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Coroso 2 ETICA E ATTIVITA’ PROFESSIONALE

I - L’etica e l’etica applicata


Tra i grandi temi dibattuti, a partire soprattutto dagli anni novanta dello scorso secolo, il
rinnovato interesse per l’etica dell’economia e della finanza e quello per l’etica delle professioni
intellettuali sembra trovare la sua ragione nella profonda trasformazione tecnologica, nelle
innovative conoscenze e nelle comunicazioni in tempo reale, che hanno creato nei paesi ad economia
avanzata le condizioni di un duraturo sviluppo economico-sociale.
L’etica è stata intesa per lungo tempo come riflessione speculativa intorno al
comportamento pratico dell’uomo, considerato sulla base di principi morali universali – affermati
per primo da Socrate - essenziali ed intangibili, uguali per tutti, sostenuti dalla concezione kantiana
di un’unica morale razionale, fondata su solidi principi mutuati dalla tradizione filosofica.
Nel novecento si rompe questa concezione e si affermano le idee proprie del “relativismo
etico”. All’universalismo etico ed al rigore kantiano si sostituisce un pluralismo di regole morali
relative ai diversi tipi di società ed ai diversi momenti storici.
Il novecento non rappresenta però il secolo della crisi, o peggio, la distruzione dell’etica
ma è piuttosto quello della sua ricostruzione, alimentata soprattutto dall’affermarsi della “filosofia
dei valori” , secondo la quale i fini dell’uomo debbono essere subordinati ai “valori”, che debbono
costituire sistemi abbastanza stabili all’interno dei quali i fini possono essere uniformi.
E’ immanente quindi un’etica che avverte segnali d’allarme per la società nei
confronti dell’innovazione tecnologica che sembra tendere a marginalizzare l’apporto dell’uomo ai
processi di sviluppo, nei quali l’elevata tecnologia valorizza le elitès di scienziati, managers e
supertecnici e trascura l’uomo comune.
E’ l’etica che invia segnali preoccupanti sul divario tra le capacità di crescita
produttiva esponenziale dei paesi avanzati e le carenze strutturali, culturali e di risorse materiali
dei paesi poveri.
Ed è ancora l’etica delle grandi preoccupazioni ecologiche e dei contrasti alla
grande globalizzazione dei mercati e della finanza, in cui si avvertono le contraddizioni tra le denunce
del sottosviluppo e della fame dei paesi del terzo mondo e l’avversione agli esperimenti transegici,
oppure tra l’esplosione demografica, la ricerca medico-genetica ed il controllo delle nascite.
In tale contesto, uno degli sviluppi più interessanti dell’etica è costituito dall’”etica applicata”,
che consiste nella costruzione di regole morali, di comportamento, adatte a campi particolari,
soprattutto aggregabili nella bioetica, nell’etica ambientale, nell’etica degli affari, nell’etica pubblica,
ciascuna con le proprie specificità e problematiche sulla conciliabilità con i valori etici.
Essa in tal modo interferisce – e qui entriamo nel vivo del tema – con le etiche professionali
dei medici, degli operatori economici, dei managers e dei professionisti delle aree economico-
giuridiche, della pubblica amministrazione e similari.
Le etiche professionali tradizionali già contengono però le norme di comportamento connesse
alle esigenze tecniche dei singoli settori, da una parte volte a salvaguardare gli interessi specifici, di tipo
corporativo, di ciascuna aggregazione professionale, e dall’altra a regolare la correttezza dei
rapporti tra professionisti e clienti.
L’etica applicata costituisce allora una sorta di “supplemento morale” alle etiche
professionali tradizionali con l’intendimento di apprestare delle difese contro le minacciose ombre che
sembrano profilarsi nella società scientifico-tecnologica contemporanea: la biomedicina ad altra
tecnologia, la genetica, la globalizzazione incontrollata dei mercati, l’intervento pubblico invasivo e
liberticida.
Principio filosofico per il quale è proprio nella realtà, composita ed articolata, piacevole o
dolorosa, trasparente o velata, che l’etica deve radicarsi e trarre i valori che debbono tradursi in
regole di comportamento per essere in grado di svolgere la propria funzione di guida ed
orientamento dei comportamenti umani.
Anche per l’etica applicata alle professioni si parla di globalizzazione, intesa però
positivamente come affermazione di valori comuni, quali la legalità, la trasparenza e la
moderazione nella competizione.
In questa direzione sembrano essersi mosse le professioni regolamentate in ordini allorché
hanno previsto e realizzato codici deontologici, che altro non rappresentano che regole di
comportamento etico-professionali - diverse da quelle di natura tecnica, proprie di ciascuna
professione - alle quali gli iscritti agli albi professionali debbono conformare il proprio agire
e la propria attività professionale.
E così, ad es., le norme di deontologia professionale approvato dal Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti, vengono considerate “regole di condotta caratterizzate da un contenuto
etico- sociale con valore precettivo”.
La natura precettiva, e quindi vincolante delle norme deontologiche per gli iscritti all’albo, a
pena di applicazione di sanzioni anche severe – fino alla radiazione dell’albo – implica
un’uniformità di comportamenti alla cui osservanza è subordinata la permanenza nel contesto
ordinistico delle professioni.
Esse tendono a perseguire tanto la salvaguardia delle posizioni e degli interessi particolari dei
terzi (colleghi, altri professionisti e clienti) sottesi al corretto esercizio della professione, quanto la
tutela degli interessi generali dei consumatori-clienti.
Interessi che, pur se potenziali ed eventuali, hanno una valenza generale e quindi
rilevanza pubblicistica, meritevole di tutela specifica in parte rimessa all’autoregolamentazione e
talora alla norma giuridica primaria.
E coerentemente, quindi, va salutato con soddisfazione il consolidarsi della giurisprudenza
di legittimità, appena ribadita con argomentazioni convincenti, che ha confermato il potere degli
ordini professionali di emanare norme di deontologia vincolanti per i singoli professionisti e
qualificate come norme giuridiche vincolanti nell’ambito dell’ordinamento di categoria, avendo
fondamento nei principi dettati dalla legge professionale.
II. L’etica della professione e l’etica nella professione
Nel rapporto tra etica e professione occorre distinguere i valori etici essenziali ed astratti
della concezione della vita professionale, intesa come attività programmata, (etica della professione)
e quelli che informano il concreto svolgimento della professione (etica nella professione).
Valori che dovrebbero in linea di principio coincidere dovendo i comportamenti attivi
del professionista, nell’esercizio della sua attività, misurarsi costantemente alla stregua dei principi etici
della professione.
Sennonché avviene talvolta che i comportamenti concreti risentano di convincimenti in ordine
ad altri e concorrenti principi etici ovvero di confuse percezioni di quelli, soprattutto se i valori di
riferimento sono generali o attengano alla tutela di interessi generali non immanenti, mentre più
diretta ed immediata è la percezione di quei valori connessi ai rapporti intersoggettivi.
Può quindi coesistere una pluralità di norme deontologiche professionali (etica professionale) e
di altre regole di natura etica, eteroprofessionali, aventi valenza generale o validate in altri comparti
sociali o umani non sempre conciliabili o comunque compatibili con la prima.
Ad esempio il diritto del cliente alla riservatezza più completa su fatti e situazioni che vengono
alla conoscenza del suo professionista di fiducia può talora confliggere con l’interesse pubblico
alla tutela di valori essenziali, come quelli del contrasto al riciclaggio del denaro sporco.
Dopo che sarà stata recepita la direttiva sull’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette a
carico di Notai, avvocati e commercialisti, si porrà in concreto il problema della inapplicabilità della
norma deontologica della riservatezza quando sussistano i motivi di deroga previsti dalla legge.
Riemerge perciò il relativismo etico che postula la possibilità che possa esistere una molteplicità
di regole morali diversificate a seconda delle situazioni che si manifestano e del contesto storico in cui
si manifestano, in relazione alla valutazione morale di comune apprezzamento che ne è data.

III. L’etica professionale: i principi di deontologia


1. I principi di comportamento di carattere generale
Tra i valori essenziali ed irrinunciabili di carattere generale, costituenti obblighi di
natura deontologica, che debbono essere alla base del comportamento di qualsiasi soggetto che svolga
una qualsivoglia attività che implichi relazioni esterne, e quindi anche da parte dei professionisti
vanno segnalati quelli della buona fede, della correttezza, della lealtà e della sincerità. Si tratta di
comportamenti di agevole comprensione e di generale condivisione che consentono di qualificare
come serio e quindi moralmente degno di apprezzamento il comportamento che vi si conformi.
La buona fede e la correttezza implicano costante intendimento ed azione del professionista
diretti ad osservare con lealtà i propri doveri connessi all’incarico, per conservare la fiducia nei
suoi confronti e richiedono al professionista di non proporre azioni o assumere iniziative in giudizio
con mala fede o colpa grave.
Indipendenza ed obiettività
Elementi vitali per un serio esercizio dell’attività professionale sono la libertà e l’indipendenza
del professionista, che implica la continua verifica dell’esistenza di condizioni di assenza di
condizionamenti esterni sul proprio operare.
Ciò che comporta l’affrancazione da influenze di qualsiasi genere, di natura morale,
materiale, politica, ideologica, economica e finanche familiare, tal che il proprio agire sia improntato
soltanto alla piena tutela degli interessi che gli sono affidati dal committente, sempre che si tratti di
interessi compatibili con i principi etici generali (in particolare alla legalità e correttezza).
In particolare deve costituire un constante indirizzo etico, teso a proteggere
l’indipendenza e l’obiettività di giudizio, quello che esclude una qualsiasi combinazione
d’affari col cliente, continuata o occasionale, da parte del professionista, direttamente o per interposta
persona.
Integrità
L’integrità professionale è anzitutto probità e integrità morale, che implica un
comportamento rispettoso della dignità e del decoro della professione, da curare anche al di fuori
dell’esercizio della professione agendo in modo da non arrecare discredito al prestigio della
professione e dell’Ordine al quale il professionista appartiene. In particolare devono ritenersi non
consentiti, in quanto disdicevoli, quei comportamenti che, prescindendo dalla loro eventuale
rilevanza penale, per loro importanza e significatività negativa per la collettività, possano avere
risalto sugli organi di informazione e creare disdoro ed immagine negativa per la professione.

Riservatezza
Il professionista, al quale fa già carico l’obbligo legale del segreto professionale sulle notizie e
fatti conosciuti per effetto del proprio mandato professionale, sanzionato in caso di violazione
dalla legge, deve osservare sempre un atteggiamento di riserbo su tali notizie, anche se apprese in
via incidentale e pur se riguardano la sfera personale del cliente o di altri soggetti a questi comunque
legati da vincoli affettivi o economici.

Formazione ed aggiornamento professionale


La formazione professionale, oltre che il naturale aggiornamento, debba ritenersi
obbligatoria mediante la frequentazione di eventi formativi che ha libertà di scegliere tra quelli
individuati dall’ordine e che periodicamente deve dimostrare di avere seguito.
Un soddisfacente livello di professionalità, costantemente mantenuto nel tempo, è per altro
una garanzia di indipendenza e di sicurezza nell’espletamento degli incarichi professionali e
quindi strumento di mantenimento della necessaria fiducia della clientela nella sua opera e
nella competenza dell’intera categoria.

Competenza

Legato all’aggiornamento ed alla formazione professionale deve ritenersi essenziale il dovere


di competenza, inteso come coscienza, scevra da dubbi, di potere accettare incarichi specifici essendo
munito il professionista della necessaria competenza.
Vi è normalmente la presunzione che, accettando l’incarico propostogli dal cliente, il professionista sia
in grado di svolgerlo con competenza.
L’avventata accettazione dell’incarico senza la necessaria competenza o specializzazione
espone il cliente ad effetti pregiudizievoli che si ripercuotono sulla reputazione dell’intero
corpo professionale di appartenenza e quindi integrano violazione dell’etica professionale.

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