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6. La disoccupazione
Non si dà crisi (borsistica o finanziaria, bancaria o monetaria, commerciale o industriale) che non
scarichi a massa i suoi effetti. Secondo i dati della Società delle Nazioni, la disoccupazione superò
nel 1932 i 25 milioni di unità cui bisognava aggiungere i milioni di lavoratori agricoli e di contadini che,
se non disoccupati, erano occupati quasi ovunque solo parzialmente. Maggiore fu quindi la
disoccupazione in quelle nazioni dove la possibilità di lavoro-sfogo agricolo erano minori: 15 milioni
negli Stati Uniti e 7 milioni in Germania - nazioni a forte tasso di industrializzazione. La Francia risentì
in maniera nettamente inferiore del fenomeno disoccupazione per vari motivi contingenti (dopo la
guerra fu meta di molti emigranti in cerca di lavoro che alle prime avvisaglie della crisi rimpatriarono;
anche molti francesi abbandonarono le città rifugiandosi nelle fattorie agricole; ma la crisi in generale
si manifestò in ritardo rispetto agli altri paesi – tanto che, come abbiamo visto, si era permessa
ancora prestiti a breve nei confronti delle banche tedesche).
La disoccupazione fu aggravata dalle politiche deflazionistiche adottate per evitare conseguenze sul
bilancio statale: riduzione degli stipendi, aumento della tassazione diretta anche sui salari, e drastica
riduzione della spesa pubblica (si veda, per esempio, l'operato del governo Brüning in Germania). E
dalla crisi sociale che ne seguì alla crisi politica il salto fu breve: è, infatti, al malcontento che essa
suscitò che va attribuito il primo successo ottenuto da Hitler nelle elezioni del luglio 1932. Successo
che si rinnovò e accrebbe nelle nuove elezioni del novembre, anche se, nel frattempo, a partire dagli
inizi del settembre, il cosiddetto «piano di Von Papen» aveva cercato di imprimere numerosi stimoli
alla domanda interna, e, con la riduzione del tasso di sconto al 4% e alcune agevolazioni creditizie,
aveva favorito la ripresa industriale.
Ma ovunque la politica di contenimento della spessa pubblica e di salvaguardia del valore della
moneta (promossa da Hoover) è da considerarsi una delle principali cause della ingente
disoccupazione mondiale. Fu in questo quadro che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del
novembre portarono alla sconfitta di Hoover e alla vittoria di F. D. Roosevelt.
8. L'interpretazione keynesiana
Che cosa aveva ridotto così drasticamente la produzione di beni e di servizi? Le risorse naturali degli
USA erano ancora abbondanti. Il paese possedeva un eguale numero di fabbriche, di attrezzature e
di macchine. Il popolo possedeva le stesse capacità lavorative e voleva dispiegarle nel lavoro. E
tuttavia milioni di lavoratori, con le loro famiglie, mendicavano, prendevano a prestito, rubavano,
facevano la fila per ottenere magre porzioni della carità pubblica, mentre migliaia di fabbriche
rimanevano inattive o lavoravano ben al di sotto della propria capacità.
La spiegazione sta nelle istituzioni del sistema capitalistico dell’economia di mercato. Le fabbriche
avrebbero potuto essere aperte e gli uomini mantenuti al lavoro, ma non lo furono perché questo non
avrebbe prodotto profitto. E, in un’economia capitalistica, le decisioni di produzione sono basate
principalmente sul criterio del profitto e non sulle necessità della gente.
Il sistema economico capitalista parve essere sull’orlo di un completo collasso. Erano indispensabili
provvedimenti drastici, ma prima di poter salvare il sistema era necessario comprendere meglio la
malattia di questa depressione economica.
E questo compito fu assolto da uno fra i più brillanti economisti del secolo: John Maynard Keynes
(1883-1946). Nel suo libro La teoria generale dell’occupazione, interesse e moneta, Keynes cercò di
far capire che cosa era successo al capitalismo, al fine di permetterne la conservazione.
La depressione nasce dal fatto che una riduzione nel volume degli investimenti che possono
accadere ciclicamente o accidentalmente in un’economia, quale ne sia il motivo, si riflette in una
riduzione della produzione dei beni strumentali nei quali detti investimenti si concretizzano. Da qui
una riduzione nell’occupazione e nei consumi dei gruppi di percettori di reddito interessati in tale
produzione. In conseguenza, peggiorano le prospettive di guadagno di altri gruppi di imprenditori e
con esse diminuisce ulteriormente l’incentivo ad investire.
Cadono così ulteriormente i consumi, attraverso una serie di reazione a catena per effetto delle quali
la situazione, in fatto di occupazione, produzione, prezzi e profitti, tende a peggiorare per così dire da
se stessa. In particolare, gli imprenditori non hanno convenienza ad utilizzare in nuovi investimenti il
risparmio monetario accumulato dai percettori di reddito.
Il nodo della crisi risiede proprio in questa discordanza tra le decisioni dei percettori di reddito, che
ritengono conveniente non consumare, ma che non investono direttamente il danaro risparmiato, e le
decisioni degli imprenditori, che non ritengono conveniente utilizzare tale denaro per aumentare i loro
investimenti e, quindi, la domanda di beni strumentali.
Si pensa quindi che lo Stato debba cercare di arrestare il processo, per così dire, di perdita di
velocità, da cui è investito il sistema economico per effetto del circolo vizioso: riduzione di
investimenti - riduzione di consumi - di nuovo riduzione degli investimenti e via di seguito.
Ciò può ottenersi essenzialmente attraverso una qualificata spesa pubblica addizionale, che, se
effettuata tempestivamente e in misura adeguata, può invertire la tendenza e ricondurre il sistema
verso posizioni di pieno impiego, pur mantenendo una situazione di prezzi stabili. Dopo di che
l’intervento statale ha termine, salvo prodursi con altre modalità nella situazione opposta in cui un
processo di espansione dia luogo a una domanda di fattori produttivi che ecceda quella che può
essere soddisfatta ai prezzi correnti.
In conclusione il Keynes sostiene che l’intervento dello Stato deve essere limitato nel tempo e basato
su un programma di spesa pubblica mirante ad utilizzare i fattori inoperosi (politica anti-
deflazionistica) oppure deve essere finalizzato a contenere la domanda nei limiti dei fattori disponibili
(politica anti-inflazionistica).
(Cfr. mappa concettuale: La crisi del 1929 )