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Conversione di San Paolo

1. In quel tempo Simon Pietro disse a Gesù: «Ecco che noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo
seguito» (Mt 19,27).
In questo vangelo si devono considerare due fatti: - l'eccelsa dignità degli apostoli nel giudizio
finale, - la ricompensa di coloro che lasciano le cose transitorie.

I. L'ECCELSA DIGNITÀ DEGLI APOSTOLI NEL GIUDIZIO FINALE


2. «Ecco che noi abbiamo lasciato tutto». Pietro, «agile corridore, che fa la sua corsa» (Ger 2,23),
dice: «Ecco che noi abbiamo lasciato tutto».
Pietro, ti sei comportato saggiamente: non potevi certo, carico di pesi, tener dietro a colui che
corre. Poco prima aveva sentito il Signore che affermava: «In verità vi dico: difficilmente un ricco
entrerà nel regno dei cieli» (Mt 19,23); e quindi per entrarvi con facilità lasciò tutto.
Che cosa si intende per «tutto»? Le cose esteriori e quelle interiori, cioè le cose possedute e
anche la volontà di possedere, in modo tale che non ci è rimasto assolutamente nulla (alla lett.
nessuna reliquia, dal lat. relinquere, lasciare). Dice il Signore per bocca di Isaia: «Distruggerò
anche il nome di Babilonia, ogni sua reliquia (resto), germe e stirpe» (Is 14,22). Il nome di
Babilonia sta a indicare i termini che esprimono la proprietà, come mio e tuo. Cristo ha distrutto
negli apostoli non soltanto questo nome, ma anche le reliquie della proprietà; e non solo queste,
ma anche il germe, cioè la tentazione di avere, e la stirpe, cioè la volontà di possedere.
Beati i religiosi nei quali queste cose vengono distrutte, perché a buon diritto anch'essi
potranno dire: «Ecco che noi abbiamo lasciato tutto».
Guardate gli apostoli che volano. Dice Isaia: «Chi sono costoro che volano come le nubi, e come
le colombe alle loro colombaie»? (lat. ad fenestras, alle finestre) (Is 60,8). Le nubi sono leggere.
Gli apostoli, deposto il peso del mondo, volano leggeri, sulle ali dell'amore, dietro a Gesù. Dice
Giobbe: «Conosci tu forse le grandi vie delle nubi e la scienza perfetta?» (Gb 37,16). Grande via è
il lasciare tutto: via stretta durante il pellegrinaggio di questa vita, ma larga e grande nel momento
della ricompensa. Scienza perfetta è amare Gesù e camminare dietro a lui. Questa fu la via e
questa fu la scienza degli apostoli, che come colombe volarono alle loro finestre.
«Finestre» è come dire «che portano fuori» (lat. ferentes extra). Gli apostoli e gli uomini
apostolici, semplici e innocenti come colombe, se ne volarono lontano dalle cose terrene in modo
da custodire le finestre dei sensi, per non uscire attraverso di esse a quelle cose esteriori che
avevano abbandonato. Per queste finestre è uscita quella colomba senza cuore, che si lasciò
sedurre. Racconta la Genesi che Dina, figlia di Giacobbe, uscì a vedere le fanciulle di quella
regione. La vide Sichem, che la rapì e violò la sua verginità (cf. Gn 34,1-2). Così l'anima sventurata
viene portata all'esterno attraverso i sensi del corpo per vedere le bellezze mondane; e mentre va
errando qua e là, con il suo consenso viene rapita dal diavolo, e il risultato è la sua rovina. Quale
diversità di volo! Gli apostoli dalle cose terrene volano a quelle celesti; costei dalle cose celesti
scende a quelle terrene; questa vola verso il diavolo, quelli verso Cristo.
3. «E ti abbiamo seguìto» (Mt 19,27). Per te abbiamo lasciato tutto, siamo diventati poveri. Ma
poiché tu sei ricco, ti abbiamo seguito perché tu renda ricchi anche noi. Sono più miserabili di
tutti gli uomini quei religiosi che lasciano tutto, e tuttavia non seguono Cristo. Essi ne hanno un
doppio danno: sono privati di ogni consolazione esteriore, e non hanno neppure quella interiore;
mentre i mondani, anche se mancano di quelle interiori, hanno almeno le consolazioni esteriori.
«Abbiamo seguito te», noi creature abbiamo seguito il Creatore, noi figli il padre, noi bam-bini
la madre, noi affamati il pane, noi sitibondi la sorgente, noi malati il medico, noi stanchi il
sostegno, noi esuli il paradiso. «Ti abbiamo seguito»: Noi corriamo alla fragranza dei tuoi pro-
fumi (cf. Ct 1,3), perché «il profumo dei tuoi unguenti supera tutti gli aromi (Ct 4,10).
Si legge nella Storia Naturale che la pantera è un fiera di meravigliosa bellezza e che il suo odore
è talmente inebriante da superare ogni altro profumo. Perciò, quando gli altri animali ne fiutano
la presenza, subito le si avvicinano e la seguono, perché si sentono rinvigoriti in modo
straordinario dalla sua vista e dal suo odore (Aristotele e Plinio). Quale sia l'amabilità e la bellezza
del Signore nostro Gesù Cristo, lo sperimentano i beati nella patria, ma anche i giusti lo
pregustano in qualche misura in questa vita. E quando gli apostoli costatarono la sua amabilità,
lasciato tutto, subito lo seguirono.
«Noi ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne otterremo?» (Mt 19,27). Dice Giobbe: «Come
coloro che cercano un tesoro, e si rallegrano grandemente quando trovano un sepolcro» (Gb 3,21-
22). Il tesoro nel sepolcro è figura di Dio nel corpo assunto dalla Vergine.
O apostoli, avete già trovato il tesoro, ormai lo possedete interamente. E che cosa cercate di
più? «Che cosa ne otterremo?». E che cosa volete avere ancora? Conservate ciò che avete trovato,
perché egli è tutto ciò che cercate. In lui - dice Baruc - c'è la sapienza, la prudenza, la fortezza,
l'intelligenza, la longevità e il nutrimento, la luce degli occhi e la pace (cf. Bar 3,12. 14). C'è la
sapienza che tutto crea; la prudenza con cui governa le cose create, la fortezza con la quale tiene
a freno il diavolo, l'intelligenza con la quale tutto penetra, la longevità che rende eterni i salvati,
il nutrimento con il quale li sazia, la luce che illumina, la pace che conforta e rassicura.
4. «E Gesù disse loro: In verità vi dico: Voi che mi avete seguito» (Mt 19,28). Il Signore non dice:
«Voi che avete lasciato tutto», ma: «Voi che mi avete seguito»: ciò che è proprio degli apostoli e
dei perfetti. Sono molti quelli che lasciano tutto, ma che tuttavia non seguono Cristo, perché, per
così dire, trattengono se stessi. Se vuoi seguire e conseguire, è necessario che tu lasci te stesso.
Chi segue un altro nella via, non guarda a se stesso, ma all'altro che ha costituito guida del suo
cammino. Lasciare se stesso significa non confidare in sé in nessun caso, ritenersi inutile anche
quando si è fatto tutto ciò che è stato comandato (cf. Lc 17,10), disprezzare se stesso come un cane
morto o una pulce (cf. 1Re 24,15), nel proprio cuore non anteporsi a nessuno, reputarsi peggiore
di tutti i più grandi peccatori, considerare tutte le proprie opere buone come un panno di donna
immonda (cf. Is 64,6), mettere se stesso davanti a sé e piangersi come morto, umiliarsi
profondamente in ogni occasione e abbandonarsi totalmente a Dio. Sentiamo che cosa è
promesso a coloro che così si comportano.
«Nella nuova creazione» (lat. in regeneratione) - la prima rigenerazione avviene nell'anima per
mezzo del battesimo; la seconda avverrà nel corpo il giorno del giudizio, quando i morti
risorgeranno incorrotti (cf. 1Cor 15,52) -, «quando il Figlio dell'uomo», cioè Gesù che nella
condizione di servo fu sottoposto a giudizio qui in terra, «sarà seduto», eserciterà il suo potere di
giudice «sul trono della sua gloria», che è la chiesa, dove sarà manifestata la sua onnipotenza,
«sederete anche voi su dodici troni» (Mt 19,28). Se soltanto i dodici apostoli, seduti sui dodici
troni, saranno giudici con Cristo nel giorno del giudizio, dove sederà Paolo, «vaso di elezione»
(At 9,15), che oggi da lupo è stato trasformato in agnello, che ha faticato più di tutti (cf. 1Cor
15,10), che fu rapito fino al terzo cielo, dove fu messo a parte di segreti che all'uomo non è lecito
rivelare? (cf. 2Cor 12,2. 4). Dove sederà, io mi chiedo, un sì grande uomo, se nel tribunale ci sono
per i giudici soltanto dodici troni, dal momento ch'egli afferma: «Non sapete che noi
giudicheremo gli angeli?» (1Cor 6,3), si intende gli angeli cattivi.
Per questo, è necessario sapere che il numero dodici è usato per indicare la pienezza del po-
tere, e che nelle dodici tribù d'Israele sono indicati tutti coloro che dovranno essere sottoposti a
giudizio. Ecco dunque che i poveri, insieme con Gesù povero, figlio della Vergine poverella,
giudicheranno con giustizia tutto il mondo (cf. Sal 9,9; 95,13). Dice anche Giobbe: «Dio non salva
gli empi, e lascerà il giudizio ai poveri» (Gb 36,6). Dice «ai poveri» e non ai ricchi, «la cui gloria
costituirà la loro confusione» (Fil 3,19). Infatti saranno confusi, quando vedranno seduti in
giudizio con Cristo, e con Cristo giudicare, coloro che un tempo, in questo mondo, avevano deriso
e schernito (cf. Sap 5,3).

II. RICOMPENSA DI COLORO CHE LASCIANO I BENI TERRENI


5. Ricompensa di coloro che lasciano i beni terreni: «Chiunque avrà lasciato casa, o fratelli, o
sorelle, o padre, o madre, [o moglie (Lc 18,29)], o figli, o campi, ecc. « (Mt 19,29), avrà cioè posto
il mio amore al di sopra di tutti gli affetti terreni.
6. Senso morale. La casa simboleggia l'abitudine cattiva, i fratelli i sensi del corpo, le sorelle i
pensieri oziosi della mente, il padre il diavolo, la madre la sensualità, la moglie la vanità del
mondo, i figli le opere, il campo le preoccupazioni terrene.
Seguendo il procedimento della generazione umana, determiniamo anche quella del peccatore,
che da figlio di Dio diventa figlio del diavolo. Dalla suggestione del diavolo e dalla concupiscenza
della sensualità, come da due semi, viene generato il peccatore. Infatti è detto in Ezechie-le: «Tuo
padre è Amorreo, tua madre Cetea» (Ez 16,3).
Amorreo s'interpreta «che rende amaro» (amaricans). Di quale amarezza sia il diavolo, lo
sanno coloro che sono stati contaminati dalla sua dolcezza, che è come il verme (cf. Is 66,24).
Nessuno può sentire bene l'amarezza di una cosa, se prima non ha bevuto qualcosa di dolce. Dice
Abacuc: «Guai a colui che dà da bere al suo amico, versandogli il fiele e ubriacandolo, per vedere
la sua nudità. Sarà ricolmo di ignominia, non di gloria» (Ab 2,15-16). Il diavolo, per ingannare
più facilmente e perché il peccatore beva più tranquillo, offre dapprima il miele del piacere, per
poi inoculargli l'amarezza della morte mentre il miele viene avidamente sorbito; e così il
peccatore, amico del diavolo, viene subito spogliato della grazia di Dio, e nella vita futura, in
cambio della gloria del mondo, sarà coperto dell'ignominia dell'inferno.
Cetea s'interpreta «schiacciata». E questa è la concupiscenza della carne, che dev'essere
schiacciata sotto il giogo dell'umiltà; infatti dice l'Ecclesiastico: «Il giogo e la fune piegano il collo
duro, e la fatica continua doma lo schiavo. Per lo schiavo cattivo tortura e catene; fallo faticare
perché non stia in ozio, poiché l'ozio insegna molte cattiverie» (Eccli 33,27-29). Lo schiavo
raffigura la sensualità, la cui protervia si piega con il giogo dell'umiltà, la cui lascivia si frena con
il tormento dell'astinenza e la catena dell'obbedienza.
Ecco il padre e la madre del peccatore, i cui fratelli sono gli illeciti appetiti dei sensi. Questi
sono i fratelli di Giuseppe, che lo calarono in una vecchia cisterna (cf. Gn 37,20). Giuseppe
raffigura lo spirito dell'uomo; la vecchia cisterna è il peccato mortale o anche l'inferno. Questi
fratelli, come dice Giovanni, vogliono che lo spirito partecipi a questa festa (cf. Gv 7,8), cioè alla
gloria delle cose temporali. Di essi dice Giobbe: «I miei fratelli mi sono passati avanti, come il
torrente che scorre rapido verso le valli» (Gb 6,15). Verso le valli scendono le immondizie. I sensi
della carne corrono vorticosamente verso le valli della gola e della lussuria, senza curarsi della
rovina dello spirito.
Ci sono poi le «sorelle», così chiamate da seme, perché esse sole con i fratelli fanno parte della
stretta parentela. Le sorelle del peccatore sono i pensieri lascivi della mente, che nascono dal seme
della suggestione diabolica. Di essi dice Ezechiele: «Ci furono due donne, figlie della stessa madre,
che si prostituirono in Egitto. I nomi loro: quello della maggiore Oolla e quello della minore
Ooliba» (Ez 23,2-4). Due sono, in modo particolare, i pensieri dei quali per lo più si rende
colpevole la mente del peccatore: la bramosia del denaro e il piacere della lussuria, che sono come
due sorelle prostitute.
E infine la «moglie» del peccatore è la vanità del mondo. E questa è Gezabel, moglie di acab,
della quale leggiamo nel terzo libro dei Re: «Istigato da Gezabel, sua moglie, Acab commise molti
abomini, adorando gli idoli» (3Re 21,25-26). Gezabel s'interpreta «flusso di sangue», o «sangue
che fluisce» o anche «letamaio». E questa è la vanità del mondo, dalla quale scorre il sangue di
tutti i peccati, e che nel momento della morte sarà cambiata in letamaio. Si legge infatti nel primo
libro dei Maccabei: «La gloria del peccatore è sterco e vermi. Oggi è esaltato, domani non si trova
più, perché si è cambiato in terra, e il suo disegno fallirà» (1Mac 2,62-63). Questa moglie non
permette che il suo uomo se ne stia in pace, ma lo istìga ad adorare gli idoli, cioè a commettere
ogni sorta di peccato, e perciò si rende ripugnante a Dio.
7. Dopo che il diavolo ha dato moglie al suo figlio, vuole che da essa generi dei figli, nipoti del
diavolo stesso: in essi sono raffigurate le opere vane, inutili, le opere delle tenebre, degne della
morte eterna. Dice in proposito Neemia: «Vidi che i giudei prendevano in moglie donne moabite,
e i loro figli parlavano la lingua di Azoto e non sapevano parlare giudaico» cioè ebraico (2Esd
13,23-24). Moab s'interpreta «dal padre», Azoto «incendio» o «fuoco». Così anche oggi molti
cristiani e religiosi prendono mogli, cioè seguono le vanità del mondo, generate dal diavolo, e da
esse generano figli, vale a dire opere che non sanno parlare giudaico, non sanno cioè lodare Dio,
ma parlano solo la lingua di Azoto, coltivano cioè l'incendio della gola e della lussuria e il fuoco
dell'avarizia.
Ecco «la generazione iniqua e perversa» (Dt 32,5), alla quale il diavolo fornisce la casa delle
cattive abitudini. Questa è la casa e la fornace di ferro dell'Egitto di cui dice l'Esodo: «Ricordatevi
di questo giorno nel quale siete usciti dall'Egitto e dalla casa della schiavitù» (Es 13,3). Il giorno
è il sole che splende sulla terra; il sole è la grazia di Dio la quale, mentre illumina la mente, libera
dalla schiavitù delle cattive abitudini. Il peccatore già liberato deve ricordarsi di «questo giorno»
e renderne sempre grazie a Dio.
Il diavolo dà anche i campi delle preoccupazioni terrene. Campo si dice in lat. ager, perché in
esso si lavora, lat. àgitur. Dice la Genesi: «Caino disse ad Abele, suo fratello: Andiamo fuori.
Quando furono nel campo, Caino si avventò su Abele e lo uccise» (Gn 4,8). Caino s'interpreta
«possesso», Abele «pianto». Nel campo delle preoccupazioni terrene, il possesso delle ricchezze
uccide il pianto della penitenza. Questo è l'Akeldamà, vale a dire il campo del sangue (At 1,19).
Matteo però dice campi (Mt 19,29), e non campo, proprio per il grande numero delle
preoccupazioni materiali.
Coloro, dunque, che avranno lasciato tutte queste cose, in questo mondo riceveranno il
centuplo, cioè i beni spirituali i quali, paragonati ai beni materiali, e soprattutto per il loro valore
intrinseco, sono come il numero cento paragonato a un numeretto. Dice Marco: «Riceverà cento
volte tanto nella vita presente, con persecuzioni», cioè in questa vita piena di persecuzioni, «e
nell'aldilà la vita eterna» (Mc 10,30).
Al possesso di questa vita ci conduca colui che è benedetto nei secoli. Amen.

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