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Scritti politici II Antonio Gramsci

Marinetti rivoluzionario?45

È avvenuto questo fatto inaudito, enorme, colossale, la cui divulgazione minaccia di an-
nientare del tutto il prestigio e il credito dell’Internazionale comunista: a Mosca, durante il II
Congresso, il compagno Lunaciarsky ha detto, in un suo discorso ai delegati italiani (discorso,
si badi, pronunciato in italiano, anzi in un italiano correttissimo, cosa per cui ogni sospetto di
dubbia interpretazione deve essere a priori scartato) che in Italia esiste un intellettuale rivolu-
zionario e che egli è Filippo Tommaso Marinetti. I filistei del movimento operaio sono oltre-
modo scandalizzati; è certo ormai che alle ingiurie di: «bergsoniani, volontaristi, pragmatisti,
spiritualisti», si aggiungerà l’ingiuria piú sanguinosa di «futuristi! Marinettiani»! Poiché una ta-
le sorte ci attende, vediamo di elevarci fino all’autocoscienza di questa nuova nostra posizione
intellettuale.
Molti gruppi di operai hanno visto simpaticamente (prima della guerra europea) il futuri-
smo. Molto spesso è avvenuto (prima della guerra) che dei gruppi di operai difendessero i futu-
risti dalle aggressioni di cricche di «letterati» e di «artisti» di carriera. Fissato questo punto, fat-
ta questa constatazione storica, viene spontanea la domanda: «In quest’atteggiamento degli ope-
rai era l’intuizione (eccoci all’intuizione: bergsoniani, bergsoniani!) di una necessità non soddi-
sfatta nel campo proletario?». Dobbiamo rispondere: «Sí. La classe operaia rivoluzionaria ave-
va e ha la coscienza di dover fondare un nuovo Stato, di dover elaborare col suo tenace e pa-
ziente lavoro una nuova struttura economica, di dover fondare una nuova civiltà». È relativa-
mente facile delineare, già fin d’oggi, la configurazione del nuovo Stato e della nuova struttura
economica. Si è persuasi che in questo campo, assolutamente pratico, per un certo periodo di
tempo non si potrà far altro che esercitare un potere ferreo sull’organizzazione esistente,
sull’organizzazione costruita dalla borghesia: da questa persuasione nasce lo stimolo alla lotta
per la conquista del potere e nasce la formula con cui Lenin ha caratterizzato lo Stato operaio:
«Lo Stato operaio non può essere, per un certo tempo, altro che uno Stato borghese senza la
borghesia».
Il campo della lotta per la creazione di una nuova civiltà è invece assolutamente misterio-
so, assolutamente caratterizzato dall’imprevedibile e dall’impensato. Una fabbrica, passata dal
potere capitalista al potere operaio, continuerà a produrre le stesse cose materiali che oggi pro-
duce. Ma in qual modo e in quali forme nasceranno le opere di poesia, del dramma, del roman-
zo, della musica, della pittura, del costume, del linguaggio? Non è una fabbrica materiale quella
che produce queste opere: essa non può essere riorganizzata da un potere operaio secondo un
piano, non può esserne fissata la produzione per la soddisfazione di bisogni immediati control-
labili e fissabili dalla statistica. In questo campo nulla è prevedibile che non sia questa ipotesi
generale: esisterà una cultura (una civiltà) proletaria, totalmente diversa da quella borghese; an-
che in questo campo verranno spezzate le distinzioni di classe, verrà spezzato il carrierismo
borghese; esisterà una poesia, un romanzo, un teatro, un costume, una lingua, una pittura, una
musica caratteristici della civiltà proletaria, fioritura e ornamento dell’organizzazione sociale
proletaria. Cosa resta a fare? Niente altro che distruggere la presente forma di civiltà. In questo
campo «distruggere» non ha lo stesso significato che nel campo economico: distruggere non si-
gnifica privare l’umanità di prodotti materiali necessari alla sua sussistenza e al suo sviluppo;
significa distruggere gerarchie spirituali, pregiudizi, idoli, tradizioni irrigidite, significa non a-
ver paura delle novità e delle audacie, non aver paura dei mostri, non credere che il mondo ca-
schi se un operaio fa errori di grammatica, se una poesia zoppica, se un quadro assomiglia a un
cartellone, se la gioventú fa tanto di naso alla senilità accademica e rimbambita. I futuristi han-
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Non firmato, L’Ordine Nuovo, 5 gennaio 1921.
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Scritti politici II Antonio Gramsci

no svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto,
senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso
un’opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie
giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande in-
dustria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme
di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivo-
luzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamen-
te di simile questione, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto
precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si
vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del
potere borghese nello Stato e nella fabbrica. I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura,
sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non
riuscirà per molto tempo a fare di piú di quanto hanno fatto i futuristi: quando sostenevano i fu-
turisti, i gruppi di operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi
operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi; questi operai sostenevano la storicità, la
possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi.

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