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Federalismo fiscale [dir. trib.]di F. Amatucci.

Tratto da :

http://www.treccani.it/enciclopedia/federalismo-fiscale-dir-trib_(Diritto-on-line)/

Abstract

Nello studio del fenomeno del federalismo fiscale rilevanza particolare assume lindividuazione e
la delimitazione dellautonomia tributaria degli enti locali nellambito di una pi ampia autonomia
finanziaria e amministrativa. Presupposto necessario per una corretta attuazione del federalismo
cooperativo volto ad evitare disarticolazione e squilibri territorialiinun sistema di competenze a
pi livelli,il riconoscimento agli enti territoriali diuna pi ampia sfera di competenze in materia
tributaria che determinaunamaggiore responsabilizzazione sul fronte delle entrate e che risulta
necessaria ai finidi una corretta ed attenta erogazione della spesa.

Lart. 119 cost., attraverso il principio di coordinamento dellattivit di regolamentazione dei


tributi propri degli enti locali, nellinteresse di una tendenziale uniformit del sistema fiscale
nazionale, fissa un limite fondamentale alla potest tributaria a livello locale che non deve incidere
eccessivamente sulla sfera di competenze a livello procedimentale ed agevolativo. Una serie di
principi fondamentali per lattuazione del federalismo sono contenuti nella legge delega n. 42 del
2009 che, pur non identificando precisamente le competenze degli enti locali, ha avuto il merito di
chiarire meglio il contenuto del potere di coordinamento statale e regionale della fiscalit locale,
di introdurre a livello comunale nuovi e interessanti forme di prelievo e di sancire, ai fini della
perequazione finanziaria, il superamento del criterio della spesa storica in favore di quella
standard.

1. La nozione di federalismo fiscale

Il federalismo fiscale, nella sua dimensione politico-istituzionale, un fenomeno complesso che


assume rilevanza in ambito economico e giuridico e che risulta caratterizzato da opzioni diverse,
sottese comunque da una filosofia di autogoverno e decentramento economico e finanziario
territoriale, adattabile alle esigenze delle pi differenti forze politiche. Il suo contenuto concreto,
infatti, dipende dal contesto storico, politico e sociale in cui si sviluppa.

Lespressione fiscal federalism fu elaborata per la prima volta da R. Musgrave (The theory of fiscal
federalism, New York, 1959) e successivamente rielaborata da E. Wallace Oates (Fiscal federalism,
New York, 1972) per indicare la necessit di una politica esplicita da parte di un governo federale
volta ad interferire nelle attivit dei livelli di governo inferiori. Nel pensiero economico finanziario
il federalismo fiscale nasce pertanto per soddisfare una esigenza apparentemente opposta a quella
comunemente considerata, come reazione alleccesso di localismo ed alle differenze tra i singoli
enti locali o Stati membri di Stati federali.

Negli ultimi anni il tema della finanza locale e del federalismo fiscale stato oggetto di unampia
indagine volta a chiarire il contenutoe ad approfondire contemporaneamente le linee generali e di
dettaglio dellautonomia tributaria e finanziaria locale. Il termine federalismo fiscale stato
inserito nel nostro ordinamento nel 1999-2000 con riferimento al finanziamento della spesa
sanitaria attribuita alle Regioni per indicare che le competenze attribuite a tali enti richiedono
adeguate risorse per poter essere esercitate. Esistono tendenze di matrice liberale alla base del
nostro federalismo fiscale contrapposte alle tendenze centraliste e stataliste che avevano
caratterizzato la riforma tributaria degli anni 70 (Tosi, L., Finanza locale, in Dig., IV , Torino,
1999).

In particolare, attraverso il decentramento fiscale, si realizza in ambito tributario una maggiore


trasparenza ed efficienza dellazione pubblica derivante da un diretto reperimento sul territorio da
parte dellente locale delle risorse necessarie al funzionamento dello stesso e da una diretta gestione
di accertamento e riscossione dei tributi (Fantozzi, A.,Diritto tributario, Torino, 2003, 127). Ci
consente chiaramente una maggiore autonomia e una forte responsabilizzazione sul fronte della
spesa. La complessit dellarticolazione delle competenze in materia fiscale tra pi livelli di
governo e la difficile realizzazione degli obiettivi extrafiscali attraverso il federalismo, deriva
principalmente dal fatto che il sistema di finanziamento degli enti territoriali deve rispettare i
principi di autonomia, responsabilit amministrativa, crescita, competitiva, sussidiariet, coesione,
leale collaborazione, libera concorrenza e cooperazione.

Il federalismo fiscale si fonda dunque su alcuni elementi ricorrenti nelle diverse forme del
federalismo politico-amministrativo i cui principi sono disciplinati dalle singole norme
costituzionali o, in ambito europeo, dalle norme e dai principi comunitari. Ci che
caratterizza in ogni caso il federalismo fiscale il valore normativo dellautogoverno integrato
da forme di collaborazione tra enti locali o interventi di livelli di governo superiore, che
implica il soddisfacimento, dal punto di vista finanziario, del principio di corrispondenza tra
responsabilit della spesa e delle prestazioni erogate da un lato e, dellentrata, dallaltro
(Marongiu, G., La fiscalit locale tra le garanzie dei contribuenti e le esigenze della comunit, in
Fin. loc., 2002, 1157; Cociani, S.F., Lautonomia tributaria regionale, Padova, 2003). Il
federalismo fiscale presuppone, infatti, che ogni amministrazione agisca in termini di analisi costi-
benefici, consentendo ai contribuenti una consapevole attivit di controllo sulloperato degli
amministratori sulla base del soddisfacimento dei propri fabbisogni. Proprio tale
responsabilizzazione non compatibile con la concezione di federalismo fiscale quale mera tecnica
di contenimento della spesa (Uricchio, A.,Il federalismo della crisi , Bari, 2012, 28).

pertanto condivisibile la visione in base alla quale il federalismo va inteso in ambito


tributario e finanziario come una modifica dei criteri di riparto del carico fiscale basata
sullutilizzo nel territorio del gettito dei tributi insistenti sulla ricchezza ivi prodotta e,
contemporaneamente, sullallargamento degli spazi di autonomia e di responsabilizzazione
degli enti locali sul fronte dellentrata e della spesa (In tal senso Gallo, F. Il federalismo fiscale
cooperativo, in Rass, trib., 1999, 275).

Il concetto di federalismo fiscale, pur essendo meno ampio di quello di federalismo reale su cui si
basano i Paesi federali, il cui sistema diversamente strutturato dal punto di vista politico e
amministrativo, va considerato al di l della forma di governo, come principio ordinatore della
convivenza civilein grado di operare anche in sistemi non federali garantendo un elevato grado di
decentramento finanziario e di coordinamento delle singole autonomie (Marongiu, G., Note a
margine del federalismo fiscale, in La Scala, A.E., a cura di, Federalismo fiscale e autonomia degli
enti territoriali, Torino, 2011; Bertolissi, M., Federalismo fiscale una nozione giuridica, in
Federalismo fiscale rivista di dir. ed ec., 2007, 10).

Risulta in ogni caso evidente che lo studio del fenomeno del federalismo fiscale va ben al di l
dellanalisi giuridica interpretativa delle normativa tributaria dellente locale(Vitaletti, G., in
Verso un nuovo federalismo fiscale, Antonini, L., a cura di, Milano, 2005, 9) e dei suoi rapporti
con la potest tributaria dello Stato, coinvolgendo per gran parte il potere di decentramento
delle risorse o entrate finanziarie (di cui sono solo una parte quelle tributarie) e della spesa
pubblica,essendo strettamente collegato alla ripartizione delle competenze e delle funzioni tra
i diversi livelli di governo necessaria per garantire lautonomia sostanziale di questi ultimi. Se
da un lato lautonomia finanziaria territoriale risulta essere intimamente connessa con la
maggiore autonomia amministrativa locale ed implica il rispetto del principio della
sussidiariet come criterio di ripartizione delle competenze, dallaltro il passaggio di
competenze e il decentramento senza un adeguato supporto finanziario e lintroduzione di
tributi propri, generano irresponsabilit negli enti periferici (Boria, P., Evoluzione storica dei
rapporti tra fiscalit locale ed erariale, in Riv. dir. trib., 1997, 716.; Majocchi, A.-Muraro, G.,
Verso lattuazione del federalismo fiscale, in Riv. dir. fin., 2006, 3). La terminologia fiscale che si
aggiunge a quella di federalismo, risulta pertanto riduttiva o insufficiente in quanto il fenomeno
dovrebbe essere inquadrato nellambito dellautonomia amministrativa, economica e finanziaria
degli enti locali.

2. I diversi modelli di federalismo fiscale

Tra i diversi modelli di federalismo maggiormente condivisi quello di tipo cooperativo o


solidale non esclude competenze normative dello Stato centrale nel settore economico e sociale
e consiste nel non prescindere dalla legge statale cui spetta un ruolo fondamentale di
coordinamento dellautonomia tributaria locale ed in materia di perequazione finanziaria. Il
federalismo cooperativo non comporta alcuna disarticolazione dellunit in quanto le leggi
statali mantengono il coordinamento tra i diversi livelli di governo ed il potere di fissare i
limiti entro i quali gli enti territoriali possono esercitare la propria autonomia. Tale modello
di federalismo fiscale deve essere attuato attraverso un sistema in grado di compensare,
mediante trasferimenti, le diversit geografiche tra le dotazioni di risorse ed i bisogni dei
cittadini.

Il federalismo detto cooperativo attuato in diversi sistemi fiscali europei ed occidentali


(Sacchetto, C.Bizioli, G., Taxaspects of fiscal federalism, IBFD Amsterdam, 2012, Wilson-
Wildasin, Capital Taxcompetition, in Journal of public economics, 2004, 88; Groppi, T.,
Federalismo e Costituzione. La revisione costituzionale negli Stati federali, Milano, 2001) e si
differenzia da quello detto duale o anglosassone ove il dualismo riferito alle funzioni di
finanza pubblica ed in cui si comprendono gli ordinamenti federali di vecchia data di matrice
britannica. Il federalismo cooperativo -solidale non comporta disarticolazione dellunit e
rischi di frammentazione del sistema tributario che caratterizzano invece altri modelli di
federalismo come quello spinto o competitivo.

Lintervento da parte dello Stato centrale volto al riequilibrio e al coordinamento infatti


compatibile con i modelli federali e rappresenta uno dei pilastri del federalismo fiscale, anche
se non facile stabilire il livello e la misura di tale intervento. Un potere limitativo da parte del
legislatore statale nei confronti dellautonomia tributaria degli enti locali previsto anche in sistemi
fiscali di Paesi europei fortemente decentrati dal punto di vista fiscale come Spagna ed Austria. In
ogni caso necessario che tale intervento statale attraverso i trasferimenti perequativi, le
compartecipazioni e i poteri di coordinamento del sistema fiscale locale, stimoli la responsabilit
fiscale e finanziariadegli enti locali impositori (Pedone, A., Il sistema tributario nel contesto
federalista, in Riv. dir. fin., 2006, 88) e non vada a compensare carenze di gettito derivanti da una
cattiva amministrazione (Ceriani, V., Federalismo, perequazione e tributi, in Bassanini-Caciotta,
Lattuazione del federalismo fiscale, Bologna, 2003; Zanardi, A., Per lo sviluppo. Un federalismo
fiscale responsabile e solidale, Bologna, 2006). Il federalismo solidale garantisce, infatti, che
lintervento finanziario nazionale deve essere diretto unicamente ad evitare la diseguaglianza
nellarticolazione nazionale dei presupposti tassabili e non ad annullare le differenze di gettito
effettive che dipendono dallinefficienza delle singole amministrazioni locali.
3. Autonomia tributaria ex art. 119 Cost. e federalismo

Lattuale versione dellart. 119 Cost.riformulata con la riforma del Titolo V fissa nel nostro
ordinamento principi giuridici fondamentali dellautonomia tributaria e finanziaria degli enti locali
e del federalismo fiscale che non sono solo affermati, ma risultano da disposizioni cogenti che
possono, se non correttamente interpretate, sembrare per certi versi eccessivamente rigide
(Bassanini, F., Principi e vincoli costituzionali in materia di finanza regionale e locale, in Astrid
Rassegne, 2006; Brancasi, A., Osservazioni sullautonomia finanziaria, in Le regioni, 2004, 455).

Il co. 1 dellart. 119 Cost. pone sullo stesso piano Comuni, Province, Citt metropolitane e Regioni,
stabilendo che essi hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa senza individuare alcun limite.
Rispetto alla versione precedente rilevabile certamente una maggiore autonomia finanziaria e
tributaria di tali enti in quanto sembra apparentemente rimosso il limite allautonomia finanziaria
costituito dal rinvio alla legge nazionale. tuttavia evidente che il limite individuabile nei commi
successivi che definiscono gli interventi statali ed in materia tributaria sopravvive attraverso il
richiamo del co. 2 della stessa norma costituzionale al rispetto dei principi di coordinamento che,
pur riguardando unicamente il potere dei Comuni, Province, Citt metropolitane e Regioni di
stabilire e applicare tributi ed entrate proprie aventi natura tributaria, non pu che essere garantito
dalla legge nazionale e regionale.

Assume una particolare complessit il problema dellidentificazione dei diversi limiti


dellintervento degli Enti territoriali (Regioni) dotati di potere legislativo e degli atri enti locali
(Comuni e Province) in materia tributaria che scaturiscono dalla riforma del Titolo V Cost. e dalle
disposizioni sancite dallart. 119 Cost..

In riferimento al potere legislativo regionale, essendo la competenza in materia di sistema tributario


e di coordinamento concorrente e, spettando la stessa a Stato e Regioni in base agli art. 23 e 117
Cost., possibile ricorrere al principio di sussidiariet. La competenza concorrente in materia di
fiscalit regionale ulteriormente dimostrata dalla distinzione tra tributi propri in senso stretto
istituiti da leggi regionali e tributi propri derivati (il cui gettito attribuito alla regioni) e che sono
istituiti da legge statale riconosciuta dallart. 7 della l. 5.5.2009, n. 42.

Una delle maggiori difficolt nella individuazione dei limiti dellautonomia finanziaria deriva
proprio dallinterpretazione della nozione di tributo proprio prevista dal co. 2 dellart. 119
riferita ai Comuni, alle Province, alle Citt metropolitane ed alle Regioni che consente di
riconoscere a questi ultimi il potere di stabilire e applicare nellambito del proprio rispettivo
potere normativo, tali prestazioni patrimoniali locali senza precisi vincoli.

La tesi maggioritaria giurisprudenziale della Corte costituzionale attribuisce rilevanza non al


luogo in cui localizzato il gettito, ma alla legge istitutiva di tributi locali propri, ritenendo
tali soltanto quelli introdotti attraverso legge regionale, escludendo ogni autonomia con
riferimento ai tributi propri istituiti da legge statale.

Sulla base di tale tesi, condivisa da diversi autori (Gallo, F., Ancora in tema di autonomia
tributaria, in Rass. trib., 2005; Antonini, L., Lalta commissione e lesigenza di federalismo
fiscale, in DPT, 2006, 1242; Cociani, S.F., Lautonomia tributaria regionale, cit., 133) si
affermato infatti che tra i tributi propri non possibile includere quelli attribuiti alle Regioni
(come lIRAP, la tassa automobilistica o il tributo speciale per il deposito in discarica dei
rifiuti solidi) ma istituiti da legge dello Stato. Lorientamento della Corte costituzionale
manifestato in tal senso nelle sentenze del 26.9.2003, nn. 296 e 297e confermato nelle
successive sentenze del 15.10.2003, n. 311, 27.7.2005, n. 335, 7.4.2006, n. 148 e 14.7.2009 n. 216
(su tali sentenze v. di Marongiu, G., I tributi propri della Regione secondo la Corte
costituzionale, in Giur. cost., 2004, 2555;) ha congelato lautonomia finanziaria degli enti locali
considerando illegittime le leggi regionali che intervengono su tributi istituiti ed integralmente
disciplinati da legge dello Stato.

La nozione di tributo proprio, secondo tale visione che privilegia laspetto formale rispetto
a quello sostanziale, non si fonda sullindividuazione dellente che riscuote e gestisce
finanziariamente quellentrata, ma sulla tipologia di strumento normativo istitutivo di quel
tributo (Amatucci, F., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, Torino, 2010) .

A tal proposito la legge delega n. 42 del 2009 (art. 7) di attuazione dellart. 119 cost., se da un
lato al co. 1 lett. a) e b) ha riconosciuto finalmente alle Regioni, sia la possibilit di istituire
autonomamente con propria legge, nel rispetto del limite della doppia imposizione, tributi
propri (in senso stretto), che il potere di intervenire marginalmente su quelli (derivati) istituiti
da legge dello Stato, dallaltro, tuttavia, ha previsto, con riferimento a questi ultimi alcuni
margini di intervento in materia agevolativa ed il limite del doppio vincolo nazionale e
comunitario che potrebbero non consentire di fatto di superare gli ostacoli allautonomia
tributaria regionale considerato che la maggior parte dei tributi locali sono istituiti da legge
dello stato.

Appare evidente infatti che, se la legge statale o la normativa comunitaria non prevedono margini di
intervento regionali in materia di tributi propri, garantendo quell adeguato livello di flessibilit
fiscale e di autonomia nella costituzione di tributi e compartecipazioni previsto dalla stessa legge
delega da attribuire alle regioni e agli enti locali, rester impedita qualsiasi forma di autonomia
locale (Giovanardi, A., Lautonomia tributaria degli enti territoriali, Milano, 2005, 210). Il
riferimento alla legge di istituzione del tributo da parte della Regione rappresenta lelemento
decisivo di discriminazione e conduce infatti ad una situazione in cui lazione pervasiva dello Stato
nelloccupazione dei presupposti di imposta limita pesantemente gli spazi a disposizione
dellautonomia tributaria regionale e locale.

Per garantire una effettiva maggiore autonomia tributaria agli enti territoriali e locali, nel rispetto
dei principi contenuti nellart. 119 Cost., co. 1 e 2, sarebbe preferibile una identificazione pi
precisa delle competenze di questi ultimi nellambito degli spazi definiti dal potere di
coordinamento spettante in primis al legislatore statale, piuttosto che operare distinzioni sulla base
della tipologia di legge istitutiva di ipotetici tributi propri regionali diversi da quelli derivati.

Il coordinamento delle autonomie degli enti territoriali quale limite costituzionale allautonomia
tributaria degli enti territoriali volto essenzialmente ad evitare disparit economiche tra le Regioni,
che potrebbe derivare dallistituzione con proprie leggi di tributi propri in senso stretto,
realizzabile attraverso una legge quadro statale che consenta in ogni caso di continuare a fissare gli
elementi fondamentali o i criteri vincolanti (Gallo, F., Ancora in tema di federalismo fiscale,
inRass. trib., 2004, 1036-1041). Il coordinamento attraverso legge statale dovrebbe rappresentare la
condizione essenziale per lesercizio delle competenze tributarie a livello locale anche secondo
quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 37 del 26.1.2004 . Solo lo Stato pu
infatti stabilire norme che limitano il potere tributario degli enti territoriali (Brancasi, A.,
Osservazioni sullautonomia finanziaria, in Le regioni, 2004, 452; Gomez Diaz D.-Iglesias Suarz,
A., La imposicin propria come ingreso de la hacienda autonomia en Espagna, Instituto de
EstudiosFiscales, 11/2003; Saponaro, F., Federalismo fiscale in Europa e in Italia, inRiv. dir. fin.,
2005, 1090), fissando gli elementi per garantire razionalit e coerenza del sistema generale ed
tuttavia importante che ci non pregiudichi il potere degli enti territoriali di stabilire e applicare tali
tributi nellambito della propria autonomia soprattutto con riguardo alle norme agevolative ed a
quelle procedimentali. Va ricordato che spesso gli enti territoriali nel nostro ordinamento tributario
sono comunque titolari di un potere limitato, di definizione della base imponibile e delle aliquote
relativamente a tributi istituiti da legge nazionale (derivati) ed esercitano la propria autonomia
prevalentemente attraverso funzioni di accertamento e di riscossione, applicando tali tributi.

Il potere di coordinamento non andrebbe in ogni caso individuato (come avviene attraverso gli artt.
7 e 2 co. 2 lett. d) della l. n. 42 del 2009) unicamente o principalmente nella semplice limitazione da
parte degli enti territoriali della possibilit di istituire tributi propri su presupposti non soggetti a
tassazione da parte dello Stato come affermato da parte della dottrina (Basilavecchia, M.,
Traautonomia e autoritativit; consenso tra enti impositori, in La Rosa, S., a cura di, Autorit e
consenso nel diritto tributario, Milano, 2007, 55; Putzolu, F., Lautonomia tributaria degli enti
territoriali, Padova, 1996, 65; Giovanardi, A., Lautonomia tributaria degli enti territoriali,
Milano, 2005, 196), vista la molteplicit delle diverse forme di manifestazione di capacit
contributiva (si pensi alle recenti tassa di soggiorno o sul turismo, ai tributi di scopo ed ai tributi
ambientali).

necessario lasciare, a differenza del passato, maggiore discrezionalit agli enti territoriali per
alcuni aspetti come quelli procedimentali ed agevolativi esercitabile nellambito della competenza
concorrente attraverso legge regionale, i cui limiti massimi in termini di gettito e di integrit (nel
caso delle agevolazioni), dovrebbero essere predeterminati soltanto in linea generale a livello
nazionale. Le agevolazioni fiscali regionali speciali come quelle incentivanti dovrebbero poter
essere stabilite da leggi regionali in grado di incidere non pi solo sullaliquota, ma anche su alcuni
altri elementi (rideterminazione della base imponibile o riduzione delle sanzioni) attraverso una loro
limitazione che non comporti alterazione degli stessi e ci consentirebbe di non variare la struttura
del tributo e di garantirne la tendenziale uniformit a livello nazionale.

Un potere di coordinamento nazionale che riguardasse genericamente la individuazione dei limiti


allautonomia tributaria locale, come quello esaminato della non sovrapposizione con i tributi statali
o di diversi livelli di governo previsto per i tributi propri regionali dalla legge delega n. 42 del 2009
o della non esportabilit dei tributi(volto a far gravare, attraverso una rigorosa applicazione del
principio di territorialit, le imposte locali soltanto sui cittadini che pongono in essere il presupposto
allinterno di unarea territoriale ed a limitare gli oneri sopportati dai non residenti), lasciando alle
Regioni il potere pieno di regolamentazione dei tributi, potrebbe determinare una disomogeneit dei
sistemi fiscali degli enti locali con ripercussioni sul commercio e sugli investimenti nazionali e
rischi di abuso, violando la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.

Lattribuzione del gettito allente locale dal quale proviene attraverso la compartecipazione ai tributi
erariali su base territoriale prevista dallart. 119 cost., co. 2, volta a responsabilizzare gli
amministratori, dovrebbe essere valutata attentamente per evitare i rischi di iniqua redistribuzione a
carico delle regioni pi ricche.

Risulta inoltre necessario che lattuazione del principio della territorialit sia accompagnata e
compensata dalladozione di misure come la fiscalit di sviluppo ( prevista dallart. 2 c.o. 2, lett.
mm l. n. 42 del 2009) nei confronti delle regioni pi arretrate economicamente in grado di
consentire a queste ultime di attrarre risorse da altre aree territoriali e di poter in tal modo
beneficiare di un maggiore gettito.

La regola giurisprudenziale della immodificabilit di elementi fondamentali del tributo locale


disciplinati nelle forme nei limiti dalla legge dello Stato dovrebbe essere rispettata, ma con minore
rigidit rispetto al passato soprattutto con riferimento alla determinazione del quantum del tributo,
tenendo presente che la riserva di legge sancita dallart. 23 Cost. nel nuovo assetto costituzionale,
riferibile anche alla legge regionale (Gallo, F., Prime osservazioni, cit., 590; contra Italia-Maggiora
Romano, Lordinamento comunale, strutture competenze e attivit, Milano, 2005, 93), deve,
attraverso la flessibilit fiscale e stabilendo una base imponibile tendenzialmente uniforme sul
territorio nazionale (cfr. art. 2 l. n. 42 del 2009), adeguarsi alle disposizioni dellart. 119, co. 2 che
consentono agli enti territoriali di stabilire e applicare tributi attraverso legge propria nel rispetto del
principio di coordinamento del sistema tributario.

Per quanto riguarda lautonomia tributaria dei Comuniva osservato che,se la potest tributaria degli
enti territoriali cos individuata dallart. 119 cost. resta dunque prerogativa di Stato e Regioni,
Province e Comuni, necessario chiedersi in che misura il coordinamento incide sulle competenze
e sul sistema fiscale di tali ultimi enti c.d. minori esercitabili comunque attraverso norme come
quelle regolamentari o statutarie aventi rango inferiore. La diversit dello strumento normativo a
disposizione di Comuni e Province, determina certamente una rilevanza diversa e differente
autonomia tributaria rispetto alle Regioni che incide in altra misura sul potere di stabilire e applicare
tributi propri (Fregni, M.C., Autonomia tributaria delle Regioni, in Perrone, L., a cura di, Diritto
tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 705).

In un sistema fiscale federale la legge regionale dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale e


rappresentare la base legislativa principale per i Comuni e le Province appartenenti allo stesso ente
territoriale (Giovanardi, A., Limiti al potere di introdurre per via regolamentare sanzioni nella
disciplina del tributi locali, in Riv. dir. trib., 2006, 554,) che intervengono, con minori vincoli
nazionali nellambito di uno spazio di autonomia predefinito, quasi esclusivamente sugli aspetti
procedimentali (in materia ad es. di accertamento e riscossione tributaria), esercitando il proprio
potere impositivo ed in parte quello agevolativo attraverso norme regolamentari e statutarie nel
rispetto del coordinamento e della riserva di legge ex art. 23 Cost. (Tesauro, F., Le basi
costituzionali della fiscalit regionale e locale, Fin loc., 2005, 24; Antonini, L., Verso un nuovo
federalismo fiscale, Milano, 2006, 90; Giarda, P., Le regole del federalismo fiscale nellart. 119
Cost., in Le Regioni, 2001, 9).

4. Federalismo e vincoli UE

A seguito del doppio vincolo costituzionale e comunitario sancito dallart. 117, co. 1, Cost., la
riserva di legge nazionale in materia di tributi locali subisce un ulteriore limitazione in quanto va
derogata nel caso di mancato rispetto di norme comunitarie primarie come quelle in materia di
libert fondamentali e di aiuti di Stato che operano direttamente nei confronti del potere impositivo
degli enti territoriali e locali, condizionandone lautonomia. Il potere agevolativo locale non
chiaramente definito dalla legge delega n. 42 del 2009 con riguardo alle misure fiscali incentivanti
(cd. fiscalit di sviluppo) se si considera che il testo normativo rinvia interamente alla normativa
comunitaria. Infatti lart. 2, co 1, lett. mm) prevede lindividuazione, in conformit con il diritto
dellUE di forme di fiscalit di sviluppo con particolare riguardo alla creazione di nuove attivit di
impresa nelle aree sottoutilizzate. Dalla lettura di tale norma sembra evincersi una competenza
quasi esclusiva comunitaria in tale settore.

Va evidenziato in proposito che attraverso i poteri agevolativi oggi ostacolati da una


giurisprudenza restrittiva della Corte di giustizia in base alla quale necessario un sufficiente livello
di autonomia finanziaria ed indipendenza dallo Stato centrale per non incorrere nel divieto di aiuti
di stato gli enti locali dovrebbero poter incidere senza condizionamenti sul regime delle
agevolazioni fiscali incentivanti (fiscalit di vantaggio o di sviluppo) per garantire e attrarre
investimenti nel pieno rispetto dei vincoli di coordinamento costituzionali e dei divieti comunitari.
Il criterio del sufficiente livello di autonomia finanziaria dellarea territoriale rispetto allo Stato di
appartenenza che preclude ogni intervento diretto di tipo compensativo da parte del governo
centrale, elaborato dalla Corte di giustizia nei confronti degli enti che adottano politiche fiscali
incentivanti per la prima volta nella sentenza C. giust., 6.9.2006, C-88/03 (caso Azzorre), stato
considerato il parametro principale al fine della verifica di compatibilit con il divieto di aiuti di
Stato di misure fiscali di vantaggio a livello locale e per considerarle non selettive e dunque
compatibili con lart. 107 del Trattato sul Funzionamento dellUE (TFUE) in materia di aiuti di
Stato (Amatucci, F., Limpatto dei principi comunitari sulla nuova fiscalit locale, in Fin loc.,
2008). Tale criterio determina loperativit del divieto comunitario in tutti quei sistemi fiscali come
il nostroove il coordinamento della fiscalit locale e lambiente politico-economico in cui operano
le imprese, sono rispettivamente svolti e definiti essenzialmente dallo Stato centrale e dove esistono
strumenti di perequazione gestiti a livello centrale in attuazione del federalismo cooperativo.

Precisazioni ulteriori sono state fornite dalla stessa giurisprudenza comunitaria nel successivo caso
TerritoriosHistricos Paesi Baschi (C. giust., 11.9.2008, C-428/06 e C-434/06) laddove si
precisato che necessaria unattenta valutazione in quanto i trasferimenti di risorse statali possono
spiegarsi con motivi che non presentano alcun legame con le suddette misure fiscali. La
Commissione nella Comunicazione UE 2009/C16/01 riguardante il piano europeo di ripresa
economica, dopo aver ribadito allart. 3 che gli Stati UE, ha ammesso gli aiuti a favore degli
investimenti nei confronti delle regioni svantaggiate che possono essere concessi alle imprese che
necessitano di sostegno pubblico, vista la gravit della crisi finanziaria e che tali aiuti vanno
considerati compatibili con lart. 107, co. 3, lett. b) del TFUE (misure volte a porre rimedio ad un
grave turbamento delleconomia di uno Stato membro) anche se tra tali misure non rientra la
fiscalit di vantaggio. Tale situazionedetermina un ostacolo alla crescita e la delocalizzazione delle
imprese (Amatucci, F., Il divieto di aiuti fiscali quale limite allo sviluppo delle imprese, in Corr.
trib., 2009, 13, 1059).

5. Attuazione del federalismo fiscale

Lautonomia tributaria degli enti locali restata per lungo tempo bloccata ed il federalismo fiscale
rimasto inattuato a causa della mancanza di norme recepimento dellart. 119 cost. ed in presenza
di orientamenti restrittivi della stessa Corte costituzionale (v. infra, 3) che hanno riconosciuto una
potest residuale delle regioni in materia fiscale (Cfr. Gallo, F., I capisaldi del federalismo fiscale,
in Dir. prat. trib., 2009, 220). Lattuazione dellart. 119 Cost. e del federalismo trova attualmente il
suo riferimento normativo principale nella citata legge delega in materia di federalismo fiscale
(legge delega n. 42 del 2009)approvata dal Senato in prima battuta il 22.1.2009 e definitivamente il
29.4.2009 ove sono stati fissati principi fondamentali che consentono di definire e individuare la
potest tributaria e finanziaria di regioni ed enti locali.

Tale importante testo normativo improntato ad alcuni fondamentali principi in grado di cambiare
radicalmente la fiscalit locale e modificare i comportamenti e le funzioni degli enti locali (Iorio, E.,
La legge delega di attuazione del federalismo fiscale, in www.federalismi.it), come quello della
tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio (art. 2 l. n. 42 del 2009 riguardante oggetto
e finalit) connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la responsabilizzazione
degli amministratori, della corrispondenza tra responsabilit finanziaria e amministrativa, della
continenza e responsabilit nellimposizione dei tributidei diversi livelli di governo al quale si
ispirano tutti i sistemi fiscali federali.

Risultano inoltre finalmente chiarite dal legislatore allart. 7 della l. n. 42 del 2009 (v. infra, 3) le
competenze delle Regioni consistenti, oltre che nella determinazione con propria legge di tributi
regionali propri in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale, nella possibilit
di modificare (con riguardo ai tributi propri derivati istituiti da leggi statali) aliquote, esenzioni e
deduzioni locali nei limiti della legislazione statale e della normativa comunitaria. Mentre con
riguardo a questi ultimi ed alle compartecipazioni vengono ben individuati i limiti, troppo poco
detto riguardo i primi (definiti propri in senso stretto) che rappresentano la vera novit in grado di
segnare realmente il passaggio verso il federalismo fiscale.

Diversi e meglio identificati risultano invece nella legge delega i tributi propri comunali e
provinciali che sono individuati da legge dello Stato che ne definiscono gli elementi fondamentali
(art. 12, co. 1, lett. a) e che possono essere stabiliti ed applicati in riferimento a particolari scopi
(realizzazione opere pubbliche investimenti pluriennali o finanziamento oneri derivanti da flussi
turistici e mobilit urbana).

La nuova legge delega ha pertanto il merito di chiarire (negli artt. 2, lett. q e 12) il contenuto del
potere di coordinamento secondario (regionale) consistente nellistituzione di tributi dei Comuni,
Province e Citt metropolitane, specificando gli ambiti di autonomia di questi ultimi e nella
determinazione di variazione di aliquote o agevolazioni che gli enti locali possono applicare
nellesercizio della propria autonomia. In tal modo le Regioni svolgono un ruolo fondamentale
consistente nellesercitare il proprio potere di coordinamento del sistema fiscale degli enti minori
(Comuni e Province) cos come previsto dallart. 117 Cost. con ampi margini di manovra.

Nellambito delle nuove competenze fiscali comunali che consentono una maggiore
responsabilizzazione un ruolo centrale assumono i tributi di scopo (cfr. art. 12 l. n. 42 del 2009)
introdotti con lart. 1, co. 147 e ss. della l. 27.12.2006, n. 296,e disciplinati dagli artt. 4 e 6 del d.lgs.
14.3.2011, n. 23 anche rispettivamente limposta di soggiorno, che sono individuati da legge dello
Stato per il finanziamento delle proprie specifiche funzioni. prevista la possibilit di modificare,
entro i limiti fissati dalla legge, le aliquote di tali tributi e di introdurre agevolazioni oltre
allindividuazione delle opere da finanziare, ma tale potere pur sempre esercitabile nel rispetto
della riserva di legge. Ci appare penalizzante in quanto uno dei problemi principali dellimposta di
scopo per la particolarit della sua natura, quello di individuare i soggetti passivi ( tra coloro che
beneficiano dellopera) attraverso la selettivit che contraddistingue il tributo in esame (Amatucci,
F., I tributi di scopo e le politiche tariffarie degli enti locali, in Rass. trib., 2011 456; Tosi, L., in La
fiscalit delle citt darte, Padova, 2009, 56). Accanto a tale nuova e interessante forma di prelievo,
trovano ampio spazio le prestazioni patrimoniali locali (tariffe) non tributarie le quali possono
essere introdotte senza alcun limite. Lart. 12 lett. i) della legge delega prevede infatti la possibilit
di disporre di piena autonomia nella fissazione di tariffe per prestazioni di servizi offerti anche su
richiesta dei cittadini. Ci particolarmente interessante in quanto segna a livello comunale una
forte tendenza alla defiscalizzazione della finanza locale sempre pi orientata verso entrate come le
tariffe (non tributarie) e facilmente ed immediatamente collegabili al beneficio che impongono una
maggiore responsabilizzazione attraverso una stretta correlazione con il prelievo fiscale.

Un altro aspetto rilevante contenuto nella legge delega sul federalismo fiscale il superamento
graduale della spesa storica quale criterio perequativo nel rispetto dei principi di sussidiariet a
favore del costo e della spesa standard (che valorizza efficienza ed efficacia) per il finanziamento
dei fabbisogni essenziali (art. 2, co. 2, lett. f, l. n. 42 del 2009). Tale passaggio, in grado se non
attuato correttamente di penalizzare le regioni con maggiore ritardo di sviluppo e arretratezza
economica, va collegato ad un altro fondamentale principio al quale si deve ispirare lintera riforma
della fiscalit locale che quello della premialit dei comportamenti virtuosi ed efficienti della
potest tributaria locale e dei meccanismi sanzionatori per enti che non rispettano equilibri
economici e finanziari e non assicurano i livelli essenziali.
Premialit, principio del beneficio, territorialit, fiscalit di sviluppo rappresentano dunque parole
chiave della nuova fiscalit locale riconducibili ad un solo obiettivo principale che quello della
responsabilizzazione e della maggiore efficienza e competitivit degli enti locali al fine dei
garantire una reale crescita economica.

Il fallimento della finanza derivata e dei trasferimenti di risorse prima da parte dello Stato e poi
dallUE alle regioni di diversi Paesi membri e del nostro del mezzogiorno e il loro effetto
deresponsabilizzante, unitamente allassenza di una vera autonomia fiscale degli enti locali,
scaturito proprio dal mancato perseguimento di obiettivi come lefficienza e la competitivit degli
enti locali.

Per quanto riguarda le compartecipazioni (addizionali ai tributi erariali), esse dovranno basarsi
secondo la legge delega sui principi della sussidiariet, differenziazione ed adeguatezza (art. 2 lett. e
ed essere individuate attraverso decreti legislativi con garanzia di adeguata flessibilit e riferibilit
al proprio territorio (principio della territorialit) in base allart. 2, lett. hh) in conformit a quanto
previsto dallart. 119, co. 3, Cost. La compartecipazione delle regioni ai tributi erariali, unitamente
allattribuzione del gettito di tributo regionali derivati, dovr, secondo la legge delega (art. 7, co. 1,
lett. d) tenere conto del luogo di consumo, di quello di prestazione lavorativa e della residenza del
percettore per tributi riferiti alle persone fisiche.

Con riferimento agli enti locali ed in particolare ai Comuni, allart. 2 d.lgs. n. 23 del 2011, viene
ribadito che atali enti attribuita una compartecipazione IVA e si afferma che la assegnazione
del gettito avviene suddiviso per il numero di abitanti per ciascun Comune.

evidente, considerato laumento progressivo della pressione fiscale proprio con riguardo alle
addizionali, che lattuazione di tale ultimo principio della territorialit dovrebbe essere valutata
attentamente per evitare i rischi di uniniqua redistribuzione finanziaria a carico delle regioni pi
ricche.

Le disposizioni che regolano le compartecipazioni vanno lette pertanto congiuntamente alle norme
attuative del co. 3 dellart. 119 Cost. che disciplinano il fondo perequativo a favore dei territori con
minore capacit fiscale per abitante. Tale minore capacit, dovr essere intesa correttamente, non
come inefficienza, ma in senso oggettivo come capacit del fisco di accertamento e riscossione nei
confronti del singolo contribuente (recupero gettito) ed anche, redistributiva o di spesa (garantendo
la qualit dei servizi) salvaguardando i servizi essenziali degli enti localied assicurando una
maggiore e diversa perequazione rispetto a quella prevista dallattuale sistema di trasferimento del
gettito Iva alle Regioni disciplinato dal d.lgs. 18.2.2000, n. 56.

La l. n. 42 del 2009 sembra dunque considerare, allart. 9, lett. g), la capacit fiscale come una
capacit strettamente legata al gettito che deve risultare inferiore a quello medio nazionale ai fini
dellattribuzione del fondo perequativo.

Ci significa che la maggiore capacit fiscale di un ente locale ai fini perequativi, va collegata al
principio di premialit esaminato, sancito dalla stessa legge delega il quale, allart. 2 lett. d), fa
riferimento al coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nellattivit di contrasto allevasione
ed elusione, prevedendo meccanismi a carattere premiale ed alla lett. z) considera per i
comportamenti virtuosi degli enti effettuati nellesercizio della potest tributaria.

Lattribuzione di diversi e maggiori strumenti tributari propri agli enti locali, la flessibilit con
riguardo al potere agevolativo e la maggiore attenzione ai meccanismi di premialit
nellattribuzione delle entrate erariali da devolvere alle Regioni e enti locali previste dalla legge
delega del 2009 attuativa del art. 119 Cost., sembrano scelte importanti ispirate al modello fiscale
federale di tipo solidale.

Inoltre, nonostante la delusione nella fase attuativa di emanazione dei decreti legislativi, il merito di
tale intervento legislativo stato certamente quello di perseguire un obiettivo principale che
consiste nella creazione di un maggiore interesse dei cittadini verso la capacit amministrativa dei
loro amministratori che la vera essenza del federalismo fiscale. I cittadini dovrebbero, infatti,
avere la possibilit di punire o premiarecon il voto loperato delle Amministrazioni. necessario
tuttavia che i diversi meccanismi di perequazione in fase di elaborazione non penalizzino le Regioni
meno ricche e che:

a) I criteri della spesa standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni da erogarsi in
condizione di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio, in luogo di quella storica siano
basati su parametri equi e costantemente aggiornati che tengano conto dellarretratezza di alcune
aree territoriali;

b) agli enti territoriali meno ricchi sia garantito effettivamente un maggiore potere agevolativo
fiscale compensativo da concordare con lUE nel rispetto delle diverse esigenze locali e dei limiti
interni e costituzionali per poter consentire lattrazione di investimenti nel proprio territorio.

Per attuare un federalismo fiscale cooperativo e solidale che eviti disarticolazione e disomogeneit
del sistema nazionale, indispensabile una lettura dellart. 119 Cost. e della legge delega
sullautonomia tributaria degli enti locali in chiave responsabilizzante basata su efficienza ed equit
alla luce delle esperienze di Paesi europei pi vicini al nostro (Spagna e Germania) ove il ricorso a
trasferimenti erariali compensativi ha creato in passato un sistema considerato deresponsabilizzante
ed oggetto di recenti riforme.

La nozione di federalismo fiscale va intesa dunque in tal senso in quanto nasce dalla
consapevolezza del ruolo fondamentale del consenso (etimologicamente deriva da foedus ossia
patto) che strettamente individuabile nella correlazione tra prelievo fiscale e beneficio.
Fondamentale tuttavia il completamento in tempi rapidi del processo di attuazione del
conferimento delle funzioni amministrative degli enti locali ed il miglioramento delle stesse che
dovr essere fondato sul rispetto della continenza e delle regole comunitarie del patto di stabilit,
che consentono di evitare sforamenti dei limiti alla spesa pubblica senza imporre vincoli
eccessivamente restrittivi che impediscono lo sviluppo e la crescita delleconomia regionale.

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