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ALBERT VANHOYE LEPISTOLA AGLI EBRFI et analisi accurata del testo della Lettera agli Ebrei permette di concludere, senza om- bra di dubbio, che - caso unico nel Nuo- vo Testamento - ci troviamo di fronte al testo completo di una predicazione cristiana, segui- ta da un brevissimo biglietto di accompagna- mento. La Lettera agli Ebrei é prima di tutto un appro- fondimento della fede in Cristo. Sarebbe un grave errore considerarla prima di tutto un’e- sortazione. Certo, é anche un‘esortazione, ma dipendente dall’esposizione della fede. Gest, che non poteva essere sacerdote secondo la legge mosaica, é diventato sacerdote per il suo mistero pasquale ed é stato proclamato da Dio «sacerdote per sempre», e perfino «sommo sa- cerdote», perché «sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek», personaggio che era sacer- dote ere. Avendo fatto questa scoperta, I'autore della Lettera non si é limitato a pubblicarla, procla- mando che, secondo la Scrittura, Cristo é di- ventato «sommo sacerdote in eterno». Ha fat- to molto di pit: alla luce dell’oracolo sacerdo- tale, ha approfondito tutto il mistero di Cristo ha compreso tutta la novita del suo sacerdozio e del suo sacrificio, una novita che é perfetto compimento dell’Antico Testamento; ha cioé, con I'Antico Testamento, una triplice relazione: 1) una fondamentale relazione di continuita, 2) una relazione anche di differenza sui punti che lasciano a desiderare e 3) una relazione di de- cisivo superamento. ERETORICA BIBLICA Albert Vanhoye [rior] 1923 a Hazebrouck (Francia), erence ancy Compagnia di Gest Licenziato in lettere alla Cae ce) Pee ety ees) ite) Ce cea} Ets Morey Cesar Peeks a Chantilly (Francia) e poi, Core career eee i ra) Dee ta oe Cee coasts Deca cL} ee CREEL! PRU eeu) dal 1990 al 2001. E presidente eu eee} Suny oa ad Preece) Cee a Csr) stato creato cardinale dal papa Benedetto XVI. RETORICA BIBLICA collana diretta da Roland Meynet e Pietro Bovati Anche se Je sue radici risalgono almeno all’Ottocento, |’«analisi retorica» rappresenta un approccio nuovo ai testi biblici. Prescindendo dalla storia della formazione del testo e dal problema delle sue fonti— comunque sempre ipotetiche -, l’analisi retorica tenta di evidenziare la composizione del testo nel suo stato finale, cosi come ci é stato trasmesso. I! primo presupposto dell’analisi retorica é che i testi biblici, nonostante le vicissitudini della loro trasmissione manoscritta, non sono soltanto una raccolta di tradizioni orali, tanto meno una compilazione di brani slegati, ma sono stati composti con grande cura. Gli autori biblici non sono soltanto dei redattori, ma sono autori, nel senso vero e pro- prio della parola. I secondo presupposto della metodologia é che i testi biblici sono governati da una re- torica specifica. I libri scritti in ebraico sono stati composti, non secondo le regole della retorica greco-latina, ma seguendo le leggi, sempre meglio conosciute, della retorica ebraica, o pitt largamente semitica; i libri greci del Primo Testamento, cosi come quelli del Nuovo Testamento, benché influenzati dall’ellenismo, sono regolati pid dalla retorica ebraica che dalla retorica classica greco-latina. Percid, si pud parlare a buon diritto, non solo di retorica ebraica, ma di «retorica biblica». Il terzo presupposto metodologico dell’analisi retorica & che la forma del testo @ la porta principale che apre l’accesso al senso. E vero che la composizione non consente di cogliere, direttamente e automaticamente, il significato. Tuttavia l’analisi formale per- mette di operare una divisione ragionata del testo, di definire in modo pitt oggettivo il contesto, di evidenziare l’organizzazione dell’opera ai diversi livelli della sua architet- tura; per questo si delineano le condizioni che consentono d’intraprendere, su basi meno soggettive e frammentarie, il lavoro di interpretazione, scopo di ogni ricerca di tipo scien- tifico, che intenda rispettare, attraverso il suo oggetto, il Soggetto che parla. ALBERT VANHOYE LEPISTOLA AGLI EBREI «Un sacerdote diverso» SOCIETA INTERNAZIONALE PER LO STUDIO DELLA RETORICA BIBLICA E SEMITICA Esistono molte associazioni che hanno come oggetto lo studio della retorica. La pid conosciuta é la «Societa internazionale per la storia della retorica»; ma ce ne sono anche altre. La RBS é la sola: - che si dedica esclusivamente allo studio delle opere letterarie semitiche, essenzial- mente la Bibbia, ma anche di altre, fra cui i testi musulmani; — che di conseguenza si preoccupa di elencare e descrivere le leggi specifiche di una re- torica che ha presieduto alla elaborazione di testi, la cui importanza non é per nulla in- feriore a quella del mondo greco e latino del quale la civiltd occidentale é l’erede, Neé bisognerebbe dimenticare che questa stessa civilta occidentale @ anche erede della tradizione giudaico cristiana che trova la sua origine nella Bibbia, cioe nel mondo semi- tico. Pit in generale, i testi che noi studiamo sono i testi fondatori di tre grandi religioni: giudaismo, cristianesimo e islam. Un tale studio scientifico, condizione previa per una migliore conoscenza reciproca, non farebbe che concorrere a un rawvicinamento tra co- loro che proclamano di appartenere a queste diverse tradizioni. Fondata a Roma, dove si trova la sua sede sociale, la RBS @ un’associazione senza fini di lucto, che promuove e sostiene le ricerche ¢ le pubblicazioni: — soprattutto nel campo biblico, tanto del Nuovo quanto dell’Antico Testamento; — ma anche nel campo degli altri testi se: specie dell’islam. Lo scopo essenziale della RBS @ favorire i progetti di ricerche, di scambi tra le uni- versita e di pubblicazioni nel campo della Retorica Biblica e Semitica, soprattutto gra- zie alla raccolta dei fondi necessari per finanziare i diversi progetti. La RBS accoglie e raggruppa prima di tutto i ricercatori e i professori universitari che, nelle diverse universita o istituti, in Italia e all’estero, lavorano nel campo della Retorica Biblica e Semitica. Essa é aperta anche a tutti quelli che si interessano alle sue ricerche e intendono sostenerle. Per ulteriori informazioni sulla RBS, vedi: www.retoricabiblicaesemitica.org. Titolo originale: L’Epitre aux Hébreux. «Un prétre different» Traduzione dal francese di Carlo Valentino ©2010 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna www.dehoniane.it EDB® ISBN 978-88-10-25112-6 Stampa: Italiatipolitografia, Ferrara 2010 Il presente volume é stato realizzato grazie al contributo dei Cavalieri e delle Dame del Sacro MILtTARE ORDINE CosTANTINIANO DI SAN GIORGIO Vice DELEGAZIONE DEL Lazio 11 giugno 2010 Solennita del Sacratissimo Cuore di Gest. Conclusione dell’ Annus Sacerdotalis Attuale Gran Maestro é S.A.R. il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro e Gran Priore & Sua Em.za Rev.ma il Sig. Cardinale Albert Vanhoye S.J. Il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio éun Ordine cavalleresco dinastico familiare non nazionale il cui Gran Magistero si incarna, ereditariamente, nel capo della Famiglia Reale dei Borbone delle Due Sicilie, il ramo napoletano della Famiglia Borbone. Gran Cancelleria del Sacro Militare‘Ordine Costantiniano di San Giorgio Via Sistina, 121 — 00187 Roma Tel. +39.06.4741190 Fax +39.06.4826169 E-mail ordinecost@ti www.ordinecostantiniano.it INTRODUZIONE Per comprendere la Lettera agli Ebrei |’analisi retorica si rivela un metodo par- ticolarmente adatto, perché questa «lettera» é in realta un discorso, una magnifica omelia, composta per essere pronunciata davanti a un’assemblea cristiana dei tempi apostolici. E molto verosimile che essa sia stata effettivamente pronunciata, e anche in pit posti, perché alcuni dettagli del suo testo fanno supporre che il suo autore fosse un predicatore itinerante; ma fu anche inviata per iscritto a una 0 pil comu- nita lontane. In tale occasione a essa furono aggiunte, dopo Ja solenne conclusione (13,20-21), aleune frasi epistolari (13,22-25). E grazie a questa circostanza che ci é stata conservata ed é anche la ragione del suo appellativo di epistola o lettera. Ma é sufficiente che un’omelia sia inviata per posta perché sia trasformata in lettera? Ovviamente no. II suo genere letterario resta lo stesso. Dal suo esordio (1,1-4) alla sua conclusione (13,20-21), la Lettera agli Ebrei ha il genere letterario del discorso orale e non quello della lettera scritta. Ormai non c’é pid nessun autore che lo neghi. Di conseguenza, se si vuole interpretare il testo correttamente, non solo ¢ utile, ma indispensabile, sottometterlo a un’analisi retorica. Procedere ini modo diverso porterebbe in un vicolo cieco. Per darne subito un esempio, i famosi passi sui «peccati irremissibili» (6,4-8; 10,26-31) provocano delle inestricabili difficolta dottrinali, se non si vede in essi una manovra oratoria, che deve essere analizzata come tale per poterle attribuire il giusto significato. Solo l’analisi retorica permette di seguire in modo appropriato lo sviluppo del pensiero, nel suo movimento d’insieme e nei dettagli della sua espressione. Solo essa fa ap- prezzare lo zelo del predicatore ¢ la sua abilita nel portare i suoi ascoltatori verso i vertici della fede e della vita cristiana. In un certo senso, il testo della Lettera agli Ebrei ben si presta all’analisi reto- rica; in un altro senso la rende invece difficile. Vi si presta bene perché l’autore fa un uso regolare di alcuni procedimenti di composizione abbastanza facili da iden- tificare, come |’inclusione e le disposizioni simmetriche. Ma un’analisi completa é difficile, perché l’autore ha chiaramente una formazione complessa, giudaico- ellenistica, ¢ si muove quindi al tempo stesso su diversi registri. Ai procedimenti della retorica biblica egli associa, in misura variabile, quelli della retorica greca, che in genere sono completamente diversi.'! Questa associazione assume forme diverse: talvolta si tratta di semplice giustapposizione e talvolta di un amalgama pit o meno complesso. ' [rapporti tra la Lettera agli Bbrei e la retorica greca sono stati studiati soprattutto in due opere: W.G. UBELACKER, Der Hebraerbrief als Appell, e P. Garuti, Alle origini dell omiletica cristiana. La Lettera agli Ebrei. 8 La LETTERA AGLI EBREI Avviene cosi che uno dei procedimenti pit importanti della retorica greca, la prothesis, sia applicato dall’autore di Ebrei in un modo che non é greco, ma biblico. La prothesis, in latino propositio, consiste ncll’annunciare il tema che ci si appre- sta a trattare. Per maggiore chiarezza, la chiameremo abitualmente «annuncio del tema». Quando |’annuncio riguarda vari temi, che in seguito saranno sviluppati uno dopo |’altro, la retorica classica esige che siano sviluppati nell’ordine in cui sono stati enunciati. Secondo il trattato di retorica di Quintiliano, che ci fornisce la quintessenza della retorica greco-latina, non seguire nello sviluppo |’ ordine usato nella propositio é un errore molto grave: «Turpissimum vero non eodem ordine exsequi, quo quidque proposueris» (Orat. inst., |. 4, fine del c. 5). L’autore di Ebrei, come avremo modo di constatare, non segue mai questa regola ma, al contrario, sviluppa sempre per primo il tema enunciato per ultimo. Perché? Perché la retorica biblica lo spinge in questo senso, per la sua tendenza molto spiccata in favore della costruzioni chiastiche (ABBA) o concentriche (ABCDCBA), dove all’ultimo ele- mento di una serie corrisponde immediatamente il primo elemento della serie se- guente. Altro esempio di disaccordo: la retorica classica raccomanda di evitare le ripe- tizioni verbali, in particolare quando si termina un paragrafo. La conclusione di un paragrafo deve certamente corrispondere al suo inizio, ma é opportuno, si dice, non esprimersi con termini identici, perché questo sarebbe un indice di poverta mentale o di pigrizia e rischierebbe di stancare l’uditorio. Delle abili variazioni su- scitano, al contrario, l’ammirazione e riaccendono |’interesse. La retorica biblica ignora questa preoccupazione e incita anzi a utilizzare le ripetizioni verbali, per segnare meglio le delimitazioni delle unita letterarie, piccole o grandi. B quello che viene chiamato il processo dell’inclusione; esso consiste nel ripetere, alla fine di un passo, un’espressione pit o meno lunga gia adoperata all’inizio dello stesso passo; riconoscendo questa espressione, |’uditorio capisce che il passo é terminato. Lautore di Ebrei si mostra particolarmente fedele a questo modo biblico di com- posizione. Su questo punto, come su altri, la sua mentalita é pi semitica che elle- nistica. Per apprezzare pienamente i dettagli del testo, conviene avere prima una visione d’insieme della sua composizione, perché ogni dettaglio é determinato dalla pro- pria posizione nell’insieme. Cominceremo quindi con una lettura rapida, che pre- sentera solo gli indizi di struttura ¢ le grandi divisioni del testo. Non posso terminare questa breve introduzione senza esprimere tutta la mia ri- conoscenza alle persone che mi hanno aiutato a comporre quest’ opera; in primo luogo i molti esegeti, che con le loro pubblicazioni mi hanno illuminato su molti punti; poi i miei studenti, che hanno stimolato le mie ricerche; la mia comunita, che mi ha costantemente sostenuto; tanti colleghi ¢ confratelli, che mi hanno cordial- mente appoggiato, in particolare il padre Roland Meynet, che ha sollecitato que- sta pubblicazione e vi ha contribuito in molti modi, ¢ la mia segretaria, la signora Maria Grazia Franzese, per la sua dedizione ¢ la sua competenza, senza le quali il lavoro non sarebbe andato avanti. A tutte queste persone, e a molte altre, esprimo la mia gratitudine. INTRODUZIONE 9 Livelli di organizzazione del testo In ordine decrescente: — «parte», — «sezione», — «paragrafo», —«unita», — «piccolo paragrafo»,? Traslitterazione Il sistema di traslitterazione dell’ebraico e del greco ¢ quello della Rivista Bi- blica. 2 Cf. La Structure de I'Epitre aux Hébreux, Desclée de Brouwer, Paris-Bruges 1963, 1976, 138-152; 244.247. Cf. anche «La composition de Jn 5,19-30n, dove Panalisi dettagliata delle otto frasi del testo (pp. 263-268) precede la presentazione della struttura dell’insieme (pp. 268ss). Capitolo 1 LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE Nonostante il suo titolo tradizionale, inizio della Lettera agli Ebrei non & quello di una lettera, ma quello di un’omelia, con una frase solenne che presenta la visione d’insieme della rivelazione cristiana. La venuta del Figlio di Dio, la sua opera di purificazione e la sua glorificazione, preparate dalla parola di Dio nell’ Antico Te- stamento, costituiscono l’intervento divino decisivo nella nostra storia: ' Molte volte ¢ in diversi modi nei tempi antichi Dio ha parlato ai padri nei profeti, 2 ultimamente, in questi giomi, ha parlato a noi in un Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto i secoli, 3 eche, essendo irradiazione della sua gloria ed espressione del suo essere, tutto sostiene con la sua parola potente, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maesta nell’alto dei cieli, 4 divenuto tanto superiore agli angeli quanto molto diverso dal loro ¢ i] nome che ha ereditato (1,1-4). 1, ANNUNCIO DEL TEMA DELLA PRIMA PARTE DELL’ OMELIA (1,4) Ogni autore che si rispetti, terminando il suo esordio, dovrebbe normalmente indicare il tema che intende trattare. Generalmente, questo tema presenta un vero aspetto di novita. Posizione nel testo e aspetto di novita sono i due criteri che per- mettono di identificare un annuncio di tema. Su che cosa insiste il nostro predicatore alla fine del suo esordio? Sul «nome» che il Figlio, cioé il Cristo, ha ricevuto in eredita alla conclusione della sua opera di purificazione dei peccati. Nel testo greco il termine onoma, «nome», é l’ultima parola della frase; questa posizione lo mette in evidenza, insieme a un’allittera- zione con la parola precedente (keklér-onome-ken/onoma). \l predicatore annun- cia che parlera del «nome» del Cristo, definira cioé — questa é |’idea soggiacente nella mentalita semitica — la posizione personale del Cristo e le sue capacita di re- lazione. A tale scopo, un solo titolo non pud essere sufficiente, ma é necessaria tutta una serie di spiegazioni o addirittura due serie, come vedremo. Ci si sbaglie- rebbe se si cercasse nel contesto un titolo che sarebbe da solo il nome di Cristo. La frase precisa il modo in cui il predicatore si dara da fare per meglio definire il nome di Cristo: utilizzera un confronto con gli «angeli». Questa evocazione degli angeli é un altro elemento di novita che permette di discernere I’annuncio del tema. 12 La LeTTERA AGLI EBREI Da sempre i commentatori hanno riconosciuto che, nei versetti seguenti (1,5-14) l’autore fa effettivamente un confronto tra Cristo e gli angeli, traendo la conclu- sione che il tema trattato é quello della «superiorita di Cristo sugli angeli». E esatto? A rigor di termini, no. Il confronto con gli angeli non é il tema principale di cid che segue, ma solo un espediente utilizzato per mettere meglio in luce il tema principale, che é, come abbiamo visto, il «nome» di Cristo. I commentatori che restringono qui il tema all’idea di superiorita sugli angeli si trovano presto in difficolta perché devono spiegare il capitolo 2, dove I’autore osserva che il nome di Cristo comporta anche un aspetto di abbassamento al di sotto degli angeli (2,9). Se, al contrario, si ammette che il tema principale é il «nome» di Cristo (cioé, giova ripeterlo, la sua posizione personale e le sue capacita di relazione), la spiegazione del capitolo 2 non presenta alcuna difficolta. 2. STRUTTURA DELLA PRIMA PARTE DELL OMELIA (1,5-2,18) E facile verificare che da 1,5 a 2,18 il predicatore definisce effettivamente la posizione personale di Cristo e le sue capacita di relazione. Lo fa in due paragrafi, perché la posizione di Cristo deve essere definita da due punti di vista comple- mentari: in rapporto a Dio, prima, e poi in rapporto agli uomini. I due paragrafi sono ben distinti; li separa una breve esortazione (2,1-4; cf. p. 61). Due inclusioni segnano la loro delimitazione. Alla formula di 1,5: Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto... fa eco quella di 1,13: ‘A quale degli angeli poi ha mai detto....? E alla formula di 2,5: Non certo a degli angeli... fa eco in 2,16: Infatti non degli angeli... Dopo la fine di questa seconda inclusione gli angeli scompaiono dalla scena e il loro nome ritornera soltanto nell’ultima parte dell’omelia, in 12,22 e 13,2, in modo occasionale. Il primo paragrafo (1,5-14; cf. p. 49) ci ricorda che, in rapporto a Dio, Cristo é il «Figlio» (1,5), «Dio» con Dio (1,8.9), Creatore dell’ universo e «Signore» (1,10), invitato, nella sua glorificazione pasquale, a sedere alla destra di Dio (1,13). E chiaro che in tutto questo la sua posizione é molto superiore a quella degli angeli. Dopo l’esortazione che, dalla dottrina esposta, trae subito delle conclusioni per lesistenza cristiana, l’altro paragrafo (2,5-16; cf. p. 69) riguarda l’aspetto umano del nome di Cristo. In rapporto agli uomini, Cristo é uno di loro: si chiama «Gest» LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 13 (2,9); ha gli uomini per «fratelli» (2,11-12), perché condivide la loro condizione «di sangue e di carne» (2,14) ed ¢ passato attraverso la sofferenza e la morte (2,9.10.14.18). In lui si é realizzata la vocazione dell’uomo al dominio dell’uni- verso (2,5-9), vocazione che comporta, prima del coronamento «di gloria e di onore», una tappa di abbassamento al di sotto degli angeli (2,7-9). Il «nome» di Cri- sto, proprio perché corrisponde a una posizione di superiorita ottenuta con |’ac- cettazione di un abbassamento, é veramente «molto diverso da quello degli angeli» (1,4). Tra i suoi diversi aspetti, il meno importante non é quello di essere «causa di salvezza» degli uomini ed essere divenuto tale «per mezzo delle sofferenze» (2,10). Cristo non si é fatto solidale con gli angeli, ma con gli uomini, diventando membro della «stirpe di Abramo» (2,16). 3. ANNUNCIO DEL TEMA DELLA SECONDA PARTE DELU'OMELIA (2,17-18) Dopo I’inclusione di 2,16, il secondo paragrafo dell’esposizione si prolunga ul- teriormente. II tono, infatti, resta lo stesso nei due versetti seguenti (2,17-18; cf. p. 69), mentre un cambio netto interviene in 3,1. Per la prima volta il predicatore in- terpella allora il suo uditorio, e in tono molto solenne: Percié, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione all’apostolo e sommo sacerdote della nostra professione di fede, Gesu... (3,1). In tutto il resto dell’omelia non si incontrera pit una formulazione cosi solenne. Il predicatore si limitera a usare il semplice titolo di «fratelli» (3,12; 10,19) o un appellativo pit affettuoso, «carissimi» (6,9). La solennita di 3,1 indica che il predicatore inizia li a trattare il tema particolare della sua omelia, cioé il sacerdozio di Cristo, «apostolo e sommo sacerdote della nostra professione di fede» (3,1). La parte precedente, sul «nome» di Cristo, era solo un’introduzione. La sua funzione retorica corrisponde a quella che la retorica classica chiamava «narratio»,' richiamo dei fatti sui quali oratore e uditorio si tro- vano d’accordo, e che costituiscono la base di partenza per |’enunciazione della tesi ¢ la sua dimostrazione. Nel nostro caso si é trattato della glorificazione di Cristo (1,5-14) e della sua passione (2,5-16), eventi fondanti della fede cristiana, ricono- sciuti come tali da tutti i fedeli. II predicatore ha avuto I’cleganza di non ricordarli in una forma scolastica, ma di presentarli in modo originale, grazie a un confronto tra la posizione di Cristo e quella degli angeli. La sua tesi ¢ che questi eventi hanno fatto di Cristo un sommo sacerdote. Que- sto sara il tema della seconda e terza parte del suo discorso (3,1-5,10 e 7,1-10,18). Dove si trova l’annuncio di questo tema il cui sviluppo, come abbiamo visto, ini- zia in 3,1? Si trova immediatamente prima, in 2,17-18. Questo passo occupa una posizione molto particolare, appropriata alla sua funzione di annuncio del tema, perché si situa dopo l’inclusione di 2,16, che segna la fine della prima parte (1,5— "CE W.G. UpeLacker, Der Hebrierbrief als Appell, 185-193. 14 La LETTERA AGLI EBREI 2,16), e prima dell’interpellanza di 3,1, che segna |’inizio della parte seguente. In questa posizione molto speciale il predicatore introduce la grande novita di cui vuole parlare, l’aspetto sacerdotale del mistero di Cristo: Percid doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di cancellare i peccati del popolo. Infatti, proprio per aver sofferto egli stesso venendo messo alla prova, é in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (2,17-18). Il tema enunciato ¢ completamente nuovo: nessun altro scritto del Nuovo Te- stamento attribuisce al Cristo il titolo di sommo sacerdote. Posizione particolare e novita del tema invitano a riconoscere in questi versetti |’annuncio del tema che Lautore si appresta a trattare. Se ne ha subito conferma dalla frase seguente, inizio solenne della seconda parte, che invita l’uditorio a considerare la dignita sacerdo- tale di Cristo (3,1). Impressionati dalla novita del tema, alcuni commentatori ritengono che esso si presenti in modo brusco, inatteso. In realta esso é stato accuratamente preparato da tutta la parte precedente; si presenta come la sua conclusione, ed effettivamente lo &. Infatti, quando si riconosce che la prima parte dell’omelia ha per tema il «nome» di Cristo e che essa definisce questo nome con una duplice relazione, Figlio di Dio (1,5-14) e fratello degli uomini (2,5-16), si comprende che in questo modo I’autore ha messo in luce la posizione di Cristo come mediatore tra Dio e gli uomini 9, in altre parole, come «sommo sacerdote». In definitiva, se bisognava scegliere un ti- tolo unico per riassumere i diversi aspetti del «nome» di Cristo, il titolo pit ap- propriato era quello di «sommo sacerdote» o, pit esattamente, quello di «perfetto sommo sacerdote». «Reso perfetto» per mezzo della sofferenza (2,10; 5,8-9), il Cristo glorificato occupa ora una posizione ideale per esercitare la mediazione sa- cerdotale. Il seguito dell’omelia cerchera di dimostrarlo. 4, STRUTTURA DELLA SECONDA PARTE DELL’OMELIA (3,1-5,10) In 2,17 il titolo di «sommo sacerdote» viene quindi a conclusione della prima parte dell’omelia e annuncia il tema che |’autore vuole trattare. Tutti i capitoli se- guenti dipendono da questo annuncio: esporranno una cristologia sacerdotale e le sue conseguenze per la vita cristiana.” Ma, d’altra parte, bisogna notare che questo titolo ¢ accompagnato da due attributi che lo precisano: «misericordioso e degno di fede». Si tratta, come si pud facilmente comprendere, di due qualita indispensabili per esercitare la mediazione sacerdotale. Il sommo sacerdote deve essere «misericordioso» per avere una buona relazione con gli indigenti. Deve essere «degno.di fede» per assicurare loro un’autentica re- 2 Cf. UBELACKER, Der Hebrderbrief, 193-195. ‘LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 15 lazione con Dio. Questi due attributi annunciano una prima esposizione di cristo- logia sacerdotale, divisa, in modo corrispondente, in due sezioni, che mostreranno come il Cristo possegga queste due qualita (3,1-5,10). PRIMA SEZIONE (3,1-4,14) L’ordine dello sviluppo é inverso a quello dell’annuncio, cosa che, come ab- biamo visto, é contraria alle regole della retorica greco-latina, ma conforme agli usi della retorica biblica. Nella frase iniziale della parte seguente (3,1-2) l’autore non riprende il primo dei due attributi («misericordioso»: 2,17), bensi il secondo: «degno di fede. Prestate attenzione all’apostolo e sommo sacerdote della nostra professione di fede, Gest, il quale é degno di fede per colui che I’ha costituito tale, come anche Mosé nella sua casa (3,1-2). Nessuno dei numerosi termini che, in 2,17-18, sono in relazione con la miseri- cordia si incontrano in questo passo, né in tutto lo sviluppo seguente. Bisogna aspettare 4,15-16 per vederli riapparire e allora ricorreranno in gran numero. Molti commentatori, a cominciare da Tommaso d’ Aquino, per ottenere un pa- tallelismo tematico con il titolo da loro scelto per la parte precedente («Superio- rita di Cristo sugli angeli») adottano qui il titolo «Superiorita di Cristo su Mosé». Mal’annuncio del tema in 2,17-18 non parla né di superiorita, né di Mosé, ma pre- senta Cristo come «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede». Nemmeno la frase iniziale della parte seguente parla di superiorita; essa riprende «sommo sa- cerdote [...] degno di fede» (3,1-2). Per sviluppare questo tema, introduce la figura di Mosé ed esprime, tra Cristo e Mosé, un rapporto non di superiorita, bensi di so- miglianza: «Gest é degno di fede [...] come Mosé» (3,1-2). Un rapporto di supe- riorita viene comunque affermato, ma solo in secondo luogo (3,3) e per mettere in evidenza il tema della credibilita. I vv. 5-6 ritornano esplicitamente su questo tema. Il parallelismo dei titoli presenta quindi una duplice infedelta al testo: il tema esatto della prima parte (1,5-2,18) non é, come abbiamo visto, «la superiorita di Cristo sugli angeli», né il tema esatto dei primi versetti della seconda parte (3,1-6) ¢ «la superiorita di Cristo su Mosé». La falsa simmetria ottenuta con l’adozione di que- sti due titoli, entrambi impropri, spinge l’interpretazione in una direzione erronea. Sul genere letterario di questi pochi versetti (3,1-6; cf. pp. 85-86) gli esegeti non sono unanimi. Appartengono al genere dell’ esposizione dottrinale o a quello del- lesortazione? A quello dell’esortazione, rispondono alcuni, perché iniziano con un imperativo («considerate», 3,1). A quello dell’ esposizione dottrinale, ribattono altri, perché questo imperativo é solo una richiesta di attenzione: invita ad ascol- tare con attenzione le spiegazioni dottrinali che seguono. La seconda opinione é¢ quella corretta, come mostra un caso simile in 7,4, dove la presenza dell’impera- tivo «considerate» non spinge nessun esegeta ad annoverare il passo seguente tra le esortazioni. 16 La LETTERA AGLI EBREI In 3,1-6 l’autore espone brevemente un punto dottrinale importante, che po- trebbe essere definito l’«affidabilita» del sacerdozio di Cristo. Il vocabolario é quello dei due testi che servono da base per l’argomentazione: Nm 12,7 («degno di fede», «casa», «Mosé», «servitore») e l’oracolo di Natan a Davide (1Cr 17,12- 14: «casa», «costruiren, «figliow, «rendere degno di fede»). Quanto all’ esortazione, preparata alla fine del v. 6, essa inizia veramente solo in 3,7-8 (cf. p. 91) con la citazione del Sal 94(95): «non indurite i vostri cuori», che il predicatore commenta poi con lo stesso tono. Egli utilizza le espressioni del salmo: «cuore», «indurire», ecc., aggiungendovi il tema della «mancanza di fede» (3,12.19; cf. p. 94) e della «fede» (4,2.3; cf. p. 97), in modo da assicurare una pit chiara con- nessione tra l’esortazione ¢ la breve esposizione dottrinale che la precede (3,1-6). Questa ha dimostrato che Cristo é un sommo sacerdote «degno di fede»; ne conse- gue per noi una forte esortazione a non «mancare di fede» quando sentiamo la sua voce. La messa in guardia contro la mancanza di fede ¢ strutturata in tre paragrafi. La delimitazione del primo é segnata da un’inclusione che parla di «incredulitd» (3,12.19; cf. p. 94); la delimitazione del secondo, da un’inclusione che parla di «di- sobbedienza» (4,6-11; cf. p. 99). Poi viene l’elogio della Parola di Dio (4,12-13; cf. p. 101), che sottolinea come essa eserciti con forza i poteri di giudice. TrANSIZIONE (4,14-16) Tra questo elogio della Parola divina e |’ inizio dell’ esposizione seguente, che ri- guarda la seconda qualifica del sacerdozio di Cristo, la transizione ¢ assicurata da un breve paragrafo (4,14-16). Un’analisi accurata delle sue poche frasi mostra come esse contengano prima la conclusione (4,14; cf. p. 103) della sezione prece- dente e poi l’introduzione (4,15-16; cf. p. 105) della sezione seguente.? La con- giunzione tra questi due elementi, nettamente diversi l’uno dall’altro, avviene grazie alla ripetizione di una formula-gancio, che esprime il loro punto comune: «abbiamo un sommo sacerdote» (4,14.15). Il v. 14, eccellente conclusione, riassume al tempo stesso la dottrina spiegata in 3,1-6 e l’esortazione sviluppata da 3,7 a 4,11. La dottrina é¢ che «abbiamo un sommo sacerdote grande, che é passato attraverso i cieli, Gest il Figlio di Dio»; Vesortazione che ne deriva é che dobbiamo «mantenere ferma la professione di fede». Tra 4,14 e 3,1-6 il rapporto non é solo tematico ma anche verbale, confor- memente all’uso della retorica biblica. Infatti una chiara inclusione rimanda da 4,14 a 3,1. Confrontiamo i due versetti: Percio, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione CELESTE, prestate attenzione all’apostolo € SOMMO SACERDOTE della nostra PROFESSIONE D1 FEDE, GESU (3,1). 2 E raro che i commentatori facciano questa analisi accurata, W.G. Ubelacker ha il merito di ri- fiutare di vedere in Eb 4,14-16 una propositio o annuncio del tema, ma anch’egli considera questi ver- setti come in relazione a un solo € unico tema, quello del sommo sacerdote glorificato (UBELACKER, Der Hebrierbrief, 196). LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 17 Dunque, poiché abbiamo un SOMMO SACERDOTE grande, che é passato attraverso i CIELI, Gesv il Figlio di Dio, manteniamo ferma Ja PROFESSIONE D1 FEDE (4,14). E facile constatare che, nei due passi, tre termini sono ripetuti in modo identico («sommo sacerdote», «Gest», «professione di fede») e che uno stretto rapporto unisce «cieli» e «celeste». D’altra parte si pud osservare che il titolo «Figlio di Dio» in 4,14 rinvia all’espressione «Cristo, come Figlio», alla fine dell’esposi- zione dottrinale (3,6). Questo contatto supplementare rende la conclusione ancora piu perfetta. I versetti seguenti (4,15-16; cf. p. 105) fanno passare all’altro aspetto del sacer- dozio di Cristo, non pit l’autoritd sovrana del Cristo glorificato, ma la capacita di compassione del Cristo messo alla prova. Dopo 4,14 che rimanda a 3,1, le due frasi di 4,15-16 sono in stretto rapporto con i due versetti anteriori (2,17-18). Si ottiene percid una disposizione chiastica, BAA’B’, frequente nella retorica biblica, dove B eB’ rappresentano.2,17-18 e 14,15-16, Ae A’ 3,1 e 4,14. Le frasi di 4,15-16 riprendono tutto cid che, nell’annuncio del tema (2,17-18), si rapporta con la misericordia sacerdotale: Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire \e nostre debolezze: ma uno che é stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, per un aiuto al momento opportuno. La parole che abbiamo sottolineato — e sono molte — sono tutte riprese dal testo di 2,17-18. Un’assenza va notata: la qualifica «degno di fede» di 2,17 non si ritrova in 4,15-16; ma é un’assenza che non sorprende, dato che ha costituito il tema della sezione precedente (3,1—-4,14). ESPOSIZIONE DOTTRINALE (5,1-10) Dopo la frase esortativa di 4,16, il tono cambia. Da 5,1 a 5,10 (cf. pp. 105-106) troviamo nuovamente un’ esposizione dottrinale, che fa da corrispondenza a quella di 3,1-6. Essa é costruita su un parallelismo. Le prime frasi presentano dei tratti che caratterizzano «ogni sommo sacerdote» (5,1-4). Le frasi seguenti ne mostrano la realizzazione nel caso di Cristo (5,5-10). Viene affermato soltanto un rapporto di somiglianza: «Nello stesso modo Cristo...» (5,5). Il punto di vista é quello della solidarieta del sommo sacerdote con la debolezza umana. In 5,1 ¢ 5,10 il termine «sommo sacerdote» forma un’inclusione. Si conclude cosi la seconda sezione (4,15—5,10) della prima esposizione di cri- stologia sacerdotale (3,1-5,10). Questa ha dimostrato come Cristo possegga in pie- nezza le due qualita indispensabili per esercitare una mediazione: Cristo é un sommo sacerdote «degno di fede per i rapporti con Dio» e pieno di «misericor- dia verso i suoi fratelli e le sue sorelle della natura umana. 18 La LETTERA AGLI EBREI Osserviamo, in conelusione, che la costruzione di questa seconda parte (3,1— 5,10) é parallela a quella della prima parte (1,5-2,18): due esortazioni dottrinali (3,1-6 e 5,1-10) fanno da cornice a un’esortazione (3,7—4,16). Ma le proporzioni sono invertite: le esposizioni sono brevi, l’esortazione é lunga, mentre nella prima parte l’esortazione era breve (2,1-4) e le esposizioni relativamente lunghe (1,5-14 e 2,5-18). Osservazione pid importante: alla simmetria dell’esposizione corri- sponde una parentela di temi. Sia in una parte che nell’altra, la prima esposizione dottrinale concerne l’aspetto glorioso del mistero di Cristo, la sua glorificazione di Figlio di Dio (1,5 e 3,6), mentre la seconda esposizione riguarda l’aspetto doloroso di solidarieta con la miseria umana (2,8-16 e 5,7-8). Questa affinita di temi con- ferma che l’autore ha concepito la prima parte, di cristologia tradizionale, come una preparazione alla seconda, di cristologia sacerdotale. 5, ANNUNCIO DEL TEMA DELLA TERZA PARTE DELI?OMELIA (5,9-10) Terminando la sua seconda parte (3,1—5,10), il predicatore annuncia il tema della parte seguente. La conclusione (5,9-10; cf. p. 106) attira infatti l’attenzione per la sua ampiezza. Una triplice affermazione definisce il risultato della passione di Cristo: Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek (5,9-10). Ciascuno di questi tre punti ha evidentemente bisogno di esplicitazione, anche se nessuno dei tre é completamente nuovo. I primi due sono stati evocati rapida- mente nel corso della prima parte, ma non come fatti acquisiti, bensi solo come corrispondenti a una «convenienza» teologica: «Conveniva» a Dio, per condurre una moltitudine di figli alla gloria, «rendere perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza» (2,10). Il terzo punto é stato mehzionato in 5,6, dove l’autore cita l’oracolo sacerdotale del Salmo 109(110): «Tu sei sacerdote in etemno, secondo I’ ordine di Melchisedek». Questo oracolo, base scritturistica della cristologia sacerdotale, esige un commento approfondito. Gli ascoltatori perspi- caci possono quindi comprendere che il predicatore ha appena annunciato il tema della sua terza parte. La loro intuizione viene subito confermata, perché, nella frase seguente, il pre- dicatore dichiara esplicitamente la sua intenzione, dicendo: Su questo argomento abbiamo molte cose da dire... (5,11). Nello stesso tempo, gli ascoltatori meno perspicaci sono ugualmente informati: la frase di 5,9-10 annuncia la parte dell’ omelia che inizia in 5,11, e questa parte sara lunga. Effettivamente, con i suoi 132 versetti (2170 parole) é la pit lunga di tutte. Da sola supera di molto in lunghezza le due parti precedenti messe insieme (77 versetti; 1300 parole) ¢ anche le due parti seguenti (89 versetti; 1536 parole). L& GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 19 Questa terza parte, infatti, non comprende meno di cinque sezioni. L’annuncio fa prevedere tre sezioni di esposizione dottrinale. L’autore ha ritenuto utile farle precedere e seguire da sezioni esortative: la prima (5,11—-6,20) per invitare il suo uditorio a una maggiore attenzione, perché il tema ¢ importante e difficile; l’ul- tima (10,19-39) per assicurare il collegamento tra la dottrina esposta e l’esistenza cristiana. 6. STRUTTURA DELLA TERZA PARTE DELLOMELIA (5,11-10,39) PREAMBOLO (5,11-6,20) In 5,11 si osserva un cambio di tono e di vocabolario. Invece di sviluppare su- bito uno dei punti del tema annunciato (5,9-10), il predicatore comincia a rivolgere dei rimproveri ai suoi ascoltatori. Li accusa di indolenza spirituale. II termine «in- dolenti» viene usato qui due volte per formare un’inclusione da 5,11 a 6,12 (cf. pp. 127-130) e non ricorre in nessun altro passo del Nuovo Testamento. La neces- sita del progresso nella vita cristiana é un tema che viene inculcato con forza in que- sto passo (5,11-6,13; ef. pp. 127-130). Segue un severo monito contro il pericolo della caduta (6,4-8; cf. pp. 128-129). Tale severita viene comunque attenuata da pa- role di incoraggiamento (6,9-12; cf. pp. 129-130), e alcune considerazioni sulle promesse di Dio (6,13-20; cf. pp. 130-132) invitano poi alla speranza. E la fine del preambolo, Subito dopo, in 7,1, il tono cambia di nuovo, in senso inverso: il pre- dicatore riprende il tono dell’esposizione. Il versetto finale (6,20; cf. p. 132) presenta una particolarita significativa: ripete ’annuncio del tema fatto in 5,9-10 (cf. p. 106), non per intero, ma solo nel suo punto finale e modificando l’ordine dell’espressione, in modo da ottenere una disposizione chiastica. La frase di 5,10 diceva che Cristo é stato proclamato da Dio «sommo sa- cerdote secondo l’ordine di Melchisedek»; quella di 6,20 dichiara che Gest é di- ventato «secondo l’ordine di Melchisedek sommo sacerdote», il che porta maggiormente I’attenzione sull’«ordine» al quale appartiene il sacerdozio di Cristo. Per collocare questa ripresa dell’annuncio del tema alla fine del suo preambolo, l’autore si é dato un gran daffare. La sua frase, infatti, che inizia in 6,17, ¢ alquanto contorta: una proposizione finale (6,18) ¢ prolungata da una relativa di qualifica- zione (6,19), alla quale si collega una relativa di localizzazione (6,20). E chiaro che l’autore voleva in ogni modo ricordare, alla fine di questo preambolo esorta- tivo, uno dei punti dell’annuncio del tema, per indicare al suo uditorio che egli avrebbe sviluppato questo punto subito dopo, rinviando a un momento successivo gli altri due. PRIMA SEZIONE (7,1-28) Linizio (7,1; cf. p. 142) della sezione seguente conferma questa intenzione. II nome di Melchisedek viene li ripetuto, il che segna una transizione tramite una pa- rola-gancio. Questo nome introduce un’esposizione sul sacerdozio secondo !’or- dine di Melchisedek. 20 La LETTERA AGLI EBREI Icommentatori sono unanimi nel riconoscere la delimitazione di questa sezione: coincide con il primo e l’ultimo versetto del capitolo 7. Gli indizi letterari di com- posizione sono cosi numerosi e cosi convergenti, che é possibile cogliere l’unita della sezione ancor prima di farne un’analisi precisa. Il genere letterario si distingue nettamente da quello dell’ esortazione precedente (5,11-6,20): é quello dell’esposizione. Dalla prima persona plurale (6,18.19: «ab- biamo»; 6,20: «per noi») si passa alla terza persona (7,1: «Questo Melchise- dek...»). L’imperativo di 7,4 («Considerate dunque quanto sia grande costui...») ha solo la funzione di richiamare |’attenzione; il tono resta poi quello dell’esposi- zione. L’autore commenta metodicamente, l’uno dopo I’altro, i due passi dell’ Antico Testamento che menzionano Melchisedek: prima, in 7,1-10 (cf. p. 142), il breve racconto di Gen 14,17-20; poi, in 7,11-28 (cf. pp. 143-144), l’oracolo di Sal 109(110),4. Il vocabolario ¢ quindi prima di tutto quello di Gen 14,17-20 («Mel- chisedek, re di Salem, ecc.»), ma si basa anche su alcuni tratti che questo testo passa sotto silenzio («senza padre, senza madre, ecc.»). Da notare inoltre qua e la qualche aggiunta significativa («il Figlio di Dio»: 7,3; «i figli di Levi»: 7,5), che amplia la prospettiva. Poi, a partire da 7,11, sono le espressioni del Salmo 109(110) a prevalere; il vocabolario é quello dell’ istituzione sacerdotale: «sacerdozio», «or- dine di Aronne», «ordine di Melchisedek», «sacerdote», «giuramento». Le delimitazioni dei paragrafi sono segnate da inclusioni. Per il primo (7,1-10; cf. p. 142), la frase finale riprende, in ordine inverso, due termini importanti della frase iniziale: «Melchisedek» e «and incontro». Per il secondo (7,11-28; cf. pp. 143-144), Pinclusione avviene tra il primo sostantivo di 7,11 (teleidsis: «azione di rendere perfetto») e l’ultima parola di 7,28 (teteleiémenon: «reso perfetto»); que- sta inclusione é rafforzata dalla duplice ricomparsa, in 7,28, del tema della «Legge», evocato in 7,11. Il sistema delle inclusioni si estende anche alle unita pid piccole. La prima di queste (7,1-3; cf. p. 142) ha il termine «sacerdote» all’inizio ealla fine. La seconda (7,4-10; cf. pp. 142-143) ha il nome di «Abramo» e la men- zione della «decima» nella prima e nella penultima frase (7,4.9). Per la terza (7,11- 19; cf. pp. 143-144), l’inclusione avviene grazie a dei termini affini, che parlano di «perfezione» e di «Legge» (7,11.19). Per la quarta (7,20-28; cf. pp. 145-146), essa avviene con la parola «giuramento» (7,20.28). Infine, la piccola unita di 7,26- 28 ha «sommo sacerdote» all’inizio (7,26) e alla fine (7,28). Al tempo stesso, essa costituisce, con la piccola unita iniziale (7,1-3), il cui inizio (7,1) e la cui fine (7,3) contengono la parola «sacerdote», una specie di inclusione generale, che ingloba V'insieme della sezione. Un simile modo di comporre pud apparire sorprendente. E certamente estraneo alla retorica greca, ma corrisponde alla tradizione letteraria biblica. Sistemi ana- loghi-di inclusione si trovano nel libro della Sapienza (ad es., Sap 1,16-2,24; 2,1- 21; 2,1-5; 2,6-11; 2,12-16; 2,17-20). LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 21 SECONDA SEZIONE (8,1—9,28) Confermando altri indizi, il sistema delle inclusioni rende evidente che la frase di 7,28 (cf. p. 146) conclude la sezione iniziata in 7,1. L’ultima parola-di questa frase, «reso perfetto», attira l’attenzione perché, trovandosi in un’affermazione, forma un’antitesi con l’asserzione negativa di 7,19: «La Legge non ha reso nulla perfetto» (cf. p. 144), e il dubbio espresso in 7,11. Da osservare, a questo propo- sito, che trattando l’ultimo dei tre punti annunciati in 5,9-10, il sacerdozio secondo Vordine di Melchisedek, l’autore non ha perso di vista la questione della «perfe- zione» menzionata nel primo punto (5,9; cf. p. 132). Nella sua prospettiva, sacer- dozio e perfezione sono strettamente legati. Perché uno sia _veramente sacerdote @ necessario che sia stato «reso perfetto». Le istituzioni dell’ Antico Testamento non erano in grado di condurre alla perfezione. Alla fine del capitolo 7, l’autore ritorna esattamente al primo punto dell’annun- cio, perché qui, e qui soltanto, adopera il verbo «rendere perfetto» in modo affer- mativo e applicandolo a Cristo, proprio come in 5,9. Data la sua posizione alla fine della frase e della sezione, questa ripresa del «reso perfetto» di 5,9 si comprende come un segnale simile a quello di 6,20, cioé come il richiamo di uno dei punti del- l’annuncio del tema (5,9). Esso indica che subito dopo iniziera la sezione che tratta questo punto. Effettivamente, nella frase seguente l’autore conferma questa indicazione (8,1; cf. p. 161). Riferendosi all’espressione 7,28 (cf. p. 146), che definiva il sommo sa- cerdote ideale come «un Figlio reso perfetto», egli dichiara: «II punto capitale delle cose che stiamo dicendo é questo: ¢ un tale sommo sacerdote che noi abbiamo...». Difficilmente avrebbe potuto esprimersi in modo pid chiaro. Messo in testa alla frase, il qualificativo «un tale» rimanda alla spiegazione data nella frase prece- dente (7,28) e, pitt particolarmente, al suo ultimo termine: «reso perfetto». E strano che alcuni commentatori non se ne siano resi conto e abbiano messo in relazione L’espressione «un tale sommo sacerdote» unicamente con cid che segue, privando cosi la sezione della sua connessione con il contesto precedente. I dati letterari mo- strano chiaramente che, nel pensiero dell’autore, la sezione che inizia in 8,1 trat- tera il primo tema annunciato in 5,9: la «perfezione» sacerdotale di, Cristo. La qualificazione di «punto capitale» dimostra l’importanza che le attribuisce l’au- tore. Questa importanza appariva gia in 5,9, perché, messo in prima posizione, il participio «reso perfetto» condizionava logicamente tutto il resto della frase. Nell’insieme dell’ omelia, la sezione che inizia in 8,1 si trova al centro, preceduta da 129 versetti (2134 parole) e seguita da 128 versetti (1986 parole). Essa é anche, con i suoi 41 versetti (787 parole), la pid lunga di tutte le sezioni. La nostra analisi della struttura interna del testo mostrera che, anche da questo punto di vista, la sezione occupa un posto centrale: é situata al centro della terza parte (5,11-10,39), che é a sua volta la parte centrale dell’omelia; ¢ preceduta e seguita da cinque sezioni. Mettendo al centro del suo discorso il punto che egli definisce «capitale», I’au- tore si discosta, ancora una volta, dalle regole della retorica classica. Questa infatti richiedeva che gli argomenti principali fossero messi all’ inizio e alla fine della di- 22 La LETTERA AGLI EBREI mostrazione e che al centro fossero lasciati gli argomenti di minore importanza.* La ragione di questa disposizione era di ordine psicologico e corrispondeva allo scopo perseguito dall’eloquenza forense 0 politica: guadagnare il consenso del- Puditorio verso una decisione. A tale scopo era effettivamente importante creare al- Vinizio un’impressione favorevole e confermare la stessa impressione in modo decisivo alla fine. Diversa é invece la finalita perseguita dalla predicazione cristiana quando si rivolge a un’assemblea di fedeli. Essa si preoccupa prima di tutto di nu- trire la loro fede, facendo loro conoscere meglio il dono di Dio, il mistero di Cristo. Questo primo obiettivo é certamente completato da un appello ad accogliere il mes- saggio della fede e ad adottare un comportamento conforme al suo dinamismo. Ma Paspetto di insegnamento della fede rimane fondamentale ed ¢ questo che rende originale la predicazione cristiana in rapporto all’eloquenza forense o politica. Per tale ragione, ¢ improprio voler applicare tali ¢ quali le categorie della retorica clas- sica alla predicazione cristiana e, in particolare, alla Lettera agli Ebrei. Laffermazione di 8,1 (cf. p. 161), «é un tale sommo sacerdote che noi abbiamo», prosegue con un’ulteriore descrizione di questo sommo sacerdote, prima con ter- mini tradizionali, ispirati da Sal 109(110),1 (Cristo seduto alla destra di Dio), poi con termini nuovi: «ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito» (8,2). Poste come introduzione a tutta la sezione, queste espressioni inedite costituiscono una riformulazione dell’annuncio del tema. L’azione che ha «reso perfetto» il Cristo I’ha reso perfetto nel senso che ha fatto di lui il «ministro del santuario e della vera tenda». L’analisi della sezione mostra che é proprio questo il tema che il predicatore vi sviluppa. Circa l’estensione di questa sezione, i commentatori non sono unanimi. Alcuni fissano il suo limite finale in 10,18,° altri lo mettono in 9,28.‘ La diversita delle opi- nioni non sorprende perché, su questo punto, la composizione del testo si presta a discussione. Se tra il capitolo 7 e i capitoli seguenti la distinzione é netta, non si pud dire altrettanto per i capitoli 8-10. Sono due gli argomenti principali che ven- gono avanzati per estendere fino a 10,18 la sezione che inizia in 8,1: da una parte, il vocabolario sacrificale («offrire», «sacrificio», «sangue»), che é stato introdotto alla fine del capitolo 7 (7,27), rimane presente fino a 10,18; dall’altra, l’oracolo della «nuova alleanza», citato in 8,18-12 (Ger 31,31-34), viene ripreso parzial- mente in 10,16-17.’ Queste constatazioni meritano di essere prese in considerazione, ma non sono decisive, perché non tengono conto della funzione retorica della frase introduttiva (8,1-2). Questa fissa come coordinate per l’azione liturgica di Cristo «il santuario ela vera tenda, che il Signore, ¢ non un uomo, ha costruito» (8,2). Ora, queste co- “Cf. P. Garuni, Alle origini, 195. : 5 Questa é ’opinione di O. Michel, H. Braun, H.W. Attridge, E. Grasser, solo per citare alcuni dei commentatori piti importanti. 8 la posizione di C. Spicq, P. Andriessen — A. Lenglet, G.W. Buchanan, N. Casalini, P. Elling- worth. Cf. H.W, ATTRIDGE, The Epistle to the Hebrews (Hermeneia), Fortress Press, Philadelphia 1989, 18. ‘LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 23 ordinate mantengono |’attenzione nel corso dei capitoli 8 e 9, ma non sono pit pre- senti in 10,1-18. L’opposizione espressa in 8,2 tra la tenda piantata dal Signore e una tenda piantata da un uomo introduce un’esposizione divisa in due paragrafi antitetici, di cui il primo (8,3-9,10; cf. pp. 161-166) descrive e critica il culto an- tico, caratterizzato dalla «tenda» costruita da «Mosé», «santuario terreno» (9,1), mentre il secondo paragrafo (9,11-28; cf. pp. 189-192) descrive e mette in risalto l’oblazione di Cristo, caratterizzata dal suo rapporto con «la tenda pit grande e pid perfetta» (9,11) e dall’ingresso di Cristo «una volta per sempre nel santuario» (9,12). L’autore precisa, un po’ pi avanti, che non si é trattato di un «santuario fatto da mani d’uomo», ma del «cielo stesso» (9,24), Il termine «tenda» di 8,2 é ripetuto non meno di sette volte nei capitoli 8 ¢ 9 (8,5; 9,2.3.6.8.11.12); invano lo si cerca nel capitolo 10. Analoga é la situazione per il termine «santuario» di 8,2; ricorre quattro volte nel capitolo 9 (9,8.12.24.25) e mai in 10,1-18. A cid si aggiunge che, per due volte (9,8 ¢ 9,11-12), viene espresso un rapporto tra «tenda» e «santuario», rapporto negativo nel caso della «prima tenda» (9,8), rapporto positivo nella liturgia di Cristo: «Attraverso una tenda pil. grande [...] entré una volta per sempre nel santuario» (9,11-12). Infine, degno di nota é il fatto che I’azione di «entrare» nel luogo santo o «nel santuario», menzio- nata quattro volte nel capitolo 9 (9,6.12.24.25), non lo é mai nel capitolo 10. Que- sti indizi dimostrano che la frase iniziale del capitolo 8 introduce una sezione che non va oltre la fine del capitolo 9; ne ¢ conferma il fatto che tra la frase finale del capitolo 9 e l’inizio del capitolo seguente si osserva una netta frattura: 9,28 ri- chiama la seconda venuta di Cristo; 10,1 ritorna bruscamente alla Legge antica. La composizione interna della sezione centrale (8,1—9,28) appoggia queste prime osservazioni, perché segue uno schema concentrico aba’A’BA, che forma un in- sieme completo in se stesso e si oppone all’aggiunta di unita supplementari. Da questo punto di vista si osserva, infatti, una notevole differenza tra le simmetrie concentriche e le simmetrie parallele di tipo AB A’B’. Nel caso di queste ultime nulla impedisce di aggiungere un’altra serie di elementi 0 anche di pit: AB A’B’ A”B”, ecc. Quando invece la simmetria ¢ concentrica, I’ultimo elemento corri- sponde al primo e segna necessariamente la fine dello schema. Ogni aggiunta ap- parirebbe come un’escrescenza. Abbiamo gia osservato che la sezione centrale é divisa in due grandi paragrafi (8,3-9,10 e 9,11-28), la cui opposizione corrisponde alla formula di introduzione: il primo riguarda una tenda «costruita da un uomo»; il secondo, «la vera tenda, che il Signore ha costruito» (8,2). La distinzione di questi due paragrafi é resa pit evidente dall’assenza, nel primo (8,3—9,10), di ogni menzione del nome di Cristo, mentre nel secondo (9,11-28) questo nome é ripetuto quattro volte (9,11.14.24.28). Altra osservazione significativa: all’interno di ciascuno dei due paragrafi un passo parla di «alleanza». All’interno del primo (8,7-13; cf. p. 163), si trova l’oracolo di Geremia sulla «nuova alleanza» (Eb 8,8-12; Ger 31,31-34); all’interno del secondo (9,15-23; cf. pp. 190-191) si trova menzionato il modo in cui fu fondata |’al- leanza del Sinai (Es 24,4-8). Da questi due inserimenti risulta chiaramente una di- sposizione del testo in sei unita. Le unita iniziale (8,3-6; cf. p. 162), centrali (9,1- 24 La LETTERA AGLI EBREI 10 e 9,11-14; cf. pp. 166.189-190) e finale (9,24-28; cf. p. 192) sono caratterizzate dal-vocabolario dell’ offerta cultuale («offrire»: 8,3.3.4; 9,7.9; 9,14; 9,25.28); le unita mediane (8,7-13 e 9,15-23; cf. pp. 163.190-191), dal vocabolario dell’al- leanza («alleanzay: 8,6.8.9.10; 9,15.16.17.20). Il paragrafo che riguarda il culto antico (8,3-9,10) collega a questo Ja formula «offrire doni e sacrifici» (8,3; 9,9); il paragrafo di compimento (9,11-28) gli oppone la formula «offrire se stesso» (9,14.25), che é specifica della liturgia di Cristo. Un’inclusione delimita questo primo paragrafo (8,3-9,10): all’espressione di 8,3: «offrire doni ¢ sacrifici» (cf. p. 162) fa eco, in forma di chiasmo, quella di 9,9: «doni e sacrifici vengono offerti» (cf. p. 166). Alcune suddivisioni sono indicate da inclu- sioni minori. La prima di queste mette in rapporto il «ministro del culto (/eitourgos)» di 8,2 con il «ministero (Jeitourgia)» di 8,6 (cf. p. 162). La seconda inclusione é creata dalla ripetizione dell’espressione «la prima (alleanza)» in 8,7 ¢ 8,13 (cf. p. 163). La terza, dalla ripetizione del termine «riti» in 9,1 9,10 (cf. p. 166). Quanto al secondo paragrafo (9,11-28), il nome di «Cristo» segna l’inizio e la fine delle sue unita, iniziale (9,11.14; cf. pp. 189.190) e finale (9,24.28; cf. p. 192). Le sei unita sono disposte in simmetria concentrica. I rapporti sono antitetici per quelle che concernono il culto, piuttosto complementari per quelle che parlano di alleanza. La prima unita definisce il livello in cui era confinato il culto antico: livello terrestre figurativo (8,3-6; cf. p. 162), mentre l’ultima divisione (9,24-28; cf. p. 192) proclama che Cristo é giunto a un livello celeste, di realta perfetta. Nelle unita centrali (9,1-10 e 9,11-14; cf. pp. 166.189-190) viene espressa un’ opposi- zione tra «la prima tenda» (9,2.6.8) che serviva al culto antico e «la tenda pit grande e pit perfetta» (9,11), attraverso la quale Cristo «é entrato nel santuario» (9,12). A cid si aggiunge I’ opposizione tra i «doni ¢ sacrifici» offerti dal sacerdo- zio antico, «riti di carne» esterni alla persona e molteplici (9,9-10), e l’offerta di Cristo, che é personale, spirituale e unica (9,14). Pit complessi sono i rapporti che legano le due unita consacrate al tema del- Valleanza (8,7-13 e 9,15-23; cf. pp. 163.190-191). Entrambe parlano infatti sia della nuova che dell’antica alleanza. Ma la prima assume una prospettiva critica; si serve dell’oracolo della nuova alleanza per mostrare che l’antica non era «irre- prensibile» (8,7.13). L’altra unita, al contrario, adotta un atteggiamento positivo; presenta il rito di alleanza effettuato da Mosé al Sinai come una prefigurazione della morte di Cristo, che ha stabilito la nuova alleanza (9,15-18). Numerosi indizi mostrano quindi che Ja sezione iniziata in 8,1 arriva alla sua conclusione con l’ultima frase di 9,28. Anche senza aver osservato questi indizi, l’ascoltatore attento si rende conto che questa frase é finale, perché esprime l’aspetto escatologico dell’ offerta di Cristo. Notiamo che una simile struttura co- stituisce un sistema di relazioni al tempo stesso complesso e ben ordinato. L’ese- geta é invitato a studiare prima il rapporto di successione lineare che lega ogni unita all’unita precedente; poi il rapporto particolare tra la prima unita (8,3-6; cf. p. 162) e la terza (9,1-10; cf. p. 166), che si completano a vicenda, e ugualmente tra la quarta (9,11-14; cf. pp. 189-190) e Pultima (9,24-28; cf. p. 192); infine, i rapporti di opposizione tra i due paragrafi. Lo schema d’insieme é il seguente: LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 25 Successione: gi setiib ett ge Ap eA Complementarita: a a’ x A Antitesi: a A b B a- #& Ognuna delle sei unita si trova in relazione con tutte le altre; il rapporto é diretto con tre di esse, indiretto con le altre due. L’unita a’ (9,1-10), ad esempio, é in rap- porto di successione con b (8,7-13), di precedenza e di antitesi con A’ (9, 11-14), di complementarita con a (8,3-5); per mezzo di b (8,7-13) 0 di A’ (9,11-14) é in rap- porto con B (9,15-23) e per mezzo di A’ (9,11-14) con A (9,24-28). Chi non coglie l’unita della sezione e la sua struttura, resta confuso davanti alla molteplicita dei rapporti possibili e pensa che I’autore sia un improvvisatore che si esprime in modo disordinato. Ma se si riconosce la struttura, la matassa si sbro- glia senza la minima difficolta. TERZA SEZIONE (10, 1-18) Alla fine di questa sezione «capitale» (8,1—9,28), l’uditorio attende un’indica- zione su cid che seguira. II predicatore non manca di soddisfare questa attesa: l’ul- tima parola dell’ultimo versetto é significativa. E la parola «salvezza», che ricorda Vunico punto dell’annuncio che non é stato ancora sviluppato: con il compimento della sua passione, Cristo «divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (5,9). Essendo stati trattati gli altri due punti, era prevedibile che il predicatore dedicasse a questo una terza e ultima sezione dell’esposizione gottrinale. L'indizio, qui, ¢ meno evidente che nei due casi precedenti perché il termine «salvezza» non viene ripreso all’inizio della sezione, mentre il «Melchisedek» di 6,20 era stato ripreso subito in 7,1 e il «reso perfetto», ultima parola di 7,28, aveva trovato un’eco nell’espressione «un tale sommo sacerdote» di 8,1. Nel testo della terza sezione (10,1-18) il vocabolario della «salvezza» non compare; é percid pos- sibile mettere in dubbio la funzione retorica del termine «salvezza» posto alla fine di 9,28. Ma cid che spinge a riconoscere a esso una tale funzione é il fatto che que- sto indizio fa parte di un insieme. II termine «salvezza» occupa, infatti, una posi- zione esattamente parallela alle due riprese parziali dell’annuncio fatto in 5,9-10. Queste (6,20 e 7,28) si trovavano alla fine dell’ultima frase di una sezione ed erano immediatamente seguite dallo sviluppo corrispondente. Il termine «salvezza» di 9,28 attira ancora di pit |’attenzione per il fatto che dopo la frase di 5,9-10 non & pid riapparso. Esso ha un innegabile rapporto con questa frase, che I’autore, in 5,11, ha presentato chiaramente come |’annuncio del suo tema. Si ha quindi ra- gione di comprenderlo come un’allusione a 5,9 e come indicatore del tema della sezione che inizia subito dopo. Effettivamente, senza riprendere la parola stessa «salvezza», l’autore, in 10,1- 18 (cf. pp. 219-222), ne sviluppa I’idea trattando il problema di cid che Luca chiama «la salvezza per la remissione dei peccati» (Le 1,77). La frequente ripeti- zione del termine «peccati» (9 volte in 18 versetti) ne é un chiaro indizio, cosi 26 La LETTERA AGLI EBREI come le formule «ricordo dei peccati» (10,3), «abolire i peccati» (10,4), «eliminare i peccati» (10,11), «offrire per i peccati» (10,12), «non ricordarsi pit dei peccati» (10,17), «perdono di queste cose» (10,18) e «offerta per i peccati» (10,18). Indi- zio complementare: il vocabolario del «sacrificio» e dell’ «offerta» é anch’esso molto frequente; é infatti grazie a un’ offerta sacrificale che é possibile sperare «la salvezza con la remissione dei peccati». «Sacrificio» ricorre cinque volte; cinque volte anche «offrire» e cinque volte «offerta». Un contrasto viene espresso tra l’im- potenza della Legge antica per la remissione dei peccati (10,1-3) e la perfetta effi- cacia dell’offerta di Cristo a questo stesso scopo (10,15-18). A tre riprese l’autore denuncia |’ incapacita della Legge e del suo culto. Questo non poteva né cancellare i peccati, né condurre alla perfezione (10,1.4.11). L’offerta di Cristo, al contrario, é stata pienamente efficace: «Siamo stati santificati per mezzo dell’ offerta del corpo di Gest Cristo, una volta per sempre» (10,10); «con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (10,14). Nella nuova alleanza si consegue veramente la salvezza, perché questa alleanza porta non solo la re- missione dei peccati (10,17-18), ma anche la santificazione (10,10) e la perfezione (10,14), che danno |’accesso a Dio. Un’inclusione antitetica segna la delimitazione della sezione: alla constatazione di 10,1: «si continuano a offrire di anno in anno», fa da contrasto la dichiarazione di 10,18: «non c’é pit offerta». Inclusioni minori delimitano le unita: «ogni anno» in 10,1 e 10,3 (ef. p. 219); «offerta» in 10,5 e 10,10 (cf. p. 220; «offerente» e «of- ferta» in 10,11-14 (cf. p. 221). I rapporti tra le quattro unita obbediscono a uno schema concentrico. L’ultima unita (10,15-18; cf. p. 222) si oppone alla prima (10,1-3; cf. p. 219). Questa con- stata infatti la ripetizione indefinita dei sacrifici e il ricordo dei peccati. L’ultima,- al contrario, annuncia che non ¢’é pit ricordo dei peccati e la cessazione dei sa- crifici, Le unita intermedie sono tra loro parallele, perché ciascuna esprime un’an- titesi: la seconda (10,4-10; cf. p. 220) tra i sacrifici antichi e l’offerta personale di Cristo; la terza (10,11-14; cf. p. 221) tra la continua agitazione dei sacerdoti anti- chi e la sovrana tranquillita di Cristo alla destra di Dio. Vocabolario, inclusione, disposizione d’ insieme, tutto indica che questa breve se- zione termina in 10,18. Un cambio di genere letterario. in 10,19 rende ancora pia evidente questo limite finale. L’autore abbandona il genere dell’esposizione, che ha mantenuto senza interruzione dall’inizio del capitolo 7, e assume il tono del- l’esortazione. La terza sezione dell’ esposizione (10,1-18) ha quindi la sua fisionomia propria e tratta effettivamente il tema indicato: Cristo «é diventato causa di salvezza eterna» (5,9). Detto cid, bisogna riconoscere che la sezione precedente (8,1— 9,28) aveva dato gia ampio spazio a questo tema. Lo rivela la composizione stessa di questa sezione, perché ha un’estensione inattesa. I] tema che tratta, espresso nella sua introduzione (8,2), é l’attivita sacrificale, grazie alla quale Cristo é stato «reso perfetto» (5,9; 7,28). Questo tema, come abbiamo visto, viene sviluppato in due grandi paragrafi antitetici (8,3-9,10 e 9,11-28; cf. pp. 161ss.189ss), che oppongono culto antico e offerta personale di Cristo. Questi LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 27 due paragrafi parlano entrambi di liturgia, di tenda e di santuario, come faceva prevedere la frase introduttiva (8,1-2). Ma entrambi toccano inoltre, un altro tema, di cui questa frase non diceva nulla: il tema dell’alleanza. In mezzo al primo paragrafo (8,3-9,10), le considerazioni sul culto si interrompevano in 8,7 per cedere il posto all’oracolo della nuova alleanza (8,8-12 = Ger 31,31-34), che non si interessa né al culto né al santuario. In mezzo al secondo paragrafo (9,11- 28), le considerazioni sull’offerta personale di Cristo si interrompono in 9,15 per far posto al tema della nuova alleanza, presentata sotto il suo aspetto di testa- mento (9,15-17) ¢ messa in rapporto con I’alleanza del Sinai. Questo duplice in- serimento é molto significativo. Esso dimostra che |’autore ha rifiutato di attribuire all’ offerta di Cristo solo una dimensione verticale, di movimento verso Dio, e che al contrario si é preoccupato di darle al tempo stesso una dimensione orizzontale, di solidarieta umana. Il sa- crificio di Cristo non ha avuto l’effetto di rompere i legami di natura che lo univano ai suoi fratelli e alle sue sorelle; anzi li ha rafforzati e ha fatto di lui il loro salva- tore. Ne consegue che il tema della salvezza appare positivo fin dalla prima frase del paragrafo (9,11-12). L’autore non si limita li a dire che «Cristo [...] attraverso la tenda [...] e mediante il suo sangue ¢ entrato nel santuariow, ma aggiunge subito che ha cosi «trovato una redenzione eterna». La frase seguente precisa che questa liberazione é destinata a noi: «ll sangue di Cristo [...] purifichera la nostra co- scienza dalle opere di morte» (9,14). Il seguito del testo contiene ancora altre an- notazioni che vanno nello stesso senso (9,15.24.28). Questo orientamento di pensiero é innovativo rispetto all’ Antico Testamento, dove |’attenzione era monopolizzata dalla dimensione verticale del sacerdozio; li si era sacerdoti «per Dio» (cf. Es 28,1.4; 29,1). Rovesciando la prospettiva, l’au- tore di Ebrei dichiara subito che «ogni sommo sacerdote [...] viene costituito tale per gli uomini nelle cose che riguardano Dio» (5,1). Egli si mostra attento a unire strettamente le due dimensioni, verticale e orizzontale, del sacerdozio. Per questo ha anticipato, nella sezione centrale (8,1—9,28), il tema della sezione seguente (10,1-18). E questa particolarita che ha spinto alcuni commentatori a rifiutare di di- stinguere le due sezioni. Esse sono nondimeno distinte. Solo nella sezione 10,1-18 sono affermati, come fatti acquisiti, la santificazione dei fedeli (10,10) e il dono della perfezione (10,14). Nella sezione centrale la purificazione delle coscienze é espressa al futuro (9,14) ¢ il riscatto delle trasgressioni viene presentato come uno scopo da raggiungere (9,15). Esortazione ConcLuSIVA (10,19-39) Lultima frase di 10,18 mette il punto finale alla lunga esposizione iniziata in 7,1. Ma, data la sua brevita, questa frase non si presenta come la conclusione di tutta la parte. L’autore, in effetti, non vuole terminare con un’affermazione dottrinale, ma con un’esortazione: «Avendo, dunque, fratelli, piena fiducia [...] accostia- moci...» (10,19). Il primo paragrafo di questa esortazione (10,19-25; cf. p. 231) adempie, nel- Vomelia, una funzione estremamente importante, perché stabilisce una stretta con- 28 La LETTERA AGLI EBREI nessione tra la cristologia sacerdotale e l’esistenza cristiana. L’autore mostra qui chiaramente che egli non concepisce l’approfondimento dottrinale che ha appena proposto come una teoria astratta, destinata solo a soddisfare le esigenze intellet- tuali dei teologi. Lo concepisce piuttosto come fonte di una nuova vitalita spirituale. La sua lunga frase comprende due parti. La prima (10,19-21) descrive la situa- zione che, per i cristiani, scaturisce dal sacrificio e dal sacerdozio di Cristo, situa- zione privilegiata di libero accesso presso Dio. La seconda parte (10,22-25) invita con forza i fedeli ad accogliere attivamente i loro privilegi, accostandosi a Dio con una vita di fede (10,22), di speranza (10,23) e di carita (10,24). Al tempo stesso, tutte le esortazioni seguenti sono strettamente collegate con la dottrina sacerdotale che é stata esposta; é li che esse attingono il loro dinamismo. Anche le esortazioni precedenti si illuminano di nuova luce. La prima unita (10,19-25) termina con un’allusione al «giorno» del giudizio (10,25). L’autore introduce cosi un ammonimento molto severo contro l’ostina- zione nel peccato (10,26-31; cf. p. 233). Un’inclusione sulle parole «terribile» (10,27.31) e «giudizio», «giudicare» (10,27.30) segna la delimitazione di questo ammonimento. Segue allora un paragrafo di incoraggiamento (10,32-35; cf. p. 234), basato sul ricordo della generosita passata. Questo passaggio da una messa in guardia a un incoraggiamento corrisponde esattamente al movimento oratorio osservato nell’ esortazione precedente (6,4-8 e 6,9-12). Si nota un’inclusione tra la fine di questo paragrafo (10,35) e l’inizio dell’esor- tazione (10,19). All’ inizio.l’autore diceva: «Avendo, dunque, fratelli, piena fidu- cia di entrare nel santuario...» (10,19). In 10,35 raccomanda: «Non abbandonate dunque la vostra fiducia...». II tono esortativo va comunque oltre questa inclusione e prosegue fino alla fine del capitolo (10,39). Solo all’inizio del capitolo seguente (11,1) si osserva un cam- bio molto netto: l’autore passa al genere dell’esposizione, presentando una defini- zione della fede. 71. ANNUNCIO DELLA QUARTA PARTE DELL’OMELIA (10,36-39) Alla fine della sezione di esortazione (10,19-39), che conclude la terza parte dell’omelia (5,11—10,39), ci si aspetterebbero normalmente delle indicazioni sul tema della parte seguente. Gli ultimi versetti della sezione (10,36-39; cf. p. 235) of- frono queste indicazioni. Esse si trovano — va notato — in una posizione particolare, che corrisponde a una funzione di annuncio del tema. Sono infatti situate dopo l’inclusione che va da 10,19 a 10,35 («piena fiducia») e prima del cambio di ge- nere letterario effettuato in 11,1. Questa posizione é simile a quella dell’annuncio del tema della seconda parte, annuncio situato in 2,17-18, cioé dopo l’inclusione di 2,5.16 e prima del cambio di tono che si osserva in 3,1. In 10,36-39 vengono presentati due temi: quello della «perseveranza» necessa- ria (10,36) e quello della «fede» (10,38-39). Il termine «perseveranza» é messo in evidenza dalla sua posizione; in greco é la prima parola della frase: LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE, 29 Di perseveranza, infatti, avete solo bisogno perché, fatta la volonta di Dio, otteniate la promessa (10,36). Il tema della fede viene sottolineato dopo, grazie a una ripetizione: Il mio giusto per fede vivra; ma se cede, la mia anima non si compiace di lui. Noi peré non siamo uomini di defezione per la nostra rovina, ma di fede per la salvezza della nostra anima (10,38-39). Questi due temi non sono completamente nuovi. L’autore ha parlato di perse- veranza in 10,32 e della fede in 10,22. La quarta parte si ricollega quindi solida- mente all’esortazione finale della terza parte e, in questo modo, alla cristologia sacerdotale presentata nella terza parte. Ma un certo aspetto di novita é comunque presente. In 10,32 si trattava di un richiamo del passato: |’autore ricordava la per- severanza manifestata dai fedeli al tempo della loro conversione, mentre in 10,36 afferma la necessita attuale di questa forza d’animo. Quanto alla fede, l’autore tro- vera un nuovo modo di parlarne. 8. STRUTTURA DELLA QUARTA PARTE DELL OMELIA (11,1-12,13) Conformemente all’annuncio del tema, la quarta parte dell’omelia si compone di due sezioni, che parlano di perseveranza e di fede. PRIMA SEZIONE (11,1-40) Una nuova ripetizione del termine «fede» assicura la transizione tra l’ultima frase dello sviluppo precedente (10,39; cf. p. 235) e la prima della nuova parte (11,1; ef. p. 248). Sentendo la definizione della fede, gli ascoltatori constatano che Lautore, ancora una volta, inizia con il tema che ha annunciato per ultimo. La per- severanza, nominata per prima (10,36; cf. p. 235), sara il tema della seconda se- zione (12,1-13; cf. pp. 265-268). Dopo aver definito la fede, il predicatore precisa il modo in cui trattera questo tema. L’annuncio fatto in 10,38-39 rende infatti possibile qualche esitazione. L’au- tore parlera della nostra fede (10,39) o della fede del giusto (10,38)? E, in questo secondo caso, esporra la dottrina della giustificazione per la fede? La frase di 11,2 risponde a queste domande; essa indica che |’autore fara l’elogio della fede degli «antenati»: «fu essa che valse agli antenati una bella testimonianza» (11,2). Per «antenati» egli intende i giusti dell’ Antico Testamento. L’estensione della sezione é abbastanza evidente: I’elogio della fede degli ante- nati si estende fino alla fine del capitolo (11,40). La continua ripetizione del ter- mine «fede» (24 ricorrenze) caratterizza questo sviluppo. Il termine ricorre ancora in 12,2, ma si trova allora in una frase di esortazione, iniziata in 12,1. Anche se l’au- tore, nel capitolo 11, ha chiaramente I’intenzione di incoraggiare i suoi ascoltatori avivere di fede, non vi assume mai il tono dell’ csortazione: tutto ¢ espresso in tono narrativo, all’ indicativo e alla terza persona; nessuna domanda, nessun imperativo. 30 La LETTERA AGLI EBREI La delimitazione é segnata da un’inclusione. Dicendo: «Tutti costoro, pur avendo avuto una buona testimonianza per mezzo della fede» (11,39; cf. p. 260), Vautore rimanda alla frase iniziale, dove diceva: «La fede [...] in essa i nostri an- tenati ricevettero testimonianza» (11,1-2; cf. p. 248). Si potrebbe obiettare che il termine «fede», ripetuto tante volte, non é piii adatto a servire da inclusione. Ma l’autore ha cessato di ripeterlo proprio nell’ultimo paragrafo del suo elogio, mo- dificando li la sua espressione; all’inizio-di questo paragrafo finale, invece di dire, come in precedenza, «per la fede» (pistei), dice «grazie alla fede» (dia pisteds: 11,33; cf. p. 260) prima di una lunga enumerazione dei trionfi della fede (11,33- 35) e delle sue prove (11,35-38). In 11,39, frase di conclusione, viene ripresa la for- mula «grazie alla fede», che serve da duplice inclusione: segna la fine dell’ultimo paragrafo (11,32-40; cf. p. 260) e, d’altra parte, facendo coppia con «avere una buona testimonianza», segna al tempo stesso la fine di tutta la sezione (11,1-40). Lautore ha diviso il suo sviluppo in quattro paragrafi, seguendo |’ ordine del rac- conto biblico: prima, la definizione della fede e tre primi esempi: Abele, Enoc e Noé; un uso particolare del termine fede in 11,7 segna la fine di questa serie (cf. p. 248). Poi viene Abramo (11,8-19), seguito dai suoi primi discendenti (11,20-22; cf. p. 253). In terzo luogo viene presentato Mosé (cf. p. 256) — si osserva un’ inclusione tra 11,23 («videro», «non ebbero paura», «del re») e 11,27 («senza temere», «del re», «come se vedessero»), — poi la Pasqua dell’Esodo, |’attraversamento del Mar Rosso ¢ la presa di Gerico (11,28-31). Infine, nettamente separato dai precedenti da una domanda retorica, l’ultimo paragrafo presenta, come abbiamo detto, un qua- dro d’insieme (11,32-38) e termina con la frase di conclusione (11,39-40; cf. p. 260). SECONDA SEZIONE (12,1-13) In 12,1 l’autore assume il tono dell’esortazione, espressa alla prima persona: «Anche noi dunque, [...] corriamo con perseveranza la prova che ci sta davanti...». Passa poi subito alla seconda persona: «Pensate attentamente a colui che ha perse- verato...» (12,3), per ritornare pid avanti alla prima: «Noi abbiamo avuto come edu- catori i nostri padri terreni....»» (12,9). Tutto il resto dell’omelia si manterra su questo tono, con la conseguenza che non é facile discemnervi delle divisioni. Pid di un com- mentatore infatti considera tutto il capitolo come una sola e stessa unita letteraria. In realta ’annuncio della fede fatto in 10,36-39 fornisce un criterio di divi- sione. L’autore ha li presentato due temi: la perseveranza/resistenza necessaria (10,36) e la fede del giusto (10,38-39). Avendo egli trattato prima questo secondo punto (11,1-40), é possibile prevedere che trattera poi il primo. Effettivamente, il termine «perseveranza», che non era pit apparso dopo la frase di 10,36, ri- torna all’inizio della sezione (12,1) ed é seguito dal verbo della stessa famiglia, «resistere», in 12,2.3.7 (cf. pp. 265-267). Questo vocabolario é intercalato da quello della correzione educativa (paideia ¢ termini affini), che si presenta con insistenza a partire da 12,5 (cf. p. 266). 11 collegamento tra i due vocabolari é esplicito in 12,7: «E per la vostra correzione che voi soffrite (hypomenete)!». Dopo questo versetto, la «perseveranza» cede completamente il posto all’ «edu- ‘LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 31 cazione», che si incontra, in una forma o nell’altra, in ogni frase fino a 12,11, Poi, un «percid» introduce la conclusione della sezione (12,12-13; cf. p. 268), che é al tempo stesso anche la conclusione della parte. Il vocabolario muta poi com- pletaiente. Un’inclusione conferma questa delimitazione: al verbo «corriamo» di 12,1 fa eco «piste» di 12,13; le parole greche cosi tradotte hanno solo questa unica ricorrenza in Ebrei. 9. ANNUNCIO DELLA QUINTA PARTE DELUOMELIA (12,13) L’annuncio della quinta parte si trova normalmente alla fine della quarta. C’é qualcosa di nuovo nella frase di conclusione di quest’ultima (12,12-13; cf. p. 268)? Se la si esamina con attenzione, si constata che essa comprende due proposizioni e che la seconda adduce un elemento di novita. La prima proposizione (12,12) cor- risponde perfettamente al tema della sezione, cioé la forza d’animo nelle tribola- zioni. Ispirandosi a un testo di Isaia, che incoraggia gli israeliti esiliati ad attendere con forza d’animo |’ intervento di Dio (Is 35,3), il predicatore invita i fedeli a «rin- francare le mani inerti e le ginocchia vacillanti» (12,12). Dopo questo invito, la seconda proposizione apre un’altra prospettiva, non pit quella della perseveranza nell’attesa, ma quella della rettitudine nel comportamento: «Fate delle piste diritte per i vostri piedi» (12,13). Questa espressione non é ispirata da Is 35,3, né da un contesto simile, ma proviene da un contesto molto diverso, quello dei Proverbi (4,26), dove é applicata al giusto orientamento nel comportamento: Segui delle piste diritte con i tuoi piedi e raddrizza i tuoi sentieri; non deviare né a destra né a sinistra, tieni lontano il piede dalla via del male (Pr 4,26-27). Questa frase ci fa quindi passare dal tema della resistenza cristiana, che é quello di Eb 12,1-12, a quello dell’attivita cristiana, che sara quello della parte seguente. Nel Nuovo Testamento il tema della resistenza ¢ strettamente connesso con la virtu della speranza (cf. 1Ts 1,3; Rm 5,4; Mt 10,22; 24,13; 2Tm 2,12), quello dell’atti- vita, con la virti della carita (cf. Eb 6,10; 1Gv 3,18). 10. STRUTTURA DELLA QUINTA PARTE DELLOMELIA E PERORAZIONE (12,14-13,21) L’annuncio del tema, espresso in termini metaforici («fare piste diritte»), pud sembrare molto vago, percid I’autore si preoccupa di precisarlo all’inizio del suo sviluppo, dicendo: Perseguite la pace con tutti ¢ la santificazione... (12,14). Le «piste diritte» sono quindi quelle che portano alla «pace con tutti» e alla «santificazione»; in altre parole: a delle buone relazioni con il prossimo e con Dio. 32 La LETTERA AGLI EBREI Non é la prima volta che !’autore precisa il suo tema all’inizio dello sviluppo: in 3,1-2, alla qualificazione «degno di fede» espressa dall’annuncio (2,17), ha ag- giunto il confronto con Mose; in 8,1-2 ha precisato il «reso perfetto» dell’annun- cio (5,9; 7,28) dicendo che «Cristo é ministro del santuario e della vera tenda»; in 11,2 ha specificato il modo in cui avrebbe trattato il tema della fede, annunciato in 10,38-29. A prima vista, il rapporto tra i temi di 12,14 («pace con tutti e santificazione») e l’espressione dell’annuncio del tema nel versetto precedente («piste diritte») pud sembrare troppo tenue, ma, se si fa riferimento al contesto biblico delle due espres- sioni, ci si accorge che la relazione é stretta. La formula di 12,14 proviene, infatti, dal Salmo 33(34) e, pil precisamente, da un passo sapienziale di questo salmo, passo che presenta grandi somiglianze con i versetti di Pr 4,26-29 utilizzato in Eb 12,13. Come Pr 4,26-29, il salmo esorta a un retto comportamento e mette la ricerca della pace in relazione con la lontananza dal male: «Sta’ lontano dal male (cf. Pr 4,27) e fa’ il bene, cerca la pace e perseguila» (Sal 33[34],15). Si pud quindi con- statare che, per chi conosce la Bibbia, la frase di Eb 12,14 si presenta come una ri- formulazione dell’annuncio fatto in 12,13. Qual é l’estensione di questa quinta parte? Per chi é attento agli indizi di strut- tura letterari, la risposta alla domanda non presenta grandi difficolta; questa quinta parte él’ultima ¢ si estende fino alla conclusione solenne dell’omelia, facilmente riconoscibile in 13,20-21: Il Dio della race, che ha fatto risalire dai morti il Pastore grande delle pecore, in un sangue di alleanza eterna, il SiGNoRE nostro Gest, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volonta, operando in noi cid che a lui é.gradito per mezzo di Gesu Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen, Non é certo un caso che due parole importanti di questa frase finale, «pace» e «Signore», formino un’inclusione con la frase iniziale della parte (12,14), che rac- comanda di perseguire «la pace e la santificazione, senza la quale nessuno vedra mai il Signore», Due inclusioni minori segnano le delimitazioni di due grandi pa- ragrafi: la parola «grazia» in 12,15 e 12,28 (cf. pp. 280-281) e la-parola «capi», in 13,7 e 13,17, cosi come «condotta (13,7) e «comportarci» (13,18; cf. p. 301). Que- ste inclusioni isolano un piccolo paragrafo intermedio (13,1-6; cf. p. 295). Si no- tera che questa disposizione corrisponde esattamente a quella della prima parte dell’omelia (1,5-2,18), nella quale due grandi paragrafi, delimitati da inclusioni (1,5 e 1,13; 2,5 e 2,16), fanno da cornice a un piccolo paragrafo (2,1-4), di genere diverso. Nella prima parte, tuttavia, non si osserva un simile cambiamento di ge- nere, perché questa parte appartiene tutta al genere dell’esortazione. L’inizio del ‘LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 33 piccolo paragrafo (13,1; cf. p. 295) é segnato da un asindeto e da un cambio di ritmo: ai lunghi periodi del paragrafo precedente (12,14-17.18-21.22-24.25-27.28- 29) succede, senza transizione, una breve proposizione, di solo tre parole greche (cinque in italiano: «L’amore fraterno resti saldo»). Da un capo all’altro della parte, il tema resta quello della condotta da tenere, ma tra il primo paragrafo e gli altri due é possibile percepire una certa distinzione, conformemente alla distinzione iniziale tra «la pace con tutti» e «la santificazione». Questi due aspetti sono sviluppati, naturalmente, in ordine inverso. II contenuto del primo paragrafo (12,14-29) corrisponde all’ aspetto di «santificazione» (cf. pp. 278-279): mette in guardia da ogni profanazione (12,16), confronta due esperienze religiose (12,18-24), esorta alla docilita verso la voce dell’Onnipotente (12,25-27) e ricorda che il «nostro Dio é un fuoco divorante» (12,29). Al contrario, gli altri due paragrafi sono soprattutto attenti ai rapporti tra le per- sone, nella linea della «pace con tutti»: «amore fraterno» (13,1), «ospitalita» (13,2), solidarieta (13,3), fedelta coniugale (13,4), assenza di cupidigia (13,5) sono gli orientamenti dati nel piccolo paragrafo (13,1-6; cf. p. 295). Invece, l’ultimo grande paragrafo (13,7-18; cf. p. 301), delimitato dalle due menzioni dei «capi» della co- munita (13,7.17), si preoccupa di assicurare la coesione ecclesiale, con la fedelta alla fede dei primi capi (13,7-9) e con la docilita generosa verso i capi attuali (13,17). Ma questa coesione comporta anche un aspetto di rottura con la citta ter- rena, sulla scia di Gest, morto «fuori della porta della citta» (13,12). Il ricordo della passione di Cristo offre al predicatore l’occasione di fare un’ultima allusione alla sua cristologia sacerdotale (13,10-13). Nella sua solenne frase di conclusione (13,20-21; cf. p. 313), citata sopra, egli tiassume la sua dottrina in termini nuovi: invece di parlare di «sacerdote grande» (10,21) o di «sommo sacerdote grande» (4,14), a Cristo viene applicato il titolo di «pastore grande», ed evoca il suo mistero pasquale mettendo questo in relazione con il tema dell’ «alleanza eterna» (13,20). Un augurio di grazia viene poi espresso in termini che ricordano le esortazioni fatte nel corso dell’omelia. Una breve dos- sologia e un «amen» mettono il punto finale a tutto l’insieme. 11. BIGLIETTO DI ACCOMPAGNAMENTO (13,22-25) Dopo la conclusione dell’omelia (13,20-21), tutti i manoscritti contengono al- cuni versetti supplementari (13,22-25; cf. p. 317) di un genere completamente di- verso. Si tratta, infatti, di frasi epistolari, scritte in un tono familiare. Gia il primo versetto, da solo, é significativo: Vi esorto, fratelli, accogliete questa parola di esortazione; proprio per questo ve lo mando con poche parole (13,22). Questa frase dimostra una situazione epistolare, di separazione locale tra un mit- tente e dei destinatari; mentre non é cosi per |’omelia. D’altra parte, una netta di- stinzione viene espressa tra queste righe e il «discorso di esortazione», cioée Vomelia. 34 La LETTERA AGLI EBREI Le righe seguenti comunicano la notizia della liberazione di Timoteo, esprimono T’intenzione di una visita, e dei saluti da dare e da ricevere. Il tutto termina con un au- gurio di grazia, simile a quello che si trova alla fine delle lettere dell’apostolo Paolo. E évidente, quindi, che questi ultimi versetti appartengono al genere epistolare. Sono un biglietto di accompagnamento, aggiunto al testo dell’omelia al momento di inviarlo a qualche comunita lontana. In tutto cio che precede, solo un versetto presenta le stesse caratteristiche; si tratta di 13,19: una breve frase inserita tra Ja fine del paragrafo 13,7-18, segnalata da un’inclusione, e la solenne conclusione del- Vomelia (13,20-21). Solo questi pochi versetti (13,19.22-25) corrispondono a una situazione epistolare. Tutto il resto appartiene al genere del discorso orale, pro- nunciato da un predicatore alla presenza di un’assemblea cristiana. Non ci sono indizi che permettano di stabilire che l’omelia sia stata composta per essere inviata per iscritto a una comunita, come nel caso della Lettera di Paolo ai Romani. In questa ipotesi, l’inizio del testo sarebbe di genere epistolare, esattamente come Vinizio della Lettera ai Romani. La realta é del tutto diversa: la Lettera agli Ebrei ha un inizio da sermone, magnifico esordio oratorio, completamente privo di ogni elemento epistolare. LA QUESTIONE DI EB 13,1-6 Sono sempre pit numerosi gli esegeti che riconoscono che la Lettera agli Ebrei éun sermone al quale é stato aggiunto un finale epistolare, ma sull’estensione di questo finale non c’é unanimita. Senza aver fatto uno studio metodico della strut- tura letteraria del sermone e un’analisi precisa delle frasi epistolari, molti attribui- scono al biglietto finale un’estensione che non ha. Fanno cominciare questo biglietto in 13,1 perché osservano in questo versetto un brusco cambio di ritmo, da essi ritenuto un cambio di genere letterario. Collocano percid in 12,29 la fine del- Vomelia e in 13,1 l’inizio della lettera. Abbiamo gia segnalato che il cambio di ritmo é innegabile. Dopo periodi di no- tevole ampiezza arriva una frase di solo tre parole; ma é sufficiente per ritenere che ci sia un passaggio a un genere diverso, quello della lettera? Nulla di meno evi- dente. In un discorso, infatti, é normale che ci siano dei cambi di ritmo; la mono- tonia va evitata. Nella stessa epistola un cambio di ritmo si osserva, ad esempio, in 12,7. Anche li, a dei lunghi periodi ben connessi succede, senza coordinazione, una frase di tre parole. In altri punti, delle domande retoriche si susseguono luna dopo l’altra (3,16-18), interrompendo il flusso del discorso. Un attento esame di 13,1-6 mostra che questa piccola unita letteraria non é af- fatto eterogenea in rapporto all’insieme dell’omelia.’ Essa non contiene il minino elemento epistolare ¢, lungi dall’essere una composizione sciatta, come alcuni so- stengono, é al contrario molto curata; lo mostreremo dettagliatamente pit avanti (cf. pp. 295ss). Diciamo subito che si distinguono in essa tre unita (13,1-3.4.5-6), che cominciano ciascuna con una duplice esortazione, seguita da una motivazione. * L’ho dimostrato in un articolo: «La question littéraire de Hébreux XIII.1.6n. ‘LE GRANDI LINEE DELLA COMPOSIZIONE 35 Lunita centrale (13,4) ha solo questi due elementi, mentre le altre due contengono un elemento supplementare. I risultato é che la disposizione d’insieme é armo- niosa: due unita pit lunghe incorniciano un’unita pit breve. Questa disposizione riflette quella di tutta l’ultima parte dell’omelia, nella quale due paragrafi pit ampi (12,14-29 e 13,7-18) inquadrano un paragrafo pit modesto (13,1-6). Lo stesso av- viene del resto nella prima parte (1,5-14; 2,1-4; 2,5-16). I dettagli stilistici evidenziano un talento simile a quello dei capitoli precedenti e la stessa abilita nell’uso dei parallelismi. L’assenza di connessione tra le esortazioni di 13,1-6 e la conclusione del capi- tolo 12 é solo apparente. Quando dopo aver detto: «Rendiamo culto in maniera gradita a Dio» (12,28) il predicatore continua in modo inatteso con un’esortazione all’«amore fraterno» (13,1), egli suggerisce ai suoi ascoltatori di mettere in rela- zione il culto reso a Dio ¢ Ia vita di carita. Per coloro che non lo avessero compreso, lo dira in modo esplicito un po’ pid avanti: «Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace» (13,16). Del resto, questi pochi versi presentano numerose affinita di temi con altri passi dell’omelia: atteggiamento di carita (13,1-3; cf. 6,10; 10,24; 12,14), solidarieta con i prigionieri (13,3; cf. 10,34; 11,36), giudizio di Dio (13,4; ef. 6,2; 9,27; 10,27.30- 31), distacco dalle ricchezze (13,5; cf. 10,34), fiducia nell’aiuto divino (13,6; cf. 2,18; 4,16). In breve, non c’é alcuna ragione di mettere in dubbio l’appartenenza di questi versi (13,1-6) all’ omelia iniziata in 1,1, continuata poi fino a 13,18 senza alcuna mescolanza di elementi epistolari. D/altra parte, la frase di 13,1 non é adatta a costituire l’inizio di una sezione im- portante dell’omelia. La sua forma ¢ troppo breve e il suo contenuto troppo ri- stretto. Il tema che esprime non indica quello dell’insieme del testo che segue. Questo, infatti, non sara una lunga esortazione all’amore fraterno. Eb 13,1 é solo V'inizio di un piccolo paragrafo (13,1-6) situato tra due altri pid importanti. Il bru- sco cambio di ritmo e di tema che si osserva tra 12,29 e 13,1 adempie un duplice tuolo: da una parte segna nettamente il passaggio da un paragrafo (12,14-29) al- Laltro (13,1-6); dall’altra attira l’attenzione sul rapporto paradossale che lega i due temi espressi I’uno dopo 1’altro: tra il culto (12,28) e la vita di carita (13,1-6), non ci deve piti essere separazione, ma piuttosto coincidenza. Abbiamo cosi completato l’esame della composizione della Lettera agli Ebrei, che é un’omelia accompagnata da un biglietto di accompagnamento. L’omelia é stata composta con grande cura. L’autore I’ha divisa in cinque grandi parti e, per ciascuna di esse, annuncia il tema prima di cominciare. Lo schema ottenuto é il se- guente: 36 LA LETTERA AGLI EBREI Esordio: Dio ci ha parlato nel suo Figlio (1,1-4) Annuncio del tema della prima parte: 1,4b Prima parte: Il «nome» di Cristo: cristologia generale (1,5—2,18) Cristo é Figlio di Dio (1,5-14) e fratello degli uomini (2,5-16) Questa duplice relazione fa di lui un mediatore tra Dio e gli uomini, un sommo sacerdote Annuncio del tema della seconda parte: 2,17 Seconda parte: Cristo ¢ un sommo sacerdote degno di fede ¢ misericordioso: cristologia sacerdotale, tratti generali (3,1-5,10) I*sezione: Cristo é sommo sacerdote degno di fede (3,1-6); appello alla fede (3,7-4,14) 2*sezione: Appello alla fiducia (4,15-16), perché Cristo é sommo sacerdote compassionevole; ha offerto e sofferto (5,1-10) Annuncio del tema della terza parte: 5,9-10 Terza parte: Cristo é il perfetto sommo sacerdote: cristologia sacerdotale, tratti specifici (5,11—10,39) Preambolo: Appello all’attenzione e alla generosita (5,11-6,20) 1* sezione: Cristo é un sommo sacerdote di tipo speciale (7,1-28) 2° sezior Cristo ha offerto un sacrificio di tipo nuovo (8,1-9,28) 3* seziot Vofferta di Cristo ¢ pienamente efficace (10,1-18) Epilogo: Invito all’unione con Cristo, nostro sommo sacerdote (10,19-39) Annuncio del tema della quarta parte: 10,36-39 Quarta parte: L’unione a Cristo sommo sacerdote mediante la fede e la perseve- ranza (11,1-12,13) 1° sezione: Elogio della fede degli antenati (11,1-40) Le realizzazioni e le prove della fede nell’Antico Testamento 2° sezione: —_Invito a imitare Cristo nella sua passione con la perseveranza nelle prove (12,1-13) Annuncio del tema della quinta parte: 12,13 Quinta parte: Invito a una condotta retta nella ricerca della santita e della pace (12,14-13,18) Ricerca della santita (12,14-29) e della solidarieta cristiana (13,1-18) Augurio finale e dossologia: Auspicio dell’aiuto divino per la mediazione di Gest Cristo (13,20-21a), dossologia (13,21b) Biglietto di accompagnamento (13,19.22-25): Esortazione, notizie, saluti. ‘LE GRAND! LINEE DELLA COMPOSIZIONE 37 Questo schema presenta pid di un aspetto degno di nota. E in stretto rapporto con la retorica biblica, perché é costruito in modo concentrico. Per la loro estensione e per il numero delle loro sezioni, quattro parti sono disposte in modo concentrico intorno a una terza parte, che é quella centrale. La prima e l’ultima parte sono brevi e l’annuncio del loro tema é semplice, senza distinzione di vari aspetti: il «nome» ereditato da Cristo (1,4), da una parte, le «piste diritte» per la condotta cristiana (12,13), dall’altra. Queste due parti hanno una disposizione identica: due paragrafi pid ampi (1,5-14 e 2,5-18; 12,14-29 ¢ 13,7-18) fanno da comice a un paragrafo molto pit breve (2,1-4; 13,1-6). La seconda e la penultima parte sono nettamente pit lunghe. L’annuncio del loro tema distingue due aspetti del soggetto che trattano: il «sommo sacerdote mi- sericordioso e degno di fede» (2,17), da una parte, «la perseveranza» e «la fede» (10,36.38-39), dall’altra. Conformemente a questi annunci, ciascuna di queste due parti é divisa in due sezioni; l’ordine dello sviluppo é inverso rispetto a quello del- l’annuncio: prima «sacerdote degno di fede» (3,1-6) e dopo «sommo sacerdote mi- sericordioso» (4,15—5,10); prima la «fede» degli antenati (11,1-40) e dopo la «perseveranza» dei cristiani (12,1-3). I rapporti tra queste due parti sono partico- larmente stretti, essendo entrambe composte da una lunga sezione (33 versetti; 40 versetti) seguita da una sezione breve (12 versetti; 13 versetti) e i temi di queste se- zioni si corrispondono: la fede nelle prime sezioni, l’atteggiamento davanti alla sofferenza nelle seconde sezioni. La parte centrale, con i suoi 132 versetti, é la pit lunga di tutte; ¢ cinque volte pit lunga della prima parte e tre volte piu lunga della seconda. E la sola a com- prendere cinque sezioni (due sezioni di esortazione e tre di esposizione dottrinale). Anche senza uno studio preciso della composizione dell’ omelia, ci si rende conto facilmente che le tre sezioni di esposizione dottrinale costituiscono in mezzo al- lomelia un blocco nettamente delimitato dalle sezioni di esortazione che la in- quadrano. Questo blocco omogeneo di 87 versetti é preceduto da 101 versetti e seguito da 110 versetti, due insiemi che, al contrario, presentano una struttura molto diversificata, in cui dei passi esortativi si alternano a delle esposizioni dottrinali. E chiaro che l’autore ha voluto prima di tutto comunicare ai suoi destinatari un insegnamento sostanziale di cristologia sacerdotale; ma questo insegnamento viene comunicato loro in modo pastorale e non cattedratico. Si preoccupa innanzitutto di nutrire la loro fede, avendo a cuore anche I’invito a vivere generosamente in con- formita al dono di Dio ricevuto nella fede. Capitolo 2 ESORDIO (11-4) E arrivato un apostolo itinerante. Egli si unisce alla comunita nella sua riunione, che comporta delle preghiere, la lettura di alcuni testi biblici, un’omelia e, proba- bilmente, la celebrazione della «cena del Signore» (cf. 1Cor 11,20). A tenere !’ome- lia viene invitato proprio l’apostolo itinerante. COMPOSIZIONE +1,| Molte volte e in diversi modi nei tempi antichi - Dio ha parlato aipadri nei profeti, +? ultimamente, in questi giorni, = ha parlato anoi _ in un Figlio, : che ha stabilito EREDE di tutte le cose e mediante il quale ha fatto i secoli, > e che, essendo irradiazione della sua gloria ed espressione del suo essere, tutto sostiene con la sua parola potente, = dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maesta nell’ alto dei cieli, = * divenuto tanto superiore agli angeli quanto molto diverso dal loro é il nome che ha EREDITATO. Questo esordio é un capolavoro. Grammaticalmente é costituito da una sola frase greca. La traduzione presentata non ¢ completamente fedele; il primo verbo, che in greco é un participio con il significato di «avendo parlato», é stato tradotto con V’indicativo «ha parlato», per snellire la frase. Lo stile, molto armonioso, ¢ comunque pili ebraico che greco, perché é forte- mente segnato dal parallelismo, in modo che il testo pud essere diviso in sei distici che formano due gruppi di tre (Lab, 2ab, 2cd ; 3ab, 3cd, 4ab). Nel primo gruppo di tre il soggetto di tutti i verbi 6 Dio («avendo parlato», «ha parlato», «ha stabilito», «ha fatto»). Nel secondo gruppo di tre distici, il «Figlio», rappresentato dal relativo «che», é il soggetto di tutti i verbi («essendo», «sostiene», «aver compiuto», «sedetten, «divenuto», «ha ereditato»). I due gruppi sono congiunti abilmente grazie alla successione di tre proposi- zioni relative, che sono tutte in rapporto con il «Figlio», ma in modo differenziato: 40 La LETTERA AGLI EBREL nelle prime due, che appartengono al primo gruppo, il relativo ~ quindi il «Figlio» —non é soggetto; é prima complemento oggetto, «che», e poi complemento di mezzo, «mediante il quale»; nella terza proposizione, invece, che corrisponde al se- condo gruppo, il relative «che» é soggetto. Ne consegue che, ponendosi da due differenti punti di vista, questo esordio pud essere diviso in due modi diversi: il primo, come abbiamo visto, basato sul soggetto dei verbi, distingue due gruppi di tre distici (1-2 e 3-4); il secondo, basato sulla serie dei tre relativi che qualificano il «Figlio» (2c-4), distingue un gruppo di due distici, che termina sulla parola «Figlio» (1-2b), e un gruppo di quattro, che comprende tutto il resto della frase (2c-4). : La successione delle tre proposizioni relative — le prime due (2c.2d) brevi; la terza (3-4) lunga — produce un forte movimento oratorio che termina sulla proclamazione del «Nome» (4b), ultima parola della frase greca. Questa si conclude dicendo: «ha ereditato un NOME»; l’originale greco produce un’allitterazione — keklér-onomé-ken, onoma — che contribuisce a sottolineare l’importanza del «Nome». Nel primo distico (lab) non c’é parallelismo nel senso proprio del termine, ma solo la disposizione binaria di due membri complementari: Dio, che molte volte e in molti modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti. Lo stesso avviene nel distico seguente (2ab): Ultimamente, in questi giomi, ha parlato a noi in un Figlio. Ma tra i due distici c’é un parallelismo: 2a corrisponde a 1a; 2b corrisponde a 1b. In 2a, il parallelismo con 1a é incompleto; da una parte, l’espressione «ulti- mamente, in questi ultimi tempi» corrisponde soltanto, in modo antitetico, a «nei tempi antichi» (in greco solo una parola: pa/ai); ma, essendo molto pit lungo di quest’unica parola, corrisponde, per il ritmo, all’insieme dello stico 1a. In 2b, al contrario, la corrispondenza di contenuto é perfetta: dopo l’azione, che é la stessa («avendo parlato», «ha parlato»), sono nominati i destinatari («ai padri», «a noi») e i mediatori («profeti», «Figlio»). Nel terzo distico (2cd) il parallelismo é di complementarita, tra due azioni di Dio che sono entrambe in rapporto con il Figlio ¢ l’universo; I’azione pit recente é espressa per prima (lo ha «stabilito erede di tutte le cose»); il pensiero risale poi al- lazione iniziale (mediale il quale «aveva fatto il mondo»). Alla complementarita si aggiunge una connotazione di antitesi tra l’aspetto iniziale (2d) e l’aspetto finale (2c). Nel quarto distico (3ab) si osserva prima un parallelismo complementare, al- l’interno del primo stico, tra le due espressioni che definiscono |’ essere del Figlio per la sua relazione con Dio («irradiazione della sua gloria» ed «espressione del suo essere»). Si osserva poi un altro parallelismo complementare tra i due stichi: il primo esprime — come abbiamo appena visto — la relazione del Figlio con Dio; il Esorpio Al secondo, la sua relazione con il mondo («tutto sostiene con la sua parola potente»). Questo secondo stico é, d’altra parte, in rapporto di complementarita con il se- condo stico del distico precedente (2d); entrambi mettono il Figlio in relazione con il mondo, l’uno (2d) nell’atto passato della creazione, l’altro (3b) nell’atto presente di sostegno assicurato al mondo. Dato che questi due stichi si trovano da una parte e dall’altra della definizione dell’essere del Figlio, ne risulta-che questa defini- zione occupa un posto centrale, cosa che non sorprende, perché costituisce effet- tivamente un vertice della rivelazione del Nuovo Testamento. E ancora un parallelismo complementare a caratterizzare il quinto distico (3cd). Esso esprime i due aspetti del mistero pasquale di Cristo: la sua vittoria sul male («dopo aver compiuto la purificazione dei peccati») e la sua glorificazione («se- dette alla destra della maesta nell’alto dei cieli»). Il sesto e ultimo distico (4a) sviluppa il tema della glorificazione. Dal punto di vista grammaticale e stilistico, pi complesso dei precedenti perché contiene una proposizione comparativa di proporzionalita («tanto superiore [...] quanto molto diverso»), che é molto rara nella Bibbia.! Tra l’ultimo distico e i primi due si pud osservare un certo rapporto di similitu- dine: i primi due suggeriscono — ma senza esprimerlo esplicitamente — un con- fronto tra il «Figlio» e «i profeti» che porta a riconoscere la superiorita del Figlio come mediatore della parola di Dio; l’ultimo distico confronta esplicitamente il Figlio con gli angeli, per affermare molto chiaramente la superiorita del primo. CONTESTO BIBLICO Tl testo dell’esordio, anche se non contiene alcuna citazione dell’ Antico Testa- mento, é plasmato di allusioni. II primo distico riassume tutta la storia della parola di Dio nell’ Antico Testamento. Ha un rapporto pit stretto con i testi di Geremia in cui Dio dice e ripete: «Da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto fino a oggi, io vi ho inviato con assidua premura tutti i miei servi, i profeti» (Ger 7,25, cf. 5,4; 26,5; 35,15; 44,4). Per ben interpretare il parallelismo stabilito nella frase tra i primi ¢ l’ultimo mediatore della parola di Dio — «i profeti» e il «Figlio» — bisogna ricordarsi dell’espressione di Geremia, che attribuisce ai profeti una posizione di «servi». I] parallelismo suggerito é quindi tra un «Figlio» e dei «servi». Lespressione «ultimamente, in questi giorni» (Eb 1,2a) proviene dalla versione dei Settanta, che ha messo in rilievo la portata «escatologica» di molti testi del- l’Antico Testamento. In greco l’espressione ha l’aggettivo eschaton, «ultimo»; cf. Nm 24,14: oracolo di Balaam sullo scettro che si levera da Israele; Ez 38,6: com- battimento contro Gog; Mi 4,1: elevazione straordinaria di Sion; Dn 2,28.45: il regno definitivo; Dn 10,14: gli eventi della fine. Aggiungendo «in questi giorni» l’autore afferma che la venuta del «Figlio» ha segnato I’inizio dei tempi escatolo- gici (cf. Eb 9,26; 1Cor 10,11). ' Nei Settanta si incontrano solo 3 casi simili: Tb 2,10s; Sir 3,18; 4Mac 15,5; nel Nuovo Testa- mento, un solo altro caso: Eb 10,25. 42 La LETTERA AGLI EBREI Il termine «Figlio» (Eb 1,2b) é una prima allusione all’oracolo del profeta Natan (2Sam 7,4-17; 1Cr 17,3-15), col quale Dio annunciava che un figlio di Davide sa- rebbe stato un figlio anche per lui stesso (2Sam 7,14; 1Cr 17,13). Questo tema viene ripreso in Sal 2,7. Appena dopo !’esordio, ’autore cita Sal 2,7 e l’oracolo di Natan. Il termine «erede» (Eb 1,2c) continua l’allusione al figlio di Davide — Figlio di Dio, perché Sal 2,8 gli attribuisce «per eredita le nazioni» e «per dominio i confini della terra». Il tema dell’erede e dell’ eredita fa la sua prima apparizione nella Bib- bia in Gen 15,4.7: promesse di Dio ad Abramo. Vallusione alla creazione (Eb 1,2d) riprende il verbo greco di Gen 1,1 (epoie- sen: «fece»), ma vi introduce un elemento di novita con il complemento: «i se- coli», invece de «il cielo ¢ la terra», Nella Bibbia il termine «irradiazione» (Eb 1,3a) si trova solo qui e in Sap 7,26, dove si applica alla Sapienza, «irradiazione della luce eterna». L'espressione «purificazione dei peccati» (Eb 1,3c) é molto rara nell’ Antico Te- stamento; ricorre infatti solo in Gb 7,21; ma espressioni simili sono usate nel Le- vitico a proposito della grande espiazione (Lv 16,30) c in Ezechiele per una promessa di Dio (Ez 26,25.33). L’affermazione principale, «sedette alla destra della maesta» (Eb 1,3d) ¢ una evidente allusione all’oracolo di Sal 109(110),1, in cui Dio invita il re di «Sion» (v. 2) a sedere alla sua destra. Quest’oracolo sara citato in Eb 1,13 e ricordato in Eb 8,1; 10,12 e 12,2. Esso prepara l’applicazione a Cristo del secondo oracolo con- tenuto nel v. 4 dello stesso salmo (Eb 5,6.10; 6,20; 7,11-28), oracolo di importanza fondamentale per il tema che |’autore si appresta a trattare, perché costituisce la base scritturistica della dottrina del sacerdozio di Cristo. INTERPRETAZIONE Il predicatore inizia la sua omelia con un’evocazione d’insieme del disegno di Dio. Le prime parole — in greco due avverbi uniti da una congiunzione — danno un’impressione di abbondanza e fanno pensare alla generosita di Dio. Questo ini- zio é conforme a un uso della retorica greca. Gli oratori greci iniziavano volentieri i loro discorsi con la parola «molti».? Ma la retorica biblica fa ugualmente la sua apparizione con un parallelismo tra «molte volte» e «molti modi». La nozione di molteplicita pud essere ambivalente. Alle numerose opinioni degli oratori che Pavevano preceduto, I’oratore greco opponeva la propria, a esse superiore. I] no- stro predicatore esprimera pil avanti un’ opposizione analoga tra la molteplicita inefficace dei sacerdoti e dei sacrifici dell’ Antico Testamento, e l’unicita efficace del sacerdozio e del sacrificio di Cristo (Eb 7,23-24; 10,11-12). Qui egli non esprime questa opposizione; la sua frase indica soltanto una successione: Dio aveva 2 Ad esempio, i discorsi areopagiti di Isocrate e la terza filippica di Demostene, Nel Nuovo Te- stamento inizi simili si trovano sotto la penna di Luca: discorso di un avvocato in At 24,2, risposta dell’apostolo Paolo in At 24,10; si veda anche il prologo del suo vangelo, L¢ 1,1. EsorDIo 43 parlato un tempo, parla di nuovo. Ma nel parallelismo tra il solenne «ultimamente, in questi giorni» e il semplice «nei tempi antichi» (greco: palai) é possibile perce- pire una sfumatura di superiorita, cosi come tra il «Figlio» e «i profeti». Il resto della frase mostra a che punto il «Figlio» é superiore ai profeti. Gli interventi di Dio nella storia umana sono presentati come interventi di pa- role; é una prospettiva che corrisponde molto bene alla rivelazione biblica. Il Dio della Bibbia é un Dio che parla agli uomini, che entra in comunicazione con loro, che moltiplica le occasioni di contatto. E un fatto stupefacente! Se si pensa alla grandezza, alla potenza e alla santita di Dio e si considera, d’altra parte, la picco- lezza, la debolezza e la miseria morale degli esseri umani, non si pud che restare stupiti nel vedere Dio mettersi in relazione personale con essi. Lo stupore cresce ancora di pitt quando ci si accorge che il disegno di Dio é di allacciare una relazione stabile, un’alleanza con questi esseri fragili e di introdurli in una comunione intima con lui. Dicendo che «Dio ha parlato» «ai padri» e poi «a noi», |’autore prepara il tema dell’alleanza. Essendo un progetto di relazioni personali, il disegno di Dio non si é realizzato con un discorso rivolto in modo impersonale all’umanita intera, ma con parole ri- volte a persone scelte, in precisi momenti storici, tramite dei mediatori della Parola. Non potendo entrare nei dettagli, l’autore si limita a una distinzione di due periodi, caratterizzati da due categorie diverse di destinatari e due tipi di mediatori. II primo periodo appartiene al passato ed é quello dei padri e dei profeti. Inizia con Mosé, profeta senza pari (cf. Dt 34,10; Os 12,14), e si estende per tutti i secoli seguenti fino ai tempi di Malachia. «I padri» sono quindi le generazioni di Israele di quei tempi. Per la mediazione dei profeti, e poi per quella del Figlio, l’autore usa un’espres- sione insolita: Dio ha «parlato nei profeti».? Questa espressione suggerisce la pre- senza attiva di Dio stesso nei suoi messaggeri e rende cosi pit stretta la relazione tra Dio e gli ascoltatori dei profeti. Il secondo periodo in cui Dio ha parlato viene qualificato, senza alcuna esita- zione, sia come escatologico che come presente. La tranquilla certezza dell’autore é impressionante. Essa manifesta una piena consapevolezza dell’importanza deci- siva e definitiva della venuta del «Figlio». Un’era nuova é iniziata ed é l’ultima. La parola «Figlio» non é preceduta dall’articolo determinativo. Questa assenza non significa che si tratta di un figlio tra altri. Il contesto mostra che essa vuole at- tirare ’attenzione sull’idea della filiazione e suscitare un desiderio di precisazione. In effetti, delle precisazioni vengono fornite subito dopo e riempiono tutto il resto della frase. La prima precisazione che viene fornita non orienta la mente verso |’idea di una filiazione esclusivamente divina, perché parla di una realizzazione nella storia. I] Figlio é qualcuno che Dio «ha stabilito erede di tutte le cose» (Eb 1,2c). Il tema del- l’eredita universale si trova in pieno accordo con la nozione del periodo escatolo- Normalmente si dice che Dio ha parlato «per mezzo dein profeti (ebraico: b’yad, greco: dia). Si trova «nei» in 1Sam 28,6; 2Sam 23,2. 44 La LETTERA AGLI EBREI gico. Secondo il Salmo 2, |’eredita universale é stata promessa da Dio al re che egli ha consacrato «su Sion, mia santa montagna» (v. 6), cioé a un figlio e successore di Davide. Dio gli dice: «Chiedimi e ti dard in eredita le genti; e in tuo dominio le terre pit lontane» (v. 8). Questo figlio di Davide é al tempo stesso Figlio di Dio; Dio stesso gli dichiara: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (v. 7). Ritrove- remo questo testo pil avanti, in Eb 1,5, e lo esamineremo allora pil da vicino. Loracolo del Salmo 2 non dice «erede di futte le cose». Quest’ultima espressione é in rapporto con il Salmo 8, che descrive la vocazione del «figlio dell’uomo» a do- minare «tutte le cose». Questo salmo sara citato e applicato a Cristo in Eb 2,6-10, esso amplia la prospettiva facendo passare dal figlio di Davide al figlio di Adamo. Una seconda precisazione trasporta gli uditori dell’omelia dal punto omega del- Veredita al punto alfa della creazione del mondo. Il «Figlio» é colui «mediante il quale» Dio «ha fatto i secoli», \etteralmente «gli eoni» (Eb 1,2d). Per parlare della creazione, l’autore adopera un termine misterioso, il cui primo significato é quello temporale, indicando un tempo di cui non si vedono i limiti; qui, come in altri testi, il termine indica al tempo stesso tutte le realta contenute in questo tempo. II plurale evoca l’immensita e la complessita della creazione. [1 «Figlio» é il mediatore della creazione (cf. Gv 1,3; 1Cor 8,6; Col 1,16); non é quindi un semplice figlio e suc- cessore di Davide adottato da Dio. Esisteva molto prima di Davide, prima ancora della creazione del mondo (cf. Gv 1,1-2; 17,5.24). Il modo in cui l’autore concepi- sce questa mediazione del Figlio sara precisato pit avanti, in Eb 1,10. Dal ruolo del Figlio nella creazione del mondo, |’autore si eleva a una contem- plazione dell’essere stesso del Figlio, che egli definisce per la sua relazione con Dio. Il Figlio ¢ «irradiazione della sua gloria ed espressione del suo essere (lette- ralmente: «impronta della sua sostanza»). Per la prima espressione, l’autore sem- bra ispirarsi alla descrizione che viene fatta della sapienza nel libro della Sapienza. Questa viene li chiamata «emanazione purissima della gloria dell’Onnipotente, [...] riflesso della luce perenne» (Sap 7,25-26). Piuttosto che «emanazione», l’au- tore ha scelto «irradiazione», che é meno materiale; piuttosto che «luce», ha scelto «gloria», termine pid divino. Poi, invece di dire «immagine della sua bonta», come in Sap 7,26, dice «impronta della sua sostanza». L’«immagine» viene disegnata a distanza e pud non essere fedele; |’«impronta» si ottiene per contatto diretto e ri- produce esattamente in rilievo tutti i tratti. La «bonta» é una virtd tra molte altre, la «sostanza», termine filosofico, designa |’ essere tutto intero nella sua realta pit profonda, L’autore ha cosi descritto nel modo piu stretto possibile la relazione che unisce il Figlio a Dio. Egli ritorna poi di nuovo alla.relazione del Figlio con il mondo, non pit al mo- mento della creazione come in 1,2d, ma lungo tutta l’esistenza dell’universo. Della Sapienza si dice che «si estende vigorosa da un’estremita all’altra e governa con bonta l’universo» (Sap 8,1). Del Figlio l’autore dice ancora di pit: é colui che «tutto sostiene», non con uno sforzo estremo, come l’eroe Atlante della mitologia, ma con la potenza della sua semplice parola. Questa potenza ¢ evidentemente di- vina; corrisponde alla potenza creatrice della parola di Dio: «Parla e tutto é creato, comanda ¢ tutto esiste» (Sal 33,9; cf. Gen 1,3.6.9; ecc.), Esorpi0 45 In 1,3c la frase non adopera piu il presente, come nel distico precedente (1,3ab), ma si esprime al passato per ricordare eventi di importanza capitale: l’opera del Fi- glio e la sua glorificazione presso Dio. L’autore omette di precisare che, per rea- lizzare la sua opera, il Figlio ha assunto una natura di sangue e di carne; lo dira pit avanti, in 2,14. Omette anche ogni allusione agli aspetti umilianti e dolorosi del mi- stero pasquale. Non dice che il Figlio ha sofferto ed é morto per i nostri peccati. Si mantiene nel registro positivo, come si addice a un esordio, e dice che il Figlio ha «compiuto la purificazione dei peccati». Questa formula generale, unica in tutta la Bibbia,‘ prepara discretamente il tema del culto e del sacerdozio, perché il voca- bolario di purificazione é molto usato nelle prescrizioni rituali; lo si trova, in par- ticolare, nella conclusione della liturgia del Kippur (Lv 16,30), che l’autore mettera in parallelismo con il sacrificio di Cristo (Eb 9,7-12.25), come pure in un impor- tante oracolo di Ezechiele (Ez 37,25) al quale l’autore fara allusione parlando di abluzioni «d’acqua pura» (Eb 10,22). La glorificazione di Cristo viene espressa come collocazione alla destra di Dio: «Sedette alla destra della maesta nell’alto dei cieli» (1,3d). Vi si riconosce facil- mente un’allusione a Sal 109(110),1, applicato spesso a Cristo nel Nuovo Testa- mento. La precisazione «nell’alto dei cieli» esclude ogni interpretazione terrena dell’oracolo del salmo: il Figlio non é andato a sedersi su un trono terreno, ma nei cieli. Nella sua risposta al sommo sacerdote nel processo davanti al sinedrio, Gest. annuncia un compimento celeste dell’oracolo («sulle nubi del cielo»: Mt 26,64), cosa che provoca I’accusa di blasfemia (Mt 26,65). La glorificazione del Figlio lo situa al livello di Dio. Lultimo distico (1,4ab) insiste'su questo punto precisando che il Figlio glorifi- cato é «divenuto superiore agli angeli». I] termine «divenuto» lascia intendere che, quando ha «compiuto la purificazione dei peccati», il Figlio si trovava parados- salmente in una situazione di inferiorita in rapporto agli angeli. Ma questo non viene detto; sara affermato pit avanti, in 2,9. L’esordio non pud spiegare tutto. D’altra parte non é necessario per gli uditori dell’omelia. Questi sanno molto bene di cosa il predicatore vuole parlare. La nuova superiorita del Figlio sugli angeli ¢ resa evidente dall’attribuzione a lui di un «nome». Questo termine, come abbiamo gia notato, ¢ messo in grande evi- denza dal suo posto finale nel testo greco e dal fatto che viene annunciato, all’ini- zio della frase, da un qualificativo enfatico: «molto diverso». Si potrebbe tradurre: «pit eccelso», significato possibile del comparativo greco diaphordteron, ma con- viene conservare |’idea di differenza, perché l’autore mostrera che il nome del Fi- glio glorificato contiene un aspetto di differenza. Una connotazione di eccellenza non é affatto esclusa, anzi viene suggerita. Dal punto di vista retorico, «molto di- verso» presenta il vantaggio di stuzzicare la curiosita degli ascoltatori, i quali aspet- tano delle spiegazioni su questo nome molto diverso. Essi possono capire che * Con «mio peccato», al singolare, ricorre una volta nella traduzione greca di Gb 7,21: «Perché non hai fatto oblio della mia iniquita ¢ purificazione del mio peccaio?». 46 La LETTERA AGLI EBREI l’autore, terminando cosi il suo esordio, annuncia il tema della prima parte della sua omelia (Eb 1,5~2,18). Questa spieghera quale nome il Figlio ha ricevuto in eredita. Il nome definisce la dignita di una persona, come pure le sue capacita di relazione. La prima parte definira la dignita ottenuta dal Figlio dopo la purificazione dai pec- cati e mostrera quali capacita di relazione ha acquisito. PRIMA PARTE Tl «nome» di Cristo: cristologia generale (1,5-2,18) Capitolo 3 IL NOME DIVINO DI CRISTO (1,5-14) Nel suo primo paragrafo (Eb 1,5-14), la prima parte del sermone (1,5—2,18) espone un primo aspetto del «nome» ereditato da Cristo alla fine del suo mistero pasquale, l’aspetto propriamente divino e quindi «molto diverso» dalla posizione degli angeli, nel senso della superiorita. COMPOSIZIONE Questo paragrafo si compone di tre unita. La prima (1,5-6) e l’ultima (1,13-14) sono brevi e fanno da cornice all’unita centrale (1,7-12), molto pid lunga. Ogni unita esprime un contrasto tra il Figlio e gli angeli, basato su frasi dell’ Antico Te- stamento. Primo contrasto (1,5-6) 7 Infatti, a quale DEG ANGEL! HA MAI DETTO: «Tu sei mio FIGLIO, oggi ti ho generato?» (Sal 2,7) E ancora: «do saré per lui padre ed egli sar per me FIGLIO?» (28am 7,14; 1Cr 17,13) § Quando invece introduce il primogenito nel mondo abitato, dice: «E si prostrino davanti a lui tutti GLI ANGEL! di Dio» (Dt 32,43). Secondo contrasto (1,7-12) i Mentre DEGLI ANGEL! dice: «Egli fa i SUOIANGELI simili a SPIRITI, e i suoi SERVITORI come fiamma di fuoco» (Sal 103,4) 8 al Figlio invece dice: «ll tuo trono, Dio, [8] nei secoli dei secoli!» E «Lo scettro dell’ equita é scettro del tuo regno. 9 Hai amato giustizia e odiato iniquita, percid, Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di esultanza, a preferenza dei tuoi compagni» (Sal 44,7-8). Hees «Tu, in principio, Signore, hai fondato Ja terra ei cieli sono opera delle tue mani. a Essi periranno, ma tu rimani; e tutti come un vestito si logoreranno. ua Come un mantello li avvolgerai, 50 IL «NOME» DI CRISTO: CRISTOLOGIA GENERALE (1,5-2,18) come un vestito anch’essi saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno fine» (Sal 101,26-28). Terzo contrasto (1,13-14) 8 Ea quale DEGLI ANGEL! poi ha mai detto: «Siedi alla mia destra finché io non abbia messo i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi?» (Sal 109,1) 14 Non sono forse tutti SPIRITI~SERVITORI, inviati per servizio a causa di coloro che devono ereditare la salvezza? Tra ’inizio del primo contrasto (1,5a) e l’inizio del terzo (1,13a) si nota uno stretto parallelismo sinonimico, abbellito da alcune variazioni stilistiche, soprattutto nell’ordine delle parole: «a quale/a quale», «mai/mai», «ha detto [aoristo]/ha detto [perfetto]», «degli angeli/degli angeli». Questa parallelismo adempie la funzione di inclusione generale: sentendo la do- manda retorica di 1,13a, simile a quella iniziale (Sa), gli uditori possono com- prendere che l’oratore introduce in questo modo I’ultimo elemento della sua dimostrazione. Un’inclusione con il termine «angeli» segna la delimitazione del primo contra- sto (1,5-6). Un’altra inclusione con le parole «spiriti» ¢ «servitori» unisce il se- condo e terzo contrasto (1,7-12 e 1,7-14); per «servitori» i termini greci sono leggermente diversi: un sostantivo in 1,7c, l’aggettivo corrispondente in 1,14a. In 1,5 le due citazioni sul Figlio sono disposte in modo da formare un’inclu- sione con il termine «figlio» (1,5b e 1,5e) e una disposizione in chiasmo (Figlio — generare: padre — Figlio). In 1,5 1,13 i testi citati riguardano il Figlio, ma sono introdotti da una domanda retorica sugli angeli; la risposta suggerita é evidentemente negativa: Dio non ha mai detto nulla di simile a un angelo. La disposizione generale é la seguente: Domanda sugli angeli (1,5a) citazioni sul Figlio (1,5b-c) glorificazione del Figlio (1,6a) citazione sugli angeli (1,6b) Citazione sugli angeli (1,7a-c) lunghe citazioni sul Figlio (1,8a-12c) Domanda sugli angeli (1,13-a) citazione sul Figlio (1,13b-4) domanda sugli angeli con ritomo alla citazione di 1,7b-c —(1,14a) transizione con una menzione sugli eredi della salvezza (1,14b). La maggior parte dei testi citati presentano dei parallelismi di tipo diverso: IL NOME DIVINO DI CRISTO 51 1. Parallelismo sinonimico, disposizione simile: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? (1,5de). Egli fa i suoi angeli simili a spiriti, € i suoi servitori come fiamma di fuoco (1,7bc). Lo scettro dell’ equita & scettro del tuo regno (1,8c). Tutti si logoreranno come un vestito come un vestito anch’essi saranno cambiati (1,11b.12b). 2. Parallelismo antitetico, disposizione simile: Hai amato giustizia ¢ odiato iniquita (1,9a). Essi periranno, ma tu rimani (1,1 1a). 3. Parallelismo complementare, disposizione simile: To saré per lui padre ed egli sara per me figlio (1,5de). 4. Parallelismo complementare, disposizione in chiasmo: Ja terra hai fondato ¢ opera delle tue mani sono i cieli (1,10ab). He Sistema a simmetria concentrica: (A) Essi periranno, (B) ma tu rimani; (C)e tutti come un vestito si logoreranno. (D) Come un mantello li avvolgerai, (C’) come un vestito anch’essi saranno cambiati; (B’) ma tu rimani lo stesso (A’) ei tuoi anni non avranno fine (1,11a-12c). La corrispondenza é antitetica tra (A) e (A’), sinonimica tra (B) e (B’) e tra (C) e(C’). Si nota un’alternanza regolare di terze persone plurali e di seconde persone singolari: essi (3*) — tu (28) — tutti (3*) — tu (28) - essi (3°) — tu (24) - gli anni (3°). Lelemento centrale (D) é il pit importante perché é il solo a esprimere un’azione del Figlio sui cieli e la terra: «li avvolgerai»; il verbo é alla seconda persona; ha un complemento alla terza. I cieli e la terra sono assenti dall’elemento finale (A’); 52 IL «NOME» Di CRISTO: CRISTOLOGIA GENERALE (1,5-2,18) sono sostituiti da un riferimento al Figlio: «i tuoi anni» (Jetteralmente: «gli anni di te»); la terza persona é li soggetto, la seconda complemento. Per ottenere questa simmetria, |’autore ha aggiunto un’espressione al testo del salmo: ha ripetuto «come un vestito» all’inizio di (C’). CONTESTO BIBLICO E INTERPRETAZIONE In questo paragrafo non é possibile separare interpretazione e contesto biblico, perché l’autore si limita a citare dei testi senza commentarli. Ovviamente egli li legge nel nuovo contesto storico risultato dalla venuta di Cristo, contesto di mistero pasquale, che egli ha appena ricordato alla fine del suo esordio (1,3). Notiamo prima una particolarita retorica del testo: per introdurre le sue citazioni scritturistiche, ’autore non usa mai «sta scritto», come fanno gli altri autori del Nuovo Testamento; usa il verbo «dire», il che da un contatto pit diretto con i testi esi armonizza meglio con una predicazione orale.' Il soggetto del verbo non viene quasi mai espresso; é necessario dedurlo a partire dal testo citato. Primo contrasto (1,5-6) La domanda retorica del v. 5 si ricollega con un «infatti» direttamente al!’ affer- mazione del versetto precedente. La risposta che essa sollecita deve quindi pro- vare che il Figlio ha effettivamente ereditato un nome «molto diverso» da quello degli angeli (cf. 1,4). Con questa domanda il predicatore suscita la cooperazione dei suoi ascoltatori. Questi, per poter dare una risposta, devono essere capaci di identificare i due testi citati, cioé di individuare da quali scritti sono tratti, la per- sona che li pronuncia, la persona alla quale si applicano e che, d’altra parte, fa loro verificare che simili dichiarazioni non sono. state mai rivolte a un angelo. Tutto questo suppone che gli uditori abbiano una buona conoscenza dei fondamenti bi- blici della catechesi cristiana. A dire il vero, i due testi citati non sono di difficile identificazione. II primo (1,5be) proviene dal salmo regale, il Salmo 2, compreso all’epoca in un senso messianico e applicato a Gest dalla comunita cristiana (cf. At 4,25-28; 13,33); il secondo proviene dall’oracolo divino trasmesso dal profeta Natan al re Davide (2Sam 7,5-17; 1Cr 17,3-15), oracolo che é alla base di tutta la corrente messianica. Tanto per il Salmo 2 che per l’oracolo di Natan, il contesto biblico afferma chia- ramente che colui che parla é Dio stesso, il «Signore» (Sal 2,7; 2Sam 7,4-5.8; 1Cr 17,3-4.7). Pid complesso é il problema riguardante Ja persona alla quale si appli- cano questi oracoli. [I senso originale non era direttamente messianico. L’oracolo di Natan prometteva a Davide una «casa» regale (2Sam 7,11.16), cioé una dina- stia che avrebbe continuato a regnare dopo di lui. Il Salmo 2 contiene il termine «messia» in ebraico, «cristo» in greco (Sal 2,2), ma, originariamente, questo ter- ' Lespressione «sta scritto» si trova una volta in Eb 10,7, ma é all’interno di un testo citato (Sal 39,9). IL NOME DIVINO DI CRISTO 53 mine era inteso nel senso di un’unzione ricevuta dal re al momento della sua in- coronazione (cf. Sal 1,6). Questi testi si prestavano comunque a un’interpreta- zione messianica, perché parlavano di un figlio di Davide il cui trono regale sarebbe stato stabile per sempre (2Sam 7,13). L’attesa di un re ideale, di un re- messia, s’impose a poco a poco. Lo si pud constatare confrontando la prima re- dazione dell’ oracolo (2Sam 7) con quella molto pid tardiva del Primo libro delle Cronache. In 2Sam 7,14 l’oracolo prevede che il figlio successore di Davide com- mettera delle colpe; il passo viene omesso nel testo di 1Cr 17,13: il re ideale, il re-messia, hon commettera colpe. D’altra parte, mentre in 2Sam 7,16 la conclu- sione dell’oracolo promette la stabilita alla casa di Davide e al suo regno, espres- sione intesa normalmente nel senso di una successione dinastica, in 1Cr 17,14 la stabilita viene promessa al figlio di Davide: «Io /o faré star saldo nella mia casa, nel mio regno; il suo trono sara sempre stabile». Nel Vangelo di Luca, il racconto dell’annunciazione afferma la realizzazione prossima di queste promesse. Un di- scorso dell’apostolo Paolo negli Atti degli apostoli applica a Gesu risorto |’ora- colo di Sal 2,7 (At 13,33). Gli ascoltatori del nostro testo (Eb 1,5) potevano quindi riconoscere subito l’ori- gine dei testi citati (Sal 2,7 e LCr 17,13), comprendere da chi erano stati pronunciati — da Dio stesso — e a chi si applicavano — al Cristo risorto. Potevano anche dare al predicatore la risposta che egli si aspettava: «Mai Dio aveva parlato in questo modo aun angelo»; in effetti, la Scrittura non riporta mai un oracolo simile rivolto a un an- gelo. Nella Bibbia qualche volta gli angeli sono chiamati «figli di Dio», al plurale (Gb 1,6; 2,1), ma in questa espressione il termine «figlio» non conserva il suo senso forte; come spesso in ebraico, esprime semplicemente l’appartenenza a una certa catego- ria, qui la categoria degli esseri celesti. Bisogna notare, a questo proposito, che la do- manda del predicatore non riguarda questa categoria nel suo insieme. E piti precisa: domanda se, tra gli angeli, se ne possa trovare uno al quale Dio si sia rivolto perso- nalmente per riconoscerlo come suo figlio, generato da lui. La risposta é negativa: non se ne trova nessuno. C’é quindi contrasto tra il nome del Figlio e quello degli an- geli; la relazione del Figlio con Dio é molto pit intima di quella degli angeli. Questa risposta negativa non viene espressa, il che corrisponde alla legge del ge- nere letterario; la domanda retorica suggerisce una risposta, ma |’oratore non la formula, lasciando questo compito agli uditori. L’oratore deve tuttavia confermare la risposta che ha suggerito. E quanto fa il nostro predicatore nel v. 6, che non é pit interrogativo, ma affermativo, ed esprime una relazione di completa subordina- zione degli angeli in rapporto al Figlio, nell’introdurre il Figlio «nel mondo abi- tato». Al Figlio viene attribuito un nuovo titolo, quello di «primogenito», allusione al Salmo 88(89), che ¢ una ripresa dell’oracolo di Natan. I] salmista in questo testo parafrasa l’annuncio della filiazione divina promessa al figlio di Davide; la pro- messa dell’oracolo: «Io saré per lui un padre ed egli sara per me un figlio» (Eb 1,5; 1Cr 17,13) diventa nel salmo: Egli mi invochera: «Tu sei mio padre, mio Dio ¢ roccia della mia salvezza». 54 IL «NOME» DI CRISTO: CRISTOLOGIA GENERALE (1,5-2,18) To fard di lui il mio primogenito, il pid alto fra i re della terra (Sal 88,28-29). La filiazione divina viene cosi presentata sotto un aspetto di partecipazione al potere di Dio. In rapporto all’oracolo di Natan, il salmo ha l’originalita di applicare la pro- messa della filiazione divina a Davide stesso e non ai «suoi figli» (Sal 88,31). La prospettiva ¢ analoga a quella della profezia di Ezechiele in cui Dio promette alle sue pecore che Davide sara il loro pastore (Ez 34,23-24). L’interpretazione mes- sianica di questi testi non poteva essere pit naturale e, per i cristiani, essa diven- tava cristologica: il novello Davide era il Cristo risorto. Questo é il significato adottato dal nostro predicatore. Parlando di introduzione del primogenito nel mondo, egli non si riferisce infatti all’incarnazione, ma alla risurrezione di Cristo e alla sua glorificazione. Ini effetti, pit avanti precisa che per «mondo abitato» egli intende il mondo escatologico (Eb 2,5), cioé la nuova creazione inaugurata dalla risurrezione di Cristo. La parola greca che adopera non é kosmos, come in Eb 10,5, ma oikoumené, termine che si presta a un’interpretazione escatologica. Un salmo dichiara, infatti: «Il Signore regna; egli ha stabilito 1’ oikoumene, che non vacillera!» (Sal 95,10; cf. 92,1). Nel momento in cui il Figlio viene glorificato come «primogenito», «il pit alto sui re della terra», gli angeli ricevono l’ordine di prostrarsi davanti a lui o di ado- rarlo, perché il verbo greco ha spesso questo significato. I predicatore cita qui una frase del cantico di Mosé (Dt 32) nella sua traduzione greca, frase che non si trova nelle nostre edizioni della Bibbia ebraica, ma che é stata trovata in un frammento ebraico di Qumran: Si prostrino davanti a lui gli angeli di Dio (Dt 32,43 LXX). Nel testo di Eb 1,6 il pronome «lui» («davanti a lui») é in relazione con «pri- mogenito». Si tratta di un’interpretazione innovatrice, che non manca di audacia, perché il contesto del cantico non suggeriva una distinzione tra due persone; ¢ da- vanti a Dio che gli angeli di Dio devono prostrarsi. La formulazione scelta ren- deva tuttavia possibile la distinzione ¢ il nostro autore non esita a farla. Applicando a Dio un testo che si riferiva a Dio, egli manifesta tranquillamente la sua fede nella divinita di Cristo. Questa fede, espressa nell’esordio (Eb 1,3a), sara riaffermata nei versetti seguenti (1,8-10). A fornire all’autore I’ occasione per esigere per il Cri- sto glorificato l’adorazione degli angeli di cui parla il cantico di Mosé é l’aspetto di giudizio escatologico espresso nel contesto (Dt 32,40-43). Dio annuncia li il suo intervento decisivo: «Prenderd in mano il giudizio» (Dt 32,41). I cristiani sanno che il giudizio é stato affidato da Dio a Cristo (cf. At 10,42; 17,31; Gv 5,22.27; 2Tm 4,1). Di conseguenza, Cristo ha diritto all’adorazione degli angeli. Il contrasto tra la posizione di Cristo e quella degli angeli é cosi espresso con una forza estrema. TL NOME DIVINo DI CrIsTO 55 Secondo contrasto (1,7-12) Nel secondo contrasto la superiorita del Figlio sugli angeli non si manifesta sol- tanto nel contenuto delle affermazioni che lo riguardano, ma appare anche struttu- ralmente dalla differenza di lunghezza dei testi citati: solo due righe per gli angeli, dodici per il Figlio. Il nome degli angeli serve da parola-gancio per assicurare la transizione tra la fine del primo contrasto (1,6) ¢ l’inizio del secondo, dove é ripetuto due volte (1,7ab). Il contrasto verte qui sulla stabilita ¢ l’autorita. Gli angeli sono esseri di- pendenti e malleabili, mentre il Figlio possiede |’autorita suprema e |’immutabilita. Per definire l’essere degli angeli il predicatore utilizza il distico di un salmo della creazione, che canta la gloria del Creatore e il suo potere su tutte le creature. Questo distico (Sal 10,3-4) pud essere compreso in diversi modi, perché i termini adoperati si prestano a vari significati ¢ la costruzione grammaticale é ambiva- lente. In greco, come in ebraico, uno stesso termine significa «messaggero» 0 «an- gelo» e un altro termine «soffio» o «spirito». E possibile quindi comprendere che Dio si serva dei venti come messaggeri 0 che renda i suoi angeli degli spiriti. La differenza sembra enorme, ma é opportuno notare che la mentalita antica non fa- ceva quelle nette distinzioni che si sono poi imposte in seguito. Quelli che noi chia- miamo fenomeni meteorologici erano considerati manifestazioni di potenze angeliche. E chiaro che il nostro autore prende il termine aggelos nel senso di «an- gelo», seguendo in questo la tradizione giudaica, che vedeva in questo testo un’at- testazione del modo in cui Dio si serviva degli angeli, dando loro diverse forme a seconda delle circostanze. Il breve commento che del distico viene dato pid avanti (Eb 1,14: «sono spiriti-servitori, inviati per servizio») dimostra che l’attenzione dell’autore era volta soprattutto al parallelismo tra «angeli» e «servitori», Gli an- geli non hanno una posizione di autorita, ma di servizio. Il Figlio, invece, ha una posizione di autorita sovrana. Per definire questa posizione, il predicatore si serve di vari versetti di due salmi, nella traduzione dei Settanta: Sal 44,7-8 e Sal 101,26-28. Il Salmo 44 non é messia- nico; é un epitalamio regale, un poema scritto per le nozze del re. Ma si presta a una lettura messianica perché idealizza il re, presentandolo come «il pit bello dei figli degli uomini [...] benedetto da Dio per sempre» (Sal 44,3). Il targum del Salterio at- testa una simile lettura, perché inserisce in questo v. 3 il titolo di «re-messia». Il primo versetto citato in Eb 1,8 contiene un altro titolo ed é percid adatto a de- finire un aspetto del nome di Cristo. Questo titolo é «Dio»: Il tuo trono, Dio, [é] per il secolo del secolo (Sal 44,7a). Questo titolo corrisponde esattamente all’affermazione che viene fata: solo Dio possiede un potere eterno. Assiso alla destra della Maesta divina nell’alto dei cieli (Eb 1,3), il Figlio é Dio con Dio. Alcuni traduttori e commentatori esitano ad accettare questa interpretazione, ri- tenendo inverosimile che un salmo regale attribuisca al re il titolo di «Dio», per- 56 IL «NOME» DI CRISTO; CRISTOLOGIA GENERALE (1,5-2,18) ché, secondo loro, una tale atiribuzione é incompatibile con il monoteismo biblico. Essi fanno notare che la frase, essendo ellittica, pud essere tradotta diversamente: II tuo trono [é] Dio per il secolo del secolo. Ma questa loro traduzione non é sostenibile, in quanto presenta Dio come un trono sul quale il re é assiso! Nessun testo della Bibbia presenta un’aberrazione si- mile. D’altra parte, é facile rispondere alle obiezioni sollevate contro !’attribuzione al re del titolo di «Dio». Questo titolo, infatti, nella Bibbia non é riservato al Dio unico; lo si trova applicato a delle persone umane (cf. Sal 81,6; Es 4,16; 7,1). Il suo uso nel Salmo 44 é iperbolico, come |’affermazione nella quale é inserito: il trono del re ¢ dichiarato eterno; non lo é nel senso letterale, ma il linguaggio di corte esi- geva queste esagerazioni. Applicata a Cristo risorto, l’affermazione perde il suo carattere iperbolico e di- venta l’espressione di una realta autentica, perché il regno di Cristo non si situa pit al livello terreno, ma al livello propriamente divino; non é pit limitato alla breve durata di una vita umana; Cristo ha varcato vittoriosamente |’ ostacolo della morte ¢ la sua umanita rinnovata partecipa ora dell’ eternita divina. Il seguito della citazione aggiunge delle precisazioni sul potere regale di Cristo. Dicendo: «Lo scettro dell’equita é scettro del tuo regno», il predicatore non dice semplicemente che il potere regale di Cristo é un potere giusto, uno tra gli altri; af- ferma che é il potere giusto, il che suggerisce che si tratta del potere divino, per- ché il solo potere perfettamente giusto é quello di Dio. Il Salterio greco dice e ripete che Dio giudica’«con rettitudine (en euthytetiy» (Sal 9,9; 66,5; 95,10; 97,9). Il versetto seguente (1,9) evoca per sottintesi la passione di Cristo e, pit chia- ramente, la sua glorificazione. Non parla di sofferenze, e questa astensione con- viene qui al nostro autore, che vuole riservare questo aspetto al secondo paragrafo dottrinale (2,5-18). Il salmo parla di amore della giustizia e di odio dell’iniquita. La sfumatura espressa dalla traduzione greca ¢ quella di un intervento passato (ao- risto) che ha manifestato questo amore € questo odio. All’intervento generoso di Cristo Dio ha risposto donandogli un’unzione. L’espressione del salmo é originale: «Ti ha consacrato con olio di esultanza». Al- cuni ’intendono nel senso di preparazione a una festa: ci si profumava per festeg- giare. Ma il verbo scelto (ebr. maSah; greco chriein) é quello dell’incoronazione regale (1Sam 10,1; 15,17; 2Sam 12,7; Sal 89,21). La nota di allegria che l’accom- pagna significa che l’incoronazione del re fa scaturire la gioia del re stesso e quella ? La forma dei due verbi in ebraico ammette diverse interpretazioni, perché si tratta di verbi che esprimono dei sentimenti. In casi simili, il perfetto cbraico pud esprimere uno stato che dura nel pre- sente indeterminato (molti traduttori moderni optano per questa possibilita e traducono: «Ami la giu- stizia...») o riferirsi a delle azioni passate. I Settanta hanno scelto questa seconda soluzione, forse perché si accorda meglio con il seguito del testo, che parla di un’azione di Dio ben determinata: «il / suo Dio ti unse...». IL NOME DIVINO DI CRISTO 57 di tutto il suo popolo. La lettura messianica, e poi cristologica, del salmo trova nei verbi scelti un forte punto di appoggio, infatti la parola «messia» deriva dal verbo ebraico e la parola «Cristo» dal verbo greco. II nome di Cristo appare esplicita- mente all’inizio della seconda parte, in Eb 3,6, e ritorna spesso in seguito; in tutto ricorre dodici volte nel sermone. L’unzione divina da al Figlio glorificato la superiorita sui suoi «compagni». Nel contesto originale del Salmo 89 il testo ha di mira altri principi. Il salmo parla di una superiorita di Davide sui «re della terra» (Sal 89,28). I contesto del sermone porta a un’interpretazione celeste e quindi a un’applicazione del ter- mine «compagni» agli angeli. In questo contesto, l’espressione del salmo si trova in relazione con l’ultima affermazione dell’esordio, che afferma la superiorita del Figlio sugli angeli (1,4). La citazione seguente esprime un altro aspetto del nome del Figlio, perché gli assegna il titolo di «Signore» ¢ ne spiega il significato. E sorprendente qui il fatto che l’autore applica al Figlio — cioé, in realta, al Cristo risorto — un testo di salmo che parla di Dio. In ebraico la prima parola di questo salmo é il nome proprio di Dio, YHWH, nome che poi viene ripetuto non meno di sette volte (Sal 102,2.13.16.17.20.22.23). La situazione é molto diversa nella traduzione greca, perché questa sostituisce il nome sacro con il titolo Kyrios, «Signore». Ne conse- gue che una lettura cristologica é possibile. Gesu, infatti, é stato stabilito da Dio «Cristo e Signore» nella sua glorificazione pasquale (At 2,28) e i cristiani hanno compreso che il titolo di Signore é da intendere nel senso pit. forte, il senso pro- priamente divino. L’inno cristologico della Lettera di Filippesi proclama che Gest Cristo ha diritto, in quanto Signore, agli omaggi che il Dio unico riserva a lui sol- tanto (Fil 2,10-11; cf. Is 46,22-23). Nel Sal 101,26-28 l’autore vede quindi una de- finizione della signoria del Cristo risorto. In questo egli é aiutato dal fatto che un versetto dello stesso salmo adopera il verbo che in greco é utilizzato per dire «ri- suscitare». Invece di tradurre: «Tu, alzandoti, avrai pieta di Sion» (Sal 101,14), é possibile tradurre: «Tu, risorto, avrai pieta di Sion». Il testo citato si divide chiaramente in due parti. La prima (Eb 1,10; Sal 101,26) evoca la creazione del mondo; la seconda (Eb 1,11-12; Sal 10,27-28) annuncia la sua sparizione. Abbiamo visto sopra che la disposizione del testo indica questa di- visione. Le due parti hanno in comune la messa in evidenza del pronome «tu»; & la prima parola della citazione («7Zu, in principio, Signore...) e si ritrova nel se- condo versetto (in greco «le tue mani» si dice «le mani di te»). Una stretta relazione viene cosi espressa tra il «Signore» e le creature. In altri contesti, questa relazione viene compresa come una garanzia di stabilita: «YHWH regna, ha stabilito il mondo, incrollabile» (Sal 96,10; cf. 93,1). Qui si ha la sorpresa di trovare la pro- spettiva inversa: la seconda parte del testo annuncia il crollo del cielo e della terra ed esprime un forte contrasto tra essi ¢ il Creatore: «Essi periranno, tu, invece, ri- mani» (1,11). Il pronome «tu» viene cosi messo nuovamente in grande risalto. Lo stesso avviene nuovamente alla fine: al cambio che subiranno la terra e il cielo («come un vestito anch’essi saranno cambiati») si oppone l’immutabilita e la pe- rennita del Signore («ma tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno fine»). Il verso 58 IL «NOME» DI CRISTO: CRISTOLOGIA GENERALE (1,5—2,18) centrale di questa unita concentrica completa il quadro mostrando che la sorte del cielo ¢ della terra sara fissata dal Signore: «Come un mantello li avvolgerai». E certamente questa affermazione escatologica che conduce l’autore ad appli- care a Cristo questo passo del salmo. La risurrezione di Cristo, infatti, ¢ stata com- presa — l’abbiamo gia detto — come un intervento di Dio che faceva di Cristo il giudice escatologico. L’autore riprende qui, a questo proposito, le due prime af- fermazioni che ha pronunciato sul Figlio, erede universale e mediatore della crea- zione (Eb 1,2bc). Questa volta le mette nel loro ordine cronologico, parlando prima della creazione e poi della trasformazione finale. D’altra parte, non si limita a ri- petere quello che ha gia detto, ma afferma di pid. In Eb 1,2c presenta il Figlio come mediatore della creazione, «mediante il quale» Dio «ha fatto i secoli». Qui (1,10) egli rivela in che senso bisogna intendere questa mediazione. Non si tratta di un’at- tivita di secondo grado, ma di una piena partecipazione all’azione creatrice di Dio: il Figlio é stato Creatore con il Creatore, cosi come é Dio con Dio. In tutto il Nuovo Testamento non si trova alcun altro testo che affermi con tanta forza il ruolo del Fi- glio nella creazione dell’universo. Nemmeno il prologo del quarto vangelo si esprime con tanta chiarezza, dicendo soltanto che tutto é stato fatto «per mezzo del» Verbo (Gv 1,3; in greco: dia); lo stesso dicasi dell’inno cristologico della Let- tera ai Colossesi (Col 1,16). Per l’aspetto escatologico della posizione del Figlio, la frase del v. 12a presenta, anch’essa, un’affermazione pit forte di quella del v. 2b. Si passa dalla posizione di erede universale (Eb 1,2b) a quella di padrone assoluto del cielo ¢ della terra, che mettera fine alla prima creazione, attribuendo tutta la scena alle realta escatologi- che, la nuova «ecumene» (cf. 1,6; 2,5) dove la sua risurrezione |’ha introdotto. EB evidente che nulla di simile pud essere detto degli angeli. Terzo contrasto (1,13-14) Introdotto da una domanda retorica simile a quella del primo contrasto (1,5a), il terzo contrasto richiede lo stesso genere di cooperazione da parte degli uditori: essi devono riconoscere la provenienza del testo citato, identificare colui che parla e colui al quale il testo é rivolto, verificare, d’altra parte, se nulla di simile sia mai stato detto a un angelo. Il testo citato ¢ facilmente identificabile, perché si tratta di un versetto di salmo utilizzato spesso nella catechesi primitiva, che lo applica a Gest risorto (Sal 109[110],1; cf. Mt 22,44 e par., 26,64 e par.; At 2,34-35; Rm 8,34; 1Cor 15,25). Vinizio di questo versetto dice chi é colui che parla: «Oracolo di YHWH» (in greco: «ll Signore ha detto»), e colui al quale viene rivolta la parola: «al mio Signore». Come nel caso del Salmo 2, citato dopo la prima domanda retorica (Eb 1,5be), la citazione é tratta da un salmo di intronizzazione regale, che si prestava a un’in- terpretazione messianica. L’invito a sedere alla destra di Dio significava che il po- tere del re era una partecipazione al potere di Dio. Di Salomone, il Primo libro delle Cronache afferma che é stato «scelto per sedere sul trono del regno di YHWH. su Israele» (1Cr 28,5) o perfino che «sedette sul trono di YHWH per regnare al TL NOME DIVINO Di CRISTO 59 posto di Davide suo padre» (1Cr 29,23). Del resto, & stato notato che a Gerusa- lemme il palazzo reale era costruito alla destra del tempio, in modo da poter dire che il re sedeva alla destra di Dio. Il messianismo terreno non andava al di la di simili rappresentazioni; ma la si- tuazione cambia completamente quando I’oracolo del salmo viene applicato a Cri- sto risorto. Questi, infatti, non si trova pit al livello terreno: é assiso alla destra di Dio. II predicatore I’ha ricordato al suo uditorio fin dall’esordio (Eb 1,3); lo ripe- tera al centro del suo sermone (8,1). Ne consegue che, in questo nuovo contesto, Voracolo manifesta tutta la sua potenzi: trascendente e rivela l’infinita supe- riorita del Figlio sugli angeli. Nessuno di questi, infatti, é stato mai invitato a se- dere sul trono celeste di Dio. Questa é la risposta suggerita dalla domanda retorica; essa viene confermata dall’analisi dei testi. Gli ascoltatori lo sano: quando nella Scrittura degli angeli sono presentati presso Dio, non stanno mai seduti, ma in piedi (cf. 1Re 22,19; Is 6,1). Per concludere il contrasto, il predicatore non cita questa volta un nuovo testo, come ha fatto nel primo contrasto (cf. Eb 1,6), ma rimanda a un testo gid citato (Sal 103,4; Eb 1,7) con una nuova domanda retorica, che ha in questo testo la sua ri- sposta: Non sono forse tutti spiriti-servitori, inviati per servizio a causa di coloro che devono ereditare la salvezza? (1,14). Al testo di riferimento la domanda aggiunge alcuni elementi: esplicita la no- zione di servizio (diakonia), contenuta nell’altro nome dato agli angeli dal testo ci- tato (Jeitourgous, «servitori»). Precisa infine a chi va questo servizio: «coloro che devono ereditare la salvezza», cioé le persone umane chiamate da Dio. Questa an- notazione prepara il paragrafo seguente, che infatti riguardera queste persone umane. Gli uditori sanno cosa il predicatore intende con il termine «salvezza». Lo ricordera loro pid avanti: la salvezza é la liberazione dal male e da tutte le sue con- seguenze e, d’altra parte, il libero accesso presso Dio. Termina cosi questo paragrafo (Eb 1,5-14) che, citando la Scrittura, ha espresso egregiamente l’aspetto divino del nome di Cristo risorto ¢ ha dimostrato cosi la sua infinita superiorita sugli angeli. Cristo é Figlio di Dio, il primogenito, creatore del cielo e della terra, giudice escatologico, Signore intronizzato presso Dio. Di nessun angelo si pud affermare qualcosa di simile. Capitolo 4 PRIMA ESORTAZIONE (2,1-4) Preparato dalle ultime parole del primo paragrafo, che hanno parlato di «coloro che devono ereditare la salvezza» (Eb 1,14), il secondo paragrafo assume il tono dell’esortazione, ma alla prima persona plurale («noi»: 2,1.3), con la quale il pre- dicatore si annovera modestamente nella stessa categoria dei suoi ascoltatori. Il legame con il contesto precedente ¢ assicurato in molti modi: 1) un «per questo» iniziale presenta l’esortazione come una conseguenza logica della dottrina che é stata appena esposta; 2) il tema della «salvezza», introdotto dall’ultima parola di Eb 1,14, viene ripreso con enfasi («una salvezza cosi grande») in Eb 2,3; 3) il titolo di «Signore» dato al «Figlio», cioe al Cristo risorto, in Eb 1,10 ed evocato in Eb 1,13 dalla citazione di Sal 109(110),1 rivolta al «mio Signore», é ripreso in Eb 2,3; 4) il confronto tra Cristo e gli angeli prosegue in un ragiona- mento a fortiori, basato implicitamente sulla superiorita del «Signore» sugli «an- geliv. COMPOSIZIONE Questo breve paragrafo, la cui composizione denota la mano di.un maestro, si presta ad analisi minuziose.! E composto da due frasi. La prima (2,1) esprime so- briamente la necessita dell’adesione al messaggio. La seconda, cinque volte pitt lunga (2,2-4), dimostra questa necessita con un ragionamento a fortiori, presentato con una domanda retorica che suscita la cooperazione degli uditori. Dal punto di vista retorico, questa seconda frase é animata da un grande estro, specialmente nella sua seconda parte, dove l’importanza della «salvezza» viene sottolineata da un triplice sostegno («il Signore», «coloro che l’avevano ascoltata» e «Diow), l’ul- timo dei quali é amplificato in quattro membri. 2,1 Per questo — bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno + alle cose che abbiamo ascoltato, = per non FUORVIARCI. 2,2 + Se, infatti, la parola annunciata e2Mezz0 Dec.iANce —_dlivenne efficace, —¢ ogni frasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta retribuzione, "Cf. P. AUFFRET, «Note sur la structure littéraire d°Hb II.1-4». 62 IL «NOME» DI CRISTO: CRISTOLOGIA GENERALE (1,5-2,18) 2,3 = COME POTREMO NOI SCAMPARE — se avremo frascurato una Salvezza cosi grande, + che, annunciata all’ inizio DAL SIGNORE, + fu, per mezzo di coloro che I’avevano ascoltata, tesa efficace per noi 24 mentre Dio ne dava testimonianza con segni e prodigi miracoli d’ogni genere € ripartizioni di spirito santo secondo la sua volonta? Dopo il «per questo» di transizione, la prima frase (2,1) comprende tre elementi: Vadesione necessaria, il messaggio ascoltato, il pericolo da evitare. Questi ele- menti sono ripresi in modi diversi nella seconda frase. L’adesione viene ripresa in modo antitetico, opponendo a essa la «trasgres- sione e disobbedienza» (2,2b) cosi come la negligenza, in rapporto alla salvezza (2,3b). Il «messaggio ascoltato» é messo in rapporto con «la parola trasmessa per mezzo degli angeli» (2,2a), poi con la «salvezza» (2,3b), anch’essa «annunciata» (2,3c) e «ascoltata» (2,3d); la fine della frase completa la prospettiva, aggiungendo l’idea della testimonianza e quella degli strumenti adoperati per testimoniare (2,4). Il pericolo da evitare ¢ evocato dapprima dall’allusione all’ «efficacia» della pa- rola (2,2a), poi definito pit chiaramente dalla menzione della «giusta punizione» per le colpe (2,2b), incluso infine nell’idea terrificante che difficilmente si potra «ascampare» (2,3). Nel v. 2 si nota una simmetria parallela di disposizione tra le due proposizioni condizionali (soggetto, predicato; soggetto, predicato). Ma i rapporti di significato sono antitetici per i primi membri: alla «parola annunciata per mezzo degli angeli» si oppone «ogni trasgressione e disobbedienza»; sono sinonimici per i secondi membri: «divenne efficace» é ripreso e precisato dalla menzione di una «giusta re- tribuzione». Le due condizionali formano la protasi del periodo; esse sono seguite dall’apo- dosi, che consiste in una lunga domanda retorica («come potremo noi scam- pare...?»). Questa riprende, in ordine concentrico, gli elementi della protasi. AlVidea della «giusta punizione» (2,2b) corrisponde subito la preoccupazione di «scampare» a essa (2,2a), cosa che si rivela difficile. Questo inizio della domanda retorica é i] punto forte del periodo, destinato a impressionare fortemente gli udi- tori: come potranno scampare? Viene poi la menzione della colpa commessa: «aver trascurato» (2,3b) é in pa- rallelismo con «ogni trasgressione e disobbedienza» (2,2b). La colpa non é iden- tica, perché non é in rapporto con una «parola» che comanda, ma con una «salvezza» che é offerta. Non si trasgredisce un’ offerta di «salvezza», la si «tra- scura» e, trascurandola, ci si condanna a non essere salvati. Tra la «salvezza» e la «parola» il predicatore stabilisce un parallelismo, perché dice che la «salvezza» 6 stata «annunciata» come era stata «annunciata» la parola.

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