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AGOSTINO D'IPPONA Appunti PDF
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L'EVOLUZIONE SPIRITUALE
Queste fasi della vita di Agostino e le vicende a esse connesse risultano per molti aspetti decisive ai fini della
sua formazione spirituale e dell'evoluzione del suo pensiero filosofico e teologico e pertanto dobbiamo
parlarne in modo dettagliato.
La prima personalità che incise profondamente sull'animo di Agostino fu, senza dubbio, quella della madre
Monica (la figura del padre Patrizio, invece, fu piuttosto scialba ed evanescente), la quale, con la sua ferma fede
e con la sua coerente testimonianza cristiana, gettò in un certo senso le basi e costruì le premesse della futura
conversione del figlio. Monica aveva una modesta cultura, ma era forte appunto di quella fede che, nella
religione predicata da Cristo, mostra agli umili quelle verità che nasconde alla superbia dei dotti e dei sapienti.
Dunque, le verità di Cristo viste attraverso la forte fede della madre sono il punto di partenza dell'evoluzione di
Agostino, anche se egli per parecchi anni non accetterà la religione cristiana cattolica e continuerà a cercare
altrove la propria identità.
Il secondo incontro fondamentale fu con l’ Ortensio di Cicerone, opera che convertì Agostino alla filosofia,
mentre studiava a Cartagine. In questo scritto Cicerone sosteneva un concetto di filosofia intesa in maniera
tipicamente ellenistica come saggezza e arte del vivere che dona felicità. «In verità - scrive Agostino nelle
Confessioni - quel libro cambiò i miei sentimenti e fece perfino diverse le mie preghiere [...] e diversi i miei voti
e i miei desideri. Improvvisamente mi diventò vile ogni umana speranza e con ardore incredibile dell’anima
bramavo la sapienza immortale».
L'ardore acceso dall'Ortensio era, tuttavia, smorzato dal fatto che Agostino non vi trovava il nome di Cristo:
«Poiché codesto nome [...] il mio cuore ancor tenero l'aveva bevuto piamente insieme con il latte materno, e lo
conservava scolpito profondamente; e tutto quanto fosse senza codesto nome, per quanto letterariamente
forbito e veritiero, non mi conquistava del tutto».
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Agostino si rivolse quindi alla Bibbia, ma non la comprese. Lo stile con cui era scritta, tanto diverso da quello
ricco di raffinatezze della prosa ciceroniana, e il modo antropomorfico con cui sembrava parlare di Dio
(nell’Antico Testamento) costituirono un blocco insuperabile.
A diciannove anni (373) Agostino abbracciò il Manicheismo, che sembrò, insieme, offrirgli una dottrina di
salvezza a livello razionale e far posto anche a Cristo. Il Manicheismo, che è una religione fondata dal persiano
Mani nel III secolo, implicava un acceso razionalismo, un marcato materialismo e un radicale dualismo nella
concezione del bene e del male, intesi come principi non solo morali, ma anche ontologici e cosmici, vale a dire
come due divinità antagoniste.
Ecco alcuni stralci dallo scritto Sulle eresie di Agostino, che illustrano alcuni dei punti salienti di questa
religione. I manichei, scrive Agostino, affermarono «l'esistenza di due principi tra loro diversi e avversi e, nel
tempo stesso, eterni e coeterni [...] e, seguendo altri eretici antichi, immaginarono due nature e sostanze, del
bene e del male. Secondo i loro dogmi, affermano che queste due sostanze sono in lotta e commiste tra loro
[...]». La dottrina manichea - riferisce ancora Agostino - presentava i modi in cui il bene si purifica dal male
facendo largo uso di narrazioni fantastiche. Il bene è la luce, sole e luna sono i vascelli che riconducono a Dio la
luce sparsa in tutto il mondo e mescolata al principio opposto. La purificazione del bene dal male è operata
anche dalla classe degli uomini "eletti" che, insieme a quella degli "uditori", costituiva la loro chiesa. Gli eletti
purificavano il bene, non solo con una vita pura (castità e rinuncia alla famiglia), ma anche astenendosi dai
lavori materiali e seguendo un’alimentazione particolare. Gli "uditori", che vivevano una vita meno perfetta,
procuravano, in compenso, ciò che occorreva alla vita degli "eletti". Per i manichei, Cristo fu rivestito solo di
carne apparente, e apparenti furono quindi la sua morte e la sua resurrezione.
Mosé non fu ispirato da Dio, ma da uno dei prìncipi delle tenebre, e perciò l’Antico Testamento era da
respingere. La promessa dello Spirito Santo fatta da Cristo si sarebbe realizzata in Mani. I manichei giungevano,
nel loro dualismo estremo, a non attribuire il peccato al libero arbitrio dell’uomo, bensì all’universale principio
del male che agisce anche in noi: «La concupiscenza della carne [...] vogliono che sia una sostanza contraria [...]
e che due anime e due intelligenze, l’una buona, l’altra cattiva, lottino fra loro nell’uomo, essere unico, quando la
carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne».
Il "razionalismo" di questa eresia sta nell'eliminazione della necessità della fede, più che nella spiegazione di
tutta la realtà con la pura ragione. Mani è un orientale, e, come tale, fa largo posto alla fantasia e
all’immaginazione.
Agostino, di conseguenza, venne colto assai presto da molti dubbi. L’incontro avuto con il vescovo manicheo
Fausto lo convinse dell’insostenibilità di quella dottrina. Fausto, infatti, che pure era considerato la maggiore
autorità di quella setta in quel momento, non fu in grado di risolvere nessuno di quei dubbi e lo ammise anche
sinceramente.
Già nel 383/384 Agostino si distaccò, interiormente, dal Manicheismo e fu tentato di abbracciare la filosofia
degli Scettici , secondo la quale l'uomo deve dubitare di ogni cosa, perché di nulla può avere conoscenze certe.
Ma ancora una volta, non si sentì di seguire gli scettici, perché nei loro scritti non trovava il nome di Cristo. Del
Manicheismo, tuttavia, manteneva ancora il materialismo, che gli pareva l’unico modo possibile di intendere la
realtà, e il dualismo, che gli sembrava dar ragione dei forti conflitti fra bene e male che sentiva nel suo animo.
Gli incontri risolutivi di Agostino ebbero luogo a Milano.
• Dal vescovo Ambrogio apprese il modo corretto di affrontare la Bibbia, che, di conseguenza, gli diventò
intellegibile.
• La lettura dei libri dei neoplatonici gli rivelò la realtà dell’immateriale e la non realtà del male.
• Dalla lettura di san Paolo apprese, infine, il senso della fede, della grazia e del Cristo redentore. Gli antichi
ceppi, che lo avevano tenuto così a lungo legato, si spezzarono definitivamente. Data l’importanza di questi
incontri, alcune precisazioni risultano necessarie.
Dapprima Agostino ascoltò Ambrogio con interesse da professionista, ossia come retore che ascolta un altro
retore. Però - egli scrive sempre nelle Confessioni - «mentre aprivo il cuore per accogliere l’eloquenza, vi
entrava, del pari, anche la verità, ma a poco a poco [...]: specialmente dopo ch’ebbi sentito esporre e molto
spesso risolvere passi oscuri dell’antica Scrittura, che io prendevo alla lettera, rimanendone ucciso». Il ripudio
manicheo dell’Antico Testamento gli parve ormai ingiustificato e infondato.
Gli autori neoplatonici Plotino e Porfirio gli suggerirono, finalmente, la soluzione delle difficoltà ontologico-
metafisiche in cui si trovava invischiato. Oltre che la concezione dell’incorporeo e la dimostrazione che il male
non è sostanza ma semplice privazione, Agostino trovò nei platonici anche molte tangenze con la Scrittura, ma,
ancora una volta, non vi trovò un punto essenziale, ossia che Cristo figlio di Dio morì per la remissione dei
peccati degli uomini: «Questo - egli scrisse - non vi si legge».
Quella del Cristo crocifisso per la remissione dei peccati degli uomini è una verità che Agostino non poteva
trovare in nessuno dei filosofi, perché, secondo la dottrina cristiana, come abbiamo già ricordato, Dio ha voluto
tenerla nascosta ai sapienti, per rivelarla agli umili e, quindi, è una verità che, per essere acquisita, richiede
un’interiore rivoluzione non di ragione ma di fede. E per operare questa interiore rivoluzione, proprio il Cristo
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crocifisso è la via. Agostino apprende tutto questo soprattutto da Paolo, come egli stesso ci dice nelle
Confessioni: «Altra cosa è scorgere la patria della pace da un cocuzzolo avvolto dalla boscaglia e non trovare la
strada che conduce a essa e affaticarsi inutilmente per luoghi impraticabili, assediati tutt’intorno e infestati da
disertori fuggitivi [...]; altra cosa, invece, trovarsi sulla strada buona, resa sicura, per la sollecitudine dell’impe-
ratore celeste, dagli assassini che la celeste milizia hanno disertato, i quali, anzi, la evitano, come fosse un
supplizio. Queste verità mi penetravano in modo meraviglioso, mentre leggevo le pagine del "minimo'' dei tuoi
apostoli».
L'ultima fase della vita di Agostino fu caratterizzata dagli scontri polemici e dalle battaglie contro gli eretici.
Fino al 404 durò la stagione polemica contro i manichei. Successivamente Agostino fu impegnato in prevalenza
contro i donatisti, i quali sostenevano la necessità di non riammettere nella comunità quanti durante le
persecuzioni avevano ceduto ai persecutori apostatando o sacrificando agli idoli, e sostenevano di conseguenza
la non validità dei sacramenti amministrati da vescovi o da preti che si fossero macchiati di tali colpe. Agostino
comprese bene che l’errore di Donato e dei suoi seguaci consisteva nel far dipendere la validità del sacramento
non dalla grazia di Dio, ma dalla purezza del suo ministro. Nella conferenza di vescovi tenuta a Cartagine nel
411 Agostino colse i frutti della sua polemica con una netta vittoria. Dal 412 Agostino polemizzò in particolare
contro Pelagio e i suoi seguaci, che sostenevano essere sufficienti per la salvezza dell'uomo la buona volontà e
le opere, trascurando la necessità della grazia. Sant'Agostino mostrò in una serie di opere come la rivelazione
cristiana, contrariamente a quanto sostenevano i pelagiani, ruoti essenzialmente intorno alla necessità della
grazia. La sua tesi trionfò nel Concilio di Cartagine del 417 e il papa Zosimo condannò il Pelagianesimo. La tesi
di Pelagio era in sostanziale sintonia con la convinzione che i Greci avevano circa l’autarchia della vita morale
dell'uomo; per contro, la tesi di Agostino era che il Cristianesimo capovolgeva quella convinzione. Scrive
giustamente il filologo tedesco Max Pohlenz: «Il fatto che la Chiesa si pronunciasse per tale dottrina segnò la
fine dell’etica pagana e di tutta la filosofia ellenica: e così cominciò il Medioevo».
LE OPERE
La produzione letteraria di Agostino è immensa. Ricorderemo le opere principali. Scritti di carattere
prevalentemente filosofico: Contro gli Accademici, La vita felice, I soliloqui, L'immortalità dell'anima.
Il capolavoro teologico è La Trinità (399-419). Il capolavoro apologetico è La Città di Dio (413-427).
Numerosi poi sono gli scritti contro i manichei, i donatisti e i pelagiani. Generi letterari nuovi costituirono le
Confessioni (397), che sono un vero capolavoro anche dal punto di vista letterario, e le Ritrattazioni
(426/427), in cui Agostino riesamina e rettifica alcune tesi contenute nella sua precedente produzione che non
erano o non gli sembravano perfettamente in linea con la fede cristiana.
LA CENTRALITA’ DELL’IO
L’opera più nota di Sant’Agostino è “Confessiones” (in 13 libri), scritta intorno al 400, unanimemente ritenuta
tra i massimi capolavori della letteratura cristiana. In essa, Sant'Agostino, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e
in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Si tratta di un’opera complessa, in cui la
narrazione si intreccia con la preghiera e con la riflessione filosofica e teologica. Ma soprattutto è
un’autobiografia, in cui l’autore parla sinceramente della propria esistenza, giudicandola severamente con
l’atteggiamento del peccatore pentito.
Il fatto che un filosofo scriva un’autobiografia costituisce una novità nella storia del pensiero: nessun filosofo
antico aveva narrato la propria vita e aveva scandagliato la propria anima con tanta profondità. Per questa
capacità di scavo interiore le Confessioni sono considerate un’opera di grande modernità, che prelude alla
narrativa introspettiva del Novecento, alla psicologia e alla psicanalisi.
Ma da che cosa nasce questa novità? I filosofi antichi non riflettevano e non scrivevano sulle proprie vicende
biografiche (se non incidentalmente e occasionalmente) perché per loro l’esistenza individuale aveva scarso
valore; essi erano interessati a ciò che è universale e permanente, non al singolo individuo, particolare e
transitorio. Invece il singolo individuo diventa interessante e acquista un valore infinito per gli autori cristiani,
perché per il Cristianesimo ogni individuo è creato da Dio e, soprattutto, è oggetto dell’amore di Dio, quindi
nella vita di ogni individuo si manifesta l’azione del Dio eterno.
Infatti la vita di Agostino è contrassegnata da una ricerca inquieta, tormentata, della verità e della felicità,
ricerca che lo ha condotto, passando attraverso errori (intellettuali) e colpe (morali), fino alla scoperta di Gesù
Cristo - Dio. Nella conversione al Cristianesimo Agostino trova finalmente la verità e la pace. Egli capisce però
che l’inquietudine, la sete inesausta di verità e felicità, è suscitata nel cuore umano da Dio stesso, che vuole farsi
cercare: l’uomo è alla ricerca di Dio perché Dio è alla ricerca dell’uomo!
L’interesse fondamentale e il problema prioritario di Agostino è l’uomo, non però l’uomo in astratto, in
generale, ma l’io, l’individuo, la persona; Agostino è ad un tempo il soggetto e l’oggetto della sua filosofia, che
acquista quindi un carattere esistenziale e personale sconosciuto alla filosofia greca.
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«Io non comprendo tutto quello che sono» , «Io ero diventato un problema a me stesso» (Confessioni)
L’io è il problema per Agostino perché è in una condizione di crisi e di dispersione, di inquietudine e di ricerca;
il problema dell’io quindi rimanda a Dio come termine e fine di questa ricerca:
«Tu, o Dio, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non trovi riposo in te» (Confessioni).
«Io desidero conoscere Dio e l’anima. Nient’altro, assolutamente» (Soliloqui). Per Agostino quindi la ricerca
della verità dell’io e la ricerca di Dio coincidono.
FEDE E RAGIONE
Per Agostino fede e ragione sono complementari, rimandano l’una all’altra, e anche se la fede in definitiva ha il
primato, la posizione di Agostino non è affatto quella di un fideismo irrazionale (tipo “credo quia absurdum”).
Infatti secondo Agostino la fede illumina il cammino che deve essere percorso dalla ragione, la fede introduce
alla verità, che poi deve essere indagata, chiarita e spiegata con la ragione. D’altra parte la ragione spiegando e
vagliando criticamente la verità rivelata dalla fede rafforza e giustifica la fede stessa.
Questo è il significato della nota formula: «Crede ut intelligas, intellige ut credas» (credi per capire, capisci
per credere). C’è una ragionevolezza della fede, che consiste nel credere a Gesù Cristo (fidarsi di Lui) e ai suoi
testimoni con “buoni motivi”. Il problema di fondo, per Agostino, è la conoscenza della verità, che trascende
l’uomo, e a cui l’uomo tende sia con la fede sia con la ragione .
LA TRINITA’
Il “De Trinitate” costituisce l’opera teologica più importante di Agostino; in essa Agostino riflette sul mistero
dell’unità e trinità di Dio (mistero rivelato e dogma fondamentale del cristianesimo), ma anche sulla
costituzione della mente umana, offrendo un esempio di quel rapporto di complementarietà tra fede e ragione
precedentemente esposto.
Secondo la fede cristiana Dio è un’unica sostanza divina (è quindi confermato il monoteismo ebraico) in tre
persone: Padre, Figlio e Spirito Santo, definite filosoficamente, ma a partire da nomi biblici, Essere, Verità,
Amore). La ragione non può comprendere pienamente questo mistero, però può avvicinarsi ad esso attraverso
un’analogia con la realtà creata e in particolare con l’anima umana. Infatti tutta la creazione porta in sè
l’impronta, le tracce del suo creatore, e ciò vale in particolare per l’uomo che è stato creato “ad immagine e
somiglianza di Dio”. Infatti in tutta la realtà Agostino evidenzia strutture triadiche che rimandano appunto alla
Trinità creatrice. Ma soprattutto la mente umana è immagine della Trinità, perché anch’essa è una e triplice, in
quanto nella sua unità sono congiunte tre facoltà: la memoria (su cui si fonda l’identità dell’anima, cioè il suo
essere, nel fluire del tempo), l’intelligenza, con cui l’anima conosce, la volontà con cui l’anima ama.
Esiste pertanto una corrispondenza fra le facoltà del’anima e le persone della Trinità divina, la quale,
conosciuta per fede, orienta l’analisi della mente, e l’analisi della mente permette di penetrare nel mistero
dell’unità e trinità divina.
LA CREAZIONE
Agostino volendo chiarire il senso della dottrina biblica secondo cui Dio ha creato tutte le cose dal nulla,
distingue la creazione dal nulla da:
A) la generazione, in cui si produce qualcosa dalla propria sostanza, e il generato è uguale (della stessa
sostanza) del generante; B) la fabbricazione, in cui si produce qualcosa utilizzando sostanze preesistenti.
L’uomo può generare e può fabbricare, non può invece creare dal nulla. Dio invece ha creato le cose facendole
sorgere dal nulla, donando loro tutto l’essere. Questa spiegazione dell’origine della realtà era del tutto estranea
al pensiero greco, e anche Platone, che nel Timeo aveva spiegato l’esistenza del mondo facendo riferimento a
una divinità creatrice (il Demiurgo), aveva detto che il Demiurgo plasma una materia preesistente secondo il
modello delle Idee preesistenti (quindi si tratta di fabbricazione, non di creazione ex nihilo).
Anche secondo Agostino la creazione avviene secondo dei modelli ideali, che però non sussistono al di fuori di
Dio, ma sono i pensieri stessi di Dio.
La creazione è un dono gratuito e libero di Dio, dovuto alla sua bontà e alla sua potenza, e poiché tutto deriva da
Dio (anche la materia) tutto è buono.
La teoria creazionista incontra due problemi: quello del tempo (quando è avvenuta la creazione?) e quello del
male (se tutto deriva da Dio, supremo bene, come si spiega il male?)
IL TEMPO
Quando è avvenuta la creazione? Cosa faceva Dio prima di creare il mondo? questi interrogativi presuppongono
una concezione del tempo come dimensione assoluta, che contiene anche Dio, e che quindi sfugge alla
creazione. Agostino risponde che il tempo è creato insieme all’universo, è una dimensione della realtà creata e
quindi deriva anch’esso da Dio. Dio poi esiste al di fuori del tempo, l’eternità di Dio non va intesa come
un’estensione infinita del tempo ma piuttosto come un “eterno presente” (quindi l’interrogativo “cosa faceva
Dio prima della creazione?” non ha senso).
Agostino dimostra la natura creata del tempo attraverso due argomentazioni:
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A) il tempo è connesso al movimento, non possiamo percepire il tempo in sè, ma solo attraverso il movimento,
quindi il tempo esiste solo insieme alle cose che si muovono.
B) il tempo è costituito da passato, presente e futuro, e tuttavia il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora e
il presente è soltanto l’istante inafferrabile in cui il futuro scorre nel passato: dunque il tempo non ha alcuna
consistenza propria. Eppure il tempo esiste, ma esiste nella mente dell’uomo: esiste nella memoria (= presenza
del passato), esiste nell’attesa (= presenza del futuro), esiste nell’intuizione (= presenza del presente). Anche in
questo caso il tempo si rivela dimensione della realtà creata.
IL MALE
“Si Deus, unde malum?”. Se esiste un unico Dio (che è il bene supremo) da dove deriva il male?. Questo
problema aveva travagliato Agostino sin dalla giovinezza e lo aveva spinto ad aderire al manicheismo, il quale
affermava l’esistenza di due principi divini , il Bene e il Male, in lotta fra di loro nel mondo e anche nell’anima
dell’uomo.
Successivamente Agostino aveva abbandonato il manicheismo e aveva criticato questa teoria dei principi divini
contrapposti: se il Dio-Bene può essere danneggiato o distrutto dal Male, allora non è Dio, perché non è
assoluto e incorruttibile, e prima o poi il Male prenderà il sopravvento e rimarrà l’unico Dio; se invece il Dio-
Bene non può essere danneggiato e distrutto dal Male, allora non c’è nessuna vera lotta.
La risposta convincente al problema del male Agostino la trovò nella filosofia neoplatonica: il male non è una
sostanza, non è essere, ma è mancanza di essere.
A partire da questo principio Agostino esamina le manifestazioni del male distinguendo tre aspetti:
A) ontologico: sul piano ontologico non esiste il male ma solo diversi gradi di essere. Secondo una prospettiva
parziale (pertanto falsa) potrebbe essere considerato un male il limite, potrebbe per esempio essere
considerata “male” l’inferiorità di una creatura rispetto ad un’altra oppure la finitudine di tutta la creazione di
fronte a Dio; ma considerato nel suo insieme, tutto ha un senso e una funzione positiva, tutto (anche ciò che è
limitato e inferiore) concorre a formare un’armonia e quindi è bene.
B) morale: il male morale, cioè la colpa, il peccato non consiste nel desiderare o amare il male, ma nel
desiderare e amare un bene inferiore più del bene supremo (per esempio l’avidità è un peccato non perché la
ricchezza sia un male in sè ma perché l’avido antepone il valore della ricchezza ad altri valori superiori).
Il male morale non è commesso da una forza cattiva che agisce nell’uomo (questa era la teoria dei Manichei),
ma dipende dalla libertà dell’uomo che può scegliere fra diversi beni.
C) fisico: il male fisico (cioè la sofferenza e la morte) è la conseguenza del peccato originale, ma nella storia
della salvezza anche questo ha un significato positivo, perché aiuta l’uomo a riconoscere il male morale e ad
emendarlo.
LA LIBERTA’ E LA GRAZIA
Gli antichi greci avevano fatto coincidere la moralità con la sapienza affermando che chi conosce il bene fa il
bene e che il comportamento malvagio deriva da ignoranza del bene (intellettualismo morale); Agostino invece,
sulla scia della cultura latina (che aveva messo in risalto il ruolo della volontà) e dell’insegnamento di San Paolo
(“video meliora deteriora sequor”), nota che la ragione può conoscere il bene e la volontà può respingerlo,
perché ragione e volontà sono facoltà distinte. La volontà dispone del libero arbitrio, cioè della capacità di
scegliere fra possibilità diverse, ma la vera libertà è adesione a Dio, alla sua volontà, perché solo questa
adesione è il “bene” per l’uomo, cioé la piena realizzazione umana, la felicità. Questa adesione a Dio deve essere
volontaria, non obbligata, e quindi il libero arbitrio è la condizione della vera libertà.
Il peccato originale però ha corrotto la volontà umana, per cui la volontà non è più capace di aderire
pienamente e continuativamente al bene (Agostino ha dedicato profonde analisi alla scissione e alla debolezza
della volontà che “vuole e non vuole”, che “vorrebbe volere”).
Per questo la volontà è bisognosa della grazia divina: l’uomo, senza l’aiuto della grazia divina, non è capace di
vivere rettamente. La grazia non abolisce la libertà dell’uomo, al contrario essa rende veramente libera la
volontà, poichè le restituisce la capacità di aderire al bene che ha scelto.
In questa prospettiva l’amore, cioè la tensione della volontà al bene, diventa più importante della sapienza:
“Ama, et fac quod vis”.
(la necessità della grazia è affermata da Agostino in opposizione all’eresia del monaco Pelagio, il quale
sosteneva che tutti gli uomini sono naturalmente liberi e capaci di scegliere il proprio destino e conseguire la
virtù cui aspirano; nelle opere dedicate alla polemica con Pelagio Sant’Agostino afferma la necessità della
grazia a tal punto da svalutare il ruolo della libertà e dell’impegno umano: ciò ha permesso a Martin Lutero di
trovare in questi testi di Agostino una giustificazione e un’anticipazione della sua dottrina sulla salvezza “per la
fede e non per le opere”)
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LA CITTA’ DI DIO E LA RIFLESSIONE SULLA STORIA
Il “De Civitate Dei” (in 22 libri) fu scritto da Agostino in occasione del sacco di Roma del 410 e in risposta alle
accuse dei pagani contro i cristiani, imputati di aver attirato su di Roma l’ira degli Dei. Ma l’opera supera il
motivo occasionale e sviluppa una grande riflessione sulla storia. Agostino afferma che, come la volontà del
singolo è scissa fra opposte aspirazioni, così pure l’umanità nel suo insieme è scissa fra “l’amore di Dio e
l’amore di sè” e nella storia edifica due “città” contrapposte, la città di Dio e la città terrena. Una è la società dei
giusti, dei santi, l’altra la società degli empi. Tuttavia sulla terra queste due città sono sempre intrecciate e
mescolate e non si identificano mai con un particolare momento della storia o con qualche istituzione storica
(per esempio Chiesa e Stato), perché esse dipendono soltanto da ciò che ogni singolo uomo decide di essere: «I
cittadini della città terrena sono dominati da una stolta cupidigia di predominio che li induce a soggiogare gli
altri; i cittadini della città celeste si offrono l’uno all’altro in servizio con spirito di carità...». La vera storia è
quella realizzata dalla città celeste, anche se sulla terra essa appare nascosta o sconfitta. Solo alla fine dei
tempi si renderà manifesta la città di Dio e in essa troverà compimento tutta la storia umana, perché la città di
Dio costituirà la realizzazione dell’ aspirazione alla giustizia e alla pace presente anche, sia pure in modo
distorto, nella città terrena.
Il “De civitate Dei” è importante anche perché getta le basi della successiva filosofia della storia. Presso i Greci
non esisteva ancora una filosofia della storia in senso stretto, perché la loro conoscenza filosofica era rivolta
alla forma permanente, a ciò che permane sempre identico, quindi svalutavano il divenire e concepivano la
storia come uno svolgimento circolare in cui ritornano sempre le stesse forme.
Il cristianesimo invece rifiuta la “teoria atea degli inutili cicli”, affermando che ognuno di noi vive e muore una
sola volta: alla visione ciclica si sostituisce quella lineare imperniata sulla creazione e sul peccato originale
come inizio della storia, sull’incarnazione di Cristo come evento centrale e redentivo, sul Giudizio finale come
fine e compimento della storia.
In secondo luogo, il cristianesimo, insistendo sull’origine comune che unisce tutti gli uomini, perviene all’idea di
un’unica storia universale comprendente tutte le genti.
In terzo luogo, il cristianesimo si rapporta alla storia non come a una serie di eventi senza senso ma come a una
totalità dotata di significato e di scopo. Per Agostino il principio unificatore degli eventi è dato dalla nozione di
Provvidenza (l’agire di Dio nella storia) che conferisce alla storia il significato di storia della salvezza che si
conclude e si compie nell’ESCATON (=il Giudizio finale e l’avvento del Regno di Dio).
Si noti che buona parte della successiva filosofia della storia (soprattutto ottocentesca) ha secolarizzato lo
schema escatologico ebraico-cristiano, concependo la “salvezza” o il compimento finale della storia in termini
immanentistici anziché trascendenti: cosicché le filosofie e le ideologie moderne hanno interpretato la storia
come un processo in cui si realizza progressivamente un certo valore “laico”, come la scienza, la giustizia, la
libertà, la razionalità ecc.
letture
SANT’AGOSTINO, La “TERZA NAVIGAZIONE”
Da un’intervista a Giovanni Reale: “Platone è il filosofo laico più venduto al mondo, al pari di Agostino. Una piccola
casa editrice, qualche anno fa, fece una statistica, secondo la quale su Agostino si pubblica in Occidente un libro al
giorno. Anni dopo il presidente della casa editrice Città Nuova mi disse che il libro religioso più venduto dopo la Bibbia
erano le Confessioni. Io sono sempre stato un grande amante dell’opera, ma nonostante l’abbia letta e studiata per
sessant’anni, la capisco solo adesso, perché è un libro talmente ricco e straordinario che richiede una serie di
conoscenze che in passato non tutti avevano. (…)
Nel secondo trattato, commentario a Giovanni, egli introduce un concetto che io definisco Terza navigazione. Bisogna
tenere presente che Agostino ha fatto due conversioni: la prima al platonismo, che gli ha insegnato l’esistenza di un
essere che non è quello fisico, mentre prima concepiva Dio come un corpo infinito; la seconda invece è quella religiosa.
Agostino ha inoltre spiegato molto bene la differenza tra i platonici e i credenti. I primi sono riusciti a vedere al di là
del mare, la patria, e a descriverla in maniera esatta; però, non sono stati in grado di darci lo strumento per
attraversare il mare della vita. Platone, in un bellissimo passo del Fedone, afferma che la filosofia è come una zattera,
se la si governa bene tiene a galla, altrimenti fa affondare. Se però venisse una rivelazione, dice, avremmo una nave
bella, comoda e sicura. Ebbene, Platone si sbagliava: la nave è venuta, ma è tutt’altro che comoda, è quella che
Agostino individua nella croce. La croce aiuta ad attraversare il mare della vita anche se non si è riusciti a vedere,
come i filosofi, al di là del mare. Essa salva chiunque, ma richiede umiltà, ed è perciò invisa ai filosofi, che per propria
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natura spesso peccano di superbia, quella che i Greci definivano ΰβρις. Agostino scrive che bisogna attraversare
questo mare sul lignum crucis, con la guida di Cristo. È una rivelazione di grandissima importanza perché prima della
venuta di Cristo bisognava andare a Dio, ma il percorso era difficile e pochissimi arrivavano. Così, Dio, vedendo queste
difficoltà, ha mandato suo figlio, che con la croce insegna a risanare tutti i propri mali e con questo ad attraversare il
mare della vita.
Agostino fa parte delle filosofia tardo antica-cristiana, non medievale, come spesso si crede. Un’altra cosa che mi
piace di Agostino è la sua fede forte, quasi rocciosa, che quando si legge pare di bere acqua purissima e dissetante. La
confessione è il rivelare a Dio tutti i propri peccati, ma ha senso soltanto perché è Dio stesso che ci ha guarito da quelli.
In quella guarigione Agostino gode ed elogia il Signore. Egli dice di scrivere quel libro affinché tutti i suoi fratelli
conoscano il male che ha compiuto in vita e come è guarito, in modo che anch’essi possano guarire o ritenersi
fortunati per non aver mai commesso il male. Dal libro decimo in poi Agostino non parla più di peccati ma di
tentazioni, perché, come dice la Bibbia, tutta la vita dell’uomo è una continua tentazione. In questo colloquio uomo-
Dio troviamo la rivoluzione più grande: nasce il concetto di persona, che non esisteva nell’antichità. La persona è
quella che instaura un rapporto dell’Io con il Tu. Questo rapporto con il tu può avere due valenze. Il rapporto con il tu
minuscolo, ovvero con l’altro, e con il Tu maiuscolo. Il vero rapporto con l’altro lo si può instaurare e rendere saldo
soltanto se si arriva triangolarmente al vertice, all’altro Tu.