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In limine

Esplorazioni attorno all’idea di confine


a cura di Francesco Calzolaio, Erika Petrocchi, Marco Valisano, Alessia Zubani

Etica del limite e limiti dell’etica


Un percorso introduttivo alla filosofia
di Stanley Cavell
Andrea Di Gesu
(Scuola Normale Superiore di Pisa, Italia)

Abstract The ethical reflexion of Stanley Cavell finds its roots in a peculiar interpretation of Witt-
genstein’s later philosophy, focusing especially on the epistemological discussions about skepticism
and the nature of language. Through a reading of his major works, we will show how the american
philosopher has proposed an ethical thought which originates from his studies about knowledge
and, above all, about its limits: we will see how his work has not only recasted the debate about the
skeptical position, but has also defined an alterative way to understand ethics, its reality and its his-
tory, proposing thus a paradigm whose popularity seems increasingly to grow.

Sommario 1 Introduzione. – 2 Wittgenstein e lo scetticismo. – 3 L’etica del riconoscimento e la


ridefinizione della soggettività. – 4 Il perfezionismo. – 5 Conclusioni.

Keywords Cavell. Perfectionism. Wittgenstein. Skepticism.

1 Introduzione

L’itinerario filosofico di Stanley Cavell presenta una curvatura estrema-


mente caratteristica. I suoi primi, ormai celebri, lavori (Cavell 1969, 1979)
si sono infatti concentrati sulla proposta di un’interpretazione complessiva
dell’opera di Ludwig Wittgenstein che ha contributo a creare una vera e
propria scuola critica fortemente eterodossa e sempre più apprezzata,1 per
poi dedicarsi ad un indagine incentrata sulle implicazioni etiche e politi-
che di tale ordine di pensieri. Se è vero che questo disegno generale non
esaurisce in alcun modo una carriera filosofica ricca e irriducibilmente,
nonché metodicamente, multidisciplinare – impossibile non menzionare in
particolare i contributi cavelliani sulla filosofia del cinema (Cavell 1971,
1981) –, esso costituisce nondimeno un ottimo mezzo per comprendere

1 Ci riferiamo alla corrente nota con il nome di New Wittgenstein, di cui Cavell è indub-
biamente uno dei massimi esponenti. Si veda a tal proposito Crary 2000.

Studi e ricerche 9
DOI 10.14277/6969-167-6/SR-9-10 | Submission 2017-04-21 | Acceptance 2017-05-19
ISBN [ebook] 978-88-6969-167-6 | ISBN [print] 978-88-6969-168-3 | © 2017
© 2017 | cb Creative Commons Attribution 4.0 International Public License 193
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il quadro complessivo della riflessione del filosofo americano, rappresen-


tandone compiutamente le principali direttrici di ricerca. In questo testo
seguiremo tale tracciato, presentando dapprima i punti principali dell’in-
terpretazione cavelliana di Wittgenstein con una particolare attenzione
alla discussione sullo scetticismo, e passando in seguito ad analizzare le
implicazioni etiche e politiche tratte da Cavell da tale lavoro interpretativo.
Scopo del nostro lavoro sarà quello di mostrare come sia stata la rifles-
sione, squisitamente epistemologica, sulla natura del linguaggio, della
conoscenza e dei suoi limiti, ad aver costituito il punto di partenza per i
successivi sviluppi nell’ambito dell’etica e della politica: proponendo non
solo una presentazione generale del pensiero del filosofo americano, ma
cogliendo l’importanza centrale che vi assume una peculiare discussione
sull’idea di limite.

2 Wittgenstein e lo scetticismo
Punto di partenza della riflessione cavelliana su Wittgenstein è la consi-
derazione che le Ricerche filosofiche contengano un prolungato confronto
con le posizioni scettiche – prototipo delle quali sono, per il filosofo di
Harvard, i procedimenti dubitativi cartesiani (Cavell 1979, 180) –, imper-
sonate di volta in volta da alcuni interlocutori immaginari a cui l’autore si
rivolge. Secondo la visione tradizionale, che Cavell considera esemplificata
in massimo grado dalle idee di due noti critici wittgensteiniani, Malcolm
e Albritton (29), la teoria wittgensteiniana dei criteri, e in generale la
nozione di grammatica, servirebbero precisamente ad escludere la pos-
sibilità stessa dello scetticismo permettendo di fondare con certezza gli
enunciati sull’esistenza di un determinato oggetto; in altre parole, que-
sta posizione «considera che la motivazione di Wittgenstein nei confronti
dello scetticismo sia animata dall’intenzione di mostrarne la falsità» (29).
Contro questa influente posizione, Cavell sottolinea non solo che i criteri
wittgensteiniani non siano in grado di garantire alcun tipo di certezza, ma
soprattutto che la confutazione dello scetticismo non sia affatto lo scopo
del filosofo austriaco. Vediamo perché.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il filosofo americano sottolinea
che i criteri wittgensteiniani sono di natura strettamente grammaticale,
e riguardano non oggetti specifici, ma oggetti del tutto generici. Questo
significa che essi non forniscono una prova per l’esistenza di una certa
cosa, quanto un mezzo per la sua corretta identificazione:

i criteri non mettono in relazione un nome con un oggetto, ma potremmo


dire, diversi concetti con il concetto di quell’oggetto. (Cavell 1979, 111)

Sembrerebbe dunque lecita la generica obiezione radicalmente scettica


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secondo la quale non possiamo essere certi dell’esistenza del mondo ester-
no sulla base dei nostri criteri linguistici, poiché in essi non è possibile
trovare alcuna garanzia in questo senso. La risposta di Cavell tuttavia mira
a stravolgere totalmente il piano del discorso, illuminando così il secondo
aspetto che abbiamo messo in luce: il fatto che la natura dei criteri witt-
gensteiniani non ci restituisca alcuna certezza non è da intendersi come
una fondamentale manchevolezza dell’essere umano nelle sue possibilità
conoscitive, quanto come la constatazione che il nostro rapporto con il
mondo non è, primariamente, un rapporto di conoscenza; è questo aspetto
della natura del vivente umano che Wittgenstein vuole mettere in luce con
la sua nozione di criterio, non tentando dunque di delineare il fondamento
delle nostre pretese di conoscenza (che costituirebbe una confutazione
dello scetticismo) ma la loro infondabilità, che coincide con l’infondatezza
della nostra posizione nel mondo. Detto altrimenti, fa parte della forma di
vita umana il fatto di essere esposta alla più radicale infondatezza, e perciò
la strategia scettica confonde un tratto della natura umana per un difetto
nelle sue capacità gnoseologiche. Ciò che fa lo scettico non è mostrare un
limite invalicabile a tutte le nostre velleità conoscitive, ma negare l’uma-
nità delle nostre produzioni di senso, non accettare il fatto che esse siano
costitutivamente limitate, cioè esposte al fallimento, alla dimenticanza, alla
caducità: egli rifiuta, insomma, la forma di vita umana stessa. Un rifiuto,
beninteso, che si mostra anch’esso profondamente umano, derivante pre-
cisamente dalla percezione angosciante della mancanza di certezza delle
nostre produzioni di senso, dalla fallibilità radicale dei nostri criteri:

Dato che i criteri sono solo umani, naturali per noi in virtù del modo in
cui cui concordiamo nel linguaggio ma non metafisicamente allineati
con alcunchè nella natura delle cose, lo scetticismo, il rifiuto dei cri-
teri, è una possibilità costitutiva degli esseri umani. Per Cavell, ciò ci
dovrebbe mostrare che la nostra relazione verso il mondo e gli altri in
esso non dovrebbe essere vista primariamente (o solamente) come una
relazione di conoscenza, dove la conoscenza è concepita come certezza.
(Hammer 2002, 32)

Così Cavell riassume quanto detto finora:

Il ricorso di Wittgenstein ai criteri, sebbene […] ricavi la sua impor-


tanza dal problema dello scetticismo, non è però, né intende essere,
una confutazione dello scetticismo. […] Vale a dire, esso non nega la
tesi conclusiva dello scetticismo, secondo cui noi non conosciamo con
certezza l’esistenza del mondo esterno (o delle altre menti). Al contra-
rio, Wittgenstein, nella mia lettura, afferma piuttosto quella tesi, o la
considera innegabile e, così facendo, ne opera una dislocazione. Ciò
che la tesi ora significa è qualcosa del genere: la nostra relazione al
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