Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Le prime domande da porsi nella scienza politica sono: Chi? Come? Dove?
Perché?
Indubbiamente la politica si manifesta nel modo più evidente attraverso
gli attori e i loro comportamenti. Al giorno d’oggi essa è fatta da un buon
numero di professionisti a tempo pieno: eletti e uomini di partito che
vivono di e per la politica ma se allarghiamo il nostro sguardo ci
accorgiamo che ne fanno parte altre figure provenienti da settori
contigui o meno a quello strettamente politico: sono individui che hanno
fatto di altre professioni il trampolino di lancio per la politica. Ciò sta a
significare che la politica non è una realtà impermeabile.
Il discorso fa riferimento alle peculiarità ed ai contenuti dell’agire politico
supponendo che la politica si distingua da altre realtà caratterizzandosi
per un modus operandi pacifico e non violento, basato sul dialogo
contrapposto ad uno coercitivo e autoritario. Questi entrambi modi di
agire hanno un retroterra che fa riferimento ad un’esperienza
rispettivamente pluralista e democratica contrapposta ad una militare e
gerarchica. Anche la guerra è da considerarsi un modus operandi di
politica internazionale, estremo e volto a risolvere conflitti estesi su una
vasta area. Anche il concetto di potere è fondamentale in una ricerca
sul modo d’essere della politica; l’avere potere ovvero la capacità
d’indirizzare i comportamenti del pubblico nella direzione voluta è una
caratteristica precipua dei soggetti politici. Non è il potere a
caratterizzare un determinato ambito bensì i diversi ambiti a definire
forme diverse di potere.
Se ci chiediamo se esista un luogo privilegiato della politica ci
accorgiamo che proprio il termine rinvia alla “polis” greca ovvero un
ambito circoscritto in cui l’esperienza politica si colloca e si esplicita. Ma
l’esperienza politica non può essere che considerata un campo sotto
assedio, nella sua attuale poliedricità: essa intrattiene complessi
rapporti con la sfera economica, morale, religiosa; nella storia anche
recente sono stati numerose le politiche “religiose” tanto quanto le
religioni “politicizzate”. Tutto questo porta alla diminuzione della
autonomia della politica. E c’è un altro elemento da considerare; la sfida
che la magistratura ha rivolto alla politica conseguentemente alla quale
la politica contemporanea arriva ad un grado di subordinazione che 20
anni fa non poteva nemmeno essere pensato in quanto certi aspetti che
riguardano oggi i diritti civili non erano certo oggetto di dibattito politico
né partitico/ideologico/movimentistico. Il carattere collettivo sembra un
aspetto proprio dell’esperienza politica, negli ultimi secoli questo ha
portato ad identificare la politica con lo stato tradizionalmente definito
con riferimento ad una determinata popolazione ed una porzione di
territorio delimitata. Gli stati come unità politiche sono fortemente
differenziati: si va da macro unità di estensione quasi continentale o
transcontinentale a micro unità. Poi vi sono unità considerate solo di
mantiene gli assunti propri della teoria della rational choice ovvero la
tendenza da parte degli individui a massimizzare la propria utilità e
vede la politica come insieme di dilemmi di scelta collettiva in cui
giocano un ruolo fondamentale le iterazioni strategiche e considera le
istituzioni come il risultato di un accordo volontario tra attori rilevanti.
Ogni approccio, da solo non è sufficiente a fornire un quadro completo di
analisi empirica; forse la combinazione tra le tre prospettive potrebbe
fornire un quadro completo della realtà.
Nei primi anni ’70 Almond ha sviluppato un IV approccio, l’approccio
eclettico alla politica, in cui vi fosse ampio spazio per il trasferimento nella
ricerca politica di altri tipi di analisi, a partire da quella sociologica,
antropologica e psicologico-cognitiva.
La disciplina nel suo complesso non è stata particolarmente influente a livello
politico né probabilmente poteva aspirare ad esserlo: la maggioranza dei suoi
settori disciplinari ha sollevato e può sollevare soltanto quesiti indirettamente
rilevanti, è dunque da considerarsi puramente descrittiva.
RAPPRESENTATIVA DIRETTA
(Da un’idea Rousseauiana) (Coincide con la democrazia degli antichi)
Il regime democratico è rappresentativo cioè Era – quello antico – un sistema che potrem-
basato sulle regole e istituzioni della rappre- mo definire autoritario i n quanto un numero
sentanza ovvero caratterizzato da elezioni li- ristretto di cittadini conviveva con un numero
bere, corrette, competitive e periodiche e poi ben più ampio di persone senza alcun diritto e
da strutture rappresentative quali parlamento, dunque in posizione politica subordinata. Oggi
e decisionali come il governo. Esso non com- istituti di democrazia diretta come i referen-
porta la partecipazione diretta dei cittadini se dum si sono mantenuti nelle democrazie che
non molto saltuariamente al momento del vo- restano in gran parte rappresentative.
to che in alcuni casi non è obbligatorio. Le de-
cisioni vengono delegate ai professionisti della
politica. Si è cercato di ovviare con elementi CONSOCIATIVE
desunti dalla democrazia diretta (referendum, (come quella olandese)
leggi d’iniziativa popolare) ma è difficoltoso. Caratterizzate da divisioni etniche, linguistiche
DEPOLITICIZZATE CENTRIPETE
(come quella degli Stati Uniti) (Regno Unito e paesi scandinavi)
Caratterizzate da élites aperte all’accordo e da Con cultura omogenea ed élites conflittuali.
una cultura omogenea in cui anche le divisioni
di classe risultano attenuate.
CENTRIFUGHE
(Italia e Francia)
Risultato di èlites conflittuali e profonde divisio
Più promettente di una suddivisione in tipologie democratiche è ni sociali che hanno dato vita ad una cultura
quella basata sulla costruzione di modelli polari attribuibile a politica eterogenea.
Lijiphart che cominciò ad osservare come le democrazie
ispirassero le proprie forme istituzionali a due principi che posso
essere relativamente puri o misti:
CENTRIPETE
(Regno Unito e paesi scandinavi)
Con cultura omogenea ed élites conflittuali.
SCATOLA DI DAHL
OLIGARCHIE POLIARCHIE
COMPETITIVE (liberal-democrazie)
Un qualche grado di
Competizione competizione tra èlites ristrette
Opposizione
EGEMONIE EGEMONIE
CHIUSE INCLUDENTI
Partecipazione
TRANSIZIONE INSTAURAZIONE
Fase di fluidità in cui il precedente Quando gli accordi o i mutamenti
regime non democratico entra in una permettono di tenere le prime elezioni
acuta crisi. Una parte della coalizione libere si può dire di essere passati a
dominante comincia a pensare al questa fase in cui comincia a delinearsi
X “dopo” ed a preparare un regime sosti l’embrione di un nuovo regime. Abbia
tutivo. Si hanno conflitti interni con la mo subito prima un fenomeno di libera
possibilità di un colpo di Stato e pro lizzazione ovvero una maggiore aper
gressiva perdita di alcuni caratteri. tura all’opposizione. Qui c’è bisogno di
Cominciano a riposizionarsi le strutture una re-istituzione delle istituzioni ed il
tessuto associativo rifiorisce, si registra
il moltiplicarsi degli attori politici: inter
ni ed esterni. Proseguono le aperture e
il dialogo diventa collaborazione. La I
CONSOLIDAMENTO necessità è la creazione di una nuova
FORTE O DEBOLE leadership: una coalizione fondante il
E’ il processo di definizione (caratteri primari) e adat - cui compito primario sia dar vita ad un
tamento (secondari) delle diverse strutture e norme de- accordo di compromesso. Si ha la con
mocratiche nel tempo (freezing = congelamento delle sacrazione di questa fase con l’appro
istituzioni). Caratterizzato dalla messa in opera e dal vazione del nuovo tessuto legislativo.
mantenimento del compromesso democratico (un pro-
cesso che si realizza al livello delle èlites). C’è poi l’im
posizione del rispetto della legalità, il rientro nelle caser
me dei militari e la loro neutralità. Il pragmatismo obbli DURATA come
ga all’accordo ed al mantenimento del consenso dei PERSISTENZA unità di misura
detentori del potere economico. STABILE
PERSISTENZA CRISI
INSTABILE
CROLLO
Tuttavia oggi i regimi possono anche perdere terreno in tre fronti anziché crollare:
burocrazia e più in generale le forze politiche autoritarie che per diversi motivi
sono indotte ad intraprendere e cercare di pilotare l’instaurazione.
E’ utile poi distinguere tra transizioni e instaurazioni condotte da attori
interni e governativi e quelle condotte da attori interni non governativi
quali possono essere ad esempio i militari.
Abbastanza frequente è anche il caso in cui tra gli attori moderati
governativi o non e una parte dell’opposizione si salda un interesse
comune per il cambiamento. Molto rara è invece l’ipotesi in cui le forze
politiche all’opposizione diventano le protagoniste del mutamento, se
l’opposizione è protagonista della transizione solitamente si ha un processo
non democratico. Al di là di queste possibilità se ne possono costituire
combinazioni, interessante è quella tra forze dell’opposizione e attori
internazionali. Il ruolo dei militari, sebbene essi possano essere più o meno
coinvolti è fondamentale in quanto essi detengono il monopolio della forza
coercitiva ed anche al momento dell’instaurazione possono rivelarsi
potenzialmente pericolosi. Un altro momento fondante conseguente e che
vede impegnati gli attori è la formazione della coalizione fondante il
regime: tanto più ampia è la coalizione tanto maggiori sono le probabilità di
successo. La coalizione può concludere patti o accordi ovvero in primo
luogo il riconoscimento della legittimità di posizioni politiche diverse, questo
che è – assieme ad altri processi – il cuore del compromesso democratico
può tradursi in una Carta Costituzionale che diventa l’occasione per
stipulare il compromesso istituzionale e per enunciare una serie di valori. Poi
la sede più formale ovvero il processo costituente può essere l’occasione per
raggiungere un consenso su aspetti politici sostantivi. Si hanno poi altri
elementi qualificanti riguardanti l’instaurazione:
- è necessario vedere quali forze politiche siano più o meno presenti
ed organizzate quando inizia la transazione e di conseguenza
l’instaurazione
- durante il processo in analisi le élites svolgono il ruolo fondamentale,
spesso tuttavia giocano un ruolo importante le masse; la
partecipazione di massa si manifesta con scioperi, dimostrazioni o
talvolta in maniera violenta con tumulti.
- L’analisi della continuità/discontinuità a livello normativo e del
personale delle strutture burocratiche ed amministrative del nuovo
regime. L’obbiettivo è quello di collocare nei ruoli chiavi del nuovo
regime personale maggiormente leale per favorire la legittimazione
del regime.
IL CONSOLIDAMENTO
E’ il processo – composito e variegato – di definizione nei suoi caratteri
essenziali e di adattamento in quelli secondari delle diverse strutture e norme
democratiche innescato anche dal trascorrere del tempo. Esso può svolgersi
secondo i metodi della legittimazione o dell’ancoraggio.
La legittimazione ovvero l’accettazione e il sostegno delle strutture del
regime da parte della società ma anche delle élites partitiche di vertice ed
intermedie si sviluppa a livello di élite e di massa in alcuni ambiti precisi. Il
primo ambito riguarda la messa in opera ed il mantenimento del
compromesso democratico, il riconoscimento dell’opposizione e
dell’eguaglianza politica, la diffusione della cooperazione tra forze politiche e
non. Il secondo ambito riguarda il rispetto della legalità come capacità delle
élites di governo e dei propri apparati di porsi come garanti del rispetto delle
norme istituzionali e soprattutto come disponibilità della popolazione ad
accettare la legge. Il terzo ambito riguarda la neutralità e la neutralizzazione
dei militari. Un quarto eventuale ambito riguarda l’appoggio dei gruppi
imprenditoriali privati a seguito di garanzie poste dal regime a sostegno dei
propri interessi. La teoria dell’ancoraggio mostra l’esistenza di 4 ancore nel
processo di consolidamento:
1) il sistema partitico lascia poco spazio per trasformazioni o mutamenti
sostanziali
2) il condizionamento da parte dei partiti delle associazioni di interesse e
più in generale dei gruppi di interesse
3) i rapporti clientelari che per decenni hanno tenuto gli individui legati a
certi assetti partitici ed istituzionali che garantivano l’erogazione delle
risorse pubbliche su base personalistica
LA STABILITA’
Essa è definibile come la ragionevolmente prevedibile capacità di durata del
regime democratico. Essa comporta condizioni più cogenti e positive in
termini istituzionalizzazione raggiunta, legittimità ed efficacia decisionale.
Queste sono le quattro macro categorie per la classificazione dei regimi non
democratici, la categoria più ampia, quella dei regimi autoritari include al
suo interno tutte quelle forme di governo che presentano i seguenti elementi:
• Pluralismo politico limitato e non responsabile all’interno del quale si
possono distinguere gli attori istituzionali (esercito, burocrazia, partito unico)
ed attori sociali (Chiesa, gruppi industriali o finanziari, proprietari terrieri ed in
qualche caso anche i sindacati) tutti non politicamente responsabili secondo il
meccanismo tipico delle democrazie cioè attraverso elezioni libere, corrette,
competitive. Questo punto rimanda al concetto di coalizione dominante (le
élite) al di fuori delle quali vi è emarginazione politica
• Assenza di elaborata ideologia guida ma con mentalità caratteristiche
riguardo la giustificazione ideologica del regime
• Assenza o limitata presenza di mobilitazione politica tranne che in alcuni
momenti del suo sviluppo
• Leader o piccolo gruppo che esercita il potere
• Limiti formalmente mal definiti di esercizio del potere, ma prevedibili
Questa categoria è comprensiva dei principali regimi di tipo militare ovvero
quei regimi in cui i militari costituiscono i più importanti attori del regime; tale
assetto politico in genere nasce da un colpo di Stato oppure da un più
semplice intervento che non configura nemmenoUnoladeglimeccanica del golpe.
aspetti che maggiormente con
tribuisce alla definizione di un regime mili
Essi difficilmente sono stati giustificati ricorrendo tare
adè articolare e complesse
la presenza o l’assenza di un leader
razionalizzazioni: solitamente fanno appello a principi quali la
militare in posizione più o menosicurezza,
preminente
rispetto al corpo ufficiale: in caso positivo si
l’ordine, l’interesse nazionale e quasi mai vi è statapuò mobilitazione dall’alto
parlare di tirannia militare; che
in questo
caso esso domina l’esercito e governa in
portasse qualche esito. Solitamente sono la depoliticizzazione e l’apatia a
maniera personalis tica, alcuni di questi
livello di massa che configurano la situazione più regimi ricorrente. Quasi
si possono anche definiremai essi
cleptocrazie per indicare anche l’elemento
danno vita a partiti unici o parlamenti aldilà della formazione di tipiche
di corruzione. L’esercito juntas.
in questo caso resta
un corpo poco coeso ed inefficiente. Se
invece è un gruppo più o meno ampio al
governo, con o senza il primis inter pares si
Coalizione Mentalità/Ideo parla di oligarchia militare. Nordlinger
dominante logia legittimante propone una triparti zione delle funzioni dei
(quali e quanti (quale e quanto militari suddividen doli in 3 categorie:
attori) articolata) - militari moderatori: i militari sono un
gruppo potente e politicizzato, il suo ob
biettivo principale è il mantenimento dello
REGIMI AUTORITARI status quo, hanno diritto di veto.
(dimensioni e variazioni
rilevanti)
Mobilitazione Strutturazione
dall’alto del regime
(caratteristiche (grado di
e grado) innovatività)
REGIMI CIVILI-MILITARI
Si instaurano nei paesi in cui vi è stato il fenomeno della nuova
professionalizzazione dei militari ovvero quel fenomeno caratterizzato
dall’ampliamento delle conoscenze teoriche, dalla trasformazione di essi in
corpi più coesi, dalle maggiori capacità manageriali e disponibilità ad
acquisire il potere, maggiore sicurezza e ideologia basata sulla dottrina della
sicurezza nazionale. Tali regimi sono anzitutto fondati su un’alleanza tra
militari, più o meno professionalizzati, e civili: siano essi burocrati o politici di
professione, tecnocrati o rappresentanti della borghesia industriale e
finanziaria. L’esistenza di tale coalizione non deve far dimenticare la
presenza di diffuse tensioni oggettive che esistono tra militari e civili.
REGIMI BUROCRATICI-MILITARI
Essi si incontrano di frequente nel corso del XX sec. E sono caratterizzati da
una coalizione dominata da ufficiali e burocrati; solitamente le decisioni
politiche sono dettate da pragmatismo. Non vi è la creazione di un partito di
massa ma spesso possono esservi un partito unico voluto dal governo per
limitare la partecipazione dei civili o talvolta sono presenti più partiti. In molti
regimi come questi strutture precedentemente rilevanti quali la Chiesa o la
monarchia oppure proprietari terrieri possono ricoprire un ruolo importante.
Solitamente vi è già in atto un processo di modernizzazione,
EXIT VOICE
Strategia di uscita Strategia di protesta
Reazione politica tipica, essa consiste nel tentativo di cambiare
L’uscita si riferisce all’abbandono di un prodotto per invece che eludere uno stato di cose riprovevole sollecitando
un altro ed è tipica del sistema economico. In questo individualmente o collettivamente il management direttamente
caso l’uscita da una opzione che appare negativa responsabile sia appellandosi ad una autorità superiore sia
viene utilizzata come strategia per salvaguardare il mediante vari tipi di azioni e proteste volte a sollevare l’opinione
proprio benessere. pubblica.
P
INFLUENZA SINDACATO SUL PARTITO -
A + NEUTRALITA’: partiti gatekeepers e gruppi autonomi EGEMONIZZAZIONE: il gruppo egemonizza il partito
R I partiti mantendono il loro ruolo di controllori dell’acces Un gruppo che condiziona completamente il partito a livello
T so ed i gruppi preferiscono non stabilire alcun contatto di nomina e reclutamento. In sostanza il partito è espres-
I privilegiato con un partito. Questo modello comporta sione del gruppo, offrendo ad esso un accesso indiretto
T l’autonomia dei gruppi che possono realizzare un appello alle decisioni pubbliche.
O multipartitico. Esiste poi la possibilità in cui il gruppo non
abbia nemmeno bisogno di interagire con un partito poi
S SIMBIOSI: partito e gruppo si rafforzano a vicenda nelle
chè possiede da solo l’accesso diretto alle sedi decisiona
U rispettive sfere d’attività. Sono in una posizione paritaria. Vi
li. In tale caso il partito è visto come secondario.
sono situazioni in cui il sindacato è costretto ad appoggiarsi
S al partito ma può sostentarsi in completa autonomia. Non
OCCUPAZIONE: uno o più partiti prevalgono su gruppi. vi è una relazione simmetrica. Si è parlato di due tipi di rap
I
N Situazione in cui il reclutamento e la nomina di attività porti: di clientela (1 o più gruppi riescono ad ottenere un
decisionali vedono la preminenza assoluta degli esponen accesso privilegiato alla pubblica amministrazione) o paren
D
A ti del partito, gli interessi del gruppo sono subordinati a tela (rapporti privileg.con un partito): in queste situazioni i
quelli del partito. I gruppo non può nemmeno scavalcare rapporti tra partiti e sindacati sono influenzati dalle caratte
C
A il partito e fare ricorso alla burocrazia senza che questo ristiche che hanno assunto gli ultimi; alcuni si sono limitati
richieda appoggio elettorale o di altro tipo. a rappresentare, altri hanno assunto un ruolo politico.
T
O
Consiste nel costruire, preservare, rafforzare le identità I politici prendono decisioni direttamente intese a
politiche. Nel produrre simboli in cui la collettività si migliorare la posizione relativa dell’entità collettiva
riconosce, comunicare solidarietà e concordare l’azione che essi rappresentano nel sistema in cui essa
collettiva. agisce.
Sebbene oggi esista in forma più frammentata, è un’atti- Le decisioni finali efficienti spettano esclusivamente
vità più efficiente per i movimenti. ad un personale partitico o governativo.
IL PARTITO DI NOTABILI (da “notevoli”= persone insigni in ambito sociale ed in virtù di una buona condizione economica sono
in grado di agire continuativamente all’interno di un gruppo dirigendolo o amministrandolo)
Costoro potevano occuparsi di politica avendo alle spalle una solida struttura di sostegno. Si formavano attorno ad un singolo
individuo cui, in seguito si univano i nobili. La risorsa principale dei politici era allora la deferenza cioè il rispetto tradizionalmente
legato alla loro classe di origine. Sono composti da un piccolo comitato e si riuniscono principalmente in periodi antecedenti alle
elezioni, possiedono strutture non permanenti. (Duverger parlerà di “partiti di origine parlamentare” in quanto essi creano la loro
rete di appoggi prevalentemente in Parlamento)
COMITATO SEZIONE
(partito di notabili) (partiti ideologici di massa)
- Partiti liberali o repubblicano italiano - - Partito socialista -
Formato da 12 persone o giù di lì, prevalente- Ha una adesione formale che si può sottoscrive
mente appartenenti alle élite, con una adesione re nel territorio vista la diffusione capillare, la
di cooptazione e la risorsa di prestigio sociale. I risorsa fondamentale è l’attivismo, il tipo di
luoghi di adesione sono i circoli borghesi con una strutture burocratica ed organizzata.
struttura informale.
CELLULA MILIZIA
(partiti di fabbrica) (corpi militari o para-militari)
- Partiti comunisti - - Partiti fascisti -
Tipico delle fabbriche, conta un numero ristretto Organo di tipo militare in cui vige una ferrea
di persone e mira ad organizzare gli operai colle- gerarchia. L’adesione è il reclutamento. Ha come
gando le loro rivendicazioni ad un progetto poli- risorsa la fedeltà, sono richieste obbedienza
tico. La risorsa è l’attivismo collettivo, l’azione è assoluta e dedizione.
totalizzante e l’adesione permanente
Vi è anche una quinta cleavage, più spesso definita come una sotto-
cleavage, responsabile della spaccatura tra comunisti e socialisti riformisti.
Sovranazionalmente tale classificazione delle cleavages porta
all’inquadramento dei partiti in famiglie a cui appartengono quelli con radici
comuni. Ne ricaviamo ancora una volta l’idea che la politica segua una certa
idealità:
- Partiti liberali e radicali (borghesia vs. proprietari terrieri)
- Partiti conservatori (privilegi dei proprietari terrieri e del clero vs.
allargamento suffragio e altri diritti)
- Partiti socialisti e socialdemocratici (classe operaia)
- Partiti democristiani (Chiesa cattolica vs. crescente emergere democrazie
liberali)
- Partiti comunisti (scissione ideologica con socialisti, revisione al fine di
accettare in taluni casi elementi democratici e capitalistici)
- Partiti etnico-regionalisti (difesa minoranze etnico-linguistiche)
- Partiti agrari (difesa interessi campagne vs. rivoluzione industriale)
- Partiti della destra radicale (antiliberali ed antidemocratici, xenofobi e
populisti)
A seguito delle cleavages si è verificato il “congelamento” ovvero una bassa
fluttuazione del voto (volatilità) tra destra e sinistra. Il congelamento non solo
delle strutture ma anche dei conflitti nel lungo periodo, avrebbe avuto
l’effetto positivo di incapsulare gli scontri sociali nel senso di una limitazione
delle divisioni sociopolitiche. Secondo ricerche recenti si assisterebbe adesso
invece all’inversione di tendenza ovvero ad uno “scongelamento” nel
sistema dei partiti a seguito del cambiamento del peso relativo delle diverse
famiglie spirituali ad alla nascita di alcuni nuovi partiti. Il declino dei partiti
religiosi e dei partiti comunisti insieme all’emergere dei partiti ecologisti
sarebbero i maggiori responsabili di questo fenomeno.
I partiti socialisti saranno, nella storia, i primi a darsi un ordinamento ed
un’organizzazione. Sebbene il cerchio delle cleavages si sia chiuso, dopo di
esse c’è stata la nascita di alcuni partiti ecologisti quali i verdi per la quale è
balenata l’idea di una cleavage ecologista ma tale teoria non si è rivelata
efficace e la nascita di tali partiti è stata piuttosto reputata un fenomeno
anomalo poiché non vi è una posizione opposta che si è sviluppata
all’ecologismo. Le posizioni pacifiste ed interventiste invece sono da definire
come posizioni monotematiche (ONE SHOT MOVEMENT) le quali danno
vita a contrapposizioni ideologiche che non si coagulano.
IL NUMERO DEI PARTITI
Un’analisi classica dei sistemi li distingueva in tre tipologie: monopartitici,
bipartitici, multipartitici. Mentre il sistema monopartitico, proprio dei regimi
autoritari, vieta la formazione di altri partiti il sistema bipartitico come quello
britannico o statunitense vedono un’alternanza di potere abbastanza
equilibrata; qui l’elettorato elegge direttamente il governo, non si perde tempo
in negoziati per creare coalizioni ed il governo è stabile. Nei sistemi
Nella gran parte dei casi oggi il voto avviene tramite una scheda ufficiale,
predisposta dalle autorità pubbliche, che contiene i nomi dei candidati ed i
simboli partitici. Ricevuta la scheda l’elettore non ha che da compiere la
scelta apponendo un semplice segno in una cabina elettorale che assicura la
segretezza. L’elettore non può aggiungere segni ulteriori o considerazioni,
pena l’annullamento del voto. C’è infine la questione dell’obbligatorietà o
meno del voto: il voto è concepito come un diritto e come tale è stato
conquistato con aspre lotte politiche, talvolta esso viene considerato anche
un dovere civico; perché la democrazia funzioni è necessario che gli elettori
votino.
IL SISTEMA ELETTORALE: LE CIRCOSCRIZIONI
Uno dei primi punti che il sistema elettorale deve affrontare è quello tra
elettori-eletti-territorio. La scelta fondamentale è se questo rapporto debba
svolgersi all’interno di un unico ambito nazionale oppure entro circoscrizioni
territoriali limitate: la stragrande maggioranza dei paesi adottano
circoscrizioni di dimensioni sub-nazionali.
Il prevalere di circoscrizioni sub-nazionali per l’elezione dei parlamenti
dipende in primo luogo da motivazioni storiche ma soprattutto da motivi
pratici: le circoscrizioni locali consentono una vicinanza maggiore ai cittadini e
quindi una conoscenza e contatti più diretti. Le circoscrizioni elettorali
possono variare notevolmente in termini di magnitudine cioè del numero di
seggi assegnati all’interno di ciascuna di esse: si va dalla dimensione minima
del collegio uninominale (un solo eletto), ai collegi plurinominali (gli eletti
possono essere da più di uno alla totalità). Le due diverse scelte configurano
conseguenze importanti. Per quel che riguarda le formule elettorali,
generalmente il collegio uninominale è associato ad una formula
maggioritaria mentre il plurinominale si adatta ad entrambe. Si deve
procedere, a scadenze regolari al ridisegno dei confini dei collegi
(redistricting) oppure ad una redistribuzione dei seggi da attribuire ai diversi
collegi in modo da mantenere costante il rapporto numerico tra numero dei
seggi e popolazione votante. L’ampiezza dei collegi elettorali ha importanti
conseguenze anche sul rapporto voti/seggi, si può anticipare che più piccolo
è il collegio, più alta sarà la soglia di esclusione della rappresentanza.
LE FORMULE ELETTORALI: formule maggioritarie
Sono le formule che nell’assegnazione dei seggi privilegiano l’orientamento di
maggioranza. Al loro interno si può procedere un’ulteriore distinzione: la
maggioranza assoluta (50% dei voti + 1) o di quella relativa o “plurality”
(pacchetto di voti che supera
tutti gli altri, anche se inferiore al 50%). La prima delle due formule assegna
l’unico seggio in gioco all’unico candidato che supera tutti gli altri (first past
the post), indipendentemente dalla percentuale di voti raggiunta. Se tuttavia
si richiede che gli eletti debbano contare sulla maggioranza assoluta tutte le
volte che i candidati sono più di due, è possibile che nessuno raggiunga la
soglia e quindi che nessuno risulti eletto. A questo problema si è ovviato con
l’introduzione del “doppio turno”: nei collegi dove il primo turno di elezioni non
ha prodotto l’assegnazione del seggio a maggioranza assoluta si procede
(dopo un certo periodo di tempo, generalmente una o due settimane), ad un
secondo turno in cui si dovrà necessariamente assegnare il seggio. Se si
vuole ottenere il risultato si dovrà ridurre il numero dei candidati a due,
utilizzando lo strumento del “ballottaggio” cioè ammettendo, al secondo turno
solo i due candidati piazzati meglio al primo. Questo sistema è adottato per
elezioni presidenziali francesi e per quelle dei sindaci italiane.
L’altra formula maggioritaria da citare è quella del sistema australiano del
preferential votino (voto alternativo). In questo sistema, basato anch’esso su
collegi uninominali, agli elettori è richiesto di attribuire un ordine di preferenza
ai candidati. Se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta sulla
base delle prime preferenze si procede eliminando il candidato ultimo arrivato
e ridistribuendo le rispettive preferenze che si è aggiudicato l’eliminato. E così
via fino ad arrivare al candidato maggioritario. Come si vede questo sistema
introduce un criterio nuovo: il carattere ordinale invece che categorico del
voto.
Formule proporzionali
Sono volte a consentire una rappresentanza in parlamento di tutti gli
orientamenti politici, in proporzione alla loro forza. Le formule proporzionali
necessitano di collegi plurinominali che consentono di attribuire i seggi
disponibili ad una pluralità di forze politiche. La maggior parte dei sistemi
proporzionali adottano il voto di lista: candidati raggruppati su liste di partito
sulle quali gli elettori devono esprimere il proprio voto. Stabilito il principio per
il quale i seggi devono essere assegnati in proporzione ai voti, resta da
stabilire come effettuare il riparto. Poiché non ci si può aspettare che i voti
ottenuti ad un partito possano essere multipli esatti del quoziente elettorale
(numero dei voti totali espressi in un collegio/numero dei seggi da
assegnare), occorre trovare delle formule matematiche, le più comuni sono
quella dei resti più alti (formula di Hare) o quella delle medie più alte (formula
d’Hondt o Sainte League).
Sistemi misti
Essi combinano elementi derivati da sistemi elettorali ispirati a principi diversi.
Per esempio possono essere accostati elementi di sistemi maggioritari e di
sistemi proporzionali, collegi uninominali o plurinominali. Un esempio classico
è la Germania. Un esempio ulteriore è l’Italia a partire dalla riforma del 1993,
nelle due varianti della Camera e del Senato. Questo sistema prevedeva che
tre quarti dei seggi venissero assegnati in collegi uninominali con sistema
maggioritario ad un turno mentre il restante quarto con sistema
Fino a qui sono stati tracciati dei modelli sulla base dei loro caratteri
istituzionali formali ma nella realtà ci sono livelli molto più “normali” nella
determinazione delle forme di governo. Nella stragrande maggioranza dei
casi l’assetto dualistico che vede da una parte il governo e dall’altra il
parlamento è tributario di un modello ormai superato ed anche il parlare di
attori politici come soggetti individuali oggi ha lasciato il posto ad una
maggiore organicità che vede operare nel panorama politico prevalentemente
attori collettivi. Per quel che riguarda la dimensione della legittimazione è
soprattutto nei governi parlamentari che l’incidenza della variabile partitica si
rivela più significativa. E’ necessario anche ribadire il significato della
mediazione parlamentare: il governo deve godere della fiducia del
parlamento e dunque poter contare su una maggioranza favorevole o
perlomeno non sfavorevole. Il processo di legittimazione politica dei governi
parlamentari coincide quindi con quello di mantenimento in vita delle
maggioranze. E’ qui che la variabile partitica esercita la sua influenza nella
misura in cui da luogo, a seconda che si tratti di un partito unico o di una
pluralità di partiti, a differenze nella forma di governo. Altre configurazioni
della realtà partitica tenderanno a dare significato diverso alla mediazione
parlamentare; può darsi che l’esito delle elezioni non avrà determinato una
maggioranza e dunque sarà necessario uno stadio intermedio di formazione
della maggioranza. Sulla base di queste disquisizioni si può riesaminare il
significato della mediazione parlamentare in questa forma di governo e
stabilire degli assunti validi di fondo:
* la vita e la sopravvivenza del governo sono legate a quelle della
maggioranza
* le differenze si manifestano invece nelle modalità di funzionamento e di
direzione della maggioranza parlamentare
La variabile partitica appare rilevante anche per determinare l’assetto di altri
tipi di governo ma è soprattutto la forma semi-presidenziale ad illustrare con
chiarezza l’importanza decisiva di variabili politiche. La prassi
presidenzialistica ovvero la subordinazione del primo ministro al presidente
della repubblica appare legata ad una serie di condizioni che non sono
costituzionali ma politiche:
* in primo luogo è necessaria la corrispondenza tra maggioranza
presidenziale e parlamentare
* una struttura del partito di maggioranza tale da lasciare al presidente un
ampio margine di azione , in sostanza una sorta di “partito del presidente”
* qualora la base dei governi sia di natura coalizionale allora saranno
necessarie coalizioni deboli, incerte ed instabili
(o autorità garanti), nate nella maggior parte dei casi come istanze a difesa
dell’interesse collettivo in relazione alla privatizzazione di beni e servizi un
tempo gestiti dallo stato.
Dall’altro lato si è affermato il principio della trasparenza dell’azione
dell’amministrazione pubblica: di fronte ai cittadini non solo è stato ribadito il
diritto ad essere informati ma si è rafforzato quello di partecipare ad una serie
di decisioni pubbliche attraverso procedure di consultazione e concertazione.
Se la tradizione occidentale sosteneva di isolare il processo da spinte
esterne, molte riforme recenti hanno mirato a renderlo più trasparente
garantendo ai cittadini l’accesso a atti amministrativi. Ciò è avvenuto in
particolare per i processi decisionali relativi a politiche che, come quelle
territoriali o ambientali, hanno maggiori ricadute sulla vita della società. Gli
esperimenti di coinvolgimento vanno dalle giurie di cittadini ai forum, a bilanci
partecipativi, a dibattiti pubblici prima dell’attuazione di specifiche decisioni. Si
è parlato in questi casi di un policy marketing interattivo.
dirla con Weber, lo stato moderno si fonda sul potere razionale-legale dei
suoi funzionari, le forme di potere sono collegate a specifiche forme di
amministrazione. Il potere razionale-legale è alla base del modo di
amministrare le moderne società complesse – come la pubblica
amministrazione, ma anche la grande impresa. Lo sviluppo di questo tipo di
potere è parte di un più ampio processo di razionalizzazione. Una peculiarità
della burocrazia è la presenza di un potere impersonale, orientato
all’applicazione neutrale di regole astratte. I compiti e i poteri del funzionario
pubblico vengono fissati e delimitati dalla legge. Egli si muove “in base a
criteri puramente oggettivi” e “senza riguardo alle persone”, sulla base di
“regole prevedibili”.
LA CRESCITA DELLE BUROCRAZIE PUBBLICHE
Questa crescita, non soltanto numerica, della burocrazia pubblica è parte di
un complesso sviluppo storico, per spiegare il quale si è fatto riferimento a
variabili socioeconomiche e politiche. Storicamente l’affermarsi di una
economia monetaria è una precondizione per la nascita della burocrazia
poiché è indispensabile una forma di organizzazione che renda possibile il
procurarsi la tassazione. In una prospettiva di tipo evoluzionista la
progressiva specializzazione degli organi cui viene assegnato lo svolgimento
di specifiche funzioni rende necessaria la creazione di un sistema di
coordinamento cui la burocrazia supplisce perfettamente. Nella crescita della
burocrazia, hanno giocato un ruolo importante fattori politici internazionali
quali i conflitti militari, la guerra: l’amministrazione statale cresce in parallelo a
seguito degli sforzi militari, le attività pubbliche introdotte in tempo di guerra
verranno mantenute anche una volta che il conflitto sia terminato, in tempo di
pace i cittadini rivendicheranno i diritti loro promessi mentre era in corso la
guerra e i debiti di stato in cui esso è incorso porteranno lo stato ad
accrescere il suo intervento in economia. Tutto questo a portato ad ampliare i
compiti dello stato, in particolare in relazione all’offerta dei servizi tramite lo
sviluppo dello stato del benessere e la promozione di tale sviluppo tramite lo
stato programmatore. Questa costante espansione dei compiti dello stato si è
riflessa in una crescita della burocrazia , sollecitata, almeno in parte, da
pressioni provenienti da diversi gruppi sociali. Oggi comunque le spinte verso
una crescita dello stato vengono dal suo interno, da interessi propri alla
classe politica e alla burocrazia pubblica.
IL COMPORTAMENTO AMMINISTRATIVO
Si è detto che il modello weberiano afferma in primo luogo il principio della
razionalità dell’azione come fondamento dell’agire burocratico. L’approccio
razionale, o sinottico, è a lungo stato quello dominante ma esso ha sollevato
numerose critiche che hanno portato all’elaborazione di teorie alternative.
Herbert Simon ha sostenuto che il processo decisionale nella pubblica
amministrazione è dominato dall’aspirazione alla razionalità, sottolineandone
esercizio del potere) trova la sua giustificazione in gran parte di questi output.
Accanto ai politici sinceramente interessati ai contenuti programmatici e che
quindi a questi subordinano la loro competizione per il potere (politici policy-
seeking), ci sono all’opposto politici per le quali le politiche presentano un
interesse soltanto strumentale e il fine nettamente prevalente è quello di
raggiungere le posizioni dominanti (politici office-seeking).
COSA SONO LE POLITICHE?
La tradizione dei policy studies, cioè degli studi sulle politiche pubbliche
suggerisce che concentrare l’attenzione essenzialmente sulle decisioni può
essere riduttivo, è necessaria una visione più ampia.
Mentre l’osservatore vede la decisione come fase conclusiva dell’azione
politica in un determinato settore, in realtà il processo si svolge in maniera
diversa:
* La fase dell’attuazione (implementation) che in teoria dovrebbe seguire
automaticamente alla decisione ed avere natura essenzialmente burocratico-
amministrativa, si rivela assai più aperta e ricca di valenze politiche di quanto
non prevedano gli schemi formali. In questa fase le decisioni già prese
possono essere, a seconda dei casi, rese inefficaci, ritardate, trasformate, re-
interpretate, potenziate sino al punto di assumere il carattere di diverse
decisioni. Nuovi attori e nuovi interessi possono sempre entrare in gioco.
* In secondo luogo, mentre la prospettiva centrata sulle decisioni tende a
focalizzarsi sul “singolo atto”, occorre prendere in considerazione il fatto che,
per lo più, le singole decisioni si inseriscono in un contesto spesso
caratterizzato da una “storia” lunga e complessa. Le nuove scelte in un dato
settore hanno sostituito vecchie scelte che hanno in misura maggiore o
minore predeterminato il terreno. La tradizione suggerisce quindi di
analizzare un iter più complesso di policy making.
Dal concetto di decisione si passa quindi a quello di policy o politica pubblica.
Lasswell l’ha definita come “un programma di azione proiettato verso il futuro
e che si basa sull’individuazione di obbiettivi di valore e prevede procedure e
atti finalizzati al raggiungimento di questi”. Lasswell voleva così sottolineare il
carattere programmatico e l’intenzionalità di ogni politica pubblica. Lowi
invece richiama l’attenzione al carattere normativo delle politiche pubbliche:
“una politica pubblica è una norma formulata da una qualche autorità
governativa che esprime un’intenzione di utilizzare il comportamento dei
cittadini, individualmente o collettivamente, attraverso l’uso di sanzioni
positive o negative. Quando parliamo di politica pubblica dunque ci riferiamo
ad un programma di azione pubblica che:
1. generalmente si compone di una pluralità di provvedimenti; 2. promana da
autorità pubbliche; 3. ha valore normativo; 4. si riferisce ad un dato ambito di
problemi sociali.”
sistema delle due grandi alleanze militari a caratterizzare per circa quattro
decenni il sistema internazionali postbellico. Il sistema dei due blocchi, se con
lo sviluppo della minaccia nucleare, quello della sicurezza ha però prodotto
anche un equilibrio di potenza rivelatosi assai stabile al quale possono essere
accreditate le condizioni di pace che hanno prevalso nella parte del mondo
interessata da esso.. A questo assetto va anche ascritta nei fatti una netta
differenziazione di status tra i due tipi di attori internazionali, le superpotenze
e gli altri stati aderenti alle due alleanze. Se gli assetti postbellicic di
sicurezza hanno avuto inizialmente un peso predominante nel caratterizzare
la realtà internazionale, con il passare del tempo è stato lo sviluppo delle
organizzazioni internazionali “civili”, ad acquistare un rilievo crescente. A
livello globale troviamo l’attivismo crescente delle Nazioni Unite in settori
come il mantenimento o il ristabilimento della pace (peace-keeping, peace-
enforcing, ecc.). Va segnalato inoltre lo sviluppo di istituzioni di cooperazione
economica come il Fondo monetario e più di recente, l’Organizzazione
mondiale del commercio. A livello regionale sono da rimarcare fenomeno
come l’Unione europea, Il Mercosur nel cono meridionale dell’America latina,
il Nafta nel Nord America, l’Asean nell’Asia sud-orientale. Dal complesso di
questi dati emergono alcuni dati significativi per una valutazione della realtà
internazionale: anzi tutto lo sviluppo di un ambiente internazionale sempre più
definito densamente da istituzioni, procedure, regole favorisce la
cooperazione tra gli stati e rende il sistema internazionale un po’ meno la
scena di un confronto nudo e diretto tra questi. In secondo luogo il
rafforzamento di autorità soprastatali con poteri a volte assai significativi,
mette in questione la pretesa di assolutezza della sovranità degli stati. In
questo contesto si può ragionevolmente parlare di “globalizzazione della
politica”, trovano uno spazio di azione sempre più significativo attori non
governativi di vario tipo e, con cautela, si sta sviluppando una sorta di
opinione pubblica mondiale.
Un nuovo assetto sistemico in Europa
L’Europa si presenta oggi all’interno del sistema politico internazionale come
un’area caratterizzata da sviluppi di particolare rilievo nella direzione appena
indicata. Dopo la seconda guerra mondiale ha visto svilupparsi forme
particolarmente innovative di organizzazione interstatale. Risulta
particolarmente interessante il carattere piuttosto peculiare delle istituzioni e
delle regole adottate dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, poi
dalla Comunità economica europea e successivamente dalla Comunità
Europea e dalla Unione europea. In secondo luogo va sottolineata la
dinamica espansiva di questa costruzione sia sotto il profilo dei settori di
policy sia interessati che dei paesi aderenti. Nell’arco di quarant’anni quella
che inizialmente era una modesta comunità di sei paesi si è trasformata in
una organizzazione di 27 membri (2007). Sviluppatasi attraverso lo strumento
tipico della cooperazione internazionale tra stati cioè attraversi trattati ratificati
dai paesi aderenti, L’unione europea ha adottato, sin dai primi passi, forme
istituzionali peculiari. Tra queste istituzioni vanno segnalate l’Alta autorità
(che poi diventerà la Commissione), un organismo a cavallo tra le autorità di
governo e di alta amministrazione, il Consiglio dei ministri composto da
ministri di ogni paese membro responsabili per un dato settore di policy, con
poteri legislativi e di alto indirizzo politico, l’Assemblea comune composta da
parlamentari nazionali che nel 1962 è stata denominata Parlamento europeo,
una Corte di Giustizia con il compito di giudicare i conflitti tra stati, tra questi e
la Comunità, tra gli organi della Comunità, il Comitato economico e sociale, la
Banca europea degli investimenti, il Coreper (Comitato dei rappresentanti
permanenti degli stati), il Consiglio europeo (Organismo nel quale si
riuniscono i Capi di Stato dei paesi membri), il Comitato delle regioni, la
Banca centrale europea, l’Alto rappresentante per la politica estera e di
sicurezza comune. Nel corso del tempo oltre alla proliferazione di istituzioni ci
sono stati: un deciso aumento dei poteri legislativi del Parlamento, la
compresenza di istituzioni costituite sulla base di rappresentanze di organi
istituzionali nazionali e di altre che invece hanno una loro esistenza
autonoma.
Espansione territoriale della Comunità
L’aspetto forse più palese di questo dinamismo è dato dall’espansione
territoriale della comunità. L’’iniziale nucleo di sei paesi si è allargato prima
verso il nordo con l’ingresso di Inghilterra, Irlanda e Danimarca, poi verso il
sud con l’adesione di Grecia, Portogallo e Spagna, poi di nuovo a nord con
Finlandia e Svezia, ad est con Austria e successivamente i paesi del Centro
Europa. L’allargamento territoriale porta con se un aumento significativo
dell’eterogeneità interna e dello stress organizzativo, questi due effetti sono
stati particolarmente rilevanti ai fini di un altro aspetto del mutamento, quello
che riguarda gli ambiti di intervento della Ue. L’immissione di nuovi paesi con
problemi sempre significativamente diversi da quelli dei paesi già membri è
stato spesso uno stimolo importante per il cambiamento delle politiche
esistenti e le riforme istituzionali.
Espansione delle competenze comunitarie
E’ il secondo aspetto dello sviluppo europeo che deve essere sottolineato. La
comunità ha espanso il proprio raggio di azione con il completamento
dell’integrazione del mercato interno e poi con l’integrazione comunitaria.
Quest’ultima ha attirato una notevole espansione soprattutto a partire
dall’introduzione della moneta unica. Ma importante è stato anche il processo
che ha condotto all’ammissione dei paesi all’Unione monetaria europea
(Ume). Alcuni importanti cambiamenti sono avvenuti anche per vis
giurisdizionale grazie all’azione della Corte di giustizia europea e alla sintonia
stabilitasi tra questa e le corti nazionali. In particolare deve essere
sottolineata l’affermazione della superiorità delle norme europee su quelle