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Wagner e Darwin, Hanslick e D’Arcy 357

Editoriale

Wagner e Darwin, Hanslick e D’Arcy: dai vortici del divenire alla


bellezza matematica

Alla metà dell’ottocento erano all’opera due maestri, della mu-


sica e della biologia: Richard Wagner e Charles Darwin. Che cosa
accomunava questi due grandi? In territori diversi, essi furono due
campioni dell’ultimo romanticismo, cioè della spontaneità e della
passione, contro la freddezza del razionalismo. Che ciò valesse per
Wagner è noto, meno evidente è come Darwin rientri nella cate-
goria dei romantici.
Wagner aveva scritto nel 1848 un manifesto rivoluzionario, che
gli doveva costare l’abbandono di Dresda e l’esilio a Zurigo. Nel
suo manifesto egli informava che il teatro musicale poteva realizza-
re lo scopo di appassionare l’ascoltatore e condurlo verso la rinasci-
ta morale e politica, meglio di quanto potesse farlo qualunque di-
scorso. La grande musica esprime, per il maestro di Lipsia, il flut-
tuare dei sentimenti attraverso il moto incessante dei suoni, e tra-
scina ogni cosa nei vortici del divenire. Nel suo “teatro totale” egli
realizza un decorso temporale ininterrotto di suoni che produce
nello spettatore una immedesimazione quasi mistica nel dramma,
trascinandolo in una sorta di rito collettivo.
Dieci anni dopo il manifesto wagneriano, Darwin dava alle
stampe la sua opera rivoluzionaria su L’Origine delle Specie (1859).
In che senso questo pedante testo di storia naturale si inserisce nel
filone romantico? Nonostante il titolo dell’opera darwiniana con-
tenga il termine “specie”, è proprio il concetto di Specie, come
entità definita e stabile, che Darwin si impegnò ad abrogare. Egli

Rivista di Biologia / Biology Forum 97 (2004), pp. 357-364.


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concepì i viventi come un grande flusso in divenire, un fiume inar-


restabile, che dalle forme più semplici portava alle forme superiori,
dai protozoi, agli insetti, ai vertebrati, all’uomo. Una spinta alla
crescita e al progresso sospinge la vita verso il suo nobile destino. Il
progresso si realizza attraverso qualcosa che corrisponde alla edifi-
cazione wagneriana: l’acquisizione di successive manifestazioni
funzionali, dalla nutrizione, al movimento, all’articolazione, al san-
gue caldo, alla musica, al pensiero. In altre parole, dietro ogni for-
ma – una mano, un’ala, una foglia – c’è una ragione pratica, uno
scopo vitale, una aspirazione alla trasformazione . Il darwinismo è
diventato una moda, che dura tutt’oggi, anche se ha perso, strada
facendo, tutta la sua carica romantica, è diventato un astratto cal-
colo di frequenze geniche e pretende di essere l’unica spiegazione
“razionale” della vicenda della vita.
Anche il wagnerismo fu per qualche tempo una moda, seppure
di più breve durata. Già nel 1864 era stata data alle stampe una
critica, ben argomentata, opera di quello che fu considerato l’anti-
Wagner, Eduard Hanslick. Questi sosteneva, in un fascicolo dal
titolo Del Bello Musicale, che la musica non è in grado di esprime-
re alcuno specifico sentimento, alcuna funzione emotiva. Infatti,
sulla stessa musica, si possono cantare parole di contenuto diverso,
opposto. Gluck aveva commosso le platee di mezzo mondo con il
canto disperato di Orfeo che lamenta la perdita di Euridice:
J’ai perdu mon Eurydice,
Rien n’égale mon malheur.
La stessa melodia si poteva adattare ad esprimere il tripudio del
cantore al ritrovamento dell’amata:
J’ai trouvé mon Eurydice,
Rien n’egale mon bonheur.
Argomenta Hanslick: “Quante opere di Mozart si giudicarono
al suo tempo come la musica più appassionata, più audace e più
ardente che potesse esistere, come il massimo che si potesse rag-
giungere nella rappresentazione musicale degli stati d’animo!…
Venti o trent’anni dopo … il posto di Mozart, come rappresentan-
te della passione viva e travolgente fu occupato da Beethoven, e
Mozart fu promosso alla olimpica classicità di Haydn”.
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Per Hanslick, il contenuto della musica sono i suoni, le armo-


nie, la bellezza matematica. I sentimenti sono esteriori e fungibili,
non ne sono il corpo. Scriverà Nietzsche in Musica e Parola : “Da-
vanti alle più alte rivelazioni della musica sentiamo persino invo-
lontariamente la volgarità di ogni figuratività e di ogni affetto
invocato per analogia… Davanti alla più alta Divinità che real-
mente si rivela, il simbolo non ha più significato: esso appare addi-
rittura come un’oltraggiosa esteriorità”.
Nella biologia, Darwin corrisponde a Wagner. Il fondatore del-
la teoria dell’Evoluzione vede nello svilupparsi delle espressioni
utilitarie – il nuoto, la vista, il volo, gli strumenti di combattimen-
to, le attrattive sessuali – gli unici motori della evoluzione, e con-
sidera le strutture profonde dei viventi, le forme universali, come
residui ancestrali. Ogni dettaglio di un animale e d’una pianta ha,
o ha avuto, uno scopo pratico, altrimenti non ha ragione d’esserci.
Possiamo vedere l’anti-Darwin in D’Arcy Wentworth
Thompson che, ai primi del novecento scrisse la sua opera fonda-
mentale, Crescita e Forma (1917). Senza affrontare direttamente il
darwinismo, D’Arcy lo contraddice nella sua asserzione centrale,
l’utilitarismo. “L’armonia del mondo, scrisse, si manifesta nella
forma e nel numero, e il cuore e l’anima e tutta la poesia della na-
tura si incarnano nel concetto di bellezza matematica. I problemi
della forma sono prima di tutto problemi matematici; i problemi
dell’accrescimento sono essenzialmente problemi fisici”. All’oppo-
sto di Spencer egli sostiene che la struttura precede la funzione. “La
natura esibisce semplicemente un riflesso delle forme contemplate
dalla geometria”. D’Arcy ricavò il profilo di una foglia da una for-
mula trigonometrica e ritrovò nello scheletro dei radiolari i famosi
cinque solidi platonici.
Un grande citologo portoghese vivente, Antonio Lima-de-Faria,
in un’opera tradotta di recente in italiano, Evoluzione senza Selezio-
ne (Nova Scripta, Genova 2003), ha dimostrato che le forme tipi-
che della natura, vivente e non, sono espressioni di leggi interne di
composizione, indipendenti dalle dimensioni, dalla materia, dalle
funzioni. La forma a spirale di una galassia, quella del corno del-
l’ariete, della conchiglia del Nautilus, di una foglia di Drosera in
svolgimento, dell’alga Spirulina, per non dire di una molecola pro-
teica ad alfa-elica, appartengono a mondi diversi, sono estranee
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l’una all’altra, eppure sorelle nella struttura, figlie della stessa legge.
Consideriamo il canto di un uccellino, un passerotto di nome
Pettazzurro. Quest’esserino, raggiunta una certa età, produce, sen-
za averlo appreso da nessuno, un canto delizioso, elaborato, com-
plesso, che è la gioia e lo stupore dei musicologi. Ma perché canta?
I darwinisti hanno trovato subito una risposta, che sarebbe piaciu-
ta a Wagner. Canta per commuovere, per impaurire gli intrusi, per
attirare l’amata. Uno studio più attento del concerto del pettazzur-
ro ha accertato che, se vuole cacciare gli intrusi dal suo territorio,
l’uccellino emette solo poche sequenze sonore, brevi e sgraziate.
Anche il suo repertorio amoroso è povera cosa. Il suo canto più
bello e completo sgorga dalla sua gola quando se ne sta in pace nel
suo cespuglio, quando canta per cantare o, come commenta Lorenz,
“poeta con sé stesso”.
Al di là della musica e della realtà biologica, c’è una vibrazione
misteriosa, “divina” la chiama Nietzsche, sulla quale possiamo sin-
tonizzarci, sempre che riusciamo ad andare oltre il sentimentali-
smo musicale e l’utilitarismo biologico.

Giuseppe Sermonti␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣
gsermonti@hotmail.com ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣

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