situazioni in cui il bambino vede,sente osserva attività sessuali che risultano
psicologicamente inadeguate alla sua corretta evoluzione psichica.
Con l'apparente intento educativo possono essere in atto comportamenti sessualizzati
che implicano non solo le parole o lo sguardo ma anche dei passaggi all'azione come
contatti fisici fra adulto e minore che il bambino può riportare a breve termine con una
sorta di ripetizione dell'agire in situazioni sociali diverse.
Questa lunga descrizione di situazioni relazionali disturbate,soprattutto tra la madre e il
bambino,ci fa capire come non siamo riconducibili semplicemente a una patologia
mentale materna o paterna,ma come si possano inquadrare in quelle condizioni di
genitorialità vulnerabile collegabile con una mutifattorialità complessa che rende il
lavoro del diventare genitori problematico soprattutto sul piano del comportamento
responsabile e protettivo nei confronti del bambino.

CAP 6:l'ESPERIENZA SOMATICA NELL'ARCO DELLA VITA

Il termine "corpo" in medicina sta ad indicare una realtà anatomica e fisiologica con le
sue patologie d'organo.In medicina quindi si vuole indicare il corpo come una realtà
oggettiva,misurabile,quantificabile e verificabile.
In psicopatologia lo stesso termine assume un significato più profondo.Il corpo è
considerato in relazione con la vita psichica.Ad indicare soprattutto un esperienza
corporea,il modo in cui la soggettività umana sperimenta il suo lato materiale e
oggettivo.Quindi,quando si parla di corpo in psicopatologia,si fa riferimento ad un

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esperienza corporea che si apre al Mondo.Dunque la psicopatologia parla di CORPO
VISSUTO.
Il corpo vissuto è dunque muto,cioè che coincide con l'esperienza stessa dello
esistere.Nonostante il corpo manda un flusso di messaggi,questi fisiologicamente non
arrivano a staccare l'esperienza del corpo da quella del prorpio esistere.Infatti nella
percezione dell'esistere non esiste l'idea di "avere un corpo",semmai quella di "essere il
proprio corpo".
Per "intenzionalizzazione"si intende l'attribuzione di senso ad una cosa che così diventa
esperienza.Coiè attribuire significare vuol dire esperire,fare un esperienza.
Il fondamento della fisiologia del vissuto corporeo è da individuarsi in:
1)una muta testimonianza della nostra esistenza:il mio corpo dice che ci sono.
2)una accessibile apertura verso il mondo di cui il corpo è fisiologicamente il
veicolo.Dunque tramite il corpo io percepisco un apertura verso il mondo.
Nelle esperienze quotidiane avvertamo di avere un corpo quando fa male o si esprime
attraverso i bisogni e le difficoltà.
Se il corpo è centrale nella costruzione dell'esperienza dell'esistere è ovvio il suo
contributo nella costruzione dell'esperienza dell'essere malato.Esperienza che comporta
parte Dal corpo, come fonte di segnali dolorosi e spiacevoli,e arriva Verso il corpo
,come tendenza a tradurre su di esso dati di malessere più mentalizzati.

IL CORPO VISSUTO FRA MALATTIA E GUARIGIONE

L'esperienza della malattia fisica ha un inevitabile impatto sull'esperienza somatica.Il


corpo malato diventa una misteriosa esperienza di un corpo distanziato,che non
coincide più con l'esperienza del Proprio Sé(cioè il corpo malato è vissuto in modo
diverso rispetto a come lo si vive tutti i giorni).
Il corpo fa male e questo interessa sia a chi lo vive sia a chi lo cura.Si crea una
distanza,un allontanamento dal corpo che ha il duplice scopo di separarsi dal male e di
permettere ad latri di intervenire.
Il medico tenderà a a considerare la guarigione come la scomparsa dei segni della
malttia.
Il significato della guarigione deve essere considerato anche dal punto di vista del
paziente,la cui valutazione è influenzata da due fattori:
1)La soggettiva visione della malattia,del corpo e del suo funzionamento
2)Il significato soggettivo della guarigione può essere considerato come un
cambiamento esitenziale,talvolta anche con significato di perdita che avvicina la
percezione soggettiva della guarigione al processo del lutto.
Facendo riferimento al primo punto si può osservare che i pazienti,partendo da
conoscenze parziali e approssimative,immaginano il corpo che ha uno scarso rapporto
con la realtà anatomica e fisiologica e attribuiscono intenzioni vaghe e imprecise (ad
esmpio alcune parti del corpo come il tubo digerente,le vie urinarie,il sistema
circolatorio vengono interpretate in modo idraulico).
Esaminando il secondo punto,si può dire che nella valutazione soggettiva del paziente
la guarigione si può considerare raggiunta quando il paziente è in grado di accettare i
cambiamenti connessi alla malattia,le modifiche nl corpo che essa ha comportato,anche
permanentemente,comprese quelle connesse con il miglioramento e la risoluzione della
malattia stessa.Quetse considerazioni pongono dunque grande enfasi sulla

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ristrutturazione dell'identita personale del paziente di fronte ai cambiamenti che la
malattia ha comportato.
In sintesi il modello che più si può avvicinare alla definizione del fenomeno malattia in
un ottica soggettiva può essere quello del lutto,anzi del lavoro connesso con
l'elaborazione delle perdite dovute alla malattia e ai suoi esiti,e anche con la
riacquisizione del ruolo di persona sana.
Guarigione fisica e guarigione psichica possono non avvenire congiuntamente.E'
frequente infatti assistere ad una discordanza,ad una sorta di non coincidenza fra i
tempi della guarigione clinica e quello che si può chiamare il tempo per la guarigione
psichica.Questa non coincidenza è responsabile non solo ai postumi della malattia o al
timore di una sua eventuale ripresa,ma soprattuto al riattivarsi nel mondo interno del
paziente di immagini di dipendenza nei confronti di figure significative e autoritarie
appartenenti all'esperienza individuale,che il rapporto col medico-salvatore ha riattivato
e riportato attuali.

CORPO E CICLO DI VITA:I MOMENTI CRITICI DELL'ESISTENZA

Il corpo si modifica nel corso della vita.E si modifica l'esperienza che ciascuno di noi ha
del proprio corpo.

Modificazioni somatiche--->Modificazioni della propria autorappresentazione


somatica(identità somatica)--->Modificazione dell'identità personale

Ma è anche vero il cammino inverso per cui modificazioni a carico dell'identità personale
si traducono anche in modificazioni dell'esperienza somatica e talvolta anche del corpo
oggettivato.

Crisi dell'esistenza---> Modificazioni della propria autorappresentazione(identità


personale)--->Modificazioni anche a carico della autorappresentazione
somatica(modificazione dell'immagine corporea)--->Modificazioni somatiche

Si ha cioè un'intensa e continua rielaborazione della propria immagine corporea,un vero


e proprio lavoro teso a registrare il mutamento dal corpo oggettivo alla immagine
interiore di questo,dai mutamenti interiori alla trascrizione di questi sul corpo.
In un'ottica medica il concetto di crisi ha significato quella drammatica resa dei conti
che,nel corso di un processo patologico,porta sulla via della guarigione o quella della
morte.
Il nucleo di significato del termine è quello improvviso cambiamento,dagli esiti
incerti,ma senz'altro decisivi.
Nei momenti di crisi è come se ci fosse uno scontro e il campo dello scontro è proprio il
corpo del paziente che manifesta i segni della crisi(scontro)in atto.Al medico il compito
di distinguerli,riconoscerli,nominarli,sperli distinguere in quelli utili e quelli dannosi
rispetto al progetto di guarigione che vuole proporre.
In ambito psicologico e psichiatrico,occorre far riferimento a due importanti contributi:
*Crisis Theory- di Clapan che pone particolare risalto al rapporto tra personalità ed
eventi della vita,per cui il momento della crisi sarebbe da considerare come un giro di
boa nel processo evolutivo di ogni personalità.

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L'ipotesi di Caplan è centrata sull'idea che il momento critico si abbia quando si
presenta nell'esistenza un problema nuovo che non è possibile risolvere con le strategie
adattive consuete.
*Teoria delle catastrofi- il cui uso in ambito psicologico porta a considerare il momento
della crisi come una situazione in cui un equilibrio di forze non può più essere
mantenuto per cui le forza che sostengono quel particolare assetto della personalità
cercano e trovano un nuovo equilibrio.Questo impone un cambiamento
nell'organizzazione personologica di quel particolare individuo spesso drammatico.Da
qui il concetto di "catastrofe"che mette in risalto come,dopo il cambiamento,l'oggetto
non sia più lo stesso,ma abbia subito una vera e propria mutazione costitutiva del suo
assetto esistenziale.
La scuola di Palo Alto-->Una modifica a carico dell'oggetto esterno che sorregge una
particolare struttura di personalità dà luogo ad un cambiamento tale da portare
all'emergere di una nuova.Questa darebbe poi origine a nuove relazioni oggettuali ed
in prospettiva,ad un nuovo assetto esistenziale.
In riferimento alla scuola di palo alto e le considerazioni conseguenti permettono di
evidenziare come ogni momento critico dell'esistenza finisca per mettere in moto una
modificazione della propria autorappresentazione e di conseguenza della propria
identità.
Perchè avvengono questi momenti critici?
La scuola di Palo Alto cerca di darne una spiegazione teoricamente articolata e aperta
ad una dimensione genetica:le crisidell'esistenza permettono modificazioni interne tali
per cui un particolare assetto di identità viene sostituito da un'altro preesistente
ma,almeno fino ad allora subordinato all'identità principale e dominante.
Jaspers considera la Coscienza dell'Io come la conseguenza del corretto funzionamento
di almeno quattro subfunzioni:
1)In primo luogo che si tratta di una sorgente primitiva e non derivata di attività;la mia
soggettività è una fonte inesauribile di attività mentale che viene da me percepita come
originaria,e non derivata da altra fonte esterna;
2)La consapevolezza della propria unità:in un dato istante io avverto di essere uno
solo,anche quando all'interno di me sono presenti contenuti di pensiero e progetti
d'azione assai diversi e anche quando il mondo esterno si rapporta con me secondo
aspettative apparentemente inconciliabili l'una con l'altra;
3)La coscienza di identità da intendersi come la consapevolezza di essere uno e uno
solo nel corso del tempo;è una consapevolezza per molto versi assoluta nella nostra
soggettività,pur essendo contraddetta da evidenze inoppugnabili.L'evidenza è tale che
contraddirebbe ogni altra ipotesi.In primo luogo quella che che io sia sempre lo stesso.
4)C'è infine quella consapevolezza di avere nella mente degli specifici contenuti
personali diversi da quelli degli altri;su questa consapevolezza si costruisce l'idea di
possedere una specifica personalità,che mantiene un nucleo stabile anche nei momenti
di cambiamento più radicali.
Ma qual'è il ruolo del corpo?
Il nucleo d'esperienza di identità è dato dall'esperienza di essere ed avere un
corpo.Naturalmente quando si parla di corpo si intende l'esperienza somatica,cioè alla
visione soggettiva che ciascuno di noi ha del proprio corpo come sede di
bisogni,sentimenti,appetiti,relazionalità e soprattutto come veicolo che permette alla
nostra soggettività di aprirsi al mondo.Veicolo che mi rivela al Mondo,ma insieme mi

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espone,potendomi così anche tradirerivelando coseche non deve ovvero piegandosi ai
desideri e alle aspettative degli altri,a rischio di divetare non più strumento di apertura
al mond,ma un mezzo che si introduce fra una soggettività interiore il mondo.
Volendo riassumere si può affermare che i cambiamenti della vita hanno una traduzione
sul corpo sia in senso materiale che rappresentazionale,che spesso
inconsapevole,caratterizzata dalla necessità di testimoniare con il corpo.
Anche le età della vita vengono evidenziate da modificazioni a carico del corpo.Ci sono
le modificazioni primitive del corpo che danno il segno del cambiamento come nella
pubertà o nella vecchiaia.
In ciascuno di noi quindi un continuo rimaneggiamento delle proprie immagini
somatiche che fluttuano reattivamente a modificazioni esterne ed interne.
Le modificazioni del proprio corpo suscitano unfatti sentimenti che vanno dal piacere
alla preoccupazione,dal desiderio al disgusto.
Le modificazioni dell'esperienza somatica,cioè del modo do percepire e di vivere il
corpo,e dell'immagine corporea sono da considerarsi punti di svolta da cui possono
prendere l'avvio molte esperienze psicopatologiche a loro volta capci di declinarsi in
vere e proprie condizioni cliniche.

LA SOMATIZZAZIONE DELLE ESISTENZA NELL'ANZIANO(mettere nel riassunto


di lisa)

Le alterazioni del vissuto somatico derivano nell'ansiano nel cambiamento del rapporto
fra il sogetto e il suo corpo in quanto esso,a causa del decadimento fisico e della
maggiore vulnerabilità alle malattie,perde il silenzio e l'anonimia che caratterizzano
l'equilibrio fisiologico a favore della "somatizzazione dell'esistenza" caratteristica della
senilità,che assume anche un significato di minaccia indefinibile.

IL CORPO NON PIù DISPONIBILE

Una delle caratteristiche che sostanziano il fisiiologico rapporto con il nostro corpo è la
accessibile apertura verso il mondo.
Nell'anziano questa percezione si rompe quando il corpo comincia a farsi sentire in via
di involuzione e non più disponibile in modo muto e trasparente nell'attuazione di
progetti esistenziali.Non il corpo che sono ma il corpo che ho oggetto degno di
osservazione,attenzione spesso carico di minacce e di paure.
Successivamente il corpo si porrà in un'altra dimensione esistenziale caricandosi di
immagini di perdita e di minacciose aspettative.L'anziano avverte cioè che il corpo non
lo segue più nei suoi progetti,ma si carica di fatica,di impossibilità funzionali,di dolore
fisico,oppure si dimostra incapace di veicolare immagini di efficienza e di attrazione.

IL DECLINO ESTETICO

Il declino estetico determina una ferita narcisistica centrata sul corpo che corrisponde
ad una uòteriore perdita di anonimia del corpo e all'instaurarsi del vissuto somatico di
elementi di negatività e minacciosità.
Un immagine corporea socialmente svalutata e non soggettivamente non accettata

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incrementa i sentimenti di inadeguatezza caratteristici della senilità e che aumenta la
continuità fra io e reale,e Io ideale vissuto come una dimensione arretrata della propria
presenza rispetto alla realtà fisica.La difficile integrazione fra io corporeo e Io psichico
favorisce la riduzione dell'interesse verso l'ambiente esterno ed il ripiegamento su sè
stessi.

L'ESPERIENZA DI MALATTIA

L'esperienza di malattia che con l'avanzare dell'età si fa sempre più frequente,carica il


corpo di ulteriori aspetti negativi.
Con la comparsa delle malattie e con la riduzione o la perdita di alcune
funzioni,l'anziano perde l'armoonia con il suo corpo che,attraverso un proceso di
reificazione(diventare una cosa),appare solo come un peso,un oggetto che gli altri
devono curare e di cui il soggetto diventa spettatore passivo.
L'esperienza del proprio corpo vissuto nell'anziano diventa l'espressione simbolica da
superare e il corpo rappresenta il limite dell'incapacità a esprimere e utilizzare le
proprie possibilità.

IL PENSIONAMENTO

Il pensionamento sancisce il ritiro dal mondo socialmente legittimato e costituisce un


fattore che favorisce il ripiegamento sul corpo.
Sarà quindi probabile che una Coscienza di Sè che si vede negato il riconoscimento
sociale dato dall'attività lavorativa e perde quelle conferme che contribuiscono al
mantenimento dell'auto-immagine,cerchi nel corpo e nei suoi bisogni non più muti e
trasparenti una conferma della propria esistenza.
In questa situazione l'anziano è costantemente preoccupato per la
salute,ossessivamente attento alle sue necessità fisiologiche come il sonno,il cibo,il
funzionamento intestinale,desideroso di assumere farmaci che garantiscano un normale
svolgimento delle funzioni dell'organismo e lo proteggono dalle malattie.
E il mondo vissuto dell'anziano finisce per avere quasi esclusivamente orizzonti
somatici.

IL CORPO DEL GIOVANE

"Sentirsi giovani" anche nel linguaggio comune può non coincidere con l'essere giovani.
Il sentirsi e l'essere vissuti come giovani sono due esperienza che trovano nel corpo il
terreno attuativo principale di un progetto,che nella realtà attuale è diventato un
fenomeno di massa.Si fa riferimento al clima culturale attuale che tende ad identificare
la giovinezza,e in particolare il corpo del giovane,con successo
prestigio,salute,attrazione.
Il primo requisito di una corpo che faccia sentire giovani è quello della accessibilità,cioè
la possibilità a tradurre in progetti operativi la spinta vitale che permea il vissuto del
giovane.E' un corpo che non si sottrae,che non sente la fatica,che non pone limiti,che è
pronto a seguire ogni sfida.
Ma c'è un'altra sfida a cui il corpo giovane,o che vuole sembrare tale,non può
sottrarsi.Infatti uno dei requisiti della giovinezza è l'accettazione e trasformazione.Per il

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giovane la trasformazione è il mezzo prinicipale per accettare la realtà senza esserne
schiacciato,il mezzo che permette di recuperare le caratteristiche biologiche ricevute
geneticamente da una angolatura diversa che ne consente l'appropriazione ed evita di
porsi in antitesi.Cambiare è infatti l'unico modo per adattarsi ad un mondo che sfugge e
cambiare sè stessi e il mondo è la missione che ogni generazione affida a quella che la
segue.
Al bisogno di esprimere con il corpo il cambiamento si accompagna il bisogno di
rivelarsi e di definire il proprio sé ed il proprio spazio.L'acquisizione di una identità
definita costituisce la fine del viaggio giovanile e sancisce la definitiva costruzione del
mondo adulto.

LE PATOLOGIE DEL CORPO VISSUTO

Durante il ciclo vitale umano avvengono molteplici cambiamenti a carico del corpo sia
nella sua dimensione oggettualizzata che nella sua dimensione più soggettiva.Da questi
snodi ritici possono prendere l'avvio percorsi psicopatologici che possono portare a veri
e propri quadri clinici che sono pertanto strettamente connessi sia nella genesi che
nell'espressività clinica,con la crisi dell'esperienza somatica di quella particolare
persona.
Il riferimento è a quei quadri morbosi la cui comprensione,riconoscimento e possibilità
di teraèia,passano attraverso un primitivo coinvolgimento del corpo.Si tratta delle
cosidette Patologie del corpo vissuto,in cui si raggruppano i quadri morbosi che hanno
in comune un nucleo patologico derivanete dall'alterazione del modo in cui si struttura
l'esperienza del corpo che assume un ruolo alterato nella dialettica fra soggettività e
mondo.
Questi quadri morbosi possono essere raggruppati in tre grandi campi accomunati dalla
centralità del corpo e dalla sua reificazione come oggetto(staccato dalla soggettività)ed
eventualmente da questa variamente usato per un dialogo con il mondo.
Le diversità che definiscono i songoli campi invece,riguardano le modaòlità con cui il
corpo vissuto viene coinvolto:infatti in alciune forme patologiche è coinvolta la
rappresentazione mentale del corpo,in altre la sua realtà biologica,in altre ancora il
corpo viene usato come campo espressivo di un disagio psichico.
Una prima area propone il coinvolgimento del corpo nella sua realtà fisica.Qui si
possono tradurre difficoltà dell'esistenza intesa nella sua complessità bio-psico-
sociale.Il corpo co la sua concretezza biologica,dà sostanza a questo disagio.Questa
area corrisponde alla Patologia somatica.
Una seconda area fa riferimento all'uso del corpo per drammatizzare una sofferenza da
esporre allo sguardo degli altri.Il corpo diventa teatro,un intermedio fra una
soggettività che si esprime per suo tramite e lo sguardo degli altri a cui si offre.
Una terza area fa riferimento all'alterazione della rappresentazione mentale del
corpo(immagine corporea)concetto che illustra il modo con cui il nostro corpo appare a
noi stessi.
In quest'area l'immagine mentale del nostro corpo,può caricarsi di significati-altri,che
ne modificano profondamente il significato esistenziale proponendone in primo luogo
una centralità abnorme.
Nel continuum che è stato delineato rispetto ai disturbi del vissuto corporeo si possono
collocare le esperienze ipocondriache,dismorfofobiche ed anoressiche.

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IL CORPO VISSUTO NEI DISTURBI PSICOSOMATICI

In letteratura si possono individuare alcune tendenze e modi di interpretare la


psicopatologia somatica.
Un primo indirizzo fa riferimento alla tradizione medico-filosofica che tende a riunire gli
aspetti psichici e quelli somatici e quindi a vedere l'individuo come un tutto.
Un secondo indirizzo vede nella psicosomatica l'orientamento medico che pone enfasi
sul fatto che in ogni malattia organica esista un vissuto patologico.Pensiamo in primo
luogo ai vissuti inerenti la perdita di salute,dell'immagine di sè,il problema della
morte,della malatti cronica.
In un accezione più ristretta la psicosomatica fa riferimento allo studio della psicogenesi
di alcune malattie organicheE' questo il campo della patologia psicosomatica
propriamente detta che individua alcune specifiche condizioni cliniche in cui la malattia
organica sembre essere direttamente originata da conflitti psichici.
Particolarmente importante nella riflessione sulla psicosomatica si è rivelato anche il
contributo della Scuola Francese.Questo indirizzo vede nella patologia psicosomatica la
"traduzione somatica"di un disturbo tutto psichico connesso con l'incapacità di acquisire
una modalità fantastica e immaginativa del pensiero che viene definito "operatorio" in
quanto trova nella traduzione somatica la sua unica possibilità espressiva.In uno stile
somatico di esistenza,proprio di individui con ridotte capacità fantasmatiche e
somboliche,si inserisce la malattia psicosomatica propriamente detta,che per questi
soggetti, rappresenta un mezzo obbligato di espressione della sofferenza interna e della
difficoltà relazionali.
Un importante contributo arriva anche dal pensiero psicopatologico,cioè
quell'orientamento che prende in considerazione la particolare esperienza che ogni
singolo paziente ha della propria malattia.I pazienti infatti sviluppano modelli personali
dei propri cambiamenti somatici e dei sintomi,che sembranoessere tutt'altro che
ininfluenti nella costruzione e nell'evoluzione del fenomeno morboso.
Nelle patologie psicosomatiche,il corpo fornisce il terreno in cui concretamente(sia
organicamente che funzionalmente)si traduce un disagio psichico.Questa trascrizione
sul corpo di disagi di vario ordine ed origine può essere descritto come un cammino in
due tempi: il primo momento è dato dalla traduzione puramente funzionale di disagi
esistenziali o relazionali.Per molte patologie la traduzione è conosciuta anche negli
aspetti neurobiologici più minuti.
Ma quando i sintomi funzionali si stabilizzano,si possono trasformare in veri e propri
cambiamenti anatomici.

IL CORPO COME TEATRO:LE MANIFESTAZIONI SOMATICHE DELL'ISTERIA

Le manifestazioni somatiche dell'isteria del DSM IV sono state inserite fra i Disturbi
Somatoformi,insieme alle manifestazioni ipocondriache e dismorfofobiche,ed in parte
anche nei Disturbi Fittizi,la cui caratteristica è costituita dalla presenza di sintomi fisici o
psichici,più o meno intenzionalmente prodotti dal soggetto,allo scopo di assumere un
ruolo di malato.
Uno degli aspetti caratteristici dell'esistenza isterica è costituito da un particolare stile
di vita e di relazione col mondo caratterizzato dalla tendenza a modulare i

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comportamenti e le relazioni rispetrto alle esigenze dell'ambiente circostante,tanto da
poterlo definire come un "vivere con gli occhi degli altri"fino al punto che gli altri
possono costituire la dimensione strutturante della soggettività dell'isterico.
In questa dimensione è facile immaginare come il corpo,che è la parte più espsta agli
altri,possa un ruolo espressivo e sintomatologico di primo piano.Infatti in un'ampia
parte della patologia isterica,il corpo costituisce un luogo di rappresentazione dele
emozioni,un teatro che permette di realizzare una rappresentazione più o meno
simbolizzata,di un conflitto intrapsichico o di una difficoltà esitenziale o relazionale
utilizzando un linguaggio complesso che non gli è proprio.
In altri termini si può definire lo stile istrionico di rapporto come un"apparire per
essere",in cui il bisogno di attirare l'attenzione dell'altro per mezzo di sintomi fisici
importanti,di comportamenti seduttivi,di condotte impulsive costituisce l'essenza della
relazione.
Il medico rappresenta la figura professionale a cui più facilmente a cui è più diretto il
linguaggio dell'isteria.Nel dialogo col medico,che per sua formazione è portato a
considerare soprattutto il corpo,l'isterico cerca di costringerlo a prendere iniziative
diagnostiche e terapeutiche allo scopo di trovare una conferma del personaggio che sta
rappresentando,cioè farsi accettare come malato.

I DISTURBI DELL'AUTORAPPRESENTAZIONE SOMATICA

Sono quelle patologie in cui l'alterazione nucleare è a carico della rappresentazione


metale del corpo(del proprio corpo vissuto).
Così l'esperienza del proprio corpo finisce per inserirsi come un cuneo nel rapporto fra
soggettività e mondo,permeando gran parte dello spazio coscienziale.

IL MALE DEL CORPO

La struttura ell'esperienza somatica diventa dunque quella di un corpo"altro e


inquietantemente modificato",caricato di un significato minaccioso,portatore ed
espressione del mal d'essere.Pur in questa anomala posizione il corpo rimane sempre
strumento di apertura al mondo e il suo stesso vissuto(il mal-d'essere)si confronta con
una realtà esterna che ne modula l'espressività clinica.

LA DIMENSIONE IPOCONDRIACA E DEMONOLOGICA

Le persone ipocondriache sono sempre alla ricerca di cure mediche e di


rassicurazioni,che comunque non risolvono mai i loro timori di malattia.Un tale
comportamento innesca un circolo vizionso che tende a trasformare la loro esistenza in
una costante ricerca di attenzione per il corpo da parte di terapeuti i varia competenza.
Anche le idee di "affaturazione" partono dall'esperienza soggettiva di un corpo investito
dal pericolo e dalla minaccia,non più accessibile come di solito.A differenza di quanto
accade nell'esperienza ipocondriaca,in questo caso il vissuto si declina nel timore che
qualcosa di estremamente negativo si sia inserito nel corpo o lo abbia danneggiato,
determiando la perdita della fisiologica accessibilità.Da un punto di vista psicogenetico
si possono individuare almeno tre tappe di un percorso comune fra esperienze
ipocondriache e di affaturazione:

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1)Un precario assetto di identità in parte costituzionale,in parte reattivo agli eventi
della vita,in parte collegato ad entrambi i fattori.
2)Con la perdita del fisiologico silenzio e anonimia,viene tradotto sul corpo il vissuto di
minaccia all'integrità della persona.
3)Inizia un comportamento di ricerca di aiuto che ha come scopo primario quello di
compensare il sentimento della propria sicurezza esistenziale.

IL CORPO BRUTTO:LA DIMENSIONE DISMORFOFOBICA

Il termine dismorfofobia letteralemnte significa"cattiva forma" "bruttezza".


Indica quindi una sensazione soggettiva di deformità o difetto fisico di una parte del
corpo che rende il paziente oggetto di attenzione da parte degli altri,nonostante che,ad
un riscontro oggettivo,il difetto risulti assente e la forma normale.Va detto che
comunque a volte il difetto fisico c'è,ma tuttavia la reazione del paziente è decisamente
abnorme.
Seguendo il punto di vista genetico-strutturale anche in questi casi il punto di partenza
psicopatologico può essere ricondotto ad un'alterazione dell'esperienza somatica.Il
corpo si carica di significato di inadeguatezza che preesiste alla comparsa del sintomo
nella forma di una inadeguatezza esistenziale.

IL CORPO CAMBIATO:LE ESPERIENZE DI METAMORFOSI

L'identità personale trova nel corpo il fondamento e la fonte di continua verifica.Tramite


il corpo ci siamo abituati a confrontare con il mondo condiviso la potenziale illusorietà
della nostra immagine del mondo.
Tramite il corpo avviene il confronto con la realtà esterna nel senso che un
cambiamento interno viene reso visibile sul corpo e poi esportato sul mondo.
Allo stesso modo ogni pressione ambientale tesa a condizionare l'identità si traduce in
primo luogo sul corpo.Bisogna pertanto abutarci a pensare all'identità personale come
ad un processo complesso che si srticola continuamente in queste tre
direttive:L'autorappresentazione di Sé,la traduzione sul corpo di questa
autorappresentazione,la sua esportazione nella realtà esterna.Contemporaneamente
dobbiamo abituarci a pensare che la pressione ambientale verso certi tipi di
comportamento tende prima di tutto a tradursi sul corpo e a modificare
l'autorappresentazione del proprio Sé.
L'esperienza di cambiamento a carico della propria dimensione interna può trovare nel
corpo,nell'esperienza del corpo vissuto,la sua "realizzazione".Sentire il proprio corpo
che si trasforma è esperienza frequente nei periodi di cambiamento interno,come
cambiamenti a carico del corpo possono promuovere la necessità di modificare
l'autorappresentazione e più in generale la propria identità.
Quando l'esperienza della propria continuità nel tempo viene meno,l'esperienza di
trasformazione del corpo diventa un passaggio quadi inevitabile.

IL CORPO PERSECUTORE:LA DIMENSIONE ANORESSICA

La caratteristica centrale dell'anoressia nervosa è costituita dalla prsenza di


comportamenti autoimposti finalizzati alla perdita di peso,collegabili con la paura

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patologica di ingrassare e con una grave alterazione dell'immagine corporea che
riguarda la forma e le dimensioni del corpo.
Molto difficilmente le pazienti ammettono di esserne consapevoli e spaventate del loro
aspetto emanciato e dell'alterazione della condotta alimentare,mentre abitualmente
negano la condizione di malattia sostenendo di essere normalmente efficienti e tendono
a rifiutare ogni cura anche quando sono al centro della preoccupazione dei familiari.
Il corpo dell'anoressia è tutt'altro che "muto e trasparente",esiste con tutti i suoi
bisogni a significare il limite dell'esistenza,che viene percepita proprio come limitata dal
corpo rispetto alla possibilità di una ideale realizzazione.
La paziente instaura con il suo corpo una lotta senza quartiere che non ammette
conciliazioni nè soluzioni.

LA RELAZIONE TERAPEUTICA NELLE PATOLOGIE DEL VISSUTO CORPOREO

Lo stabilirsi di una relazione terapeutica è uno degli elementi fondamentali della pratica
clinica.La qualità di questa relazione ha un'influenza determinante sulla stessa capacità
di formulare diagnosi ed effettuare terapie e quindi sulla stessa qualità dell'assistenza.
Dunque spesso il clinico si pone di fronte al paziente con patologie del vissuto corporeo
in una posizione che lo può rendere cieco ed esporlo a possibilità di errore sia
diagnostico che terapeutico.

DALLA PARTE DEL PAZIENTE

Il paziente porta nella relazione terapeutica il suo corpo che è presente non solo nella
sua concretezza anatomo-fisiologica,ma anche come un oggetto significante altro.Il
corpo diventa strumento espressivo di u n disagio che in questi casi a altre origini.
Inoltre l'abnorme posizione del corpo influenza anche la percezione che il paziente ha
del mondo.
il corpo rischia continuamente di modularsi nella sua espressività in base alla realtà di
significato che il paziente mantiene nel suo orizzonte relazionale.Così quando questo
orizzonte è fornito dal medico,la modalità con cui il paziente presenta il suo corpo è
adattata alle categorie e ai modelli della medicina,mentre se l'orizzonte relazionale è
uno stregone,ad esempio,il corpo viene tendenzialmente presentato secondo altre
modalità culturali che si riferiscono ad esempio a possessioni o invasamenti.
Riassumendo:L'esperienza somatica che il paziente porta al clinico,veicola un disagio
psichico di cui il paziente tende a non aver piena consapevolezza;propone un ruolo del
corpo come strumento espressivo di questo disagio.
Da queste osservazioni si possono derivare alcuni elementi che formano le fondamenta
del rapporto fra questo tipo di pazienti e il terapeuta.I pazienti con patologie del vissuto
corporeo infatto chiedono:
• Che il loro corpo sia accettato e fatto oggetto di cure;
• Pretendono di stabilire una relazione con il clinico
• Chiedono che il corpo(corpo vissuto)costituisca il fondamento di questa relazione;
• Tendono ad evitare ogni approfondimento che porti a mentalizzare il disagio;
• Qualsiasi intervento volto a dialettizzare questo schema e a coinvolgere il paziente in prima
persona può essere vissuto come persecutorio e suscitare risposte aggressive.
In altre parole il paziente chiede che l'intervento medico allontani i fantasmi persecutori

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dal corpo(ipocondria e dismorfofobia)che lo carichi di interessi e
significati(anoressia)che risolva l'oscura origine della malattia(disturbi psicosomatici) e
che decodifichi il messaggio che esprime(isteria).
Complessivamente dunque il paziente chiede al proprio terapeuta attenzione e stabilità
di relazione usando il suo corpo come tramite.

DALLA PARTE DEL MEDICO

La relazione terapeutica con pazienti con alterazioni del vissuto corporeo comporta
l'assunzione di alcuni rischi.
Il corpo di questi pazienti costituisce il tramite per una relazione carica di implicazioni
che fanno leva sul funzionamento menatle del medico,che rischia di disperdere le
componenti terapeutiche insite nella relazione e di non assolvere ai suoi compiti
relazionali come fare una corretta diagnosi o impostare le possibilità di cura.
La presa di coscienza nel medico dell'ambiguità implicita nell'interesse del paziente per
il corpo,può far evolvere la relazione medico paziente in senso persecutorio,soprattutto
se l'atteggiamento del medico è percepito come aggressivo e svalutante.
Di fronte a questi rischi non resta che enfatizzare l'importanza nella costruzione di una
valida relazione con il paziente.Questa non può prescindere dalla conspevolezza della
complessità del vissuto somatico e dall'accettazione della sfida relazionale che i pazienti
di questo genere inevitabilmente propongono.In questo senso sono importanti due
aspetti che devono essere tenuti in considerazione:
1)Evitare una lettura esclusivamente psicologica dell'alterazione del vissuto
somatico,che avrebbe come conseguenza la fuga del paziente e la rottura della
relazione.
2)Far sì che l'accettazione del corpo del paziente comprenda anche la dimensione del
corpo vissuto.
Si possono quindi delineare alcuni suggerimenti che tengano conto del fatto che sono
necessarie:
1)Una capacità di accoglimento dei bisogni somatici del paziente
2)Una conoscenza psicopatologica e della dimensione relazionale medico-paziente in
modo da inquadrare il disagio psichico del paziente e contemporaneamente
comprendere quegli aspetti fantasmatici e conflittuali che il sintomo fisico veicola;
3)Una capacità di conciliare l'ambiguità del corpo che è insieme reale ed immaginario.
Questo lavoro di decodificazione è in primo luogo diagnostico,perchè consente di
inquadrare il problema del paziente da più punti di vista,permettendo un
completamento del fenomeno malattia che copnsente possibili aperture nel tentativo di
comprendere il disagio soggettivo del paziente;è anche terapeutico in quanto la
ridialettizzazione del corpo vissuto può diventare il fulcro di ogni intervento terapeutico
in queste patologie;infine è anche preventivo,perchè evita quelle distorsioni del
rapporto che possono produrre molteplici complicazioni,prima fra tutte la possibilità di
una cronicizzazione della patologia.

CAP 7: INTERVENTO PSICOSOCIALE NELLE DEMENZE

Una delle definizioni più complete di demenza è quella proposta nel 1984 da un gruppo
di studio statunitense"la demenza è una sindrome clinica caratterizzata dal

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deterioramnto della memoria e delle altre funzioni cognitive rispetto al livello di
sviluppo cognitivo precedentemente raggiunto dal paziente;il deterioramento è
documentato da una storia clinica di riduzione della performance e da anomalie
evidenziate dall'esame neurologico e dai tests neuropsicologici".

CRITERI DI DIAGNOSI E CARATTERISTICHE CLINICHE

La sindrome è caratterizzata dalla compromissione di uno o più domini cognitivi,dalla


presenza di disturbi del comportamento che assumono entità e fenomenologia variabile
nel corso della malattia,dall'incapacità di svolgere adeguatamente ed autonomamente
le abituali attività.L'evoluzione clinica si smista su tre
versanti:cognitivo,comportamentale,funzionale,dando luogo ad un'ampia e vaiegata
tipologia di disturbi.
All'esordio è difficile stabilire se i deficit sono da attribuirsi ad una demenza incipiente o
ad una riduzione dell'efficienza cognitiva fisiologica per età o ad un disturbi
psicopatologico.In particolare risulta sottilela distinzione tra demenza e
depressione,data la possibile coesistenza di deficit cognitivi e disturbi del tono
dell'umore in entrambe le sindromi.
(leggere tabella 1 pag.310)
Decadimento mentale e depressione potrebbero conseguire l'una all'altro come
reazione psicologica alla consapevolezza delle proprie difficoltà o viceversa essere il
primo indotto dalla seconda,come nel caso della pseudodemenza.
La presenza di disturbi del tono dell'umore,la drammatizzazione dei deficit,la ricerca
spontanea della consulenza medica sono considerati indicativi più di un disturbo
dell'umore che di una sindrome demenziale.In quest'ultimo caso infatti il paziente
appare scarsamente consapevole dei propri disturbi che tende a minimizzare,ma che
vengono notati dai familiari,tanto che sono essi stessi e non il diretto interessato a
rivolgersi al medico.
Studi più recenti evidenziano il ruolo della depressione del tono dell'umore come evento
predisponente alla demenza:infatti sembra che la tendenza a subire lo stress
psicologico-che nella maggior parte dei casi si esplica con una depressione del tono
dell'umore-sia associato ad un aumentato rischio di contrarre la malattia di Alzheimer e
ad una ridotta performance in compiti di memoria.

CLASSIFICAZIONE

Nell'ambito della classificazione delle demenze si considerano sostanzialmente tre


raggruppamenti all'interno dei quali si identificano una serie di malattie ad
eziopatogenesi più o meno definita,a decorso variabile,e variamente passibili di
intervento terapeutico o trattamento psicosociale.
Le demenze su base neurodegenerativa-->Comprendono la malattia di Alzheimer,le
demenze fronto-temporali.La Malattia dei corpi di Lewy,la Malattia di Parkinson e la
Corea di Huntington.
Le cause che determinano queste malattie sono sconosciute,nonostante in alcuni casi
sia stato possibileidentificare alcuni meccanismi patogenetici.Il decorso è sempre
progressivo,anche se con notevole variabilità da un caso all'altro e non vi sono fasi di
remissione clinica.

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Le Demenze Vascolari-->All'interno di questa dizione ci sono numerose entità
cliniche(Demenza Multinfartuale,Stato Lacunare,Infarti Strategici,Demenza post-
ictus,...)Queste demenze sono tutte accomunate dal fatto che le lesioni cerebrali
documentabili con le neuroimmagini,ancorchè molto diverse per sede ed
estensione,sono secondarie ad una malattia dei vasi cerebrali.il decorso può assumere
andamento progressivo.
Demenze con causa esogena ed endogena-->causa esogena ci sono agenti
infettivi,sostanze tossiche ,farmaci....A causa endogena ci sono stati
carenziali,endocrinopatie malattie sistemiche collagenopatie.Tali forme sono definite
secondarie,sono teoricamente passibili di miglioramento o anche di guarigione qualora
vengano rimossi i fattori causali.

LA MALATTIA DI ALZHEIMER

ASPETTI EPIDEMIOLOGICI E CLINICI

Il quadro clinico è caratterizzato da un deficit di memoria episodica,che inizialmente si


condìfigura come amnesia anterograda,con difficoltà ad acquisire e richiamare nuove
informazioni,e che in seguito comporta la perdita di ricordi già acquisiti,spesso secondo
un gradiente temporale con relativo buon mantenimento della conoscenza degli eventi
remoti rispetto ai recenti.Seguono deficit dei processi di pianificazione,programmazione
e controllo,progressiva perdita del patrimonio conoscitivo(memoria semantica),delle
competenze linguistiche,visuo-spaziali,prassiche e gnosiche.Rimangono invece
sostanzialmente indenni,le abilità motorie anche complesse precedentemente apprese,e
la capacità di acquisire alcune informazioni in modo inconsapevole(memoria
procedurale).
Un'accurata valutazione della tipologia e dell'entità dei deficit cognitivi è ottenibile con
un estesa indagine neuropsicologica,applicando batterie di test che sondino i diversi
domini cognitivi e che consentano di cogliere disturbi sia in fase iniziale,che
relativamente avanzata.
La descrizione del profilo neuropsicologico può essere di grande valore sia per quanto
riguarda la diagnosi,sia per valutare il decorso della malattia attraverso regolari
controlli longitudinali.
La valutazione dell'autosufficienza assume notevole importanza sia come requisito
diagnostico che per la stadiazione della malattia,ed è particolarmente rilevante negli
stadi terminali,quando non è più applicabile una valutazione neuropsicologica normale.
Disturbi del comportamento-
allucinazioni,deliri,misidentificazione,depressione,agitazione,aggressività,alterazioni del
ritmo sonno veglia-possono manifestarsi durante tutto il decorso della malattia e
ricevono crescente attenzione,dal momento che rappresentano la maggior fonte di stres
per i familiari e la più frequente causa di istituzionalizzazione del paziente.
Studi sia trasversali(su pazienti con differenti livelli di gravità di malattia) sia
longitudinali(su pazienti seguiti nel tempo)hanno consentito di formulare l'ipotesi di una
progressione per stadi dei disturbi cognitivo-funzionali cui corrispondono diverse
esigenze e diversi possibili interventi(tabella 6).
L'acquisizione di neuroimmagini(TC cranio o RM encefalo)è ritenuta indispensabile per
escludere danni cerebrali strutturali eventualmente responsabili del decadimento

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mentale(tumori,lesioni vascolari o pot-traumatiche),ma anche per evidenziare la atrofia
cerebrale,in particolaredelle strutture temporo-mesiali,reperto questo considerato molto
indicativo per la diagnosi di malattia di Alzheimer.

MILD COGNITIVE IMPAIRMENT

Il termine MCI coniato nel 1999 è ben traducibile in italiano come "compromissione
cognitiva lieve".
Secondo i criteri di petersen,la diagnosi di MCI può essere avanzata nel caso di un
individuo non affetto da demenza nè da disturbi pschiatrici che lamenti un disturbo
soggettivo di memoria,preferibilmente confermato da un familiare,non accompagnato
da altri deficit cognitivi e non tale da interferire con le abituali attività,ma evidenziabile
ad una valutazione neuropsicologica.Mentre il deficit isolato di memoria(MCI
amnesico)è considerato una possibile fase preclinica di malattia di Alzheimer,deficit
cognitivi in altri domini possono preludere anhe ad altre forme di demenza.
Dati molto recenti,tuttavia,insistono nel considerare l'MCI soprattutto nella sua forma
amnesica,come lo stadio iniziale della malattia di Alzheimer,anche sulla base di studi
neuropatologici che descrivono in cervelli di soggetti classificati come MCI una densità
di ammassi neurofibrillari e depositi di amiloide molto superiore a quella di soggetti
normali di pari età e più simile quella riscontrata in soggetti affetti malattia di
Alzheimer.
E' da ricordare che attualmente non vi è nessuna indicazione a trattare soggetti con
diagnosi di MCI con i farmaci impiegati nella malattia di Alzheimer.

LE DEMENZE FRONTO-TEMPORALI

Con questo termine si indica una serie di sintomi su base


neurodegenerativa,caratterizzate da disturbi del compprtamento,dalla compromissione
delle funzioni attentive,esecutive e di controllo,da disturbi del linguaggio e da varie
anomalie dell'esame obiettivo neurologico.
La sede della lesione(a carico della corteccia prefrontale dorso-laterale,orbito frontale o
ventro-mediale),la sua natura,estensione e durata,non chè la personalità e le capacità
intellettive premorbose dell'individuo e infine il tipo di test adottato per la valutazione
contribuiscono alla variabilità clinica.
Ritenuta un eventualità rara,le demenze fronto-temporali nel loro complesso
rappresentano il 20% di tutte le demenze su base neurodegenerativa.
sul piano neuropatologico queste forme si distinguono per un depauperamento
neuronale circoscritto alle parti anteriori del cervello e per la presenza-almeno in alcuni
casi-di caratteristiche inclusioni cellulari definite "corpi di Pick".
La demenza frontale è caratterizzata da modificazioni del carattere e da anomalie della
condotta sociale,con appiattimento emotivo,riduzione o assenza completa di
consapevoleza di malattia,perdita di empatia,riduzione dell'iniziativa,rigidità
mentale,conformismo,compulsività,facile distraibilità,alterata capacità di critica e di
giudizio,bizzarria,apatia,disinteresse.
Fanno parte delle demenze fronto-temporali due forme in cui le alterazioni del
comportamento e la sindrome disesecutiva sono di lieve entità o addirittura assenti
nelle fasi iniziali della malattia,caratterizzata invece da importanti e per lungo tempo

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esclusivi disturbi del linguaggio.
AFASIA PRIMARIA PROGRESSIVA-->esordisce con difficoltà crescenti nel reperire i
termini adeguati con progressiva riduzione della fluenza dell'eloquio che diviene
povero,agrammatico,e successiva comparsa di disturbi dell'articolazione delle parole.
DEMENZA SEMANTICA-->il quadro clinico è dominato da un eloquiospontaneo
fluente,ma vuoto,con numerosi errori tipoparafasie semantiche,difficoltà nella
comprensione del significato delle parole,impossibilità di denominare oggetti e di
associare il nome alla figura,di riconoscere voltidi leggere parole irregolari la cui
corretta pronuncia dipende dalla comprensione del loro significato.
Infine sono considerate come appartenenti al complesso delle demenze fronto-
temporali,la Degenerazione Cortico-Basale e la paralisi Sopranucleare Progressiva.
Nella prima si sviluppa un disturbo aprassico,a carico inizialmente e principalmente di
un arto superiore,con difficoltà a coordinare i movimenti,rigidità, sensazione di
impaccio,legnosità ed estraneità con progressiva estensione agli altri arti e comparsa di
aprassia articolatoria.Nella seconda inceve,si rilevano paralisi dei movimenti di
verticalità dello sguardo,instabilità posturale con frequenti cadute,parkinsonismo.
Situazioni patologiche che danneggiano strutture sottocorticali come il talamo o i gangli
della base,pur non colpendo direttamente le cortecce prefrontali,le privano di una serie
di connessioni neuronali,realizzando una sindrome frontale da deconnessione altrimenti
indicata come"sindrome dei circuiti frontali-sottocorticali",eventualità non rara in corso
di encefalopatia vascolare sottocorticale,Sclerosi Multipla,Malattia di Parkinson,Corea di
Huntington.
Le alterazioni del comportamento rendono difficle la gestione del paziente,turbano i
familiari ostacolano una eventuale riabilitazione.

TERAPIA DELLE DEMENZE

Il trattamento farmacologico delle demenze è orientato su una duplice direzione;da una


parte intervenire sulle cause ed i meccanismi della malattia,dall'altra agire sulle
manifestazioni ed i decorso della sintomatologia nell'ambito dei tre domini
prevalentemente compromessi:cognitivo,comportamentale e funzionale.
Relativamente al primo punto,la possibilità di un intervento efficace dipende da quanto
se ne sa sulla eziopatogenesi.Per quel che riguarda le demenze secondarie,la rimozione
di patologie può determinare la remissione della sintomatologia.In realtà la guarigione
di una sindrome demenziale è piuttosto rara.
Relativamente alle demenze vascolari,l'intervento più efficace da mettere in atto è
quello preventivo:riducendo i rischi cerebro-vascolari si può limitare e
stabilizzare,almeno in parte,il danno.
Nell'ambito delle demenze su base neurodegenerativa,le conoscenze sui meccanismi
che inducono le forme fronto-temporali sono troppo scarse perchè sia ipotizzabile
rixorrere in esse ad un intervento mirato.
Nonostante questo,anche per questa patologia le possibilità di un intervento
farmacologico efficace sono modeste e volte esclusivamente a potenziare l'attività del
sistema colinergico.
Attualmente per i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer sono disponibili in commercio
tre farmaci inibitori:donepezil,rivastigmina e galantamina.
un aspetto rilevante nella gestione dei pazienti affetti da demenza è quello relativo al

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trattamento dei disturbi del comportamento per cuo è disponibile una variabile gamma
di farmaci,molti dei quali possono indurre effetti collaterali indesiderati,che si
manifestano con maggior frequenza e gravità nei soggetti affetti con demenza.

INTERVENTO PSICO-SOCIALE

il presupposto dell'intervento psicosociale nella demenza è rappresentato dalla


convinzione che i sintomi ed i comportamenti del paziente non siano solo espressione
del processo patologico di base,ma riflettano anche le reazioni emotive dell'individuo
così come il contesto sociale ed ambientale.L'obiettivo è aumentare l'autosufficienza e
migliorare la qualità della vita sia del paziente che dei suoi familiari attraverso la
promozione di un migliore adattamento e la riduzione dell'eccesso di disabilità,tenedo
conto di aspetti neurobiologici,psicologici e sociali.Le strategie(psico-sociale)sono volte
al potenziamento delle risorse personali ed alla ottimizzazione delle abilità residue,al
sostegno dei familiari in termini di contenimento dello stress e del carico
assistenziale,all'adattamento del contesto ambientale.
Nel corso degli anni è stata sviluppata un'ampia gamma di tecniche che si prefiggono la
stabilizzazione o una migliore gestione del deficit cognitivo,il contenimento dei disturbi
del comportamento,la riduzione dello stress,la possibilità di far fronte alle difficoltà,ma
nel complesso la reale efficacia dei diversi approcci non appare sufficientemente
suffragata sul piano scientifico.In effetti ci sono da considerare dei fattori nella
valutazione dell'efficacia dell'intervento psicosociale:
• Dimensione del campione
• presenza di gruppi di controllo
• Cecità dei valutatori
• tipologia/gravità del paziente
• selezione degli outcomes
• modalità di somministrazione dell'intervento
• durata dell'intervento
• esperienza/capacità dell'operatore
• presenza e ruolo dei caregivers

LA STIMOLAZIONE COGNITIVA

Per quel che riguarda gli interventi rivolti direttamente al paziente,sono state ideate
numerose tecniche di stimolazione cognitiva volte soprattutto a migliorare i processi di
apprendimento,a consolidare memorie acquisite,a mantenere un corretto orientamento.
Indicate per i pazienti in fase iniziale di malattia,si basano sostanzialmente su
mnemotecniche che associaziono espressioni verbali a immagini visive o
viceversa,indirizzano l'analisi approfondita del memorandum,tendono a stabilire nessi
logici tra le informazioni che devono essere acquisite o ad organizzarle secondo un
codice semantico o fonologico,o ancora,a contestualizzarle in una storia di senso
compiuto.
Tecnica dell'apprendimento senza errori: Consiste nell'incoraggiare i soggetti sottoposti
ad apprendimento di nuove informazioni,a fornire la risposta solo quando sono convinti
che esa sia corretta,onde evitare gli effetti negativi dell'interferenza.
Recupero progressivo:Tende a favorire l'apprendimento ricordando le informazioni-

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prevalentemente associate nome faccia o collocazione di oggetto-per intervalli di tempo
Vanishing cues: può essere facilitato da una serie di suggerimenti che vengono
gradualmente ridotti nelle sedute successive.
Manca una chiara evidenza scientifica della loro efficacia a causa dell'assenza di un
disegno metodologicamente corretto dei vari studi.
Terapia della reminiscenza autobiografica-->si basa sulla narrazione,spontanea o
all'interno di un'attività strutturata,di eventi salienti della vita della persona,da sola o
più spesso in gruppi in cui i partecipanti si incontrano una volta a settimana e sono
incoraggiati a parlare di eventi passati.L'obiettivo è stimolare le capacità mnestiche
risidue.
Terapia di orientamento alla realtà--> è finalizzata a riorientrare i pazienti confusi o
con deterioramento mentale rispett a sé,alla propria storia o lla'ambiente
circostante.L'obiettivo è modificare comportamenti maladattivi e migliorare il livello di
autostima facendo sentire il paziente partecipe di relazioni sociali significative e
riducendone l'isolamento.
Benchè la ROT sia una tecnica di stimolazione cognitiva molto diffusa,non è chiaro
quale sia la tipologia di pazienti che ne maggiormente ne tragga benefici.
In conclusione la stimolazione cognitiva in senso lato comprende una serie di tecniche il
cui scopo dovrebbe essere non tanto aumentare la performance in compiti
cognitivi,quanto piuttosto migliorare le capacità del paziente nel contesto
quotidinao,basandosi più sul recupero di processi acquisiti che sull'apprendimento di
nuovi, coinvolgendo processi di riconoscimento più che di richiamo e spostando le
richieste da strategie interne ad aiutii esterni.

CONTROLLI DEI DISTURBI SUL COMPORTAMENTO

I trattamenti non farmacologici dei disturbi del comportamento dei pazienti affetti da
demenza sono di vario tipo,ma tutti volti a creare situazioni che consentano la riduzione
dell'ansia e della tensione emotiva,limitino la sensazione di solitudine e inutilità e creino
un ambiente sufficientemente,ma non eccessivamente,stimolante dal punto di vista
sensoriale.
Musicoterapia
Terapia Snoezele(stimolazione multisensoriale)
Presenza simulata(nastri registrati o video o immagini con familiari)
Attività ricreative
Metodo Montessori(con esercizi che utilizzano una serie di suggerimenti e
progrediscono per livelli crescenti di attività)Attività fisica
Riduzione di stimoli sensoriali(abbassare il volume della televisione e del tono della
voce)
Modificazione dell'ambiente.
Queste strategie non mostrano nel complesso un efficacia tale da rendere tali
provvedimenti raccomandabili.I disturbi del comportamento sono sia l'espressione
fenomenologica di alterazioni neurobiologiche,sia il riflesso dell'esperienza soggettiva
che il pazinete demente fa dei propri deficit cognitivi e funzionali.Quindi,essendo frutto
anche dell'esperienza soggettiva,è opportuno personalizzare gli eventi.

INTERVENTI SULL'AMBIENTE

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Come per altre malattie caratterizzate da Handicap,nella demenza in fase avanzata
l'ambiente può accentuare o ridurre il livello di disabilità.
L'introduzione di suppellettili,utensili o oggetto da bagno colorati,ben
impugnabili,facilmente lavabili può rappresentare una facilitazione per svolgere le
attività quotidiane.
il ricorso ad indumenti privi di bottoni,chiusure lampo,cinture o ganci o di scarpe senza
stringhe consente al paziente una maggior autonomia nel vestirsi e spogliarsi.
Tenere bene in vista oggetti,foto o libri significativi consente di rinforzare l'identità
personale.
Possono essere considerate ambientali anche le relazioni tra pazienti e personale
incaricato all'assistenza.Merita infatti attenzione il ruolo dei programmi di educazionbe
del personale nel gestire i disturbi del comportamento.

SUPPORTO E COUNSELING AL FAMILIARE

i familiari dei soggetti affetti da demenza rappresentano un aspetto cruciale della


questione,sia come effettivi gestori dello stato di salute e di benessere del paziente,sia
come soggetto passibili di sviluppare essi stessi una serie di
disturbi(ansia,depressione,tono dell'umore..).
La relazione paziente-familiare è così stretta che se ne parla come una diade e sempre
più numerosi sono i dati che indicano come non solo la malattia del paziente induce
problemi di salute nel familiare,ma come lo stato di stress di quest'ultimo influenzi
negativamente il decorso della demenza del paziente.L'intervento psico-sociale rivolto
al familiare è quindi uno strumento di protezione e rafforzamento della diade e di
riduzione dei costi sociali della malattia in termini di ore di lavoro perduto,di visite
mediche di farmaci,ecc.
Lo stress sperimentato dai familiari di pazienti con malattia di alzheimer cresce con
l'avanzare del deterioramento cognitivo del paziente ed è superiore a quello dei
familiari di malati terminali.
Alla luce di queste considerazioni l'esperienza di fornire assistenza al congiunto affetto
da demenza non può essere considerata un fenomeno unitario,ma piuttosto come
un'interazione tra fattori che si modulano reciprocamente e mutano nel tempo con
diverso impatto sullo stato di salute del caregiver.
Il supporto al caregiver si è quindi articolato attraverso diverse terapie
psicologiche(cognitivo-comportamentali,psicodinamiche,di formazione e consulenza) sia
individuali che di gruppo,la cui reale efficacia è praticamente insondabile.
Complessivamente,sembra che solo la gestione dei disturbi del comportamento
attraverso un'educazione specifica,sia dei familiari che del personale operante in reparti
di lungodegenza,dia buoni risultati.
Al di là dei songoli casi,una serie di provvedimenti appaiono raccomandabili in tutte le
situazioni:
1)Fornire ai familiari e al personale addetto il maggior numero di informazioni,sia in
generale che sull'individuo così da consentire la comprensione di comportamenti che
appaiono inspiegabili ed evitare quindi reazioni incongrue,favorire il potenziamento
delle facoltà residue del paziente,migliorare le modalità di comunicazione e promuovere
l'autosufficienza

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2)Organizzare attività ricreative e rieducative per piccoli gruppi di pazienti,tenendo
conto degli interessi e della personalità premorbosa
3)Preferire ambienti gradevoli,arredati in modo funzionale,non ingombri di mobili ed
oggetti inutili,ben illuminati,non rumorosi,eventualmente rallegrati da pareti o oggetto
colorati e da un sottofondo musicale adeguato.

CONCLUSIONI

La definizione del paziente affetto da demenza sia in termini diagnostici che psicosociali
non è impresa banale e richiede l'impegno congiunto di tutti gli operatori sociali.E'
importante sottolineare che l'assessment socio-familiare è fondamentale quanto la
raccolta della storia clinica per fornire al paziente e alla famiglia un supporto adeguato.
E' essenziale valutare lo stato di salute generale del soggetto,stabilire quali farmaci
vengono assunti,il livello culturale,le caratteristiche dell'ambiente sociale e familiare,la
tipologia dell'abitazione.
su questa base potranno essere suggeriti comportamenti e accorgimenti che
apporteranno benefici in termini della qualità della relazione paziente-caregiver ed una
probabile riduzione dei costi in termini di farmaci,ricoveri impropri,consultazioni
mediche.

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