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tema

Igiene ed educazione
alla salute: conoscere
e prevenire

“ Gli stili di vita sono un fattore determinante della nostra


salute: non si può intervenire esclusivamente con progetti tecnici,


la salute è anche un problema culturale (OMS, 1972)

1 Il concetto di salute e malattia


L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la salute non solo
come assenza di malattia, ma come uno stato di completo benessere fisico,
psichico e sociale.
Questa essenziale e misurata definizione ci aiuta a capire e intendere lo
star bene come qualcosa di più e di diverso dal semplice non essere malati, e
suggerisce come la salute sia quanto di più prezioso possa esistere e contare
nella vita di ciascuno di noi. La salute, senza la quale la qualità della vita e il suo
valore sono destinati a peggiorare, è una formidabile risorsa che ci permette di
realizzare le nostre aspirazioni e i nostri desideri, di vivere in modo autonomo
senza dipendere da altri, ed è una condizione che deve essere raggiunta, ricer-
cata e difesa giorno per giorno, con un costante impegno e con la scelta attenta
di corretti stili di vita.
In modo più complesso rispetto alla definizione dell’Organizzazione Mon-
diale della Sanità, ma in modo altrettanto essenziale e misurato, Hans Georg
Gadamer riprende il concetto di salute e scrive (1994):

“la salute è qualcosa che si sottrae alla possibilità di esaminarla in quanto la


sua essenza consiste proprio nel celarsi. A differenza della malattia, la salu-
te non è causa di preoccupazione, anzi, non si è mai consapevoli di essere
sani. La salute è un’armonia, la giusta misura, e la malattia è il turbamento
di questo equilibrio.”

Orazio Anni - Anatomia, fisiologia e igiene del corpo umano - © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 1
Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

La salute non si manifesta anche perché non esiste un livello di salute uguale per
tutti, esiste semmai un massimo di salute e di equilibrio possibili da conquistare e
mantenere, diverso da persona a persona, e questo non sempre risulta facile.
Anche la malattia, che invece si maifesta persino in modo repentino e dram-
matico, non è facile da definire o interpretare. Essa è generalmente vista e consi-
derata come una condizione in cui si sono venuti a determinare processi biologici
non comuni alla maggior parte degli individui della stessa specie, età e sesso.
Ma la normalità statistica a cui questa definizione fa riferimento, non sempre
corrisponde al singolo individuo, come non sempre è possibile riconoscere la ne-
cessaria corrispondenza tra come si percepisce il proprio benessere e la propria
oggettiva condizione clinica: molte persone, per esempio, sono maggiormente
preoccupate da disturbi somatici legati a particolari stati d’ansia, ma che in ge-
nere non hanno rilevanza clinica, piuttosto che da condizioni patologiche signifi-
cative, ma che non producono particolari o evidenti sintomi, come l’ipertensione
o il diabete non diagnosticati, o come i tumori allo stato iniziale o silente.
La malattia insorge quando uno o più fattori morbosi prevalgono sul siste-
ma immunitario e sulle capacità difensive dell’organismo. Oggi, grazie alle mi-
gliori condizioni generali di vita e ai grandi progressi della medicina e della
farmacologia, molte malattie sono ormai state sconfitte o rese meno gravi di
quanto fossero in precedenza, altre malattie però – legate prevalentemente
all’inquinamento ambientale o ad abitudini di vita non corrette (alimentazione
eccessiva o non equilibrata, abuso di alcol, fumo, scarsa attività fisica ecc.) –
emergono sempre più e creano problemi sociali ed economici di non facile so-
luzione. Cercare di dedicare più attenzione ai propri comportamenti è forse la
regola di vita più opportuna e importante e forse il modo più sicuro per essere
e mantenersi in buona salute.
La condizione di armonico equilibrio ricordata da Gadamer e sottesa al con-
cetto di salute, può essere minacciata dall’azione di alcuni fattori – general-
mente intesi come variabili associate a un evento indesiderato (la malattia)
in maniera significativa e costante – distinti e classificati di norma nel modo
seguente:

◗ fattori di rischio individuali, ereditarietà e familiarità (per esempio dia-


bete o ipertensione arteriosa) e condizioni sociali;
◗ fattori di rischio comportamentali e stili di vita, per esempio alimen-
tazione ipercalorica, alimentazione non bilanciata, sedentarietà e scarso
esercizio fisico, guida spericolata, fumo di tabacco, abuso di alcol e abuso di
farmaci e sostanze psicotrope, scarsa igiene personale;
◗ fattori di rischio culturali e socio-economici, organizzazione sociale
ed economica (per esempio disoccupazione, mediocre organizzazione socio-
sanitaria e urbana) e influenze culturali (per esempio modello culturale del
fumatore e del bevitore);
◗ fattori di rischio ambientali, fattori biologici (per esempio batteri, virus,
miceti, protozoi, parassiti), fattori fisici (per esempio clima, raggi ultravio-
letti, radiazioni ionizzanti, rumore) e fattori chimici (per esempio pesticidi e
fertilizzanti, additivi alimentari).

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Il fumo di tabacco e l’obesità, per esempio, costituiscono due fra i maggiori


fattori di rischio nello sviluppo di patologie croniche e invalidanti. La lotta al
tabagismo e la lotta nei confronti di un’alimentazione ipercalorica o sbilanciata
sono quindi diventate un obiettivo prioritario delle politiche sanitarie ma, no-
nostante i dati più recenti confermino un progressivo decremento del numero
dei fumatori e vi sia una maggiore attenzione nei confronti di scelte alimentari
più corrette, il fumo è un’abitudine ancora molto diffusa e sempre rilevante
rimane il coinvolgimento della popolazione più giovane, in particolare quella
femminile, mentre soltanto poco più della metà della popolazione italiana risul-
ta avere un peso normale, contro il 34,6% che è in sovrappeso e il 10,4% che è
considerato obeso.
La salute si difende o si promuove tramite azioni di prevenzione, che com-
prendono l’insieme degli interventi diretti a conservare, mantenere e miglio-
rare la salute e a prevenire l’insorgenza delle malattie. Gli obiettivi della pre-
venzione sono soprattutto il potenziamento dei vari fattori utili alla salute e
l’allontanamento o almeno la riduzione delle cause di malattia.
Nelle azioni di prevenzione nei confronti dell’individuo, delle famiglie e della
comunità, è possibile distinguere differenti fasi e modalità di intervento.

◗ La prevenzione primaria tende a intervenire, evitando che disturbi o ma-


lattie possano mettere in pericolo la salute dell’individuo e della collettività,
sulle cause e sui fattori di rischio, modificando gli stili di vita potenzialmente
pericolosi. Nell’ambito delle dipendenze da alcol, fumo e sostanze psicotro-
pe, per esempio, la prevenzione primaria consiste nell’insieme degli inter-
venti in grado di evitare o ridurre il consumo non corretto o l’abuso di tali
sostanze, e nelle azioni capaci di sviluppare condizioni psicologiche e sociali
utili a evitare il ricorso a prodotti potenzialmente pericolosi.
◗ La prevenzione secondaria ha lo scopo di identificare e bloccare il più
precocemente possibile un processo patologico o una situazione di males-
sere, per evitare che si aggravi ulteriormente. Nell’ambito delle dipendenze
da alcol, fumo e sostanze psicotrope, la prevenzione secondaria è l’insieme
degli interventi utili ad aiutare le persone che già consumano sostanze psico-
trope, intervenendo nei momenti di crisi e cercando di informare sulle possi-
bili alternative e su un eventuale ricorso ai servizi di cura e di riabilitazione;
◗ La prevenzione terziaria cerca di arrestare o almeno limitare l’evoluzione
della condizione patologica, evitando le complicanze, la possibile cronicizza-
zione e le recidive, e mira, attraverso interventi di tipo farmacologico, chi-
rurgico o riabilitativo, al recupero della migliore efficienza psicofisica.

Un esempio dell’efficacia delle azioni di prevenzione, e in modo particolare della


prevenzione primaria, è la progressiva riduzione, nel corso degli ultimi venti
anni, della mortalità di alcune malattie a carico del sistema cardiovascolare.
Numerosi studi ritengono, infatti, che il notevole calo della mortalità sia dipeso,
oltre che da una maggiore rapidità di intervento ed efficacia delle cure, anche
dal notevole sforzo educativo e formativo teso a ridurre precocemente i fattori
modificabili in grado di aumentare il rischio associato a queste patologie.

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Una componente essenziale per la difesa e la promozione dello stato di sa-


lute è l’educazione sanitaria, il cui scopo primario è aiutare le persone e le
popolazioni a mantenere o acquisire la salute attraverso il proprio comporta-
mento e le proprie azioni. L’OMS (1985) considera l’educazione e la promozio-
ne della salute come un ampio insieme di interventi di informazione e forma-
zione rivolti a sviluppare, in modo consapevole e durevole, stili di vita in grado
di promuovere e costruire comportamenti positivi nei riguardi della salute sia
a livello individuale che comunitario. Le esperienze e i processi di comunica-
zione interpersonale dell’educazione sanitaria devono essere necessariamente
diretti a fornire informazioni adatte a favorire un esame critico dei problemi
riguardanti la salute e a responsabilizzare gli individui e i gruppi sociali nelle
scelte che hanno effetti, diretti o indiretti, sul benessere fisico e psichico dei
singoli e della collettività.

2 La dipendenza da alcol, da fumo e da sostanze psicotrope


La tossicodipendenza, secondo l’OMS (1996), è una condizione di intossica-
zione cronica o periodica, dannosa all’individuo e alla società, prodotta dall’uso
ripetuto di una sostanza chimica naturale o di sintesi. Sono sue fondamentali
caratteristiche:

◗ il desiderio incontrollabile di continuare ad assumere la sostanza;


◗ la tendenza ad aumentare la dose;
◗ la dipendenza psichica e talvolta fisica dagli effetti della sostanza.

Ciascuna caratteristica risulta essere, in genere, fattore preminente di singole


sostanze ma non di altre. La tolleranza, per esempio, intesa anche come assue-
fazione, ossia la necessità di assumere dosi sempre più frequenti per produrre
la medesima azione, risulta essere, con la dipendenza psicofisica e il feno-
meno tossico, il fattore distintivo dell’alcol e dei narcotici oppiacei (morfina
ed eroina); i fenomeni tossici e la dipendenza psichica ma non la tolleranza,
risultano essere, invece, i probabili caratteri distintivi della cocaina; mentre
la canapa indiana (marijuana e hashish) e la mescalina non sembrano dare
assuefazione, ma sembrano essere caratterizzate, secondo studi recenti, da fe-
nomeni tossici e dipendenza psichica e fisica.
Nell’ambito delle dipendenze gli interventi preventivi, oltre che nei confron-
ti dei fattori in grado di influenzare la domanda (interventi sulla produzione e
sul commercio delle sostanze capaci di indurre dipendenza), devono essere
rivolti:

◗ all’ambiente di vita (eliminazione o almeno riduzione dei differenti fattori di


rischio in grado di causare malessere e disagio sociali come la disoccupazio-
ne, la solitudine, il consumismo, la competitività e l’emarginazione);

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◗ alla creazione di attività e programmi capaci di ridurre le difficoltà e le pri-


vazioni sociali e risultare alternativi al consumo di sostanze legali o illegali
(attività sportive e ricreative, partecipazione a iniziative di volontariato e di
impegno sociale);
◗ al controllo attento della pubblicità e della diffusione delle sostanze legali;
◗ all’individuo (assistenza ai soggetti considerati a rischio; interventi ed espe-
rienze di educazione sanitaria in grado di responsabilizzare le persone a un
consumo attento e razionale di alcol, tabacco, psicofarmaci ecc.).

L’alcol è una sostanza tossica, potenzialmente cancerogena, capace di causare


numerose patologie, traumi gravi, incidenti, turbe mentali e del comportamen-
to, e capace di indurre dipendenza superiore alle sostanze o droghe non legali
più conosciute. In Italia il primo bicchiere viene consumato a 11-12 anni, l’età
più bassa dell’Unione Europea (la cui media è 14,5 anni), mentre sulla base di
recenti dati ISTAT, sappiamo che il 75% degli italiani consuma alcol (l’87% dei
maschi e il 63% delle donne).
I giovani, le donne e gli anziani sono generalmente più vulnerabili agli effetti
delle bevande alcoliche a causa della carente presenza di un enzima epatico,
chiamato alcoldeidrogenasi (ADH), e della conseguente ridotta capacità del
loro organismo di metabolizzare l’alcol, che viene assorbito per il 20% dallo sto-
maco e per il restante 80% dall’intestino tenue. Il 95% dell’alcol ingerito viene
rimosso dal fegato, il restante 5% viene eliminato attraverso l’urina, le feci, il
sudore e il latte materno.
Certo e confermato da numerosi studi e ricerche è inoltre l’effetto nocivo
dell’uso di alcol sulla salute del bambino durante la gravidanza. Le sostanze
alcoliche, capaci di superare la barriera placentare e raggiungere il feto, provo-
cano una sindrome fetale alcolica (FAS), in cui risultano evidenti deficit della
crescita e deficit neurologici e psicosociali (in Italia si stima che nascano ogni
anno circa 3000 bambini affetti da sindrome fetale alcolica).
In Italia e in Europa l’alcol costituisce il terzo più importante fattore di ri-
schio per la salute, dopo il tabacco e l’ipertensione, e rappresenta attualmente
la prima causa di morte tra i giovani di età compresa fra i 15 e i 29 anni. Ogni
anno sono attribuibili, in modo diretto o indiretto, al consumo di alcol (World
Health Report/OMS 2009):

◗ il 10% di tutte le malattie,


◗ il 10% di tutti i tumori,
◗ il 63% delle cirrosi epatiche,
◗ il 41% di tutti gli omicidi,
◗ il 45% di tutti gli incidenti,
◗ il 9% delle invalidità e delle malattie croniche.

Pur apportando circa 7 kcal per grammo, l’alcol non è considerato un nutriente
e il suo consumo non risulta utile all’organismo. L’alcol risulta essere, invece,
fonte di danno diretto alle cellule di molti organi e sistemi. Tra i più vulnerabili
vi sono il sistema cardiocircolatorio, il sistema nervoso centrale e periferico (al-

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tera il processo di memorizzazione e la capacità di comunicazione attraverso i


centri nervosi, modifica il comportamento con la comparsa di psicosi, determina
un rilevante aumento dell’aggressività, compromette la facoltà di giudizio e di
autocontrollo), gli organi di senso (restringe il campo visivo, disturba in modo
evidente la visione binoculare, diminuisce la capacità di valutare correttamente i
suoni) e il sistema digerente (causa danni alla mucosa del tubo digerente e favo-
risce la comparsa di gastriti, esofagiti e affezioni epatiche a crescente severità).
In Italia è ormai certamente presente una crescente consapevolezza nei con-
fronti dell’abuso dell’alcol e del rilevante costo sociale dell’alcolismo, ma rimane
ancora molto da fare sia dal punto di vista formativo che educativo. Soprattutto
appare necessario guidare i giovani e gli adolescenti a distinguere con sicurezza
tra bevande alcoliche e analcoliche, avere una precisa conoscenza degli effetti
dell’alcol sull’organismo, sapere individuare in modo opportuno le circostanze
in cui il rischio di incidenti risulta accresciuto dall’uso dell’alcol e comprendere
e riconoscere, con sufficiente correttezza, tra il bere come abitudine sociale
e l’alcolismo inteso come malattia. Risulta necessario, inoltre, ricordare alcuni
semplici ma utili consigli degli esperti del Ministero della Salute:

◗ l’alcol non è una sostanza nutriente e il suo abuso può provocare seri danni
alla salute;
◗ non esiste una quantità di alcol sicura e raccomandabile;
◗ è meglio privilegiare, se proprio si vuole bere, bevande a bassa gradazione
alcolica (vino o birra) ed evitare i superalcolici;
◗ bere in misura moderata, mai a digiuno e, in ogni caso, evitare di mettersi
alla guida di auto o motoveicoli dopo aver bevuto;
◗ evitare di mescolare fra loro diversi tipi di bevande alcoliche;
◗ fare estrema attenzione all’interazione tra farmaci e alcol;
◗ mai bere sostanze alcoliche in gravidanza, allattamento, infanzia e sotto i
16 anni.

Nell’ambito della guida degli autoveicoli e del consumo delle bevande alcoli-
che, secondo il codice della strada (art. 186 e successive modifiche) il limite
legale di alcolemia (concentrazione di alcol nel sangue) durante la guida non
deve superare gli 0,5 grammi per litro (0,5 g/l). Il conducente può essere sotto-
posto a un accertamento da parte delle forze dell’ordine misurando la quantità
di alcol che ha consumato nell’aria espirata (etilometro), e qualora il limite di
0,5 g/l venga superato in base a due misurazioni consecutive effettuate a un
intervallo di cinque minuti l’una dall’altra, scatta:

◗ una sanzione amministrativa da un minimo di 500 fino a un massimo di


2000 € e la sospensione della patente di guida da tre a sei mesi, quando il
tasso alcolemico risulta compreso tra 0,5 e 0,8 g/l;
◗ un’ammenda da 800 a 3200 €, la sospensione della patente da sei mesi a un
anno e l’arresto fino a tre mesi, quando il tasso alcolemico risulta compreso
tra 0,8 e 1,5 g/l;
◗ un’ammenda da 1500 a 6000 €, la sospensione della patente da uno a due anni
e l’arresto fino a sei mesi, quando il tasso alcolemico risulta superiore a 1,5 g/l.

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Una concentrazione di 0,2 grammi di alcol ogni litro di sangue (0,2 g/l) si rag-
giunge in media in un adulto (le donne e i giovani sono più vulnerabili all’alcol
e raggiungono gli stessi livelli di alcolemia con maggiore rapidità e con quantità
inferiori) con l’ingestione a stomaco pieno di circa 12 grammi di alcol puro, pari
al consumo di:

◗ un bicchiere (330 ml) di birra (5°),


◗ oppure un bicchiere (125 ml) di vino (12°),
◗ oppure un bicchiere (80 ml) di aperitivo (18°),
◗ oppure un bicchiere (40 ml) di cocktail alcolico (36°).

Indicativamente due bicchieri di vino (24 g alcol) sono sufficienti per le don-
ne e i giovani a raggiungere il limite legale per la guida, mentre per un uomo
adulto il limite si raggiunge con circa tre bicchieri di vino (36 g alcol), inoltre,
ancora indicativamente, prima di mettersi alla guida è indispensabile aspettare
almeno un’ora per ogni bicchiere tipo di bevanda alcolica bevuto.

Tasso alcolico Effetti sull’organismo


nel sangue
0,2 g/l Inizia la tendenza a guidare in modo più rischioso ed aumenta la tendenza ad agire in modo imprudente
a causa di una ridotta percezione del rischio.
0,4 g/l Rallentano le capacità di vigilanza, di percezione e di elaborazione mentale; i movimenti vengono eseguiti
bruscamente, con difficoltà di coordinazione.
0,5 g/l Il campo visivo si riduce a causa della diminuzione della visione laterale (per esempio, diventa difficile
(limite legale) controllare lo specchietto retrovisore o le manovre di sorpasso), contemporaneamente si verifica
la riduzione (intorno al 30-40%) della capacità di percezione degli stimoli sonori, luminosi e uditivi
e della conseguente capacità di reazione.
0,6 g/l I movimenti e gli ostacoli vengono percepiti con notevole ritardo e la visine laterale è fortemente compromessa.
0,7 g/l I tempi di reazione risultano fortemente pregiudicati; l’esecuzione dei normali movimenti di guida è priva
di coordinamento, appare confusa e può condurre a gravi conseguenze.
0,9 g/l Risultano compromessi l’adattamento all’oscurità, la capacità di valutazione delle distanze e delle traiettorie
dei veicoli e le percezioni visive simultanee (per esempio, al posto di due veicoli se ne percepisce solo uno).
1,0 g/l Si hanno ebbrezza manifesta, caratterizzata da disturbi motori che rendono precario l’equilibrio,
alterata capacità di attenzione, minima capacità visiva e tempi di reazione assolutamente inadeguati;
il comportamento alla guida è caratterizzato da sbandate volontarie del veicolo, incapacità di valutazione
della posizione del veicolo rispetto ai confini della carreggiata, accecamento transitorio, a cui segue
un recupero molto lento della visione, determinato da percezioni luminose intense (luci degli abbaglianti)
e ritardo accentuato nell’avvertire le percezioni sonore (clacson).
> 1,0 g/l L’euforia viene sostituita da un evidente stato di confusione mentale e di totale perdita della lucidità,
con conseguente sopore e sonnolenza intensa.

LA LEGGE Il limite sopra il quale il conducente è considerato in stato di ebbrezza è 0,5 grammi di alcol per litro.
Chi supera questo limite commette reato: la patente viene automaticamente sospesa fino a un anno,
si rischia una multa (da 500 a 3200 €) e l’arresto fino a 3 mesi, mentre i punti detratti dalla patente sono
10 (20 in caso di recidiva). Chi supera gli 1,5 grammi di alcol per litro è punibile con un’ammenda da 1500
a 6000 € e l’arresto fino a 6 mesi, mentre la patente può essere sospesa da uno a 2 anni. Se si arriva
a 4 sospensioni della patente in un anno è prevista la revoca.

Nella dipendenza da fumo alcuni dati possono chiarire e, nel contempo, per-
mettere una valutazione opportuna dei possibili, gravi problemi che tale di-

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pendenza tende a sollevare: secondo dati recenti ogni anno, in Italia, risultano
essere 80.000 i decessi direttamente attribuibili al fumo di sigaretta (il tabacco,
nel nostro Paese, è responsabile del 30% di tutte le morti).
I fumatori italiani sono circa 14 milioni (Doxa, 2008). Fuma il 35% degli uo-
mini e il 23,8% delle donne. L’età media in cui si incomincia di solito a fumare
è compresa tra i 16 e i 19 anni: il 23% dei fumatori ha iniziato entro i 14 anni, il
52% tra i 15 e i 19 anni, il 25% dopo i 20 anni.
La sigaretta è una miscela di diversi tabacchi e altri ingredienti. Il fumo che
origina dalla combustione incompleta del tabacco e della carta che lo avvolge,
è costituito da circa 12.000 sostanze differenti, di cui solo 4000 individuate. Un
micidiale aerosol che invade le vie respiratorie con gas, vapori non condensati
e miliardi di particelle, il cui diametro medio risulta inferiore al micron, tale
quindi da consentire a queste microscopiche polveri di raggiungere le parti più
interne del sistema respiratorio.
Il fumo contiene sostanze irritanti (acido cianidrico, acreolina, formaldeide,
ammoniaca) capaci di causare danni immediati alle vie respiratorie e in grado
di danneggiare non solo le mucose di rivestimento dei bronchi ma, in parti-
colare, alcune cellule provviste di ciglia della parete interna delle vie aeree
superiori, che solitamente si oppongono all’ingresso di polveri, germi patogeni
e sostanze tossiche. Questa continua azione irritante provoca tosse, eccessiva
secrezione di muco e, a lungo andare, bronchite cronica ed enfisema.
Il fumo contiene anche una parte corpuscolata, il catrame, che compren-
de sostanze, come benzopirene e idrocarburi aromatici, a comprovato effetto
cancerogeno sull’apparato respiratorio, il cavo orale e la laringe, e in grado
di attraversare la placenta. Il catrame irrita le vie respiratorie, contribuisce
all’ingiallimento dei denti e alla tipica sensazione di amaro in bocca. Il fumo
sviluppato dalla parte finale della sigaretta (fumo marginale) contiene quantità
superiori di agenti cancerogeni rispetto a quelle riscontrate nel resto del fumo,
e questo spiega gli effetti ancor più negativi del fumo passivo sulla salute delle
persone costrette a respirare, in un ambiente confinato, l’aria contaminata dal
fumo di sigaretta.
Numerosi studi epidemiologici hanno chiaramente dimostrato l’evidente
correlazione tra tumore ed esposizione al fumo passivo, evidenziando come il
rischio tenda ad aumentare in base alla quantità inalata e alla durata dell’espo-
sizione. Per tale ragione il fumo passivo è stato da tempo inserito nell’elen-
co delle sostanze ritenute cancerogene per l’uomo dalla IARC (International
Agency for Research on Cancer).
Dal fumo si sprigiona, inoltre, ossido di carbonio, che si lega all’emoglobina,
riducendo la capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti. Nei nume-
rosi forti fumatori, fino al 15% dell’emoglobina è bloccata dall’ossido di carbo-
nio, ciò comporta un minor nutrimento per i tessuti e un maggior impegno del
cuore, un minor rendimento nelle prestazioni fisico-atletiche e intellettuali, un
aumento non marginale del rischio di infarto e di altri incidenti vascolari e un
invecchiamento precoce della pelle.
Nel fumo si nasconde la nicotina, un alcaloide naturale presente nel tabacco
in percentuale dal 2 all’8%, che non risulta particolarmente tossico a ridotta

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concentrazione, ma capace di generare dipendenza. La nicotina viene assorbi-


ta attraverso la pelle, la mucosa orale e nasale e i polmoni, entra nel sangue e
in alcuni secondi (mediamente dieci secondi dopo essere stata inalata) giunge
al cervello, dove stimola la liberazione della dopamina, un neurotrasmettitore
centrale precursore dell’adrenalina e della noradrenalina, in grado di modifi-
care la trasmissione degli impulsi nervosi, attivando funzioni cerebrali legate
all’attenzione e alla concentrazione, provocare la secrezione di adrenalina e
accelerare il battito cardiaco, fornendo l’impressione di un potenziamento fisi-
co e mentale. Proprio questo insieme di azioni apparentemente favorevoli con-
duce all’instaurarsi della nicotino-dipendenza: dopo l’effetto eccitante, infatti,
subentra un effetto deprimente, opposto al primo, che spinge ad accendere di
nuovo una sigaretta e spesso ad aumentare le dosi per mantenere costanti i
livelli di nicotina nell’organismo ed evitare la sindrome di astinenza.
L’Italia, con la legge 3/2003 (art. 51: tutela della salute dei non fumatori),
è stato il primo grande Paese europeo a introdurre una normativa per rego-
lamentare il fumo in tutti i locali chiusi pubblici e privati, compresi i luoghi
di lavoro e le strutture del settore dell’ospitalità. Sul modello di questa legge,
considerata un esempio di efficace intervento di salute pubblica, molti Paesi in
Europa e nel mondo hanno introdotto legislazioni a tutela del fumo passivo (in
alcuni casi anche più restrittive, non prevedendo, per esempio, la possibilità di
attrezzare sale per fumatori).

Nella dipendenza da sostanze psicotrope il termine droga identifica l’insie-


me delle sostanze naturali o di sintesi che alterano lo stato psicofisico di chi le
consuma, determinando in modo e in proporzione variabili sia effetti somatici
(funzioni cardiache, respiratorie, digestive, immunitarie), che effetti psichici
(umore, memoria, livelli crescenti di ansia).
L’uso prolungato di una sostanza psicoattiva provoca, in molti casi e in tempi
piuttosto brevi, dipendenza: la persona supera una soglia oltre la quale è inca-
pace di controllare il desiderio e il bisogno di assumere la sostanza. In genere,
risulta utile distinguere la dipendenza fisica da quella psichica.

◗ La dipendenza psichica si ha quando la droga diventa il centro delle atten-


zioni, delle emozioni, dei pensieri e delle attività della persona, ed è intesa
come la necessità compulsiva di consumare una particolare sostanza per
rivivere un’esperienza piacevole (craving).
◗ La dipendenza fisica è la condizione secondaria all’uso cronico di una so-
stanza che si manifesta con un forte e costante bisogno fisico di assumerla;
durante la sospensione o durante l’interruzione dell’assunzione della sostan-
za compaiono segni fisici del tutto differenti da quelli generalmente indotti,
in grado di favorire e determinare una vera e propria sindrome d’astinenza,
caratterizzata da forti alterazioni nella funzionalità cardiaca, endocrina e
respiratoria.

I sintomi della dipendenza psichica e fisica si manifestano spesso insieme, dan-


do luogo, in caso di mancata assunzione di droga, a manifestazioni piuttosto

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complesse e di difficile trattamento, come la presenza di disagio psichico, an-


goscia profonda, crescente sensazione di malessere, ansia e dolore.
Alcuni dati circa il consumo e il possibile abuso delle sostanze psicotro-
pe in Italia (Ministero dell’Interno, 2008) possono permettere una valutazione
ampia e sufficientemente approfondita del problema. Nel periodo compreso
fra il 1991 e il 2006, sono state segnalate ai nuclei operativi per le tossicodi-
pendenze (Not), per consumo e abuso di droga e sostanze non legali, 516.427
persone, mentre le varie segnalazioni effettuate dalle forze dell’ordine sono
state 653.377.
Il 98% delle persone segnalate per consumo di droga nei 15 anni presi in
considerazione sono cittadini italiani, per più del 93% di sesso maschile, con
un’età media di 24 anni. Oltre il 45% ha un diploma di scuola media inferiore,
il 30% ha un diploma di scuola media superiore, uno su tre ha abbandonato gli
studi. La maggioranza risulta occupata in attività lavorative, mentre gli studen-
ti sono compresi tra il 14 e il 22%. Il 60% delle persone segnalate riferisce di
aver cominciato a consumare droga tra i 14 e i 18 anni di età (in alcuni casi si
segnala un inizio più precoce, a partire dagli 11-12 anni), e più di un terzo delle
persone riferisce una poliassunzione di alcol e sostanze stupefacenti.
L’analisi del Ministero dell’Interno rileva ancora come la percentuale dei mi-
norenni segnalati sia aumentata nei 15 anni considerati, arrivando nel 2006 al
9,8% rispetto al 5,7% del 1991. Tra i minorenni si conferma un’evidente tenden-
za all’aumento del consumo di cannabis, ma si registra, soprattutto negli ultimi
anni, un aumento del consumo di cocaina, che nel 2006 è arrivato al 6,3%.
Mentre nei primi anni Novanta predominavano le segnalazioni per il con-
sumo di eroina e derivati oppiacei, a partire dal 1994 le segnalazioni per il
consumo di eroina sono costantemente diminuite (dal 47% del 1991 all’8% del
2006). Nello stesso periodo sono, invece, quasi triplicate le segnalazioni per
la cocaina (dal 5,5% al 15%), ormai seconda sostanza di segnalazione dopo la
cannabis.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1998 e nel 2001 ha riassunto
alcune brevi e sommarie caratteristiche delle più comuni sostanze psicotrope
e costruito un’essenziale classificazione, tenendo conto della dipendenza psi-
chica eventualmente suscitata, della dipendenza fisica e della tolleranza.

Tipi di droga Dipendenza psichica Dipendenza fisica Tolleranza


Alcol ++ ++ ++
Barbiturici ++ ++ +
Eroina e oppiacei +++ +++ +++
Cocaina ++ + +/–
Anfetamine ++ +/– +++
Allucinogeni + + +/–
Cannabis + +/– +/–
Solventi organici + +/– –

◗ Hashish e marijuana: essudato resinoso (hashish) e foglie (marijuana) della


canapa indiana (cannabis sativa); il principio attivo (un derivato dell’idrocan-
nabinolo) altera la percezione, i movimenti fini, la memoria, l’apprendimento

10 Orazio Anni - Anatomia, fisiologia e igiene del corpo umano - © Ulrico Hoepli Editore S.p.A.
Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

e l’attività endocrina e immunitaria, e danneggia, nel tempo, la capacità attiva


della corteccia cerebrale, del cervelletto, dell’ippocampo e dell’ipotalamo.
◗ Anfetamine: simpamina, benzedrina, metedrina, prodotti farmacologici e
di sintesi utilizzati generalmente come stimolanti per combattere la fatica
e per controllare l’appetito; i differenti principi attivi (in genere derivati
dell’efedrina) alterano la pressione sanguigna, l’attività cardiaca, la frequen-
za respiratoria, il ritmo sonno/veglia, l’appetito e le emozioni, e danneggiano
le capacità di lavoro e di integrazione della corteccia temporale, dell’ippo-
campo, dell’ipotalamo e del tronco cerebrale.
◗ Eroina: alcaloide dell’oppio simile alla morfina; il principio attivo (diace-
tilmorfina) determina un forte rilasciamento muscolare, depressione dei
centri respiratori, alterazione delle emozioni e scomparsa di dolori fisici o
psichici, e danneggia gravemente, nel tempo, l’azione del tronco encefalico
e del sistema libico.
◗ Cocaina: foglie di alcune piante del genere Erythroxylum; il principio attivo
determina un aumento sensibile del battito cardiaco, della pressione arterio-
sa, della temperatura corporea, alterazioni evidenti del ritmo sonno/veglia e
della percezione delle emozioni, e danneggia le attività della corteccia tem-
porale, dell’ipotalamo e del tronco encefalico.
◗ Ecstasy e club drugs: sostanze sintetiche (come la fenciclidina) o deriva-
te dalla cocaina; alterano in modo spesso evidente l’umore, la temperatu-
ra corporea, il ritmo sonno/veglia; provocano aumento del battito cardiaco,
vertigini, torpore, ansia, impaccio nel parlare, confusione; danneggiano la
corteccia cerebrale, l’ippocampo, il centro della termoregolazione corporea
e acuiscono eventuali disturbi psicologici gravi.

3 AIDS
Dal 1959, anno in cui è stato documentato nell’uomo il primo caso di AIDS
(dall’inglese Acquired Immune Deficiency Syndrome, sindrome da immu-
nodeficienza acquisita), una severa affezione caratterizzata da un grave deficit
delle difese immunitarie, la malattia ha ucciso quasi 25 milioni di persone nel
mondo.
Ancora oggi, nonostante la sindrome da immunodeficienza acquisita si sia
trasformata, soprattutto in alcuni Paesi dell’Africa equatoriale e del Sud-Est
asiatico, in un problema di portata e urgenza senza precedenti, con ripercus-
sioni sul piano sociale, economico, demografico e culturale (circa 8500 persone
ogni giorno nel mondo si infettano con il virus dell’AIDS, e in Italia vi sono ogni
anno circa 4000 nuovi casi), non si conosce con precisione come sia nata l’infe-
zione e come abbia potuto diffondersi in modo così rapido a partire dagli anni
Ottanta del secolo scorso.
L’ipotesi più probabile è che il virus HIV (dall’inglese Human Immunode-
ficiency Virus, virus dell’immunodeficienza umana) sia stato trasmesso dalla

Orazio Anni - Anatomia, fisiologia e igiene del corpo umano - © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 11
Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

scimmia all’uomo (il virus STLV III/Simian T Cell Leukemia Virus III, che ap-
partiene alla famiglia dei Retrovirus, microrganismi che si distinguono soprat-
tutto per la notevole tendenza a mutare, provoca nella scimmia una malattia
riconducibile alla sindrome da immunodeficienza acquisita umana), attorno
agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, nell’Africa sub-sahariana.
La diffusione successiva del virus nei Paesi ricchi e industrializzati è stata
favorita da un insieme di comportamenti definiti a rischio, come i rapporti omo-
sessuali ed eterosessuali non protetti e l’introduzione di droghe con utilizzo di
siringhe infette nell’area mediterranea: tra i primi 1000 casi di AIDS segnalati
negli Stati Uniti, circa 700 erano soggetti omo o bisessuali, mentre in Italia oltre
l’80% dei casi di AIDS erano legati a soggetti tossicodipendenti.
Nel nostro Paese, in cui appaiono ora più vulnerabili, nonostante le nume-
rose campagne di prevenzione e la comune consapevolezza del rischio, i gio-
vani eterosessuali e gli adulti fra i 30 e i 40 anni, che intrattengono rapporti
sessuali occasionali, il primo caso di AIDS fu diagnosticato nel 1982, quando
in un laboratorio di immunologia venne evidenziato in due giovani omosessuali
un quadro clinico simile a quello segnalato l’anno precedente dal Center for
Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (USA). Attualmente si stima
che vivano in Italia circa 140.000 soggetti sieropositivi per l’HIV e ogni anno
circa 4000 persone, pari a poco più di 10 nuove infezioni quotidiane, diventano
sieropositive.
Dal 1981 a oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima in oltre 65 mi-
lioni le persone infettate dal virus HIV: solo nel corso del 2008 vi sono state ol-
tre 5,5 milioni di nuovi casi. Secondo l’UNAIDS (United Nations Programme on
HIV/AIDS) la gran parte di queste infezioni, che superano del 50% le previsioni
sulla malattia fatta nel 1991 dall’OMS, è localizzata nei Paesi in via di sviluppo.
L’Africa, in cui vive oltre il 70% dei sieropositivi e dei malati di tutto il mondo,
risulta essere il continente più devastato, a causa della povertà e della promi-
scuità sessuale, che finisce per penalizzare soprattutto le donne, il 58% delle
vittime adulte: alcune popolazioni dell’Africa sub-sahariana presentano tassi di
contagio superiori al 25%, mentre ogni giorno più di 5000 africani muoiono di
AIDS.
Con almeno una decina di anni di ritardo rispetto all’Africa, l’epidemia si sta
rapidamente diffondendo anche nelle aree densamente popolate dell’Asia. In
questo continente sono presenti circa 6 milioni di sieropositivi, di cui il 35%
donne. La situazione, secondo alcune stime, è via via diventata sempre più
drammatica in Thailandia, dove almeno un milione di persone si è infettato
dall’inizio dell’epidemia, e nel subcontinente indiano, in cui i sieropositivi sono
circa 3,7 milioni.
In Europa, in Giappone e in Nord America, nonostante gli enormi progressi
farmacologici, il numero dei casi è rimasto ai livelli di dieci anni fa e l’HIV so-
stiene un’infezione ormai endemica e in larga prevalenza diffusa dalla trasmis-
sione sessuale. In questi Paesi, con l’esclusione della Russia, per la quale non si
hanno dati statistici certi, il controllo dell’epidemia da HIV resta un problema
aperto e l’infezione affligge tra lo 0,24% e lo 0,6% della popolazione (4 sieropo-
sitivi su 5 sono adulti).

12 Orazio Anni - Anatomia, fisiologia e igiene del corpo umano - © Ulrico Hoepli Editore S.p.A.
Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

L’infezione da HIV è stata a lungo considerata una malattia non curabile e


non guaribile: dopo circa 5-10 anni dall’iniziale contagio nel 100% dei casi si
arrivava invariabilmente alla morte. La prognosi dell’infezione è, oggi, del tutto
mutata e la malattia, definita non guaribile ma curabile, presenta una mortalità
inferiore al 10%, quando il soggetto malato può godere di un trattamento far-
macologico e terapeutico tempestivi e adeguati.
A distanza di circa trent’anni dalla sua identificazione e dalla scoperta del
suo agente causale, la disponibilità di una ventina di farmaci e il loro utilizzo
in opportune combinazioni, hanno trasformato l’AIDS in una patologia cronica
controllabile per un periodo di tempo potenzialmente indefinito. In Italia sono
attualmente registrati farmaci antiretrovirali (HIV, SIV e STLV III fanno parte
della famiglia dei retrovirus), appartenenti a tre diverse classi farmacologiche,
ognuna in grado di agire con un differente meccanismo di azione: inibitori nu-
cleosidici della transcriptasi inversa; inibitori non nucleosidici della transcrip-
tasi inversa; inibitori della proteasi. Tutti questi farmaci non sono in grado di
uccidere il virus, ma bloccando l’azione enzimatica della transcriptasi e della
proteasi ne limitano la capacità replicativa e arrestano l’evoluzione dell’infezio-
ne, portando a un’accettabile cronicizzazione della malattia.
Gli inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa sono stati i primi a essere
utilizzati nella terapia dell’infezione da HIV. La 3-azido 2,3 dideossitimidina (indi-
cata in genere con la sigla AZT o con il nome zidovudina o retrovir), infatti, è sta-
ta utilizzata fin dal 1987, anche se il suo impiego in monoterapia provocava con
una certa rapidità l’insorgenza di resistenze. L’AZT, come del resto tutti gli inibi-
tori nucleosidici della transcriptasi inversa (ddI, ddA e ansamicina), è in grado di
inibire il processo di replicazione del virus mediante il blocco della trascrizione
dell’RNA virale in DNA provirale. Il farmaco agisce sostituendosi alle basi azotate
dell’acido nucleico durante la trascrizione, in modo che il DNA provirale neofor-
mato risulti incompleto e quindi incapace di originare nuove particelle virali.
Anche gli inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa (nevirapina
e piridinoni), utilizzati sull’uomo fin dalla metà degli anni Novanta, cercano di
bloccare l’attività del principale enzima virale, ma con un meccanismo d’azio-
ne sostanzialmente differente rispetto alla capacità di lavoro dell’AZT o degli
altri inibitori nucleosidici. Questi farmaci, infatti, che presentano una buona
biodisponibilità e una lunga emivita, si legano direttamente al sito attivo della
transcriptasi inversa, bloccandone l’azione e impedendo così la formazione del
DNA provirale.
Gli inibitori della proteasi, infine, caratterizzati da una marcata capacità di
inibizione della replicazione virale, hanno negli ultimi anni radicalmente rivolu-
zionato la terapia antiretrovirale. Questi farmaci, che agiscono nell’ultima fase
del ciclo replicativo dell’HIV, sono in grado di inibire l’azione della proteasi virale,
un enzima capace di favorire la maturazione delle nuove particelle rendendole a
loro volta infettanti. Negli ultimi tempi le strategie terapeutiche si sono indirizza-
te verso terapie a cicli alternati, con il ricorso a più farmaci in combinazione fra
loro, a terapie di associazione e a terapie di combinazione convergente. L’impie-
go di una terapia di combinazione consente di aggredire il retrovirus da più parti
e riduce la possibilità che questi possa andare incontro a mutazioni.

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

L’assunzione costante e regolare dei diversi farmaci (aderenza al tratta-


mento farmacologico) appare in genere fondamentale per il buon esito della
terapia. Gli schemi terapeutici combinati richiedono, infatti, l’assunzione ogni
giorno, a orari fissi e per tempi piuttosto lunghi, di numerose specialità farma-
cologiche in grado di provocare vari effetti collaterali, che possono obbligare,
anche in presenza di un marcato beneficio clinico, alla sospensione del tratta-
mento. L’interruzione della terapia comporta invariabilmente la ripresa della
replicazione virale e quindi una nuova progressione dell’infezione.
Nonostante i numerosi sforzi tutti i vaccini anti-HIV finora sperimentati han-
no, alla prova pratica, fallito. Nel settembre 2010 sono stati pubblicati i risultati
della fase II della sperimentazione del vaccino Tat, studiato da 15 anni dal cen-
tro AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità e somministrato una volta al mese per
cinque mesi, su 87 pazienti già in terapia. I risultati sono apparsi incoraggianti:
il vaccino è in grado di bloccare la proteina Tat, principale responsabile della
replicazione del virus nelle cellule, su cui i farmaci antivirali non hanno effetto.
Lo studio di questo vaccino, che nella fase III è stato esteso a 160 pazienti, e
di altri vaccini tuttora in fase di avanzata sperimentazione in altri laboratori,
potrebbe portare a un duplice beneficio: potenziare l’efficacia delle terapie nei
soggetti infetti e prevenire l’infezione nella persona sana.
L’informazione e l’educazione sanitaria costituiscono le principali misure
per controllare la diffusione e la trasmissione dell’infezione da HIV. Il virus
dell’AIDS si trasmette principalmente attraverso il sangue e i liquidi spermati-
ci. I numerosi e specifici controlli eseguiti sul sangue che viene donato hanno
notevolmente ridotto il rischio di trasfusione di sangue infetto, ma la trasmis-
sione attraverso piccole ferite durante un rapporto sessuale non protetto o per
mezzo di aghi di siringhe contaminati con sangue infetto rappresenta ancora
oggi un evidente pericolo di infezione. Nella complessa battaglia della preven-
zione è necessario applicare le precauzioni normalmente richieste per le malat-
tie a trasmissione sessuale e per le malattie trasmissibili con il sangue e i liquidi
corporei e cioè:

◗ limitare il numero dei partner sessuali occasionali o di cui non si conosce lo


stato di salute;
◗ evitare rapporti sessuali non protetti;
◗ utilizzare individualmente spazzolini da denti, rasoi, lamette da barba, forbi-
ci, pettine, oggetti per manicure e pedicure ecc.;
◗ adoperare esclusivamente siringhe sterili monouso.

4 Il rischio cardiovascolare
Nei Paesi occidentali, le malattie cardiovascolari costituiscono la principale
causa di morte e una delle principali cause di invalidità. Il modo più efficace e
sicuro di difendersi dalla comparsa di eventi che possono interessare il cuore e

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

gli emisferi cerebrali, determinando infarti e ictus, è la prevenzione e la scelta di


corretti stili di vita, che possono salvare ogni anno decine di migliaia di persone.
Un infarto è determinato dalla morte di un certo numero di cellule musco-
lari cardiache e dalla conseguente incapacità del cuore di pompare sangue in
misura sufficiente nelle varie parti del corpo. Le cellule miocardiche sono rifor-
nite di ossigeno e di altre vitali sostanze nutritive dalle arterie coronarie, che
si ramificano a partire dall’aorta. Quando queste arterie, per svariate ragioni, si
ostruiscono, quella parte del muscolo cardiaco non irrorata rimane priva di os-
sigeno e muore. Il graduale restringimento e la possibile occlusione del canale
interno di queste arterie e delle loro ramificazioni è, per esempio, determinato
dall’aterosclerosi, una conosciuta patologia cardiovascolare legata al deposito
di lipidi lungo le pareti dei vasi sanguigni. Molti infarti avvengono in modo
inaspettato quando un coagulo di sangue blocca un’arteria coronaria, oppure
quando l’aterosclerosi si aggrava a tal punto da provocare ingenti alterazioni e
danni al muscolo cardiaco. All’improvviso il paziente sente un dolore fortissi-
mo e una chiara sensazione di oppressione al centro del torace. Il dolore può
diffondersi alle spalle e alle braccia e può essere accompagnato da una difficol-
tosa respirazione, senso di vertigine, nausea ed evidente sudorazione.
Esiste, come noto, una prevenzione primaria, attuata prima del verificarsi
di un qualsiasi evento patologico, e una prevenzione secondaria, che si realizza
in seguito a un evento non fatale o alla presenza di palesi segni clinici, per cer-
care di evitare di incorrere in danni ancora più seri e gravi. Alla base della pre-
venzione cardiovascolare vi è la ricerca e il controllo di una serie di interventi
mirati in grado di ridurre o correggere i fattori di rischio modificabili. Lievi
alterazioni di peso, per esempio, oppure l’ipertensione, il fumo, uno stile di vita
troppo sedentario o troppo frenetico possono essere elementi o condizioni che
espongono a un maggiore rischio.
Attraverso corretti accorgimenti, come smettere di fumare, controllare pe-
riodicamente i livelli di colesterolo nel sangue e la pressione sanguigna, svolge-
re una certa attività sportiva e alimentarsi in modo attento, è possibile ridurre
significativamente il rischio di eventi cardiovascolari dannosi e avere una vita
più tranquilla e serena.
In Italia, più della metà delle persone adulte ha valori di colesterolo non
corretti: il 21% degli uomini e il 25% delle donne possiede un livello di cole-
sterolo elevato (superiore a 240 mg/dl), mentre sono in una condizione limite
(tra 200 e 239 mg/dl) il 36% degli uomini e il 33% delle donne. Il colesterolo
è una sostanza lipidica, necessaria al corretto funzionamento delle strutture
corporee, in parte prodotta dall’organismo stesso e in parte introdotta con una
dieta ricca di grassi animali, come la carne, il burro, i salumi, i formaggi e le
uova. Il colesterolo viene trasportato nel sangue dalle lipoproteine: quelle a
bassa densità (low density lipoproteins, LDL) trasportano il colesterolo sin-
tetizzato dal fegato alle cellule del corpo, mentre quelle ad alta densità (high
density lipoproteins, HDL) rimuovono il colesterolo in eccesso dai diversi tes-
suti e dai diversi comparti corporei e lo trasportano nuovamente al fegato, che
provvede a eliminarlo. Quando il colesterolo è presente in quantità eccessive
(ipercolesterolemia), tende a depositarsi sulle pareti interne delle arterie,

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

provocandone ispessimento e indurimento progressivi, e portando nel tempo


alla formazione di vere e proprie placche (ateromi) che possono ostacolare il
normale flusso sanguigno. Alti livelli di colesterolo non producono segni o ef-
fetti facilmente osservabili, tuttavia è possibile misurarne il contenuto nel san-
gue con un semplice esame e può essere costantemente tenuto sotto controllo
con uno stile di vita sano e una corretta alimentazione che prevede di:

◗ limitare l’apporto energetico dovuto ai grassi a non più del 30% del totale
giornaliero;
◗ mangiare cibi ricchi di fibre come il pane e i cereali integrali, la frutta e la
verdura;
◗ mangiare quotidianamente alimenti ricchi di vitamina A e C, includendo ver-
dure come broccoli e cavoli;
◗ ridurre o comunque evitare il più possibile il consumo di cibi conservati e
affumicati;
◗ limitare le bevande alcoliche a un massimo di 2 bicchieri di vino al giorno.

Un altro importante fattore di rischio cardiovascolare è l’ipertensione, intesa


come un aumento dei valori della pressione arteriosa sia massima che mini-
ma. È considerata ipertensione la condizione di pressione arteriosa misurata
a riposo con valori superiori a 140 mmHg (sistolica) e 90 mmHg (diastolica).
La presenza dell’ipertensione, quando non trattata adeguatamente, conduce
ad alcune severe complicanze, come l’ictus, lo scompenso cardiaco, seri danni
renali e lesioni alla retina. Nell’ambito della diagnosi, è possibile procedere
autonomamente misurando la pressione arteriosa in orari differenti e in varie
condizioni. In presenza di valori anomali è però necessario sottoporsi a una vi-
sita medica. Quando l’ipertensione è in forma lieve si può intervenire con sem-
plici e facili accorgimenti: smettere di fumare, ridurre allo stretto necessario il
consumo di sale da tavola, interrompere il consumo di alcol e cercare di ridurre
le condizioni di stress personale. Quando l’insieme di questi accorgimenti non
produce alcun effetto positivo, è necessario ricorrere ai farmaci antipertensivi
e, nei casi più gravi, al ricovero in ospedale per cercare di indagare sulle possi-
bili cause e valutare la corretta terapia.
A livello statistico appare evidente la stretta connessione tra il fumo attivo
e passivo di tabacco e le patologie a carico dell’apparato respiratorio e del si-
stema cardiocircolatorio. Il fumo è la causa principale di malattie coronariche
in uomini e donne (secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 25-30%
degli incidenti cardiovascolari sembra essere legato al fumo di tabacco), e in
presenza contemporanea di ipertensione e ipercolesterolemia determina un
forte aumento del rischio di infarto, coronaropatia e malattie cerebrovascola-
ri. Il fumo di sigaretta favorisce un maggior progresso dell’aterosclerosi delle
coronarie e delle altre arterie, e determina nei fumatori un maggior rischio di
ammalarsi di cardiopatie ischemiche rispetto ai non fumatori.
Anche il diabete, una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di ele-
vati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia), risulta essere un importante
fattore di rischio cardiovascolare. La malattia è generalmente causata dalla

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presenza di un’alterata quantità o di una ridotta capacità funzionale dell’ormo-


ne insulina, prodotto dal pancreas endocrino e in grado di facilitare l’ingresso
nelle cellule del glucosio e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica.
Il diabete si differenzia in tipo 1 (il pancreas non produce insulina a causa
della distruzione delle cellule beta che la producono) e tipo 2 (in questo caso
il pancreas è in grado di produrre insulina, ma le cellule dell’organismo non
sembrano capaci di utilizzarla). Questo ultimo tipo, che rappresenta il 90% dei
casi totali di diabete, risulta piuttosto pericoloso, in quanto l’eccesso di insulina
presente promuove la formazione e la crescita delle cellule muscolari lisce che
costituiscono la parete delle arterie, con conseguente formazione di placche
ateromatose, restringimento del calibro arteriolare e riduzione del flusso ar-
terioso. Anche in questo caso è necessario adottare strategie di prevenzione
primaria e l’assunzione fin dall’adolescenza di stili di vita corretti, in quanto il
rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 aumenta con l’età, con la presenza di
obesità e con la mancanza di una opportuna attività fisica.
L’obesità è una malattia complessa, causata da fattori genetici, ambientali e
individuali, nella quale è presente sia un’alterazione del bilancio energetico com-
plessivo, sia un eccedente accumulo di tessuto adiposo nell’organismo. Alcune
ricerche hanno individuato delle anomalie metaboliche in grado di facilitare l’in-
sorgenza dell’obesità in presenza di un’eccessiva disponibilità di alimenti, di una
vita sedentaria cronica e di una serie di comportamenti impulsivi o compulsivi
causati da ansia o depressione. L’obesità, che in alcuni Paesi industrializzati col-
pisce fino a un terzo della popolazione adulta, è un serio e non sottovalutabile
fattore di rischio per complicanze cardiovascolari e respiratorie.

5 Gli stili di vita e il rischio tumore


I numerosi e differenti tumori, che nei Paesi sviluppati sono responsabili di
una morte su cinque, sono generalmente provocati da un cattivo o comun-
que non corretto funzionamento del sistema di controllo del ciclo cellulare, un
meccanismo di origine proteica che di volta in volta innesca e coordina i princi-
pali eventi della vita delle cellule. Le cellule cancerose si dividono e proliferano
in modo continuo, eccessivo e incontrollato, e ciò determina la formazione in
qualunque organo o tessuto di una massa cellulare anomala, in grado di diffon-
dersi nei tessuti circostanti o in altri comparti corporei (tumore maligno).
La trasformazione di una cellula sana in una cellula cancerosa è in genere la
conseguenza di una serie di specifiche alterazioni a livello del codice genetico,
che tendono a insorgere in modo casuale nel corso della vita, tramite comples-
se e molteplici interazioni tra gli effetti degli agenti cancerogeni e la particolare
suscettibilità individuale a tali sostanze.
I tumori vengono distinti in base ai tessuti o agli organi nei quali si sviluppa-
no, e sono suddivisi, di norma, in quattro principali tipologie: i carcinomi, che
originano generalmente dagli epiteli di rivestimento esterni e interni; i sarcomi,

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

che si sviluppano nei tessuti di sostegno e contrattili, come le ossa e i muscoli;


le leucemie e i linfomi, che colpiscono i tessuti da cui originano le cellule del
sangue, come il midollo osseo e i linfonodi.
La mortalità legata ad alcuni tipi di tumore, come il tumore dello stomaco
e del collo dell’utero, è negli ultimi anni e in modo evidente diminuita, ma la
mortalità complessiva dovuta al cancro, anche a causa dell’incremento della
popolazione anziana, è ancora in aumento e tende a crescere dell’1% circa ogni
decennio.
Il National Cancer Institute (NCI) di Bethesda negli Stati Uniti ha pubbli-
cato, qualche tempo fa, i risultati di un’interessante indagine, in cui si rileva
come nei Paesi industrializzati, per la prima volta in venti anni, si sia registrato
un calo inequivocabile delle morti per alcuni tipi di tumore. I dati, divisi per
tipologia tumorale, evidenziano che dal 1995 al 2000 sono diminuite del 6,7% le
morti per tumore polmonare negli uomini, del 6,3% le morti causate dal cancro
della mammella, del 7% negli uomini e del 4,8% nelle donne le morti addebita-
bili a tumori del colon-retto, e del 4,6% le morti determinate dal cancro delle
ovaie. L’indagine del più importante istituto di ricerca degli Stati Uniti fornisce,
inoltre, una drammatica controprova della relazione tra fumo e cancro: nel pe-
riodo considerato, in cui si è rilevato un evidente aumento della tendenza delle
donne a fumare, è analogamente cresciuto del 6,4% il numero delle donne
decedute per carcinoma polmonare.
In Italia, come dimostra del resto un autorevole e significativo studio con-
dotto dalla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e dalla Lega contro
i tumori, tra il 1995 e il 2000 i decessi per tumore sono diminuiti del 6,8%,
raggiungendo una riduzione del 20,4% nella fascia d’età sotto i 65 anni. I dati
dell’AIRT, l’associazione che riunisce i registri italiani dei tumori, sottolineano,
inoltre, come nel nostro Paese la sopravvivenza nella malattia tumorale negli
ultimi anni sia passata dal 32 al 39% negli uomini e dal 50 al 59% nelle donne.
Un risultato notevole, che non deve comunque far dimenticare come in Italia
ogni anno si registrino 155.000 decessi e circa 270.000 nuovi casi di malattia
tumorale.
L’aumento globale della sopravvivenza nella malattia tumorale è general-
mente correlato alla diagnosi precoce e a nuove e più efficaci cure. Il Pap-test e
la mammografia hanno determinato una netta riduzione delle morti per tumore
della mammella e del collo dell’utero, mentre la radioterapia e la chemioterapia
hanno reso più agevole la terapia chirurgica. Negli ultimi anni, oltre che nella
terapia genica (chemioprotezione genetica, chemiosensibilizzazione genetica
e soppressione degli oncogeni, componenti genetiche in grado di giocare un
ruolo importante nella proliferazione cellulare), la ricerca ha compiuto notevo-
li passi in avanti, che hanno portato alla scoperta di numerosi farmaci, capaci
di interferire con le normali funzioni delle cellule tumorali e nei confronti delle
possibili metastasi. Nell’ambito delle leucemie, dei linfomi, dei tumori ossei e
muscolari nei bambini la chemioterapia assicura ormai la guarigione in circa il
60% dei casi, mentre per i tumori all’ovaio e per alcune forme polmonari con
metastasi, la possibilità di sopravvivenza è aumentata di molti mesi, spesso
anche di anni.

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

Nel caso dei linfomi (linfoma di Hodgkin e linfomi non-Hodgkin), invece,


neoplasie del tessuto linfatico che insorgono nelle stazioni linfonodali superfi-
ciali o profonde oppure nei vari distretti dell’organismo sede di tessuto linfati-
co, si ottengono ancora differenti e contrastanti risposte alle terapie.
Il linfoma di Hodgkin interessa tutte le età, con un picco di frequenza fra i 15
e i 30 anni. Le sedi linfonodali più frequentemente interessate sono in genere
quelle laterocervicali, mentre le localizzazioni extranodali più frequenti sono
quelle polmonari o epatiche. Nella maggioranza dei casi il linfoma di Hodgkin
è una malattia guaribile. L’utilizzo combinato della radioterapia e della chemio-
terapia ha notevolmente migliorato la sua prognosi e l’80% circa dei pazienti è
ancora in vita a 15 anni dalla diagnosi iniziale.
I linfomi non-Hodgkin – che rappresentano nei Paesi industrializzati il 3%
di tutti i tumori maligni, con un’incidenza globale di 10 nuovi casi per 100.000
abitanti per anno – comprendono i linfomi a basso grado di malignità, che col-
piscono soprattutto le persone anziane (età media 55-60 anni), e i linfomi ad
alto grado di malignità, che possono interessare tutte le fasce d’età con una
maggiore incidenza fra i 30 e i 40 anni. Attualmente il 40-50% dei pazienti con
linfomi non-Hodgkin ad alto grado di malignità, nonostante la diffusione per via
ematica sia piuttosto rapida e la sopravvivenza in assenza di terapia sia molto
breve, sono considerati guaribili in modo definitivo. Nei linfomi non-Hodgkin a
basso grado è invece difficile ottenere un’eradicazione totale della malattia, ma
circa il 50-60% dei pazienti, pur con malattia persistente, riesce a sopravvivere
a lungo.
Molti fattori che contribuiscono allo sviluppo del cancro sono ancora piut-
tosto lontani dall’essere identificati, mentre gli effetti di alcuni inquinanti am-
bientali devono essere ancora con precisione e correttezza valutati. L’esposi-
zione a molteplici e noti agenti cancerogeni, però, dipende sovente da radica-
te abitudini individuali: il consumo di grassi di origine animale o di alcol, per
esempio, l’uso del tabacco o una prolungata permanenza al sole sono scelte
comportamentali che possono aumentare in modo rilevante il rischio personale
di contrarre il cancro.
Un corretto e attento stile di vita individuale insieme ad alcune condizioni
dell’ambiente in cui scegliamo di vivere sono importanti e decisivi fattori pre-
ventivi. A questo proposito, il rispetto di alcune semplici e facili regole suggeri-
te dall’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) possono ridurre
in modo significativo il rischio di tumore.

◗ Non fumare: il fumo è il primo fattore ambientale responsabile dell’insor-


genza dei tumori; chi fuma si espone all’azione di molteplici sostanze can-
cerogene e, infatti, più di un quarto di tutte le forme di cancro presenti nel
mondo occidentale è causato dal fumo (tumore al polmone, all’esofago, allo
stomaco, alla laringe, al cavo orale, alla vescica, al pancreas, al rene).
◗ Alimentarsi in modo corretto: moderare il consumo di tutti gli alimenti di ori-
gine animale e consumare, invece, in modo abbondante frutta e verdura, può
esercitare e determinare un’azione protettiva contro il rischio di insorgenza
della malattia tumorale; un’alimentazione comprendente 20-30 grammi di

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

fibre vegetali al giorno e, allo stesso tempo, povera di grassi animali, per
esempio, rappresenta un riconosciuto fattore di protezione e di prevenzione
nei confronti del tumore del colon.
◗ Ascoltare il proprio corpo: fare attenzione ai cambiamenti o alle alterazioni
del proprio corpo, non sottovalutarli, ma parlarne immediatamente al medi-
co di fiducia o a personale medico specializzato.
◗ Sottoporsi regolarmente a controlli di diagnosi precoce: ai forti fumatori,
per esempio, è raccomandata una Tac Spirale all’anno (tumore al polmone);
oltre i 45 anni sono consigliati una colonscopia, da ripetere poi a intervalli
di 10 anni (tumore al colon), il dosaggio, ogni anno, del Psa (tumore alla
prostata) e il controllo completo di tutti i nei (melanoma cutaneo); nella
donna, dopo l’inizio dei rapporti sessuali, è consigliato un Pap-test a scaden-
za triennale (tumore al collo dell’utero) mentre, a partire dai 30 anni, sono
raccomandate una ecografia al seno e, dopo i 45 anni, una mammografia con
scadenza annuale (tumore al seno).

6 Prevenzione e alimentazione
Un’alimentazione equilibrata rappresenta uno degli strumenti più validi ed ef-
ficaci per il raggiungimento e il mantenimento della salute dell’organismo. La
scelta degli alimenti, la loro qualità e la loro quantità, tende a incidere pro-
fondamente sul benessere individuale e permette di controllare alcuni dei più
importanti fattori di rischio.
Nei Paesi a elevato sviluppo socio-economico più della metà degli adulti
risulta in sovrappeso oppure obeso e la tendenza a livello mondiale sembra in
ulteriore forte aumento. Le principali cause di questa inequivocabile propen-
sione risiedono sia nella maggiore disponibilità di cibo rispetto a un passato an-
che recente, sia nella scelta di stili di vita sempre più sedentari, caratterizzati
da una rilevante diminuzione dell’attività fisica.
In Italia – secondo una recente ricerca del Ministero della Salute, condotta
con strumenti e parametri uniformi, in accordo con l’Organizzazione Mondiale
della Sanità – ogni cento bambini della scuola elementare 24 sono in sovrap-
peso e 12 obesi. Complessivamente si stimano oltre un milione di bambini tra i
sei e gli undici anni con problemi di obesità o sovrappeso. Sono dati allarman-
ti, che mostrano come i problemi legati a un’alimentazione non corretta non
siano solo un problema di tipo sanitario, ma anche e soprattutto un problema
educativo e sociale.
Attraverso la scelta di corretti e opportuni stili di vita e una valutazione
attenta dell’alimentazione quotidiana, è possibile influire in modo positivo non
solo sul controllo di alcuni fattori di rischio cardiovascolare o legati alla malat-
tia tumorale, ma anche ridurre o comunque limitare la comparsa di malattie
cronico-degenerative, nei confronti delle quali appare necessario e fondamen-
tale agire in senso preventivo.

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

Il segreto di una corretta alimentazione risiede principalmente nella capa-


cità di combinare gli alimenti in modo idoneo e opportuno, nel contenere l’as-
sunzione di sodio e grassi saturi e incrementare, invece, il consumo di frutta,
verdura, pesce, carni bianche e latticini magri.
Nel controllo della colesterolemia, per esempio, svolge un ruolo importante
la scelta dei grassi alimentari: in Italia, l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli
Alimenti e la Nutrizione ha riscontrato che l’apporto lipidico nella dieta è me-
diamente pari al 30-35% delle calorie totali, all’interno, quindi, di un intervallo
accettabilmente adeguato, tuttavia l’apporto medio di grassi saturi si aggira
intorno al 10% ben superiore alla soglia consigliata, che non dovrebbe superare
il 5%. Anche carboidrati e fibre possono determinare effetti imprevedibilmen-
te positivi nel controllo della colesterolemia: sostituire con carboidrati a bas-
so indice glicemico i grassi saturi e polinsaturi presenti nella dieta quotidiana
consente, infatti, un deciso aumento della colesterolemia HDL a scapito della
LDL, mentre le fibre vegetali (in particolare quelle contenute nei cereali e nei
legumi) sono in grado di limitare, se introdotte nell’organismo in quantità suffi-
cienti (circa 25-30 grammi al giorno), la presenza del colesterolo LDL.
Ogni persona ha bisogno di una determinata quantità di energia per soste-
nere il proprio metabolismo basale e di lavoro e le proprie necessità quotidiane.
Il fabbisogno energetico di ciascuno, che rappresenta la quantità di alimenti,
intesi come portatori di energia chimica, necessari per reintegrare i continui
consumi energetici dell’organismo, dipende da numerosi e differenti parame-
tri, come l’età, il sesso, la taglia dell’individuo, l’intensità del lavoro, il clima e
la temperatura corporea. La spesa energetica indispensabile all’organismo per
vivere in condizioni di riposo (metabolismo basale) è generalmente intorno a
circa 1600-1700 kcal/die, a cui devono essere aggiunte le calorie necessarie per
tutte le altre attività ed esigenze (lavoro, studio, attività sportive ecc.) e per la
termoregolazione.
Il calcolo del metabolismo basale (MB), secondo l’Istituto Nazionale di Ri-
cerca per gli Alimenti e la Nutrizione, è pari a circa 1 kcal per ogni kg di peso
corporeo per ogni ora della giornata: una persona di 70 kg, per esempio, in una
giornata, ha un MB pari a 70 x 24 = 1680 kcal.
Esiste un bilancio preciso fra entrate e uscite di energia: se il contenuto calo-
rico degli alimenti ingeriti è inferiore a quanto si consuma, l’organismo tende a
utilizzare le proprie riserve energetiche e perde peso, se invece le calorie intro-
dotte superano l’energia consumata nel lavoro il peso corporeo tenderà inevita-
bilmente ad aumentare. Uno schema semplice e molto utilizzato per la valutazio-
ne del proprio peso è quello basato sull’indice di massa corporea (IMC o BMI):

peso (kg)
IMC =
altezza al quadrato (m)

[18,5 < IMC < 25 = normopeso


25 < IMC < 30 = sovrappeso
IMC > 30 = obeso]

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Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

L’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione ha redatto sem-


plici linee guida per una sana alimentazione, che contengono alcune chiare e
utili regole di comportamento:

◗ pesarsi almeno una volta al mese, controllando che l’indice di massa corpo-
rea (IMC) sia nei limiti di norma (numerosi studi hanno nel tempo dimo-
strato che la longevità, se l’alimentazione rimane ovviamente ricca, varia e
equilibrata, è inversamente proporzionale alle calorie ingerite);
◗ consumare quotidianamente più porzioni di ortaggi e frutta fresca, aumen-
tare il consumo di legumi e consumare regolarmente pasta, riso, pane e altri
cereali anche integrali (i carboidrati devono rappresentare il 55-65% delle
calorie quotidiane);
◗ moderare la quantità di grassi e oli utilizzati per cucinare o condire (i grassi
non devono superare il 25-30% delle calorie quotidiane) e limitare, in parti-
colare, il consumo di grassi da condimento di origine animale (burro, lardo,
panna ecc.), preferendo acidi grassi monoinsaturi, rispetto ad acidi grassi
saturi e polinsaturi;
◗ ridurre il consumo di carni (specie quelle rosse), che aumentano notevol-
mente il rischio di sviluppare il cancro del colon, e mangiare più spesso il
pesce (2-3 volte alla settimana), sia fresco che surgelato, e le uova (2 volte
alla settimana);
◗ scegliere latte scremato o parzialmente scremato e formaggi magri, che man-
tengono comunque il loro contenuto in calcio;
◗ moderare, nella giornata, il consumo di alimenti e bevande dolci, per non
superare la quantità consentita di zuccheri, e preferire, tra i dolci, i prodotti
da forno, come torte secche e biscotti, più ricchi di amido (se si consumano
bevande e alimenti ipocalorici dolcificati con edulcoranti, controllare sem-
pre il tipo di edulcorante utilizzato e le eventuali avvertenze da seguire);
◗ assecondare, nell’arco della giornata, il senso della sete, bevendo circa
1,5-2 litri di acqua al giorno (l’equilibrio idrico deve essere mantenuto be-
vendo soprattutto acqua, altre bevande, come aranciate o succhi di frutta,
vanno usate con moderazione, perché oltre a fornire acqua apportano altre
sostanze contenenti calorie);
◗ ridurre progressivamente l’uso del sale, sia a tavola che in cucina, limitare
l’utilizzo di condimenti contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, senape,
salsa di soia ecc.) e consumare solo saltuariamente alimenti trasformati ric-
chi di sale (snacks salati, patatine in sacchetto ecc.);
◗ evitare del tutto il consumo e l’assunzione di alcol durante l’infanzia, l’adole-
scenza, la gravidanza e l’allattamento, e consumare l’alcol con moderazione
anche in età adulta, preferendo in ogni caso bevande a basso tenore alcolico,
come vino e birra (non consumare comunque bevande alcoliche se si deve
guidare auto o motoveicoli, se si devono utilizzare apparecchiature pericolo-
se o se si assumono farmaci);
◗ ripartire gli alimenti in cinque pasti giornalieri, evitando di concentrare l’as-
sunzione di ingenti quantità di cibo in pochi momenti della giornata (in ge-
nere, l’indicazione più coerente e comune consiste nel frazionare l’introito

22 Orazio Anni - Anatomia, fisiologia e igiene del corpo umano - © Ulrico Hoepli Editore S.p.A.
Igiene ed educazione alla salute: conoscere e prevenire

energetico in tre pasti e in due spuntini, in particolare, durante la colazione


introdurre circa il 20-25% delle calorie totali, durante il pranzo il 35-40%,
durante la cena il 30-35% e nei due spuntini il 5-10%);
◗ cercare di evitare l’eccessiva monotonia della dieta, assicurando nel contem-
po la presenza abituale e nel giusto equilibrio di alimenti di origine animale
e di alimenti di origine vegetale, e preparare cibi appetibili con alimenti di
facile digestione;
◗ ricordare che nessun supplemento o integratore alimentare ha la stessa ef-
ficacia della sostanza contenuta nell’alimento naturale (in alcuni casi, come
per esempio nell’utilizzo dei fitoestrogeni, gli integratori risultano addirittu-
ra negativi, mentre il composto naturale contenuto nella soia è benefico);
◗ scegliere sempre quantità adeguate (porzioni) di alimenti, appartenenti a
tutti i differenti gruppi, alternandoli nei vari pasti della giornata e della set-
timana.

L’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione ha stabilito le por-


zioni standard dei singoli alimenti, di cui riportiamo in tabella alcuni esempi.

Gruppo alimenti Alimenti Porzioni (g)


Latte e derivati Latte 125
Yogurt 125
Formaggio fresco 100
Formaggio stagionato 50
Carne, pesce e uova Carne fresca 70 (a crudo)
Carne conservata (salumi) 50
Pesce 100 (a crudo)
Uova 1 uovo (circa 60 g a crudo)
Legumi Legumi freschi 80/120 (a crudo)
Legumi secchi 30 (a crudo)
Cereali e tuberi Pane 50
Prodotti da forno 20
Pasta o riso 80 (a crudo)
Pasta fresca all’uovo 120 (a crudo)
Patate 200 (a crudo)
Ortaggi e frutta Insalata 50
Ortaggi 250 (a crudo)
Frutta o succo 150
Condimenti Olio 10
Burro 10
Margarina 10

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