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in luoghi isolati dellalto e basso Egitto, a volte nel deserto (in greco, ermos)
con forme di vita solitaria (anacoretismo), ma anche comune (cenobitismo). I secoli
IV e V furono i periodi di massima vitalita, poi ci fu una progressiva decadenza
fino al secolo VII, in cui la conquista musulmana lo interruppe.
Fra i centro monastici piu importanti troviamo Nitria (a sud di Alessandria) con
gli eremi delle Celle e la solitudine di Scete, la Tebaide, dove Pacomio fondo nel
323 il primo cenobio.
I Padri del deserto non disponevano di regole scritte, per cui la loro vita fu
libera quanto soggetta ad alcuni inevitabili squilibri.
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Il monachesimo degli inizi e quindi quello dei Padri del deserto ha un formidabile
legame con la Sacra Scrittura. Questo appare evidente in alcune scelte precise, che
richiamano il percorso compiuto dal popolo di Dio, soprattutto nell'Antico
Testamento:
2) aptaxis: la rinuncia;
4) skesis: lascesi;
6) aptheia: il dominio di s;
9) theopoesis: la deificazione.
I temi spirituali non consentono tuttavia di derivare una teologia dei Padri del
deserto. Secondo M. Vannini, nel testo citato, l'esperienza specifica dei Padri
presuppone un certo pelagianesimo, almeno in quanto pone l'accento sulla necessita
dell'impegno personale, e anche sulle autonome capacita dell'uomo e sul suo sforzo,
per conseguire la salvezza. Sta qui la durezza ascetica dei monaci egiziani,
sempre alle prese con l'insuperabile distanza che separa l'uomo da Dio: una
distanza che nessuna pratica ascetica, per quanto rigorosa fino all'impossibile,
puo riuscire a colmare. Senza volere minimamente pretendere di formulare un
giudizio, e chiaro che si giustificano le polemiche di Agostino (e poi di Lutero)
contro il pelagianesimo di tipo monastico se solo si guarda a quella sorta di
bilancio del dare e dell'avere nei confronti di Dio che, a volte, appare negli
apoftegmi dei Padri. Nei suoi aspetti migliori, pero, il rigoroso ascetismo
monastico e funzionale soltanto alla distruzione dell'uomo carnale, dell'uomo
vecchio, dell'uomo esteriore e alla nascita dell'uomo spirituale, dell'uomo nuovo,
dell'uomo interiore. In questo caso l'ascetismo non comporta nessuna pretesa di
merito, nessun giudizio sugli altri che asceti non sono, ma sostiene il netto
primato della carita, che e il vero segno di perfezione, e che e poi quel che
distingue la virtu dei pagani dalla grazia dei cristiani. L'ascetismo realizza la
distruzione totale dell'elemento psicologico determinato e fa emergere il vero io,
l'universale dell'uomo, che perde il suo egoismo, la sua volonta, e diventa
tutt'uno con la volonta divina, unito a Dio nello spirito (cfr. alle pagg. 17-18).