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aLteRaZioni
deLLa
temPeRatURa
CoRPoRea
Aharon Katchalsky
(1965)
iPeRteRmia
e iPoteRmia
Non scaldate una fornace per il nemico, tanto da bruciarvi voi stessi.
William Shakespeare
HenryVIII
Il corpo umano è una fornace metabolica che genera calore sufficiente a innalzare
la temperatura corporea di 1 °C ogni ora, anche a riposo (1). Fortunatamente, la
superficie esterna del corpo agisce come un radiatore, cedendo l’eccesso di calore
all’ambiente circostante. Il comportamento di questo radiatore è controllato da un
termostato (il sistema di termoregolazione) che limita la variazione giornaliera della
temperatura corporea di ±0,6 °C (2). Questo capitolo descrive ciò che accade quando
questo termostato non funziona, provocando un innalzamento, oppure un abbassa-
mento della temperatura corporea a livelli estremi e pericolosi per la vita.
ipertermia vs febbre
La distinzione tra ipertermia e febbre merita una doverosa precisazione iniziale.
Entrambe le condizioni sono caratterizzate da un’elevata temperatura corporea, tut-
tavia, mentre l’ipertermia è il risultato di un’anomala termoregolazione, la febbre è il
risultato di un normale sistema termoregolatore che opera a un valore di riferimento
più alto. Gli incrementi della temperatura corporea descritti in questo capitolo rien-
trano nell’ambito dell’ipertermia, non della febbre. Dal momento che i meccanismi
sottostanti coinvolti nella generazione dell’ipertermia e della febbre sono differenti,
gli agenti antipiretici utilizzati nel trattamento della febbre (ad esempio il paracetamolo) sono
inefficaci nel trattamento dell’ipertermia.
Sindromi
Le patologie correlate al calore sono condizioni in cui il sistema di termoregolazione
non è più in grado di mantenere una temperatura corporea costante in risposta allo
stress termico. Vi sono numerose patologie minori collegate al calore, come i crampi
e il rash da calore (licheni dei tropici), tuttavia ci limiteremo a descrivere le patologie
principali collegate al calore: il colpo di calore e il collasso da calore. Le caratteristiche a
confronto di queste condizioni sono mostrate nella Tabella 42.1.
Tabella 42.1 Aspetti comparativi del colpo di calore e del collasso da calore
Caratteristiche Colpo di calore Collasso da calore
Temperatura corporea <39 °C ≥41 °C
Disfunzione del SNC Lieve Grave
Produzione di sudore Sì Minima
Disidratazione Sì Sì
Coinvolgimento multiorgano No Sì
Colpo di calore
Il colpo di calore è la forma più comune di patologia collegata al calore. I pazien-
ti colpiti da colpo di calore presentano sintomi simil-influenzali che includono
ipertermia (generalmente <39 °C o 102 °F), crampi muscolari, nausea e malessere.
Il segno caratteristico di questa condizione è la deplezione del volume senza segni di
compromissione emodinamica. La perdita di volume può essere accompagnata da
ipernatriemia (in seguito alla perdita di sudore), oppure da iponatriemia (quando
Collasso da calore
Il collasso da calore è una condizione pericolosa per la vita caratterizzata da un estre-
mo incremento della temperatura corporea (41 °C o 106 °F), gravi segni neurologici
(ad esempio delirium, coma e attacchi epilettici), ingente deplezione della volemia
con conseguente ipotensione, coinvolgimento multiorgano che include rabdomiolisi,
danno renale acuto, coagulopatia intravasale disseminata (DIC) e un forte incremen-
to delle transaminasi seriche, presumibilmente di origine epatica. L’incapacità di
produrre calore (anidrosi) è una caratteristica tipica, ma non sempre presente, del
collasso da calore (4).
Si riconoscono due varianti: (a) il collasso da calore classico, correlato alle temperature
ambientali e (b) il collasso da calore da esercizio, provocato da attività fisica estrema.
Quest’ultimo tende a essere più grave, con una più elevata incidenza di disfunzione
multiorgano.
Terapia
La terapia del collasso da calore include il ripristino del volume e il raffreddamento
della temperatura corporea a 38 °C (100,4 °F).
Rabdomiolisi
Il danno del muscolo scheletrico (rabdomiolisi) è una complicanza comune delle
sindromi da ipertermia, incluso il collasso da calore (in particolare il tipo da eser-
cizio) e l’ipertermia farmaco-indotta (descritta più avanti in questo stesso capitolo).
La distruzione dei miociti nel muscolo scheletrico causa il rilascio di creatinin-
chinasi (CK) nel circolo ematico e pertanto la misurazione dei livelli di CK plasma-
tica è utilizzata per determinare sia la presenza, sia la gravità della rabdomiolisi.
Non esiste un valore standard di CK per la diagnosi di rabdomiolisi, tuttavia livelli
di CK 5 volte più elevati del normale (ovvero 1000 unità/l circa) vengono utilizzati
negli studi clinici per identificare la rabdomiolisi (7). Livelli plasmatici di CK superiori
a 15.000 unità/l indicano una rabdomiolisi grave e un rischio incrementato d’insuffi-
cienza renale acuta a causa della mioglobina rilasciata dai miociti in distruzione (7).
Ipertermia maligna
L’ipertermia maligna (IM) è una malattia rara che si manifesta in 1 su 15.000 pazienti
sottoposti ad anestesia inalatoria e colpisce circa 1 adulto su 50.000 (9). Si tratta di
una malattia ereditaria con un pattern di trasmissione autosomico dominante, carat-
terizzata da un eccessivo rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico del muscolo
scheletrico, in risposta ad agenti anestetici alogenati somministrati per via inalatoria
(ad esempio alotano, isoflurano, servoflurano e desflurano) e ai bloccanti della depo-
larizzazione neuromuscolare (ad esempio la succinilcolina) (9). Il rilascio del calcio
comporta il disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa e un marcato aumento
nel tasso metabolico.
Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche dell’IM includono rigidità muscolare, aumento della
temperatura corporea, depressione dello stato di coscienza e instabilità autonomica.
Il primo segno di IM può essere un improvviso e inaspettato aumento della PCO2
di fine espirazione (che rispecchia il sottostante ipermetabolismo) in sala operatoria
(9,10). A questo seguono (in un tempo che varia da minuti ad alcune ore) una rigi-
dità muscolare generalizzata, che può progredire rapidamente verso la mionecrosi
diffusa (rabdomiolisi), e la conseguente insufficienza renale mioglobinurica. Il calo-
re prodotto a causa della rigidità muscolare è responsabile del marcato aumento
della temperatura corporea (spesso oltre i 40 °C o 104 °F) dell’IM. Lo stato mentale
alterato dell’IM può variare dalla confusione e dall’agitazione fino all’ottundimento
e al coma. L’instabilità autonomica può causare aritmie cardiache, fluttuazioni della
pressione arteriosa o ipotensione persistente.
Terapia
Al primo sospetto di IM, l’anestetico implicato dovrebbe essere immediatamente
interrotto.
mortalità del 70% o più (nei casi non trattati) fino al 10% o meno. Il dosaggio del
dantrolene nell’IM è il seguente:
Dosaggio: 1-2 mg/kg in bolo EV da ripetere ogni 15 minuti, se necessaria una
dose totale di 10 mg/kg. Far seguire il dosaggio iniziale da una
dose di 1 mg/kg EV o 2 mg/kg per via orale quattro volte al giorno
per 3 giorni.
Il trattamento dura 3 giorni per prevenire le recidive. L’effetto collaterale più comu-
ne del dantrolene è la debolezza muscolare, in particolare della forza prensile, che
generalmente si risolve 2-4 giorni dopo la sospensione del farmaco (11). L’effetto
collaterale più problematico del dantrolene è invece il danno epatocellulare, che
si verifica più frequentemente quando la dose giornaliera supera i 10 mg/kg (9).
L’epatite attiva e la cirrosi sono controindicazioni alla terapia con dantrolene (11);
tuttavia, alla luce dell’elevata mortalità dell’IM se non trattata, queste controindica-
zioni non dovrebbero essere assolute.
Prevenzione
Tutti i pazienti che sopravvivono a un episodio di IM dovrebbero essere muniti di
braccialetto medico che specifichi la loro suscettibilità all’IM. Inoltre, dal momento
che l’IM è un disturbo genetico con un pattern di trasmissione conosciuto (autoso-
mico dominante), i consanguinei dovrebbero essere informati della loro possibile
suscettibilità all’IM. È disponibile un test per identificare il gene responsabile dell’IM
nei familiari (10).
Patogenesi
La NMS è associata a farmaci che influenzano la trasmissione sinaptica nel cervel-
lo mediata dalla dopamina. Una diminuzione nella trasmissione dopaminergica
dei gangli basali e dell’asse ipotalamo-ipofisario potrebbe essere responsabile di
numerose manifestazioni cliniche della NMS (12). Come indicato nella Tabella 42.2,
la NMS potrebbe essere il risultato di una terapia con farmaci che inibiscono la
trasmissione dopaminergica (nella maggior parte dei casi), oppure potrebbe essere
scatenata dalla sospensione di farmaci che facilitano la trasmissione dopaminergica.
(Si noti che non tutti i farmaci associati alla NMS sono neurolettici.) I farmaci più fre-
quentemente implicati nella NMS sono l’aloperidolo e la flupenazina (12). L’incidenza
della NMS durante la terapia con agenti neurolettici è di 0,2-1,9% (13).
Non vi è relazione tra l’intensità, o la durata della terapia farmacologica e il rischio
di NSM (12), pertanto, la NMS è una reazione farmacologica idiosincrasica e non
una manifestazione di tossicità da farmaco. Si evidenzia una tendenza familiare,
nonostante un pattern genetico di trasmissione non sia stato ancora individuato (14).
Caratteristiche cliniche
Nella maggior parte dei casi, la NMS si manifesta 24-72 ore dopo l’inizio della
terapia farmacologica e quasi tutti i casi si evidenziano nelle prime due settimane
di terapia. L’insorgenza è generalmente graduale e ci possono volere giorni perché
la sindrome si sviluppi pienamente. Nell’80% dei casi, la manifestazione iniziale è
la rigidità muscolare, oppure uno stato mentale alterato (12). La rigidità muscolare
è descritta come a tubo di piombo, per distinguerla dalla rigidità associata a tremori
(detta a ruota dentata). L’alterazione dello stato mentale può variare dall’agitazione
al coma. L’ipertermia (temperatura corporea che può superare i 41 °C) è essenziale
per la diagnosi di NMS (12), tuttavia l’aumento della temperatura corporea può
comparire 8-10 ore dopo la rigidità muscolare (15). L’instabilità autonomica può
provocare aritmie cardiache, pressione arteriosa instabile, o persistente ipotensione.
Esami di laboratorio
Reazioni distoniche agli agenti neurolettici possono essere difficili da distinguere
dalla rigidità muscolare presente nella NMS. Questo dato è particolarmente rilevan-
te nelle prime fasi della NMS, quando la rigidità muscolare potrebbe essere la sola
manifestazione. Il livello sierico della CK può aiutare a questo riguardo in quanto,
sebbene possa aumentare lievemente nelle reazioni distoniche, deve essere superiore
a 1000 unità/l in caso di NMS (13).
La conta leucocitaria nel sangue può raggiungere i 40.000/μl, con uno spostamento
a sinistra della formula in caso di NMS (12), per cui la presentazione clinica della
NMS (febbre, leucocitosi, stato mentale alterato) può essere confusa con la sepsi.
Il livello sierico della CK permette di distinguere la NMS dalla sepsi.
Terapia
L’unica misura più importante nella terapia della NMS è l’immediata sospensione del
farmaco responsabile. Se la NMS è causata dall’interruzione di una terapia dopami-
nergica, questa dovrebbe essere ripresa immediatamente, con successiva graduale
riduzione del dosaggio farmacologico. Misure più generali nel corso della terapia
includono la reintegrazione volemica (per contrastare la rabdomiolisi e l’ipotensione).
Sindrome serotoninergica
La sovrastimolazione dei recettori serotoninergici nel sistema nervoso centrale pro-
duce una combinazione di alterazioni dello stato mentale, iperattività autonomica
e anomalie neuromuscolari, nota come sindrome serotoninergica (SS) (17). Il recente
aumento di popolarità dei farmaci serotoninergici come gli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina (SSRI) ha recentemente comportato un marcato incre-
mento della prevalenza della SS. La gravità della patologia è molto variabile e i
casi più gravi possono essere confusi con altre sindromi da ipertermia indotta da
farmaci.
Patogenesi
La serotonina è un neurotrasmettitore che partecipa alla regolazione dei cicli sonno-
veglia, dell’umore e della termoregolazione. Una serie di farmaci è in grado di
aumentare la neurotrasmissione serotoninergica, provocando una SS e una lista
di tali sostanze è presentata nella Tabella 42.3. Molti di questi farmaci agiscono in
sinergia provocando la SS; tuttavia, anche una terapia che preveda un singolo far-
maco può esitare in una SS. Numerosi di questi farmaci sono stimolatori dell’umore,
incluse anche alcune sostanze illegali quali l’“ecstasy”, un derivato anfetaminico
implicato in casi di SS pericolosi per la vita (18).
Manifestazioni cliniche
L’esordio della SS è solitamente brusco (contrariamente alla NMS, in cui possono
essere necessari giorni perché la sindrome si sviluppi) e oltre la metà dei casi sono
evidenti entro 6 ore dall’ingestione del farmaco responsabile (17). I reperti clinici
includono alterazioni dello stato mentale (ad esempio stato confusionale, delirium,
coma), ipertermia, iperattività autonomica (ad esempio midriasi, tachicardia, iper-
tensione) e anomalie neuromuscolari (ad esempio ipercinesi, iperattività dei riflessi
profondi tendinei, clono e rigidità muscolare). La presentazione clinica può variare
notevolmente (17). Casi lievi possono includere esclusivamente ipercinesi, iper-
riflessia, tachicardia, diaforesi e midriasi. Casi moderati possono presentarsi con
reperti clinici aggiuntivi, oppure ipertermia (temperatura >38 °C) e clono. Il clono è
più evidente nei riflessi tendinei patellari profondi e può essere presente anche un
clono oculare orizzontale. Casi gravi di SS spesso presentano delirium, iperpiressia
(temperatura >40 °C), rigidità muscolare diffusa e clono spontaneo. I casi a rischio
di vita sono caratterizzati da rabdomiolisi, insufficienza renale, acidosi metabolica
e ipotensione.
La Tabella 42.4 mostra un utile algoritmo per la diagnosi di SS. Il primo passo nella
valutazione diagnostica è quello di stabilire la recente ingestione dei farmaci sero-
toninergici. Sebbene l’algoritmo nella Tabella 42.4 indichi un’ingestione di farmaci
nelle 5 settimane precedenti, la maggior parte dei casi di SS si presenta entro le ore
immediatamente successive all’ingestione della sostanza (17). L’ipertermia e la rigi-
dità muscolare possono essere assenti in casi lievi della patologia. Le caratteristiche
che meglio distinguono la SS dalle altre sindromi da ipertermia farmaco-indotta sono l’iper-
cinesi, l’iperreflessia e il clono. Tuttavia, nei casi di SS grave, la rigidità muscolare può
mascherare questi reperti clinici.
Terapia
Come in altre sindromi con ipertermia indotta da farmaci, la sospensione delle
sostanze responsabili della situazione è il punto cardine della terapia della SS; sono
inoltre raccomandate misure per il controllo dell’agitazione, dell’ipertermia e l’uti-
IPOTERMIA
Definita come un abbassamento della temperatura corporea al di sotto di 35 °C (95 °F),
l’ipotermia può essere il risultato di forze ambientali (ipotermia accidentale), di
un disordine metabolico (ipotermia secondaria), oppure di un intervento chirurgi-
co (ipotermia indotta). Questa sezione si focalizza principalmente sull’ipertermia
ambientale (accidentale).
Adattamento al freddo
Fisiologicamente, il corpo umano è meglio equipaggiato per sopravvivere in un
clima caldo rispetto che in un ambiente freddo. La risposta fisiologica al freddo
include la vasocostrizione cutanea (per ridurre la perdita di calore per convezione)
e i brividi (che possono raddoppiare la produzione metabolica del calore). Questi
adattamenti fisiologici rappresentano dei meccanismi protettivi solo nell’ipotermia
moderata (si veda più avanti nel testo); in caso contrario, la protezione dal freddo
dipende dalle risposte comportamentali (ad esempio indossare abiti caldi, o cercare
un rifugio dal freddo). Data l’importanza delle risposte comportamentali, l’ipoter-
mia diventa più marcata quando queste risposte sono alterate (ad esempio quando
il paziente è intossicato, oppure in stato confusionale).
Ipotermia accidentale
L’ipotermia ambientale è molto più frequente nelle seguenti situazioni: (a) pro-
lungata immersione in acqua fredda (il trasferimento di calore all’acqua si verifica
molto più rapidamente del trasferimento di calore all’aria fredda); (b) esposizione
al vento freddo (il vento promuove il trasferimento di calore per convezione, come
descritto precedentemente nel capitolo); (c) quando le risposte fisiologiche al freddo
sono alterate (ad esempio l’intossicazione da alcol riduce la vasocostrizione cutanea
Caratteristiche cliniche
Le manifestazioni cliniche dell’ipotermia progressiva sono riassunte nella Tabella 42.5
32-35 °C
Lieve Confusione, cute fredda e pallida, brividi, tachicardia
90-95 °F
<25 °C
A rischio di vita Apnea, asistolia
<77 °F
IPOTERMIA GRAVE Nell’ipotermia grave (<28 °C o <82 °F), i pazienti sono general-
mente obnubilati, o comatosi con pupille dilatate, fisse (in tale situazione questi
reperti non indicano morte cerebrale). Segni addizionali includono ipotensione,
bradicardia grave, oliguria e edema generalizzato. A temperature inferiori a 25 °C
(77 °F) si possono presentare apnea e asistolia.
Esami di laboratorio
Gli esami di laboratorio di maggior interesse nell’ipotermia sono l’emogasanalisi,
gli elettroliti sierici (in particolare il potassio) e i test della coagulazione e della
funzionalità renale. Nell’ipotermia è comune una coagulopatia generalizzata (con
aumento dell’INR e prolungamento del tempo di tromboplastina parziale) (21), ma
questa può non risultare evidente se il profilo coagulativo è eseguito a temperature
corporee normali. I gas arteriosi (che devono essere valutati a temperature corpo-
ree normali) possono rivelare un’acidosi respiratoria o un’acidosi metabolica (21).
Elettrocardiogramma
All’elettrocardiogramma, l’80% circa dei pazienti con ipotermia presenta onde J
prominenti alla giunzione QRS-ST (Figura 42.1). Queste onde, dette onde Osborn,
non sono specifiche dell’ipotermia e si possono presentare anche in associazione a
ipercalcemia, emorragia subaracnoidea, lesioni cerebrali e ischemia miocardica (22).
Malgrado l’attenzione che queste onde hanno ricevuto, esse sono semplicemen-
te una curiosità e hanno un’importanza diagnostica o prognostica scarsa o nulla
nell’ipotermia (13-21).
Onda Osborn
aRitmie Nell’ipotermia si può verificare quasi qualunque disturbo del ritmo, com-
presi i blocchi cardiaci di primo, secondo e terzo grado, la bradicardia sinusale e la
bradicardia giunzionale, il ritmo idioventricolare, le extrasistoli atriali e ventricolari
e la fibrillazione atriale e ventricolare (22).
Riscaldamento
RiSCaLdamento eSteRno Il riscaldamento esterno (che prevede manovre quali la
rimozione degli abiti bagnati, la copertura del paziente con coperte ecc.) può incre-
mentare la temperatura corporea a un ritmo di 1-2 °C l’ora (21) ed è consigliato per
la maggior parte dei casi di ipotermia (23). Tuttavia, durante il riscaldamento esterno
vi è il rischio di un’ulteriore diminuzione della temperatura corporea (chiamata
afterdrop), che può innescare una fibrillazione ventricolare (24). Questo fenomeno
è attribuito allo spostamento verso il centro del sangue freddo contenuto nei vasi
sanguigni cutanei. Fortunatamente, durante il riscaldamento esterno per ipotermia
grave le gravi aritmie cardiache non sono frequenti e non contribuiscono alla mor-
talità (23,24).
2,5 °C l’ora nei pazienti intubati (21). Altre tecniche di riscaldamento interno preve-
dono il lavaggio peritoneale con fluidi riscaldati (21), il riscaldamento extracorporeo
del sangue (25) e l’infusione di fluidi riscaldati per via endovenosa (26). La lavanda
gastrica calda è considerata inefficace (21).
Ipotermia indotta
Il raffreddamento esterno a una temperatura corporea di 32-34 °C (89,6-93,2 °F) si
è dimostrato utile nel migliorare gli esiti neurologici nei pazienti che rimangono in
stato di coma dopo alcuni tipi di arresto cardiaco. Questo argomento verrà presen-
tato nel Capitolo 17 (si vedano le pagine 310-312).
CONCLUSIONI
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Conclusioni
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