Sei sulla pagina 1di 35

Dante Alighieri

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero
Dante Alighieri
degli Alighieri e anche noto con il solo nome Dante, della famiglia
Alighieri (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna,
notte tra il 13 e il 14 settembre[1] 1321), è stato un poeta, scrittore e
politico italiano.

Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un


ipocoristico di Durante[2]; nei documenti era seguito dal patronimico
Alagherii o dal gentilizio de Alagheriis, mentre la variante Alighieri si
affermò solo con l'avvento di Boccaccio.

È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta


eminentemente alla paternità della Comedìa, divenuta celebre come
Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera
scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della
letteratura mondiale[3]. Espressione della cultura medievale, filtrata
attraverso la lirica del Dolce stil novo, la Commedia è anche veicolo
allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi Sandro Botticelli, Dante Alighieri,
dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a tempera su tela, 1495, Ginevra,
Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica. collezione privata

Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò Priore di Firenze


all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la
Durata mandato 15 giugno 1300 –
letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale,
15 agosto 1300
tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o, per
antonomasia, il "Poeta"[4]. Dante, le cui spoglie si trovano presso la
Membro del Consiglio dei Cento
tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato
uno dei simboli dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale Durata mandato maggio 1296 –
ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante settembre 1296
Alighieri[5], mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi
dalla Società dantesca. Dati generali
Professione scrittore, politico
A partire dal XX secolo e nei primi anni del XXI, Dante è entrato a far
parte della cultura di massa, mentre la sua opera e la sua figura
hanno ispirato il mondo dei fumetti, dei manga, dei videogiochi e della letteratura.

Indice
Biografia
Le origini
La data di nascita e il mito di Boccaccio
La famiglia paterna e materna
La formazione intellettuale
I primi studi e Brunetto Latini
Lo studio della filosofia
I presunti legami con Bologna e Parigi
La lirica volgare. Dante e l'incontro con Cavalcanti
Il matrimonio con Gemma Donati
Impegni politici e militari
Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)
L'inizio dell'esilio (1301-1304)
Carlo di Valois e la caduta dei bianchi
I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)
La prima fase dell'esilio (1304-1310)
Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina
La discesa di Arrigo VII (1310-1313)
Il Ghibellin fuggiasco
Gli ultimi anni
Il soggiorno veronese (1313-1318)
Il soggiorno ravennate (1318-1321)
La morte e i funerali
Le spoglie mortali
Le "tombe" di Dante
Le travagliate vicende dei resti
Il vero volto di Dante
Il pensiero
Il ruolo del volgare e l'ottica "civile" della letteratura
La poetica
Il «plurilinguismo» dantesco
Lo Stilnovismo dantesco: tra biografismo e spiritualizzazione
Beatrice e la «donna angelo»
Dalle rime «amorose» a quelle «petrose»
Le fonti e i modelli letterari
Dante e il mondo classico
L'iconografia medievale
Dante tra cristianesimo e Islam
Il ruolo della filosofia nella produzione dantesca
Aristotele nella produzione poetica
Aristotele nella produzione socio-politica
L'esoterismo dantesco
L'eresia dantesca

Opere
Il Fiore e Detto d'Amore
Le Rime
Vita Nova
Convivio
De vulgari eloquentia
De Monarchia
Commedia
Le Epistole e l'Epistola XIII a Cangrande della Scala
Egloghe
La Quaestio de aqua et terra
La fortuna in Italia e nel mondo
In Italia
Nel mondo
Dante nella cultura di massa
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Biografia

Le origini

La data di nascita e il mito di Boccaccio


La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se
solitamente viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla
base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella Vita Nova e nella
cantica dell'Inferno, che comincia con il celeberrimo verso Nel mezzo del
cammin di nostra vita. Poiché la metà della vita dell'uomo è, per Dante, il
trentacinquesimo anno di vita[6][7] e poiché il viaggio immaginario avviene
nel 1300, si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei
critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo
storico fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua Nova Cronica, riporta Casa di Dante a Firenze
che «questo Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56
anni»[8]: una prova che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del Paradiso
ci dicono inoltre che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21
giugno[9].

Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello


del battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo[10]. Quel giorno vennero
portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia
collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in
Dante, in ricordo di un parente ghibellino[11]. Pregna di rimandi classici è
la leggenda narrata da Giovanni Boccaccio ne Il Trattatello in laude di
Dante riguardo alla nascita del poeta: secondo Boccaccio, la madre di
Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione e sognò di trovarsi
sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente
zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di vedere il bimbo
tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi
Luca Signorelli, Dante, affresco, in un magnifico pavone[12][13].
1499-1502, particolare tratto dalle
Storie degli ultimi giorni, cappella di
San Brizio, Duomo di Orvieto La famiglia paterna e materna
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza
all'interno dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva
raggiunto una certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse dagli antichi
Romani,[14] il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei[15], fiorentino vissuto
intorno al 1100 e cavaliere nella seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III[16].
Come sottolinea Arnaldo D'Addario sull'Enciclopedia dantesca, la famiglia degli Alighieri (che prese tale nominativo
dalla famiglia della moglie di Cacciaguida)[16] passò da uno status nobiliare meritocratico[17] a uno borghese agiato,
ma meno prestigioso sul piano sociale[18]. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era infatti un popolano e un
popolano sposò la sorella di Dante[13]. Il figlio di Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero o Alighiero di Bellincione,
svolgeva la professione di compsor (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa
famiglia[19][20]. Grazie alla scoperta di due pergamene conservate nell’Archivio Diocesano di Lucca, però, si viene a
sapere che il padre di Dante avrebbe fatto anche l'usuraio (dando adito alla tenzone tra l'Alighieri e l'amico Forese
Donati[21]) traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di procuratore giudiziale presso il tribunale di
Firenze[22]. Era inoltre un guelfo, ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini non lo esiliarono dopo la
battaglia di Montaperti, come fecero con altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso[13].

La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro[23][24] e appartenente a un'importante
famiglia ghibellina locale[13]. Il figlio Dante non la citerà mai tra i suoi scritti, col risultato che di lei possediamo
pochissime notizie biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero presto si risposò, forse tra
il 1275 e il 1278[25], con Lapa di Chiarissimo Cialuffi. Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri
(Gaetana) e forse anche – ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati – un'altra figlia ricordata dal
Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi[25]. Si ritiene che a
lei alluda Dante in Vita nuova (Vita nova) XXIII, 11-12, chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima
sanguinitade congiunta»[25].

La formazione intellettuale

I primi studi e Brunetto Latini


Della formazione di Dante non si conosce molto. Con ogni probabilità seguì
l'iter educativo proprio dell'epoca, che si basava sulla formazione presso un
grammatico (conosciuto anche con il nome di doctor puerorum,
probabilmente) con il quale apprendere prima i rudimenti linguistici, per
poi approdare allo studio delle arti liberali, pilastro dell'educazione
medioevale[26][27]: teologia, filosofia, fisica, astronomia da un lato
(quadrivio); dialettica, grammatica e retorica dall'altro (trivio). Come si
può dedurre da convivio II, 12, 2-4, l'importanza del latino quale veicolo
del sapere era fondamentale per la formazione dello studente, in quanto la
Codice miniato raffigurante Brunetto
ratio studiorum si basava essenzialmente sulla lettura di Cicerone e di
Latini, Biblioteca Medicea-
Virgilio da un lato e del latino medievale dall'altro (Arrigo da Settimello, in
Laurenziana, Plut. 42.19, Brunetto
particolare)[28]. Latino, Il Tesoro, fol. 72, secoli XIII-
XIV.
L'educazione ufficiale era poi accompagnata dai contatti "informali" con gli
stimoli culturali provenienti ora da altolocati ambienti cittadini, ora dal
contatto diretto con viaggiatori e mercanti stranieri che importavano, in Toscana, le novità filosofiche e letterarie dei
rispettivi Paesi d'origine[28]. Dante ebbe la fortuna di incontrare, negli anni ottanta, il politico ed erudito fiorentino Ser
Brunetto Latini, reduce da un lungo soggiorno in Francia sia come ambasciatore della Repubblica, sia come esiliato
politico[29]. L'effettiva influenza di Ser Brunetto sul giovane Dante è stata oggetto di studio da parte di Francesco
Mazzoni[30] prima, e di Giorgio Inglese poi[31]. Entrambi i filologi, nei loro studi, cercarono di inquadrare l'eredità
dell'autore del Tresor sulla formazione intellettuale del giovane concittadino. Dante, da parte sua, ricordò commosso
la figura del Latini nella Commedia, rimarcandone l'umanità e l'affetto ricevuto:

«[...] e or m'accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna [...]»

(Inferno, Canto XV, vv. 82-85)


Da questi versi, Dante espresse chiaramente l'apprezzamento di una letteratura intesa nel suo senso "civico"[26][32],
nell'accezione di utilità civica. La comunità in cui vive il poeta, infatti, ne serberà il ricordo anche dopo la morte di
quest'ultimo. Umberto Bosco e Giovanni Reggio, inoltre, rimarcano l'analogia tra il messaggio dantesco e quello
manifestato da Brunetto nel Tresor, come si evince dalla volgarizzazione toscana dell'opera operata da Bono
Giamboni[33].

Lo studio della filosofia

«E da questo imaginare cominciai ad andare là dov’ella [la Donna Gentile] si dimostrava veracemente, cioè
ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti. Sì che in picciol tempo, forse di trenta mesi,
cominciai tanto a sentire de la sua dolcezza, che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero.»

(Convivio, 12 7)
Dante, all'indomani della morte dell'amata Beatrice (in un periodo oscillante tra il 1291 e il 1294/1295)[34], cominciò a
raffinare la propria cultura filosofica frequentando le scuole organizzate dai domenicani di Santa Maria Novella e dai
francescani di Santa Croce; se gli ultimi erano ereditari del pensiero di Bonaventura da Bagnoregio, i primi erano
ereditari della lezione aristotelico-tomista di Tommaso d'Aquino, permettendo a Dante di approfondire (forse grazie
all'ascolto diretto del celebre studioso Fra' Remigio de' Girolami)[35] il Filosofo per eccellenza della cultura
medievale[36]. Inoltre, la lettura dei commenti di intellettuali che si opponevano all'interpretazione tomista (quali
l'arabo Averroè), permise a Dante di adottare una sensibilità «polifonica dell'aristotelismo»[37].

I presunti legami con Bologna e Parigi


Alcuni critici ritengono che Dante abbia soggiornato a Bologna[38]. Anche
Giulio Ferroni ritiene certa la presenza di Dante nella città felsinea: «Un
memoriale bolognese del notaio Enrichetto delle Querce attesta (in una
forma linguistica locale) il sonetto Non mi poriano già mai fare ammenda:
la circostanza viene considerata indizio pressoché certo di una presenza di
Dante a Bologna anteriore a questa data»[39]. Entrambi ritengono che
Dante abbia studiato presso l'Università di Bologna, ma non vi sono prove
in proposito[40].

Invece è molto probabile che Dante soggiornasse a Bologna tra l'estate del
1286 e quella del 1287 dove conobbe Bartolomeo da Bologna[41], alla cui
interpretazione teologica dell'Empireo Dante in parte aderisce. Riguardo al
Giorgio Vasari, Sei poeti toscani (da
soggiorno parigino, ci sono invece parecchi dubbi: in un passo del destra: Cavalcanti, Dante,
Paradiso, (Che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidïosi veri)[42], Boccaccio, Petrarca, Cino da Pistoia
Dante alluderebbe alla Rue du Fouarre, dove si svolgevano le lezioni della e Guittone d'Arezzo), pittura a olio,
Sorbona. Questo ha fatto pensare a qualche commentatore, in modo 1544, conservata presso il
Minneapolis Institute of Art,
puramente congetturale, che Dante possa essersi realmente recato a Parigi
Minneapolis. Considerato uno dei
tra il 1309 e il 1310[43][44].
maggiori lirici volgari del XIII secolo,
Cavalcanti fu la guida e il primo
interlocutore poetico di Dante,
La lirica volgare. Dante e l'incontro con Cavalcanti
quest'ultimo poco più giovane di lui.
Dante ebbe inoltre modo di partecipare alla vivace cultura letteraria
ruotante intorno alla lirica volgare. Negli anni sessanta del XIII secolo, in
Toscana giunsero i primi influssi della "Scuola siciliana", movimento poetico sorto intorno alla corte di Federico II di
Svevia e che rielaborò le tematiche amorose della lirica provenzale. I letterati toscani, subendo gli influssi delle liriche
di Giacomo da Lentini e di Guido delle Colonne, svilupparono una lirica orientata sia verso l'amor cortese, ma anche
verso la politica e l'impegno civile. Guittone d'Arezzo e Bonaggiunta Orbicciani, vale a dire i principali esponenti della
cosiddetta scuola siculo-toscana, ebbero un seguace nella figura del fiorentino Chiaro Davanzati[45], il quale importò il
nuovo codice poetico all'interno delle mura della sua città. Fu proprio a Firenze, però, che alcuni giovani poeti
(capeggiati dal nobile Guido Cavalcanti) espressero il loro dissenso nei confronti della complessità stilistica e
linguistica dei siculo-toscani, propugnando al contrario una lirica più dolce e soave: il dolce stil novo.

Dante si trovò nel pieno di questo dibattito letterario: nelle sue prime opere è evidente il legame (seppur tenue)[46] sia
con la poesia toscana di Guittone e di Bonagiunta[47], sia con quella più schiettamente occitana[48]. Presto, però, il
giovane si legò ai dettami della poetica stilnovista, cambiamento favorito dall'amicizia che lo legava al più anziano
Cavalcanti[49].

Il matrimonio con Gemma Donati


Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto
Donati, che successivamente sposò all'età di vent'anni nel 1285[26][50]. Contrarre matrimoni in età così precoce era
abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti
davanti a un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze
tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta,
vale a dire i guelfi neri.

Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi
nell'Ottocento da Vittorio Imbriani[51]. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono
pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò tre figli:
Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni[50][52]. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che
continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne
monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna[50].

Impegni politici e militari


Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad
alcune campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi
nemici esterni, tra cui Arezzo (battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289)
e Pisa (presa di Caprona, 16 agosto 1289)[26]. Successivamente, nel 1294,
avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello
d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze[54].
L'attività politica prese Dante a partire dai primi anni 1290, in un periodo
quanto mai convulso per la Repubblica. Nel 1293 entrarono in vigore gli
Ordinamenti di Giustizia di Giano Della Bella, che escludevano l'antica
nobiltà dalla politica e permettevano al ceto borghese di ottenere ruoli
nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte. Dante, in quanto nobile, fu
escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295, quando furono Giovanni Villani, Corso Donati fa
promulgati i Temperamenti, leggi che ridiedero diritto ai nobili di rivestire liberare dei prigionieri, in Cronaca,
ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti[26]. Dante, pertanto, XIV secolo. Corso Donati,
si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali[55]. esponente di punta dei Neri, fu
acerrimo nemico di Dante, il quale
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali lancerà contro di lui violenti attacchi
delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è nei suoi scritti[53].

potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo
dal novembre 1295 all'aprile 1296[56]; fu nel gruppo dei "Savi", che nel
dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, i massimi rappresentanti di ciascuna Arte che avrebbero
occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece
parte del Consiglio dei Cento[56]. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San
Gimignano[57]. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo
capeggiato dai Donati, fautori di una politica conservatrice e aristocratica (guelfi neri), e quello invece fautore di una
politica moderatamente popolare (guelfi bianchi), capeggiato dalla famiglia Cerchi[58]. La scissione, dovuta anche a
motivi di carattere politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati surclassati in potenza dai
Cerchi, considerati dai primi dei parvenu)[58], generò una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi,
moderatamente, dalla parte dei guelfi bianchi[56].

Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)


Nell'anno 1300, Dante fu eletto uno dei sette priori per il bimestre 15
giugno-15 agosto[56][59]. Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli
cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa
Bonifacio VIII, dal poeta intravisto come supremo emblema della
decadenza morale della Chiesa. Con l'arrivo del cardinale Matteo
d'Acquasparta, inviato dal pontefice in qualità di paciere (ma in realtà
spedito per ridimensionare la potenza dei guelfi bianchi, in quel periodo in
piena ascesa sui neri)[60], Dante riuscì ad ostacolare il suo operato. Sempre
durante il suo priorato, Dante approvò il grave provvedimento con cui
furono esiliati, nel tentativo di riportare la pace all'interno dello Stato, otto
esponenti dei guelfi neri e sette di quelli bianchi, compreso Guido
Cavalcanti[61] che di lì a poco morirà in Sarzana. Questo provvedimento
ebbe serie ripercussioni sugli sviluppi degli eventi futuri: non solo si rivelò
una disposizione inutile (i guelfi neri temporeggiarono prima di partire per
l'Umbria, il posto destinato al loro confino)[62], ma fece rischiare un colpo
Arnolfo di Cambio, statua di
Bonifacio VIII, 1298 ca, conservato di Stato da parte dei guelfi neri stessi, grazie al segreto supporto del
presso il Museo dell'Opera del cardinale d'Acquasparta[62]. Inoltre, il provvedimento attirò sui suoi fautori
Duomo, Firenze. (incluso Dante stesso) sia l'odio della parte nera che la diffidenza degli
"amici" bianchi: i primi, ovviamente, per la ferita inferta; i secondi, per il
colpo dato al loro partito da parte di un suo stesso membro. Nel frattempo,
le relazioni tra Bonifacio e il governo dei bianchi peggiorarono ulteriormente a partire dal mese di settembre, allorché i
nuovi priori (succeduti al collegio di cui fece parte Dante) revocarono immediatamente il bando per i bianchi[62],
mostrando la loro partigianeria e dando così al legato papale cardinale d'Acquasparta modo di scagliare l'anatema su
Firenze[62]. Con l'invio di Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come nuovo paciere (ma di fatto conquistatore)
al posto del cardinale d'Acquasparta, la Repubblica spedì a Roma, nel tentativo di distogliere il papa dalle sue mire
egemoniche, un'ambasceria di cui faceva parte essenziale anche Dante, accompagnato da Maso Minerbetti e da
Corazza da Signa[60].

L'inizio dell'esilio (1301-1304)

Carlo di Valois e la caduta dei bianchi


Dante si trovava quindi a Roma[64], sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois, al primo
subbuglio cittadino, prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i
conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio[65]. Questi, appartenente alla fazione dei guelfi neri
della sua città natia, diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili
al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive,
quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302[56], che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei
Cerchi, il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo e alla distruzione
delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.

«Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo,


malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo
si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai
pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende,
al rogo, così che muoia”»

(Libro del chiodo - Archivio di Stato di Firenze - 10 marzo 1302[66])

I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)


Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano
dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del
partito ghibellino e signore di Forlì (presso il quale Dante si era
rifugiato)[67], un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però
Tommaso da Modena, Benedetto
sfortunata: il podestà di Firenze, Fulcieri da Calboli (un altro forlivese,
XI, affresco, anni '50 del XIV secolo,
nemico degli Ordelaffi), riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Sala del Capitolo, Seminario di
Pulciano. Fallita anche l'azione diplomatica, nell'estate del 1304, del Treviso. Il beato papa Boccasini,
cardinale Niccolò da Prato[68], legato pontificio di papa Benedetto XI (sul trevigiano, nel suo breve pontificato
quale Dante aveva riposto molte speranze)[69], il 20 luglio dello stesso anno cercò di riportare la pace all'interno
di Firenze, inviando il cardinale
i bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze,
Niccolò da Prato come paciere. È
decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i neri[70]. Dante,
l'unico pontefice su cui Dante non
ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si proferì alcuna condanna, ma
schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto neanche verso il quale manifestò
che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; pieno apprezzamento, tanto da non
pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze comparire nella Commedia[63].
dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un
vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini
e bianchi[70]. Il messaggio profetico ci arriva da Cacciaguida:

«Di sua bestialitate il suo processo


farà la prova; sì ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.»

(Paradiso XVII, vv. 67-69)

La prima fase dell'esilio (1304-1310)

Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina


Dante fu, dopo la battaglia della Lastra, ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli stessi Ordelaffi. Il
soggiorno forlivese non durò a lungo, in quanto l'esule si spostò prima a Bologna (1305), poi a Padova nel 1306 e infine
nella Marca Trevigiana[43] presso Gherardo III da Camino[71]. Da qui, Dante fu chiamato in Lunigiana da Moroello
Malaspina (quello di Giovagallo, visto che più membri della famiglia portavano questo nome)[72], col quale il poeta
entrò forse in contatto grazie all'amico comune, il poeta Cino da Pistoia[73]. In Lunigiana (regione in cui giunse nella
primavera del 1306), Dante ebbe l'occasione di negoziare la missione diplomatica per un'ipotesi di pace tra i
Malaspina e il vescovo-conte di Luni, Antonio Nuvolone da Camilla (1297 – 1307)[74]. In qualità di procuratore
plenipotenziario dei Malaspina, Dante riuscì a far firmare da ambo le parti la pace di Castelnuovo del 6 ottobre del
1306[44][74], successo che gli fece guadagnare la stima e la gratitudine dei
suoi protettori. L'ospitalità malaspiniana è celebrata nel Canto VIII del
Purgatorio, dove al termine del componimento Dante formula alla figura
di Corrado Malaspina il Giovane l'elogio del casato[75]:

«[...] e io vi giuro.../... che vostra gente onrata.../ sola và dritta e 'l


mal cammin dispregia.»

(Pg VIII, vv. 127-132)


Il castello-palazzo vescovile di
Nel 1307[76], dopo aver lasciato la Lunigiana, Dante si trasferì nel
Castelnuovo dove Dante nel 1306
Casentino, dove fu ospite dei conti Guidi, conte di Battifolle e signori di pacificò i rapporti tra i Marchesi
Poppi, presso i quali iniziò a stendere la cantica dell'Inferno[44]. Malaspina e i Vescovi-Conti di Luni.

La discesa di Arrigo VII (1310-1313)

Il Ghibellin fuggiasco
Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310 si
può infatti ipotizzare che il poeta risiedesse prima a Lucca e poi a Parigi,
anche se non è possibile valutare con certezza il soggiorno transalpino
come già precedentemente esposto. Dante, molto più probabilmente, si
trovava a Forlì nel 1310[77], dove ebbe la notizia, nel mese di ottobre[44],
della discesa in Italia del nuovo imperatore Arrigo VII. Dante guardò a
Monumento a Dante Alighieri a quella spedizione con grande speranza, in quanto vi intravedeva non
Villafranca in Lunigiana presso la soltanto la fine dell'anarchia politica italiana[78], ma anche la concreta
tomba sacello dei Malaspina
possibilità di rientrare finalmente a Firenze[44]. Infatti l'imperatore fu
salutato dai ghibellini italiani e dai fuoriusciti politici guelfi, connubio che
spinse il poeta ad avvicinarsi alla fazione imperiale italiana capeggiata dagli Scaligeri di Verona[79]. Dante, che tra il
1308 e il 1311 stava scrivendo il De Monarchia, manifestò le sue aperte simpatie imperiali, scagliando una violenta
lettera contro i fiorentini il 31 marzo del 1311[44] e giungendo, sulla base di quanto affermato nell'epistola indirizzata
ad Arrigo VII, a incontrare l'imperatore stesso in un colloquio privato[80]. Non sorprende, pertanto, che Ugo Foscolo
giungerà a definire Dante come un ghibellino:

«E tu prima, Firenze, udivi il carme


Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,»

(Ugo Foscolo, Dei sepolcri, vv. 173-174)


Il sogno dantesco di una Renovatio Imperii si infrangerà il 24 agosto del 1313, quando l'imperatore venne a mancare,
improvvisamente, a Buonconvento[81]. Se già la morte violenta di Corso Donati, avvenuta il 6 ottobre del 1308 per
mano di Rossellino della Tosa (l'esponente più intransigente dei guelfi neri)[76], aveva fatto crollare le speranze di
Dante, la morte dell'imperatore diede un colpo mortale ai tentativi del poeta di rientrare definitivamente a Firenze[76].

Gli ultimi anni

Il soggiorno veronese (1313-1318)


All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito di Cangrande della Scala a risiedere presso
la sua corte di Verona[44]. Dante ebbe già modo, in passato, di risiedere nella città veneta, in quegli anni nel pieno della
sua potenza. Petrocchi, come delineato prima nel suo saggio Itinerari danteschi e poi nella Vita di Dante[82] ricorda
come Dante fosse già stato ospite, per pochi mesi tra il 1303 e il 1304,
presso Bartolomeo della Scala, fratello maggiore di Cangrande. Quando poi
Bartolomeo morì, nel marzo del 1304, Dante fu costretto a lasciare Verona
in quanto il suo successore, Alboino, non era in buoni rapporti col
poeta[83]. Alla morte di Alboino, nel 1312, divenne suo successore il fratello
Cangrande[84], tra i capi dei ghibellini italiani e protettore (oltreché amico)
di Dante[84]. Fu in virtù di questo legame che Cangrande chiamò a sé
l'esule fiorentino e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari
nemici che si erano fatti negli anni. L'amicizia e la stima tra i due uomini fu
tale che Dante esaltò, nella cantica del Paradiso – composta per la maggior
parte durante il soggiorno veronese –, il suo generoso patrono in un
panegirico per bocca dell'avo Cacciaguida:

«Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello


sarà la cortesia del gran Lombardo
che 'n su la scala porta il santo uccello; Cangrande della Scala, in un ritratto
ch'in te avrà sì benigno riguardo, immaginario del XVII secolo.
che del fare e del chieder, tra voi due, Abilissimo politico e grande
fia primo quel che tra l'altri è più tardo condottiero, Cangrande fu
mecenate della cultura e dei letterati
[...] in particolare, stringendo amicizia
con Dante
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che' suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;»

(Paradiso XVII, vv. 70-75, 85-90)

Il soggiorno ravennate (1318-1321)


Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per
approdare, nel 1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da
Polenta. I critici hanno cercato di comprendere le cause
dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti
che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una
missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore[85] altri
pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure
nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso
(cioè Guido Novello), che si professava tale[86]. Tuttavia, i rapporti con
Andrea Pierini, Dante legge la
Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante
Divina Commedia alla corte di
nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la Quaestio de aqua et
Guido Novello, 1850, dipinto a olio,
Palazzo Pitti-Galleria D'Arte terra, l'ultima sua opera latina[87].
Moderna, Firenze
Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città
romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato
dai figli Pietro e Jacopo[88][89] e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini[90].
Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche[91], come quella che lo condusse a Venezia.
All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle
galee ravennati[92] e il doge, infuriato, si alleò con Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di
non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al Senato
veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta
come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli
Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo[93].

La morte e i funerali
L'ambasceria di Dante sortì un buon effetto per la sicurezza di Ravenna, ma fu fatale al poeta che, di ritorno dalla città
lagunare, contrasse la malaria mentre passava dalle paludose Valli di Comacchio[76]. Le febbri portarono velocemente
il poeta cinquantaseienne alla morte, che avvenne a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321[76][94]. I
funerali, in pompa magna, furono officiati nella chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco) a Ravenna, alla
presenza delle massime autorità cittadine e dei figli[95]. La morte improvvisa di Dante suscitò ampio rammarico nel
mondo letterario, come dimostrato da Cino da Pistoia nella sua canzone Su per la costa, Amor, de l'alto monte[96].

Le spoglie mortali

Le "tombe" di Dante
Dante trovò inizialmente sepoltura in un'urna di marmo posta nella chiesa
ove si tennero i funerali[97]. Quando la città di Ravenna passò poi sotto il
controllo della Serenissima, il podestà Bernardo Bembo (padre del ben più
celebre Pietro) ordinò all'architetto Pietro Lombardi, nel 1483, di realizzare
un grande monumento che ornasse la tomba del poeta[97]. Ritornata la
città, al principio del XVI secolo, agli Stati della Chiesa, i legati pontifici
trascurarono le sorti della tomba di Dante, la quale cadde presto in rovina.
Nel corso dei due secoli successivi furono compiuti solo due tentativi per
porre rimedio alle disastrose condizioni in cui il sepolcro versava: il primo
fu nel 1692, quando il cardinale legato per le Romagne Domenico Maria
Corsi e il prolegato Giovanni Salviati, entrambi di nobili famiglie
fiorentine, provvidero a restaurarla[98]. Nonostante fossero passati pochi
decenni, il monumento funebre fu rovinato a causa del sollevamento del
terreno sottostante la chiesa, cosa che spinse il cardinale legato Luigi La tomba di Dante a Ravenna,
Valenti Gonzaga a incaricare l'architetto Camillo Morigia, nel 1780, di realizzata da Camillo Morigia
progettare il tempietto neoclassico tuttora visibile[97].

Le travagliate vicende dei resti


I resti mortali di Dante furono oggetto di diatribe tra i ravennati e i fiorentini già dopo qualche decennio la sua morte,
quando l'autore della Commedia fu "riscoperto" dai suoi concittadini grazie alla propaganda operata da Boccaccio[99].
Se i fiorentini rivendicavano le spoglie in quanto concittadini dello scomparso (già nel 1429 il Comune richiese ai Da
Polenta la restituzione dei resti[100]), i ravennati volevano che rimanessero nel luogo dove il poeta morì[101], ritenendo
che i fiorentini non si meritassero i resti di un uomo che avevano dispregiato in vita. Per sottrarre i resti del poeta a un
possibile trafugamento da parte di Firenze (rischio divenuto concreto sotto i papi medicei Leone X e Clemente
VII)[101], i frati francescani[102] tolsero le ossa dal sepolcro realizzato da Pietro Lombardi, nascondendole in un luogo
segreto[101] e rendendo poi, di fatto, il monumento del Morigia un cenotafio. Quando nel 1810 Napoleone ordinò la
soppressione degli ordini religiosi, i frati, che di generazione in generazione si erano tramandati il luogo ove si
trovavano i resti, decisero di nasconderle in una porta murata dell'attiguo oratorio del quadrarco di Braccioforte[101].
Le spoglie rimasero in quel luogo fino al 1865, allorché un muratore, intento a restaurare il convento in occasione del
VI centenario della nascita del poeta, scoprì casualmente sotto una porta murata una piccola cassetta di legno, recante
delle iscrizioni in latino a firma di un certo frate Antonio Santi (1677)[101], le quali riportavano che nella scatola erano
contenute le ossa di Dante. Effettivamente, all'interno della cassetta fu ritrovato uno scheletro pressoché integro[103];
si provvide allora a riaprire l'urna nel tempietto del Morigia, che fu trovata vuota, fatte salve tre falangi[104], che
risultarono combaciare con i resti rinvenuti sotto la porta murata, certificandone l'effettiva autenticità[104]. La salma
fu ricomposta, esposta per qualche mese in un'urna di cristallo e quindi ritumulata all'interno del tempietto del
Morigia, in una cassa di noce protetta da un cofano di piombo. Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo altare si trova
l'epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio per volere di Guido Novello, ma incisi soltanto nel 1357[105]:

(LA) (IT)
«I M , S F , «I diritti della monarchia, i cieli e le acque di
L , Flegetonte [gli inferi] visitando cantai finché vollero i
. S miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò
A ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata
, H D , raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto
, Q F racchiuso, [io] Dante, esule dalla patria terra, cui
.» generò Firenze, madre di poco amore.»

(Epigrafe)

Il vero volto di Dante


Come si può ben vedere dai vari dipinti a lui dedicati, il volto del poeta era
assai spigoloso, con la faccia torva e col celeberrimo naso aquilino, come
figura nel dipinto di Botticelli posto nella sezione introduttiva. Fu Giovanni
Boccaccio, nel suo Trattatello in laude di Dante, a fornire questa
descrizione fisica:

«Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura [...] Il suo


volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che
piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra
avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri
e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.» Il più antico ritratto documentato di
Dante Alighieri conosciuto, Palazzo
(Trattatello in laude di Dante, XX) dell'Arte dei Giudici e Notai, Firenze.
Gli studi compiuti dagli antropologi, però, smentirono gran parte della Databile intorno al 1336-1337,
letteratura artistica dantesca nel corso dei secoli. Nel 1921, in occasione del l'affresco è di scuola giottesca[106]
ed è il ritratto iconografico del poeta
seicentenario della morte di Dante, l'antropologo dell'Università di
più vicino a quello ricostruito nel
Bologna Fabio Frassetto fu autorizzato dalle autorità di studiare il cranio
2007
del poeta, risultato mancante della mandibola[107]. Nonostante i mezzi
dell'epoca e un risultato di indagine non pienamente soddisfacente,
Frassetto può già dedurre che il volto "psicologico" tramandatoci nel corso dei secoli non corrisponde a quello "fisico".
Difatti nel 2007, grazie a una squadra guidata da Giorgio Gruppioni, antropologo sempre dell'Università di Bologna, si
riuscì a realizzare un volto i cui tratti somatici corrisponderebbero al 95% a quello reale[107]. Partendo dal cranio
ricostruito da Frassetto, il volto reale di Dante è risultato (grazie al contributo del biologo dell'Università di Pisa
Francesco Mallegni e dello scultore Gabriele Mallegni)[108] sicuramente non bello, ma privo di quel naso aquilino così
accentuato dagli artisti di età rinascimentale e molto più vicino a quello, risalente pochi anni dopo la morte del poeta,
di scuola giottesca.

Il pensiero
Il ruolo del volgare e l'ottica "civile" della letteratura
Il ruolo della lingua volgare, definita da Dante nel De Vulgari come Hec est
nostra vera prima locutio[109] («il nostro primo vero linguaggio», nella
traduzione italiana)[110], fu fondamentale per lo sviluppo del suo
programma letterario. Con Dante, infatti, il volgare assunse lo stato di
lingua colta e letteraria, grazie alla ferrea volontà, da parte del poeta
fiorentino, di trovare un veicolo linguistico comune tra gli italiani,
perlomeno tra i governanti[111]. Egli, nei primi passi del De Vulgari,
esporrà chiaramente la sua predilezione per la lingua colloquiale e materna
rispetto a quella latina, finta e artificiale:

(LA) (IT)
«Harum quoque duarum «La più nobile di queste due
nobilior est vulgaris: tum quia lingue è il volgare, sia perché
prima fuit humano generi fu la prima a essere usata dal
usitata; tum quia totus orbis genere umano, sia perché
ipsa perfruitur, licet in diversas tutto il mondo ne fruisce (pur
prolationes et vocabula sit nelle diversità di pronuncia e
Andrea del Castagno, Dante divisa; tum quia naturalis est di vocabolario che la
Alighieri, ne Ciclo degli uomini e
nobis, cum illa potius dividono), sia perché ci è
donne illustri, affresco, tra il 1448 e
artificialis existat.» naturale, mentre l’altra è
il 1451, Galleria degli Uffizi, Firenze
piuttosto artificiale.»

(De Vulgari Eloquentia I,


1,4)

Proposito della produzione letteraria volgare dantesca è infatti quella di essere fruibile da parte del pubblico dei
lettori, cercando di abbattere il muro tra i ceti colti (abituati a interagire fra di loro in latino) e quelli più popolari,
affinché anche questi ultimi potessero apprendere contenuti filosofici e morali fino ad allora relegati nell'ambiente
accademico. Si ha quindi una visione della letteratura intesa come strumento al servizio della società, come verrà
esposto programmaticamente nel Convivio:

«E io adunque... a' piedi di coloro che seggiono [nella mensa dei dotti] ricolgo di quello che da loro cade, e
conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza ch'io sento in quello che a poco a
poco ricolgo, misericordievolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la
quale a li occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti maggiormente vogliosi.»

(Convivio, I, 10)
Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue opere possono avere influito
notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il
dialetto grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i trattati di Albertano da
Brescia.[112]

La poetica

Il «plurilinguismo» dantesco
Con questa felice espressione, il critico letterario Gianfranco Contini ha individuato la straordinaria versatilità di
Dante, all'interno delle Rime, nel saper usare più registri linguistici con disinvoltura e grazia armonica[113]. Come già
esposto prima, Dante manifesta un'aperta curiosità per la struttura "genetica" della lingua materna degli italiani,
concentrandosi sulle espressioni dell'eloquio quotidiano, sui motti e battute più o meno raffinate. Questa tendenza a
inquadrare la ricchezza testuale della lingua materna spinge il letterato fiorentino a realizzare un affresco variopinto
finora mai creato nella lirica volgare italiana, come esposto lucidamente da Giulio Ferroni:

«Rispetto alla produzione poetica del volgare italiano della seconda metà del secolo XIII, la Commedia
amplia notevolmente gli orizzonti sintattici e lessicali: la varietà stilistica... crea una variazione di registri,
attingendo sia alla lingua bassa sia a quella nobile. Dante trae spunti dalla letteratura latina... o da quella in
volgare, ma nello stesso tempo ha uno spiccato interesse per il linguaggio parlato, colloquiale, anche nelle
forme più vivaci, aggressive e popolaresche.»

(Ferroni, p. 28)
Come rimarca Guglielmo Barucci: «Non siamo dunque di fronte [nelle
Rime] a una progressiva evoluzione dello stile di Dante, ma alla
compresenza – anche nello stesso periodo – di forme e stili diversi»[114].
La capacità con cui Dante passa, all'interno delle Rime, dalle tematiche
amorose a quelle politiche, da quelle morali a quelle burlesche, troverà il
supremo raffinamento all'interno della Commedia, riuscendo a calibrare la
tripartizione stilistica denominata Rota Vergilii, secondo la quale a un
determinato argomento deve corrispondere un determinato registro
stilistico[115]. Nella Commedia, in cui le tre cantiche corrispondono ai tre
stili "umile", "mezzano" e "sublime", la rigida tripartizione teorica scema
davanti alle esigenze narrative dello scrittore, per cui all'interno
dell'Inferno (che dovrebbe corrispondere allo stile più basso), troviamo
passi e luoghi di altissima levatura stilistica e drammatica, quali l'incontro
con Francesca da Rimini e Ulisse. Il plurilinguismo, secondo un'analisi più
strettamente lessicale, risente anch'esso dei numerosi idiomi di cui era
infarcita la lingua letteraria dell'epoca: vi si trovano infatti latinismi, Raffaello Sanzio, Disputa del
gallicismi e, ovviamente, volgare fiorentino[116]. Sacramento, dettaglio raffigurante
Dante, 1509-1510 ca, Stanza della
Segnatura, Palazzo Pontificio,
Lo Stilnovismo dantesco: tra biografismo e spiritualizzazione Vaticano. Raffaello inserisce Dante
Dante ebbe un ruolo fondamentale nel far approdare la lirica volgare a tra teologi e dottori della Chiesa, in
quanto il poeta fiorentino era
nuove conquiste, non soltanto dal punto di vista tecnico-linguistico, ma
ritenuto filosofo e teologo di chiara
anche da quello prettamente contenutistico. La spiritualizzazione della fama per le opere da lui lasciate in
figura dell'amata Beatrice e l'impianto vagamente storico in cui la vicenda materia religiosa
amorosa è inserita, determinarono la nascita di tratti del tutto particolari
all'interno dello stilnovismo[117]. La presenza della figura idealizzata della
donna amata (la cosiddetta donna angelo) è un topos ricorrente in Lapo Gianni, Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia,
ma in Dante assume una dimensione più storicizzata di quella degli altri rimatori[118] La produzione dantesca, per la
sua profondità filosofica può essere confrontata soltanto con quella del maestro Cavalcanti, rispetto alla quale la
divergenza consiste nella differente concezione dell'amore. Se Beatrice è l'angelo che opera la conversione spirituale di
Dante sulla Terra e che gli dona la beatitudine celeste[119], la donna amata da Cavalcanti è invece foriera di sofferenza,
dolore che allontanerà progressivamente l'uomo da quella catarsi divina teorizzata dall'Alighieri[120]. Altro traguardo
raggiunto da Dante è l'aver saputo far emergere l'introspezione psicologica e l'autobiografismo: praticamente ignoti al
Medioevo, queste due dimensioni guardano già al Petrarca e, più lontano ancora, alla letteratura umanistica. Dante
così è il primo, tra i letterati italiani, a "scomporsi" tra il sé inteso come personaggio e l'altro io inteso come narratore
delle proprie vicende. Così Contini, riprendendo il filo tracciato dallo studioso statunitense Charles Singleton, parla
dell'operazione poetica e narrativa dantesca:

«Va citato a titolo d'onor l'italianista americano Charles Singleton, che in un suo saggio penetrante... ha
notato come nell' io di Dante... convergano l'uomo in generale, soggetto del vivere e dell'agire, e l'individuo
storico, titolare di un'esperienza determinata hic et nunc, in un certo spazio e in un certo tempo; Io
trascendentale (con la maiuscola), diremmo oggi, e io (con la minuscola) esistenziale.»

(Gianfranco Contini, Un'idea di Dante, pp. 34-35)

Beatrice e la «donna angelo»

«L'amore per la bella fanciulla involta di drappo sanguigno,


ch'egli chiama Beatrice, ha tutt'i caratteri di un primo amore
giovanile, nella sua purezza e verginità, più nell'immaginazione
che nel cuore. Beatrice è più simile a sogno, a fantasma, a
ideale celeste che a realtà distinta e che procura effetti proprii.
Uno sguardo, un saluto è tutta la storia di questo amore.
Beatrice morì angiolo, prima che fosse donna, e l'amore non
ebbe tempo di divenire una passione, come si direbbe oggi,
Henry Holiday, Dante incontra
rimase un sogno ed un sospiro.»
Beatrice al ponte Santa Trinita,
dipinto a olio, 1883, Walker Art
(Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana [1870],
Gallery, Liverpool
Morano, Napoli 1890, p. 59.)

Così De Sanctis, padre della storiografia letteraria italiana, scrisse sulla


donna amata dal poeta, Beatrice. Benché si cerchi tutt'oggi di comprendere in che cosa consistesse realmente, per
Dante, l'amore nei confronti di Beatrice Portinari (presunta identificazione storica della Beatrice della Vita Nova), si
può solo concludere con certezza l'importanza che tale amore ebbe per la cultura letteraria italiana. È nel nome di
questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce stil novo, aprendo la sua "seconda fase poetica" (in cui
manifesta la sua piena originalità rispetto ai modelli passati)[121] e conducendo i poeti e gli scrittori a scoprire i temi
dell'amore in un modo mai così enfatizzato prima. L'amore per Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca
mostrerà per la sua Laura) sarà il punto di partenza per la formulazione del suo manifesto poetico, nuova concezione
dell'amor cortese sublimato dalla sua intensa sensibilità religiosa (il culto mariano con le laudi arrivato a Dante
attraverso le correnti pauperistiche del Duecento, dai Francescani in poi) e, pertanto, privata degli elementi sensuali e
carnali tipici della lirica provenzale. Tale formulazione poetica, culminata con la poesia della lode[122], approderà,
dopo la morte della Beatrice "terrena", alla ricerca filosofica prima (la Donna pietosa) e a quella teologica poi
(l'apparizione in sogno di Beatrice che spinge Dante a ritornare a lei dopo il traviamento filosofico, critica che si farà
più dura in Purgatorio, XXX)[123]. Tale allegorizzazione dell'amata, intesa come veicolo di salvezza, segna
definitivamente il distacco dalla tematica amorosa e spinge Dante verso la vera sapienza, cioè luce abbacinante e
impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso. Beatrice si conferma, pertanto, in quel ruolo salvifico tipico degli angeli,
che reca non solo all'amato, ma a tutti gli uomini quella beatitudine di cui si accennava prima[124].

Mantenendo una funzione allegorica, Dante frappone un valore numerologico alla figura di Beatrice. È infatti all'età di
nove anni che la incontra per la prima volta, poi nell'ora nona avviene un successivo incontro. Di lei dirà pure: «non
soffre di stare in un altro numero se non nel nove». Dante fa morire Beatrice il 9 giugno (pur essendo in realtà l'8)
scrivendo su di essa: «lo perfetto numero era compiuto».[125]

Dalle rime «amorose» a quelle «petrose»


Dopo la fine dell'esperienza amorosa, Dante si concentrò sempre più su una poesia caratterizzata dalla riflessione
filosofico-politica, che assumerà tratti duri e sofferenti nelle rime della seconda metà degli anni novanta, chiamate
anche rime «petrose», in quanto incentrate sulla figura di una certa «donna petra», completamente antitetica alle
"donne che avete intelletto d'Amore"[126]. Infatti, come riportano Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser, la poesia
dantesca perse quella dolcezza e leggiadria propria della lirica della Vita nova, per assumere connotati aspri e difficili:

«... l'esperienza delle rime petrose, che si riallacciano all'esperienza del trobar clus [poetare difficile] di
Arnaut Daniel, costituisce un fondamentale esercizio di stile aspro (di contro a quello dolce dello
stilnovismo).»

(Guglielmino-Grosser, p. 151)

Le fonti e i modelli letterari

Dante e il mondo classico


Dante ebbe un profondo amore nei confronti dell'antichità classica e della
sua cultura: ne sono prova la devozione per Virgilio, l'altissimo rispetto per
Cesare e per le numerose fonti greche e latine da lui usate per la
costruzione del mondo immaginario della Commedia (e di cui la citazione
de «li spiriti magni» in If IV sono un riferimento esplicito degli autori su
cui si poggiava la cultura dantesca)[127]. Nella Commedia, il poeta glorifica
l'élite morale e intellettuale del mondo antico nel Limbo, luogo piacevole e
ameno alle porte dell'Inferno dove i giusti morti senza battesimo vivono,
senza però non provare dolore per la mancata beatitudine[128]. Al contrario
di quanto faranno Petrarca e Boccaccio, Dante si dimostrò un uomo ancora
legato appieno alla visione medievale che l'uomo aveva della civiltà greca e
latina, poiché inquadrava quest'ultima all'interno della storia della salvezza
propugnata dal cristianesimo, certezza basata sulla dottrina medievale
dell'esegesi detta dei quattro sensi (letterale, simbolico, allegorico e Rafael Flores, Dante y Virgilio
visitando el Infierno, pittura a olio,
anagogico) con cui si cercava di individuare il messaggio cristiano negli
1855, Museo nacional de arte, Città
autori antichi[129]. Virgilio è visto da Dante non nella sua dimensione
del Messico
storica e culturale di intellettuale latino dell'età augustea, quanto in quella
profetico-soteriologica[130]: fu lui, infatti, a predire la nascita di Gesù
Cristo nella IV Egloga delle Bucoliche e così fu glorificato dai cristiani medievali[131]. Oltre a questa dimensione mitica
della figura di Virgilio, Dante guardò a lui come supremo modello letterario e morale, come evidenziato nel proemio
del Poema:

«O de li altri poeti onore e lume,


vagliami 'l lungo studio e l' grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.»

(Inferno, If I, 82-87)

L'iconografia medievale
Dante fu influenzato moltissimo dal mondo che lo circondava, traendo
spunto sia dalla dimensione artistica in senso stretto (busti, bassorilievi e
affreschi presenti nelle chiese), sia da quanto poteva vedere nella sua vita
quotidiana. Barbara Reynolds riporta di come

«Dante [fosse] aduso a casi di tortura, morte di stenti, omicidio,


tradimento, adulterio, sodomia e bestialità. Immagini del male si
trovavano illustrate ovunque. La cupola del [battistero di San
Giovanni Battista], ad esempio, era decorata a mosaici...ove si
trovavano raffigurati l'inferno, il purgatorio, il paradiso, il giudizio Gustave Doré, Lucifero, 1861-1868.
universale e, di particolare rilevanza nella Commedia, una L'incisione dell'artista francese
grottesca immagine di Satana [...] I diavoli e i tormenti riprende la descrizione fatta dal
poeta in If XXXIV, la quale a sua
dell'Inferno non sono invenzioni della personale fantasia
volta era tratta da un affresco
dantesca. Tali terrificanti moniti...erano recitati in rima dai
presente nel Battistero di San
cantastorie ambulanti, costituivano temi di prediche e di Giovanni
allestimenti scenici.»

(Reynolds, pp. 27-28)


Gli episodi di Malacoda, Barbariccia e della masnada comparsi in If XXI, XXII e XXIII, dunque, non sono ascrivibili
soltanto all'immaginario personale del poeta, ma sono ricavati, nella loro potente e degradante caricatura iconografica,
da quanto il poeta poteva scorgere nelle chiese e/o nelle vie di Firenze attraverso spettacoli allegorici. Oltre alle fonti
iconografiche, c'erano però anche dei testi che presentavano il demonio con tratti disumani e bestiali: in primo luogo,
la visione di Tundale dell'XI secolo, in cui è descritto il demonio che divora le anime dei dannati, ma anche le
cronache di Giacomino da Verona e di Bonvesin de la Riva[132]. Gli stessi paesaggi della Commedia ricalcano la
descrizione delle città medievali: la presenza di fortificazioni (il castello del Limbo, le mura della città di Dite), i ponti
presenti sulle Malebolge, gli accenni, nel canto XV, alle imponenti dighe di Bruges e di Padova[133] e le stesse pene
infernali sono una trasposizione visiva della "cultura" medievale in senso lato.

Dante tra cristianesimo e Islam


Influenza fondamentale fu anche quella esercitata dalla produzione letteraria appartenente al cristianesimo e, in un
certo grado, anche alla religione islamica. La Bibbia è sicuramente il libro cui Dante attinge maggiormente: echi ne
troviamo, oltre ai tantissimi della Commedia, anche nella Vita nova (per esempio, l'episodio della morte di Beatrice
ricalca quello di Cristo sul Calvario)[134] e nel De vulgari eloquentia (l'episodio della torre di Babele quale origine delle
lingue, presente nel I libro). Oltre alla produzione strettamente sacra, Dante attinse anche alla produzione religiosa
medievale, prendendo spunto, per esempio, dalla Visio sancti Pauli del V secolo, opera narrante l'ascesa dell'apostolo
delle genti al terzo cielo del Paradiso[135]. Oltre alle fonti letterarie cristiane, Dante sarebbe giunto in possesso, sulla
base di quanto ha scritto la filologa Maria Corti, del Libro della Scala, opera escatologica araba tradotta in castigliano,
francese antico e latino per conto del re Alfonso X[135][136].

Un esempio concreto lo troviamo nel concetto islamico di spirito della vita (rūh al hayāh) che è considerato come
"aria" che esce dalla cavità del cuore. Dante a tal proposito scrive: «...spirito della vita, lo quale dimora nella
secretissima camera de lo cuore.»[137]

Lo storico spagnolo Asín Palacios ha espresso tutte le posizioni di Dante in merito alle sue conoscenze islamiche nel
testo L’escatologia islamica nella Divina Commedia.[138]

Il ruolo della filosofia nella produzione dantesca


Come si è detto già nella parte biografica Dante, dopo la morte di Beatrice,
si immerse nello studio della filosofia. Dal Convivio sappiamo che Dante
aveva letto il De consolatione philosophiae di Boezio e il De amicitia di
Cicerone e che poi cominciò a prender parte alle dispute filosofiche che i
due principali ordini religiosi (Francescani e Domenicani) pubblicamente o
indirettamente tennero in Firenze, gli uni spiegando la dottrina dei mistici
e di San Bonaventura, gli altri presentando le teorie di San Tommaso
d'Aquino. Il critico Bruno Nardi[139] evidenzia i tratti salienti del pensiero
filosofico dantesco che, pur avendo una base nel tomismo, presenta anche
altri aspetti tra cui un evidente influsso del neoplatonismo (ad esempio
dallo Pseudo-Dionigi l'Areopagita nelle gerarchie angeliche del
Paradiso)[140]. Nonostante gli influssi di scuola platonica, Dante subì
maggiormente l'influsso di Aristotele, che nella seconda metà del XIII
secolo conobbe l'apogeo nell'Europa medievale.

Aristotele, copia romana del 117-


Aristotele nella produzione poetica 138 d.C circa
La produzione poetica dantesca risentì di due opere aristoteliche in
particolare: la Fisica e l'Etica Nicomachea. La descrizione del mondo
naturale da parte del filosofo di Stagira fu la fonte principale cui Dante e Cavalcanti attinsero per l'elaborazione della
cosiddetta «dottrina degli spiriti». Attraverso i commenti redatti da Averroè[141], e da Alberto Magno[142] Dante
affermò che il funzionamento del corpo umano fosse dovuto alla presenza di vari spiriti in determinati organi, dai
quali nascevano poi sentimenti corrispondenti allo stimolo proveniente dall'esterno. Alla presenza di Beatrice, tali
spiriti entravano in subbuglio, suscitando in Dante violente reazioni emotive e assumendo, come nel caso sotto
riportato, anche una volontà propria, resa efficace attraverso la figura retorica della prosopopea:

«Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua
giovanissima etade si convenia.

In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo
cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse
queste parole: "Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi".

In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano
le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse
queste parole: "Apparuit iam beatitudo vestra".

In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro,
cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: "Heu miser, quia frequenter impeditus ero
deinceps!".»

(Vita Nova, II, 3-6)


Ancor più significativa fu l'influenza di Aristotele all'interno della Commedia, dove si fece sentire la presenza dell'Etica
Nicomachea, oltreché dalla Fisica. Da quest'ultima, Dante accolse la struttura cosmologica del Creato (impianto
profondamente debitore anche dell'astronomo egiziano Tolomeo)[143], adattandola poi alla fede cristiana[142];
dall'Etica, invece, prese spunto per l'ordinata e razionale organizzazione del suo mondo ultraterreno, suddividendolo
in varie sottounità (gironi nell'Inferno, cornici nel Purgatorio e cieli nel Paradiso) dove porre determinate categorie
di anime in base alle colpe/virtù commesse in vita[144].

Aristotele nella produzione socio-politica


Nell'ambito politico, Dante crede con Aristotele e san Tommaso d'Aquino
che lo Stato abbia un fondamento razionale e naturale, basato su legami
gerarchici in grado di dare stabilità e ordine interno. Nardi aggiunge poi
che "pur riconoscendo che lo schema generale della sua metafisica è quello
della scolastica cristiana, è certo che egli vi ha inserito taluni particolari
caratteristici, come la produzione mediata del mondo inferiore e quella
intorno all'origine dell'anima umana risultante del concorso dell'atto
creatore coll'opera della natura"[139]. Nel trattato De Monarchia "è
notevole la vigorosa affermazione dell'unità del genere umano, dedotta dal Sandro Botticelli, La mappa
principio averroistico che tutti gli uomini tendono ad un unico fine, cioè a dell'Inferno, tra il 1480 e il 1490,
che, per mezzo dello sforzo comune, la potenza dell'intelletto possibile sia Biblioteca Apostolica Vaticana. La
divisione dell'Inferno e degli altri due
in ogni momento tutta quanta spiegata".
regni dell'Oltretomba sono debitori
dell'etica aristotelica
L'esoterismo dantesco
Diversi autori hanno trattato gli aspetti esoterici delle opere di Dante forse determinati dall'ormai accertata adesione
alla setta dei Fedeli d'Amore. Lo schema e i contenuti stessi della Divina Commedia farebbero emergere chiari
riferimenti. Sotto questo aspetto sono di notevole importanza il lavoro di Guenon, L'esoterismo di Dante e il testo di
Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore[145][146].

L'eresia dantesca
A partire dal XIX secolo diversi autori hanno sostenuto la tesi che Dante potesse essere stato un cristiano eretico. Tra
questi Ugo Foscolo[147], Gabriele Rossetti[148] e Eugène Aroux[149]. Più recentemente Maria Soresina ha avanzato
l'ipotesi che fosse il catarismo l'eresia dantesca[150].

Opere

Il Fiore e Detto d'Amore


Due opere poetiche in volgare di argomento, lessico e stile affini e collocate in un periodo cronologico che va dal 1283
al 1287, sono state attribuite con una certa sicurezza a Dante dalla critica novecentesca, soprattutto a partire dal lavoro
del filologo dantesco Gianfranco Contini[2].

Le Rime
Le Rime sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce il complesso della produzione
lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle dell'età matura (le prime sono datate intorno al 1284)[89] divise tra Rime
giovanili e Rime dell'esilio per distinguere due gruppi di liriche assai distanti per il tono e gli argomenti affrontati. Le
Rime giovanili comprendono componimenti che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo, quella
guittoniana, quella guinizelliana e quella cavalcantiana, passando da tematiche amorose a giocose tenzoni dallo sfondo
velatamente erotico-giocoso con Forese Donati e con Dante da Maiano.

Vita Nova
La Vita Nova può essere considerata il "romanzo" autobiografico di Dante, in cui si celebra l'amore per Beatrice,
presentata con tutte le caratteristiche proprie dello stilnovismo dantesco. Racconto della vita spirituale e della
evoluzione poetica del Poeta, resa come exemplum, la Vita nova è un prosimetro (brano caratterizzato dall'alternanza
tra prosa e versi) e risulta strutturata in quarantadue (o trentuno)[151] capitoli in prosa collegati in una storia
omogenea, che spiega una serie di testi poetici composti in tempi differenti, tra cui hanno particolare rilevanza la
canzone-manifesto Donne ch'avete intelletto d'amore e il celebre sonetto
Tanto gentile e tanto onesta pare. Secondo buona parte degli studiosi, per
la forma del prosimetro, Dante si sarebbe ispirato alle razos provenzali
(ovvero le "ragioni") che servivano a spiegare le ragioni da cui scaturivano
le liriche; e alla De consolatione philosophiae di Severino Boezio[117].
L'opera è consacrata all'amore per Beatrice e fu composta probabilmente
tra il 1292 e il 1293[117]- La composizione delle rime si può far risalire,
secondo la cronologia che Dante fornisce, tra il 1283 come risulta dal
sonetto A ciascun alma presa e dopo il giugno del 1291, anniversario della
morte di Beatrice. Per stabilire con una certa sicurezza la data della
composizione del libro nel suo insieme organico, ultimamente la critica è
propensa ad avvalersi del 1300, data non superabile, che corrisponde alla
morte del destinatario Guido Cavalcanti: "Questo mio primo amico a cui io
ciò scrivo" (Vita nova, XXX, 3). Quest'opera ha avuto una particolare
fortuna negli Stati Uniti, dove fu tradotta dal filosofo e letterato Ralph Dante Gabriel Rossetti, Beata
Waldo Emerson[152]. Beatrix, dipinto a olio, 1872,
Chicago Art Institute

Convivio
Il Convivio (scritta tra il 1303 e il 1308)[153] dal latino convivium, ovvero
"banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito
dopo il forzato allontanamento di Firenze ed è il grande manifesto del fine
"civile" che la letteratura deve avere nel consorzio umano. L'opera consiste
in un commento a varie canzoni dottrinali poste all'incipit, una vera e
propria enciclopedia dei saperi più importanti per coloro che vogliano
dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi
regolari[117]. È pertanto scritta in volgare per essere appunto capita da chi
non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il latino. L'incipit del
Convivio fa capire chiaramente che l'autore è un grande conoscitore e
seguace di Aristotele; questi, infatti, viene citato con il termine "Lo
Filosofo"[154]. L'incipit in questo caso spiega a chi è rivolta quest'opera e a
chi non è rivolta: soltanto coloro che non hanno potuto conoscere la
scienza dovrebbero accedervi. Questi sono stati impediti da due tipi di
ragioni:
Monumento a Dante in Piazza
Santa Croce a Firenze (1865)
interne: malformazioni fisiche, vizi e malizia;
esterne: cura familiare, civile e difetto di luogo di nascita.
Dante ritiene beati i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove si mangia il "pane degli angeli", e
miseri coloro che si accontentano di mangiare il cibo delle pecore. Dante non siede alla mensa, ma è fuggito da coloro
che mangiano il pastume e ha raccolto quello che cade dalla mensa degli eletti per crearne un altro banchetto. L'autore
allestirà un banchetto e servirà una vivanda (i componimenti in versi) accompagnata dal pane (la prosa) necessario
per assimilarne l'essenza. Saranno invitati a sedersi solo coloro che erano stati impediti da cura familiare e civile,
mentre i pigri sarebbero stati ai loro piedi per raccogliere le briciole[155].

De vulgari eloquentia
Contemporaneo al Convivio, il De vulgari eloquentia è un trattato in latino scritto da Dante tra il 1303 e il 1304[156].
Composto da un primo libro intero e da 14 capitoli del secondo libro, era inizialmente destinato a comprendere
quattro libri. Pur affrontando il tema della lingua volgare, fu scritto in latino perché gli interlocutori a cui Dante si
rivolse appartenevano all'élite culturale del tempo, che forte della tradizione della letteratura classica riteneva il latino
senz'altro superiore a qualsiasi volgare, ma anche per conferire alla lingua
volgare una maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere
di legge, religione e trattati internazionali, cioè argomenti della massima
importanza. Dante si lanciò in un'appassionata difesa del volgare, dicendo
che meritava di diventare una lingua illustre in grado di competere se non
uguagliare la lingua di Virgilio, sostenendo però che per diventare una
lingua in grado di trattare argomenti importanti il volgare doveva
essere[157]:

illustre (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa


uso nello scritto);
cardinale (tale che intorno a esso ruotassero come una porta intorno
al cardine, i volgari regionali);
aulico (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlato nella
reggia);
curiale (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperato
negli atti politici di un sovrano).
Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua
letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere Una copia del 1577 del De vulgari
ammesso la grande dignità del siciliano illustre, la prima lingua letteraria eloquentia.
assunta a dignità nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani
trovando nell'uno alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate
dovrebbero costituire la lingua italiana. Dante vede nell'italiano la panthera redolens dei bestiari medievali, animale
che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in
particolare nel siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi[158]: manca in effetti ancora una lingua
italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli strati della popolazione della penisola italica. Per farla riapparire
era dunque necessario attingere alle opere dei letterati italiani finora apparsi, cercando così di delineare un canone
linguistico e letterario comune[159].

De Monarchia
L'opera venne composta in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo tra il 1310 e il
1313. Si compone di tre libri ed è la summa del pensiero politico dantesco[160]. Nel primo Dante afferma la necessità di
un impero universale e autonomo, e riconosce questo impero come unica forma di governo capace di garantire unità e
pace. Nel secondo riconosce la legittimità del diritto dell'impero da parte dei Romani. Nel terzo libro Dante dimostra
che l'autorità del monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità del pontefice; al
contempo, però, l'imperatore deve mostrare rispetto nei confronti del pontefice, Vicario di Dio in Terra. La posizione
dantesca è per più aspetti originale, poiché si oppone decisivamente alla tradizione politica narrata dalla donazione di
Costantino: il De Monarchia è in contrasto tanto con i sostenitori della concezione ierocratica[161], quanto con i
sostenitori dell'autonomia politica e religiosa dei sovrani nazionali rispetto all'imperatore e al papa.

Commedia
La Comedìa — titolo originale dell'opera: successivamente Giovanni Boccaccio attribuì l'aggettivo "Divina" al poema
dantesco[162] — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della
civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale[163]. Viene definita "comedia" in
quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da
situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare
all'opera intorno al 1300 (anno giubilare, tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella selva oscura) e
la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava[164]. Si hanno notizie di copie
manoscritte dell'Inferno intorno al 1313, mentre il Purgatorio fu pubblicato nei due anni successivi. Il Paradiso,
iniziato forse nel 1316, fu
pubblicato man mano che si
completavano i canti negli
ultimi anni di vita del poeta. Il
poema è diviso in tre libri o
cantiche, ciascuno formato da
33 canti (tranne l'Inferno che
ne presenta 34, poiché il primo
funge da proemio all'intero
Domenico di Michelino, Dante ed i
poema) e a cui corrispondono i
tre regni, 1465, Firenze, Santa
Maria del Fiore tre stili della Rota Vergilii[165];
ogni canto si compone di
terzine di endecasillabi (la
terzina dantesca). La Commedia tende a una rappresentazione ampia e
drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante poesia didattica
medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla
passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un viaggio Divina Commedia, 1472
immaginario nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male
del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo"
dell'umanità[143], sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio
diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il Paradiso, rappresenta, sotto metafora, anche il difficile
processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti municipali per far
assurgere il volgare fiorentino al di sopra delle altre varianti del volgare italiano, arricchiendolo nel contempo con il
loro contatto[166]. Dante è accompagnato sia nell'Inferno che nel Purgatorio dal suo maestro Virgilio; in Paradiso da
Beatrice e, infine, da san Bernardo.

Le Epistole e l'Epistola XIII a Cangrande della Scala


Ruolo rilevante hanno le 13 Epistole scritte da Dante durante gli anni dell'esilio. Tra le principali epistole, incentrate
principalmente su questioni politiche (relative alla discesa di Arrigo VII) e religiose (lettera indirizzata ai cardinali
italiani riuniti, nel 1314, per eleggere il successore di Clemente V)[167]. L'Epistola XIII a Cangrande della Scala,
risalente agli anni tra il 1316 e 1320[168], è l'ultima e la più rilevante delle epistole attualmente conservate (benché si
dubiti in parte della sua autenticità)[168]. Essa contiene la dedica del Paradiso al signore di Verona, nonché importanti
indicazioni per la lettura della Commedia: il soggetto (la condizione delle anime dopo la morte), la pluralità dei sensi,
il titolo (che deriva dal fatto che inizia in modo aspro e triste e si conclude con il lieto fine), la finalità dell'opera che
non è solo speculativa, ma pratica poiché mira a rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli alla felicità[169].

Egloghe
Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra il 1319 e il 1321 a Ravenna, facenti
parte di una corrispondenza con Giovanni del Virgilio, intellettuale bolognese, i cui due componimenti finiscono sotto
il titolo di Egloga I e Egloga III, mentre quelli danteschi sono l'Egloga II e Egloga IV. La corrispondenza/tenzone fra i
due nacque quando il del Virgilio rimproverò Dante di voler conquistare la corona poetica scrivendo in volgare e non
in latino, critica che suscitò la reazione di Dante e la composizione delle Egloghe, visto che Giovanni del Virgilio aveva
inviato a Dante tale componimento latino e che, secondo la dottrina medievale della responsio, l'interlocutore doveva
rispondere con il genere usato per primo[170].

La Quaestio de aqua et terra


La trattazione filosofica continuò fino alla fine della vita del poeta. Il 20 gennaio 1320, Dante si recò nuovamente a
Verona per discutere, nella chiesa di Sant'Elena, la struttura del cosmo secondo i cardini aristotelico-tolemaici che, in
quel periodo, erano già oggetto di studio privilegiato per la composizione del Paradiso. Dante, qui, sostiene come la
Terra si trovasse al centro dell'universo, circondata dal mondo sublunare (composto da terra, acqua, aria e fuoco) e di
come l'acqua si trovi al di sopra della sfera terrestre. Da qui, la trattazione filosofica caratterizzata dalla disputatio con
gli avversari[171].

La fortuna in Italia e nel mondo

In Italia
Dante ebbe una risonanza e una fama pressoché immediata in Italia. Già a partire dalla seconda metà del XIV secolo, il
Boccaccio iniziò una vera e propria diffusione del culto dantesco, culminata prima nella composizione del Trattatello
in laude di Dante e poi nelle Esposizioni sopra la commedia[172]. L'eredità del Boccaccio fu raccolta, durante la fase
del primo umanesimo, dal cancelliere della Repubblica Fiorentina Leonardo Bruni, che compose la Vita di Dante
Alighieri (1436) e che contribuì al perdurare del mito dantesco nelle generazioni dei letterati (Agnolo Poliziano,
Lorenzo de' Medici e Luigi Pulci) e degli artisti (Sandro Botticelli) fiorentini della seconda metà del Quattrocento[173].
La parabola dantesca cominciò tuttavia a scemare a partire dal 1525, allorché il cardinale Pietro Bembo, nelle Prose
della volgar lingua, stabilì la superiorità del Petrarca in campo poetico e del Boccaccio per la prosa. Tale canone
escluderà il Dante della Commedia in quanto difficile imitatore, determinandone un declino (nonostante le
appassionate difese di Michelangelo prima e di Giambattista Vico poi) che perdurerà per tutto il Seicento e il
Settecento, a causa anche della messa all'Indice del De Monarchia. Solamente con l'età romantica e risorgimentale[174]
Dante riacquisì un ruolo di primo piano in quanto simbolo dell'italianità e della solitudine propria dell'eroe romantico.
L'alto valore letterario della Commedia, consacrato da De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana e
riconfermato poi da Carducci, Pascoli e Benedetto Croce, troverà nel XX secolo[175] appassionati studiosi e cultori in
Gianfranco Contini, Umberto Bosco, Natalino Sapegno, Giorgio Petrocchi, Maria Corti e, negli ultimi anni, in Marco
Santagata. Sempre nel Novecento e nel Duemila, vari pontefici hanno dedicato pensieri di stima per l'Alighieri:
Benedetto XV, Paolo VI, Giovanni Paolo II l'hanno ricordato per il suo altissimo valore artistico morale; Benedetto
XVI per la finezza teologica e, ultimamente, papa Francesco per il valore soteriologico della
Commedia[176][177][178][179][180].

Nel mondo
Tra il Quattrocento e il XXI secolo, Dante conobbe fasi alterne nei restanti
Paesi del mondo, influenzati da fattori storici e culturali a seconda delle
regioni geografiche di appartenenza:

Inghilterra[181]: Geoffrey Chaucer, oltre al modello del Decameron, si


ispirò anche alla Commedia, traendo spunto dalle tragedie dell'Inferno
quali quella del Conte Ugolino. Ignorato pressoché nei secoli XV e XVI
secolo, il poeta fiorentino trovò un grandissimo estimatore in John
Milton, che prese spunto dall'immaginario dantesco per la creazione
dell'universo del suo Paradise Lost. Con il Romanticismo, Dante fu
ammirato da letterati (William Blake, William Wordsworth, Samuel
Taylor Coleridge, George Gordon Byron e Alfred Tennyson) e pittori Eugène Delacroix, La barca di
(Dante Gabriel Rossetti e i preraffaelliti, oltre che da William Bell Dante, olio su tela, 1822, Museo del
Scott), che lo considerarono un vero e proprio maestro di poesia e di Louvre, Parigi
arte. Nel XX secolo, Edward Morgan Forster si ispirò alla selva oscura
per l'Omnibus celeste e Thomas Stearns Eliot (poeta di origine
statunitense naturalizzato inglese), grandissimo estimatore della
Divina Commedia, ne sottolinea il profondo ascendente sulla gran parte delle sue opere e in particolare su The
Waste Land (La Terra Desolata, 1922), uno dei suoi saggi dedicati a Dante ora raccolti nel volume Scritti su
Dante.[182]
Francia[183]: a parte alcuni codici di Christine de Pizan, Dante non fu conosciuto approfonditamente in Francia
fino alla discesa, nel 1494, di Carlo VIII. Sotto Francesco I, Dante si diffuse grazie anche alla cosiddetta Scuola
lionese, fondata da mercanti italiani che esportarono d'oltralpe la Commedia. Le successive critiche bembiane e il
diffondersi del petrarchismo oscurarono la fama di Dante in terra di Francia, cosa che fu favorita dai poeti de La
Pléiade e dal classicismo francese sotto Luigi XIV. Aspramente criticato poi da Voltaire, Dante riconobbe un certo
successo nel XIX secolo grazie alle lezioni tenute da Claude Fauriel e da Abel-François Villemain.
Germania[184]: la Germania conobbe, come la Francia, relativamente tardi Dante. L'interesse per il Sommo
Poeta, al contrario delle altre Nazioni europee, toccò però un vero e proprio culmine nel corso della riforma
protestante, per via dei contenuti polemici anticlericali presenti nel De Monarchia. Il Dante della Commedia fu
scoperto solo in età Romantica grazie a August Wilhelm von Schlegel, ai filosofi Friedrich Schelling e Hegel e al
filologo Karl Witte.
Spagna[185]: precoce fu invece la conoscenza di Dante in Spagna grazie a opere, datate tra il XIV e il XV secolo,
quali il Cancionero de Baena e Enrique de Aragón. La Spagna, esponente di spicco della controriforma,
condannò violentemente l'anticlericalismo dantesco, determinandone un vero e proprio eclissamento che perdurò
fino al 1829, con l'arrivo del Romanticismo. Fondamentali risultarono le traduzioni della Commedia in prosa ad
opera di Miguel Aranda y Sanjuán (1868) e in versi del Conde de Cheste (1879).
Americhe[186]: già nel corso del XIX secolo, lo statunitense Ralph Waldo Emerson importò sul suolo americano la
Vita Nova, decretando un interesse sempre maggiore nella letteratura americana grazie a Ezra Pound ed Henry
Miller. Nel mondo ispanofono, invece, si segnala il culto che l'argentino Jorge Luis Borges ha manifestato per la
Commedia.

Dante nella cultura di massa


Nel corso del XX secolo, la figura di
Dante è stata oggetto di numerose
iniziative affinché fosse diffuso presso il
grande pubblico. In occasione del
cinquantenario dell'Unità d'Italia, la
Milano Films[187] e la Helios Film[188]
realizzarono i due primi lungometraggi
dedicati all'Inferno, lavori che
suscitarono reazioni sia positive che
Dante nella faccia Roberto Benigni in TuttoDante a
negative (queste ultime dovute alla
nazionale dei 2 euro italiani Padova, 2008
presenza di elementi erotici).

Nei decenni successivi, le celebrazioni


nazionali dantesche, come il seicentenario della morte nel 1921 e il settecentenario della nascita nel 1965,
sensibilizzarono il popolo italiano sull'eredità del Sommo Poeta, anche grazie allo sceneggiato televisivo Vita di Dante,
realizzato nel 1965 in occasione del settecentenario.[189] Nel corso della seconda metà del Novecento, l'opera di
sensibilizzazione si avvalse inoltre dell'emissione di lire raffiguranti il volto di Dante[190] (oltre che di fumetti della
Disney ispirati all'Inferno)[191][192].

Grazie alla televisione, la diffusione dell'opera di Dante raggiunse un pubblico sempre più ampio: Vittorio Gassman,
Vittorio Sermonti e Roberto Benigni recitarono i versi della Commedia in manifestazioni pubbliche. Nel resto del
mondo, invece, Dante ha ispirato la realizzazione di alcuni film (quali Seven)[193] e di alcuni manga giapponesi (come
le opere di Gō Nagai) e videogiochi (tra cui Dante's Inferno)[194].

Personaggi e luoghi dell'Inferno sono stati scelti dall'Unione Astronomica Internazionale per dare i nomi a formazioni
geologiche sulla superficie di Io, satellite di Giove[195].

Inoltre nel 1998 il ritratto di Dante Alighieri dipinto da Raffaello Sanzio è stato scelto come faccia nazionale della
moneta da 2 euro italiana e nel 2015, in occasione del 750º anniversario della sua nascita, sono state coniate due
monete da 2 euro commemorativi, un'italiana e l'altra sammarinese.

Note
1. ^ Dante Alighieri, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 15 marzo 2011. URL
consultato il 5 aprile 2016.
2. ^ a b Contini 1970, pp. 895-901
«l’Alighieri era per solito designato con l’ipocorismo ‘Dante’ (unicamente in un atto del 1343, rogato in
favore del figlio Iacopo, il defunto padre è denominato "Durante, ol. vocatus Dante, cd. Alagherii")»

3. ^ H. Bloom, Il Canone occidentale.


4. ^ Sara Marchesi e Maria Grazia Vasta (a cura di), Dante Alighieri, su letteratura.it, maggio 2007. URL consultato il 3
giugno 2015.
5. ^ Società Dante Alighieri – il Mondo in Italiano, Società Dante Alighieri. URL consultato il 3 giugno 2015.
6. ^ Dante espone questa sua convinzione in Convivio IV, XXIII 9: «Là dove sia lo punto sommo di questo arco, per
quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo e
quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno».
7. ^ I critici letterari Umberto Bosco e Giovanni Reggio sostengono che Dante fu influenzato da un passo estratto
dalla Bibbia: «L'opinione era ricalcata d'altronde su un passo biblico: "Dies annorum nostrorum sunt septuaginta
anni" (Psalmus 90 (89), 10) (http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_vt_psalmo
rum_lt.html#LIBER%20III%20(Psalmi%2073-89)))» (Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Umberto
Bosco e Giovanni Reggio, Vol. 1 Inferno, p. 7).
8. ^ Villani, p. 135
9. ^ Ferroni, p. 3
10. ^ Moreali, p. 457.
11. ^ Marchi, p. 15.
12. ^ Giovanni Boccaccio, Trattatello in Laude di Dante, Capitolo II – Patria e maggiori di Dante. URL consultato il 20
maggio 2015.
13. ^ a b c d Marchi, p. 14.
14. ^ Inferno, XV, v. 76.
15. ^ Si veda Paradiso, XV 135.
16. ^ a b Cacciaguida, su Dante online, Società dantesca italiana. URL consultato il 6 giugno 2015.
17. ^ Riguardo al dibattito sulla nobiltà della famiglia Alighieri, si consultino: Carpi; Barbi
18. ^ D'Addario
«Nell'arco di tempo di circa due secoli, le condizioni sociali degli A. avevano subito un mutamento
profondo. Cacciaguida è un cavaliere prode e pio, degno di stare al seguito dell'imperatore; gli Elisei che
ne derivano sono nobili per dignità personale e per parentela; Alaghiero sposa una donna dei Ravignani;
Bello è detto "dominus" nei documenti, con allusione alla dignità equestre di cui era investito; Geri di Bello
è impegnato nelle contese fra le consorterie e muore nel corso di una faida tra magnati. Gl'immediati
ascendenti di D. appartengono già a un ceto diverso, di minore importanza sul piano sociale; sono
cambiatori, prestatori, piccoli - per quanto agiati - proprietari di case e di terre. La nobiltà cittadinesca
degli avi, sostanziata di valore militare e di pietà religiosa, è venuta trasformandosi in anonima condizione
borghese e rivive ormai solo nell'idealizzazione che D. ne fa attraverso le parole di Cacciaguida. La
parabola discendente degli A. è assunta nella Commedia come paradigma della decadenza cui soggiace
l'intera società fiorentina, divisa e corrotta dalla lotta politica, profondamente mutata nelle sue componenti
a causa dell'inurbamento conseguente all'ampliamento territoriale e alle fortune economiche della città.»

19. ^ D'Addario 1960.


20. ^ Andrea Mazzucchi, I genitori, Internet culturale, 2012. URL consultato il 3 giugno 2015.
21. ^ LXXIV, su it.wikisource.org.
22. ^ Dante, "il padre Alighiero di Bellincione era un usuraio: la prova in due pergamene", su Il Fatto Quotidiano, 1º
febbraio 2017. URL consultato il 2 febbraio 2017.
23. ^ Reynolds, p. 15.
24. ^ Bella è diminutivo per Gabriella.
25. ^ a b c Petrocchi, p. 12.
26. ^ a b c d e Ferroni, p. 4.
27. ^ Di Marco, p. 56.
28. ^ a b Petrocchi, p. 13.
29. ^ Andrea Mazzucchi, Brunetto Latini, Internet culturale, 2012. URL consultato il 3 giugno 2015.
30. ^ Mazzoni.
31. ^ Inglese.
32. ^ L'ultimo verso, infatti, ricorda molto il Somnium Scipionis di Cicerone, ove gli uomini resisi illustri per i loro meriti
civili trovano finalmente pace in una sorta di "paradiso", eternandosi (come dice appunto Dante).
33. ^ Bosco-Reggio, p. 248, nota 85
«Gloria dona al prode uomo una seconda vita, cioè a dir che, dopo la sua morte, la nominanza che riman
di sue opere buone mostra che egli sia ancora in vita»

34. ^ Andrea Mazzucchi, I francescani di Santa Croce e i domenicani di Santa Maria Novella, Internet Culturale. URL
consultato il 18 maggio 2015.
35. ^ Reynolds, p. 20.
36. ^ «... per Dante, come per quasi tutti i pensatori del suo tempo, Aristotele e l'autorità filosofica più alta [...] Noi
dicevamo di buon grado: il medioevo è il Papa e l'Imperatore; avvertiti da Dante, diciamo ormai: il Papa,
l'Imperatore e Aristotele».(Gilson, pp. 136-137)
37. ^ Andrea Mazzucchi, Dante Alighieri. Aristotele: ’l maestro di color che sanno, Internet Culturale. URL consultato il 17
maggio 2015.
38. ^ Tra questi Giorgio Petrocchi, come si evince dalla sua da quest'affermazione: Petrocchi, Vita di Dante, p. 22
«L'anno successivo, il 1287, ci consente invece una certezza: il soggiorno a Bologna, breve ma sicuro»

39. ^ (Cronologia della vita di Dante - 1287 (http://www.lavitadidante.it/cronologia-della-vita-di-dante-alighieri/)).


40. ^ Carlo Marchesi, Dante Alighieri. Soggiorno a Bologna, Bologna racconta. URL consultato il 16 novembre 2017
(archiviato dall'url originale il 22 luglio 2014).
41. ^ Guidubaldi.
42. ^ Paradiso, X, 133-138.
43. ^ a b Andrea Mazzucchi, I primi anni dell’esilio (1302-1310), Internet Culturale. URL consultato il 17 maggio 2015.
44. ^ a b c d e f g Ferroni, p. 6.
45. ^ Contini 2006, pp. 75-76.
46. ^ «Le primissime rime si legano ancora agli schemi guittoniani e a quelli della lirica cortese toscana, ma hanno
una maggiore leggerezza di tono, dovuta a un rapporto più diretto con la lirica siciliana». (Ferroni, p. 7)
47. ^ Si veda il rapporto polemico con l'Orbicciani in Purgatorio XXIV, vv. 52-62, ove viene stesa anche la prima
definizione di Stil novo.
48. ^ La conoscenza del provenzale da parte di Dante è ricostruibile sia dalle citazioni contenute nel De vulgari
eloquentia sia dai versi provenzali inseriti nel Purgatorio (Canto XXVI, vv. 140-147).
49. ^ Si veda, come approfondimento, Petrocchi, pp. 35-48 (Dalle rime guittoniane alla Vita Nova)
50. ^ a b c Piattoli.
51. ^ Andrea Mazzucchi, La moglie: Gemma Donati, Internet culturale. URL consultato il 20 maggio 2015.
52. ^ Un atto del 21 ottobre 1308 a Lucca testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un
"Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia".
53. ^ Dante accenna alla morte violenta di Corso Donati nel Purgatorio XXIV, vv. 82-84, mettendo la profezia post
eventum in bocca al fratello di lui, Forese: «"Or va", diss'el; "che quei che più n'ha colpa,/vegg'ïo a coda d'una
bestia tratto/inver' la valle ove mai non si scolpa./La bestia ad ogne passo va più ratto,/crescendo sempre, fin
ch'ella il percuote,/e lascia il corpo vilmente disfatto». La tematica della cavalcata infernale è un topos letterario
ben noto nella letteratura medievale: verrà ripreso, infatti, sia da Giovanni Boccaccio, sia da Jacopo Passavanti.
54. ^ Dante stesso citerà Carlo Martello d'Angiò nella Divina Commedia (Paradiso VIII, v. 31 e IX, v. 1).
55. ^ Andrea Mazzucchi, L’Arte dei Medici e degli Speziali, Internet culturale, 2012. URL consultato il 3 giugno 2015.
56. ^ a b c d e Ferroni, p. 5.
57. ^ Bacci.
58. ^ a b Pampaloni.
59. ^ Petrocchi, p. 80.
60. ^ a b Petrocchi, p. 79.
61. ^ Petrocchi, p. 81.
62. ^ a b c d Petrocchi, p. 82.
63. ^ Pizzinat, p. 323
«... Benedetto XI: l'unico papa di quel periodo che non ebbe giudizi negativi da parte dell'Alighieri...»

64. ^ Marco Santagata, La condanna a morte, Mondadori, 2012. URL consultato il 17 maggio 2015.
«Quasi sicuramente si trovava ancora a Roma al momento del colpo di Stato dei primi di novembre; Leonardo
Bruni riferisce che Dante, partito da Roma, a Siena era venuto a sapere che la situazione di Firenze era
irreparabile e che perciò avrebbe deciso di riunirsi con i compagni di partito...».
65. ^ Ciappelli
«Il 1° nov. 1301 Carlo di Valois entrò in Firenze. Al suo seguito, alla testa dei cavalieri senesi che lo
accompagnavano, si trovava anche il Gabrielli.»

66. ^ Il testo integrale delle sentenze di condanna è stato pubblicato nel volume a cura di Dante Ricci Il processo di
Dante, Firenze, Arnaud editore, 1967 (nuova edizione con una presentazione di Morris L. Ghezzi, Udine, Mimesi,
2011).
67. ^ Petrocchi, p. 93.
68. ^ «... 10 giugno: Niccolò da Prato lascia Firenze; ultima decade di giugno: i Neri consolidano il loro potere in città
impadronendosi di tutte le cariche pubbliche». (Petrocchi, p. 97).
69. ^ Petrocchi, p. 95.
70. ^ a b Petrocchi, p. 97.
71. ^ Guglielmino-Grosser, p. 145.
72. ^ Saffiotti Bernardi.
73. ^ Andrea Mazzucchi, La Lunigiana, Internet culturale, 2012. URL consultato il 3 giugno 2015.
74. ^ a b Giuseppe Benelli, Il VII centenario della venuta di Dante in Lunigiana (PDF), su gruppocarige.it, p. 39. URL
consultato il 3 giugno 2015.
75. ^ Marco Santagata, Dante in Lunigiana, Mondadori, 2012. URL consultato il 17 maggio 2015.
76. ^ a b c d e Marco Santagata, Cronologia della vita di Dante, Mondadori, 2012. URL consultato il 18 maggio 2015.
77. ^ Marco Santagata, Cronologia della vita di Dante, Mondadori, 2012. URL consultato il 4 giugno 2015.
«1310... Secondo la testimonianza di Biondo Flavio Dante, trovandosi a Forlì...».
78. ^ Già da parecchi anni, l'Italia era stravolta da guerre civili tra le fazioni dei guelfi e ghibellini. Inoltre, dal 1305,
papa Clemente V trasferì la sua corte ad Avignone, mentre l'imperatore Alberto I d'Asburgo preferiva non
intromettersi nelle questioni italiane, suscitando la violenza indignazione dantesca nella celebra apostrofe politica
in Pg VI, 97-99: «O Alberto tedesco ch'abbandoni/costei [l'Italia] ch'è fatta indomita e selvaggia,/e dovresti inforcar
li suoi arcioni...»
79. ^ Petrocchi, p. 148.
80. ^ Marco Santagata, Dante a Milano, Mondadori, 2012. URL consultato il 17 maggio 2015.
«Nella lettera che invierà a Enrico in aprile, Dante afferma di avere avuto l’onore di essere ricevuto in
udienza.».
81. ^ Petrocchi, p. 154.
82. ^ Petrocchi, p. 94.
83. ^ Dante stesso, in Convivio IV, XVI, 6, non ne elogia le qualità umane. Si veda:Varanini
84. ^ a b Andrea Mazzucchi, Cangrande della Scala, Internet Culturale. URL consultato il 18 maggio 2015.
85. ^ Torre.
86. ^ Marco Santagata, Cronologia della vita di Dante, Mondadori, 2012. URL consultato il 18 maggio 2015.
«Le cause della partenza sono ignote: forse un accresciuto disagio per l’ambiente scaligero (di cui resterebbe
testimonianza nell’aneddoto riferito da Petrarca, Rerum memorandarum libri II 83: Cangrande chiede a Dante
come mai non riesce a rendersi gradito al pari di un buffone di corte, il poeta risponde che gli uomini apprezzano
chi è simile a loro), forse la fama di amico delle lettere goduta dal nuovo signore o la possibilità di trovare una
sistemazione ai figli (in questo periodo Pietro ottiene il rettorato di due chiese ravennati, S. Maria in Zenzanigola e
S. Simone del Muro).».
87. ^ Giorgio Petrocchi, Vita di Dante, p. 199.
88. ^ Come sottolineato da Petrocchi, pp. 198-199, Dante fu raggiunto dal resto della famiglia, compresa (forse) la
moglie Gemma.
89. ^ a b Ferroni, p. 7.
90. ^ Petrocchi, p. 198.
91. ^ «... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni
cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...» (Petrocchi, p. 198).
92. ^ Petrocchi, p. 221.
93. ^ Dall'Onda, p. 158
«Tale fu la cagione dell'andata di Dante a Venezia che allora parve tanto più opportuna trattandosi di
quistioni con gli Ordelaffi, giacché Dante era stato notario o segretario di Scarpetta Ordelaffi Signore di
Forlì circa il 1307.»

94. ^ «Ma quale giorno? Il Boccaccio e i codici del cosiddetto "gruppo del Cento" non esitano al riguardo: il 14
settembre: "nel dì che la esaltazione della Santa Croce si celebra dalla Chiesa", dice il Boccaccio. Invece gli
epitafi [sic] di Giovanni del Virgilio (Theologus Dantes) e di Meneghino Mezzani (Inclita fama) danno la data del 13
settembre». (Petrocchi, p. 222).
95. ^ VI centenario dantesco, p. 6.
96. ^ Andrea Mazzucchelli, La morte e le celebrazioni funebri, Internet Culturale. URL consultato il 20 maggio 2015.
97. ^ a b c VI centenario dantesco, p. 7.
98. ^ Bencivenni Pelli, p. 148.
99. ^ «La diffusione della biografia di Boccaccio sortì i suoi effetti. Nel 1373 i cittadini di Firenze avanzarono istanza ai
priori per l'organizzazione di una serie di pubbliche lezioni sulla Commedia» (Reynolds, p. 430).
100. ^ Tettoni-Saladini, Allighieri
101. ^ a b c d e Toni di Rossi, Ravenna - Tomba di Dante, su tonidirossi.it. URL consultato il 18 maggio 2015.
102. ^ Basilica di San Francesco, Ravenna. Turismo e cultura, 3 giugno 2015. URL consultato il 4 giugno 2015.
«L'attuale denominazione si deve ai frati minori francescani che, tra il 1261 e il 1810, e poi di nuovo tra il 1949
sino a oggi, la scelsero come loro sede.».
103. ^ La morte di Dante e il giallo delle sue spoglie, Folia. URL consultato il 4 giugno 2015.
«Al suo interno si trovavano ossa “ben conservate, consistenti, non rose da tarli di colore rosso scuro, e quasi
in numero da completare uno scheletro” (secondo le parole di Primo Uccellini, autore della Relazione storica sulla
avventurosa scoperta delle ossa di Dante Alighieri, 1865)».
104. ^ a b La morte di Dante e il giallo delle sue spoglie, Folia. URL consultato il 4 giugno 2015.
105. ^ Marconi: «Giovanni Boccaccio, nella vita di Dante, racconta che Guido Novello aveva bandito un concorso per
l'epigrafe sulla nuova tomba di Dante che egli aveva intenzione di far erigere; in questa occasione appunto il C.
avrebbe composto l'esastico "Iura monarchiae" fatto incidere da lui intorno al 1357, dopo la morte di Guido
Novello, sul vecchio sepolcro».
106. ^ Mara Amorevoli, Ma quale naso aquilino ecco il vero viso di Dante, in la Repubblica.it, 8 marzo 2005. URL
consultato il 24 maggio 2015.
107. ^ a b Cinzia dal Maso, Più dolce, ecco il vero volto di Dante. Via il profilo spigoloso del Sommo Poeta, in La
Repubblica.it, 11 gennaio 2007. URL consultato il 24 maggio 2015.
108. ^ Giorgio Grupponi, Ricostruzione del volto di Dante, fenici.unibo. URL consultato il 24 maggio 2015.
109. ^ De Vulgari Eloquentia I, II 1 (https://la.wikisource.org/wiki/De_Vulgari_Eloquentia)
110. ^ Cecchin.
111. ^ Marco Santagata, La promozione del volgare, Mondadori, 2012. URL consultato il 19 maggio 2015.
«Dante si rende conto che i ceti dirigenti italiani mancano di una lingua comune».
112. ^ Selmi, p. 389.
113. ^ Contini 1992
«Dei più visibili e sommari attributi che pertengono a Dante, il primo è il plurilinguismo.»

114. ^ Guglielmo Barucci, Dante e il pluristilismo delle "Rime", oilproject. URL consultato il 19 maggio 2015.
115. ^ Mengaldo
«... Dante non fa che ereditare una nozione, la tripartizione degli stili, che è un luogo comune di tutta la
retorica medievale, a sua volta derivato da più modelli della latinità classica e tarda [...] Momento
fondamentale nella storia di queste dottrine è quello in cui, dapprima con Donato e con Servio, lo schema
dei tre gradi di stili è applicato alle tre opere di Virgilio, che ne divengono esempio paradigmatico,
rispettivamente le Bucoliche di stile umile o basso, le Georgiche del mezzano o mediocre, l'Eneide del
grave o sublime o grandiloquus»

116. ^ Guglielmino-Grosser, p. 170.


117. ^ a b c d Ferroni, p. 8.
118. ^ . L'ambientazione della Vita nova, per quanto infarcita di visioni oniriche e di stilemi simbolici, è contornata dal
paesaggio della Firenze medievale, in cui vengono rievocate le figure non solo di Beatrice, ma anche di Guido
Cavalcanti (Vita nova III, 14: «... io chiamo primo de li miei amici...»), la propabili allusione alle operazioni militari
del 1289 (Vita Nova IX,1: «Appresso la morte di questa donna alquanti die avvenne cosa per la quale me
convenne partire de la sopradetta cittade e ire verso quelle parti dov'era la gentile donna ch'era stata mia
difesa...»), la morte di Folco Portinari, padre di Beatrice (Vita nova XXII, 1: «Appresso ciò non molti dì passati, sì
come piacque al glorioso sire lo quale non negoe la morte a sé, colui che era stato genitore di tanta maraviglia
quanta si vedea ch'era questa nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo, a la gloria etternale se ne gio
veracemente») e via dicendo.
119. ^ Il nome Beatrice assumerà soprattutto nella Divina Commedia la sua reale importanza, in quanto,
etimologicamente parlando, significa Portatrice di Beatitudine, tanto che solo questa figura potrà condurre Dante
lungo il percorso del Paradiso.
120. ^ Matilde Quarti, Guido Cavalcanti: la poetica e lo Stilnovo, oilproject. URL consultato il 19 maggio 2015.
«Se quindi Cavalcanti getta le basi per la spiritualizzazione dell’amore degli stilnovisti, egli tuttavia non giunge
mai a teorizzare la donna-angelo (e quindi l’idea che la bellezza terrena sia tramite per la salvezza ultraterrena,
come nel caso di Beatrice nella Vita Nova). Anzi, come detto nella canzone dottrinale Donna me prega, Amore
allontana sempre l’uomo dal perfezionamento di sé».
121. ^ Guglielmino-Grosser, p. 147.
122. ^ La “Vita Nova” di Dante: il capitolo 26 e la poesia della lode, Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
123. ^ Andrea Cortellessa, "Purgatorio", Canto 30: commento critico, Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
«Quando Beatrice “passa a seconda vita”, cioè muore, Dante commise la sua colpa: mutò vita; perse la diritta
via, la retta via; “si tolse a me e diessi altrui”. Questa non è gelosia di donna viva, ma è allegoria di una perdita di
ruolo, di significato dell’esistenza che Dante evidentemente aveva sofferto».
124. ^ Come manifestato nel sonetto programmatico Tanto gentile e tanto onesta pare (Vita Nova XXVI), Dante
estende a tutti gli uomini i benefici della vista di Beatrice («Mostrasi sì piacente a chi la mira,/che dà per li occhi
una dolcezza al core,/che 'ntender no la può chi no la prova»).
125. ^ Julius Evola, Metafisica del sesso, Edizioni Mediterranee, p. 231, ISBN 88-272-0435-0.
126. ^ Luca Ghirimoldi, Dante, "Così nel mio parlar voglio esser aspro": analisi e commento, Oilproject. URL consultato il
4 giugno 2015.
127. ^ «Tutto questo consesso di filosofi, poeti, moralisti e scienziati rappresenta le credenziali scientifiche di Dante, la
sua "bibliografia" di riferimento, le fonti autorevoli di quanto si accingeva a scrivere su inferno, purgatorio e
paradiso» (Reynolds, p. 150)
128. ^ «Quivi, secondo che per ascoltare,/non avea pianto mai che di sospiri/che l'aura etterna facevan tremare»
(Inferno IV, vv. 25-27); «... s'elli hanno mercedi,/non basta, perché non ebber battesmo,/ch'è porta de la fede che
tu credi;/e s'e’ furon dinanzi al cristianesmo,/non adorar debitamente a Dio:/e di questi cotai son io medesmo./Per
tai difetti, non per altro rio,/semo perduti, e sol di tanto offesi/che sanza speme vivemo in disio». (Inferno IV, vv.
34-42)
129. ^ Lisa Pericoli, La "Commedia" di Dante: fonti e modelli, oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
«Né si può dimenticare che alla base della rilettura dei “classici” c’è sempre, nella mentalità medievale, la
teoria dei “quattro sensi” dell’interpretazione: il senso letterale (che trasmette la “lettera” del testo, ovvero il suo
riferirsi al mondo reale), quello allegorico (in cui dietro la storia fittizia c’è un senso recondito da scoprire), quello
morale (relativo all’insegnamento etico che si può desumere dalle pagine scritte) e quello anagogico (che
reinterpreta il contenuto dell’opera in ottica spiritual-salvifica).».
130. ^ Francesco Lamendola, Il culto di Virgilio nel medioevo, Centro Studi La Runa, 2 aprile 2010. URL consultato il 21
maggio 2015.
131. ^ Cova, p. 66
«I medioevali vollero vedervi una profezia del Cristo redentore, cantata da un pagano che sentiva la
pienezza dei tempi; l’accenno a una Vergine, al Bimbo nascente e al serpente che muore erano elementi
letterali più che sufficienti a giustificare questa interpretazione.»

132. ^ Gabriella Giudici, Il diavolo, ossessione medievale, su gabriellagiudici.it. URL consultato il 22 maggio 2015.
133. ^ Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, / temendo 'l fiotto che 'nver' lor s'avventa, / fanno lo schermo perché
'l mar si fuggia; // e quali Padoan lungo la Brenta, / per difender lor ville e lor castelli, / anzi che Carentana il caldo
senta (Inferno XV, vv. 4-9)
134. ^ Foster.
135. ^ a b Lisa Pericoli, La Commedia di Dante: fonti e modelli, Oilproject. URL consultato il 21 maggio 2015.
136. ^ Maria Corti. Dante e l'Islam, Rai Educational, 20 aprile 2000. URL consultato il 4 giugno 2015.
137. ^ Alberto Ventura, Sapienza Sufi, Roma, Edizioni mediterranee, 2016, p. 17, ISBN 978-88-272-2653-7.
138. ^ Miguel Asín Palacios, Dante e l'Islam, EST, 1994. URL consultato il 5 ottobre 2017.
139. ^ a b Nardi, pp. 1150-1253.
140. ^ Ferroni, p. 23.
141. ^ Essendo Cavalcanti seguace di Averroè, e avendo usato la dottrina degli spiriti all'interno della sua poetica, è
plausibile l'idea che questi abbia appreso tale dottrina dai commenti di Averroè, esegesi che Dante conobbe sia
per il legame che lo stringeva a Cavalcanti, sia per il suo raffinamento di nozioni filosofiche avvenute negli anni '90
a Firenze.
142. ^ a b Dendi.
143. ^ a b Guglielmino-Grosser, p. 164.
144. ^ Anselmi-Ruozzi, p. 223
«... l'inferno dantesco è fondamentalmente tripartito. Nei primi sei cerchi sono punti i colpevoli di
incontinenza, nel settimo quelli di violenza, nell'ottavo e nel nono quelli di frode. Questa tripartizione è
dovuta in parte allEtica Nicomachea di Aristotele, dall'altra al De Officiis di Cicerone, quest'ultimo mediato
dal Corpus iuris civilis di Giustiniano.»

145. ^ Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d'Amore» (PDF).
146. ^ L'esoterismo di Dante Alighieri Dante segreto Celato Fedeli D'amore Rosa Croce, 11 novembre 2013. URL
consultato il 26 dicembre 2016.
147. ^ Discorso sul testo della Commedia di Dante (http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit001500/bibit0015
00.xml), Londra, Pickering, 1826.
148. ^ La Beatrice di Dante. Ragionamenti critici (https://books.google.it/books?id=K6oFAAAAQAAJ&dq=La%20Beatri
ce%20di%20Dante.&hl=it&pg=PR1#v=onepage&q=La%20Beatrice%20di%20Dante.&f=false), Londra, stampato
a spese dell'A., 1842.
149. ^ Dante hérétique, révolutionnaire et socialiste. Révélations d'un catholique sur le Moyen Age (https://archive.org/
details/dantehrtiquervo01arougoog), Paris, Jules Renouard et C.ie libraires-éditeurs, 1854.
150. ^ Maria Soresina, Libertà va cercando. Il catarismo nella Commedia di Dante, Bergamo, Moretti & Vitali, 2009.
151. ^ L'edizione critica tradizionale di Barbi, 1921, conta 42 capitoli; quella di Gorni, 1996, ne rivede la suddivisione,
contandone 31.
152. ^ Ralph Waldo Emerson-Dante Alighieri - VITA NUOVA, Nino Aragno Editore. URL consultato il 22 maggio 2015.
153. ^ Giulio Ferroni, Dante e il nuovo mondo letterario, p. 12.
154. ^ «Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere».
(Convivio I, 1)
155. ^ «Ma vegna qua qualunque è [per cura] familiare o civile ne la umana fame rimaso, e ad una mensa con li altri
simili impediti s'assetti; e a li loro piedi si pongano tutti quelli che per pigrizia si sono stati, che non sono degni di
più alto sedere: e quelli e questi prendano la mia vivanda col pane, che la far[à] loro e gustare e patire.» (Convivio
I, 13)
156. ^ Ferroni, p. 14.
157. ^ Ferroni, p. 15.
158. ^ Andrea Cortellessa, Il "De vulgari eloquentia" di Dante: riassunto e analisi del testo, oilproject. URL consultato il 22
maggio 2015.
159. ^ Il De vulgari eloquentia, su divinacommedia.weebly.com. URL consultato il 18 giugno 2015.
160. ^ Ricci.
161. ^ Guglielmino-Grosser, p. 157.
162. ^ Luca Ghirimoldi, "Divina Commedia": riassunto e analisi dell'opera, Oilproject. URL consultato il 22 maggio 2015.
163. ^ Guglielmino-Grosser, p. 158.
164. ^ Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo fiorentino, i primi sette canti
sarebbero stati composti a Firenze prima dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati
consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la composizione dell'opera. Sulla
questione si veda: Ferretti 1935 e Ferretti 1950
165. ^ Si guardi la sezione dedicata allo stile.
166. ^ Leonardo Rossi, La Lingua della Commedia, su treccani.it. URL consultato il 18 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il
26 giugno 2015).
«Ebbene, in un quadro tanto eterogeneo Dante sa vedere, profeticamente, ciò che nessun altro aveva visto: la
possibilità stessa di un unitario spazio letterario italiano [...] E sarà la fama del poema, attestata già mentre Dante
era in vita, ad assicurare al volgare fiorentino il prestigio necessario per travalicare i confini della Toscana e
raggiungere ampi strati sociali, non solo quelli di più alta cultura.».
167. ^ Pastore Stocchi.
168. ^ a b Ferroni, p. 18.
169. ^ Dante Alighieri. Epistole, su classicitaliani.it. URL consultato il 18 giugno 2015.
170. ^ Martellotti.
171. ^ Pastore Stocchi-2.
172. ^ Andrea Mazzucchi Internet culturale, Giovanni Boccaccio, Internet culturale, 2012. URL consultato il 12 giugno 2015.
173. ^ Giuseppe Leonelli, Dante e la Divina Letteratura: un successo lungo 700 anni, in Repubblica.it, 4 settembre
2007. URL consultato il 12 giugno 2015.
174. ^ Giovanni Belardelli, Patriota Dante, padre di tutti gli italiani, in Corriere della Sera, 1º settembre 2008, p. 35. URL
consultato il 12 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 26 giugno 2015).
175. ^ Dario Pisano, Dante nella poesia del primo Novecento, Flaneri, 21 febbraio 2012. URL consultato il 12 giugno
2015flaneri.com.
176. ^ Benedetto XV.
177. ^ Paolo VI.
178. ^ Giovanni Paolo II.
179. ^ Benedetto XVI, Angelus dell'8 dicembre 2006, Libreria Editrice Vaticana, 8 dicembre 2006. URL consultato il 24
maggio 2015.
180. ^ papa Francesco, Messaggio del Santo Padre Francesco al President del Pontificio Consiglio della Cultura in
occasione della celebrazione del 750º anniversario della nascita di Dante Alighieri, Libreria Editrice Vaticana, 4
maggio 2015. URL consultato il 24 maggio 2015.
181. ^ Vincenzo Salerno, La “Commedia” di Dante in Inghilterra. Da Geoffrey Chaucer a W. M. Rossetti,
LIBROITALIANO. Editrice Letteraria Internazionale. URL consultato il 12 giugno 2015.
182. ^ Eliot.
183. ^ Bernardi-Ceserani.
184. ^ Brancucci-Elwert.
185. ^ Brancucci-Arce.
186. ^ Mocan.
187. ^ L’Inferno – Francesco Bertolini, Giuseppe de Liguoro, Adolfo Padovan (1911), su emutofu.com, 17 agosto 2011.
URL consultato l'8 giugno 2015.
188. ^ Pro Loco Velletri, Sul Monte Artemisio rivive l’Inferno di Dante della Helios Film, su prolocodivelletri.it. URL
consultato il 29 febbraio 2016.
189. ^ Vita di Dante, Rewind. La fiction, la storia, le storie. URL consultato il 5 giugno 2015.
190. ^ Monete e Cartamoneta d'Italia, Unificato, 2015, p. 96, ISBN 88-95874-58-7.
191. ^ Alberto Brambilla, Le origini de “L’Inferno di Topolino”? In un diario scolastico, Fumettologica, 30 ottobre 2013.
URL consultato il 24 maggio 2015.
192. ^ L'inferno di Paperino, inducks. URL consultato il 24 maggio 2015.
193. ^ Bianca Garavelli, Dante e la Commedia nel cinema, Treccani scuola, 4 aprile 2008. URL consultato il 24 maggio
2015.
194. ^ Dante's Inferno, Electronic Arts Italia. URL consultato il 16 novembre 2017.
195. ^ (EN) Categories for Naming Features on Planets and Satellites, su Gazetteer of Planetary Nomenclature. URL
consultato il 3 marzo 2016.

Bibliografia
La bibliografia sulla vita e sull'opera di Dante è sterminata; normalmente, il primo strumento di ricerca è
l'Enciclopedia Dantesca, dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Roma, 1970-1978, consultabile anche on line.
Si possono utilizzare anche le risorse informatiche, in primo luogo la bibliografia consultabile sul sito della Società
Dantesca Italiana. Per la bibliografia cartacea si rimanda alla voce Bibliografia su Dante. In questo luogo, si segnala la
bibliografia utilizzata per la redazione scientifica della voce:

Dante Alighieri, Opere minori, a cura di Sergio Cecchin, II, Torino, UTET, 1986.
Dante Alighieri, Divina Commedia, ora in: Umberto Bosco e Giovanni Reggio (a cura di), Inferno, in Divina
Commedia, vol. 1, Firenze, Le Monnier, 2002, ISBN 88-00-41242-4.
Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi (a cura di), Luoghi della letteratura italiana, Milano, Mondadori, 2003,
ISBN 88-424-9017-2. URL consultato il 21 maggio 2015.
Michele Barbi, Nuovi studi sulla famiglia Alighieri, in Studi Danteschi, nº 10, 1925, pp. 101-104.
Orazio Bacci, Dante ambasciatore di Firenze al comune di San Gimignano: discorso letto nella sala del comune
di San Gimignano il 7 maggio 1899, Firenze, L.S. Olschki, 1899.
Giuseppe Bencivenni Pelli, Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri e alla storia della sua famiglia, 2ª ed.,
Firenze, Guglielmo Piatti, 1823, SBN IT\ICCU\FOGE\012659. URL consultato il 16 ottobre 2015.
Benedetto XV, In praeclara summorum, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 30 aprile 1921. URL consultato
il 24 maggio 2015.
Harold Bloom, Il Canone occidentale. I libri e le scuole delle età, traduzione di Francesco Saba Sardi, Milano,
Bompiani, 1996, ISBN 88-452-2869-X.
Jorge Luis Borges, Nove saggi danteschi, in Tommaso Scarano (a cura di), Piccola Biblioteca Adelphi, 5ª ed.,
Milano, Adelphi, 2001 [1982]. URL consultato il 5 giugno 2015.
Filippo Brancucci e Joaquín Arce, Spagna, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 12 giugno 2015.
Filippo Brancucci e Theodor W. Elwert, Germania, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 12 giugno 2015.
Umberto Carpi, La nobiltà di Dante, Firenze, Polistampa, 2004, ISBN 978-88-8304-753-4.
Sirio A. Chimenz, Dante Alighieri, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 2, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1960. URL consultato il 10 giugno 2015.
Giovanni Ciappelli, Cante Gabrielli, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 51, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. URL consultato il 17 maggio 2015.
Gianfranco Contini, Il Fiore e il Detto d’amore: attribuibili a Dante Alighieri, in Opere minori di Dante Alighieri,
Milano, Classici Ricciardi-Mondadori, 1970, ISBN 88-7817-104-2.
Gianfranco Contini, Letteratura italiana delle origini, 3ª ed., Firenze, Sansoni Editore, 2006 [1970], ISBN 88-383-
1866-2.
Pier Vincenzo Cova, Arbusta iuvant. Le Bucoliche e scelta delle Georgiche di Virgilio, 2ª ed., Torino, G. B. Petrini,
1961, SBN IT\ICCU\MOD\0596178.
Arnaldo D'Addario, Alighieri, Alighiero, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 2, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1960. URL consultato il 3 giugno 2015.
Arnaldo D'Addario, Alighieri, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 16 ottobre 2015.
Alberto Dendi, Elisabetta Severina, Alessandra Aretini, Moduli di letteratura italiana ed europea, Milano, Carlo
Signorelli Editore, 2002, ISBN 88-434-0920-4., riportato su: Dante - Biblioteca della Letteratura Italiana,
Pianetascuola-Einaudi. URL consultato il 21 maggio 2015.
Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Napoli, Morano, 1890 [1870], SBN IT\ICCU\TO0\1185344.
Luigi Di Marco, La compagnia dei magi: per la formazione degli strateghi d'impresa, Milano, F. Angeli, 2004,
p. 56, ISBN 88-464-5212-7. URL consultato il 16 maggio 2015.
Thomas Stearns Eliot, Scritti su Dante, a cura di Roberto Sanesi, Milano, Bompiani, 1994, ISBN 978-88-452-
5037-8.
Giulia Farina (a cura di), Letteratura, in L'universale: la grande Enciclopedia tematica, 4, tomo 1, Milano, Garzanti,
2003, pp. 61-62, SBN IT\ICCU\USS\0003645.
Giovanni Ferretti, I due tempi di composizione della Divina Commedia, in Biblioteca di cultura moderna, n°268,
Bari, Laterza, 1935, SBN IT\ICCU\TSA\0021529.
Giovanni Ferretti, Saggi danteschi, Firenze, Le Monnier, 1950, SBN IT\ICCU\RAV\0195466.
Giulio Ferroni, Dante e il nuovo mondo letterario: la crisi del mondo comunale (1300-1380), in Giulio Ferroni (a
cura di), Storia della letteratura italiana, vol. 2, Milano, Mondadori, 2006, SBN IT\ICCU\IEI\0250845.
Kenelm Foster, Cristo, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970,
SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 4 giugno 2015.
Etienne Gilson, Dante e la filosofia, a cura di Sergio Cristaldi, Milano, Jaca Book, 1987, ISBN 88-16-40193-1.
Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 25 marzo 1987, ISBN 88-
209-1569-3. URL consultato il 24 maggio 2015.
Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser, Storia letteraria dal Duecento al Cinquecento, in Il sistema letterario,
vol. 1, 1ª ed., Milano, G. Principato, marzo 2000, ISBN 88-416-1309-2.
Egidio Guidubaldi, Bartolomeo da Bologna, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 16 ottobre 2015.
Giorgio Inglese, Brunetto Latini, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 64, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2005. URL consultato il 16 maggio 2015.
Cesare Marchi, Dante, Milano, RCS, 2006, SBN IT\ICCU\RMS\1556199.
Sergio Marconi, Canaccio, Bernardo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 17, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1974. URL consultato il 18 maggio 2015.
Guido Martellotti, Egloghe, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970,
SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 22 maggio 2015.
Francesco Mazzoni, Latini, Brunetto, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 16 maggio 2015.
Pier Vincenzo Mengaldo, stili, Dottrina degli, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto
della Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 19 maggio 2015.
Mira Mocan, Dante e le letterature straniere, in Treccani scuola, Treccani.it, 14 maggio 2008F. URL consultato il 16
novembre 2017.
Giambattista Moreali, Il Duomo in chiaro – Pietre, versi ed enigmi, Modena, Edizioni SIGEM, 2014, p. 457,
ISBN 978-88-7387-041-8.
Bruno Nardi, Filosofia di Dante, in Grande antologia filosofica, IV, Milano, Marzorati, 1954, pp. 1150-1253,
SBN IT\ICCU\RAV\0161593.
Guido Pampaloni, Bianchi e Neri, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 17 maggio 2015.
(LA) Paolo VI, Altissimi cantus, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 7 dicembre 1965, OCLC 799513886.
URL consultato il 24 maggio 2015.
Pietro Desiderio Pasolini Dall'Onda, Delle antiche relazioni fra Venezia e Ravenna, Firenze, M. Cellini e c., 1874,
p. 158, SBN IT\ICCU\UBO\1787124. URL consultato il 26 maggio 2015.
Manlio Pastore Stocchi, Epistole, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 22 maggio 2015.
Manlio Pastore Stocchi, Questio de aqua et terra, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia dantesca, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RAV\0018895. URL consultato il 22 maggio 2015.
Francesco Petrarca, Canzoniere, ora in: Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Gianfranco Contini, Torino,
Einaudi, 1992, ISBN 88-06-13066-8.
Giorgio Petrocchi, Vita di Dante, 5ª ed., Roma; Bari, Editori Laterza, 2008, ISBN 978-88-420-4354-6.
Renato Piattoli, Donati, Gemma, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 16 maggio 2015.
Andrea Pizzinat, Camino e i da Camino: Un paese, la sua gente, il suo casato, Oderzo (TV), Edizioni Tredieci,
2009, p. 323, ISBN 978-88-8388-158-9. URL consultato il 3 giugno 2015.
Barbara Reynolds, Dante: la vita e l'opera, a cura di Alessio Catania, Milano, Longanesi, 2007, ISBN 978-88-304-
2436-4.
Pier Giorgio Ricci, Monarchia, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 22 maggio 2015.
Simonetta Saffiotti Bernardi, Malaspina, Moroello, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia dantesca, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 3 giugno 2015.
Simonetta Saffiotti Bernardi e Remo Ceserani, Francia, in Umberto Bosco (a cura di), Enciclopedia Dantesca,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970, SBN IT\ICCU\RLZ\0163867. URL consultato il 12 giugno 2015.
Francesco Selmi, Dei Trattati morali di Albertano da Brescia, volgarizzamento inedito fatto nel 1268 da Andrea da
Grosseto, in Collezione di opere inedite o rare pubblicate dalla Commissione per i testi di lingua, Bologna, G.
Romagnoli, 1873, p. 389, SBN IT\ICCU\SBL\0416863.
Leone Tettoni - Francesco Saladini, Teatro araldico, ovvero Raccolta generale delle armi ed insegne gentilizi e
delle piu illustri e nobili casate, vol. 7, Milano, Claudio Wilmant, 1847, SBN IT\ICCU\TO0\0902625. URL consultato il
18 luglio 2018.
Augusto Torre, L'ambasceria di Dante a Venezia, in Almanacco Ravennate, Ravenna, Camera di commercio
industria e agricoltura di Ravenna, 1959, SBN IT\ICCU\RAV\0079557.
Gian Maria Varanini, Della Scala, Alboino, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 37, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1989. URL consultato il 18 maggio 2015.
Giovanni Villani, Istorie Fiorentine di Giovanni Villani, vol. V, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1802,
p. 135. URL consultato il 3 giugno 2015.
Voltaire, Suite des mélanges, in: (FR) Voltaire, Suite des mélanges de littérature, d'histoire et de philosophie, in
Collection complete des ouvres de Mr. de Voltaire, vol. 5, 1ª ed., Ginevra, Les Frères Cramer, 1757. URL consultato
il 4 giugno 2015.
Comitato cattolico per l'omaggio a Dante Alighieri (a cura di), Il VI centenario dantesco: Bollettino del Comitato
cattolico per l'omaggio a Dante Alighieri, 1-4, Ravenna, Bollettino, 1914, SBN IT\ICCU\TO0\0178871. URL
consultato il 16 ottobre 2015.
Dante Alighieri, [Opere], Oxford, nella Stamperia dell'Università, 1894.
Giuliano Mambelli, Annali delle Edizioni Dantesche. Con XLVI tavole fuori testo, Verona, Bibliopathos, 2010,
ISBN 978-88-905584-0-5.

Voci correlate
Alighieri
Lapidi della Divina Commedia di Siena
Firenze medievale
Casa di Dante
Ravenna
Tomba di Dante
Giovanni Boccaccio
Francesco Petrarca
Guido Novello da Polenta
Studi danteschi
Enciclopedia Dantesca
Società Dantesca Italiana
Deutsche Dante-Gesellschaft
Influenza culturale di Dante Alighieri

Altri progetti
Wikisource contiene una pagina dedicata a Dante Alighieri
Wikiquote contiene citazioni di e su Dante Alighieri
Wikimedia Commons (https://commons.wikimedia.org/wiki/?uselang=it) contiene immagini o altri file su Dante
Alighieri (https://commons.wikimedia.org/wiki/Dante_Alighieri?uselang=it)

Collegamenti esterni
Giuseppe Bonghi, Progetto Dante Alighieri, su Classic italiani, 1996. URL consultato il 18 maggio 2015., per un quadro
di riferimento bio/bibliografico su Dante.
Mirko Locatelli e Roberto Gagliardi (a cura di), Dante Alighieri, su Liber liber. URL consultato il 18 maggio 2015., per la
consultazione online delle opere dantesche.
Andrea Mazzucchi, Amedeo Quondam, Italo Pantani, Giuliana Zagra et alii (a cura di), Dante Alighieri, su Internet
culturale, Internet Culturale. URL consultato il 17 maggio 2015.
Dante online, Società Dantesca Italiana. URL consultato il 18 maggio 2015., per la consultazione online delle opere
dantesche e informazioni bio/bibliografiche
DanteSources, Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione "A. Faedo" (CNR Pisa) e Dipartimento di
Filologia, Letteratura e Linguistica (Università di Pisa), 2013. URL consultato il 3 luglio 2015., per la consultazione on-
line di informazioni relative alle fonti dantesche
Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, Ravenna, su centrodantesco.it. URL consultato il 18 maggio 2015.
Marco Santagata, 20 Finestre sulla vita di Dante, Mondadori, 2012. URL consultato il 18 maggio 2015.
Museo Casa di Dante, Firenze, Unione Fiorentina. URL consultato il 18 maggio 2015.
Tutto Dante, su tuttodante.it. URL consultato il 5 giugno 2015.
Dante Alighieri compie 750 anni: celebrazioni ed eventi, su centenaridanteschi.it. URL consultato il 16 novembre 2017.

(EN) Dante Alighieri, su Internet Movie Database, IMDb.com.


(DE, EN) Dante Alighieri, su filmportal.de.
(EN) Dante Alighieri, su Discogs, Zink Media.
(EN) Dante Alighieri, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.
Dante Alighieri, su Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
(EN) Dante Alighieri, su Find a Grave.
(EN) Bibliografia di Dante Alighieri, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.
Dante Alighieri, su Treccani.it, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
(EN) Dante Alighieri, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
(EN) Dante Alighieri, su The Encyclopedia of Science Fiction.
VIAF (EN) 97105654 (https://viaf.org/viaf/97105654) · ISNI (EN) 0000 0001 2144 6210
(http://isni.org/isni/0000000121446210) · SBN IT\ICCU\CFIV\008732 (http://opac.sbn.
it/opacsbn/opac/iccu/scheda_authority.jsp?bid=IT\ICCU\CFIV\008732) · LCCN
(EN) n78095495 (http://id.loc.gov/authorities/names/n78095495) · GND
Controllo di (DE) 118523708 (https://d-nb.info/gnd/118523708) · BNF (FR) cb118985852 (http://cat
autorità alogue.bnf.fr/ark:/12148/cb118985852) (data) (http://data.bnf.fr/ark:/12148/cb1189858
52) · ULAN (EN) 500265888 (https://www.getty.edu/vow/ULANFullDisplay?find=&role
=&nation=&subjectid=500265888) · NLA (EN) 36583628 (https://nla.gov.au/anbd.aut-
an36583628) · BAV ADV10159444 · CERL cnp01259688 (https://thesaurus.cerl.org/r
ecord/cnp01259688)
Estratto da "https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Dante_Alighieri&oldid=100012403"

Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 30 set 2018 alle 13:02.

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono
applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le condizioni d'uso per i dettagli.

Potrebbero piacerti anche