Sei sulla pagina 1di 5

In passato si sono verificati sul nostro territorio eventi sismici di magnitudo e intensità superiori a

quelli registrati negli ultimi 50 anni.

Di questi, restano cronache più o meno frammentarie dalle quali è possibile ricavare informazioni
sulla portata dei danni e sul numero di vittime e grazie ai quali è stato possibile costruire una lista
dei terremoti avvenuti nel nostro Paese in epoca storica, nella quale si riportano
approssimativamente il grado di intensità e il numero di vittime.

In base ai dati attualmente disponibili sembra che il sisma che in Italia ha liberato la maggior
quantità di energia sia stato quello del 5 Dicembre 1456, che ha causato danni in buona parte
dell’Italia centro – meridionale.

Un’attenta analisi delle cronache del tempo fa ritenere che non si sia trattato di un singolo evento
con un unico epicentro, ma di una sequenza di eventi sismici, che prese l’avvio il 5 Dicembre e
interessò principalmente tre aree dell’Appennino centro meridionale.

Magnitudo di poco inferiore (circa il 7 grado) ha avuto probabilmente il terremoto di Messina e


Reggio Calabria del 1908, che viene ricordato come l’evento che ha causato il maggior numero di
vittime in Italia.

Il terremoto si verificò all’alba del 28 Dicembre con epicentro nello stretto di Messina.

Le scosse principali in 37 s distrussero le città di Messina, Reggio Calabria e i centri limitrofi.

La prima forte scossa ebbe prevalente molto sussultorio, dopo un breve intervallo ne seguì un’altra
più forte i moto ondulatorio e poi un’altra ancora stavolta in senso vorticoso.

Le scosse furono così violente che a Messina meno del 10 % degli edifici rimase intatto, e gli unici
palazzi rimasti integri furono trovati spostati di alcuni gradi su se stessi.

In questo terribile terremoto venne classificato per la prima volta il moto vorticoso, esso si genera
quando la componente orizzontale, e cioè la scossa ondulatoria si incontra con la componente
verticale, cioè la scossa sussultoria, la somma delle due direzioni provoca un violento movimento
vorticoso che fa crollare ogni abitazione lungo l’area epicentrale.

Molti tra i sopravvissuti, disorientati, cercarono immediatamente rifugio sulle spiagge vicine ma
furono vittime del maremoto che si abbattè subito dopo il terremoto sulle coste calabre e siciliane
intorno allo stretto di Messina.
Tre grandi ondate di oltre 10 metri di altezza spazzarono le coste provocando un numero
imprecisato di morti.

Il terremoto e il maremoto del 1908 sono stati ampiamente documentati sia dalle cronache sia dai
dati forniti dalle stazioni di rilevamento sismico dell’epoca.

Ciò nonostante molti aspetti di questo evento restano da chiarire, in particolare le relazioni tra
terremoto e maremoto.

Secondo alcuni il maremoto fu una conseguenza diretta del movimento della faglia che ha causato il
terremoto.

Una recente analisi dei dati dell’epoca sembra invece confutare questa ipotesi.

Infatti l’epicentro del sisma è localizzato in prossimità di Messina, ma la città fu raggiunta dalle
onde anomale almeno una decina di minuti dopo le scosse.

Un ritardo del genere fa pensare che lo tsunami si sia originato a una certa distanza da Messina.

Lo tsunami inoltre raggiunse la massima violenza in altre zone dove le onde superarono anche i 15
metri.

Per queste ragioni oggi si pensa che il maremoto si sia generato nello Ionio, a circa un centinaio di
chilometri da Messina, in una località antistante Giardini Naxos, probabilmente a causa di una frana
sottomarina che mise in movimento un volume di roccia di circa 20 km3.

Inoltre tale frana oggi è stata identificata e prende il nome di scarpata continentale siciliana.

La gigantesca frana sottomarina, si sarebbe staccata dalla scarpata continentale siciliana in seguito
al fortissimo movimento tellurico che interessò tutta l’area Calabro – Peloritana.

Il corpo della frana scivolando a grandissima velocità lungo gli abissi dello Ionio avrebbe favorito
l’attivazione dell’onda di maremoto che una volta formata si è diretta con grande impeto verso le
coste calabresi e siciliane.

Approfondendo il discorso sui maremoti, il maremoto è spesso indicato con il termine giapponese
tsunami, che significa onda di porto.

Le cause degli tsunami sono molto varie: frane sottomarine, terremoti con epicentro in mare aperto
o lungo la costa, eruzioni vulcaniche esplosive in mare aperto o sulla costa.
Perché si verifichi un maremoto è necessario un evento che rilasci un’enorme quantità di energia,
causando contemporaneamente un improvviso innalzamento o abbassamento del fondale, che metta
in movimento grandi masse di acqua.

In entrambi i casi, si genera un’onda che si propaga.

In mare aperto la distanza la distanza tra due creste successive può raggiungere le centinaia di
chilometri, mentre l’altezza delle onde non supera il metro.

Inizialmente l’onda si muove velocemente, ma la sua velocità si riduce con il diminuire della
profondità del fondale, che ha un effetto frenante sulla base della colonna d’acqua.

Contemporaneamente, la sommità della colonna continua a spingersi in avanti e l’onda diviene


sempre più alta fino a quando non raggiunge la linea di costa su cui si abbatte con forza devastante.

I maremoti possono provocare danni ingenti, in particolare nelle regioni dove le coste sono basse e
non ci sono rilievi in prossimità della costa.

Il maremoto non si può prevedere, ma spesso ci si può difendere efficacemente.

Poiché le onde di maremoto si muovono alla velocità di alcune centinaia di km l’ora, per
raggiungere coste distanti migliaia di chilometri impiegano diverse ore.

In molti casi, quindi, il tempo è sufficiente per attivare procedure di allarme e adottare misure per
limitare i danni.

Ovviamente è di fondamentale importanza conoscere la posizione dell’epicentro e la magnitudo del


terremoto che potrebbe aver generato lo tsunami e disporre di appositi sistemi di rilevamento nelle
zone più a rischio.

Non sempre si dispone di tali sistemi e talvolta è difficile anche determinare la magnitudo di un
terremoto, in particolare quando è molto violento.

Infine, la determinazione della magnitudo e la localizzazione dell’epicentro del terremoto non


sempre permettono di stabilire le caratteristiche dello tsunami che potrebbe verificarsi.

Continuando con gli eventi che hanno provocato degli tsunami, troviamo coinvolte l’isola di
Stromboli e l’isola di Vulcano.

La seconda metà degli anni Dieci viene marcata dalle isole Eolie e dallo Stromboli in particolare.

Proprio Iddu è difatti protagonista di due episodi notevoli.


Il primo, il 3 Luglio 1916, in piena “Grande Guerra”, rappresenta un’eruzione cui si accompagna un
terremoto e soprattutto uno tsunami, che investe soltanto la parte nord dell’isola.

Il secondo episodio, il 22 Maggio 1919, risulta ben più cospicuo, anche geograficamente parlando.

Alle 17:45 si verifica una grande esplosione vulcanica, con materiale piroclastico e lava che
danneggia diverse case delle varie frazioni di Stromboli (Ginostra compresa).

Segue uno tsunami che invade la costa per circa trecento metri, trascinando a terra numerose
barche; vennero segnalati fenomeni anche a Capri e Ustica dove il mare si ritira e poi torna sulla
spiaggia sia pure causando danni lievi.

Nel decennio successivo le Eolie continuano a recitare un ruolo da protagoniste: il 18 Luglio 1926
si sviluppa una scossa sismica a Salina, con danni e frane a Pollara e Malfa dove il mare si ritira e
poi invade la spiaggia.

Quindi l’11 Settembre 1930 un’altra esplosione violenta del vulcano Stromboli; si deve poi arrivare
al 1944, per la precisione il 20 Agosto, per assistere ad un altro maremoto eoliano.

Ancora una violenta eruzione dello Stromboli, con lava sulla Sciara del Fuoco che termina la sua
veloce corsa in mare, provocando un’onda di tsunami tutt’altro che trascurabile e addirittura
classificata di intensità 4.

Per quanto riguarda l’isola di Vulcano, meta turistica tra le più apprezzate dell’arcipelago per il suo
paesaggio lunare e la possibilità di eseguire benefici fanghi termali a due passi dal mare, il 20
Aprile del 1988 viene interessata da uno tsunami.

Dal versante Nord – Est del Gran Cratere del vulcano si stacca un cospicuo ammasso franoso che
scende velocemente in mare e genera uno tsunami.

Fortunatamente l’evento è di dimensioni limitate e l’isola non è ancora affollata di turisti.

Ma le onde sono chiaramente avvertite al Porto di Levante, proprio laddove attraccano gli aliscafi, e
oscillazioni vengono segnalate anche a Lipari.

Questo evento però conferma quanto questo vulcano sia potenzialmente pericoloso.

L’ultima attività eruttiva di un certo livello è datata tra il 1888 ed il 1890, dunque oltre 120 anni fa:
a più riprese si verificarono diverse esplosioni con lava molto vischiosa e sotto forma di prodotti
piroclastici dalle dimensioni anche rilevanti, le quali giunsero fino a Lipari, danneggiando anche
alcun abitazioni.
Da quei giorni lontani dunque non si registra un’eruzione intensa sull’isola, ma il vulcano rimane
attivo, con fumarole ben evidenti e talora segnali di risveglio che in più di un’occasione hanno
allarmato gli scienziati impegnati a monitorare costantemente ogni dettaglio.

Gli insediamenti abitativi, non solo turistici, che si sono succeduti nell’isola negli ultimi decenni,
non hanno certamente migliorato la prevenzione né reso più agevole un’eventuale evacuazione.

Per molti studiosi un’eruzione violenta a Vulcano potrebbe essere potenzialmente più pericolosa
anche di un analogo fenomeno a Stromboli, vista anche la sua vicinanza alle coste siciliane.

Vulcano dunque sembra rappresentare un’ottima sorgente tsunami genica, spesso trascurata dai
media ma non dagli esperti, capace di generare un evento anche di notevole portata.

Il monitoraggio tuttavia della sua attività è costante e continuativo: stavolta si può essere fiduciosi
sulla prevenzione.

Potrebbero piacerti anche