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La sindrome di Stendhal

di

Catherine BC
Racconto
Genere: romance contemporaneo
Copyright 2014 Catherine BC
Tutti i diritti sono riservati all’autore
di Catherine BC
A Sara, con affetto
I
Le luci stavano trasformando la città in

quella sera di maggio. Sembrava che

seguissero la dolce brezza che arrivava

da nord-est, facendo brillare le strade e

le piazze come gioielli. Il profumo

intenso dei tigli riempiva ogni quartiere

e la linea elegante dei ponti assumeva un

senso centripeto. Ogni tratta, ogni grande

arteria come ogni vicolo, era orientata

verso un punto preciso, un cuore

pulsante d’aspettativa. Parigi rifletteva

il firmamento e lungo la Senna l’eco di

civiltà lontane nel tempo e nello spazio

trovava pace nello sciabordio dei

battelli. La cultura, la scienza, la vita

stessa prendevano forma, come facevano

da molti anni, al di là del Pont du

Carrousel, oltre i Giardini delle


Tuileries, all’ombra degli antichi fasti

della

corte

reale,

dove

sorgeva

l’imponente museo del Louvre.

Il professor Marc Collins osservava le

sfaccettature straordinarie che la luce

assumeva passando da quell’enorme

caleidoscopio che era la grande

piramide. Sembrava una fucina di fuochi

fatui, l’immagine decadente di un limbo

in cui le anime galleggiavano sospese, in

attesa della sorte loro assegnata.

Racchiudeva un’umanità effimera quella

sera, che si sarebbe esposta in un gran

galà con l’ironica pretesa di eguagliare

in bellezza le opere d’arte. Marc aveva

già deciso che vi avrebbe fatto soltanto


una

breve

apparizione.

Preferiva

lasciare le luci della ribalta e il centro

della scena al nuovo Président directeur

général, Jean-Luc De Blasy, anche se si

era impegnato in prima persona nelle

trattative con Mikhail Ivanov, il

direttore dell’Ermitage, per poter avere

nell’ala Denon Amore e Psyche stanti,

da affiancare alle altre quasi omonime

opere del Canova. La presentazione

della statua doveva essere il clou

dell’evento mondano.

Tutto più inevitabile che utile per il

professor Collins che aveva dell’arte un

concetto trascendente l’essenza stessa

della mondanità. L’arte secondo Marc

era immutabile, eterna. Attimi ed


emozioni fissate per sempre. Creazioni

del genio umano che non sarebbero mai

state

esposte

alla

volubilità

dei

sentimenti. L’arte non tradiva mai, anzi

rimandava tutta la passione che la gente

vi dedicava in egual misura. Ogni opera

non

conosceva

una

successiva

evoluzione, era un punto di riferimento

fermo, una sicurezza. Le sensazioni

umane, invece, erano volubili, soggette a

repentini cambi di direzione, instabili.

L’arte era anche un’amante generosa, ma

esigente. Lo ammaliava, lo coinvolgeva


fino allo spasmo, lo vinceva quasi a

livello fisico. Fin da adolescente

riusciva a vedere il mondo attraverso

prospettive che i suoi coetanei nemmeno

riuscivano a concepire. Riusciva ad

andare oltre ogni apparenza, a intuire la

natura delle persone e a riconoscere la

bellezza in termini assoluti ovunque essa

si fosse rivelata. Così, aveva seguito la

sua passione di sempre e ne aveva fatto

un oggetto di studio approfondito. Alla

Sorbonne si era iscritto al corso di

Archeologia e Storia dell’arte e lì aveva

conosciuto Jean-Luc De Blasy, che si

era rivelato un compagno d’avventure

oltre che di studi. Jean-Luc abitava a

Parigi, dove la punta estrema del VI

Arrondissement riusciva a blandire le

acque della Senna sulla sua riva sinistra,

proprio di fronte all’Ecole National


Superier des Beaux Arts. Un destino che

sembrava già scritto.

La famiglia di Marc, invece, abitava a

Seugy, ad una trentina di chilometri

dalla capitale. Molto spesso Collins non

tornava a casa alla fine delle lezioni

pomeridiane, talvolta nemmeno per il

fine settimana, ma si trascinava a casa di

Jean-Luc con il quale condivideva

serate goliardiche e bevute colossali.

Erano

entrambi

di

poche

ma

significative parole, lanciavano lunghe e

insistenti occhiate e elargivano sorrisi

calcolati. Era una tecnica ben assestata,

una coordinazione eseguita più volte con

molto successo. Fisicamente, tuttavia,


erano agli antipodi. Jean-Luc non era

molto alto e i bicchieri di troppo

avevano già iniziato a far lievitare il suo

basso ventre, ma aveva un taglio d’occhi

orientaleggiante e dei lineamenti delicati

che gli conferivano un’aria intrigante.

Amava vestirsi sportivo anche nelle

occasioni meno consone. Marc, invece,

era più alto e i capelli corvini

contrastavano nettamente con l’azzurro

limpido dei suoi occhi. I tratti del viso

erano più marcati e disegnati, come

fossero il frutto di incisivi tratti di

carboncino, e la sua aria da tenebroso

dava la tangibile impressione che

riuscisse

ad

elevarsi

sopra

la
maggioranza degli studenti. Le attenzioni

femminili non mancavano né all’uno né

all’altro.

Marc aveva il fascino dell’intellettuale

introverso e trovava piacevole la loro

compagnia. Forse era anche questione di

fortuna: in qualche modo, un giorno,

avrebbe dovuto rendere omaggio a quel

nonno materno cui somigliava come una

goccia d’acqua, grazie al quale poteva

sfoggiare una sintesi elegante fra il

portamento anglosassone e l’aspetto

decisamente mediterraneo. Era galante,

gentile e subiva il fascino femminile

soprattutto fra i fruscii di lenzuola

anonime, ma non aveva mai voluto

legami. Era anche questione d’istinto.

Avvertiva l’effetto che faceva ed era un

bravo osservatore: vedeva le pupille

dilatarsi, le mani muoversi in gesti


nervosi, accomodando continuamente

ciocche inesistenti dietro alle orecchie,

le gambe assumere d’incanto pose

seducenti ed invitanti. Era un istinto

primordiale a guidarlo e Marc non

voleva sentirsi in balìa di qualcun altro.

Voleva poter contare solo su se stresso,

con la stessa costanza e la caparbietà

che l’avevano portato ad una cattedra

universitaria

prestigiosa

alla

vicedirezione di uno dei più importanti

musei al mondo.

Cullato da questi pensieri si immerse

nella sala, che rifulgeva di una luce

insolita. Avanzò incerto nel grande

padiglione, come se non avesse una meta

precisa o, peggio, fosse lì per puro caso.


Già

il

chiacchiericcio

sommesso,

interrotto da qualche risata troppo

stridula, lo infastidiva. Il restringersi

dello spazio tra un gruppo di persone e

l’altro sembrava rubargli il respiro. Si

sentiva a disagio quando aveva a che

fare con troppe persone. Se la cavava

benissimo nel rapporto a quattr’occhi

con qualsiasi interlocutore, per quanto

influente o famoso fosse, ma la folla lo

faceva sentire estraneo, spogliato del

suo ruolo, della sua armatura. Sorrise

all’immagine di se stesso ricoperto da

un’armatura lucente, una protezione che

lo alzasse al di sopra gli sguardi altrui,

una cattedra prestigiosa o un ufficio

importante che fosse. Marc, però, non si


sentiva uno di quei cavalieri scappati

dalla chanson medievale, non aveva mai

combattuto per qualcosa che non avesse

un tornaconto immediato. Di sicuro non

aveva combattuto per qualcuno o forse

non aveva ancora trovato un motivo per

farlo. Poteva definirsi più egoista o

opportunista?

«Professor Collins! Marc!»

Il volto gongolante di De Blasy attirò la

sua attenzione, ancor prima del suo

braccio alzato. Era nel suo elemento il

caro Jean-Luc, nato per intraprendere

pubbliche

relazioni,

per

trattare,

negoziare, intrattenere e blandire. La sua

parte complementare e anche un buon

amico.
«Buonasera

Jean-Luc,

signori…

signore.»

Salutò con un cenno del capo gli

smoking e gli abiti da sera pieni di

ambizione che gli stavano davanti,

indugiando con lo sguardo sulle signore,

fino a vederle offrire sorrisi e generose

scollature.

«Mio caro Marc, è la sua serata. Non

vorrà rimanere in disparte oppure

lasciarci con una scusa!»

Madame Du Ravel l’aveva agganciato

con grazia al braccio, spostando la

mano, pur in modo poco evidente, sulla

superficie del suo bicipite. Il vestito

rosso la fasciava in modo sfacciato,

lasciando intravedere forme voluttuose.

La firma del marito sul Libro d’oro del


Louvre fra i generosi cittadini che

avevano contribuito ad assicurare alle

cure di Marc un importante gruppo

scultoreo in avorio del tredicesimo

secolo sembrava averla convinta di

avere anche altri tipi di diritti.

Perlomeno si aspettava una docile

concessione

di

fronte

ad

un

corteggiamento garbato. Marc sorrise e

l’accompagnò nello splendore della

galleria illuminata dal basso secondo le

direttive di una sapiente regia. I fasci di

luce

slanciavano

pilastri
che

sorreggevano le arcate, che sembravano

stagliarsi sul soffitto, ridonando nuovo

spazio

all’ambiente

sul

quale

si

allungavano le ombre. La prospettiva

era affascinante, anche se Marc aveva la

sensazione di percorrere il ventre di una

grande creatura, che si nutriva di arte e

vanità. Vedeva il lato oscuro di ogni

cosa

per

carattere

vocazione,

manifestando la malinconia, spesso

illeggibile, di ogni animo artistico. Altre


signore, splendenti quanto i gioielli che

ostentavano, gli si fecero vicino,

salutandolo con cortesia e tentando di

ammaliarlo con gli occhi. Madame Du

Ravel lo strinse con più forza,

toccandolo anche con i fianchi. Era un

modo per marchiare il territorio nei

confronti di potenziali avversarie, un

altro istinto primordiale, basilare,

umano. Solo l’arte riusciva ad ergersi al

di sopra degli istinti, frutto della

ragione,

spogliata

di

ogni

sentimentalismo

inquinante.

Stava

tentando di sorvolare sia su questi

pensieri che sulla vistosità dei colori


degli abiti, quando un velo di un bianco

impalpabile gli passò davanti agli occhi.


II
Sarah aveva ottenuto quell’invito quasi

per caso. Aveva fatto di tutto per essere

inclusa nella lista ufficiale del galà al

Louvre, ma, non essendo ancora stato

approvato

il

suo

contratto

di

collaborazione dal consiglio direttivo, il

suo nome non vi poteva figurare. Poi,

poche ore prima, un suo collega vi

aveva rinunciato e le aveva offerto la

possibilità di godersi da vicino la

presentazione di Amore e Psiche Stanti,

una delle opere il cui studio le aveva

valso il dottorato di ricerca in Storia

dell’Arte. Poteva chiedere aiuto allo zio


che,

sbaragliando

ogni

candidato

papabile, era stato designato da poco

direttore generale del museo, ma era

sempre stata abituata a contare solo

sulle sue forze. Voleva essere stimata

per il suo lavoro e le sue ricerche, non

per essere legata ad un nome altisonante

nell’ambiente. Per sua fortuna il

cognome di suo padre poteva ancora

celarla sotto un tranquillo anonimato.

Aveva dovuto rimediare alla svelta un

abito adatto all’occasione e aveva

approfittato della disponibilità della sua

coinquilina per acconciarsi i capelli.

Ora che era lì, però, avrebbe voluto

trovare un posto tranquillo e riparato per

poter guardare senza essere vista, per


non dover sorridere in continuazione e

fingere di avere una meta, un punto dove

arrivare davvero. Ad affossare ogni sua

apparente sicurezza aveva fatto il suo

ingresso lui, Marc Collins.

Era di una bellezza scandalosa, con lo

sguardo

fiero

fiammeggiante.

Sembrava avesse il potere di ridurre le

persone in cenere solo con la forza dei

suoi trasparentissimi occhi azzurri. Di

solito li nascondeva dietro ad un paio di

occhiali severi, ma la sua fisicità non

poteva passare inosservata comunque.

Sarah aveva seguito il suo corso, ma poi

aveva sostenuto l’esame con uno dei

suoi assistenti. L’aveva incrociato

qualche volta durante il suo periodo di


dottorato, ma Collins non l’aveva mai

degnata di uno sguardo. Eppure doveva

avere un posto nei suoi ricordi. Lo

incontrava spesso da ragazzina e lo

spiava dalla finestra della camera dei

nonni quando prendeva il sole in piscina

con Jean-Luc e tutte quelle ragazze. Ne

aveva visto passare diverse, le aveva

guardate spendere moine, elaborare e

vincere, una mossa dopo l’altra, partite

di seduzione. Ora era a pochi passi da

lei, stupendo nella sua giacca color

ghiaccio,

dal

taglio

squisitamente

elegante, adornata al taschino da un

fazzoletto, piegato ad arte, nero bordato

di bianco. Un paio di pantaloni neri gli

fasciavano
le

gambe,

possenti

muscolose come fossero quelle di un

atleta piuttosto che di un professore

universitario, mentre una candida polo

sportiva contrastava sapientemente con

l’insieme. Una scelta irriverente, vista la

natura imperativamente elegante del

galà.

Sarah aveva materializzato nella mente

l’illusione

che

Marc

potesse

attraversare quel tratto dell’ala Denon

per andarle incontro, sfiorarle la mano

con le labbra in un gesto antico e offrirle

il braccio per accompagnarla poi verso


la meraviglia di marmo che era arrivata

da San Pietroburgo. Invece, ancora una

volta si sentì spettatrice della vita altrui,

soprattutto di quella del professor

Collins. Lo vide sorridere all’elite della

finanza e dell’industria che circondava

suo zio e farsi prendere il braccio

dall’intraprendente Madame Du Ravel.

Una sensazione strisciante prese in

ostaggio il suo stomaco, annidandosi fin

negli angoli più reconditi della ragione.

Che strane associazioni le faceva fare

quell’uomo! La ragione era più una

funzione che si addiceva alla testa che

alla pancia, ma Sarah era tutta istinto,

spontanea fino all’ingenuità più pura.

Molte volte aveva pensato che questa

sua dote potesse rasentare la stupidità e

ne stava avendo prova anche in quel

momento, perché immaginare che un


uomo come il professor Collins fosse

alla sua portata era una cosa stupida.

Tuttavia, il suo corpo si stava

comportando come un becero traditore,

fremendo

avvicinandosi

inconsciamente all’oggetto del suo

desiderio. Tutto sembrava procedere al

rallentatore. Sarah stava vivendo in una

dimensione non sua. Era ad una festa

magnifica, in uno scenario meraviglioso,

dove l’arte pulsava allo stesso ritmo del

suo cuore. I vestiti da sera assorbivano

il candore della luce artificiale e ne

rimandavano fantasiosi arcobaleni. In un

contesto così idilliaco, le sembrava

naturale avvicinarsi a Marc come se

fossero sempre stati in contatto e

avessero
un

particolare

legame

empatico. I tratti del suo viso erano

cesellati come quelli delle statue

disposte su entrambi i lati della galleria,

disegnati con sapienti tocchi. Un leggero

filo di barba tentava di confonderli, col

risultato di esaltarli maggiormente.

Doveva aver sedotto ogni musa dell’arte

per sembrare il frutto di fini scalpelli e

delicati colpi di pennello di qualche

artista rinascimentale. Un colpo di reni

della ragione, invece, la fece fermare a

pochi passi da lui e rientrare in sé. La

nebbiolina leggera e piacevolmente rosa

che avvolgeva i suoi pensieri si dissolse

e il rischio di fare una brutta uscita le

arrivò concreto. Deviò, sperando che il

suo gesto non venisse notato, e si diresse


verso un punto qualsiasi in lontananza.

Marc

pensava

d’avere

avuto

un

abbaglio. Lavorava troppo ultimamente

e dormiva per poche ore. La stanchezza,

quindi, poteva avergli giocato uno

scherzo di cattivo gusto. Un velo

candido e impalpabile gli mosse l’aria

vicino, inebriandolo di un fresco

profumo e una strana sensazione si

impossessò di lui. Sentiva che qualcosa

di unico stava per passargli accanto: una

persona o una possibilità oppure

entrambe. Una crescente inquietudine

cominciò a farlo muovere da un piede

all’altro, offuscando le immagini e le

voci di chi lo circondava. Un montante


senso di panico iniziò a prendere piede

in

lui

assieme

all’assurda

consapevolezza di stare per farsi

scivolare dalle mani un’occasione, come

sabbia dorata nella clessidra della sua

vita. Un claustrofobico nodo alla gola lo

opprimeva. Sentiva il bisogno di

allontanarsi per riprendere il controllo

di sé stesso. Pose con leggerezza la sua

mano su quella di Madame Du Ravel,

sfoderando il sorriso più suadente del

suo repertorio.

«Madame, sono spiacente, ma mi trovo

costretto a lasciarla un attimo. Devo

controllare

che

tutto
sia

stato

predisposto come avevo richiesto. La

lascio alla compagnia di Jean-Luc. Le

svelerà tutti i segreti che serba con così

tanta professionalità.»

«Ma certo, caro Marc. La capisco. Ho

solo un dubbio. Se il povero Jean-Luc

mi confessasse tutti i misteri del Louvre,

che ne sarà di me dopo?»

Madame Du Ravel dimostrò una classe

particolare nell’incassare quel modo di

defilarsi, pur velato di gentilezza, e vi

seppe rispondere con suadente ironia.

Marc le regalò un altro sorriso sornione

e avvicinò la bocca al suo orecchio.

«Dopo sarei costretto ad ucciderla,

Madame.»

La risata cristallina che ottenne come

risposta lo accompagnò oltre la folla che


si era assiepata all’imbocco della

galleria, fin quasi all’inizio della

scalinata. Voleva un posto tranquillo, un

angolo isolato tutto per sé per stuccare

le crepe che talvolta gli si aprivano

nell’animo. Non riusciva a chiuderle con

l’aiuto della ragione, almeno non

nell’immediato. L’ombra nera che si

portava dentro, sembrava respirare al

posto suo. L’accusa infamante di cui era

stato oggetto qualche mese prima aveva

lasciato una ferita ancora aperta e

pulsante. Quando Amelie Saussy l’aveva

accusato di molestie e il consiglio di

facoltà

l’aveva

temporaneamente

sospeso,

il

suo
mondo

aveva

pericolosamente barcollato. Soltanto

l’amicizia salda con Jean-Luc, che non

gli aveva mai negato il suo palese

appoggio ogni qual volta c’era stata

un’occasione pubblica, ne aveva salvato

la reputazione. Il rischio che la macchia

di quell’onta, nonostante poi si fosse

risolto tutto prima di arrivare ad

un’incriminazione

vera

propria,

l’avesse potuto segnare comunque

l’aveva davvero toccato nel profondo.

Ne aveva minato la sicurezza, la sua

capacità di rapportarsi con gli altri. Non

magari in occasioni formali, in cui il

ruolo di ognuno fosse ben definito e


chiaro, ma in altre meno ordinate, in cui

ogni parola o movenza poteva essere

interpretata in malo modo. Gli sembrava

che serate come quella fossero una

fucina di occasioni del genere. Così,

quando aveva iniziato a sentire persone

che non conosceva bene, troppo vicino

il panico aveva monopolizzato ogni suo

pensiero razionale, post ponendolo

all’irrazionale

voglia

di

fuggire.

Avrebbe voluto qualcuno vicino in quei

casi, qualcuno che lo comprendesse

davvero, che lo ascoltasse senza

fissargli le labbra, aspettandosi una

contropartita.

L’universo

femminile
sembrava adorarlo, ma mai nessuna

donna era riuscita ad entrargli dentro, ad

offrirgli qualcosa più dell’ovvio. Le

donne sofisticate lo colpivano, ma ne

scalfivano appena la pelle, magari

graffiandogli la schiena. Nessuna magia,

nessuna ansia di rivedersi, niente da

condividere oltre l’apparenza e la

fisicità. Marc, invece, cercava una

donna che gli procurasse una sorta di

vertigine, che gli facesse battere il cuore

con un ritmo anomalo, come quando

contemplava un’opera d’arte dal valore

incommensurabile. Voleva avere una

specie di sindrome di Stendhal di fronte

ad una bellezza spontanea, non costruita,

ma semplice. Un’anima affine alla sua,

senza percorsi obbligati, abiti sontuosi,

parole vuote.

Si costrinse a trovare concentrazione


osservando le punte delle sue scarpe

italiane porsi una davanti all’altra a

grandi passi, fino all’apice della scala

dove le opere del grande scultore veneto

erano state poste l’una di fianco

all’altra, a richiamare la stessa idea di

sentimento cristallizzato perpetuamente

nell’atto più puro. Marc si appoggiò con

il palmo della mano su una colonna ed

incassò il volto sulla spalla, tentando di

regolarizzare il respiro. Non voleva che

nessuno lo potesse vedere in quegli

attimi in cui perdeva il controllo di se

stesso.

Erano

pochi

istanti

che

avrebbero comunque potuto evidenziare

le sue debolezze e Marc non amava


esporsi per nessun motivo. Non porgeva

religiosamente l’altra guancia, né il

fianco agli avversari. Non dava seconde

possibilità neppure a se stesso, figurarsi

al prossimo.
III
Il suo battito tornò ad essere regolare

dopo un po’. Allora Marc alzò la testa e,

con un brivido d’orrore, scoprì di non

essere solo al cospetto della bellezza

marmorea delle statue. A pochi metri,

indifferente alla sua presenza e ai suoi

demoni interiori, c’era una giovane

donna. Gli dava le spalle e sembrava

incantata

nell’osservare

il

gruppo

marmoreo. Era vestita di bianco, con

uno di quegli abiti dalla linea semplice e

aristocratica che la facevano sembrare

appena uscita da un quadro del

Botticelli.

Era
eterea,

un

essere

impalpabile, l’incarnazione di un’anima

sicuramente meno tormentata della sua.

Marc trattenne il respiro e fece un passo

in avanti. La ragazza era completamente

assorta nella contemplazione dell’opera

che aveva di fronte a tal punto che

muoveva la mano come se la stesse

accarezzando. La sua pelle era nivea e

senza imperfezioni, proprio come il

marmo, e sembrava condividerne la

lucentezza. Qualche ricciolo scuro le

sfiorava la spalla con leggerezza,

sfuggendo all’acconciatura scomposta

ad arte. Marc sentì l’impulso di

toccarla, di testarne la morbidezza e il

calore. Aveva bisogno di sapere che

fosse reale.
«Non

trova

anche

lei

che

sia

bellissima?»

Si rese conto d’aver parlato e di aver

rotto così l’incantesimo quando ormai

era troppo tardi.

Sarah trasalì. Quella voce bassa e

morbida, che poteva accarezzare o

colpire con semplici variazioni di tono,

non poteva che appartenere ad una

persona. Un uomo altrettanto caldo e

ammaliante, imprevedibile e pericoloso.

Si portò d’istinto il palmo aperto sul

cuore, mentre percepiva chiaramente il

calore del suo corpo abbandonare ogni

estremità e concentrarsi sulle sue gote.


Si sentiva in fiamme, anche se le sue

mani continuavano ad essere ghiacciate.

Si girò con lentezza, pronta ad

assimilare ogni particolare, a trattenere

ogni attimo che Marc Collins fosse

disposto a dividere con lei, come aveva

sempre fatto. I suoi occhi salirono dallo

scollo della polo alla trasparente

bellezza degli occhi del professore. Era

lì, così vicino eppure ancora così

inaccessibile. Sarah si ritrovò a pensare

che non le importava poi molto quanti

anni potessero separarli, né che ruolo

avessero tra loro ruoli o cognomi, anche

se pesanti come investiture.

«Mi scusi, non volevo spaventarla.»

«Pensavo di essere sola.»

«Lo pensavo anch’io.»

La postura dei loro corpi era anomala.

Stavano uno di fronte all’altra, ma non


avevano né pochette né tasche a

sufficienza per occupare le mani. Sarah

sentiva uno strano formicolio che

partiva

dalla

nuca

scendeva

inesorabile lungo la schiena. Le causava

dei brividi che, invece di farla fuggire di

fronte ad un uomo che sprizzava

pericolo da tutti i pori, la spingevano

verso di lui, facendola inarcare come

fosse un gesto abituale.

Marc aveva annullato improvvisamente

ogni influenza esterna, rumori, voci,

ambienti. Percepiva solo loro due di

fronte alla bellezza delle statue che

rappresentavano

Amore
e

Psiche.

Sembravano al centro di un cono di luce

mentre il resto del grande museo veniva

avvolto nel buio dell’anonimato. Gli

occhi della ragazza faticarono a salire

dal suo petto al suo volto. Tutto era così

irreale e ogni attimo si dilatava,

rendendo il tempo una categoria

relativa. Quando finalmente poté vederla

in volto con chiarezza, Marc trasalì.

Sembrava

l’incarnazione

fresca

sensuale di Psiche, con un corpo più

voluttuoso su di un viso dai tratti

ugualmente adolescenziali. Gli occhi

erano

di
un

marrone

intenso,

paragonabile

quello

del

caffè

aromatizzato, e promettevano emozioni

esotiche come provenissero dalle Indie

inesplorate dei secoli precedenti. Nella

sua mente si stava generando una

confusione di epoche e stili, un rococò

delle sensazioni, una giostra medievale

di colpi alla ragione che in quel

momento non sapeva gestire.

Dopo qualche istante, entrambi si

voltarono verso le opere d’arte che, in

un improvviso ribaltamento di ruoli,

erano diventate spettatrici. Sarah deglutì


e, tentando di ignorare la presenza

immoralmente calda di Marc al suo

fianco, si concentrò sull’opera arrivata

dall’Ermitage.

«Non è semplicemente bella. È un

esempio immortale di ricerca della

bellezza in sé, una trasfigurazione quasi

perfetta della vita stessa.»

Marc vibrò. Non si aspettava una

definizione del genere, non da una bocca

così, disegnata e generosa, sensuale

anche quando declinata in un broncio

concentrato.

Avrebbe

voluto

abbeverarsi

di

quelle

parole

direttamente
alla

loro

fonte,

costringendola a dirne altre che gli

avrebbero fatto perdere del tutto la testa.

Il professore s’impose concretezza e

serietà

le

rispose

con

voce

involontariamente tremante.

«Perché dice che è quasi perfetta?»

«Psiche è ancora molto giovane e dona

ad Amore l’anima, simboleggiata dalla

farfalla. Ora senza entrare nel merito del

racconto

di

Apuleio,
Psiche

si

abbandona in modo assoluto e senza

garanzie.»

Marc le si avvicinò seguendo una legge

non scritta, un imperativo cui non sapeva

e non voleva opporsi. Il bisogno di

sentirla lo stava divorando. Aveva udito

poche parole e già ne era conquistato.

Doveva ribattere. Almeno su questo

argomento nessuno poteva ritenersi più

preparato.

«È corrisposta. Amore si appoggia alla

sua spalla con la guancia e l’abbraccia.»

«È amore carnale. Psiche gli dona il suo

corpo e la sua anima, così come

dovrebbe

essere

in

ogni
amore

assoluto.»

L’inguine di Marc si contrasse. Quella

ragazza gli stava tenendo testa con

grazia e determinazione. L’attrazione

verso di lei lo stava bruciando in modo

lento, ma subdolo, con piccoli fuochi

appiccati da istinto piromane in vari

punti e destinati a congiungersi fino a

propagare in un grande incendio.

Sperava di poter uscire in qualche modo

dal polverone delle ceneri di se stesso

che ne sarebbe derivato.

«È anche amore spirituale. Amore

accetta l’anima di Psiche, accoglie il

suo sentimento e di rimando le dimostra

la propria devozione. La dimensione

carnale, invece, è molto più elevata

nell’altra opera del Canova, quella più

famosa.»
Marc diede respiro ai propri muscoli,

distendendo

un

braccio

verso

il

capolavoro appena nominato, alla destra

del precedente. In secondo piano c’era

anche la terza opera omonima, a creare

una trilogia scultorea di prim’ordine. Il

sollievo, tuttavia, durò ben poco. La

ragazza lo superò, accettando il suo

invito a cambiare punto di osservazione

e gli si pose davanti, dandogli ancora

una volta le spalle. Una folata di

profumo fruttato, fresco come quello di

un campo di pesche, vellutato e

invitante,

gli

invase
le

narici,

abbattendosi su di lui come un’onda

inaspettata. Si sentì per pochi istanti

senza difese, in balia di una ragazza

senza nome che ne stava sconvolgendo i

sensi e la mente.

«Quest’opera sprigiona un erotismo

sottile e raffinato.»

«Non

avrei

saputo

trovare

un’espressione più concisa e vera.»

La ragazza abbassò la testa, donando a

Marc l’inattesa visuale del suo collo

nudo e niveo, perfetto nelle linee, esile

ed esposto. Avrebbe voluto far scendere

lentamente un dito sulla sua superficie,

per sentire la seta della sua pelle.


L’avrebbe fatto più volte fino a vederla

sciogliersi e appoggiare la nuca sulla

sua spalla. Si avvicinò a tal punto da

sentire il calore del suo corpo, da

avvertire piccole scosse elettriche fin

sui pori della pelle, sinapsi di

sensazioni

di

emozioni

che

trasmigravano dall’uno all’altra.

Sarah abbassò le spalle cercando in se

stessa la forza per non adagiarsi su di lui

e chiedere asilo tra le sue braccia. Non

era mai stata così. Non cercava

avventure, ma Marc l’aveva sconvolta

fin dal primo momento, ma soprattutto

da

quando
l’aveva

incontrato

nuovamente durante quel seminario sul

Neoclassicismo e la sua voce le si era

infilata sotto la pelle come fosse

un’endovenosa. La presenza imponente,

il fisico scolpito, la tonalità bassa e roca

della voce: era un uomo che parlava di

arte come se stesse facendo l’amore, con

lo stesso trasporto e la stessa passione.

In quel momento quel corpo e quella

voce erano alle sue spalle e la stavano

consumando.

«Le due figure sono rappresentate nel

momento precedente al bacio. Un

momento carico di tensione, ma privo

dello sconvolgimento emotivo che l’atto

stesso del baciarsi provocherebbe nello

spettatore.»

«L’attesa del piacere che è ancora più


sublime del piacere stesso?»

Sarah si sforzava di tenere lo sguardo

prigioniero della superficie perfetta che

le stava davanti, ma il respiro caldo di

Marc soffiava sulla sua spalla e alla

base del suo collo, come uno di quei

venti stanchi e lenti destinati però a dar

vita ad intere stagioni monsoniche.

«La

gestualità

il

movimento

introducono alla dimensione del tempo

cristallizzato in quest’attimo d’estasi.»

Marc iniziò a pensare di non aver mai

avuto una voce così roca e dolce. La

riconosceva a fatica, tanto si era

trasformata parlando d’arte con la

ragazza misteriosa. Sorrise a quella


menzogna. Non stava affatto parlando

d’arte,

almeno

non

solo.

Stava

descrivendo un attimo eterno, quello che

precede il bacio tra due amanti, quello

in cui gli occhi si perdono nell’infinito e

le bocche anelano ad un sollievo che

solo le labbra dell’altro sembrano poter

recare. Non si controllava più ormai.

Aveva un bisogno viscerale di toccarla,

anche solo di sfiorarla. Doveva capire

che effetto gli avrebbe potuto fare un

gesto concreto, un impatto in qualche

modo

fisico,

che

contrastasse
o

completasse la visione ideale che se ne

stava facendo.

«Osservi le braccia di Psiche. Formano

una sorta di cerchio mentre abbraccia

Amore, in un gesto delicato, plastico ed

erotico.»

Sarah sentiva le gambe farsi molli e ogni

appiglio mancarle. Marc le stava

togliendo il fiato, la stava seducendo

con le parole, la stava facendo vibrare

in modo indegno senza neppure toccarla.

Da parte sua, Marc aveva ridotto la

voce ad un sussurro. Una sillaba

pronunciata con un po’ troppa enfasi e le

sue labbra avrebbero potuto sfiorare

quella pelle meravigliosa, saggiarla,

leccarne l’essenza. Sarah riuscì ancora a

scovare una risposta coerente, facendo

così uscire l’ultima risorsa d’aria dai


polmoni.

«È una sintesi di bello naturale e bello

ideale, che prende armonia e movimento

dalla postura delle figure, volte a creare

una ics morbida, una doppia piramide,

simbolo ricorrente qui al Louvre.»

Marc si pizzicò l’attaccatura del naso e

inspirò. Cercava un contegno e controllo

sui suoi impulsi, baluardi che ormai

erano ben lontani, sulla riva della

razionalità

che

lui

aveva

già

abbandonato. Così, smise di lottare

come un naufrago contro onde troppo

alte e si lasciò andare verso l’immensità

dell’ignoto, rispondendole prendendo

ancora l’arte come pretesto.


«Già e nell’incontro di queste due

piramidi, tra le braccia della sua amata,

si sta sprigionando il desiderio senza

fine di Amore.»

A quelle parole Sarah fluttuò, proiettata

oltre le nuvole spumose e incolori della

sua quotidianità, nello splendore di

quella che sembrava essere la sua

favola. La sua fantasia stava prendendo

forma nel modo più audace. Chiuse in un

cassetto ogni dubbio e si lasciò andare,

allungando le braccia all’indietro, ad

imitare la postura della statua. Psiche si

offriva al suo Amore senza pensare,

facendo un salto nel buio e cavalcando

un’imponente onda emotiva. Le sue dita

sfiorarono il collo di Marc, fino a

toccarne la base ben curata dei capelli. I

suoi occhi si chiusero nell’attesa e

nell’abbandono e il suo respiro si fermò


nei polmoni. Uno strano formicolio,

leggero come ali di farfalla, seguì un

percorso comandato e irrefrenabile.

Tutta l’anima, tutta l’essenza di Sarah

sembrò tendersi e concentrarsi sulle sue

labbra.

Marc stava bramando di poterla toccare.

Non gli era mai capitata un’attrazione

così per una donna, in cui fosse l’anima

ad anelare alla carne. All’improvviso,

la ragazza allungò le braccia all’indietro

in un gesto di muta richiesta, un invito a

darle appiglio per costruire uno spazio

sia fisico che ideale in cui incanalare

tutta la tensione che stava vivendo.

Quando le unghie di lei gli sfiorarono la

sua nuca, il desiderio tracimò. I loro

corpi si plasmarono uno sull’altro e le

loro labbra si sfiorarono con devozione.

Marc si nutrì del suo respiro, come


fosse un alito di vita. Succhiò il suo

labbro superiore, imprigionandolo nella

sua bocca. Cercò di controllarsi per non

far scoppiare la loro bolla, per far

durare quell’attimo di beatitudine il più

a lungo possibile, ma il gemito che gli

sfuggì dalle labbra rivelò la sua voglia

irrazionale e sfrenata. Definì con la

lingua il contorno pieno di quel frutto

proibito

ed

invitante,

sentendosi

scoppiare. Fu un blackout della ragione

e una supernova delle sensazioni, che

portò Marc sull’orlo dell’oblio.

Sarah sentiva la lingua di Marc

invaderla con cautela, in modo lento ed

esasperatamente sensuale. Il suo sapore

era afrodisiaco, la chiave per aprire le


porte del suo personale paradiso, un

richiamo cui non ci si poteva opporre.

Voleva godere di quel momento

effimero come potesse essere eterno.

Non voleva riaprire gli occhi, né tornare

alla realtà. Le sue dita le ancoravano i

fianchi e sembravano poterle penetrare

la carne anche attraverso la stoffa del

vestito. Si girò per farsi avvolgere dalle

sue braccia, per sentirlo tutto attorno a

sé, come un baluardo di difesa dalla

disillusione che sarebbe arrivata presto.

Infilò le braccia nella sua giacca,

facendosi accarezzare dal tessuto, e le

piegò, premendo i palmi aperti sulla sua

schiena. Lo attirò verso di lei, ma fu

come tentare di spostare il David di

Michelangelo, con la conseguenza

naturale di sbatterci ancora contro. Marc

le avvolse il viso con entrambe le mani


e inalò aria, dando sollievo ai suoi

polmoni per poi rituffarsi in un bacio

proibito e travolgente. La marea stava

salendo, il fuoco stava crepitando, la

lava stava montando liberando grosse

bolle d’aria bollente. Non esisteva un

immagine abbastanza totalizzante per

descrivere ciò che quella ragazza

bellissima gli stava muovendo dentro.


IV
«Marc?»

I loro occhi si guardarono per un breve

istante. Un momento eterno in cui erano

ancora uniti in un abbraccio caldo, in cui

i loro cuori battevano vicini e i loro

respiri si confondevano. Marc si ritrovò

a pensare che solo un barbaro potesse

voler rovinare una tale perfezione.

Accarezzò la guancia della ragazza con

la punta dell’indice e le si parò davanti,

come dovesse difenderla da sguardi

indiscreti. In effetti, un bel po’ di occhi

curiosi, capitanati da quelli di De Blasy,

erano puntati su di lui, e cercavano di

carpire l’identità della ragazza che si

nascondeva dietro le sue spalle.

«Ti sto cercando da un po’. Sei sparito e

questo non mi sembra proprio il


momento adatto per… Sarah!»

L’espressione del direttore passò in

breve tempo dalla sorpresa allo sdegno,

mentre il suo sguardo si muoveva

freneticamente dal volto di Marc a

quello della ragazza, che si era spostata

e gli stava accanto.

«Ciao Jean-Luc.»

Marc la guardò con inquietudine

crescente.

Osservò

suoi

occhi

abbassarsi e le sue gote arrossarsi. Era

ancora più splendida. Emanava purezza,

l’irradiava come fosse una fonte di luce.

Ne era stato completamente conquistato,

come una terra di frontiera, un’antica

colonia, una fortezza medievale. La sua


era stata una resa dolce, una battaglia

incruenta. Le sue mura erano crollate

non di fronte alla sfrontatezza, alla

sensualità esplicita, ma a colpi di

candore, di intelligenza spiccata, di

calde parole d’arte come d’amore. Gli

sembrava di conoscerla da sempre

quando invece ne aveva appena appreso

il nome. Il disagio aumentò quando gli

occhi di tutti i presenti si posarono su di

lui, in attesa. Tuttavia, Marc li tenne

ancora sullo sfondo, mentre la sua

Psiche magnetizzava ancora tutta la sua

attenzione.

«Sarah?»

La sua voce era ancora roca, la sua

bocca orfana delle labbra di lei da

troppo tempo, il suo tono quasi

supplichevole. Quello di Jean-Luc,

invece, tuonò baritonale.


«Non te la ricordi Marc? È la figlia di

mia sorella Silvie. L’hai vista un sacco

di volte a casa di mia madre!»

A Marc sembrò di venir risucchiato

nell’occhio di un vortice, la cui potenza

lo stava sbattendo con irruenza senza

permettergli una via di fuga. Un vicolo

buio nei ricordi, un buco nero nella

memoria lo confondeva. Turbinii di

immagini confuse e sfuocate della sua

tarda adolescenza si accalcarono nella

sua mente, facendo crescere il suo senso

di smarrimento. Sarah lo captò al volo e

alzò

gli

occhi,

muovendo

impercettibilmente il capo a destra e a

sinistra.

« Sarah…»
Pronunciare il suo nome gliela faceva

sentire più vicina, più reale. Gli

infondeva

sicurezza,

dandogli

un

appiglio cui aggrapparsi per uscire dalla

confusione. A rompere il già fragile

equilibrio tornò la voce di De Blasy.

«Abbiamo un evento da portare avanti,

degli ospiti cui stiamo offrendo uno

spettacolo di secondo ordine, lavoro di

mesi da preservare. Ammalia le tue

prede al di fuori della mia famiglia,

Marc!»

Poi rivolse il suo sguardo severo verso

la nipote.

«Avrei preferito incontrarti qui in altri

frangenti. Così sminuisci sia te stessa

che il tuo lavoro!»


Sarah si irrigidì, mentre Marc fece

saettare i suoi occhi sull’amico con

rabbia. Con poche parole aveva

giudicato entrambi. Li aveva marchiati

come avessero fatto qualcosa di

infamante davanti ad un pubblico non

cercato. Non voleva dargli corda,

tuttavia, non voleva aggiungere altra

carne al fuoco del pettegolezzo a buon

mercato, né esporre Sarah ad a ulteriore

umiliazione. Si sentiva colpevole,

invece, per non aver usato maggior tatto

e accortezza, ma non rimpiangeva nulla

di ciò che era appena successo. Aveva

bevuto dalla fonte della purezza, da cui

stillava latte e miele, e ne voleva

ancora.

Aveva

solo

bisogno
di

temporeggiare, di districare quella

situazione

ingarbugliata

come

una

matassa, senza creare altri danni.

Sarah, invece, era veramente frastornata.

Un attimo prima era tra le braccia di un

uomo straordinario, che le rendeva

facile sognare, prendere ogni cosa con

leggerezza ed euforia. Si sentiva

protetta, lusingata dalle sue attenzioni,

accarezzata dalle sue parole. Un attimo

dopo era stata oggetto di facili giudizi,

categorizzata con un cliché proprio da

chi, conoscendola, avrebbe dovuto

avere qualche dubbio in proposito. Non

voleva

che
anche

Marc

potesse

giudicarla, non voleva vedere i suoi

occhi farsi vacui e freddi, non dopo che

vi aveva letto un dolce pensiero, un

desiderio vero, pari al suo. Così,

evitando gli sguardi dei presenti, si

avviò verso la grande piramide, fra le

luci che sembravano farsi più fioche.

Forse erano le lacrime che le stavano

salendo rabbiose o forse era solo un

destino

pietoso

che

tentava

di

confondere la sua uscita decadente.

Come poco prima non aveva una meta.

Stava fuggendo e basta, ma ora aveva un


sapore nuovo sulle labbra, il sapore di

un uomo che aveva solo assaggiato e che

non l’avrebbe più voluta rivedere.

Pensò al suo volto deluso, alle sue

braccia lasciate stancamente cadere

lungo i fianchi, alla disillusione feroce.

Si sentì chiamare in lontananza, ma non

voleva perdersi in altri umilianti

convenevoli, né con suo zio, né con

qualche suo tirapiedi. Così, invece di

scegliere la via più diretta e scontata

verso l’uscita, girò a destra verso l’ala

Sully e la parte più antica del Louvre. Lì

non l’avrebbe cercata nessuno. Avrebbe

lasciato passare una mezzoretta e poi

sarebbe uscita, tornando nell’anonimato.

Marc era pieno di rabbia. Tentava di

celarla al pubblico pagante con il

sorriso, ma le parole gli sfuggivano a

denti stretti. Sibilava disprezzo per


l’atteggiamento che Jean-Luc aveva

tenuto, per chi si stava godendo un

siparietto inatteso, per chi stava

fomentando il gossip più becero tra i

fruscii degli abiti da sera. La repulsione

per tutta la superficialità che lo

circondava

lo

stava

devastando.

Cominciò a sentirsi fuori posto, come il

pezzo dissonante di una collezione o una

nota disarmonica di una sinfonia. Gli

sembrò di avvertire su di sè il puzzo

dell’ipocrisia che lo circondava e gli

mancò per un attimo l’aria. La

consapevolezza di far parte di quel

quadro scrostato, di quella natura morta

che l’aveva categorizzato con un titolo o

un paio di begl’occhi lo nauseò. Piegò


un attimo la testa a cercare sfrontatezza e

la rialzò sfoderando un largo sorriso,

colmo di accondiscendenza. Aveva

indossato la sua maschera d’ordinanza,

quella che piaceva a De Blasy per il

piglio professionale, agli sponsor per il

carisma e alle donne per lo charme.

«Signori, signore, vi lascio nelle mani

del

nostro

direttore.

Ha

curato

personalmente i contatti con l’Ermitage

per avere qui l’opera del Canova a

completare una sorta di trittico scultoreo

unico. È un momento di grande prestigio

per il Louvre ed è giusto che nessuno

possa offuscare il suo lavoro. Vi lascio

alla presentazione. Buona serata.»


Lesse negli occhi di Jean-Luc lo stupore

lasciare

il

posto

al

fremito

d’opportunismo e in quelli delle signore

un po’ di delusione. Registrò con

distacco qualche convenevole e calde

strette di mano e poi si eclissò,

ripercorrendo la galleria. Aveva dato a

Sarah fin troppo vantaggio e doveva

recuperare. Allungò il passo quando

avrebbe voluto correre, ma non voleva

attirare altra attenzione. Pregò che non

fosse riuscita a lasciare il complesso del

museo. C’erano troppe uscite una volta

fuori dalla grande piramide e Marc non

avrebbe proprio saputo quale direzione

prendere. Voleva parlarle, invece.


Guardarla ancora in quegli occhi

profondi

cristallini.

Sfiorarla

nuovamente con parole, carezze e baci.

Soprattutto farle capire che le parole di

De Blasy non l’avevano sfiorato, non

avevano offuscato l’idea che si era fatto

di lei, ma che gli avevano solo svelato

dei ricordi che credeva sepolti.

Ora ricordava i suoi modi gentili,

l’atteggiamento timido e ritroso, le gote

rosee.

Era

una

ragazzina

che

effettivamente vedeva spesso in casa di

Jean-Luc. La incontrava per le scale o in


veranda, oppure mentre attraversava il

soggiorno con maglioni informi e i

capelli arruffati, puntando incurante

verso la cucina. Era la figlia della

sorella maggiore di casa De Blasy, e

spesso passava le giornate dai nonni. Il

fato li aveva fatto incontrare nuovamente

e Marc, tutto sommato, credeva nel

destino, nell’ispirazione del momento,

nei colpi di genio dei grandi artisti.

Della stessa natura doveva essere anche

la sindrome di Stendhal che aspettava da

una vita, doveva avere stessa sostanza

dei sogni. Tuttavia, una volta all’aria

aperta, Marc si sentì sperduto. Non

riconosceva più quelle mura amiche, gli

itinerari colorati, le sale ampie.

Percepiva

solo

il
vuoto.

Tutti

sembravano essere concentrati nella

galleria per l’attesissima presentazione

di Amore e Psiche stanti, indifferenti

alla magia che c’era comunque nell’aria.

Si guardò attorno affranto cercando un

appiglio. Lo trovò in un agente del

servizio di sicurezza che passeggiava

pigramente lungo il perimetro della

piramide.

«Professor Collins.»

«Senta, ha visto uscire di corsa una

bella ragazza mora vestita di bianco?»

«Sono qui da due ore e le posso

assicurare che non è ancora uscito

nessuno. Poi se fosse passata una bella

ragazza l’avrei notata di sicuro.»

Marc masticò un ringraziamento e tornò

all’interno del museo, cercando di


dominare la strana sensazione che gli si

stava fermentando nello stomaco. Come

si permetteva quello di fare battute su

Sarah? Di alludere, di pensarla in un

certo modo, di guardarla come solo a lui

dovrebbe essere permesso? Si fermò nel

crocevia iniziale, il cuore del Louvre e,

nella solitudine, si guardò dentro solo

per un attimo, dando un peso ai suoi

pensieri.

«Santo cielo Marc! Che cosa stai

dicendo! Tutto questo è assurdo!»

Le iperboli che la ragione gli stava

suggerendo,

tuttavia,

non

si

armonizzavano

con

il
ritmo

che

comunque il cuore gli imponeva.

Doveva trovarla e capire se quel bacio

era stato il gesto di un momento, una

debolezza suggerita dall’amore verso

l’arte, spiccato sulle ali delle loro

parole o se nascondeva l’embrione di

qualcos’altro

ancora

indefinibile.

Voleva comunque risentire il suo

sapore,

che

sapeva

di

gioventù

spensierata e delizia proibita. Sarah era

il suo passato che ritornava, una seconda

possibilità per riviverlo, per inventarlo


nuovamente. Non voleva sprecarla per

paura, perbenismo o altro, ma voleva

coglierla, pur non avendo alcuna

garanzia. Voleva fare un salto nel buio,

un balzo della fede. Si avviò d’istinto

verso l’ala Sully, sperando di trovarla lì

e non oltre. Non amava il museo quando

era vuoto. L’eco dei suoi passi gli

procurava immensi brividi. Una paura

recondita, relegata negli anni in un

angolo della mente, stava riemergendo

nitida. Sentì la fronte imperlarsi di

sudore, nonostante la temperatura non

fosse di certo alta. Cercò di concentrarsi

sul suo respiro e sull’eco di altri passi

che non fossero i suoi, ma il silenzio che

lo circondava si stava facendo tombale.

Continuò

verso

le
antiche

mura

medievali, lasciando sulle pareti la

grande storia del Louvre a fare da

passivo spettatore alla sua fragilità,

srotolata senza ritegno, esposta anche

solo alla sua consapevolezza.

Marc non ammetteva tentennamenti, era

il giudice severo di se stesso. Solo così

era riuscito ad arrivare dove voleva,

senza cadere in trappole emotive o in

conseguenti tranelli fisici. La debolezza

andava combattuta con ogni mezzo, mai

mostrata, al massimo nascosta. Ora,

invece, per quella ragazza era disposto

anche a mettersi in gioco. Non riusciva a

darsi una spiegazione logica, ma non gli

importava. Stava usando un istinto che

credeva sopito, che aveva usato soltanto

con le opere d’arte e non con le persone.


Sarah gli era rimasta sulle labbra

contagiandolo

con

una

dolcezza

strisciante. Uno strato di miele con cui

ricoprire insicurezze e brutture, una

spolverata di zucchero a velo sul quale

passare il dito con golosità. Espirò con

forza, riempiendo poi d’aria i polmoni

per caricare la sua voce.

«Sarah! Sei qui?»

Non ottenne risposta, ma gli sembrò di

sentire comunque un fruscio. Forse era

stato frutto della sua immaginazione o

forse la volontà di ritrovarla era così

grande da dar vita a concrete illusioni.

Seguì col cuore in gola il perimetro

delle antiche mura medievali, sfiorando

il corrimano in ferro battuto. Gli sembrò


di scendere verso il ventre della terra,

buio e colmo di brulicanti segreti. Le

anime di chi lì aveva combattuto

sanguinolente battaglie gli alitavano sul

collo. Le tempie iniziarono a pulsargli

dolorosamente, scosse dallo sbattere

delle armature e dallo sfregamento delle

maglie di metallo, mentre un olezzo di

chiuso e polvere lo avvolse. Era un

attacco di panico in piena regola,

aggravato dalla sua suggestione. Non

amava quella parte del museo e vi aveva

messo piede di rado, solo se costretto.

Ora ne ricordava esattamente il motivo.

Si appoggiò con la schiena al muro e si

lasciò scivolare fino a sedersi. Curvò la

testa tra le ginocchia e strizzò gli occhi,

tentando di visualizzare quelli di Sarah

pieni di luce e di calore, come una dolce

giornata d’estate. Si proiettò fuori di lì,


oltre il cortile, al margine dei Giardini

delle Tuileries, dove la brezza gentile di

quella sera l’avrebbe potuto ritemprare.

Il fruscio tornò, più intenso e reale, e si

fermò proprio vicino a lui. Qualcosa di

morbido e impalpabile gli accarezzò un

ginocchio.

«Marc…»

«Sarah!»

«Cosa fai qui?»

«Ti cercavo e…»

«Guardami.»

«Passa subito.»

Due

mani

calde

rassicuranti

circondarono il suo viso. Marc alzò gli

occhi lentamente, accarezzandola con lo


sguardo.

«Ti capita spesso?»

«No, è solo paura degli spazi grandi e

chiusi. Proprio qui dovevi venirti a

rintanare?»

«Volevo un posto in cui scomparire per

un po’ di tempo.»

«Ti sei sepolta nel Medioevo!»

«Tu mi hai trovata lo stesso.»

«Chi ti cerca davvero, ti trova

ovunque.»

«Andiamo fuori?»

«Lo preferirei.»

Marc si lasciò prendere per mano e

guidare in una sorta di viaggio a ritroso

nel tempo, in quelle sensazioni che

creavano un tumulto polveroso nel suo

animo. Sarah usava una naturalezza

familiare con lui, una spontaneità

sorprendente.
Lo

precedeva

con

sicurezza fra le grandi sale, voltandosi

per guardarlo con calore, come volesse

assicurarsi

della

sua

presenza

nonostante la presa delicata con cui ne

reggeva la mano. Perché gli sembrava

così giusto vedere le loro dita

intrecciate?

Perché

non

provava

imbarazzo nel farsi precedere come se

fosse uno studentello qualsiasi quando,

invece, stavano attraversando il suo

regno?
V
Sarah si muoveva con leggerezza e

armonia. Ogni cosa, ogni particolare

ricopriva il posto assegnatogli dalla

natura delle cose, almeno secondo la sua

personale prospettiva. Aveva pensato

così tanto a Marc in quegli anni, l’aveva

immaginato in ogni frangente, era

cresciuta con un’immagine ideale di

uomo che lo rispecchiava in tutto.

Quella sera il coperchio del tempo era

stato tolto, lasciandola esposta come

tanti anni prima, nuda di fronte alla

consapevolezza di ciò che provava per

lui.

L’aria del maggio parigino li accarezzò

e Marc se ne riempì i polmoni con un

respiro liberatorio. Chiuse gli occhi per

un istante e, quando li riaprì, il candore


di Sarah si stagliava sull’inizio del

Giardini delle Tuileries, oltre la

Galleria del Carrousel.

«Va meglio qui?»

«Sì, molto meglio. Grazie. Vogliamo

andare oltre?»

«Andare oltre?»

Il rossore sulle gote di Sarah vinse

l’ombra e arrivò a Marc come il più

gioioso dei segnali. Come poteva la

semplicità di quella ragazza colpirlo

ogni volta al di sotto della cintura? Era

una cosa scorretta! Le convenzioni erano

sempre state piuttosto importanti per lui

come codici non scritti, ma in quel

momento le reputava come la più inutile

delle cianfrusaglie. Si sentiva leggero

con Sarah, svecchiato, spogliato di un

ruolo che comunque aveva sempre

cercato.
Era

una

contraddizione

continua, ma non aveva aspirazioni in

quel momento, non se potevano esulare

dall’immagine della sua Psiche. Cercò

di focalizzarsi su altro altrimenti

l’avrebbe baciata ancora.

«Ti sei laureata?»

«Ho anche preso il dottorato, professor

Collins. Non sono una studentessa.

Questo la fa stare meglio?»

«Non avrebbe importato.»

La consapevolezza derivante da quelle

parole lo colse di sorpresa. Era la

verità. Non avrebbe fatto differenza per

lui perché quello strano fenomeno che lo

aveva colpito andava oltre ogni tipo di

convenzione. Era fisiologia mescolata

sapientemente
a

qualche

elemento

oscuro e potente, che aveva il potere di

aggrovigliargli lo stomaco e ottenebrare

i pensieri.

«Ti ricordi di me?»

«Certo che mi ricordo di te. Eri spesso a

casa di Jean-Luc. Ti ricordo mentre

leggevi dando un morso ad una mela,

mentre ascoltavi musica tutta assorta o

mentre gustavi i favolosi croissant che

faceva tua nonna.»

Sarah si coprì il viso con le mani,

ovattando il tono improvvisamente

adolescenziale della sua voce.

«Ero orribile. Di solito cercavo di

evitarti.»

«Allora non ti impegnavi abbastanza

perché le nostre strade si incrociavano


sempre e non eri affatto orribile.»

«Non mi hai mai notato… »

Sarah si morse il labbro per trattenere

l’imbarazzo in cui quella forma di

rimprovero tardivo nei confronti di

Marc l’aveva fatta sprofondare, mentre i

suoi occhi si abbassarono sui ciottoli

chiari del vialetto.

«Certo che ti avevo notato. I tuoi capelli

spesso non avevano una forma ben

definita, ma i tuoi occhi racchiudevano

sfaccettature uniche fin da allora.

Indossavi sempre cose che ti stavano

troppo larghe, ti nascondevi, creavi un

bozzolo in cui tentare di sparire.»

«Mi vergognavo. Non potevo reggere il

confronto con le ragazze che popolavano

le vostre feste!»

Le mani di Marc avvolsero il suo viso

con dolcezza, facendoglielo alzare. Era


così piccola e delicata fra i suoi palmi

da fargli temere che si potesse rompere

da un momento all’altro. Era come il

cristallo

di

Boemia,

preziosa

trasparente. Nei suoi occhi si schiudeva

lo scrigno dei suoi pensieri, si potevano

sfogliare le pagine della sua anima.

«Stavi fiorendo ed eri già bellissima!»

«Come lo sai?»

Marc sorrise, avvicinò le labbra alla

fronte di Sarah e scese con lentezza

calcolata sul suo naso, fino a baciarne la

punta. Riprese possesso delle sue mani e

si avviò verso il cuore delle Tuileries,

dove sorgeva la grande fontana. La

guidò, invertendo i ruoli di poco prima,


aprendole una porta su ricordi polverosi

che con lei acquistavano nuova luce e

diversa prospettiva. Era un tenero

riscoprirsi,

un

delicato

svelarsi,

condividendo

radici

ed

emozioni

semplici. Aveva scoperto solo quella

sera quanto ne avesse bisogno per

ritrovare se stesso. Si incamminarono

lungo linee geometriche perfette che

contrastavano con l’iperboli dei loro

sensi, allertati, tesi verso l’altro e le sue

mosse, come una partita sulla scacchiera

delle emozioni. Marc cadenzò le parole

seguendo il ritmo del proprio cuore.


«C’è stata una volta in cui ti ho vista in

costume da bagno. Ero salito in camera

di Jean-Luc e mentre lo aspettavo ho

guardato verso la piscina. Faceva così

caldo quel giorno che avrei preferito

buttarmi dentro che rinchiudermi a

studiare per l’ennesimo esame. Tu eri lì,

distesa, abbandonata ai baci del sole.

Indossavi un bikini rosso e ti posso

assicurare che in quel momento ho

pensato cose inenarrabili, ma non che tu

fossi orribile.»

Sarah sorrise rilassata, rinsaldando le

loro mani e seguendolo amorevolmente

verso il grande specchio d’acqua

circolare che quella sera sembrava

riflettere

ogni

costellazione.

Si
fermarono uno di fianco all’altra a

contemplare gli strani disegni che le luci

formavano grazie al tremolio dell’acqua,

mentre il loro passato zampillava come

uno sfiato fin troppo represso.

«Non potrai mai pareggiare tutte le volte

che ti ho spiato io! Anche la mia camera

dava sul giardino interno e molto spesso

vi ho osservati, soprattutto durante le

feste, almeno fino a quando le luci

principali rimanevano accese.»

Marc fu investito da una marea di altre

immagini, anche quelle poco nitide,

sfuocate, sgranate in innumerevoli

puntini rossi. Erano popolate di labbra

calde, carezze lascive e desiderio

crescente. Serrò la mascella con un

gesto nervoso. Il pensiero che Sarah

avesse potuto vederlo in certi frangenti

lo metteva a disagio. Sarah lo capì e si


avvicinò accarezzandogli la spalla.

«Non volevo ammutolirti. Non hai

offeso un’anima innocente. Ero una

ragazzina, ma conoscevo perfettamente

ogni cosa riguardante il sesso.»

Marc alzò un sopracciglio con fare

scettico e sfoderò uno splendido sorriso

sghembo.

«Tra amiche ne parlavamo molto.»

«Cos’altro ricordi a parte… questi

episodi?»

«C’è stata una volta in cui non ho

resistito. Avevi nuotato a lungo, dopo

aver studiato con Jean-Luc e ti eri

addormentato sul lettino. Eri così

avvicinabile in quei momenti. Sono

scesa e mi sono seduta al tuo fianco con

cautela. Le goccioline d’acqua stavano

ancora rigando il tuo torace, che si

alzava ed abbassava a ritmo regolare. Il


tuo respiro era profondo e la tua bocca

imbronciata in un modo irresistibile. Mi

ripetevo che non c’era nulla di male a

sfiorarti solo per un po’, a rubare

qualcosa di te che in altri frangenti non

mi avresti mai concesso. È stato come

provare la sindrome di Stendhal, un

brivido

intenso,

un

impulso

incontrollabile, un bisogno assoluto cui

non ci si oppone neanche volendolo

fare. Io non volevo farvi alcuna

resistenza, anzi mi abbandonai a quella

forza viscerale e misteriosa. »

Marc si ricoprì di brividi. Sarah aveva

usato

la

sua
stessa

metafora,

imbrigliando con le sue stesse parole

emozioni così lontane nel tempo. Una

casualità che lo aveva colpito molto.

«Che cosa hai fatto dopo?»

«Ti ho baciato.»

«Come ho fatto a non accorgermi di

nulla?»

«Ho tentato di essere il più delicata

possibile, anche se poi…»

«Cos’ho fatto? Ho risposto al bacio?»

«Non esattamente. Le tue labbra erano

così morbide e tu eri così caldo! Credo

di essermi lasciata trasportare e di aver

rischiato di svegliarti. Così, quando hai

iniziato a muoverti, sono fuggita.»

Marc si portò d’istinto le dita vicino al

sopracciglio destro e corrugò la fronte,

pensieroso.
«Ti ricordi che giorno fosse? Il diciotto

luglio?»

«Non lo so. È passato così tanto tempo.

Comunque credo sia stato qualche

giorno dopo la festa nazionale, quindi

potrebbe pure essere. É importante?»

«Credo che tu abbia lasciato un segno

indelebile su di me quel giorno.»

«Non mi piace essere presa in giro…»

«Non lo sto facendo.»

Prese delicatamente la mano di Sarah e

ne portò le punte delle dita nell’esiguo

spazio tra la tempia e il sopracciglio

destri.

«Toccami. La senti? È una piccola

cicatrice. Me la sono fatta quel giorno,

cadendo dal lettino.»

«Cos’è successo?»

«Ricordo solo che mi ero addormentato

vicino alla piscina di Jean-Luc e che


poi, svegliandomi di soprassalto, sono

caduto, urtando il tavolino di vetro con

la testa.»

Sarah si coprì la bocca con le mani,

quasi volesse trattenere un grido sordo,

e fece qualche passo indietro. Poi si

voltò e si affrettò, oltrepassando la

grande fontana e imboccando l’asse di

simmetria del giardino. Marc la seguì,

coprendo la distanza che li separava con

pochi grandi passi.

«Sarah! Vuoi arrivare in tempo di

record a Place de la Concorde?

Fermati!»

«Ti

rendi

conto

che

cosa

ho
combinato?»

«È successo tanto tempo fa e mi hanno

dato solo qualche punto. Non è niente di

grave.»

«Non volevo che accadesse.»

«Lo so. Ora però amo anche questa

cicatrice perché è parte di te.»

Sarah lambì con le labbra la pelle

segnata di Marc, posandovi soffici e

leggeri baci. Si inebriò del suo profumo,

così fresco e virile, e sussurrò al suo

orecchio.

«Abbiamo ricucito il tempo stasera.»

I loro occhi si incontrarono in una muta,

ma splendente, consapevolezza.

«Siamo tornati indietro per diventarne i

padroni.»

«Attraverso le paure e i piccoli

scandali?»

«Combattendo le paure e i pettegolezzi


pruriginosi.»

«Ti possono nuocere?»

«Non credo. Ho lasciato che Jean-Luc si

prendesse i meriti di un lavoro di mesi

per venire da te. Dubito che mi verrà

mossa qualche osservazione.»

«Non dovevi.»

« Sì, lo dovevo a me stesso per tutta una

serie di noiosi motivi e son felice di

averlo fatto, di aver seguito il mio

istinto, di aver annullato il tempo per

ritrovarti.»

«Ora sono qui.»

Marc l’attirò a sé e la strinse tra le

braccia come fosse un gesto consueto,

ma non per questo meno ricco di calore.

Ne definì il collo con la punta del naso e

fece scivolare le labbra su quel tempio

sacro che vi si trovava alla base.

Attorcigliò un dito attorno ad uno dei


boccoli che fuggivano dall’acconciatura

e ne inspirò il profumo.

«Sembri uscita da un quadro del

Botticelli, briosa, leggiadra e sensuale.

Una bellezza autentica e immortale. La

mia Psiche.»

Sarah sorrise e passò la punta

dell’indice sulle sue labbra.

«Stai

confondendo

le

epoche,

professore.»

«In effetti sono confuso. L’unica certezza

che ho ora è che voglio averti vicino.»

«Con le mie paure, i miei problemi, le

mie ansie?»

«Prendo il pacco completo. D’altra

parte, tu mi hai già visto in piena crisi

claustrofobica come a nessuno era


capitato fino ad ora. Ti ho già svelato la

parte meno nobile di me. Il resto credo

che tu l’abbia visto dalla finestra.»

«Io soffro di vertigini. Quanto a quello

che ho visto o, meglio, immaginato dalla

finestra credo non abbia fatto che

accrescere

l’ossessione

nei

tuoi

confronti.»

«Non sono sicuro sia così ben riposta,

ma ho intenzione di approfittarne con

opportunismo.»

«Dopo quello che hai fatto stasera, non

credo che la parola opportunismo possa

essere usata per te. Sei buono e

generoso più di quanto tu non abbia mai

ammesso. Sei uno spirito puro, un’opera

d’arte.»
«Che ti ha affascinato?»

«Mi sei penetrato sotto pelle fin da

subito, scorrendomi nelle vene e

alimentando le mie fantasie. Sei stato il

mio ideale per tanto tempo, un paragone

implacabile per tutti gi altri uomini che

mi si sono avvicinati. Direi che mi hai

molto più che affascinato!»

«Tu, invece, mi hai colpito stasera,

come un brivido che mi ha percorso

tutto, scoprendo una dimensione e un

tempo che credevo sopiti.»

«Io ti conosco molto più di quanto tu

possa conoscere me.»

«Dammi la possibilità di farlo.»

«Mi

stai

chiedendo

di

uscire
professore?»

«Siamo già fuori. Approfittiamone.»

«Da dove vuoi cominciare?»

«Io ho affrontato la mia paura più nera

con te accanto. Te la senti di fare

altrettanto con le tue?»

«Mi stai chiedendo di affidarmi a te?»

«Fidati Sarah, ma prima chiudi gli

occhi.»

Sarah lo guardò un po’ perplessa e, di

fronte all’ennesimo suo sorriso, abbassò

le palpebre. Marc le si posizionò alle

spalle

iniziò

mormorarle

all’orecchio.

«Immagina gli sfarzi di questo giardino

ai tempi di Caterina De’ Medici, la


regina italiana che l’ha fatto costruire,

portando in dote lo stile e il lusso della

sua Firenze. Senti il fruscio dei vestiti

ampi, delle stoffe morbide e del soffice

tulle. Pensa agli sguardi furtivi, ai baci

rubati, alle parole sussurrate, colme di

calde promesse, concretizzate poi con la

complicità del buio. Torce tremolanti in

lontananza e bianchi raggi lunari ad

illuminare i sentieri degli amanti, le loro

bocche affamate di amore e libertà, i

loro corpi intrecciati in amplessi

passionali. Riesci ad immaginare tutto

questo?»

Sarah sentiva l’eccitazione montare

nello stomaco, l’adrenalina scorrere, il

cuore pompare desiderio. Una formicaio

di sensazioni l’accarezzò a grandi

ondate,

lente
ed

inesorabili,

plasmandola alla volontà di Marc.

Percepiva il calore del suo corpo alle

sue spalle crescere febbricitante e la

voce farsi sempre più roca.

«Mi sembra di vedere e percepire ogni

particolare.»

«La pazienza dell’attesa, la frenesia di

mani e labbra, la passione, la dolcezza e

la tenerezza… questo è ciò che ti posso

offrire.»

Sarah si voltò lentamente e ne accarezzò

il profilo virile, fermandosi ancora una

volta sulla cicatrice. Poi, armata di

nuova consapevolezza, fece incontrare

le loro labbra. Fu un incontro di respiri,

un connubio di sapori, una sintesi di

sensazioni. Le loro mani si muovevano

con religiosa cautela le une sul corpo


dell’altro a conoscersi e reclamarsi. Li

divise solo un sorriso genuino.

«Ti faccio ridere?»

«Tu mi fai stare bene. Ho solo ripensato

alla faccia di tutte quelle persone e

soprattutto a quella di Jean-Luc.

Abbiamo dato veramente spettacolo.»

«Non pensarci. Ci sono secoli d’amore

puro che ci stanno guardando, forme

sublimi, spaccati di devozione assoluta.

Un sentimento che ci trascende, che va

oltre ogni categoria, che ha annullato il

tempo per darci la possibilità di

avvicinarci all’eterno. Ogni forma d’arte

è nata per un atto d’amore. I dipinti e le

sculture, anche se hanno spesso tema

religioso

mitologico,

celano
i

lineamenti

della

persona

amata

dall’artista. L’opera diventa in questo

modo un surrogato della sua anima, una

manifestazione dei sentimenti più intimi.

Al cospetto di tutto questo ci troviamo

ora.»

Sarah si ritrovò a fissarlo negli occhi,

perdendosi in quella limpidezza azzurra

così pura e viva.

«Ecco perché i tuoi seminari sono

sempre così affollati! Tu non esponi,

seduci

parlando

d’arte.

Coinvolgi

nell’intimo le persone, le fai sentire


parte di un mondo alternativo, il tuo. Tu

hai

la

chiave

di

questa

nuova

dimensione e tutti si ritrovano a pendere

dalle tue labbra!»

«Vorrei che ti avvicinassi tu alle mie

labbra! Sei sempre troppo lontano!»

Marc passò la punta dell’indice sulle

labbra di Sarah, ridisegnandole. Erano

piene e golose, con una simmetria

perfetta, una proporzione aurea.

«Vorrei fare di te la mia opera d’arte.»

Il fiato di Sarah si spezzò, come il filo

dei suoi pensieri. Quell’uomo la

confondeva, ma era anche la sua luce, il

suo riferimento. La voce le uscì in un


rantolo, irriconoscibile.

«Plasmandomi?»

Marc bevve il suo respiro e le parlò

sulle labbra.

«Non che la prospettiva delle mie mani

su di te non mi infiammi, ma no, non è

quello

che

intendo.

Io

voglio

configurarmi a te, non il contrario.

Vorrei

poter

attingere

alla

tua

freschezza, alla tua forza, al tuo

entusiasmo. Vorrei proiettare me stesso

su di te, amandoti come Amore faceva


con Psiche, in modo totale, corpo e

anima.»

Un nodo dolce sembrava ostruire la gola

di Sarah, dopo essere salito dallo

stomaco, dove aveva lasciato il posto a

schiere di farfalle svolazzanti. Calde

lacrime

rigarono

le

sue

guance,

nonostante i tentativi di trattenerle. Marc

le raccolse tra le labbra. Punte di salato

a far da contrasto alla dolcezza del

momento.

«È tutto quello che ho sempre cercato.»

«Allora non piangere.»

Le strinse le mani con gentilezza e

ritornò sui loro passi. La grande

piramide s’intravedeva oltre l’arco di


trionfo, ma non era più la sua pietra

miliare. La prospettiva era cambiata e la

regolare e prevedibile spirale di

quadrati

grigi,

che

poteva

ben

rappresentare la sua vita fino a quel

momento, era diventata un’esplosione

disinibita di colori, un’interpretazione

nuova la cui chiave stava negli occhi di

Sarah. Perciò Marc andò verso la Porte

des Lions, uscendo dal complesso del

Louvre e puntando la fermata del

Batobus sulla Senna. Si affrettarono per

poter prendere l’ultima corsa e si

lasciarono cullare dallo sciabordio lento

e armonioso dell’acqua sulla carena

sotto i loro piedi. Marc circondò Sarah


con le braccia, baciandole i capelli. Le

luci della città brillavano pulsando al

ritmo dei loro cuori e nell’aria si

respirava la primavera con il suo vitale

rinnovamento. Una linfa nuova scorreva

nelle vene, alimentando come un grande

affluente un mare di sogni e speranze. Le

parole galleggiavano, sospese tra un

bacio e l’altro, soffocate dall’irruenza o

sopraffatte dalla tenerezza. L’obelisco

di Place de la Concorde comparve alla

loro destra come un innalzamento verso

l’antica gloria, mentre il battello

tagliava il riflesso dei grandi palazzi

parigini che si specchiavano sul fiume.

Quando virarono a sinistra, oltre al

ponte de l’Alma, la grande Tour Eiffel si

stagliò all’orizzonte. Il simbolo parigino

per eccellenza, tradizione e forza,

determinazione e orgoglio di un intero


popolo brillava di una luce eterea e

impalpabile. Scesero ai suoi piedi, resi

piccoli di fronte a tanta maestosità.

Sarah s’irrigidì e si fermò vicino ad uno

degli ascensori.

«Non vorrai salire davvero lassù!»

Marc

sorrise

paziente,

scuotendo

leggermente la testa.

«L’idea

era

quella.

Prendiamo

l’ascensore e usciamo sul terrazzo. Ti

terrò stretta tutto il tempo. Non c’è

bisogno di affacciarsi. Fidati Sarah.»

La paura era sorta puntuale, liberata da

vecchi ricordi resi inservibili dalle


nebbie del tempo. Non ne conosceva la

causa e forse per questo non riusciva a

razionalizzarla e a tentare di superarla.

Tuttavia, fino a quel momento Sarah era

stata da sola. Affrontarla con Marc

vicino, invece, le sembrò normale,

legittimo, nell’ordine naturale delle

cose. Anche lui l’aveva fatto, si era

ritrovato esposto suo malgrado e non si

era vergognato si togliere velo dopo

velo il peso che aveva nell’anima. Sarah

voleva fidarsi, glielo suggeriva l’istinto,

glielo urlavano i sensi. Si lasciò

abbracciare ancora una volta e durante

tutta la salita in ascensore tenne gli

occhi chiusi. Il battito del cuore di Marc

la rassicurò mentre il suo profumo virile

le inondò le narici. Si sentiva leggera e

libera, come un uccello che spiccava il

suo primo volo. Quando la brezza fresca


della notte l’avvolse, Sarah sprofondò

nella giacca di Marc pietrificandosi.

«Non ti preoccupare, non mi muoverò.

Resteremo qui, a debita distanza. Ora

apri gli occhi.»

Sarah seguì il suono ipnotico della sua

voce e, dopo aver inspirato a fondo

come dovesse affrontare un’apnea, alzò

le palpebre. Uno splendore di luci

sfavillanti si riflesse nei suoi occhi. La

città brulicava di vita e di movimento ed

invogliava ad abbracciarla, lasciandosi

coinvolgere.

«È veramente bello quassù, non

immaginavo.»

Marc l’accarezzò con la guancia e le

baciò il collo, in quel punto delizioso

che aveva già imparato a conoscere e

che sembrava racchiudere tutto il suo

profumo.
«Il colpo d’occhio da qui è fantastico.»

«Non stai guardando la città.»

«Appunto. Guardo te. Mi hai ai tuoi

piedi come lo è tutta Parigi in questo

momento.»

«Sono parole importanti.»

«Tu sei importante, Sarah.»

«Questa realtà sembra fin troppo grande,

va al di là dei miei sogni.»

«Se è una realtà concreta non ci rimane

che viverla.»

La magia della primavera parigina li

rapì, annullando ogni dimensione e ogni

categoria razionale, decostruendo ruoli e

convenzioni. C’erano solo due anime,

innalzate dal Medioevo delle amenità

alla purezza di un sentimento che il

tempo

aveva

soltanto
velato,

preservandolo dalla corruzione.


Ringraziamenti
Grazie a chi mi segue con affetto, alle

amiche virtuali e reali che condividono

questa mia passione per la scrittura.

Grazie a tutte le persone che mi leggono

e che mi danno l’energia per continuare

con il mio piccolo sogno personale.

Grazie alla mia famiglia che non si

lamenta per una maglia non stirata o un

piatto riscaldato pur di vedermi felice.

Grazie anche a te che tormenti i miei

sogni e dai vita in qualche modo a tutti i

miei personaggi.

A presto, Catherine BC

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