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“circoscrizione” (borough) di Manhattan, a New York. Approssimativamente delimita i quartieri di Chinatown e Little
Italy su un lato, mentre dall'altro il Lower East Side.
The Bowery fu uno dei primi insediamenti della città; sorse ai margini del porto ed era il quartiere dei marinai e degli
immigrati appena arrivati negli Stati Uniti; man mano che questi facevano fortuna, si trasferivano sempre più a nord,
lasciando spazio a nuovi arrivi. Nella seconda metà dell'Ottocento, con "the Bowery" veniva indicata una vasta zona
compresa tra Broadway e i docks dell'East Side; era considerata il regno delle gang, della povertà, della prostituzione,
del gioco d'azzardo, delle fumerie di oppio, della corruzione della polizia e dei politici. Ciò nonostante, vi sorsero e
prosperarono teatri che diedero vita, in concorrenza con Broadway che era sinonimo di classicismo e di raffinatezza, ad
un genere di rappresentazioni popolari che contribuì ad avvicinare vasti strati della popolazione al teatro, a lanciare
negli Stati Uniti la moda del varietà e del musical, a creare uno stile originale, che più tardi avrebbe trionfato anche a
Broadway, scalzandone gli spettacoli europei. Alla fine dell'Ottocento, con l'avvento di una prima ondata moralizzatrice
nell'amministrazione della città, the Bowery fu parzialmente ripulita, iniziò il recupero edilizio e cominciò ad
insediarvisi anche la piccola borghesia.[1]
La via divenne il simbolo della depressione economica e la zona s'impoverì negli anni venti e trenta. Negli anni
quaranta il quartiere guadagnò la reputazione d'essere mal frequentato, specialmente da ubriachi e senzatetto.
Era logico e inevitabile che William Congdon, essendo nella felice condizione economica di poter scegliere di vivere
dove preferiva, finisse con il gravitare su New York. Altrettanto inevitabile che arrivasse rapidamente a esservi
riconosciuto come uno dei giovani più dotati lì attivi. Pittore in rapida ascesa in quanto a quotazioni e influenza, nella
sua prima maturità di quarantenne
Nel 1948 era entrato nella leggendaria galleria di Betty Parsons guadagnandosi una solida posizione nel panorama
culturale della città. Tuttavia la sua posizione tra i suoi colleghi aveva qualcosa di anomalo. Rothko, Pollock, de
Kooning, Kline, a parte le incertezze che tormentano ogni giovane talento, avevano creduto fin dall’inizio nel proprio
destino di artisti. Immersi come erano nella comunità dell’avanguardia newyorkese, avevano affinato ingegno e
sensibilità in una fase molto iniziale della loro evoluzione. Il retroterra di Congdon era radicalmente diverso. Egli aveva
avuto un’educazione ovattata e provinciale. Anche se aveva frequentato, per un breve periodo, la scuola d’arte alla
Università di Yale, il contesto artistico che lo circondava era connotato da un dilettantismo amatoriale e ancorato a un
insegnamento tradizionale, del tutto inadeguato all’impeto di ribellione imposto da un’epoca che, appena emersa da
alcuni dei più sanguinosi eventi della storia dell’umanità, si trovava ad affrontare le minacce di un futuro atomico. Il suo
risveglio all’arte, intesa come una autentica vocazione piuttosto che come coscienza di un talento, coincise con uno
shock talmente devastante.
L'action painting (letteralmente "pittura d'azione"), a volte chiamata astrazione gestuale oppure
espressionismo astratto, è uno stile di pittura nella quale il colore viene fatto gocciolare spontaneamente, lanciato o
macchiato sulle tele, invece che applicato con attenzione. L'opera che ne risulta enfatizza l'atto fisico della pittura stessa.
Lo stile si diffuse negli anni quaranta e nei sessanta, ed è strettamente associato con l'espressionismo astratto
Il pittore Jackson Pollock dipingeva facendo colare dall'alto vernici e colori su supporti di grandi dimensioni (dripping
gocciolante), creando texture di colori diversi. Egli abolì il quadro col cavalletto, poiché disse che stendendo la tela a
terra gli veniva più agevole girarvi intorno e si sentiva più parte integrante del quadro. Altri pittori statunitensi
preferirono chiamare la loro arte Abstract Expressionism (espressionismo astratto). Tra questi artisti vi sono Willem de
Kooning, prevalentemente un figurativo, Franz Kline e Mark Rothko per cui si parla di colore a tutto campo (field
color)
L'Action Art si appropriò di questo tentativo e lo sviluppò, usando le idee di Freud sul subconscio come fondamento
principale. I dipinti degli Action Artists non volevano ritrarre nessun oggetto qualunque e allo stesso modo non
venivano creati per stimolare l'emozione. Al contrario venivano creati per toccare gli osservatori nel profondo del loro
subconscio. Questo venne realizzato dall'artista dipingendo “inconsciamente”.
Questa attività spontanea era l'azione del pittore, denominata dripping. Il pittore avrebbe lasciato sgocciolare il colore
sulle tele, spesso semplicemente danzandoci intorno, o anche stando in piedi sulle tele, e lasciando semplicemente
cadere il colore dove il subconscio mentale vuole, quindi lasciando che la parte inconscia della psiche si esprima.
Per esempio, nei dipinti di Jackson Pollock si possono spesso trovare mozziconi di sigarette. Quando creava i suoi
dipinti, permetteva a sé stesso di cadere in uno stato di trance nel quale nessun atto conscio doveva manifestarsi; così se
aveva l'impulso istintivo di gettare la sigaretta a terra, lo faceva, sia che davanti ai suoi piedi ci fosse un marciapiede, sia
una tela. Cosa provavano a ritrarre gli Action Painter era questo: un'azione spontanea completamente eseguita senza
pensarci. Quindi si pensa all'atto di cui si può riconoscere le manifestazioni come atto inconscio.
Il Reynolds News, in un titolo del 1959, riferendosi a un'opera di Pollock, così scriveva: "Questa non è arte, è uno
scherzo di cattivo gusto."
La “action painting” non mostra né esprime una realtà oggettiva o soggettiva, ma libera una tensione che in grande
quantità si è accumulata nell'artista. È azione non ideata e non progettata nei modi di esecuzione e negli effetti finali.
Esprime il malessere dell'artista in una società del benessere dove tutto è progettato; è reazione violenta dell'artista -
intellettuale contro l'artista-tecnico.
Massimo Cacciari
La materia All’origine è il fondamento. Il primo significato simbolico non sta nel colore o nel segno, ma nella dura,
opaca, intransitabile materia che li sostiene. E che in quanto fondamento, appunto, e non mero supporto tecnico, anche,
in qualche modo, li “produce”
Non è in potere dell'artista “cambiare la metafisica essenziale d’una superficie” (Florenskij): la scelta del legno come,
negli anni quaranta, anche di alluminio, piombo, vetro) ha per Congdon portata metafisica e soltanto sulla scorta di
Florenskij possiamo appieno comprenderlo. “Immobile, dura, non compiacente è la superficie d’un muro o d’una
tavola” (Florenskij): essa fronteggia la mano, si sottrae al suo arbitrio, ne rivela un limite invalicabile. Essa testimonia
di un Altro, che nessuna libertà creativa può “superare”. L’immagine che si disegna su tale superficie già di per sé non
può più valere come “proiezione” espressione dell’io. Il pittore che giunge “ai ferri corti" con essa, sa di non potersi più
“autodeterminare”, sa di dover ascoltare-obbedire una legge che lo trascende Egli apparterrà all'immagine che ne nasce,
e mai quell'immagine a lui. Dalla legge di questo limite, di questo confine nasce l’opera di Congdon. Mentre la tela
“elastica o compiacente, elasticamente compiacente, ondulante” (Florenskij) si piega ai "diritti” della mano, ne
“accoglie” le intenzioni, ne segue i ritmi senza produrre ostacoli, la tavola è tutta scandalo. La tela rimanda al “cogito”
come all’unico fondamento, e in esso si dimentica. La tavola evoca il mistero della provenienza di ogni gesto e di ogni
pensiero. Sulla tela segni e colori possono liberamente “discorrere” La tavola arresta, trattiene: ogni movimento si
interrompe contro la sua superficie. La tela invita a un movimento che “galleggia” sulla superficie. La tavola ne evoca
un altro, una direzione che vorrebbe penetrarla, attraversarla.
Da qui, vale ripeterlo, deve avere inizio ogni effettiva comprensione dell'opera di Congdon: dal valore simbolico dei
suoi “materiali”; tutta la sua concezione ne è anche stilisticamente conforme. La dura legge delle sue superfici nere
qui, ben prima della sua conversione, Congdon incontra il problema della pittura di icone. E la massima vicinanza è
immediatamente lontananza estrema.
Red City
L’intrico di linee nere, dorate e rosse che ci immette nel denso groviglio delle strade di New York in Red City ha il
medesimo pulsare dei ritmi newyorkesi, ma i loro percorsi interminabili, senza meta, i loro ondeggiamenti e
contorcimenti privi di direzione, ossessivi, ci lasciano alla fine con l’impressione di un labirinto da incubo dove lampi
di autentica bellezza hanno unicamente alimentato vane speranze
Black City
«Una fitta rete di segni tracciati in nero - afferma Fred Licht - definisce il ritmo della geometria labirintica di New
York. Orrore e ammirazione si mescolano in una trama che narra l'oscura vitalità della metropoli. Congdon guarda al
mondo e a se stesso in chiave morale. Concepisce il bene e il male in termini pratici e concreti, ma poiché la lotta tra
bene e male deve svolgersi in un’arena, questa per l’artista si identifica nella metropoli”. Da questa morte della Città
Nera sorse una luna arancio. Sorse inconsciamente dalla profondità dei miei bisogni spirituali e stava per diventare,
benché in forme diverse, il simbolo della mia salvezza. Era la mia stella di Betlemme.
Giovanni Testori parla di Bill come del «cittadino del mondo e del dolore, verità intima e struggente che emerge da tutte
le sue città». Quel dolore si addensa nell’enorme macchia nera che delinea la New York di Black City Congdon
“attende una redenzione nell’arte”, ma a N.Y. non la trova, arena della lotta tra bene e male, epifania del destino umano.
E profezia di un artista: nel 1948 New York Explosion e Destroyed City in qualche modo anticipano l’evento del nuovo
millennio, la distruzione delle Torri Gemelle. La città ferita è luogo privilegiato della narrazione pittorica di Congdon e
metafora del momento tragico che stiamo vivendo. La sua visione dall’alto di New York narra l’esplosione della madre
di tutte le metropoli, quel destino di morte che grava su una civiltà che sembra voler rinnegare le sue radici cristiane.
Conclusione
Congdon, fuggito da New York partì per un vagabondaggio che sarebbe durato per più di un decennio. Le sue
peregrinazioni erano dettate da un duplice bisogno: l’artista era alla ricerca di impressioni più forti, esotiche. L’uomo
cercava l’anonimato di cui godono i viaggiatori footloose (a passo libero) per dar libero sfogo all’inclinazione per le
avventure erotiche che divennero con il tempo sempre più ossessive. L’artista e l’uomo imboccarono strade che erano
pericolosamente divergenti, determinando un conflitto spirituale che sarebbe diventato sempre più difficile da sostenere.
Come pittore mantenne la disciplina e l’integrità del vero artista. Come uomo, visse avventure via via più dissipate e
frequenti che egli stesso comprese essere forme di autopunizione.
La Grande Mela -per Olivier Clement «la città senza memoria, nata non da una cattedrale, ma dall’ambizione della
macchina» - viene allora abbandonata per tornare in Italia.