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l’una all’altra, eppure sorelle nella struttura, figlie della stessa legge.
Consideriamo il canto di un uccellino, un passerotto di nome
Pettazzurro. Quest’esserino, raggiunta una certa età, produce, sen-
za averlo appreso da nessuno, un canto delizioso, elaborato, com-
plesso, che è la gioia e lo stupore dei musicologi. Ma perché canta?
I darwinisti hanno trovato subito una risposta, che sarebbe piaciu-
ta a Wagner. Canta per commuovere, per impaurire gli intrusi, per
attirare l’amata. Uno studio più attento del concerto del pettazzur-
ro ha accertato che, se vuole cacciare gli intrusi dal suo territorio,
l’uccellino emette solo poche sequenze sonore, brevi e sgraziate.
Anche il suo repertorio amoroso è povera cosa. Il suo canto più
bello e completo sgorga dalla sua gola quando se ne sta in pace nel
suo cespuglio, quando canta per cantare o, come commenta Lorenz,
“poeta con sé stesso”.
Al di là della musica e della realtà biologica, c’è una vibrazione
misteriosa, “divina” la chiama Nietzsche, sulla quale possiamo sin-
tonizzarci, sempre che riusciamo ad andare oltre il sentimentali-
smo musicale e l’utilitarismo biologico.
Giuseppe Sermonti␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣
gsermonti@hotmail.com ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣ ␣