1 Richiami matematici 5
1.1 Gradiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Divergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 Rotore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.4 Laplaciano vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.5 Laplaciano scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.6 Lemmi e formule di Green . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
3 I fondamenti dell’elettromagnetismo 19
3.1 La forza di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3.2 L’esperimento di Faraday e la legge di Gauss . . . . . . . 19
3.3 La legge di Faraday . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3.4 La legge di Ampere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
3.5 Le equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3.6 Le correnti impresse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
3.7 Relazioni costitutive dei mezzi elettromagnetici . . . . . . 27
3.8 Equazioni di Maxwell in regime armonico . . . . . . . . . 34
3.9 Condizioni sulle superfici di discontinuità . . . . . . . . . 37
1
2
8 Antenne 261
8.1 Dipolo elementare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
8.1.1 Studio nel dominio della frequenza . . . . . . . . . 263
8.1.2 Studio nel dominio del tempo . . . . . . . . . . . . 269
8.2 Antenna a spira di corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . 275
8.2.1 La sorgente di Huygens . . . . . . . . . . . . . . . 278
8.3 Antenne filiformi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280
8.3.1 L’integrale di Hallen . . . . . . . . . . . . . . . . . 284
8.4 Antenne ad apertura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295
8.4.1 L’espansione in onde piane . . . . . . . . . . . . . 298
8.5 Parametri delle antenne in trasmissione . . . . . . . . . . 304
8.5.1 Esempi di calcolo di parametri di trasmissione . . 313
8.6 Parametri delle antenne in ricezione . . . . . . . . . . . . 325
8.6.1 Esempi di calcolo di aree ed altezze efficaci in ri-
cezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331
8.7 Le relazioni tra i parametri di trasmissione e ricezione e
la formula di Friis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334
8.7.1 La formula di Friis . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339
8.7.2 La formula del radar . . . . . . . . . . . . . . . . . 341
8.8 Schiere di antenne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 342
8.8.1 Schiere a fase progressiva . . . . . . . . . . . . . . 347
8.8.2 Schiere broad–side ed end–fire . . . . . . . . . . . . 350
8.9 L’antenna Yagi–Uda e l’antenna logaritmica . . . . . . . . 351
Capitolo 1
Richiami matematici
1.1 Gradiente
Si consideri una funzione scalare derivabile φ (si ricorda che una funzione
scalare è una funzione che dà come risultato un numero, come ad esempio
la temperatura all’interno di una stanza), definita in una regione dello
spazio V racchiusa dalla superficie S.
Il gradiente di φ è un vettore, funzione delle coordinate nello spazio,
che viene indicato con il simbolo ∇φ, e che è definito come segue:
1
∇φ = lim o φ n̂ dS ,
V →0 V S
Osservazioni
• Sono dette superfici di livello le superfici dello spazio sulle quali si
ha
φ = costante .
5
6 CAPITOLO 1: RICHIAMI MATEMATICI
e vale B
∇f dγ = f (B) − f (A) .
A,γ
1.2 Divergenza
Si consideri una funzione vettoriale w, definita nuovamente in un volume
dello spazio V racchiuso dalla superficie S. Si definisce divergenza di w,
e la si indica con la scrittura ∇ · w la quantità scalare
Come si nota, la divergenza non è nulla solo nel caso in cui vi sia un flusso
netto uscente (o entrante) nella superficie che racchiude il volume V . In
altre parole, la divergenza può essere interpretata come una misura delle
sorgenti (o dei pozzi, nel caso in cui ∇ · w < 0) dai quali scaturisce il
campo vettoriale w, o dove esso termina.
Un tipico esempio di natura elettromagnetica è quello che si riscon-
tra quando una carica elettrica viene posta in quite in un punto dello
spazio: essa dà luogo ad un campo elettrico che “nasce” o “muore” in
corrispondenza della carica, ciò dipendendo dal segno della carica stessa.
In termini matematici la “nascita” o “morte” del campo elettrico è rap-
presentato da un valore di divergenza non nullo nell’intorno della carica.
Osservazioni
• Teorema di Gauss. Scelto un volume V dello spazio racchiuso dalla
1.3. ROTORE 7
1.3 Rotore
Si consideri una funzione vettoriale u definita in un volume dello spazio
V racchiuso da una superficie S orientata dal versore n̂ uscente da essa.
Si definisce rotore di u, e lo si indica con il simbolo ∇ × u, la funzione
vettoriale,
1
∇ × u = lim o n̂ × u dS .
V →0 V S
Osservazioni
• Teorema di Stokes. Scelta un superficie S dello spazio racchiusa
dalla curva chiusa γ, risulta
∇ × u · n̂ dS = o u dγ = circuitazione di u .
S γ
∇2 v = ∇(∇ · v) − ∇ × ∇ × v .
Primo lemma
ψ∇2 φ = ∇ · [ψ∇φ] − ∇φ∇ψ .
Secondo lemma
ψ∇2 φ − φ∇2 ψ = ∇ · [ψ∇φ − φ∇ψ] .
Da questi due lemmi si ricavano due importanti formule integrali.
In particolare, dal primo lemma, e dal teorema di Gauss applicato ad
un volume V delimitato da una superficie chiusa S orientata secondo la
normale n̂ da essa uscente, si ottiene la
e = −1.602 × 10−19 C .
11
12 CAPITOLO 2: CARICHE E CORRENTI ELETTRICHE
densità n(P ) [m−3 ] di particelle cariche, ognuna con una carica pari a
qP = N · e [C] ,
dq = n(P ) qP dτ .
Corrente di convezione
Questa è la corrente che si manifesta quando un corpo elettricamente
carico si muove sotto l’azione di determinate forze, di natura elettrica o
meno, trascinando nel suo moto anche le cariche su esso depositate.
14 CAPITOLO 2: CARICHE E CORRENTI ELETTRICHE
Corrente di conduzione
Questo tipo di corrente elettrica, che è quella di maggiore interesse nello
studio dei fenomeni elettromagnetici, è la corrente che si manifesta nei
metalli, negli elettroliti e nei plasmi dove i portatori di carica elettrica
si muovono all’interno della struttura in cui si trovano. Si tratta quindi
di un moto di cariche libere che migrano all’interno del mezzo materiale
che le contiene.
Come è noto, nella maggior parte dei metalli la corrente di con-
duzione è attribuita alla presenza di un “gas di elettroni liberi” os-
sia di quegli elettroni che, essendo meno vincolati dai legami chimici,
possono muoversi all’interno del reticolo atomico del metallo. La più
elementare descrizione della conduzione elettrica può quindi essere im-
postata considerando semplicemente la velocità con cui gli elettroni si
spostano all’interno del metallo.
Tuttavia, esistono altri materiali come per esempio alcuni semicon-
duttori, nei quali la corrente di conduzione è invece attribuita al movi-
mento di portatori di carica positiva. Si tratta di materiali nel cui reti-
colo atomico vi “è un elettrone in meno” di quanti completerebbero uno
dei livelli atomici, e si può pensare a questa mancanza come equivalente
alla presenza di una carica positiva fittizia che prende il nome di la-
cuna. Ogni lacuna può essere colmata da un elettrone che abbandoni un
reticolo vicino, completando in tal modo un livello atomico, ma contem-
poraneamente contribuendo alla creazione di una nuova lacuna. Si crea
così un moto di lacune (in direzione opposta a quella degli elettroni) che
costituisce una corrente di conduzione di cariche positive equivalenti.
j(P, t) = n(P ) qP vP .
2.4. RELAZIONI TRA DENSITÀ ED INTENSITÀ 15
Modello continuo
Quando invece si fa riferimento ad una descrizione elettrica basata sul
modello continuo per la carica, il vettore densità di corrente viene definito
come segue:
− −
j(P, t) = ρ+ +
C (P, t)vP (P, t) + ρC (P, t)vP (P, t) =
−
C (P, t)vP (P, t) − |ρC (P, t)|vP (P, t) ,
= ρ+ + +
dove vP± (P, t) sono le velocità medie di migrazione nel punto P all’istante
t per le densità di carica positiva e negativa. Le dimensioni fisiche della
densità di corrente sono quelle di [A· m−2 ].
n v+
∆S p
dl +
S
Figura 2.2: Volume occupato dalla carica che attraversa l’elemento di superficie
∆S nell’unità di tempo ∆t.
C ∆τ = vP · n̂ dS ∆t
dq + = ρ+ +
.
16 CAPITOLO 2: CARICHE E CORRENTI ELETTRICHE
+
Pertanto, la carica totale positiva ∆qS,n che attraversa la superficie S
nell’intervallo di tempo ∆t è pari a
C vP · n̂ dS
+
∆qS,n = ∆t ρ+ +
,
S
si ha infine
i(t) = j(P, t) · n̂ dS .
S
∂ρC (P, t)
∇ · j(P, t) = − .
∂t
Questa equazione dà una relazione tra grandezze scalari, funzioni del
punto P nello spazio e del tempo t, e mostra come i campi densità di
corrente di conduzione e densità di carica non siano tra di loro indipen-
denti. Infatti, in accordo con l’intuito fisico, si riscontra che la densità di
corrente elettrica diverge (ovvero “nasce” o “muore”) in quei punti dello
spazio, o in quegli istanti temporali nei quali si ha una variazione della
densità di carica elettrica. Il risultato non è dunque altro che una for-
malizzazione matematica del concetto stesso di corrente di conduzione
che, come si è avuto modo di vedere, si genera quando vi è movimento
di cariche elettriche. Con riferimento a coordinate cartesiane, la forma
differenziale dell’equazione di continuità si scrive come
I fondamenti
dell’elettromagnetismo
19
20 CAPITOLO 3: FONDAMENTI DELL’ELETTROMAGNETISMO
----
S2 -- -
-
+Q + ++ + +
-
- -
S1 +
S1 -
+
+ +
+ - -Q -
++
++ - -
- -
-- -
- - -
∇ · d = ρ .
γ
n
b S(γ)
Vγ
dove si è indicata con S(γ) una qualsiasi superficie regolare orlata dalla
curva chiusa γ, e con n̂ il versore normale a S(γ) in ogni suo punto, ed
orientato rispetto a γ secondo la regola della vite destrogira.
La tensione elettrica Vγ può essere attribuita alla presenza del campo
elettrico e tale che, quando la curva γ è assunta ferma ed indeformabile
nel tempo, risulti
∂b
Vγ = o e · γ̂dγ = − · n̂ dS . (3.3)
γ S(γ) ∂t
dove i simboli γ ed S(γ) hanno lo stesso significato che era stato loro
attribuito nel paragrafo precedente.
In maniera analoga a quanto si era visto a riguardo della forza di
Lorentz (3.1), la relazione (3.4), che prende il nome di legge di Ampere,
introduce un nuovo campo vettoriale, il campo magnetico h. Questo
campo risulta, in generale, funzione delle coordinate spaziali e del tempo,
e la sua unità di misura è quella di Ampere su metro [A/m].
Come appena detto, la relazione (3.4) vale solo nel caso di campi
stazionari, come è immediato verificare sulla base delle seguenti con-
siderazioni. Per prima cosa, si applichi il teorema di Stokes al primo
membro dell’equazione di Ampere e la si riscriva nella seguente forma
differenziale:
∇×h=j .
Successivamente, si calcoli la divergenza di ambro i membri di quest’ul-
tima equazione; ricordando che ∇ · ∇ × h ≡ 0, ∀h e che, in base
3.4. LA LEGGE DI AMPERE 23
iA(t)
n ∆S
SA
d(P, t) = ρS (P, t) n̂ , P ∈ SA .
jtot = j + jS .
ovvero, posto t + T = τ ,
G(t, τ − T ) e(τ ) dτ = G(t + T, t) e(t) dt ,
da cui
G(t, τ − T ) = G(t + T, t) ,
32 CAPITOLO 3: FONDAMENTI DELL’ELETTROMAGNETISMO
Nella maggior parte dei casi che verrano illustrati nei capitoli suc-
cessivi, i mezzi materiali nei quali si svilupperanno i campi elettromag-
netici saranno mezzi lineari, non dispersivi nello spazio, ed omogenei
3.7. RELAZIONI COSTITUTIVE 33
p = χ(1) e + χ(2) e2 + . . .
∇·B=0 , ∇·D=ρ .
studiate con riferimento a mezzi isotropi nei quali, come visto, i pa-
rametri , µ e γ si riducono a parametri scalari. Per ciò che con-
cerne la loro dipendenza dalla frequenza è invece necessario aggiungere
qualche ulteriore precisazione. In particolare, poichè la conducibilità γ
è sostanzialmente costante, e quindi non dispersiva, fino alle frequenze
dell’infrarosso, spesso se ne tralascerà la dipendenza da ω. Da un punto
di vista fisico ciò corrisponde ad assumere che la risposta della corrente
di conduzione all’applicazione di un campo elettrico sia sempre istanta-
nea. Il caso dei parametri e µ è invece diverso: per ciò che concerne
la permittività dielettrica occorre infatti notare che molti dei mezzi di
interesse presentano una significativa dispersione temporale, cosicchè la
dipendenza di da ω diventa essenziale ai fini di una corretta model-
lizzazione della propagazione. Per la permeabilità magnetica, infine, vi
sono tre casi da prendere in considerazione. Il primo è quello dei mate-
riali non magnetici, nei quali non vi è dispersione e quindi µ può essere
assunta costante ed anzi, con buona approssimazione, coincidente con
quella del vuoto. Il secondo caso è quello dei materiali magnetici, sia
paramagnetici, sia diamagnetici, nei quali la dispersione è largamente
avvertibile, a la dipendenza di µ da ω non può quindi più essere tralas-
ciata. Il terzo ed ultimo caso è quello dei materiali ferromagnetici, nei
quali intervengono fenomeni non lineari nel legame tra B e H.
Prima di concludere il paragrafo, si introducono due nuove grandezze,
la permittività complessa e l’angolo di perdita. Per ciò che concerne il
primo di questi parametri, la definizione discende dal fatto che nell’equa-
zione (3.26) compaiono due termini che dipendono dal campo elettrico
E. Si indica con il permittività complessa la grandezza
γ
C = − i ,
ω
e la sua introduzione nella (3.26) porta a riscrivere la seconda equazione
di Maxwell nella seguente forma compatta
∇ × H = iω C (ω) E + Ji .
Im{} + γ
tan(δ) = con = Re{} − iIm{} .
Re{}
2
n ∆S
L
S
c 2
t n
L
S a
a
1
Per ciò che concerne la continuità dei rimanenti campi e e h si può
procedere come segue. Si indichi ancora con S la superficie di disconti-
nuità tra due mezzi materiali e si individui ora un circuito rettangolare
chiuso γ che intersechi ortogonalmente S. Sia Σ(γ) la superficie ret-
tangolare contornata da γ, con lunghezza L ed altezza a. Inoltre, si
indichino come n̂ e t̂ i versori rispettivamente normale e tangente a S
e si applichi la legge di Ampere–Maxwell al circuito γ e alla superficie
Σ(γ). Si ottiene
∂d
o h · ĉ dγ = · ŵ dΣ + j · ŵ dΣ ,
γ Σ(γ) ∂t Σ(γ)
∆IS
(h2 − h1 ) · t̂ = lim = jS · ŵ , con L jS · ŵ = ∆IS .
L→0 L
da cui anche,
n̂ × (h2 − h1 ) · ŵ = jS · ŵ ,
n̂ × (e2 − e1 ) = −jM s ,
43
44 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∂b ∂h
∇×e = − = −µ ,
∂t ∂t
∂d ∂e
∇×h = j+ = γe + ,
∂t ∂t
4.1. DOMINIO DEL TEMPO 45
∂2h
∇ × ∇ × h = −µ ,
∂t2
che è una equazione che coinvolge una sola delle incognite, ma non è
di semplice risoluzione per la presenza del doppio rotore. A riguardo di
questo doppio operatore differenziale, va notato che esso viene incontrato
in molte delle equazioni che descrivono fenomeni elettromagnetici, ed è
allora opportuno ricordare che, per definizione di Laplaciano vettoriale,
vale per un qualsiasi campo vettoriale a
∇ × ∇ × a = −∇2 a + ∇(∇ · a) .
∇ · b = ∇ · (µh) = 0 ,
∇·h=0 .
∂2h
∇2 h − µ =0 ,
∂t2
che, in coordinate cartesiane, diventa
Si illustra ore come una soluzione di questa equazione possa essere in-
dividuata con relativa semplicità e, al fine di formire una idea intuitiva
46 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
nella quale f (·) e g(·) sono due funzioni arbitrarie. Come era ragionevole
attendersi, la soluzione è data dalla sovrapposizione di due forme d’onda
che si muovono l’una nel verso delle z crescenti (la funzione f ), e l’altra
nel verso delle z descrescenti (la funzione g), con velocità pari a v. Ovvi-
amente, la particolare forma delle funzioni f e g è data dalle condizioni
al contorno che vanno applicate all’equazione differenziale che fornisce
la soluzione per h e che, fisicamente, rappresentano il modo in cui il
campo elettromagnetico viene instaurato dalle sorgenti che, si ricorda,
sono al di fuori dell’analisi che si sta conducendo in questo momento.
Nella figura viene illustrato il movimento della funzione f con lo scorrere
del tempo.
t=0
Dz = v Dt z
t>0
z
Figura 4.1: Evoluzione della forma d’onda f (·) allo scorrere del tempo.
Campo elettrico
Ritornando alla soluzione delle equazioni di propagazione, si è preceden-
temente illustrata una serie di calcoli che ha fornito una soluzione per
il campo magnetico h. Con procedura analoga è poi possibile ricavare
una soluzione anche per il campo elettrico: si ottiene infatti
∂2e
∇ × ∇ × e = −µ ,
∂t2
da cui
∂2e
−∇2 e + ∇(∇ · e) = −µ ,
∂t2
e, poichè
∇ · d = ∇ · (e) = ∇ · e = ρ = 0 ,
in assenza di cariche libere ed in un mezzo omogeneo, ne risulta nuova-
mente l’equazione delle onde vettoriali
1 ∂2e
∇2 e − =0 ,
v 2 ∂t2
che mostra come anche il campo e sia costituito dalla somma di due
onde, una progressiva e una regressiva, che si muovono con velocità v.
Osservazioni
1. Sebbene ciò non sia stato sottolineato esplicitamente in prece-
denza, è opportuno notare che, nel derivare l’equazioni delle onde
vettoriali, si è fatto uso delle ipotesi inizialmente poste. In parti-
colare, l’ipotesi concernente l’uniformità del mezzo all’interno del
dominio di definizione del campo è stata usata per passare rispet-
tivamente dalle equazioni per le divergenze di b e d a quelle per
48 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
agisce come una forza di attrito che causa smorzamento delle fun-
zioni f e g.
∇ × E = −iωµH ,
∇ × H = iωC E .
Si noti che, a differenza di quanto accade per le equazioni nel dominio del
tempo, l’introduzione della permettività complessa consente uno studio
unificato dei casi di mezzi con e senza perdite. Inoltre, non è più nec-
essario supporre il mezzo non dispersivo perchè nel dominio dei vettori
complesi il legame tra D ed E (e tra B e H) è comunque espresso da
una relazione di proporzionalità diretta, almeno fintanto che non inter-
vengono fenomeni non–lineari.
Analogamente a quanto si era fatto nella derivazione dell’equazione
delle onde vettoriali, se si sostituisce ∇ × E nella seconda equazione, si
ricava ora
∇2 H − σ 2 H = 0 , σ 2 = −ω 2 µC .
∂2H
− σ2H = 0 ,
∂z 2
ed ammette una soluzione del tipo
h = Re[Heiωt ] ,
4.3. I POTENZIALI VETTORI 51
si ottiene, per ognuna delle componenti del campo, una espressione del
tipo
nella quale ϕ1ξ e ϕ2,ξ sono, rispettivamente, le fasi dei numeri complessi
H01,ξ e H02,ξ . Inoltre, in questa espressione, il primo addendo alla destra
dell’uguale rappresenta il contributo di onda regressiva, ed il secondo
quello di onda progressiva. Si noti che, laddove nel caso delle equazioni
nel dominio del tempo si era trovato che l’equazione delle onde vettoriali
descriveva la propagazione di una qualsiasi forma d’onda in moto nello
spazio con velocità v, qui si trova che l’onda che si muove con velocità
v ha andamento sinusoidale nel tempo, come deve essere dal momento
che si è ora partiti dalle equazioni di Maxwell in regime armonico.
Nel caso di mezzo con perdite, si trova infine
espressione che mostra come la soluzione sia data ancora dalla somma
di due onde contropropaganti, ognuna delle quali si attenua rispetto al
suo verso di propagazione.
∇ × E = −iωµH ,
52 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∇ × H = iωC E + Ji .
∇·B=0 ,
che mostra come il campo B sia un campo solenoidale, e come tale esso
può sempre essere espresso come rotore di un altro campo vettoriale,
secondo la relazione
B=∇×A .
Come è immediato verificare, infatti, vale ∇ · ∇ × A = 0 ∀A.
Il campo A così definito prende il nome di potenziale vettore magne-
tico e si dimostra ora che quando esso è noto, è possibile ricavare i campi
E e H tanto in assenza quanto in presenza delle sorgenti Ji .
Campo magnetico
Direttamente dalla definizione del potenziale vettore magnetico discende
1 1
H= B= ∇×A . (4.1)
µ µ
Campo elettrico
Dalla equazione di Maxwell per il rotore di H,
∇ × H = iωC E + Ji ,
segue
1
∇ × ∇ × A = iωC E + Ji ,
µ
e quindi
∇×∇×A Ji
E= − . (4.2)
iωµC iωC
Le equazioni (4.1,4.2) mostrano quindi che se il potenziale A è noto,
si può ricavare tutto il campo elettromagnetico {E, H} tramite sem-
plici operazioni di derivazione. Questo è un risultato tutt’altro che ba-
nale, e configura nell’uso di A un notevole vantaggio dal punto di vista
dell’onerosità computazionale richiesta per la risoluzione delle equa-
zioni di Maxwell. Infatti, come si è già più volte sottolineato, se la
4.3. I POTENZIALI VETTORI 53
cioè
∇ · Ji
iω∇ · A − = −∇2 φ ,
iωC
cosicchè appare evidente come al variare di φ varî anche ∇ · A.
Avendo chiarito che differenti scelte di φ non inficiano la validità
del calcolo delle componenti di campo elettrico e magnetico, si può al-
lora sfruttare il grado di libertà offerto da questa indeterminazione al
fine di semplificare il più possibile l’equazione che governa l’evoluzione
del potenziale vettore A. In particolare, risultano utili a tal fine tre
particolari scelte di φ che vengono illustrate in dettaglio qui di seguito.
4.3.1 La scelta φ = 0
Questa è, ovviamente, la prima scelta che viene alla mente, ma, come
si vedrà tra breve, essa non è necessariamente la più conveniente. Si
consideri infatti l’equazione per A (4.4) e si ponga φ = 0. Si ottiene
∇ × ∇ × A + σ 2 A = µJi .
4.3. I POTENZIALI VETTORI 55
∇ · Ji ∇ · Ji
iω∇ · A = − ∇2 φ = ,
iωC iωC
∇ · Ji
iω∇ · A = − ∇2 φ ,
iωC
∇ · Ji ρ
∇2 φ = ≡− . (4.5)
iωC
56 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∇2 φ0 = 0 ,
E = −iωA − ∇φ ,
e quindi
∇φ0
A = A − .
iω
∇2 Q − σ 2 Q = secondo membro ,
iω∇ · A = −σ 2 φ . (4.7)
∇2 A − σ 2 A = −µJi . (4.8)
∇ × E = −iωµH ,
∇ × H = iωC E + Ji ,
E ⇔ −H ,
µ ⇔ C .
Come già notato, il termine Ji sbilancia una simmetria altrimenti com-
pleta semplicemente perchè esso descrive l’azione di una corrente (im-
pressa), che è formata ad un flusso di cariche elettriche in movimento, e
che, come tale, non ha un equivalente magnetico dal momento che non
esiste la “carica elementare” magnetica. Per questa stessa ragione, si
può osservare una dissimmetria anche nelle equazioni delle divergenze,
che, scritte ancora con riferimento alla rappresentazione complessa per
un campo che si sviluppi in un mezzo omogeneo, si leggono come
∇ · Ji
∇·H=0 , ∇·E=− ,
iωC
con la seconda delle due che, in generale, risulta diversa da zero. Come
già accennato in precedenza, esistono tuttavia dei casi di pratica utilità,
60 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∇ · Ji = 0 ⇒ ∇·E=0 ,
Campo elettrico
Per definizione,
1
E=− ∇×F .
C
Campo magnetico
Dalla prima equazione di Maxwell si ha
1 ∇×∇×F
H=− ∇×E= .
iωµ iωµC
Si vede quindi che, una volta noto F, i campi elettrico e magnetico
possono essere ricavati tramite semplici operazioni di derivazione, e si
tratta ora di individuare una equazione che fornisca il campo F. A tal
fine si ricorda che si è supposto che valga l’ipotesi
∇ · Ji = 0 ,
4.4. POTENZIALE VETTORE ELETTRICO 61
Ji = ∇ × Ki .
∇ × H = iωC E + Ji
∇×∇×F
+ iωF − Ki = −∇ψ , (4.9)
iωµC
∇2 ψ − σ 2 ψ = 0 ,
nella quale il secondo membro risulta pari a zero perchè non esiste la
carica magnetica elementare. Si noti che, ancora per questa ragione,
la soluzione ψ = 0 è sempre una soluzione accettabile, a differenza di
quanto accade per φ, che può risultare una scelta di Lorentz solo se
ρ = 0. Inoltre, poichè del vettore Ki è stato fissato il solo valore del
rotore, non è restrittivo scegliere ∇ · Ki = 0. Con questa posizione,
e con ψ = 0, dalla (4.9) si ottiene infine ∇ · F = 0, e si può allora
semplificare la stessa (4.9), che assume ancora una volta la forma di una
equazione di Helmoltz non omogenea, ora scritta come
∇2 F − σ 2 F = −iωµC Ki .
62 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
Ji = −iωPi ,
I teoremi fondamentali
dell’elettromagnetismo
65
66 CAPITOLO 5: TEOREMI FONDAMENTALI
dL = −f · dr = −ρi e · dr − ji × b · dr ,
dr
dW = −f · = −f · v = −ρi e · v − (ρi v) × b · v =
dt
= −ρi e · v = −e · ji .
d = e , b = µh ,
∇ × E = −iωµ(ω)H ,
∇ × H = iω(ω)E + γE + Ji .
e questa identità può essere letta come segue: il valor medio della
potenza ceduta dai generatori al campo (WR ) viene impiegato in parte
per effetti dissipativi, rappresentati dall’integrale dipendente dalla con-
ducibilità γ che dà la potenza dissipata per effetto Joule in un periodo
del campo, in parte per trasferire potenza attiva attraverso la superficie
S (si ricordi che PR è il valor medio di p nel dominio del tempo), ed in
parte per l’insieme dei fenomeni legati al termine
µI |H|2 I |E|2
2ω + dV ,
V 4 4
nei quali si propaghi un campo a banda stretta, cioè un campo con una
estensione spettrale molto inferiore alla frequenza della sua portante o,
nel dominio del tempo, un campo le cui variazioni temporali abbiano
luogo su una scala dei tempi molto maggiore del periodo della portante.
Per illustrare come si scriva il teorema di Poynting per questo tipo di
campi è innanzi tutto opportuno riscrivere le equazioni di Maxwell in
una forma più appropriata. A tal fine, si consideri ad esempio il termine
∂d ∂ iωt
= (ω) E(ω) e dω = iω (ω) E(ω) eiωt dω .
∂t ∂t
Poichè per ipotesi il campo E(ω) ha una banda stretta, centrata at-
torno ad una frequenza che verrà indicata come ω0 , si può sviluppare la
funzione ω (ω) intorno ad ω0 , ricavando
∂d ∂(ω)
iω0 (ω0 ) E(ω) e iωt
dω + i (ω − ω0 ) E(ω) eiωt dω ,
∂t ∂ω
e poichè al prodotto per i(ω − ω0 ) corrisponde l’operatore di derivazione
rispetto al tempo, ottenere così
∂d ∂(ω) ∂e(t)
iω0 (ω0 ) e(t) + .
∂t ∂ω ∂t
Se il campo e fosse perfettamente sinusoidale, esso potrebbe essere scritto
mediante la sua rappresentazione complessa introducendo il fasore E che,
si ricorda, è legato al campo nel dominio del tempo dalla relazione
e(t) = Re E eiω0 t ,
1. le correnti impresse ji ;
Dimostrazione
La dimostrazione procede per assurdo: si suppone che esistano due
soluzioni {e1 , h1 }, e {e2 , h2 }, entrambe soddisfacenti alle tre ipotesi
sopra esposte, e si dimostra che se esse non coincidono si realizza un
assurdo. Infatti, si indichi con
e ≡ e 1 − e2 , h ≡ h1 − h2 ,
ipotesi, sia {e1 , h1 } sia {e2 , h2 } sono sostenuti dalle stesse sorgenti ji .
Si applichi ora il teorema di Poynting al campo {e, h}: si ottiene così
∂ |e|2 µ|h|2
0= + dV + γ|e| dV + o (e × h) · n̂ dS
2
.
∂t V 2 2 V S
cui queste due quantità possono coincidere è che il campo {e, h} sia un
campo identicamente nullo, ovvero che {e1 , h1 } coincida con {e2 , h2 },
come si voleva dimostrare.
Dimostrazione
La dimostrazione procede per assurdo di pari passo con quella eseguita
nel caso dei campi nel dominio del tempo. Si definisce il campo differenza
{E, H} = {E1 −E2 , H1 −H2 } e si applica ad esso il teorema di Poynting;
si ottengono in tal modo le due relazioni
|E|2 µI |H|2 I |E|2
0= γ dV + 2ω + dV + o PR · n̂ dS (5.7)
V 2 V 4 4 S
5.2. TEOREMA DI UNICITÀ 79
µR |H|2 R |E|2
0=2ω − dV + o PI · n̂ dS , (5.8)
V 4 4 S
L
a) L b)
C
C
Figura 5.1: Equivalenti a parametri concentrati dei mezzi considerati nella
dimostrazione del teorema di unicità.
utilizzata nel corso della dimostrazione relativa al caso interno: essa era
servita per poter affermare che il flusso del vettore di Poynting attraverso
la superficie S era nullo. Ora, il caso del problema esterno può essere
pensato come il caso limite di una successione di problemi interni nei
quali la superficie che racchiude il volume di definizione del campo è
una sfera il cui raggio r tende all’infinito. Quando si calcola il flusso del
vettore di Poynting in questa successione di casi, ci si trova quindi ad
affrontare un problema nel quale l’integrale è esteso ad una superficie
che diverge con il quadrato del raggio e se si vuole essere certi che al
tendere di r → ∞ vi sia un flusso del vettore di Poynting comunque
nullo, è dunque necessario che risulti
Re n
S
Ji = 0
Mi = 0
Ri
che, in tutta generalità, possono essere di tipo sia elettrico sia magne-
tico e si assuma che il dominio V in cui è definito il campo sia tale da
assicurare l’unicità delle soluzioni del problema di Maxwell. Inoltre, si
consideri una superficie chiusa S, arbitraria, che racchiuda le sorgenti, e
si supponga di voler trovare un insieme di sorgenti equivalenti a quelle
originarie che, quando disposte sulla superficie S consentano di ottenere,
nella regione esterna a S, lo stesso campo {E, H} cui danno luogo le
sorgenti originarie. A tal fine, si dispongano su S le seguenti densità di
corrente superficiali:
JS = n̂ × Htan , MS = Etan × n̂ ,
che è
Dimostrazione
Si supponga che il teorema sia vero, e quindi che il campo che è generato
dalle sorgenti fittizie sia effettivamente il campo {Eeq , Heq } specificato
nelle ipotesi. Poichè si è supposto che il volume dello spazio nel quale
è definito il campo è tale da assicurare l’unicità delle soluzioni, se si
dimostra che questo campo:
si sarà dimostrato che esso è l’unico campo che può esistere e quindi, in
definitiva, si sarà dimostrato il teorema.
Si consideri dunque dapprima il problema di determinare se il campo
in oggetto è una soluzione accettabile delle equazioni di Maxwell. Per
ciò che concerne la regione all’interno della superficie S va notato che,
avendo posto Ji ≡ Mi ≡ 0, la regione è priva di sorgenti ed in essa il
campo è quindi descritto dalle equazioni di Maxwell omogenee, che sono
risolte dal campo identicamente nullo {Ein , Hin }.
Analogamente, per ciò che concerne l’esterno della superficie S, si
verifica subito che {Eout , Hout } è una soluzione accettabile, semplice-
mente perchè in quella regione esso coincide, per ipotesi, con il campo
{E, H} che è per definizione una soluzione delle equazioni di Maxwell.
Dunque, l’intero campo {Eeq , Heq } è soluzione delle equazioni di Maxwell.
Si passi ora a considerare il problema delle condizioni al contorno,
che sono due: le prime sono quelle che vanno applicate sulla superficie
S; le seconde sono quelle che riguardano il bordo della regione V di
definizione del campo originario se tale bordo esiste, o le condizioni di
radiazione di Sommerfeld se V diverge all’infinito.
Re n γ
S
ovvero
{0, 0} in Ri ;
{Ea , Ha } = −{Eeq , Heq } =
{−E, −H} in Re .
86 CAPITOLO 5: TEOREMI FONDAMENTALI
{E, H} in Ri ;
{Etot , Htot } = {Ea , Ha } + {E, H} =
{0, 0} in Re .
I0
V0
Ri
Re
Per illustrare come ciò posa essere fatto, si immagini che sia as-
segnata una rete elettrica, e che sia possibile isolare al suo interno
una regione che contenga solo generatori ideali di corrente e/o di
tensione. Si indichi con Ri questa regione, e con Re la sua com-
plementare (si veda la Fig.(5.3)). Ora, si assuma di aver risolto la
rete, cioè di aver determinato la tensione a la corrente che è pre-
sente in ogni nodo e ramo della rete e, in particolare, si indichino
come V0 ed I0 la tensione e la corrente ai morsetti di connessione
tra le regioni Ri e Re .
Il teorema di sostituzione afferma che nulla cambia nella regione
Re se si chiudono in cortocircuito i morsetti che connettono questa
regione alla regione Ri e si introduce al loro posto un generatore
ideale di tensione che imponga il valore V0 (si veda la Fig.(5.4)).
V0
Ri
Re
I0
Ri
Re
V0
I0
Ri
Re
S2
S1
e di
Etan,i = Z Htan,i × n̂ , i = 1, 2 ,
Dimostrazione
Si moltiplichino scalarmente l’equazione (5.13) per H2 , la (5.14) per E2 ,
la (5.15) per H1 e la (5.16) per E1 . In seguito si esegua la somma alge-
brica membro a membro delle quattro equazioni così ottenute, prendendo
con segno positivo quelle che contengono i rotori del campo {E1 , H1 },
e con il segno negativo quelle che contengono i rotori di {E2 , H2 }. Si
ottiene:
H2 · ∇ × E1 + E2 · ∇ × H1 − H1 · ∇ × E2 − E1 · ∇ × H2 =
∇ × E = −iωµH − Mi , (5.20)
∇ × H = iωC E + Ji . (5.21)
dC = µ , , µd = C ,
5.6. TEOREMA DI SCOMPOSIZIONE 95
∇2 L − σ 2 L = 0 , ∇2 T − σ 2 T = 0 .
∇2 A − σ 2 A = −µJi ,
∇·A=0 .
x = x , y = y , z = −z .
5.7. TEOREMA DELLE IMMAGINI 97
z
J
E
H
y
Jm x
Jm'
y'
x'
E'
J' H'
z'
che sono le condizioni cui deve soddisfare un campo per essere compat-
ibile con la presenza di un conduttore elettrico perfetto che metallizzi
il piano z = 0. Questa osservazione fornisce un risultato che può es-
sere utilizzato per il calcolo del campo prodotto da sorgenti poste in
un semispazio omogeneo limitato da un piano conduttore (si veda la
Fig.(5.10)).
z
J J
J
x
J' J' J'
Figura 5.10: Insieme delle sorgenti (vere più fittizie) per un problema di
propagazione nel quale le sorgenti vere del campo siano in prossimità di un
conduttore elettrico perfetto.
dove1 +∞
1
G(τ ) = [r (ω) − 1] e−iωτ dω .
2π −∞
di modo che
+∞
d(t) = 0 e(t) + 0 G(τ )e(t − τ ) dτ ,
0
e quindi anche
+∞
r (ω) = 1 + G(τ ) eiωτ dω . (5.22)
0
(−ω) ≡ ∗ (ω ∗ ) .
Im{Ω}
C
z
Re{Ω}
Im{Ω}
Cext
Cλ
Re{Ω}
ω
Si noti che l’integrale sul contorno Cext tenze a zero quando il con-
torno diverge all’infinito in virtù del comportamento asintotico di r
posto in evidenza in precedenza. Per quanto concerne l’integrale sul
contorno Cλ , invece, si può procedere come segue: si ponga Ω = ω + λeiθ
5.8. RELAZIONI DI KRAMERS–KRÖNIG 103
Scritto r (ω) = Re{r (ω)} − i Im{r (ω)}, si hanno così infine le relazioni
di Kramers–Krönig, che si scrivono nella forma
+∞
1 Im{(ω)}
Re{(ω)} = 1 − v.p. dΩ ,
π −∞ Ω−ω
+∞
1 Re{(ω)} − 1
Im{(ω)} = + v.p. dΩ .
π −∞ Ω−ω
104 CAPITOLO 5: TEOREMI FONDAMENTALI
Capitolo 6
Linee di trasmissione
105
106 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
τ M
B C
N x
A D
linee. Si ottiene:
∂Φ(b)
o e · d = v(t, x2 ) − v(t, x1 ) = − ,
N ∂t
dove Φ(b) è il flusso di induzione magnetica concatenato dal circuito
N . Posto ora x2 = x1 + ∆x e φ(b) il flusso di induzione per unità di
lunghezza, si ha, al tendere di ∆x a zero,
∂v(t, x) ∂φ(b)
=− . (6.1)
∂x ∂t
Successivamente, si integri l’equazione di continuità della corrente nel
volume τ di Fig.(6.1). Si ha in questo caso:
∂ρ
∇·j+ dτ = 0 ,
τ ∂t
da cui anche
∂Q
i(x2 , t) − i(x1 , t) = − ,
∂t
dove Q è la carica totale presente tra le ascisse x1 e x2 . Posto ancora
x2 = x1 + ∆x ed indicata con q la carica per unità di lunghezza si ha
allora, al tendere di ∆x a zero,
∂i(x, t) ∂q
=− . (6.2)
∂x ∂t
Le (6.1,6.2) sono le equazioni che descrivono l’evoluzione della tensione
e della corrente lungo la linea, ed esse possono essere ulteriormente sem-
plificate utilizzando le relazioni costitutive del sistema in oggetto, ovvero
le relazioni che legano tra loro i flussi di induzione elettrica o magnetica
alla tensione o alla corrente. Nel caso di mezzi lineari e non dispersivi,
queste relazioni si scrivono come segue:
q = cv , φ = i , (6.3)
dove c è la capacità per unità di lunghezza, misurata in Farad/m [F/m],
ed l’induttanza per unità di lunghezza, misurata in Henry/m [H/m].
Inserendo le (6.3) nelle (6.1,6.2) si ottiene allora la seguente forma al-
ternativa delle equazioni per la tensione e per la corrente
∂v(x, t) ∂i(x, t)
= − , (6.4)
∂x ∂t
∂i(x, t) ∂v(x, t)
= −c . (6.5)
∂x ∂t
110 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Come già nel caso delle equazioni di Maxwell, si sono indicati con let-
tere maiuscole i fasori complessi, riservando le minuscole alle grandezze
definite nel dominio del tempo. Inoltre, si è tralasciata la dipendenza
dalla frequenza ω per non appesantire eccessivamente la notazione. Le
equazioni del telegrafo, scritte per i fasori complessi, sono allora
∂V (x)
= −ZI(x) , (6.6)
∂x
∂I(x)
= −Y V (x) , (6.7)
∂x
dove l’impedenza Z e l’ammettenza Y risultano rispettivamente Z = iω
e Y = iω c.
Z ∆x
I(x) I(x+∆x)
V(x) Y ∆x V(x+∆x)
∆x
dV
V (x + ∆x) = V (x) + ∆x ,
dx
dI
I(x + ∆x) = I(x) + ∆x .
dx
Si ottiene così
dV
V (x) = [Z ∆x] I(x) + V (x) + ∆x ,
dx
dV dI
I(x) = [Y ∆x] V (x) + ∆x + I(x) + ∆x .
dx dx
112 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
perdite, utilizzando gli strumenti di calcolo che sono l’oggetto del pros-
simo paragrafo. In un secondo momento, si introducono poi le perdite,
valutando quale effetto esse abbiano sul campo che si è calcolato in
precedenza. I dettagli del metodo sono esposti più avanti nel capitolo,
precisamente nel paragrafo 6.2.1.
r ∆x l ∆x
I(x+ ∆x)
I(x)
V(x) g ∆x c ∆x V(x+ ∆x)
∆x
d2 V
= ZY V , (6.8)
dx2
d2 I
= ZY I . (6.9)
dx2
Si noti che, a differenza di quanto accade nelle equazioni del telegrafo,
la tensione e la corrente sembrano ora essere grandezze tra loro indipen-
denti, ed in questo senso le nuove equazioni che si sono trovate sono
più semplici da risolvere rispetto a quelle da cui si è partiti. È tuttavia
6.2. IMPEDENZA CARATTERISTICA 115
Γ= ZY = (r + iω)(g + iωc) .
dV
= −ZI : −ΓV+ e−Γx + ΓV− eΓx = −ZI+ e−Γx − ZI− eΓx ,
dx
dI
= −Y V : −ΓI+ e−Γx + ΓI− eΓx = −Y V+ e−Γx − Y V− eΓx .
dx
116 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
ΓY V− eΓx −Γ2 I+ e−Γx +Γ2 I− eΓx = −ZY I+ e−Γx −ZY I− eΓx −Y ΓV− eΓx ,
e poichè Γ2 = ZY , anche
Z Z Z
V− = −I− = −I− √ =− I− .
Γ ZY Y
In maniera analoga si trova poi anche la relazione
Z
V+ = I+ .
Y
Si nota dunque che, così come era ragionevole attendersi, solo due delle
quattro costanti che compaiono nelle espressioni della tensione e della
corrente sono costanti arbitrarie, mentre le rimanenti due possono essere
ricavate da queste attraverso un nuovo parametro che si usa indicare con
il nome di impedenza caratteristica della linea e che si scrive nella forma
Z r + iω
ZC = = .
Y g + iωc
Le dimensioni fisiche dell’impedenza cartteristica sono quelle degli Ohm
e, come si vede, questa grandezza dipende solo dalla frequenza del campo
e dai parametri elettrici , c, r e g della linea, ovvero dalla conformazione
geometrica che quest’ultima presenta e dalla natura dei conduttori e dei
dielettrici con cui essa è realizzata.
Con l’introduzione dell’impedenza caratteristica gli andamenti della
tensione e della corrente possono essere riscritti nella seguente forma che
mette in maggior evidenza l’esistenza di due sole costanti arbitrarie:
V+ −Γx V− Γx
I(x) = e − e . (6.13)
ZC ZC
Si vuole ora dare una interpretazione fisica a queste espressioni, e si
comincia a tal fine dal primo addendo che compare nella (6.12), quello
scritto come
V+ e−Γx .
6.2. IMPEDENZA CARATTERISTICA 117
Ora che è stata chiarita la natura fisica del termine V+ e−Γx , l’inter-
pretazione dell’altro addendo, V− eΓx , è immediata: tale termine rappre-
senta infatti un’onda regressiva che viaggia dal carico verso il generatore,
ed in generale, quindi, tanto la tensione quanto la corrente nella linea
sono esprimibili come somma di due onde che viaggiano in direzioni op-
poste e con ampiezze V+ e V− che dipendono dal tipo di carico e dal
generatore che la linea connette.
e dunque risultano
1
α = √ r2 + ω 2 2 )(g 2 + ω 2 c2 ) − (ω 2 c − rg) , (6.15)
2
6.2. IMPEDENZA CARATTERISTICA 119
1
β = √ r2 + ω 2 2 )(g 2 + ω 2 c2 ) + (ω 2 c − rg) . (6.16)
2
P (x) = P0 e−2αx ,
dP (x)
= −Pd ,
dx
e dunque
Pd
α= .
2P
La potenza dissipata è dovuta alla presenza dei parametri r e g. Nello
spirito della teoria perturbativa discusso più sopra si ha allora
1
Pd = r|I|2 + g|V |2 ,
2
dove V e I sono le ampiezze delle onde di corrente e tensione presenti
nella linea in condizioni ideali, ovvero in assenza di perdite. Per ciò che
concerne la potenza trasporatata P , in modo analogo, vale anche
1
P = ZC |I|2 ,
2
e poichè in assenza di perdite la tensione e la corrente sono legate dalla
relazione V = ZC I, si ottiene infine
r 1 g
α= + ZC ,
2 ZC 2
V− eΓx
ρ(x) = .
V+ e−Γx
Vi è da accennare ad una convenzione che è comunemente accettata:
in genere, nelle applicazioni, lo studio della propagazione in una linea
di trasmissione viene effettuato con riferimento a circuiti che, in linea di
principio, possono essere schematizzati come in Fig(6.4).
Linea di trasmissione
ZG
Carico
Generatore
0 x
Figura 6.4: Schema a blocchi dei circuiti studiati con la teoria delle linee.
ρ(x) = ρL e2Γx ,
dove
V−
ρL =
V+
6.3. COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE 123
Ora, poichè
ρ(x) = ρL e2iβx ,
il coefficiente di riflessione ρ(x), e quindi anche z(x) e y(x) risul-
tano allora anch’esse grandezze periodiche, ma con periodo pari a
λ/2.
Im{ρ(x)}
x
crescenti Re{ρ(x)}
| ρL
Figura 6.5: Rotazione del punto rappresentativo di ρL nel piano complesso nel
caso di propagazione in assenza di perdite.
Un esempio
Si consideri il circuito di Fig.(6.6), costituito da una linea alimentata da
un generatore di tensione sinusoidale, e chiusa su un cortocircuito.
Linea di trasmissione
VG
ρ(x) = −e2iβx ,
A questa espressione ne corrisponde poi una nel dominio del tempo che
è ricavabile dalla prima secondo la relazione
v(x, t) = Re V (x)eiωt .
Onde progressive
Sia ρL = 0; allora
V (x) = |V+ |eiφ+ e−iβx ,
e
v(x, t) = |V+ | cos(ωt − βx + φ+ ) .
Come già notato, questa espressione rappresenta il caso di un’onda pro-
gressiva, nella quale la variabile temporale e quella spaziale compaiono
nell’argomento del coseno tramite una differenza. Se si rappresenta grafi-
camente l’onda con riferimento ad istanti temporali diversi e per esempio
crescenti (t2 > t1 > t0 ), essa si presenta nella seguente forma
t0
t1
t2
Onde stazionarie
Si consideri ora il caso in cui |ρL | = 1. Si ha allora
V (x) = |V+ | e+i(φ+ −βx) + e+i(φ− +βx) ,
da cui
v(x, t) = Re V (x)eiωt =
φ− − φ+ φ− + φ+
= 2|V+ | cos βx + cos ωt + .
2 2
Le variabili temporali e spaziali sono ora separate, nel senso che esse non
compaiono più nell’argomento della stessa funzione sinusoidale. Si usa
dire che, in questo caso, nella linea si è instaurata una onda stazionaria:
non si tratta più di un’onda che si muove nello spazio al passare del
tempo, quanto piuttosto di una oscillazione la cui ampiezza cambia nel
tempo senza muoversi di posizione. Si noti che, in base alla relazione
z(x) − 1 1 − y(x)
ρ(x) = = ,
z(x) + 1 1 + y(x)
1. circuito aperto: zL = ∞,
2. corto circuito: zL = 0,
3. reattanza pura: zL = i xL .
t0
t1
t2 x
mentre nelle sezioni in cui 2βxm + φL = (2κ + 1)π esso è minimo, e vale
|V+ | − |V− |
|Imin | =
ZC
in corrispondenza alle sezioni di massimo della tensione, ed il valore
massimo
|V+ | + |V− |
|IM AX | =
ZC
in corrispondenza alle sezioni di minima tensione.
Si usa introdurre la quantità
|VM AX |
S= ,
|Vmin |
|ρ| ≤ 1 ,
risulta
1 ≤ S < +∞ e S=1 ⇔ ρ=0 .
È inoltre possibile mettere in relazione il rapporto d’onda stazionario
con il valore assunto dall’impedenza della linea in corrispondenza alle
sezioni di massima e minima tensione. Ad esempio, in una sezione di
massima tensione (e quindi di minima corrente), l’impedenza presenta
il suo valore massimo, dato da
1
I(x) = V+ e−iβx − V− eiβx ,
ZC
ed essa risulta quindi
1 V∗
P (x) = V+ e−iβx + ρL eiβx +
eiβx − ρ∗L e−iβx =
2 ZC
|V+ |2
= 1 − |ρL |2 + ρL e2iβx − ρ∗L e−2iβx =
2ZC
dove
|V+ |2
PA = 1 − |ρL |2 ,
2ZC
è la potenza attiva che, come si vede, non varia lungo la linea. Questo
risultato doveva essere atteso: infatti, si sta qui studiando il caso della
propagazione in una linea priva di perdite nella quale dunque non ha
luogo alcun fenomeno dissipativo. Per il principio di conservazione
dell’energia è allora necessario che la potenza attiva che transita in una
qualsiasi sezione della linea sia sempre la stessa.
Per ciò che concerne il secondo addendo che compare nell’espressione
della potenza, quello scritto come
|ρL | |V+ |2
QA = sin(2βx + φL ) ,
ZC
6.6. ADATTAMENTO IN UNIFORMITÀ 133
Zi
ZG
ZC ZL
VG
|V+ | − |V− |
|VM AX | = |V+ | + |V− | , |Imin | = ,
ZC
ed in quella sezione la potenza complessa è quindi
quantità
√ di potenza utile la linea deve tollerare una tensione di picco
che è S volte maggiore di quella che sarebbe necessaria con il carico
adattato.
Nei due casi vi è inoltre una seconda differenza. Infatti, come si
è visto in precedenza, se il carico è adattato la potenza nella linea è
una potenza solo attiva. Quando invece ρL = 0 la potenza erogata dal
generatore è in generale complessa, cioè essa risulta formata sia da una
parte reale, sia da una immaginaria. Si richiama a questo proposito una
osservazione che era stata fatta quando si erano commentati i risultati
relativi al teorema di Poynting, e che, in sotanza, coincide con quanto si
sta dicendo ora: la comparsa di una componente immaginaria di potenza
è il segno che si stanno utilizzando i generatori in modo improprio ed
inefficace perchè li si “costringe” a generare un campo nel quale qualcuna
delle grandezze elettromagnetiche è maggiore di quanto essa dovrebbe
necessariamente essere al fine di trasportare la stessa potenza attiva che
sta trasportando.
Questi effetti negativi si hanno dunque se ρL = 0, ed è quindi oppor-
tuno domandarsi se, una volta che siano stati assegnati il carico e la linea
di trasmissione, e che questi abbiano impedenze non coincidenti, non sia
possibile agire in qualche maniera sul circuito per ottenere un valore
nullo del coefficiente di riflessione al carico, ρL = 0, realizzando ciò che
usualmente viene indicato con il nome di adattamento di uniformità.
La risposta al quesito è positiva, e questo tipo di adattamento viene
di norma effettuato mediante l’inserimento di una rete di componenti
passivi, che prende il nome di adattatore
ZL ZL
Adattatore
ZC ZL ZC ZL
e che va progettata in modo che, quando inserita prima del carico, essa
136 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
ZL = ZC .
ZL = ZC
ZC ZL
ρ=0
che non dà luogo alla nascita di una onda parzialmente stazionaria nella
linea.
Il progetto dell’adattatore è l’argomento dei prossimi paragrafi. In
particolare, si studierà la realizzazione di adattatori privi di perdite, cioè
di adattatori costituiti da reti con elementi non resistivi, che consentono
l’adattamento in uniformità ad una determinata frequenza.
Z = R + iX ,
6.7. CARTA DI SMITH 137
Y = G + iB .
ix
z
z0
rette con
r i x = cost.
(1 − u)2 r0 + w2 r0 = 1 − u2 − w2 ,
da cui anche 2 2
r0 1
u− +w = 2
.
1 + r0 1 + r0
Come volevasi dimostrare, questa espressione rappresenta una famiglia
di circonferenze con centro (r0 /(1 + r0 ), 0), e raggio 1/(1 + r0 ). Grafica-
mente, tale famiglia appare come in fig.(6.9).
r=0
r = 0.2
r=1
r=5
x = 0.8
x=5
x = 0.1
x=0
x = - 0.1 x=-5
x = - 0.8
0.12 0.13
0.11 0.14
0.38 0.37 0.15
0.1 0.39 0.36
90
0.4 100 80 0.35 0.1
9 6
0.0
45
50
1 110 40 70 0.3
0.4 4
1.0
0.9
1.2
0.1
55
8
0.8
0.0 35
7
1.4
2 0.3
60
0.7
0.4 120 3
0.6 60
1.6
7 /Y o 0.1
0.0 (+j B 30 8
3 CE 0.3
AN
1.8
0.4 PT 0.2 2
CE 50
65
0
13 US
ES
2.0
0.5
6
0.1
V
TI
0.0
25
CI
9
4
0.3
0.4
PA
1
CA
70
R 0.4
,O
0
o)
40
14
5
0.4
0.2
0.0
/Z
5
0.3
20
jX
0.4
(+
NT
3.0
75
0.6
NE
PO
4
0.2
0.0
M
150
0.2
6
0.3
1
30
CO
0.4
9
0.8
CE
15
4.0
>
AN
80
R–
CT
TO
1.0
0.22
EA
ERA
0.28
0.47
ER
5.0
1.0
GEN
TIV
0.2
160
20
85
UC
10
ARD
0.8
IND
0.23
S TOW
0.48
0.27
90
ANG
0.6
ANGL
NGTH
LE OF
10
170
E OF RE
0.1
0.4
–> WAVELE
0.24
TRANSMIS
0.49
0.26
20
S ION COEFFICIENT IN
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
2.0
3.0
4.0
5.0
10
20
50
0.25
0.25
± 180
0.
0.
0.2
D LOAD <
20
0.24
0.49
0.26
0.4
-170
0.1
DEGR
OWAR
10
REES
EES
T
0.6
-90
0.23
THS
0.48
0.27
o)
ENG
j B /Y
0.8 -10
VEL
E (-
-160
-85
-20
0.2
NC
1.0
WA
5.0
0.22
TA
0.47
0.28
<–
1.0
EP
SC
-15 -80
4.0
SU
0.8 -15
E
IV
0.2
4
0
-30
0.0
0.3
CT
6
0.2
1
0.4
DU
9
IN
0.6
-75
3.0
R
,O
o)
5
-20
0.2
0.0
/Z
5
jX
0.3
0.4
0.4
40
(-
-4
-1
NT 0.4
-70
NE
PO
6
0.1
0.0
M
CO
9
-25
4
0.3
0.4
E
-65 .5
NC
1
2.0
0
30 TA -5
0
-1 AC 0.1
7 RE
1.8
0.2
0.0 VE 8
ITI
0.6
0.3
0.4
3
PAC -30 2
CA
1.6
-60
0 -60 0.1
8 -12
0.7
0.0 7
1.4
2 -35 0.3
0.8
0.4 3
1.2
-55
0.9
0.1
1.0
9 -70 6
0.0 -110 0
-4
0
-5
0.3
-4
1 4
0.4 0.1 -100 -80 0.15
-90
0.11 0.14 0.35
0.4 0.12 0.13
0.39 0.36
0.38 0.37
O (C dB O ]
F
. C K SS [ SS C [dB
P)
EF O ]
P T.
W L W T
SM EA O O
S
d
1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0.05 0.01 0 0 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 2 2.5 3 4 5 10 ∞
F,
EF
A
TR
1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 1 0.99 0.95 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0
.C
SM
CENTER
N
A
TR
0. 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 2
ORIGIN
∆x
∆φ = 2β∆x = 2π . (6.20)
λ/2
ZC ZL
Soluzione.
Per prima cosa, bisogna valutare l’impedenza. Essa risulta
ZL = R + iωL , ω = 2π f .
144 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Quindi
ZL = 100 + i 2π × 108 79.6 × 10−9 Ω (100 + i50) Ω .
ρ(x) = ρL e2iβx .
Come già notato, sul piano ρ (in cui è disegnata la carta di Smith) il
movimento del coefficiente di riflessione al variare della coordinata lungo
la linea è quindi descritto da una circonferenza, centrata nell’origine, e
con verso di rotazione orario se il movimento avviene dal carico verso il
generatore. Si usano ora questi fatti per valutare l’impedenza alla di-
stanza x = −0.375 m. A tal fine va innanzi tutto notato che la lunghezza
d’onda è
c
λ = = 3m ,
f
e si tratta quindi di calcolare il valore del carico ad una distanza
x1 0.375 1 λ
= = , x1 = .
λ 3 8 8
Il valore dell’impedenza a questa distanza può quindi essere calcolato
eseguendo una rotazione di λ/8 verso il generatore a partire dal punto
A di Fig.(6.12). Ciò può essere fatto con l’aiuto della ghiera esterna
alla carta di Smith, e si trova così che il punto sulla carta di Smith
rappresentativo dell’impedenza alla distanza x1 = −0.375 m è il punto
B, con impedenza normalizzata
zB = 1 − i1 .
6.7. CARTA DI SMITH 145
2π λ
2βx = 2 =π ,
λ 4
e quindi
λ
ρ − = ρL e−iπ = −ρL .
4
Pertanto, se inizialmente vale
1 + ρL
zL = ,
1 − ρL
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
OM
CI
0.3
TI
0
EC
120
VE
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
6.7. CARTA DI SMITH
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
1.2 0.8
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
9
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.25 0.23
0.27
0.24 0.26
0.25
147
148 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
ZC = 50 Ω ZL = (40 + i 20) Ω
f = 100 MHz
yL = YL ZC = 1 − i0.5 .
Si riporti questo punto sulla carta delle ammettenze. Essa si trova nel
punto A della carta riportata in figura (6.13). Si noti che il punto A si
trova nella parte inferiore della carta, perchè Im{yL } < 0.
L’esercizio chiede di valutare l’ammettenza ad una distanza d =
−0.3 m. Si ricorda che le rotazioni sulla carta di Smith sono sempre
riferite alla lunghezza d’onda che risulta ora
c
λ= = 3m .
f
Quindi, l’ammettenza richiesta può essere ricavata operando una ro-
tazione pari a d/λ = 0.1 nel senso orario che indica il movimento dal
carico verso il generatore. Con l’ausilio dell ghiera esterna, si vede che il
punto A è in corrispondenza al valore 0.356, ed occorre quindi ruotare
6.7. CARTA DI SMITH 149
sulla ghiera esterna fino a che si incontra il valore 0.356 + 0.1 = 0.456.
Questo porta a riconoscere che il punto rappresentativo dell’ammettenza
alla distanza d dal carico è
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 o ) IND 80
5 jB/Y UCT 0.4
5
0.0 E (- IVE
A NC RE
AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0
0.0
65
CA
0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
I
0
E
120
VE
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.7. CARTA DI SMITH 151
Esercizio n.1
Sia dato il circuito in figura
A d
ZC ZC
C1 C2 R1
A
nel quale la costante di fase è pari a quella del vuoto, f = 200 MHz,
ZC = 50 Ω, d = 30 cm, R1 = 25 Ω e C1 = C2 = 16 pF. Si chiede di
valutare l’impedenza che si misura alla frequenza f ai morsetti AA’.
Soluzione.
Innanzi tutto, si valuti il carico costituito dal parallelo tra R1 e C2 .
Risulta comodo valutare l’ammettenza che vale
YL = YR1 + YC2 ,
con
1 1
YR1 = = = 0.04 Ω−1 ,
R1 25 Ω
YC2 = iω C2 = i(2πf ) C2 i0.02 Ω−1 .
Pertanto, l’ammettenza di carico normalizzata risulta
C YB
A
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0
0.0
65
CA
0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.6 60 0.4
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
6.7. CARTA DI SMITH
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0 30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
9
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
153
154 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Esercizio n. 2
È dato il circuito di figura
A d
C2 R1
A
ZC l
nel quale la costante di fase è pari a quella del vuoto, f = 200 MHz,
ZC = 50 Ω, d = 30 cm, R1 = 25 Ω e C2 = 16 pF. Si chiede di va-
lutare l’impedenza vista ai morsetti AA’ quando agli stessi morsetti è
connesso, in parallelo, uno spezzone di linea di impedenza ZC , chiuso in
cortocircuito, e di lunghezza
1. 1 = 0.3 m,
2. 2 = 1.3125 m.
Soluzione.
Si è visto nell’esercizio n.1 che il parallelo tra R1 e C2 riportato ai
morsetti AA’ ha ammettenza
yb = 0.5 − i0.5 .
Ys = ∞ ⇒ ys = Ys Zc = ∞ .
Nella carta di Smith esso appare dunque nel punto A di figura (6.15). Per
calcolare quanto chiede l’esercizio, è necessario valutare l’ammettenza
del cortocircuito posto in parallelo ai morsetti AA’ quando essa viene
riportata ai morsetti stessi.
6.7. CARTA DI SMITH 155
yD2 = i1 .
0.1
0.4
0.1
4 -85 85 6
0.0
5 0 150 0.0
5
0.2
0.4 -15 80
0.2
Yo ) I ND
5 -80 j / UC 0.4
E (- B T IV 5
0.0 NC ER
E AC
PT A
4 S CE 0.1
TA
75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 SU
NC 14 6
6 40 E 0 0.4
-1 VE CO 4
0.0 TI MP
UC O
D NE
IN N
3
70
0.0
-70 OR
0.4
7
0.4
T(
0.4
), +
o
0.4
jX
0.0
13
/Z
30
0.2 /Z
-j
X
-1 7
o)
,
T(
O
EN
R
2
N
0.0
CA
65
0.4
-65 0.5
8
0.5
PO
0.4
M
PA
2
0.0
CI
0.3
CO
0
I
V
120
-12
CE
ES
1
US
TA
9
0.0
0.4
0.6
9
0.6 60
0.4
0.0
-60
AC
C EP
0.4
RE
TA
VE
NC
C ITI
E (+
-110
110
0.4
0.1
0.7 0.5 0.7
0.1
PA
0.4
jB /Y
55
CA
o)
-55
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.7 0.39
100
-100
0 50
-5 0.9 0.8 0.9
0.38
0.9
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
45
5
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
0.37
1.2
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
1.0
1.0
-4
40
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0 1.8
1.8
30
60
-60
-30
7
0.3
2.0
3
2.0 4.0
0.1
3
0.1
7
0.3
5.0
0
-25
50
25
-5
8
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
4.0
0.3
15
0.2
-15
20
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
-10
10
0.2
20
S
20
50
AN G
50
9 EGRE E LE 20 0.2
1
0.2 -20 OFTR
AN S MIS SIO N CO E FFI CIE NT I N D 0.28
0.22 AN GL S
E O F R EF DEGR EE
0.28 0.27 LE C TIO N C O EFF I CIE NT IN 0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 157
ZL
zL = o yL = YL ZC ,
ZC
r=1 , ix = 0 ,
g=1 , ib = 0 ,
1. a singolo stub;
2. a doppio stub;
ZC ZL
Esercizio n.3
Si consideri il circuito di fig.(6.17), nel quale J = 0.1 A, ZG = 50 Ω,
ZC = 50 Ω, dT OT = 1.5 m, R = 125 Ω, L = 132.63 nH e la frequenza di
lavoro è f = 300 MHz. La costante di fase è pari a quella del vuoto.
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 159
dTOT
d
J ZG ZC L R
ZC
Si chiede di
Soluzione.
Poichè lo stub è realizzato ponendo in parallelo uno spezzone di linea, è
preferibile lavorare con le ammettenze. Si calcoli dunque l’ammettenza
di carico. Questo è formato dal parallelo di un resistore ed un induttore,
e vale quindi
1 1 1 1
YL = + = + Ω−1 = (8 − i4) × 10−3 Ω−1 ,
R iωL 125 i250
yL = YL ZC = 0.4 − i0.2 .
160 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Si riporti questo valore sulla carta di Smith: esso si colloca nel punto A
di figura (6.18).
Si consideri ora il comportamento elettrico dello stub. Si è visto nel-
l’esercizio n.2 che un tratto di linea posto in parallelo ad una linea di
trasmissione presenta, ai morsetti cui è connesso, una ammettenza yS
che è un numero immaginario puro (lo stub ha cioè comportamento pu-
ramente reattivo, come deve essere dal momento che essendo realizzato
con un cortocircuito esso non può dissipare potenza), che dipende dalla
lunghezza del tratto di linea con cui esso è realizzato.
Nell’adattatore a stub semplice, l’ammettenza così costituita viene
posta in parallelo a quella che il carico presenta dopo un tratto di lun-
ghezza d, y(−d), e quello che si vuole ottenere è che il parallelo di queste
due ammettenze realizzi l’adattamento, ovvero che
y(−d) + yS = 1 + 0 i .
In altre parole, il parallelo delle due ammettenze deve avere parte reale
unitaria e parte immaginaria nulla, ovvero, tenendo conto che yS è una
ammettenza immaginaria pura, deve risultare
Re{y(−d)} + Re{yS } = Re{y(−d)} = 1 , Im{y(−d)} + Im{yS } = 0 .
La prima condizione permette quindi di stabilire la distanza d a cui
posizionare lo stub dal carico. Questa distanza è infatti quella a cui
il carico presenta parte reale unitaria, ed essa può essere individuata
tramite una semplice rotazione sulla carta di Smith.
Si ricorda infatti che, muovendosi lungo la linea dal carico al gene-
ratore, il punto rappresentativo dell’ammettenza compie, sulla carta di
Smith, una rotazione circolare in senso orario. La rotazione andrà quindi
compiuta per una lunghezza tale da portare il punto sulla carta di Smith
dal carico fino al cerchio a parte reale dell’ammettenza costante e pari
a uno.
Con riferimento ai dati dell’esercizio, ciò significa una rotazione che
dà luogo a due soluzioni. La prima è quella che conduce dal punto A al
punto B di figura (6.18). In questo punto si ha
ypunto B = 1 + i1 ,
ed esso è raggiunto tramite una rotazione che può essere letta sulla ghiera
esterna della carta di Smith, e che vale
d
= B − A = 0.162 + 0.037 0.2 .
λ
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 161
d = 0.2 λ .
Im{y(−d)} + Im{yS } = 0 .
bS = Im{yS } = −1 .
yS = +i1 ,
J ZG ZL
A
J ZG ZL
A
e la potenza erogata dal generatore è quella che esce dai morsetti AA’.
Essa è data da
1
PAA = VAA (IAA )∗ ,
2
con (regole del partitore di corrente)
ZG ZG ZL
IAA = J , VAA = J .
ZG + ZL ZG + ZL
Pertanto
PAA = 50 mW + 25 mVA .
Prima dell’adattamento il generatore eroga quindi potenza sia attiva, sia
reattiva.
J ZG ZC
e quindi
1 2 ZG 2 |J|2
PAA = |J|
2 Z + Z ZC = 8 ZC = 62.5 mW .
G C
164
0.0 —> WAVELE
0.49 NGTH
S TOW
0.48 — 0.0 0.49
ARD
D LOAD < GEN
OWAR ± 180 0.48 ERA
0.47 HS T 170 TO
L E NGT -170 R—
E >
WAV 0.47
6 <— 160 0.0
0.4 -160 -90 90 4
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 o ) IND 80
5 jB/Y UCT 0.4
5
0.0 E (- IVE
NC RE
TA AC
4 EP 0.1 TA
75 0.0
SC
0.3
0.3
0.4 -75 SU
NC 14 6
6 40 E EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
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7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.7 0.39
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
-4 0.2
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 165
ZC ZL
l1
l2
Esercizio n.4
3λ / 8
Rg
ZC ZL
l1
l2
Vg
Si chiede di determinare:
1. le lunghezze 1 e 2 dei due elementi di un doppio stub che, con-
nesso sul carico e con distanza tra gli stub pari a d = 3λ/8, realizza
l’adattamento in uniformità.
2. La potenza erogata da un generatore adattato in potenza (Rg =
50 Ω) con tensione di picco Vg = 50 V, prima e dopo l’adattamento.
Soluzione.
Per prima cosa, occorre individuare il carico. Espresso secondo la sua
ammettenza normalizzata, esso è
1 − ρL
yL = ,
1 + ρL
con
ρL = |ρL | exp {i fase(ρL )} = 0.32 + i0.38 .
Risulta quindi
yL = 0.4 − i0.4 ,
e questo valore può essere riportato sulla carta di Smith, dove esso ap-
pare nel punto A di figura (6.19).
Si consideri ora il problema dell’adattamento. Al fine di comprendere
la procedura che consente il dimensionamento delle lunghezze degli stub
è opportuno rifarsi a quanto si è visto nello studio dell’adattatore a
singolo stub. Si consideri infatti il doppio stub, e, per il momento, si
concentri l’attenzione sul secondo degli stub, cioè su quello che non è
connesso direttamente sul carico. Analogamente a quanto si è visto nel
caso dell’adattatore a singolo stub, anche in questo caso quello che si sta
cercando di fare è di avere, a sinistra del secondo stub, il carico adattato,
cioè
(2)
ysx = y(a sinistra del secondo stub) = 1 ,
e va tenuto conto che il secondo stub ha una ammettenza yS2 che è
puramente immaginaria. Si può cioè scrivere
(2) (2)
ysx = 1 = yS2 + ydx ,
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 167
(2)
dove ydx è l’ammettenza che si ha subito a destra del secondo stub.
Scritta per esteso, questa relazione si divide in
(2)
1 = Re ydx ,
e
(2)
0 = Im {yS2 } + Im ydx .
Si sono quindi ottenute due relazioni che indicano quanto segue:
• la prima che occorre fare in modo di avere, a destra del secondo
stub, una ammettenza con parte reale unitaria, ovvero una ammet-
tenza che, riportata sulla carta di Smith, giaccia sulla circonferenza
a parte reale costante g = 1;
disegnata sono infatti quei punti che il tratto di linea interposta fra i
due stub fa poi terminare sul cerchio g = 1.
Si è così in grado di stabilire come debba essere fatta l’ammettenza a
sinistra del primo stub, ed essa deve dunque essere rappresentata da un
punto della carta di Smith che giaccia sulla circonferenza g = 1 ruotata
di una quantità pari a d verso il carico. In particolare, quindi, se d = λ/8,
la curva g = 1 va ruotata di 90 gradi in senso antiorario, mentre con
d = λ/4 la rotazione deve essere di 180 gradi, e con d = 3λ/8 di 270
(1)
gradi. Si indichi con ysx l’ammettenza a sinistra del primo stub così
individuata.
Il dimensionamento del doppio stub è a questo punto quasi com-
(1)
pleto: a sinistra del primo stub c’è l’ammettenza ysx mentre a destra
c’è l’ammettenza di carico yL . Il legame tra le due ammettenze è (pa-
rallelo di ammettenze)
(1) (1)
ysx = yS1 + ydx = yS1 + yL ,
dove yS1 è l’ammettenza del primo stub. Sulla carta di Smith il punto a
(1)
destra del primo stub è il punto rappresentativo del carico, mentre ysx
giace sulla curva g = 1 ruotata. Lo stub connette questi due punti, e
poichè esso ha ammettenza puramente immaginaria, opera questa con-
nessione tramite un movimento lungo le curve a parte reale costante,
ed in particolare lungo la curva a parte reale costante uguale alla parte
reale dell’ammettenza del carico.
(1)
Operativamente quindi, l’ammettenza ysx sarà individuata dai punti
della carta di Smith nei quali la circonferenza g = 1 ruotata incrocia la
curva a parte reale uguale alla parte reale del carico, ed il dimensio-
namento del secondo stub andrà svolto sulla base della relazione sopra
scritta e che, espansa nella sua parte reale ed immaginaria, si legge come
(1)
Re ysx = Re {yL } , (1)
Im ysx = Im {yS1 } + Im {yL } .
Il dimensionamento del primo stub va quindi fatto come segue: nel primo
caso la situazione è quella illustrata in figura
yL yS1 yL
l1
K
y L = 0.4 - i 0.4
y K K = 0.4 - i 0.2
ovvero
da cui
yS1 = i0.2 .
Questo valore di suscettanza è ottenuto con un tratto di linea di lun-
ghezza (si veda il punto B1 di figura (6.19))
1
= 0.25 + 0.03 = 0.28 ,
λ
e poichè λ = c/f = 1 m
1 = 28 cm .
Analogamente, se viene scelta la seconda soluzione si ha
e questa suscettanza può essere ottenuta con una linea di lunghezza (si
veda il punto B2 in figura (6.20))
1
= 0.349 − 0.25 = 0.095 ⇒ 1 = 9.5 cm .
λ
Individuate le due soluzioni ammissibili, e le relative lunghezze del
primo stub, si esegue la rotazione pari a d = 3λ/8. Per semplicità, si
esegue solo il calcolo relativo al caso della soluzione che fornisce il valore
minimo di 1 , cioè quella corrispondente al punto B2 ). La rotazione
conduce al punto indicato con la lettera C nella figura (6.19), che ha
ammettenza
ypunto C = 1 + i3 .
Il secondo stub deve quindi compensare una suscettanza pari a i3, ovvero
avere
yS2 = −i3
Questa può essere ottenuta con una linea di lunghezza
2
= 0.302 − 0.25 = 0.052 ⇒ 2 = 5.2 cm .
λ
RG
ZL
VG
(si faccia attenzione che la relazione è vera solo con le ammettenze nor-
malizzate, se non altro per ragioni di dimensioni fisiche). Pertanto
1
yL = = 1.25 + i1.25 ,
0.4 − i0.4
e quindi anche
1
zL = = 04. − i0.4 .
yL
In termini reali
ZL = zL ZC = (20 − i20) Ω .
La potenza richiesta è quella che esce dai morsetti AA’, ed è data da
1
PAA = VAA (IAA )∗ ,
2
con (partitore di tensione)
ZL Vg
VAA = Vg , IAA = .
Rg + ZL Rg + ZL
Pertanto
2
1 Vg
PAA = Z = 4.71 W − i4.71 VA .
2 Rg + ZL L
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 o ) IND 80
5 jB/Y UCT 0.4
5
0.0 E (- IVE
NC RE
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4 EP 0.1 TA
75 0.0
SC
0.3
0.3
0.4 -75 SU
NC 14 6
6 40 E EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
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IN EN
3
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0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
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0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
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R
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2
N
0
0.0
65
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0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
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0.0
2
M
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0.3
CO
TI
0
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V
120
-12
NC
1
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0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
-4
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 173
0.12 0.13
0.11 0.14
0.38 0.37 0.15
0.1 0.39 0.36
90
0.4 100 80 0.35 0.1
9
0.0 6
45
1 110 50 40 70 0.3
0.4 4
1.0
0.9
1.2
0.1
55
8
0.8
0.0 35
7
1.4
2 0.3