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Giuseppe Chiofalo

La prospettiva kantiana del divino


il limite della ragione ed il posto della fede

Palmi 2005
La prospettiva kantiana del divino
il limite della ragione ed il posto della fede

Sunto I. Kant ha il merito di avere ricondotto alla differenza tra


razionalità e ragionevolezza, la connotazione dei caratteri pre-
cipui del rapporto tra ragione e fede, offrendo mature argo-
mentazioni circa le prospettive del divino che si aprono a partire
dal limite della ragione.
Per le questioni che intorno a tale rapporto si sono sedimentate
lungo i secoli, il percorso di filosofia critica fornisce efficaci ri-
sposte inerenti al limite della ragione pura speculativa; e mai af-
fisse a qualche rilievo della difettività dello operare umano; non
necessariamente corredate delle attestazioni di tensioni tra co-
scienza del tempo ed esigenza di eternità che psicologia o certo
misticismo ci offrono.
Da qui l’importanza di una analisi critica di tipologie e caratteri
dei limiti della ragione pura; analisi attenta alla “Prospettiva
kantiana del divino”, che sollevi il rapporto tra fede e ragione
dalle trattazioni logiche cosiddette elevate, e lo svincoli da di-
sinvolte interpretazioni.
Secondo la prospettiva kantiana del divino, si rende, infatti, evi-
dente che ogni contrapposizione tra ragione e fede, non può che
essere infondata o interessata e polemica; e che il rapporto tra
fede e ragione riceve, oltre ogni materialismo, ateismo pratico,
ma anche spiritualismo ingenuo e declamatorio, interessanti
chiarificazioni da quanto effettivamente ha luogo nella istitu-
zione di strutture formali con le quali le nostre intuizioni diven-
gono conoscenze,
La prospettiva kantiana del divino
L’infinità del compito della ragione
pura, nel suo uso teoretico,
è in congiunzione col problema del divino.

1. Il centro di lettura.
In “Dottrina trascendentale del metodo”, Parte seconda
del Volume II della Critica della Ragione pura (della ragione nei
suoi usi: dogmatico, polemico; rispetto alle ipotesi e alle dimo-
strazioni), in un passo degno di nota, I. Kant si professa convin-
to che dopo “la delusione di tutte le mire ambiziose di una ra-
gione vagante oltre i confini di ogni esperienza” “ci resta ancora
abbastanza perché si abbia motivo di essere contenti dal punto
di vista pratico. Certo - precisa- nessuno potrà vantarsi di sape-
re che c’è un Dio e una vita futura; perché se egli lo sa, egli è
appunto l’uomo che io cerco da un pezzo”.
Il motivo di questa presa di posizione a fronte del “sape-
re che c’è un Dio” è da ricercare nella distinzione kantiana tra
certezza logica e certezza morale che è il tema centrale della fi-
losofia in quanto critica (cioè: studio della facoltà della ragione
rispetto ad ogni conoscenza pura a priori; Critica della ragione
pura; ed. Laterza 1959 pag. 644). Senza la prudenza che tale di-
stinzione comporta, “la grande fortuna che la ragione incontra
mediante la matematica, [porterebbe] affatto naturalmente a
credere [in una] buona riuscita anche fuori del campo delle
quantità..” (ib. pag. 573) Poiché “ci sono leggi morali pure” che
comandano assolutamente (cioè: ”non in modo ipotetico nel
supposto di altri fini empirici”) e però sono per ogni aspetto ne-
cessarie” (ib.629) andare anche fuori del campo delle quantità
per riguardare l’ordine morale con la semplice potenza della
speculazione, cioè in modo ipotetico congiunto a fini empirici,
sarebbe “avventurarsi sul terreno incerto dei concetti puri, e
perfino dei trascendentali: partire dalla matematica [come]
strada regia” comporta il rischio che quel terreno si presenti
“instabilis tellus, innabilis unda”, e non una base che permetta
di “fermarvi il piede o di nuotarvi” (ib. pag. 573)
La convinzione esplicitata da I. Kant, insomma, si incen-
tra nella divisione dell’intera conoscenza filosofica, vera o appa-
rente che sia, in metafisica dell’uso speculativo e metafisica
dell’uso pratico della ragione pura, mentre “la moralità è l’unica
legalità dei fenomeni; morale pura, a base della quale non c’è
un’antropologia *cioè: una condizione empirica”; (ib. pag. 652)+.
La moralità, infatti, è sostenuta dalla “prescrizione morale,
dall’unità dei fini, dalla fede nell’esistenza di Dio” che “niente
può fare scuotere, poiché sarebbero rovesciati i miei stessi
principi morali, ai quali io non posso rinunciare senza essere ai
miei propri occhi degno di disprezzo” (ib: 643).
Da qui, è facile rendersi conto della centralità che in
“Dottrina trascendentale del metodo” assume la “storia della
ragione umana” nel corso della quale “i concetti morali”, si pu-
rificano e si determinano conducendo alla conoscenza
dell’unità sistematica dei fini secondo essi. Una conoscenza per
principi necessari che accoglie, per scrutarne fondamenti og-
gettivi e cagioni soggettive, “ogni interesse della mia ragione
(così lo speculativo, come il pratico) [che] si concentri nelle tre
domande seguenti: 1)che cosa posso sapere?; 2)che cosa devo
fare? 3) che cosa posso sperare?” (ib. 628).
Ora I. Kant dice architettonica della ragione pura *…+“ la
dottrina della scientificità della nostra conoscenza in generale”;
della “unità sistematica *la quale+ è ciò che prima di tutto fa di
una conoscenza comune” “*di un+ semplice aggregato” “un si-
stema” cioè “una scienza”. Ne dice non tanto per conferire
nuove e più ampie funzioni al bisogno di scienza da parte della
filosofia, né per illuminare più penetranti aspetti di dialettica
trascendentale, ma per impostare risposte alle su citate tre
domande ed esplorarne il senso. Per questo intento, assumono
rilevanza riflessioni sul quel concetto di libertà che lo stesso
Kant definirà, in Prefazione alla Critica della ragione pura, chia-
ve di volta dell’intero edificio di un sistema della ragione pura.
Quindi, è immediato rendersi conto che la possibilità
della ragione speculativa e la condizione della legge morale,
debbono informare la impostazione di una lettura di I. Kant che
sappia spingersi oltre l’enfasi scolastica del superamento delle
opposte posizioni del empirismo e del razionalismo [per I. Kant
la conoscenza non si svolge per accumulo di dati (induzione;
empirismo) e nemmeno per conoscenze innate, per principi va-
lidi fuori dell’esperienza *deduzione, razionalismo)].
Le linee analitiche fondamentali secondo le quali vanno
riguardate le su ricordate domande, nell’ambito della filosofia
critica vanno tracciate nella correlazione tra la possibilità della
ragione speculativa e la condizione della legge morale. Ed è
questa correlazione che va identificata come nucleo tematico
essenziale della magistrale opera di I Kant, per farne centro di
lettura privilegiato. Cosa che non è rilevabile dalla pur vasta
immensa e dotta messe di studi di filosofia critica. Una notevole
eccezione costituisce lo scritto di Martin Heidegger “Kant e il
problema della metafisica” che tuttavia si colloca come prima
parte di un previsto e mai pubblicato secondo volume di Essere
e tempo e che quindi ha chiavi di lettura interne alla riflessione
heideggeriana sull’essenza dell’uomo la quale è Dasein.
2. Indicazioni programmatiche
Ebbene, poiché le definizioni e proposizioni su citate con
riferimento a “Dottrina trascendentale del metodo” abbraccia-
no l’intero disegno delle “Critiche”, se si vuole leggere I. Kant
secondo I. Kant, si rende necessario considerare da vicino la ti-
pologia kantiana delle risposte alle su citate domande; risposte
che in via primaria caratterizzano e prospettano l’infinità del
compito della ragione pura, “l’esplorazione“ di facoltà e regole
della ragione e dell’intelletto, la osservazione della moralità in
sé come sistema.
Per rispondere a tale esigenza, occorre anzitutto fare ri-
ferimento al rapporto tra scienza e morale, ragione pura specu-
lativa e ragione pratica, col quale Kant disegna l’unità definitiva
dell’intero ambito della conoscenza. Ma, poiché I. Kant assegna
all’imperativo morale il carattere di “fatto” non deducibile dalla
ragione, oltre Kant ed ovviamente senza mettere a soqquadro
Kant, occorre inoltre mostrare che, la congiunzione di condizio-
nato (conoscenza per concetti) e incondizionato (categoria del-
la libertà), vera in quanto composta di concetti tra loro non
contraddittori, è bensì fondamentale per il passaggio dalla pro-
spettiva del divino alla esistenza di Dio; che anche è fondamen-
tale la disponibilità (secondo logica trascendentale) di oggetti
teoretici ma problematici (ambito della ragione pura speculati-
va) e di imperativo categorico (ambito della ragione pratica),
ma per nulla è necessaria la definitività del giudizio determi-
nante secondo principi, della stabilità di limiti stabilmente po-
ste alla conoscenza dal quadro statico delle categorie che Kant
deduce e ci consegna; è fondamentale la distinzione tra feno-
meno e cosa in sé, che peraltro è anche via d’uscita,
dall’antinomia della ragione pura, ed è reale dacché
l’imperativo morale è un “fatto”. Tuttavia oltre Kant la prospet-
tiva del divino si apre comunque significativa: è principio intrin-
seco alla conoscenza a priori. Interno alla storia dell’umano,
permane aderente a ciascuna codificazione e strutturazione del
conoscere un oggetto per noi, benché la conoscenza acquisibile
non sia immutabile e nemmeno onnicomprensiva.
3. Strutture del conoscere e verità al futuro.
La Critica della ragione pura, propone e sviluppa temi af-
ferenti ai modi di oggettivazione della natura conformi all’unità
delle parti, unità naturale fondata nella ragione stessa. Unità
che si attua per connessioni stabili delle percezioni possibili e
che, rapporto ai fenomeni dati unicamente nella esperienza, ri-
guarda la conoscenza anche futura di oggetti. Dunque, implica
l’esercizio diuturno dell’uso speculativo della ragione pura. Tut-
tavia, la novità dei compiti teoretici verso tali oggetti al futuro
sta solo in ciò: la rappresentazione e il pensiero di
un’esperienza possibile, la peculiarità del nuovo approdo di un
percorso speculativo, restano saldati dalla Critica alle forme
trascendentali, per essere garantiti dalla correttezza e insupe-
rabile completezza del giudizio sintetico a priori: nuovo è solo il
contenuto che riempie un apparato formale permanente quan-
to basta affinché non resti vuoto senza il fenomeno. La novità è
l’accadere di giudizi sintetici a priori in una decisa stabilità dei
limiti dello intelletto. Una stabilità da cui non si può prescinde-
re, in quanto, rispetto a tali limiti, nel piano complessivo delle
Critiche, si staglia l‘evidenza di un incondizionato, altrettanto
stabile, né contraddittorio né complementare Evidenza, quindi,
che si offre alla riflessione trascendentale nel rilievo ineffabile
dell’intero orizzonte dello umano, e che esorbita dall’ambito
categoriale: la dialettica trascendentale mostra criticamente
che, strumenti con cui pensiamo qualunque oggetto, le catego-
rie, risolvono, il problema della loro applicabilità nella necessità
logica che la realtà empirica del mondo esterno sia ambito
d’esperienza possibile al cui universo oggettuale manchi la cosa
in sé pur necessaria al funzionamento dell’intero sistema della
Critica.
Precisamente, le categorie kantiane sono concetti per i
quali un oggetto è pensato in perfetto accordo con le funzioni
logiche generali del pensiero; per mezzo di esse è possibile co-
noscere a priori oggetti che possano presentarsi ai nostri sensi.
Per questo, la deduzione empirica e la deduzione trascendenta-
le delle categorie, fissano e dettagliano i limiti dell’uso specula-
tivo della ragione pura entro un quadro categoriale al quale è
indissolubilmente legata la conoscenza per concetti.
Ora, la presenza di limiti, è una caratteristica essenziale
dei costrutti concettuali: ogni procedura finita conoscitiva im-
piantata su procedure logicodeduttive e che non giri a vuoto,
cioè che sia atta a separare vero da falso, deve mettere extra
moenia le contraddizioni cioé escludere che con nonA sia dedu-
cibile A [(AA), è tautologia+, implica l’indecidibile (all’interno
di un sistema S coerente non è possibile dimostrare la non con-
traddittorietà; teoremi di GÖdel). Il senso teoretico dei limiti,
insomma, è quello di una logica consistente che renda significa-
tivo l’uso della ragione pura; logica del conferire regole e del
prescrivere leggi a priori ai fenomeni. Tuttavia a questo caratte-
re virtuoso della delimitazione dell’uso speculativo della ragio-
ne pura, invero qui rilevato col senno del poi1, si congiunge,
nella filosofia trascendentale, un altro per nulla essenziale alla
istituzione di costrutti concettuali: il quadro categoriale ricco e
completo è stabile; sicché origine, estensione e validità oggetti-
va della conoscenza razionale sono immutabili e universali; la
visione della natura è data e costante; e, benché la conoscenza
della verità sia aperta al futuro, tuttavia il futuro è semplice. E’
questo un carattere kantiano che occorre tenere presente
*l’eternità (non modificabilità) di una rappresentazione “unica
di tutti gli oggetti dei sensi, esistenti in tutti i tempi e in tutti gli
spazi”+ nel conto che esso non risponde all’esigenza di fonda-
zione logica di un sistema della ragione speculativa.
Occorre tenere ben presente il rilevato carattere, intan-
to perché la kantiana verità al futuro che è semplice, senza di-
scontinuità d’episteme, si articola, secondo la filosofia trascen-
dentale, con le seguenti affermazioni: 1) il rigore speculativo ri-
guarda una totalità infinita di oggetti; 2)non ha senso un crite-
rio generale di verità che valga per tutte le conoscenze, senza

1
Cfr. M.L. Dalla Chiara Scabia Modelli sintattici e semantici delle teorie elementari; Mi-
lano 1968.
distinzione dei loro oggetti. Ne consegue che verità immutabili
e universali chiamano a sempre nuovi argomenti la funzione del
dare unità ai fenomeni. Dunque, poiché pensare gli oggetti si-
gnifica attivare siffatta funzione del dare unità, implicando im-
prescindibilmente che questi “debbono essere incontrati da
quella parte dell’esperienza a cui debbo giungere per progresso
partendo dalla percezione”; infiniti sono i percorsi progressivi
da tracciare nella totalità infinita di oggetti che debbono essere
incontrati. Infiniti percorsi sotto un unico quadro di poche (do-
dici) categorie per dare regole d’unità all’intelletto e rendere
possibile una esperienza2. Insomma, esperienza possibile vuol
dire che è effettuabile una conoscenza al futuro, ma i suoi og-
getti mai esorbiteranno dal quadro categoriale; vuol dire che la
conoscenza della realtà possibile in generale, è consegnata alla
struttura a priori, assegnata all’intelletto, della deduzione tra-
scendentale3
4. Verità al futuro e garanzie
La connessione necessaria delle percezioni consiste,
dunque, di rapporti oggettivi introdotti dall’intelletto che con-
dizionano la esperienza in quanto possibile. Logica trascenden-
tale e possibilità del reale; filosofia critica come scienza della
forma e della connessa definitività del possibile per altro da “ri-
empire” partendo dalla percezione sensibile, sono questi i cen-
tri tematici dell’epistemologia kantiana evidenziati nel contesto
di una originale definizione “del limite di ogni uso lecito della
ragione”. Contesto di scienza e metafisica; di condizionato e di
incondizionato; di fenomeno e cosa in sé.
Occorre inoltre tenere ben presente il rilevato carattere
di definitività del quadro categoriale dacché l’infinito compito

2
cfr. Kant Critica della ragione pura; Utet 1967, pag. 416-417.
3
: La natura per la sua forma può costituirsi fin dal principio e solo secondo la struttura
stessa dell‟intelletto. “Schema della possibilità è la rappresentazione della cosa in un
determinato tempo; della necessità, l‟esistenza in ogni tempo”
di verità al futuro solleva un problema. Precisamente, in Kant,
l’asse tematico è la struttura della natura strutturata
dall’intelletto. Quest’ultimo tuttavia non crea il suo oggetto: le-
game oggettivo e funzione unificante sono condizioni formali
della scienza in quanto scienza. Tuttavia, poiché l’unità sintetica
dell’intelletto fonda la unità dello oggetto, resta aperta la que-
stione dello originarsi d’una necessità: che l’esperienza
dell’oggetto che incontro da qualche parte dell’esperienza, as-
suma la forma preordinata e definitivamente già fondata esat-
tamente per modulare e determinare le varie esperienze. Que-
stione, dunque, della conformità dell’esperienza alle suddette
condizioni formali: le categorie si applicano all’esperienza e
l’unificazione si produce secondo una regola dell’intelletto. Il
condizionato dell’esperienza e la necessità che la esperienza si
costituisca consistendo in un campo d’esperienza in rappresen-
tazioni e osservazioni, si articolano e si collocano in un unico
contesto attraverso lo schematismo trascendentale. Insomma,
la questione, appena sollevata, si chiude con l’assegnazione di
una facoltà ad hoc: la filosofia critica risponde puntualmente al-
la esigenza che la definisce; cioè quella di non lasciare insoluti i
problemi in quanto enucleati o posti dalla ragione pura. Cosa
sempre possibile: la ragione pura è fornita degli strumenti con-
cettuali e logici per risolvere i problemi che essa trova nel suo
uso teoretico e la filosofia critica finisce col coincidere con
l’investigazione, deduzione, del campo di esercizio di tali stru-
menti. La Dottrina trascendentale del metodo è il momento a-
picale dell’ineccepibile costruzione di rapporti e funzioni, for-
me, regole e schemi; limiti ed usi della ragione pura. Essa ri-
guarda le condizioni formali di un sistema completo della ragio-
ne e anticipa le fondamentali prospettive dell’uso pratico della
ragione stessa.
5. Il futuro è semplice
Unità oggettiva e atto unificante dell’intelletto (Io pen-
so), trovano la soluzione del problema della oggettività, della
verità al futuro che è semplice. Problema dell’oggettività, no-
nostante la invariabilità della struttura dei concetti: l’oggetto è
caratterizzato come “oggetto per noi”; e trova il suo condizio-
namento formale nello schematismo trascendentale; nelle de-
terminazioni a priori della forma dell’intuizione da parte delle
categorie dell’intelletto. Realtà empirica e idealità trascenden-
tale, sono i termini cruciali dell’impegno teoretico di Kant. Logi-
ca trascendentale (dottrina positiva dei fondamenti del cono-
scere) e Analitica trascendentale (cioè la parte della logica della
apparenza, del pensare l’oggetto in generale affatto oltre i limi-
ti dell’esperienza possibile) non agitano questioni altre che
quelle sollevate da una visione filosofica necessitata, in quanto
critica, dalle esigenze di giustificare la conformità della struttu-
ra della natura con la struttura dell’intelletto.
In questo ambito si comprende che le anticipazioni di
prospettive sull’uso pratico della ragione di cui alla Dottrina tra-
scendentale del metodo, con cui si chiude la Critica della ragio-
ne pura riguardo al suo uso speculativo e che saranno riprese
nella Critica della ragione pratica, così come si profilano nelle
discussioni delle condizioni formali di un sistema completo del-
la ragione, rilevano che nessuna problematica del rapporto tra
scienza e metafisica sorge per una filosofia critica che, dottrina
della conoscenza possibile, della forma d’esperienza come ter-
reno d’una vicenda teoretica, è già nel contesto unitivo e orga-
nico del campo speculativo e regno dei fini.
Inoltre al più elevato livello di teorizzazione della filoso-
fia kantiana si configura una teoria della forma. Mai astratto
formalismo, tuttavia: la forma ha le sue attivazioni nel tempo e
nello spazio; in una catena causale per una possibilità della co-
noscenza come possibilità reale dell’esperienza d’un oggetto in
una fondazione trascendentale. La forma salda all’oggettività
razionale il fenomeno ed espone la funzione del soggetto che
ordina e collega “avendo in *…+ mano i principi” secondo i quali
la concordanza tra fenomeni “ha valore di legge”.
E nemmeno formalismo etico, poiché la forma della leg-
ge è l’obbligatorietà universale per una volontà libera, secondo
l’unica ratio dell’essere libero: il tendersi della volontà mai per
il contenuto della sua azione; il bene è l’indeducibile presenza
immediata alla legge morale.
6. Categorie e vita
Tuttavia, dalla osservazione del contesto della cono-
scenza per pochi principi e infinità di compiti, contesto necessi-
tato da garanzie di verità (Io penso), risulta problematico, inve-
ce, l’uso della ragione teoretica e la connessa asseribilità della
condizioni formali e regole interamente a priori per una Natura
possibile in generale e una fisica in particolare. Osserva Vittorio
Mathieu che "vi sono in natura certi oggetti la cui unità è diffici-
le interpretare come il semplice risultato d’una unificazione
compiuta dall’intelletto che li conosce: i corpi organici. L’unità
dell’organismo, infatti, è un principio reale, che plasma
dall’interno il corpo cui dà vita, non un principio formale *...+ e
le opere d’arte. Anche qui il costituirsi del materiale empirico in
un oggetto non pare dipendere dall’intelletto, bensì da un prin-
cipio intrinseco all’opera stessa, il quale sviluppi organicamente
da sé il proprio corpo. Il tentativo di sommettere ai principi del-
la filosofia trascendentale queste due classi di oggetti è rappre-
sentato dalla Critica del giudizio”.
L’osservazione critica di Mathieu”4, è fondamentale per
la posizione oltre Kant che la visione dell’illustre studioso occu-
pa; tuttavia è facile rendersi conto che essa è sostenibile solo
entro la definizione della scienza, secondo i principi e le asser-

4
Enc. Sansoni, ed.cit. pag. 655.
zioni su cui si fonda la visione kantiana della scienza in un unico
sistema di conoscenze, nel quale concetti e principi sono anche
chiamati a qualificare la separazione tra materia e vita. I lavori
di Ilya Prigogine (irreversibilità del tempo; fisica del divenire) in-
troducono più di un motivo irresistibile per dire che le cose non
stanno così. Ma, pur mettendo da parte la teoria delle strutture
dissipative e la freccia del tempo su cui si fonda, è evidente che
la radice dei problemi esattamente non può che collocarsi e si
colloca nella introduzione del su rilevato carattere inessenziale
al costrutto teoretico e alla prospettiva del divino: l’asserzione
di principi e concetti stabilmente posti e garantiti.
7. Categorie e spiritualità umana
La Critica del giudizio, cui V. Mathieu fa opportuno rife-
rimento, è sintomatica per la tipologia di tali problemi: la forma
del bello, pur non essendo determinata da una regola intellet-
tuale prestabilita (cioè non giudizio determinante) deve rispon-
dere ad esigenze generali. La questione è se e come essa possa
essere guidata dai principi a priori gli unici validi a conferire u-
niversalità e necessità. Ora, la assenza di conformità a leggi ne-
cessarie secondo la struttura dello intelletto è carattere essen-
ziale di un’opera d’arte, paradigma delle attività spirituali uma-
ne, che, in quanto tale, non può tollerare finalità esterne; e tut-
tavia deve acquisire ed accettare forme sensibili per una unifi-
cazione che esorbita dal quadro categoriale mentre l’unità cre-
ata deve possedere, ovviamente, un fondamento peculiare per
un carattere universale (della sua fruibilità). Insomma: assenza
d’unità sintetica originaria d’atto unificante secondo regole a
priori, facoltà di produrre oggetti rispondenti all’universale giu-
dizio estetico, sono i temi di un’effettiva problematica la cui
emergenza è strutturalmente legata all’univocità, al determini-
smo del condizionato che configura la definitività obbligante
della scienza.
Il peso logico della netta differenza tra scienza ed arte, è
un’emergenza spiegabile nella solidità del percorso critico della
filosofia trascendentale. La posizione eccentrica della funzione
del genio è, infatti, determinata da una visione della scienza se-
de di certezze scandite una volta per tutte e non essenzialmen-
te un fare creativo del soggetto che istituisce strutture sintatti-
che. L’illuminismo maturo nella filosofia di I. Kant contrassegna
il sostrato di una mirabile perfezione logica, la cui più estrema
conseguenza è l’esaustività della scienza benché aperta su un
futuro di novità la cui forma tuttavia è prevista e dunque im-
pervia al pensiero d’altro, creativo artistico. Che siffatta posi-
zione sia stata decifrata come sintomo d’una prospettiva ro-
mantica apertasi nell’impianto della logica trascendentale, è
una riprova della solidità d’impianto kantiano la cui perfezione
è tenuta a misurarsi con una problematica foriera di rivoluzio-
nati temi epistemologici per i quali le strutture dell’intelletto
anticipanti l’esperienza secondo una propria unità sistematica
di possibilità denotative, sono aperte alle loro correlazioni con
una storia ed una molteplicità di forme e contesti sintattici non
congelati per principi e schemi, né figurati col “fantasma di
un’unica realtà” introdotta già prima dal formalismo5.
E’ questa apertura al plurale delle forme dello intelletto
e all’impeto della temperie storica, la disponibilità della filosofia
critica a una presa romantica delle sue interne strutture concet-
tuali. Purtroppo tale presa da parte dell’idealismo, è stata sof-
focante e l’approccio fichtiano, pur caratterizzato da “inguaribi-
le timidezza teoretica”, assegnando prospettive di “condiziona-
tezza e finitezza” all’impianto kantiano, solleva il problema
dell’unità di finitoinfinito, rispetto al quale, demolitore più che

5
Cfr. Prigogine La nuova alleanza l.c. pag 284.
ricostruttivo si pone l’idealismo, e Schelling ed Hegel vi hanno
fatto terra bruciata6.

Il limite della ragione


La conoscenza speculativa
implica un oggetto
essenzialmente problematico.

8. Categorie della natura e categorie della libertà


Le questioni relative al rapporto tra speculativo e prati-
co, possono ricevere un ben più serena e mirata considerazione
alla luce di quanto E. Kant scrive in Dialettica della ragione pura
pratica, sulle idee di Platone7: “solo la laboriosa deduzione delle
categorie […+ potrà impedire, se si pongono nell’intelletto puro,
di ritenerle con Platone [idee] innate e di stabilire su ciò le pre-
tese trascendentali a teorie del soprasensibile di cui non si vede
nessun fine”8.
La critica alla teoria delle idee innate- precisa Kant- “ha
dimostrato, in primo luogo, che esse non sono di origine empi-
rica, ma hanno la loro sede ed origine nell’intelletto puro; e in
secondo luogo che, essendo riferite agli oggetti in genere, indi-
pendentemente dalla loro intuizione, esse producono, ancor-
ché isolatamente in applicazione agli oggetti empirici, una co-
noscenza teoretica; tuttavia applicate ad un oggetto dato me-

6
“...La situazione dell‟uomo, così come è descritta da Kant l‟essere cioè dell‟uomo la
stessa comprensione dell‟orizzonte dualisticotale situazione è un trovarsi in contraddi-
zione. [...] Fichte si accorge di questa autocontraddittorietà: ciononostante non si decide
a compiere il gran passo verso la posizione idealistica” (E. Severino; cfr. Arnaldo Petter-
lini, in Filosofia, A.Curcio Editore, vol. IV, pag 1108).
7
Laterza, 1955, pag. 173.
8
Il passo kantiano è articolato, esaustivo ed inequivoco: “, con Platone si fa della teolo-
gia “una lanterna magica di fantasmi; e d„altra parte, se [le categorie] si considerano
come acquistate, s‟impedisce di limitare con Epicuro ogni uso di esse, anche nel rispet-
to pratico, semplicemente agli oggetti e ai motivi determinanti dei sensi”.
diante la ragione pratica, servono anche ad una concezione de-
terminata del sovrasensibile in quanto *…+ determinata me-
diante predicati che appartengono necessariamente al fine pu-
ro pratico dato a priori e alla possibilità di questa”.
Il contenuto di questa estesa citazione è tale da ben me-
ritare la funzione decisiva di premessa programmatica all’intera
filosofia trascendentale, e di chiarissima esplicazione dello in-
tento kantiano di tenere salda la struttura unitaria degli usi del-
la ragione pura. Collocata irreversibilmente fuori dal corretto
uso del pensiero speculativo la possibilità di conferire valenza
teoretica al concetto di causa, come punto di leva gnoseologica
del razionalismo scettico (lo scetticismo reso acuto da D. Hu-
me), per siffatta struttura “l’uomo onesto può ben dire: io vo-
glio che vi sia un Dio…*che+ fuori della connessione naturale, la
mia durata sia senza fine.”9
Questa conclusione di I. Kant poggia essenzialmente sul-
la osservazione della struttura concettuale della ragione come
contesto categoriale, “categorie della natura” cioè concetti teo-
retici, e categorie della libertà, dell’unità della coscienza morale
di “una ragione pratica che comanda nella legge morale”. La
prospettiva kantiana del divino, si incentra sulla distinzione tra
ciò che accade “secondo una legge della natura” alla quale
“corrisponde uno schema” e “la legge della libertà *la quale+
“non può essere sottoposta a nessun schema per la sua appli-
cazione in concreto“.10 Questa presentazione della volontà sot-
to leggi della ragione pura pratica, evidenzia che la esatta e
spontanea corrispondenza tra momenti della Critica della ra-
gione teoretica e i passi che si fanno anche nel campo della ra-
gione pratica, sono momenti e passi d’esistenza stessa della u-
nità della struttura, della strutturazione di concetti nell’unità di

9
Ib. pag. 176.
10
Ib. pag. 85.
una struttura: la conoscenza speculativa rende visibili oggetti
d’esperienza (vi corrisponde una intuizione sensibile) e la pro-
spettiva kantiana del divino (vi corrisponde il fatto della legge
morale); sicché esige un soggetto attivo della rappresentazione
e soggetto della volontà libera. Se ritorniamo alle condizioni di
possibilità della esperienza in generale, il pensare un oggetto
possibile comporta un soggetto, anzitutto funzione e centro di
osservazione dello “l’interno progresso” di ciò che viene cono-
sciuto; ma anche funzione anticipante la possibilità d’avvento
dell’oggetto possibile. Funzione per compiti speculativi ma an-
che di prospettive.
9. I “vuoti” del sistema speculativo
Una omologia di struttura della conoscenza e di quella
del soggetto, è la relazione radicale tra il pensare per concetti
quantitativi e il soggetto fenomenico; tra il sistema della morale
e il soggetto noumenico: il limite della ragione speculativa è es-
senziale alla ragione pura.
Il limite, dunque, secondo logica trascendentale, più che
generato dalla struttura, è carattere della struttura: si dà strut-
tura giacché struttura ha limite. Questa tesi, secondo I. Kant,
occupa l’ultimo anello della seguente catena deduttiva: dalla
distinzione tra fenomeno e noumeno, consegue la differenza
tra pensiero e conoscenza da cui discende che la conoscenza
speculativa implica e include essenzialmente un oggetto pro-
blematico. La questione circa la eventualità che logica ma an-
che storia delle strutture indichino che si può dispensare la tesi
da tale ordine deduttivo, ci porta oltre Kant.
Frattanto riassumo: il sistema completo della ragione
consta di: 1)un processo sistematico con cui viene stabilita una
scienza “dove cose giudicate definitivamente possono essere
giustamente citate, ma non di nuovo discusse”;11 2) la disponi-

11
Critica… pag. 6
bilità reale dei concetti che la ragione speculativa “poteva pen-
sare in modo solo problematico”. Tali concetti, contrassegnano
altrettanti “vuoti” del sistema (parziale) critico della ragione
speculativa; vuoti ai quali la volontà pura, il suo motivo deter-
minante nonché l’origine pura del concetto di causa, conferi-
scono un significato dischiuso per progressione infinita morale
a soggettive aspirazioni.
Insomma, leggi immutabili, “vuoti” che il noumeno ren-
de necessari alla coerenza del sistema completo; la differenza
tra leggi di natura a cui è soggetta la volontà; le relazioni tra vo-
lontà con le sue azioni libere; in breve: scienza e noumeno co-
me concettolimite, disegnano un contesto di plurali procedure
conoscitive finite e di infinità del compito morale non esauribile
in archi finiti d’esistenza temporale, nel quale “ciò che si accor-
di con le condizioni formali d’una esperienza in generale, è pos-
sibile (postulato della possibilità)”12. Ne consegue che, inerenti
ad una legge pratica, i postulati della ragione pratica non de-
terminati teoreticamente hanno determinazione in senso for-
male (aspetto logico) riguardo ad un oggetto generale, e con-
formità al dover essere riguardo ad un soggetto nella sua natu-
ra soprasensibile (aspetto morale). La conoscenza dell’oggetto
per noi e l’autonomia della determinazione della nostra volon-
tà, che vivida arriva allorché è finita ogni perspicacia umana; la
possibilità di concepire una conoscenza di Dio, sono la struttura
di coscienza in generale e non necessitano, anzi escludono, una
teoria degli esseri soprasensibili.
10. L’oggetto in generale
La forza propositiva di un carattere della scienza con
l’uso teoretico della ragione pura dai compiti infiniti, è motivo
basilare per un ritorno a Kant. All’apice di un cammino illumina-
to, la conoscenza per Kant non poteva che essere compresa

12
Critica della ragione pura; Bari 1959 pag.228
nella forma unitaria della possibilità di prolungamento infinito
della catena dell’esperienza. Infinito e tuttavia entro l’orizzonte
circoscrivente dei limiti dell’uso speculativo della ragione pura.
Orizzonte che è aderente ai limiti che nel sistema completo del-
la ragione, riceve una fondazione logica trascendentale ed invi-
ta a procedere verso il regno dei fini.
Ora, “la ragione pura ha sempre una sua dialettica”: poi-
ché “essa aspira all’assoluta totalità” *…+ ed è costretta ad inda-
gare da dove deriva la prospettiva di un ordine superiore. Que-
sta indagine è la critica completa di tutta la facoltà razionale
pura.
Sennonché, sollecitata dall’invito a procedere verso il
regno dei fini, che innesta la prospettiva del divino in decisive
premesse e fondati motivi, l’indagine trova lungo il suo svolgi-
mento fino all’autonomia della volontà, anche l’attributo della
stabilità, della immutabilità del quadro categoriale, e la definiti-
vità del giudizio determinante secondo principi.
Per questo, il limite della ragione teoretica va enucleato
da una critica della ragione pura, inclusa una critica degli stru-
menti. Ma è ovvio che il campo dell’indagine può estendersi ol-
tre quello della scienza: il linguaggio, le forme simboliche che la
cultura nelle sue determinazioni storiche ci consente di identifi-
care come forme della attiva spiritualità umana13.
Ma non bisogna stravolgere l’impostazione dell’indagine
sulla conoscenza a priori dove il limite si genera: pensare un
oggetto in generale, è applicare ad un oggetto esclusivamente
ad un uso teoretico della ragione, le categorie, i concetti puri
dell’intelletto. Il limite è essenziale a tale uso, poiché pensare
un oggetto non coincide col conoscere un oggetto. Da qui
l’imprenscindibile critica per mostrare quali oggetti possano in-
dicarsi nella nostra conoscenza a priori, ossia conoscenza

13
cfr. la filosofia di E. Cassirer.
dell’oggetto in generale. La logica trascendentale, con la sua di-
visione in analitica e dialettica trascendentale, risponde alla
questione. L’oggetto generale di una conoscenza pura a priori
può essere correlato a: 1)una intuizione sensibile che corri-
sponda allo oggetto (realtà oggettiva teoretica condizionata);
2)nessuna intuizione sensibile. In questo caso comporta:
2a)apparenza, fallacia (nessun oggetto è dato in alcun modo);
2b)oggetto problematico, ossia oggetto che la ragione è giusti-
ficata a supporre. E’ questo l’oggetto di una prospettiva pratica.
Essa è prospettiva del divino, se mediante una legge apodittica,
legge morale, l’oggetto che riceve la realtà oggettiva come
condizione di ciò che questa legge comanda (di prenderlo come
oggetto), è esistenza di Dio. In questo passaggio dalla prospetti-
va alla realtà oggettiva consiste precisamente il postulato
dell’esistenza di Dio.
11. Immutabilità ed evento
Questa digressione richiede qualche approfondimento
che imposterò più avanti. Riprendo adesso la linea tematica
della Critica della ragione teoretica, per esaminare il limite della
ragione pura, nel suo terreno genetico. Cioè la: struttura
dell’intelletto ed il modo in cui pensa l’oggetto in generale.
Secondo I. Kant tale struttura è immutabile assoluta-
mente. Da qui la domanda: stabilità categoriale, rigidità, immu-
tabilità della conoscenza, sono requisiti essenziali d’una pro-
spettiva del divino?.
La storia delle scienze mostra che il prolungamento infi-
nito della catena di esperienze al futuro che I. Kant deve affida-
re allo schematismo trascendentale, si presenta, invece, aperto
all’inedito della rifondazione di altrettante inedite strutture
concettuali secondo innovati ordini categoriali. Il soggetto di
siffatta apertura è, quindi, attiva operosità su un campo unita-
rio di determinazione dell’oggettività razionale; della quale le
idee trascendentali segnano il compito, in quanto mostrano
“realmente i limiti dell’uso puro della ragione, ma anche il mo-
do di terminarli14. Ed anche il modo di rideterminare canoni e
categorie che sostengono il compito del conoscere per concetti.
Ebbene, osservato che la logica del costrutto concettuale e la
storia delle scienze mostrano che il suddetto attributo è ines-
senziale e, quindi, che la domanda formulata è ben fondata,
l’attenzione va usata alle modalità di generazione dell’apertura
nonché ai caratteri strutturali secondo i quali gli strumenti
stessi del comprendere si articolano nella funzione della strut-
tura in una dialettica di forma e contenuto. Il che spinge ad ag-
giungere alla precedente la domanda: il soggetto, l’apertura
operosa su un campo unitario è la strutturazione, la funzione
della struttura?
Nel merito, una struttura sintattica, base di una teoria
formalizzata, è essenzialmente deputata ad accettare una con-
cezione della Natura; per una descrizione coerente di ciò che
possiamo conoscere, interpretare e comprendere oggetto di
conoscenza per noi. Essa, insomma, si impianta incorporando
concetti che ordina secondo asserti nel ruolo di fondamenti
che, sia qualitativi sia quantitativi, identificano biunivocamente
una maturata visione del mondo.
Ora, una visione del mondo, in maniera specifica, trova
nella propria struttura forme di connessione di concetti propri
con “stati” e “processi” reali, contesti di esperienza ai quali la
struttura conferisce unità (denotazione) e viceversa da essi rea-
lizza la sua interna coerenza nella efficacia delle sue enuncia-
zioni verso stati e processi reali (comprensione). Ebbene, tale
articolazione di incorporazione di asserti e descrizioni coerenti,
è esattamente l’uso teoretico della ragione pura. Solo che, oltre
Kant, occorre non perdere di vista il ruolo che svolgono i con-
cetti che la struttura incorpora come fondamenti.

14
I. Kant Prolegomeni ad ogni futura metafisica…; Bari 1967, pag. 160)
Ne consegue che l’uso della ragione si esplica in una sto-
ria, istruito secondo una concezione della Natura, assume gli
elementi e i concetti fondamentali che questa concezione lega
nell’ordine delle descrizioni specifiche di una teoria. Siamo de-
cisivamente oltre Kant. Infatti, I. Kant perviene al quadro della
categorie, “sull’esempio di Aristotele” e non intendendo “acco-
glierle affrettatamente”, come ha fatto Aristotele, ne fa oggetto
di Analitica Trascendentale.15 Sta di fatto però, che la logica tra-
scendentale e l’Analitica che ne è settore, assume e osserva la
fissità del quadro categoriale con una convinzione di fondo che
ben si rispecchia nella newtoniana onnicomprensività della Di-
namica e del modello come Sistema del mondo (pochi principi,
per spiegare tutti i fenomeni).
12 Le concezioni della natura
Oltre Kant: le concezioni della natura si sono ramificate
per strade maestre, sentieri e vicoli ciechi computati in enciclo-
pedia delle scienze. Ma pur sempre con lo scopo principale di
descrivere la nostra esperienza fisica, e con una vocazione che
rende sempre attuale l’indagine kantiana, l’analisi critica, del
nesso tra pensiero e conoscenza. L’indagine kantiana riguardo
all’uso di sistemi formali è sulla scia della galileiana matematiz-
zazione della Natura benché per Galilei già scritta e solo da leg-
gere.16 Su questo palinsesto, il modello newtoniano assegna al-
la geometria il compito di risolvere i problemi che la meccanica
le affida nel conto che triangoli e cerchi non sono una questio-
ne geometrica ma meccanica; I Kant imposta nella distinzione
di pensiero e conoscenza l’intero percorso della Critica della ra-

15
(cfr. Critica della ragione pura, Bari 1959, pagine 116-125).
16
Le procedure deduttive sono, a ben guardare, speculari della costituzione progressiva
dei contenuti della conoscenza: forniscono il metodo per formulare la conoscenza in at-
to, in posizione d‟ipotesi e i nessi deduttivi come vie per l‟estensione della conoscenza
stessa, verso nuova oggettività razionale, in posizione di tesi. In breve, è questo il signi-
ficato epistemologico del modello Newtoniano, e della mirabile riconduzione, secondo il
realismo galileano, del legame causaeffetto a quello di funzione.
gione pura, essendo tale distinzione pregiudiziale alla compren-
sione autentica del sintetico a priori; Albert Einstein libererà
dalla geometria euclidea, dal sistema di coordinate “ciò che noi
possiamo conoscere a priori, avendo in mano principi”; il mo-
dello quantistico introdurrà spazi di funzioni e risolverà l’infinito
della dimensione grazie alle proprietà degli operatori hermitia-
ni; il modello delle varietà frattali (dimensioni non intere) af-
fronterà il problema dell’incidenza delle condizioni iniziali nella
evoluzione di un sistema (strutture dissipative).
Galilei, Newton, Einstein, la quantistica, contrassegnano
un percorso di storia delle idee lungo il quale finisce col perdere
consistenza l’assunto della definitività del quadro categoriale.
Ma benché le sintassi mutino, tuttavia le posizioni epistemolo-
giche oltre Kant, con Kant condividono l’idea di Natura custode
di un’unica verità: oggetti già lì per noi sono esatti contenuti
della forma razionale con la quale procede la loro comprensio-
ne. Con Kant conservano la distinzione tra pensiero e cono-
scenza anche se occorre pensare per forme la cui misura è
l’oggetto mutevole e mutevole, quindi, deve essere il concetto
che lo sussume. A parte obiecti, infatti, si esige disgiuntamente:
1) registrare la realtà in uno spazio vuoto omogeneo ed isotro-
po sede di materia e forze (Newton); ed istituire un modello fi-
sico includente le forze trasversali (Maxwell); 2)postulare la co-
stanza, rispetto al moto dell’osservatore, della velocità della lu-
ce; in generale, la covarianza delle leggi fisiche rispetto ai si-
stemi di riferimento; 3)incorporare con il valore finito non nullo
di h (costante di Planck) un principio di indeterminazione. Per le
varietà frattali, (attrattori caotici) e biforcazioni (nell’evoluzione
di strutture dissipative), la mutazione generata per incorpora-
zione nella struttura formale dell’irreversibilità del tempo, è
duplicemente motivata: a parte subiecti (sistemi non integrabili
e non ergodici), a parte obiecti (autoorganizzazione in sistemi
lontani dall’equilibrio).17
Dunque, con Kant, oltre Kant, nelle varie, distinte sintas-
si, la matematica, al di sopra di ogni teoria empirica, sostiene il
compito metodico della istituzione di strutture formali per una
semantica di realtà possibile; scandita e praticata per leggi della
Natura anche se lungo il cammino delle idee si sfianca fino alla
sua eliminazione la visione statica del modello. Galilei e
l’ideologia del “gran libro” scritto in lingua matematica, sono
molto lontani; tuttavia è sorprendente la forza propositiva (il
dare regole di unità all’intelletto) che la ragione umana deriva
dal modello, dal potere denotativo di strutture “scritte in lingua
matematica” e con una inedita funzione dell’a priori. Ed allora,
una ulteriore, domanda: internamente ad una struttura sintat-
tica, come si costituisce siffatto potere? La risposta: formule
canoniche, ossia enunciati privilegiati dalla propria struttura per
tipologia enunciativa ed unicità, attivano una dialettica di forma
(momento sintattico) e di un contenuto (momento semantico)
il quale come in Kant è tra gli oggetti di una conoscenza possi-
bile. Ma non è solo oggetto già lì che attende il nostro sguardo
per essere conosciuto, come in meccanica newtoniana lo era il
pianeta Plutone annunciato dai calcoli di P. Lowell: il possibile
canonico è ciò che può esistere dalla parte della forma in quan-
to l’unità della sintesi operata dalla forma canonica è la condi-
zione trascendentale della sua esistenza. Dunque, con Kant ma
oltre Kant, oggetto è ciò che può venire ad esistenza sotto con-
dizioni alle quali la Natura concede che si realizzi la congruità
del significato al suo significante. Come, ad esempio, la fisica
delle particelle elementari insegna18.
17
Cfr. Ilya Prigogine, Dall‟essere al divenire; Torino, 1986.
18
Un passo del Capitolo ottavo dell‟opera “Dall‟essere al divenire (Torino 1986; pag.
179) di Ilya Prigogine è illuminante: “… è l‟intero concetto di <<particella elementare>>
a essere in gioco! L‟ordine classico era: prima le particelle, poi la seconda legge [(della
Termodinamica);la sintassi classica non incorpora tale legge come fondamento] …Ma,
13. L’oggettività razionale
In una storia costellata di mutazioni strutturali dei modi
della conoscenza della Natura, oltre Kant, dunque, resta defini-
to un nuovo concetto di oggettività razionale: la ragione pur
sempre è unità delle regole, ma le leggi, non più universali né
perenni, sono storiche.
La loro fondamentale canonicità le offre tuttavia stabili
nel senso che sono interamente formate da una istituita pro-
pria sintassi regionale19 e in questa espongono stabilità di giudi-
zio e di grado di oggettività. In questo senso, la canonicità, il
privilegio che un enunciato acquista nella propria sintassi, con-
duce a “solido sapere” svincolato dalla immutabilità, dalla cer-
tezza indefettibile dello oggetto conosciuto secondo un solo
quadro categoriale necessitato dalla perennità di gradi ed ordi-
ni unici di oggetto; solido sapere “con l’idea di una scienza ri-
guardante le leggi dell’intelletto e della ragione solo in quanto
si riferisce ad oggetti a priori” (logica trascendentale) sotto le
condizioni alle quali gli oggetti possono venire ad esistenza20.

dopo tutto, una particella elementare, contrariamente al suo nome, non è un oggetto
che ci è <<dato>>: bisogna costruirla”. Aggiungo: la molteplicità di particelle elementari,
che taluno invece vede strana se non indesiderata, è molteplicità di contenuti che la Na-
tura può realizzare sotto altrettanti molteplici modi del porre condizioni di esistenza del
reale per forme identificate canonicamente.
19
“Una sintassi regionale è un peculiare sistema di enunciazioni regolate. In quanto si-
stema formale, essa privilegia alcuni suoi enunciati sia per il ruolo che svolgono nella
funzione della struttura sintattica sia per la loro unicità. Diciamo canonicità siffatto privi-
legio sintattico. Ebbene, un enunciato canonico comporta una dimensione semantica,
cioè la denotazione di un contenuto che si presenta, dunque, contenuto della propria
forma. Ora, se la peculiarità del sistema riguarda la conoscenza, il contenuto è un grado
di oggettività razionale, oggetto di una fisica. Ciò vuol dire che un enunciato canonico,
possiede una polarità semantica: si dispone alla funzione di formula canonica, cioè è
schema di legge fisica. Poiché: 1)una legge fisica è identificata tramite una struttura sin-
tattica con la forma direttamente correlata ad un enunciato canonico; 2)quest‟ultimo,
privilegiato dalla propria struttura, esiste ed è unico, la Teoria delle forme canoniche,
rende superfluo se non fuori luogo, il criterio della semplicità introdotto da A. Einstein
per le leggi della Natura”. (cfr. Giuseppe Chiofalo, L’a priori kantiano e la formula cano-
nica; saggio di epistemologia critica Cap. V).
20
La terminologia kantiana è qui usata suggestivamente per descrivere la dialettica di
forma e contenuto, centrale nella istituzione di sintassi regionali e identificazione, quindi,
di enunciati canonici.
Immutata la funzione del dare unità e regole secondo
l’uso teoretico della ragione, la stabilità del giudizio sintetico a
priori, non più assoluta ma regionale, è ancora la condizione
conoscitiva resa visibile da una sintassi formata secondo un pe-
culiare quadro categoriale; è stabilità regionale di una teoria,
che induce alla conclusione che la prospettiva kantiana del divi-
no, alla quale la Critica della ragione pura teoretica, intesa co-
me preambolo alla realtà di una ragione pratica, ci sospinge, è
disarticolabile dalla definitività della conoscenza teoretica; e
che alla scienza, anzi anche alla filosofia come dirà Schelling21,
non spetta alcun compito di promuovere vere rivoluzioni nel
pensiero del divino, né di scrutare l’oscuro ed abissale fonda-
mento della ragione.
Infatti, oltre Kant una Critica della ragione pura, che non
veda procedere la ragione nel suo uso speculativo entro limiti
fissi e definitivi non può che determinare nella regionalità di
strutture, la storicità delle teorie, l’origine, l’estensione, e la va-
lidità oggettiva delle conoscenze. Ossia ancora i limiti della ra-
gione, benché l’orizzonte circoscrivente muti con la struttura;
cioè sia anche esso regionale. Sicché, pur se la decisa meta kan-
tiana è la verità e la solidità della conoscenza speculativa, per
una altrettanto vera e solida assunzione di postulati pratici, la
lezione kantiana va ordinata oltre Kant, secondo il rilievo, non
della immutabilità, ma dei limiti che comunque presenta la ra-
gione speculativa. Non per mostrare ma dischiudere prospetti-
ve del divino.
Il significato regionale del conoscere l’oggetto come re-
altà del molteplice in un istituito sistema di condizioni,
nell’unità sintetica dell’intelletto, oltre Kant propone critica e
chiarificatrice la tesi kantiana dell’infinità del compito del cono-
scere, la verità e l’apertura al futuro dei processi di conoscenza,

21
Ricerche sull‟esistenza della libertà umana.
l’oggettività razionale. Quest’ultima, benché possieda un grado
proprio di razionalità, articolandosi secondo una semantica di
oggetti possibili, espone tuttavia il kantiano concetto di possibi-
lità della conoscenza; della conoscenza possibile.

Il posto della fede

Al limite della ragione, la fede morale;


al fatto della ragione, la fede razionale:
dialogo con Dio, indefinita apertura al mistero.

14. Filosofia e fede.


Suggestivamente si può definire un insieme di prospet-
tive kantiane: è kantiana ciascuna prospettiva che si apra da
una tipologia di limiti della ragione coessenziale alla nostra co-
noscenza per concetti; interna alla conoscenza secondo struttu-
re di leggi della natura. Prospettiva, dunque, che presupponga
una propedeutica analisi critica di strutture e identificazione di
limiti.
Questo criterio di classificazione è effettivo? Certamen-
te, dacché nella storia delle idee rilievo hanno assunto ed as-
sumono quegli spiritualismi che incentrano il loro argomentare
nella certezza del dono della fede; certezza che include il limite
della ragione. La verità rivelata non solo rende non necessaria
la ricerca critica ma anche inutile, perfino dannosa. E’ questo
denota una diversità che definisce una classe disgiunta da quel-
la delle prospettive kantiane.
Sta di fatto però che, mentre la verità rivelata è stimolo
alla filosofia come compito, non tanto di rischiarare quanto di
praticare la coincidenza di verità e moralità che è il valore; pra-
ticare e non rischiarare dacché valore ha già fondamento in una
Presenza e ha luce la fede, continuano ad essere ospitate tema-
tiche del limite. Le argomentazioni, quando non si svolgono nel-
la modalità della declamazione, si espongono come percorsi di
filosofia della storia che surrogano l’analisi critica.
Ne consegue che senza la prudenza della presupposta
non necessità, anzi inutilità di siffatta analisi, si fa della filosofia
l’impegno a rilevare limiti nella storia; a definire il limite come
difettività dei fatti rispetto alle tensioni e implicazioni di vita
spirituale; il problema della storia è affidato alla filosofia che,
inopinatamente, si fa carico dell’altro problema riguardo al pas-
saggio dal piano storico al metafisico. Problema, quest’ultimo
invece non risolvibile per le vie della ricerca nello spazio e nel
tempo, dacché la verità rivelata alla luce della fede segnala e il-
lumina il vero passaggio che è quello dal metafisico alla storia;
ed impone la osservazione di difettività alla luce della fede. Tut-
tavia, ove si volesse restare sul piano della ricerca storica, oc-
correrebbe munirsi di una praticabile formulazione del suddet-
to problema. Ed ancor prima, accertata la difettività di ogni fat-
to (il risultato di un deciso impegno storico) rispetto alle impli-
cazioni della dialettica spirituale secondo cui l’atto fa rifluire le
attività umane nella storia, occorrerebbe rispondere alle do-
mande: difettività non segna forse il tempo effettivo scandito
dal nuovo che si genera perché qualcosa mancava? Il limite non
è fondamento del divenire includente le antinomie di cui lo do-
ta la metafisica?. Sennonché Il dogma della creazione ha in sé le
risposte, non assegna alcun compito della ricerca allo spirituali-
smo cristiano, né alla ricerca di limiti finalizza alcun ufficio della
filosofia dacché quest’ultima possiede incoativamente la verità
rivelata22.

22
La difettività generalizza e, in ambito speculativo, sfuma la problematica
del limite nella tesi di finitezza dell‟essere creato da Dio, causa, principio primo; l‟Altro
che è essenziale alla vita dello spirito. Per questo, non si annuncia una prospettiva del
divino ma direttamente l‟Essere nel limite come sorgente della richiesta di un dialogo
con Dio: posto all‟origine dell‟argomentare filosofico, il nesso tra fede e ragione, l‟una e
l‟altra nel rapporto creaturale, più che rilevatore di postulati d‟esistenza, richiama ad una
15. Res facti
Il limite è di ogni struttura nella quale il legame di forma
e contenuto, assegnato per categorie e concetti puri, anzitutto
comporta una disciplina dell’uso speculativo della ragione, dac-
ché tale uso include anche “le illusioni della ragione” e quindi
apparenza;23 richiede inoltre un esame del legame riguardo alla
verità del contenuto, che la ragione pura stessa può intrapren-
dere, ed intraprende.
Risultato: 1)poiché la conoscenza per noi dell’oggetto
generale non si esaurisce in quella dell’oggetto sensibile, la
possibilità logica del legame senza conferma del suo significato,
non è nemmeno negazione di tale conferma (legame indecidibi-
le); 2)la ragione teoretica definisce solo un legame di forma e
contenuto e verità è congruità del legame a “fatti” (lato sensu:
norma od oggetto che sia già lì) ; 3) condizionato e incondizio-
nato non sono contraddittori tra loro sicché res facti vanno di-
stinte in: a)oggetto sensibile; b)imperativo categorico. Meglio:
in oggetto sensibile e legge morale che è “il fatto” in senso
stretto kantiano.
Dunque, la prospettiva kantiana del divino ha trattazio-
ne tutta interna al percorso della Critica riguardo ad entrambi
gli usi della ragione pura: quanto all’uso teoretico della ragione
pura, l’oggetto generale o si traduce nell’oggetto d’intuizione

precisa tradizione religiosa. Per questo, terminologia e linee tematiche che qui ho utiliz-
zate rimandano genericamente al pensiero filosofico cristiano, ed in particolare, per la
loro pertinenza alle questioni affrontate, a Felice Battaglia, Maurice Blondel, Louis La-
vel, Gabriel Marcel; l‟esplicita citazione è fuori piano delle presenti annotazioni ed è di
nessun ausilio per l‟avveduto lettore. Utile invece è una precisazione riguardo alla filo-
sofia di Armando Carlini il quale, vicino a Kant, intende l‟interiorità in rapporto necessa-
rio con l‟esteriorità del mondo e vi rileva l‟esistenza del valore. Ma per le vie di una filo-
sofia pur vicina a Kant, alla luce della fede religiosa, il valore della libertà, nel diagram-
ma di ordinate “fasi” di svolgimento dell‟autocoscienza, risulta affisso all‟Altro: il compi-
mento si attiva proficuo nella terza ed ultima fase durante la quale l‟interiorità dello spiri-
to, coerentemente, si raccoglie nel suo principio vero: la personalità pura di Dio.
23
Dell‟apparenza, dunque, è troppo dire che è nonverità poiché insorge nella struttu-
razione dell‟intero sapere
sensibile o la sua problematicità è apertura al soprasensibile
che il fatto della ragione, la legge morale, fa trapassare da pro-
spettiva a postulato dell’esistenza di Dio. Ne consegue non pre-
clusa la possibilità di altre prospettive “kantiane” del divino nel-
le quali la determinazione di verità e le condizioni della confer-
ma, siano il contenuto di una evidenza disponibile in qualche
modo ovviamente non ambiguo, ma non necessariamente la
legge morale. E’, insomma, prospettiva kantiana del divino non
tanto il dare realtà tramite la legge morale ad un oggetto teore-
tico problematico, (elaborazione non teorica di vie al divino;
non prova dell’esistenza di Dio), quanto il definire l’orizzonte
della comprensione dell’essere nella possibilità interna dello
stesso comprendere: Dio, mai è oggetto di comprensione teo-
retica. Tuttavia, il limite è la condizione di esistenza di una
struttura di conoscenza teoretica ed implica una connessione
radicale con l’Altro che la struttura connota essenziale e pro-
blematico. Dunque, l’Altro designato dal costrutto teoretico
nella prospettiva pratica è altrove ma non puramente alter, è
ulterior. Il soprasensibile è la dimensione del sapere che non so
nulla di esso se non che esso è essenziale al sapere cosa è og-
getto della mia conoscenza in procedure finite (cioè di cono-
scenza dell’oggetto sensibile).
Ciascuna struttura del conoscere per concetti, in quanto
regionale implica un proprio e peculiare limite: l’oggetto teore-
tico in quanto problematico; implica l’apertura di una prospet-
tiva non astratta del divino. Ora prospettive siffatte benché non
astratte, non sono intuizioni sensibili e non possono condurre a
“sapere di Dio”. Occorre dunque che motivi indubitabili peculia-
ri le facciano trapassare a postulati.24
24
Prospettive del divino non astratte sono quelle che secondo l‟uso speculativo della ra-
gione pura, nel motivo indubitabile connotano non un incremento di conoscenza ma il
proclamare che la verità in Dio non può essere al futuro. Prospettive, dunque, che am-
pliano i tratti fondamentali del percorso disegnato nella Critica della ragione pura, ma
che non mettono a soqquadro la prospettiva kantiana del divino, benché questa sia ca-
Anche lo spiritualismo cristiano conferisce senso
all’intera vicenda conoscitiva storicoumana nell’indubitabile
motivo non critico (l’aver mostrato il limite della ragione); ma
dell’aver creduto: la fede si rapporta con la realtà problematica
della esperienza storica per la quale tuttavia non è necessario
mostrare contesti della ragione e relazioni tra teoretico e prati-
co; né “ fatti”: certezza della fede è la struttura relazionale im-
manente al rapporto tra Dio e il mondo. Per questa struttura,
ciò che posso sapere irrompe nel tempo e nel mondo origina-
riamente come limite, che è il nome della condizione d’Adamo
e del peccato che inizia l’accadere fondamentale storico.
Dice I. Kant: il sapere propriamente speculativo non può
avere altro oggetto che quello dell’esperienza25. La ragione nel
suo uso puro è un sistema di ricerca, secondo principi di unità;
sistema nel quale l’interesse pratico trova proposizioni che “lo
conciliano” con l’interesse speculativo, in quanto quest’ultimo
è studio delle condizioni di possibilità della conoscenza di un
oggetto in generale26. Ora, per una filosofia cristiana l’interesse
pratico, idee e motivi morali non scaturiscono da un sapere
propriamente speculativo e nemmeno da principi puri della ra-
gione; né fanno capo alle tre domande: 1)che cosa posso sape-
re?; 2)che cosa devo fare? 3) che cosa posso sperare? che fis-
sano i caratteri di una “conciliazione” che si attui a capo di un
percorso di penetrazione speculativa, processualità
dell’intelletto, di una teoresi, fino alla conoscenza dell’oggetto
della ragione pratica. Infatti queste domande si generano fuori
ambito di quelle questioni che una filosofia cristiana si pone
non nutrendo interesse per il mondo sensibile se non come si-
stema della libertà che essa correda di varie posizioni postula-

ratterizzata dal limite stabile della ragione speculativa e dal “fatto della ragione” come
motivo indubitabile.
25
Critica della ragione pura; Bari 1959 pa. 400.
26
Ib. pagine 582-585.
torie (i temi della presenza del male indissolubile dal bene) per
affermare tale sistema in una storia di salvezza; sicché i principi
di unità che attivano la teoresi e il sistema di ricerca, sono quelli
dell’unità dei fini che la fede sistema nell’unità finale di tutte le
cose.

16. Costrutti razionali e dono della fede


La filosofia cristiana; o meglio: la concezione cristiana
del filosofare, prescinde, per una prospettiva del divino, da ciò
che possiamo conoscere per costrutti concettuali e categorie
della ragione, in quanto risolta ne è la problematica. Il che non
la contrappone a I. Kant; piuttosto disegna il terreno delle que-
stioni di cui la filosofia cristiana dovrebbe occuparsi: istanza fi-
nita dell’uomo, finitezza umana, vie di lettura feconda delle at-
tività spirituali nel mondo e nel tempo, nelle quali il limite si
presenta originale in modo radicale. Tale dovere della filosofia
cristiana, già da San Paolo e da Sant’Agostino è stato autore-
volmente e puntualmente inserito nei temi portanti dell’aver
fede27. Tuttavia, qui l’ho dedotto dalla esposizione di ciò che
non può essere oggetto di attenzione filosofica illuminata dalla
fede, e, quindi, implica la seguente domanda: ha consistenza
una filosofia cristiana la cui vocazione sia ricercare limiti seppu-
re non della ragione, nella storia per fare di questa ricerca il nu-
cleo teoretico, l’originalità, del proprio argomentare sistemati-
co? No!.
Il rapporto che emerge per le vie della speculazione tra
sensibile e soprasensibile, per una filosofia alla luce della fede è
rapporto tra natura finita, creata e il soprannaturale, essendo
ciascuna ambito della partecipazione azione di Dio, con una dif-
ferenza di grado che si riflette nella definizione del mondo re-
gnum hominis, sistema di libertà, e delle azioni divine; della ri-

27
Cfr: V. Mathieu Filosofia e rivelazione nel cristianesimo; Enc. pagine 428-429.
velazione e della grazia. Ci si rende conto subito che vi sono tut-
ti gli elementi per una considerazione dell’oggetto di una filoso-
fia illuminata dalla fede, accanto al contesto delle riflessioni sul-
le prospettive kantiane del divino: la realtà del mondo, la mol-
teplicità degli spiriti finiti, la trascendenza dell’Altro; la proble-
maticità essenziale interna all’atto afferente al pensiero critico
nella concretezza della fede. Dunque, “cristiana” non aggettiva
“filosofia: è intrinseca struttura nella quale nessun bisogno e-
merge di teoresi (speculazione dell’intelligenza nella sua pro-
cessualità) o di mediazione razionale.
L’impianto della problematica dello spiritualismo
(l’asserire il valore dello spirito preminente e personalistica-
mente inteso), di una “filosofia dello spirito”, si incentra nel
rapporto fra finito e infinito (molteplicità dei finiti e Dio) che,
quanto allo spirito. non richiede metodi razionali e nemmeno
mediazioni che non siano interamente interne alla esperienza
spirituale. Filosofia, sapienza (perfezione spirituale non disgiun-
ta da quella morale), insomma, più che sapere (certezza le cui
questioni sono semplicemente speculative). Filosofia con una
struttura nella quale “l’apertura” non è costitutiva: è costituita
insufficienza dell’indagine ove condotta per le vie della sola ra-
gione, la realtà unificante essendo Dio.
Una filosofia cristiana, non per le vie della teoresi, si ac-
compagna con un cammino di fede senza banalmente coinci-
dervi; definisce, quindi, il suo oggetto in ordine al primato
dell’essere affermantesi non affermato, Parola non concetto,
sicché procede per le vie della teologia fondamentale (intellec-
tus fidei; implicazione del mondo nel mistero che la conoscenza
presuppone svolgendosi entro la totalità della nostra coscien-
za); e, dalla fallacia della convertibilità del credere in prova ra-
zionale (di certitudo fidei in certitudo credibilitatis) enuclea la
via filosofica come ricerca storica non di limiti ma di intenziona-
lità e capacità rivelative di forme di esistenza delle attività spiri-
tuali, nel mondo e nel tempo già segnate dal limite.
L’originalità di una filosofia da dirsi cristiana, è intensità
delle riflessioni sul vivo comportamento umanostorico; sulla
pienezza di pensiero ed essere; sulla morale come vincolo onto-
logico, sulla vita morale in pienezza di adesione; sulla insoppri-
mibile deficienza e la profonda istanza di unificazione;
sull’insufficienza ed il mistero; è intrinseco interesse per le in-
tegrazioni, etica e teologica, metafisica e gnoseologica, della
realtà storica come problema; in particolare, per quelle integra-
zioni che della storia, benché segnata dalla difettività originale,
valgano a perfezionare il senso, oltre lo scetticismo; per entrare
nell’ordine di una pratica interiore non astratto teologismo, con
la coscienza della meta ultraterrena e metastorica. La filosofia,
allora, o è metafisica o cessa di essere; e se ha un ufficio specu-
lativo esso è il rendere attuale (rilevare nel presente storico)
l’insonne attività dello spirito che “nei valori dissolve una realtà,
quella già data e presupposta della natura, e un’altra ne avvia
affatto diversa, la realtà di un mondo e della vita secondo valo-
ri”. La meta della realtà storica custodisce i percorsi nel mondo
e nel tempo che l’Eterno ha affidato all’umano esercizio della
libertà. L’aver creduto e l’essersi affidato non si spiegano per-
ché non possono spiegarsi con la legge morale, ma di essa por-
tano le più profonde motivazioni in ciò che essenzialmente non
è in contrasto con la fede (verità, giustizia, amore, libertà; in
una: la pace). Una filosofia cristiana, ha allora questo ufficio:
farsi carico di una destinazione universale per la quale la grazia
della fede si congiunge con un atto libero dell’uomo che va reso
disponibile a risolvere nella verità i problemi morali. Soltanto in
questo senso e con questo ufficio, è filosofia della pratica. Con-
trariamente al più è fascino di dotto argomentare del mondo e
dei suoi limiti, ma del quale, tutto sommato, non ha bisogno
l’uomo creatura di Dio che incontra Dio.
17. L’orizzonte del regno dei fini.
Le osservazioni su avviate circa la possibilità di plurali
altre prospettive kantiane del divino, consentono di sostenere
che una struttura della conoscenza procedente per innovazioni
e mutazioni epistemiche, la quale per nulla mostri, perché non
è chiamata a mostrare, differenze tra oggetto di conoscenza ra-
zionale e “fatto” della legge morale, non induce a smarrire o
perdere quella prospettiva del divino che l’impianto della filoso-
fia critica ha corredata di conclusioni invece accessibili dalla de-
finitività della conoscenza: il già dato concernente l’oggetto
dell’uso teoretico della ragione pura, e la immutabilità della co-
noscenza, sono argomenti che, svuotandosi, non rendono mio-
pe il nostro sguardo. L’orizzonte del regno dei fini è ancora visi-
bile. Innovazioni e mutazioni della struttura non sono suggesti-
ve e nemmeno sono il sintomo di una rivoluzione nel pensiero
del divino: pur sempre l’ulteriore integra la possibilità di istitui-
re strutture; il limite è essenziale alla strutturazione! Quantun-
que in mutato ambito, rafforzativo di questa tesi di plurali pro-
spettive kantiane del divino che rimanda a concetti e termini di
Teoria delle formule canoniche, rafforzativo ed illuminante28 è

28
Kant fonda il limite della conoscenza sulla distinzione tra fenomeno e noumeno,
connessa all‟altra tra pensiero e conoscenza. Il limite, cioè la possibilità che si diano
oggetti fuori della nostra intuizione sensibile, nemmeno rientra nella nostra intuizione in-
tellettuale. E‟ assunta con il concetto di noumeno che introduce nel sistema completo
della ragione significati non teoreticamente determinati, disponibili a nessuna applica-
zione, ma essenziali all‟intelletto riguardo ad un oggetto in genere. Tra questi significati,
quello di causa come noumeno: il limite non è insufficienza della ragione speculativa,
ma rilievo di un motivo determinate la causalità “molto al di sopra di tutte le condizioni
del mondo sensibile”; la legge della causalità è proposta nel principio morale. Questi ca-
ratteri kantiani andavano ribaditi per precisare in che senso il passo di M. Heidegge è
rafforzativo ed illuminante.
Tuttavia è fuori ambito. Per Heidegger il limite è reale dacché connota il finito
dell‟esistenza umana; l‟accezione di limite è quella di limitazione d‟esistenza alla quale
manca una via teoretica del supermento del limite. Introspezione e analisi della finitudi-
ne sono la via di trascendimento dacché la verità, originaria, fondamentale, è disvela-
un passo di Martin Heidegger che nella legge morale più che “ il
fatto della ragione”: rileva uno specifico dinamismo di apertura
al mondo: il centro della legge morale è nel rispetto, modo spe-
cifico di manifestazione, non delle cose ma delle persone; il
sentimento del rispetto [non solo è] costitutivo della ragione
pratica ma anche fa [sparire] il concetto di rispetto, facoltà
dell’anima empiricamente intesa:…a suo posto *è+ subentrata
una struttura trascendentale fondamentale della trascendenza
del sestesso morale.
In conclusione, “La prospettiva kantiana del divino, il li-
mite della ragione e il posto della fede”, ci lasciano vedere chia-
ramente che, ove si nutrisse interesse alla possibile fondazione
dell’esistenza di Dio nelle costruzioni razionali, occorrerebbe
tenere presente che la filosofia trascendentale offre scarso au-
silio all’impresa: in Kant la prospettiva del divino non si apre di-
rettamente, secondo un processo deduttivo omogeneo ad uno
stato categoriale in quanto permanente. Essa è essenziale per le
condizioni speculative, alla conoscenza per concetti intellettuali
in numero determinato, segnata e limitata in un campo partico-
lare. Peraltro, se il punto di mira della Critica della ragione pura
è la possibilità dell’uso pratico29 della ragione, l’intento kantia-
no non è di dedurre Dio,30 semmai di esplicitare la trascendenza
del perfettissimo oltre l’orizzonte d’un pensiero non esaurito e
non esauribile entro un ordine conoscitivo.
Certo, il percorso della ragione pura è congiunto col
problema del divino. Ma, questo percorso è riferito, nella Criti-
ca della ragione pura, alle condizioni di possibilità della espe-
rienza, all’unità di quest’ultima, all’uso semplicemente “regola-

mento in un campo di iniziative che prende l‟Essere, ad un passo dal quale è l‟esserci:
Essere è il Nulla degli enti.
29
Cfr. I. Kant, Critica della ragione pratica Laterza Bari, Introduzione.
30
Che il Dio di Kant, sia Dio dei filosofi è tutto da dimostrare. L‟ha ben poco compreso
Nietzsche con la sua aggressiva considerazione di Kant “astuto cristiano”.
tivo” delle categorie, a concetti a priori d’ambito conoscitivo
correlati con prospettive d’uso pratico non vuote in ordine alla
esistenza della legge morale come “fatto” stabile della ragione.
Ne segue che l’esigenza di garantire l’oggettività della cono-
scenza, e la acquisizione del nuovo delle conoscenze sotto for-
me e regole mai minacciate da rivoluzioni effettive, non sono
chiamate a rispondere che ad una fin troppo evidente istanza il-
luministica. Ma, soprattutto segnano solo ciò che può accadere
sotto i principi del nostro modo di conoscere possibile a priori.
Cioè i limiti costitutivi, essenziali d’esistenza di un costrutto31. E
non la verità della scienza positiva a presupposto della verità
ontologica originaria32 Orbene, piuttosto che la perennità di
quadro categoriale, assume rilevanza questa funzione dei prin-
cipi e di ciò che in costrutti e sotto principi può accadere: è e-
sattamente la funzione svolta da una sintassi, dalla categoria e
dalla canonicità, unica sotto le mutazioni nel pensiero della Na-
tura che la storia della scienza ci offre come essenza del cono-
scere33. A conti fatti, la definitività tematica e strutturata del
quadro kantiano, benché secondo la “Critica della ragione pu-
ra” nei suoi usi sia funzionale a postulazioni ed istanze del so-
prasensibile, non è criterio teologico.
Dalla parte della ragione pura, nessuna rivoluzione del
pensiero del divino, ma l’emergere di un modo di vivere la sto-

31
Cfr. successiva nota 32
32
Martin Heidegger, Kant e il problema della metafisica; Laterza, ottobre 1981.
33
Nel merito, è possibile dimostrare che “una struttura regionale, è forma di esistenza di
dato e di non dato; di assegnato che esige aderente ulteriore, aporetico, inassegnabile
ed errante; il posto dell‟evento, la verità possibile al futuro per procedure finite (cono-
scenza teoretica) e la prospettazione di procedure infinitarie (ricerche morali) Struttura è
realtà che rimanda alla presenza, alla apertura, alla Totalità; alla situazione e
all‟ontologico nel senso di Alain Badiou; oltre Heidegger. Apertura per una storia
dell‟oggetto: la conoscenza accade in questa storia poiché si riferisce all‟essere che la
lascia sempre problematica; dacché il non dato essenziale alla sua esistenza, esclude
eccedendola ogni presa conoscitiva definitiva, totale” (Giuseppe Chiofalo “L‟a priori kan-
tiano e la formula canonica; saggio di epistemologia critica” Capitolo III, pagine 78-82)
ria, del forgiare forme dell’unità dei fenomeni secondo i carat-
teri della possibilità che sono riguardati da leggi di verità al pre-
sente rapporto al futuro (la scienza) e verità al presente in
quanto sempre presenti (la fede); sicché la costruzione sistema-
tica è creazione di un ambito di conoscenza che libera il terreno
dall’illusione metafisica e “fa posto alla fede”. Questa è la novi-
tà kantiana oltre Kant: mirabile rapporto tra scienza e fede; del
quale ogni epistemologia critica non può non indagare il pro-
fondo, illuminante significato.
, Giuseppe Chiofalo
Chiarissimo professore,
le allego la quarta di copertina del mio lavoro “Atto spirituale e
istanze cristiane di libertà in Felice Battaglia”, (in via di pubbli-
cazione) nel quale esamino la critica battagliana di quei processi
speculativi (storicismi, esistenzialismi, in particolare G. Gentile)
i quali ritengono di avere strumenti sufficienti per discorrere di
Dio; che separano fede e ragione, o parlando del senso della at-
tiva operante spiritualità, ritengono di assegnare al loro inter-
no, a fede e ragione, quel contesto o statuto globale che, inve-
ce, la filosofia non può dare. Nel saggio: atto spirituale è con-
tratta coscienza e impegno morale nel mondo, istanza cristiana
della libertà è insonne apertura al Mistero.

con stima, cordialità


Giuseppe Chiofalo

Quarta di copertina

Felice Battaglia
(Palmi 23 maggio 1902- Bologna 28 marzo 1977)

Valore religioso e valori profani sono diversi eppur simili: alla


storia che è pur sempre nei valori, il sacro aggiunge un senso
complessivo affidato a Dio. La ragione non ha motivo di temere
la fede, e viceversa. Il carattere valorativo d’ogni processo im-
manente in atto, non traduce solo la mia costituzione: io mede-
simo vi sono costituito in quanto partecipo d’altro costituente.
L’uomo è fede ed è ragione.
Per Felice Battaglia il problema del divino si pone, quindi, in
termini di unità e dualità, implicazione e tensione, con l’atto
spirituale; col problema della storia nel riproporsi di forme e
rapporti, esigenze infinite, sensi relativi, relazioni, linee diretti-
ve constatate e profili delineati, che alla contratta coscienza si
presentano segnati dall’assoluto e dallo eterno.
Il valore religioso si avverte storicamente; esso toglie la storia in
tempo dall’abbraccio tutto assorbente della storia ideale eter-
na.
L’esigenza di un impianto teologico, che attesti l’insonne spiri-
tualità umana, deriva dall’insufficienza dell’atto, dacché in esso,
sempre nuovo e reale nel valore, è operante un tenace irrazio-
nale. Non vi è spiritualità che non sia toccata dal limite, morali-
tà senza ostacolo, anche quando assolva i più alti compiti ri-
spetto ai valori tutti. Tuttavia, noi cerchiamo una realtà di fon-
do, senza fuga dalla storia: l’eterno è nella tensione al Valore,
centro dei valori, la storia emerge nella Presenza il cui senso si è
raccolto nella più decisa consapevolezza umana, nelle istanze
d’elevazione verso universale salvezza soddisfacendo nello
stesso tempo ad impegni morali nel mondo.
Presenza. La storicità del fatto di Cristo è “davvero centrale e
fondamentale: esso rappresenta (e non solo come simbolo, ma
come fatto centrale e costitutivo) tutti i fatti per cui il divino si
attua; il valore ingenera i valori, e questi sono il lievito che sol-
leva gli uomini alle operazioni valorative, acquistando correlati-
vamente il mondo nel tempo significato e luce”
Nel cuore stesso dell’atto spirituale, sono incluse le istanze cri-
stiane della libertà; nel cuore della sintesi aperta, il fatto di Cri-
sto toglie nettamente il rischio che la sacertà della storia si pre-
senti espediente per superare la “crisi” della filosofia e, in parti-
colare, disarticolare a buon mercato la sintesi chiusa del Genti-
le. La sintesi è aperta nelle ragioni stesse della storia dove è en-
trato il Mistero.

Scritti di Giuseppe Chiofalo su Felice Battaglia o attinenti ai temi


trattati nel presente saggio.
La prospettiva metafisica nel cuore della storia”; Palmi, febbra-
io 1997 pag. 62

Felice Battaglia nonostante Felice Battaglia, marzo 2003

Uomo filosofia e fede nel problema della storia, in Felice Batta-


glia” Atti del Convegno Palmi 1990

Le Carte dei diritti di Felice Battaglia, Palmi 1998


Capitini Cardone S. Francesco: la pace come valore Perugia
2001

Ricordare F. Battaglia e D. A. Cardone in un mondo che ha dirit-


to alla pace. Palmi 2002.

Pacem in Terris: novità giovannea Vibo Valenzia 2003

Felice Battaglia e D. A. Cardone:Filosofiacompito ed eticità lu-


dica”; Palmi, 2005

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