Sei sulla pagina 1di 28

ARGOMENTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO

(Guido Greco, 2008)

Capitolo I Gli appalti pubblici comunitari e i modelli organizzativi nazionali

1. I nuovi istituti introdotti dal diritto comunitario degli appalti

Lordinamento comunitario ha percepito il rischio che i soggetti pubblici potessero affidare i loro contratti
sulla base di logiche diverse da quelle poste a fondamento della concorrenza e del mercato, in modo da
favorire le imprese nazionali, con discriminazione delle imprese appartenenti ad altri Stati membri. Per
questa ragione, allora, stato introdotto un complesso sistema sugli appalti di lavori, servizi e forniture,
avente lo scopo di assicurare, per mezzo delle gare, la pi ampia partecipazione delle imprese comunitarie.
In questottica, il legislatore comunitario ha avvertito, la necessit di dar vita a due specifiche figure, abilitate
a partecipare alle gare pubbliche comunitarie: si tratta, dellorganismo di diritto pubblico e dellimpresa
pubblica.
Accanto a queste figure, vi sono altri istituti che limitano tale estensione, in particolare, lin house
providing: un istituto di origine giurisprudenziale, che esclude la necessit di ricorrere alle gare tutte le volte
in cui il rapporto intercorra tra un soggetto pubblico ed un altro soggetto ad esso collegato.

2. L organismo di diritto pubblico e l impresa pubblica

La nozione di organismo di diritto pubblico compare, come amministrazione aggiudicatrice, sia negli
appalti di lavori, servizi e forniture dei cd. Settori ordinari, sia negli appalti dei cd. settori speciali, ossia,
negli appalti affidati dagli enti erogatori di acqua e di energia e da quelli che forniscono servizi di trasporto e
servizi postali. Le amministrazioni aggiudicatrici sono lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli organismi
di diritto pubblico.
Lorganismo di diritto pubblico viene definito come un organismo istituito per soddisfare esigenze di
interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; che sia dotato di personalit giuridica; e
la cui attivit sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali.
Le imprese pubbliche sono le imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare,
direttamente o indirettamente, un influenza dominante, perch ne sono proprietarie o perch vi hanno una
partecipazione finanziaria o in virt di norme che disciplinano le imprese in questione. L influenza
dominante pu anche essere presunta: ci accade, quando le amministrazioni aggiudicatrici, in maniera
diretta o indiretta, detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dall impresa o controllano la
maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall impresa o hanno il diritto di nominare pi della
met dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell impresa stessa.
In virt di tutto ci, parte della dottrina ha ritenuto giusto equiparare la figura dell organismo di diritto
pubblico non, la figura dell impresa pubblica a quella dell ente pubblico: stato sostenuto infatti che, in
considerazione del fatto che nella categoria delle amministrazioni aggiudicatrici vi si ricomprende lo Stato e
gli enti pubblici territoriali (regioni, province e comuni) sono, di conseguenza, da considerare organismi di
diritto pubblico tutti gli altri enti pubblici (diversi da quelli territoriali).

3. Gli effetti dell interpretazione della Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia CE non ha seguito linterpretazione di carattere gestionale.


Essa, avendo fornito una interpretazione estensiva della nozione di organismo di diritto pubblico, ha finito
con l operare una sovrapposizione tra l organismo di diritto pubblico e l impresa pubblica: basti
considerare, i casi in cui societ ovvero imprese a prevalente partecipazione pubblica sono state inserite tra
gli organismi di diritto pubblico, assoggettando tali societ sia al regime del diritto amministrativo che alla
giurisdizione del giudice amministrativo. Tuttavia, una volta esclusa l interpretazione di carattere gestionale,
stato arduo individuare un criterio selettivo che consentisse di stabilire quali imprese pubbliche potessero
essere considerate anche organismi di diritto pubblico, pertanto, si deciso di focalizzare l attenzione sul gi
menzionato requisito dell organismo di diritto pubblico, consistente nell essere istituito per soddisfare
esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale: in virt di tale requisito,
stato, affermato che il carattere non industriale o commerciale riguarda il tipo di esigenze da soddisfare e
non, il tipo di attivit, facendo prevalere un tipo di criterio c.d. funzionale, ricomprendendo nell ambito della
figura dell organismo di diritto pubblico anche tutte le imprese e le societ in mano pubblica, istituite per
soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.
Tale criterio, risultato molto vago, perch esso presupponeva, ai fini dell inserimento delle imprese e delle
societ pubbliche all interno della categoria degli organismi di diritto pubblico, una distinzione tra esigenze
di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale ed esigenze di interesse generale aventi
carattere industriale o commerciale: distinzione quasi impossibile.
La pi recente giurisprudenza della Corte di Giustizia CE ha attenuato l interpretazione funzionale,
riconducendo la distinzione in un ottica prevalentemente gestionale; per cui lorganismo di diritto pubblico
ricomprende tutti gli enti pubblici amministrativi, che non svolgono attivit dimpresa e che si avvalgono di
strumenti provvedimentali.
Si pu dunque affermare che la nozione di organismo di diritto pubblico rappresenta una categoria al cui
interno sono ricompresi non soltanto gli enti pubblici (non territoriali), ma anche una serie di figure
formalmente privatistiche, che, la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE ha ricondotto in tale categoria.

4. L in house providing e le societ di committenza

L in house providing una figura comunitaria che opera in termini opposti all organismo di diritto
pubblico: presuppone la sussistenza di una interrelazione tra l amministrazione aggiudicatrice ed un soggetto
da essa controllato (il cd. provider); in questo caso, non c una vera distinzione sostanziale tra i due soggetti
e, ne la composizione di interessi tra soggetti diversi, che sta alla base del contratto mancando, un vero e
proprio contratto, viene a mancare anche il presupposto per l applicazione della disciplina comunitaria degli
appalti e si pu, cos, procedere all affidamento diretto, senza gara.
Ricorrendo un ipotesi del genere, saremmo in presenza di una particolare fattispecie di cd. delegazione
interorganica: per cui considerare il soggetto controllato come un semplice organo del soggetto controllante
un modo per sottolineare la mancanza di intersoggettivit, il provider sarebbe solo una parte o una forma di
organizzazione dei propri uffici da parte del soggetto controllante. La mancanza di intersoggettivit ha una
sua logica soltanto ai fini dell affidamento dell appalto o del pubblico servizio; non si estende, ad altre
vicende riguardanti i due soggetti. Loriginalit dellin house providing non si esaurisce nel solo momento
dell affidamento dell appalto o della concessione, ma si ripercuote anche sul rapporto che intercorre tra il
soggetto controllato ed i terzi: se, infatti, il provider si approvvigiona presso terzi o comunque affida, a sua
volta, a terzi appalti e concessioni, non pu risultare indifferente la sua posizione rispetto all ente
controllante (una posizione che lo configura come uno specifico organo indiretto dell ente pubblico
controllante nei rapporti contrattuali con i terzi).
Diverso dallin house providing , la centrale di committenza definita come un amministrazione
aggiudicatrice che acquista forniture e servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici ovvero aggiudica
appalti pubblici o conclude accordi-quadro di lavori, forniture e servizi destinati ad amministrazioni
aggiudicatrici. Queste centrali operano sempre per conto dell ente o degli enti che le hanno istituite per cui
hanno una maggior assimilabilit allorgano vero e proprio.

Capitolo II Le innovazioni del diritto comunitario sull atto amministrativo nazionale

1. L influenza del diritto comunitario sull atto amministrativo nazionale

L influenza del diritto comunitario sullatto amministrativo italiano si riscontra in primis, dall analisi
comparativa, tra sistema comunitario e nazionale.
Altra ipotesi dinfluenza del diritto comunitario sul diritto nazionale scaturisce, poi, dai cd. effetti indotti
della relativa normativa: capita molto spesso che la normativa comunitaria si occupi di specifici istituti di
interesse sovranazionale, disinteressandosi dei problemi di carattere pi strettamente locale. Nonostante ci, i
suddetti istituti, possono essere generalizzati o anche estesi a fattispecie analoghe dal legislatore o dalla
giurisprudenza nazionali: un es. della generalizzazione degli istituti comunitari si pu rinvenire nel cd.
Accordo di programma, introdotto in relazione ai programmi integrati mediterranei.
Lestensione degli istituti comunitari si pu, ipotizzare tutte le volte in cui, in base alla normativa
comunitaria, si vengano a creare due diverse discipline nell ambito della medesima materia: con una
possibile disparit di trattamento, che pu essere superata con strumenti di diritto interno si pensi ad es., al
giudizio di costituzionalit per violazione del principio di uguaglianza. Si tratta in entrambi i casi di
strumenti di Influenza indiretta.
2. I princpi dell ordinamento comunitario

L art. 1, co. 1 L. 241/90 stabilisce che l attivit amministrativa retta dai princpi dell ordinamento
comunitario. Tra i pi importanti possiamo ricordare: il principio di legalit, il principio della certezza del
diritto, il principio dell irretroattivit, il principio della tutela dell affidamento ragionevole, il principio di
precauzione, il principio della proporzionalit, il principio della non discriminazione, ed il principio della
buona e sana amministrazione. princpi, non presi in considerazione a proposito del provvedimento
amministrativo: sono il principio di sussidiariet, il principio dell estoppel ed al principio di continuit.
Il principio di sussidiariet non un canone valido solo per le fonti normative, ma anche per i
provvedimenti amministrativi che hanno una cd. valenza organizzatoria ( ad es. alla sostituzione).
Il principio dell estoppel stato applicato, a livello comunitario, sia con riferimento all attivit normativa,
sia con riferimento all attivit amministrativa: che esplica la sua efficacia in tutti i casi in cui l esercizio di
facolt dei cittadini viene subordinato ad adempimenti che l amministrazione pubblica tarda ad effettuare o
omette del tutto .
Il principio di continuit, previsto dall art. 3 del Trattato istitutivo dell Unione europea statuisce che l
Unione dispone di un quadro istituzionale unitario che assicura la coerenza e la continuit delle azioni
svolte per il perseguimento dei suoi obiettivi; questo principio, viene utilizzato anche dalla nostra
giurisprudenza amministrativa, al fine di inquadrare istituti eterogene o per escludere la disapplicazione di
quei provvedimenti che non sono stati impugnati tempestivamente, nonch per impedire, la paralisi dell
attivit amministrativa.

3. Gli atti amministrativi emessi da soggetti privati

L assoggettamento di alcuni atti, emessi da soggetti privati, al regime proprio dell atto amministrativo
rappresenta una rilevante innovazione giuridica ascrivibile, all intervento comunitario nel settore degli
appalti fenomeno ormai fatto proprio dalla normativa nazionale.
La giurisprudenza italiana: in alcuni casi ha ritenuto opportuno assoggettare al sindacato del giudice
amministrativo alcune procedure di affidamento di appalti effettuate non da enti pubblici, ma da
concessionari privati
La disciplina comunitaria degli appalti pubblici: le relative direttive (e la normativa nazionale di attuazione)
ha imposto l osservanza della disciplina degli appalti pubblici anche quando la figura del committente
costituita da soggetti privati (ci vale, ad es., per l appalto affidato da enti diversi dalle amministrazioni
aggiudicatrici, cio da soggetti diversi dagli enti pubblici. La normativa nazionale, a sua volta, ha introdotto
un articolata disciplina, coerente con quella comunitaria: sicch, si pu affermare con sicurezza che le
procedure di affidamento degli appalti, anche se espletate da soggetti privati, sono assoggettate sempre al
regime dell atto amministrativo.

4. Le regole dell azione e l attribuzione del potere

Quando il diritto comunitario incide sull azione amministrativa interna si realizza, di norma, un concorso di
fonti (comunitarie e nazionali) nella disciplina dell atto amministrativo: per cui le prime (cio, quelle
comunitarie) regolano alcuni aspetti dell intera fattispecie normativa (cd. frammentazione).
Sulla base di questa considerazione, si deve prendere atto che il diritto comunitario va ad incidere su molti
profili dell atto amministrativo: cos, ad es., per quanto riguarda il procedimento, il diritto comunitario,
talvolta, ne impone di nuovi (procedimenti); talaltra, invece, ne travolge alcuni da tempo esistenti e,
introduce tutta una serie di nuovi segmenti, che danno luogo, a subprocedimenti (es. il sub-procedimento
per la valutazione delle offerte anomale o alla procedura di valutazione di impatto ambientale).
L incidenza del diritto comunitario si manifesta, anche sulla forma dell atto amministrativo nazionale: ad
es. in tema di autorizzazione ambientale, stata esclusa la possibilit di ricorrere avverso il silenzio-assenso;
al contrario, il silenzio-rifiuto stato tollerato, purch sia accompagnato da idonea motivazione.
La motivazione richiama, poi, l aspetto della discrezionalit, che anch essa direttamente influenzata dal
diritto comunitario: tale influenza, va ad incidere sia sulla scelta discrezionale, sia sull interesse pubblico
primario, che deve guidare la scelta stessa.
Per quel concerne la scelta discrezionale, sufficiente ricordare, ad es., la recente pronuncia della Corte di
Giustizia CE, la quale ha, escluso che la disciplina nazionale degli appalti pubblici possa imporre alle
Amministrazioni aggiudicatrici un solo ed unico criterio di aggiudicazione, in luogo dei due previsti ( prezzo
pi basso ed offerta economicamente pi vantaggiosa).
In relazione all interesse pubblico primario che bisogna perseguire nelle procedure di affidamento: che nella
nostra tradizione i procedimenti di cd. evidenza pubblica hanno sempre avuto la funzione di garantire all
ente pubblico la scelta del miglior offerente, sia sotto il profilo dell affidabilit, sia sotto quello della
economicit; al contrario, la disciplina comunitaria si ispira ai fondamentali canoni della libera prestazione
dei servizi e della par condicio delle imprese comunitarie (e, dunque, ad un diverso interesse pubblico
primario).
In definitiva, tutti gli aspetti della dell atto amministrativo nazionale cadono sotto l influenza della
disciplina del diritto comunitario. Tale fenomeno in molti casi, assume aspetti radicali; ci si verifica, ad es.,
quando l intera disciplina dell atto amministrativo nazionale a cominciare dall attribuzione del potere
viene ricondotta immediatamente al diritto comunitario es. la disciplina delle sanzioni: che riguarda gli atti
amministrativi nazionali o comunitari che perseguono le irregolarit al diritto comunitario, nessuna sanzione
amministrativa pu essere irrogata se non stata prevista da un atto comunitario precedente all
irregolarit.

5. I procedimenti di coamministrazione

I procedimenti di coamministrazione: sono quei procedimenti, che, allo stesso tempo, vedono per
protagonisti sia le amministrazioni nazionali che quelle comunitarie. I procedimenti di coamministrazione,
secondo una classificazione operata dalla dottrina, si distinguono in due tipi fondamentali:
i procedimenti top-down, nei quali la sequenza procedimentale inizia in ambito comunitario e si conclude,
in sede nazionale es. il procedimento di assegnazione del marchio di qualit ecologica ecolabel;
i procedimenti bottom-up, nei quali, la sequenza procedimentale avviata in ambito nazionale e conclusa
in sede comunitaria (es. il procedimenti sulle denominazioni d origine dei prodotti agricoli e di quelli
alimentari).
La peculiarit di questi istituti non data solo dalla partecipazione congiunta, all interno di un unico
procedimento, di diverse autorit, ma anche dal diverso regime, cui i singoli segmenti del procedimento sono
sottoposti: ed infatti, dal momento che si tratta di atti cd. Endoprocedimentali emessi dall amministrazione
comunitaria o da quella nazionale, il relativo regime deve essere, per forza di cose, quello dell ordinamento
di appartenenza.
Tutto ci ha indubbie ripercussioni anche sul piano della tutela giurisdizionale: per cui a seconda dell
ordinamento di appartenenza, la competenza verr attribuita al giudice nazionale alla Corte di Giustizia CE.
Comunque, a prescindere dal profilo processuale, sotto il profilo sostanziale che si registra una eccezionale
alterazione di uno dei princpi-base del procedimento nazionale o comunitario ossia del principio, in virt del
quale i vizi degli atti della sequenza procedimentale (cd. atti preparatori), si ripercuotono sull atto finale,
che risulta cos inficiato (per vizio derivato). Un discorso, diverso si impone, nel corso di un procedimento di
coamministrazione, vengano emessi veri e propri provvedimenti amministrativi, che, risultano produttivi di
autonomi effetti (cd. atti presupposti).

6. Il potere di sostituzione e l autotutela

Il potere di autotutela ha un ruolo importante nel quadro dell adempimento degli obblighi di natura
comunitaria, dal momento che essa pu comportare la caducazione degli atti amministrativi qualora gli stessi
siano inficiati da un illegittimit comunitaria. Al riguardo, doveroso precisare che, ogni singolo Stato
membro responsabile dell osservanza degli obblighi comunitari ma anche necessit che lo Stato sia
dotato di idonei poteri di intervento sugli atti amministrativi di ogni altro ente pubblico. Per quale che
riguarda l Italia, la dottrina aveva evidenziato l esistenza di una lacuna in materia: infatti, pur sussistendo in
capo al Governo un generale potere di annullamento, tale potere aveva ad oggetto gli atti amministrativi dei
vari enti pubblici, ad eccezione di quelli della regione.
Questa lacuna stata oggi superata con la previsione di un generale potere di sostituzione dello Stato, anche
nel caso di mancato rispetto della normativa comunitaria esso sembra ricomprendere anche il potere di
annullamento d ufficio degli atti amministrativi posti in essere in violazione del diritto comunitario, anche se
emanati da un autorit amministrativa regionale).
Capitolo III La potest amministrativa e l interesse legittimo

1. Premessa

L interesse legittimo la figura centrale del nostro diritto amministrativo, intorno alla cui nozione sussiste,
un acceso dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale;
Linteresse legittimo, a differenza delle altre posizioni giuridiche soggettive, sottintende un particolare
fenomeno tipico di tutti gli ordinamenti ad atto amministrativo): quello, cio, di una posizione collegata alla
potest (amministrativa) e che, come tale, assoggettata ad un regime diverso da quello delle altre posizioni
soggettive attive, che non subiscono, , questa correlazione.

2. La struttura della potest amministrativa: potere e dovere

a)il potere La potest amministrativa si presenta come una figura composta da due elementi fondamentali: il
potere ed il dovere.
Quando si parla di potere, quest ultimo deve essere inteso come potere giuridico, che viene attribuito ad una
pubblica amministrazione affinch questa abbia la possibilit di perseguire specifici fini di interesse
pubblico, opportuno specificare che, in quanto potere giuridico, lo stesso tende ad incidere unilateralmente
nella sfera giuridica altrui, provocando vicende costitutive, modificative o estintive di diverse componenti
della stessa (sfera). Ed proprio in questi termini che si parla di autoritariet dei provvedimenti; questi
ultimi, rappresentano (insieme agli accordi ed ai contratti di diritto pubblico) la manifestazione tipica della
potest amministrativa.
Pi precisamente, il provvedimento amministrativo consiste, in una manifestazione di volont diretta alla
produzione di effetti giuridici; tale effetti, debbono essere ricondotti al provvedimento e non alla legge.
Dal provvedimento amministrativo va, distinto il mero atto amministrativo, che non un atto di volont, ma
un atto dichiarativo, di accertamento, di conoscenza o di giudizio: in altri termini, l atto amministrativo
non provvedimentale non costituisce manifestazione di potest o di volont in senso tecnico, ma
manifestazione di altri compiti amministrativi; e per esso non pu farsi questione di sussistenza o meno di
interessi legittimi.
Tali conclusioni non sono inficiate dal fatto che in molti casi il provvedimento amministrativo non subto
dal destinatario (cd. provvedimento restrittivo), ma da questi sollecitato ed auspicato (cd. provvedimento
ampliativo): infatti, l autoritariet concerne non implica necessariamente l imposizione di un particolare
sacrificio in capo al destinatario del provvedimento.
Infine, bene precisare che la distinzione tra provvedimenti restrittive ed ampliativi va applicata alla
tipologia degli effetti dei provvedimenti piuttosto che ai provvedimenti in s considerati: accanto a
provvedimenti ad effetti solo ampliativi ed a provvedimenti ad effetti solo restrittivi, ci sono molti che
producono, allo stesso tempo, effetti doppi cio, effetti positivi per un destinatario e negativi per l altro: es.
lespropriazione, che, nonostante sia, di regola, inquadrata tra i provvedimenti restrittivi, produce anche
sicuri effetti ampliativi per l espropriante.

b) il dovere rappresenta, quel complesso di limiti, condizioni e vincoli che accompagnano l attribuzione del
potere. Nell esperienza del nostro ordinamento da molto tempo il potere amministrativo non si presenta
come libero, ma con una serie di limitazioni: una prima limitazione costituita dalla stessa norma attributiva
del potere, la quale, indicando l interesse pubblico primario cui preordinato, lo vincola al relativo
soddisfacimento (ci significa, che il potere amministrativo chiamato a perseguire il fine specifico indicato
dalla legge).
Una seconda limitazione , costituita dalle regole sul procedimento, che sono preordinate anche all
acquisizione di altri interessi sia pubblici che privati, che devono, comunque, essere presi in considerazione.
Del resto, occorre precisare che la presenza di tali limitazioni e vincoli necessaria, perch, in loro assenza,
non ci sarebbe n un sistema di controlli n un sistema di giustizia amministrativa, che presuppongono, un
preciso parametro normativo che deve guidare l operato della pubblica amministrazione.

3. La struttura dell interesse legittimo: soggezione e pretesa

a) la soggezione Potest amministrativa sinonimo, anzitutto, di potere: pertanto, si deve convenire che la
posizione ad essa correlata non pu che essere di soggezione a questo pubblico potere.
Lesercizio legittimo o illegittimo della potest amministrativa, genera sempre nel possibile destinatario una
situazione di soggezione (ed in entrambi i casi il provvedimento amministrativo dotato di autoritariet e di
imperativit).
Questa prima conclusione ci consente, inoltre, di escludere che, di fronte alla potest amministrativa possano
riconoscersi posizioni di diritto soggettivo: bisogna tener presente, che il diritto soggettivo, essendo del tutto
incompatibile con la soggezione, presuppone l insussistenza di altrui poteri, che siano idonei a sacrificarlo si
pu dire, che il diritto soggettivo occupa una posizione inconciliabile con quella occupata dalla potest.
Pertanto, di fronte all esercizio della potest amministrativa, possono riconoscersi solo posizioni di interesse
legittimo (si tratta, di posizioni che si caratterizzano per la presenza di una loro componente di soggezione):
al riguardo, necessario sottolineare che siffatto fenomeno viene, di regola, qualificato come degradazione
del diritto soggettivo ad interesse legittimo, proprio per sottolineare la dinamica di una sorta di
trasformazione di questo diritto.

b) la pretesa Come la potest non sinonimo soltanto di potere, allo stesso modo la posizione ad essa
correlata non di sola soggezione: se, infatti, si prende in considerazione la componente doverosa della
potest (cio, i limiti normativi al suo esercizio) si deve, senz altro, convenire che tali limiti presuppongono
una corrispondente pretesa di osservanza in capo al possibile destinatario del relativo esercizio.
Ovviamente, in tale contesto si pu parlare di pretesa alla legittimit dei provvedimenti amministrativi: il
che appare corretto, dal momento che attraverso questo tipo di tutela si intende definire l ampiezza della
tutela accordata dall ordinamento al destinatario del provvedimento.
Tuttavia, bene tener presente che questa definizione non sintetizza una posizione giuridica sostanziale: si
nota che a differenza della mera qualificazione di un atto giuridico, una posizione giuridica sostanziale deve,
riguardare un interesse che sia riconosciuto e garantito dall ordinamento (che sia, cio, legittimo), e che sia
diretto all acquisizione ed alla conservazione di un bene della vita.
In questa prospettiva, si pu, pertanto, affermare che nelle posizioni dei soggetti che vengono a contatto con
l esercizio di potest amministrative si possono individuare determinati interessi ad un bene della vita, che,
in un modo o in un altro, risultano idonei a soddisfare i loro bisogni; questi bene della vita si intersecano, con
le diverse tipologie di interessi legittimi.
In definitiva, si pu concludere dicendo che l interesse legittimo, in qualit di posizione giuridica
sostanziale, l interesse, sottoposto ad un potere di intervento amministrativo, che diretto a conseguire o
ad evitare la perdita di un bene della vita: di conseguenza, esso consiste nella pretesa, da parte del possibile
destinatario, all emissione o alla non emissione di un determinato provvedimento, a seconda dei casi.

4. Gli interessi legittimi e la dinamica dei loro rapporti con la potest

La differenza tra interesse alla emissione ed interesse alla non emissione di uno specifico provvedimento
evidenzia due categorie ben distinte di interessi legittimi, che non possono essere sovrapposte.
La prima categoria riguarda gli interessi legittimi correlati alla cd. potest ampliativa (es. la potest
autorizzatoria, concessoria, etc.), che deve essere esercitata, in modo che il soggetto titolare dell interesse
possa vedere ampliata la propria sfera giuridica (appartengono, a questa categoria gli interessi legittimi diretti
all acquisizione di un bene della vita e, cio, gli interessi legittimi che si possono definire pretensivi).
La seconda categoria, concerne gli interessi legittimi correlati alla cd. potest ablatoria, che non deve
essere esercitata, in modo che la sfera giuridica del titolare dell interesse possa conservare il suo status quo
ante (appartengono, a questa categoria gli interessi legittimi diretti alla conservazione del bene della vita e,
cio, gli interessi legittimi oppositivi).
Per quanto riguarda i rapporti che intercorrono tra la potest e l interesse legittimo. Al riguardo utile
richiamare un concetto per cui il provvedimento amministrativo produce effetti anche qualora sia inficiato da
evidenti vizi di illegittimit (a meno che, ovviamente, non si tratti di un atto emesso in carenza di potere):
questa considerazione si fonda sulla circostanza che il nostro ordinamento giuridico ha sempre privilegiato la
componente potere rispetto alla componente dovere della potest amministrativa anche nel caso in cui la
prima venga esercitata in violazione della seconda; ne consegue, che, di fronte ad un provvedimento
illegittimo, nonch lesivo della propria sfera giuridica, il destinatario vede prevalere, nell ambito del suo
interesse legittimo, la componente soggezione rispetto alla componente pretensiva .
Capitolo IV Provvedimenti amministrativi costitutivi di rapporti giuridici tra privati

1. La tipologia

I provvedimenti amministrativi possano costituire, modificare o estinguere diritti soggettivi privati: es. sono
gli effetti, costitutivi ed estintivi, che produce il decreto di espropriazione sul diritto di propriet.
Meno conosciuto , invece, il fenomeno dei provvedimenti idonei a costituire, modificare o estinguere
rapporti giuridici tra privati, possono riguardare:

a) le servit costituite da provvedimenti amministrativi un es. sono le servit di elettrodotto o le servit di


vie funicolari. Pi in generale, si pu dire che con il provvedimento amministrativo possono essere costituiti
molteplici diritti in re aliena (cio, diritti su cose altrui): si pensi, ad es., all occupazione d urgenza, in
relazione alla quale si costituisce di volta in volta, tra occupante e proprietario del bene un rapporto di servit
o di usufrutto, a seconda del contenuto dell occupazione. Con riferimento, alle occupazioni di suolo per
impianti petroliferi si parlato prevalentemente di costituzione di un diritto assimilabile a quello di
superficie dal momento che l occupante ha la possibilit di costruire stabilimenti, serbatoi su terreno altrui,
divenendo proprietario dell opera, in deroga al principio dell accessione.
b) i rapporti di vicinato tali rapporti, riguardano, le distanze tra le costruzioni sui fondi confinanti, e sono,
disciplinati dai piani regolatori o dai regolamenti edilizi (cio, da atti che possono essere considerati
unitariamente con i provvedimenti amministrativi). Le prescrizioni sulle distanze delle costruzioni
costituiscono, tra i proprietari confinanti, diritti e relativi obblighi, dette prescrizioni amministrative sono
certamente costitutive o modificative di rapporti tra privati.
c) la concessione di terre incolte ai contadini si tratta, di un istituto aggiornata con la L. 440/78.
In virt di tale legge, possono essere date in concessione ai coltivatori non soltanto le terre incolte, ma anche
quelle abbandonate o insufficientemente coltivate; la concessione, si fonda su di un giudizio tecnico-
economico, che, a sua volta, preceduto da un procedimento amministrativo, all esito del quale viene
individuato il possibile destinatario di tale concessione.
Una volta concluso positivamente il procedimento, la concessione viene emessa dal Presidente della regione
a favore del richiedente che si obblighi a coltivare le terre, in forma singola o associata.
La stessa legge precisa, poi, che, attraverso questo procedimento, non solo si costituiscono precisi rapporti
tra privati, ma anche che tali rapporti sono assoggettati alla stessa disciplina di quella prevista per i rapporti
che scaturiscono da un normale contratto.
d) la concessione di licenza obbligatoria di brevetto per invenzioni industriali, anche in questo caso, il
presupposto del provvedimento costituito dal mancato sfruttamento del diritto (e, pi precisamente, dalla
mancata attuazione dell invenzione brevettata).
L emissione del provvedimento (che spetta al Ministro dell industria) il risultato di un complesso
procedimento amministrativo, che deve svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio. Ed anche in
questo caso i rapporti tra il titolare del brevetto ed il concessionario sono del tutto simili a quelli derivanti da
una licenza contrattuale.
e) i prezzi imposti e le tariffe Importanti effetti innovativi sui rapporti tra privati sono prodotti anche dalle
prescrizioni relative ai prezzi ed alle tariffe. Si tratta di provvedimenti che in passato erano di competenza
del C.I.P. (Comitato interministeriale prezzi) oggi, sono affidati, per lo pi, ad Autorit indipendenti di
regolazione. Questi provvedimenti esplicano una duplice funzione: essi, da un lato si presentano come
prescrizioni proibitive, in quanto vietano una diversa disciplina contrattuale del prezzo di un certo prodotto;
dall altro, essi presentano una efficacia sostitutiva, in quanto si inseriscono automaticamente nell assetto
contrattuale.
f) le misure conformative del mercato Gli artt. 45 e ss. del d.lgs. 259/03 prevedano che l Autorit
competente pu imporre tutta una serie di obblighi a quelle imprese che, all esito di una complessa e
garantistica procedura, siano qualificate come detentrici di un significativo potere di mercato.
Questi obblighi, possono consistere:
nel concedere ad altri operatori un accesso a determinate risorse di rete;
nel permettere la coubicazione e la condivisione degli impianti (inclusi
condotti, edifici e piloni);
nel concedere la possibilit di interconnettere reti o risorse di rete.
2. La struttura ed il fondamento

I provvedimenti spiegano particolari effetti non solo sul piano pubblicistico, ma anche sul piano delle
relazioni tra i cittadini. Ne consegue, che i soggetti privati, sulla cui sfera giuridica opera lo svolgersi della
funzione amministrativa, risultano portatori sia di posizioni giuridiche pubblicistiche che privatistiche.
Di fronte allo svolgersi della potest amministrativa chiaro che i privati si trovano in posizione di interesse
legittimo, si tratta quasi sempre di interesse legittimo di segno antitetico (e ci in virt dell efficacia doppia
dei provvedimenti): quindi, per i possibili destinatari passivi si tratter di interesse legittimo oppositivo; al
contrario, per i possibili destinatari attivi si tratter di interesse legittimo pretensivo.
Tra i privati, preesiste o viene ad instaurarsi un rapporto civilistico, il quale se costituito ex novo dal
provvedimento, appare del tutto simile a quello che potrebbe sorgere da un analogo negozio giuridico
privato.
In ogni caso, tra l amministrazione pubblica e i destinatari privati possono sorgere anche altre tipologie di
relazioni, che potremmo denominare successive: e cos, molto spesso, capita che il destinatario che riceve,
nel complesso, un vantaggio dal provvedimento amministrativo subisca, nello svolgimento della sua attivit,
un particolare controllo da parte dell Amministrazione (la quale, ad es., pu verificare se il concessionario di
terre incolte utilizzi adeguatamente i terreni affidatigli); con l ulteriore conseguenza, che, nel caso di
inadempimento, potranno scaturire conseguenze non solo sul piano privatistico, ma anche sul piano
pubblicistico.

3. L interconnessione dei rapporti ed il relativo regime

A questo punto, necessario stabilire, come la particolare interconnessione di rapporti pubblicistici e


privatistici (che configurano il provvedimento amministrativo costitutivo di rapporti tra privati) si ripercuota
nella disciplina delle varie componenti della figura.

a) la disciplina pubblicistica per la disciplina pubblicistica dell atto-fonte, necessario tener presente che,
dato che ci troviamo in presenza di provvedimenti amministrativi a cd. efficacia doppia, viene in risalto la
distinzione tra provvedimenti ampliativi e restrittivi: occorre, stabilire quale delle due discipline debba
trovare applicazione, si tratta di un problema di non difficile soluzione, il destinatario passivo non pu subire
un pregiudizio superiore a quello stabilito dalla legge (per cui l atto-provvedimento deve essere recettizio e
non retroattivo: a produce i suoi effetti solo dal momento in cui il destinatario ne venga effettivamente a
conoscenza); inoltre, il destinatario passivo non pu neppure subire una minore possibilit di tutela in ordine
al sindacato dell atto lesivo (sicch quest ultimo deve essere congruamente motivato).
In ordine al problema della esecutoriet (che, per, non attiene al regime dell atto-fonte, ma a quello degli
effetti): si pu affermare che l atto-provvedimento non pu essere considerato dotato di attributi di
esecutoriet; e ci perch gli effetti del provvedimento vengono ad operare nel campo civilistico dei rapporti
interprivati (per cui l effettiva esecuzione degli stessi non pu che essere affidata, in linea di principio, ai
privati.

b) la disciplina civilistica L applicazione della disciplina civilistica ai rapporti tra privati costituiti dal
provvedimento amministrativo non incontra alcuna difficolt: es. sono le servit prediali, per le quali il
legislatore del codice civile, che si preoccupato, di volta in volta, di stabilire quale dovesse essere l atto-
fonte (pubblicistico ovvero privatistico) dei relativi rapporti, ne ha anche fornito una disciplina, in parte,
comune, ci significa, quindi, che questa disciplina automaticamente applicabile a quelle servit costituite
da provvedimento amministrativo e che presentano la struttura tipica del rapporto tra i due fondi. Un
ulteriore corpo di norme civilistiche che, in linea di principio, appare applicabile ai rapporti interprivatistici
costituiti dal provvedimento amministrativo rappresentato, poi, dalle disposizioni che riguardano le
obbligazioni in generale: ci lo si pu dedurre dalla formulazione dell art. 1173 c.c., il quale, nell elencare
le fonti dell obbligazione, utilizza espressioni cos generiche tali da ricomprendere nel loro ambito anche il
genus provvedimento amministrativo.

c) la tutela giurisdizionale spetter al giudice amministrativo ogni competenza attinente ai rapporti


pubblicistici; viceversa, spetta al giudice ordinario ogni controversia attinente ai rapporti tra privati.
A tal proposito, per, bisogna accertare se l interessato contesta l esatto svolgimento del rapporto costituito
dal provvedimento amministrativo o se, contesta la stessa validit del titolo (cio, del provvedimento)
costitutivo del rapporto: nel primo caso, la competenza spetter, senza dubbio, al giudice ordinario, dato che
l attore contesta le modalit di svolgimento del rapporto (sicch egli fa valere in giudizio una posizione
giuridica di diritto soggettivo).
Nella seconda ipotesi (contestazione della validit del titolo) la soluzione, un po pi complessa; anche
perch, se si ammettesse sempre la giurisdizione del giudice ordinario, si dovrebbe anche riconoscere che, in
ordine alla legittimit dei provvedimenti in esame, sussista un caso di vera e propria doppia tutela.
In realt, non esiste, al momento, una risposta unitaria al problema si cercato di offrire la seguente
soluzione: se, nel giudizio civile, il destinatario passivo del provvedimento, intende contestare l altrui diritto
(costituito dal provvedimento amministrativo), deducendo l illegittimit dello stesso, la giurisdizione
ordinaria non pu essere riconosciuta, perch, l attore fa valere, pur in una controversia tra privati, la sua
posizione nei confronti dell esercizio della potest amministrativa.
Al contrario, se, nel giudizio civile, il destinatario passivo, ma in qualit di convenuto, intende eccepire l
illegittimit del provvedimento, posto dall attore a fondamento del proprio diritto soggettivo, la
giurisdizione spetta sicuramente al giudice ordinario perch la posizione dell attore di diritto soggettivo.

Capitolo V I contratti ad evidenza pubblica

1. La sistemazione della materia secondo la giurisprudenza


La materia dei contratti ad evidenza pubblica (cio, dei contratti di diritto privato della pubblica
amministrazione, accompagnati da un iter procedimentale che ne precede la stipulazione), pu essere cos
sintetizzata: tutti gli atti formali che intervengono nella fase di preparazione del contratto (cio, la delibera di
contrattare, il bando, la lettera-invito, le eventuali esclusioni dalla gara e l aggiudicazione) sono inquadrati
nell ambito del diritto pubblico e sono, perci, qualificati come provvedimenti amministrativi; viceversa,
tutti gli atti relativi all esecuzione, alla modificazione o all estinzione del contratto sono inquadrati nel
diritto civile, dal momento che il contratto (si pensi, ad es., ad una compravendita), una volta stipulato, sia
pure a chiusura di una procedura cd. di evidenza pubblica, non si differenzia dal corrispondente contratto
stipulato tra privati.
In ragione di questa sistemazione, risulta di conseguenza delineato anche il riparto di giurisdizione: pertanto,
tutte le controversie relative ad atti dell evidenza pubblica appartengono alla cognizione del giudice
amministrativo, perch esse coinvolgono questioni di interesse legittimo; viceversa, tutte le controversie
relative alla fase di esecuzione del contratto appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, perch
esse coinvolgono la posizione (contrattuale) di diritto soggettivo.

2. Il motivo della collocazione pubblicistica degli atti di evidenza pubblica


La collocazione pubblicistica degli atti di evidenza pubblica stata fondata sull enunciato di Amorth: se il
diritto amministrativo regola dell operare della pubblica amministrazione ovvio che l attivit sottoposta
al regime privatistico non pu che essere l eccezione.
Questo enunciato ha comportato, la qualificazione in termini pubblicistici (quindi, come atti amministrativi)
degli atti e degli istituti propedeutici ai contratti stipulati dalla pubblica amministrazione. Tale impostazione,
per, non pu essere condivisa, essendo oggi mutato il quadro interpretativo di fondo, in ordine alla capacit
giuridica di diritto privato degli enti pubblici. Ne deriva, pertanto, che all ente pubblico, in quanto persona
giuridica, non pu non essere riconosciuta una piena capacit giuridica di diritto privato.
Nel nostro ordinamento il fondamento pubblicistico degli atti di evidenza pubblica deve essere dimostrato
sulla base del diritto positivo.
L attuale quadro normativo (sia comunitario che nazionale) appare molto chiaro: infatti, la direttiva 665/89
CEE ha stabilito che gli Stati membri devono dotarsi di mezzi di ricorso idonei ad annullare o far annullare
le decisioni illegittime, relative alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, su questa scia, lo
Stato italiano ha dato attuazione a tale direttiva, prevedendo, all art. 13, co. 2 L. 142/92, che la domanda di
risarcimento proponibile dinanzi al giudice ordinario da parte di chi ha ottenuto l annullamento dell atto
lesivo con sentenza del giudice amministrativo. E chiaro che l attribuzione al giudice amministrativo del
potere di annullamento degli atti della procedura di evidenza pubblica, ne presuppone, in ogni caso, una loro
precisa qualificazione in termini di atti amministrativi, soggetti al relativo regime.
L art. 245, (cd. codice degli appalti pubblici) ha tenuto a precisare che gli atti delle procedure di
affidamento relativi a lavori, servizi e forniture previsti dal presente codice sono impugnabili,
alternativamente, mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale (Tar) competente o mediante
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
3. Gli atti di evidenza pubblica e la formazione della volont contrattuale

Attualmente non pu essere condivisa neppure la tesi che tende a separare gli atti di evidenza pubblica dalla
formazione della volont contrattuale della pubblica amministrazione: secondo questa tesi, la procedura di
evidenza pubblica fungerebbe, da presupposto esterno al contratto (quindi, idoneo solo a fornire all organo
stipulante un adeguata legittimazione).
Tale impostazione, non pu essere condivisa per il semplice fatto che non assolutamente vero che gli atti
del procedimento amministrativo restano emarginati al di fuori della formazione della volont contrattuale
dell amministrazione; tutto ci pu essere confermato dallanalisi degli atti in cui si articola l evidenza
pubblica nella fase precontrattuale (fase prima della stipulazione).
a) la deliberazione di contrattare Essa contiene gi gli estremi generali del contratto che l amministrazione
intende stipulare: se ne deve dedurre, che sin da questo primo atto del procedimento pubblicistico esistono i
profili fondamentali dell assetto contrattuale.
b) il bando di gara, ha il compito di portare a conoscenza la natura e l entit dei lavori da effettuare,
nonch le caratteristiche generali dell opera oggetto del contratto d appalto. Il bando contiene, inoltre, l
invito ai privati di presentare offerte, nonch le regole della gara ed i criteri di scelta del contraente.
c) l aggiudicazione e la doppia valenza della procedura di evidenza pubblica L aggiudicazione individua il
contraente con il quale stipulare il contratto ed il prezzo: ne deriva, che l intera formazione della volont
contrattuale si realizza nell ambito del procedimento amministrativo. In passato, si prevedeva che, in talune
ipotesi, l aggiudicazione potesse sostituire a tutti gli effetti la stipulazione del contratto vero e proprio:
sicch, in tali casi, l esternazione della volont contrattuale dell amministrazione discendeva direttamente
da un atto amministrativo (cio, dall aggiudicazione). Questa norma, stata, superata dall art. 11, del cd.
codice degli appalti pubblici, il quale ha statuito, con estrema chiarezza, che l aggiudicazione definitiva non
equivale ad accettazione dell offerta: ci significa, quindi, che il vincolo contrattuale deve, per forza,
scaturire dalla successiva stipulazione del contratto stesso.
Tuttavia, il fatto che il vincolo contrattuale debba scaturire dal contratto non fa venir meno la circostanza
secondo la quale la formazione della volont contrattuale dell amministrazione risulta racchiusa interamente
nella procedura di evidenza pubblica: la quale, in tal modo, acquista una valenza sia pubblicistica che
privatistica (ad eccezione, del momento della stipulazione del contratto, che costituisce, una tipica
espressione di un attointegralmente privatistico)

4. La natura degli atti di evidenza pubblica

Gli atti di evidenza pubblica, pur essendo atti amministrativi, producono effetti civilistici e costituiscono la
volont negoziale dell amministrazione: per questo motivo che li si pu definire anche atti amministrativi
negoziali.
E certo, quindi, che non si pu affatto parlare in relazioni a tali atti di atti autoritativi, nonostante la
dottrina e la giurisprudenza sono concordi su questa tesi e ci perch l assetto complessivo dei rapporti
scaturisce dal contratto di diritto privato. Al contrario, bisogna prendere atto che l intera fattispecie
analizzata riguarda, oggettivamente, la posizione di autonomia privata della pubblica amministrazione tutto
ci confermato dal fatto che l amministrazione si avvale, dello strumento privatistico (il contratto): e ci
esclude, che si possa parlare, di potest amministrativa.
Pertanto, parlare ancora di provvedimenti amministrativi, in relazione ai vari atti in cui si articola l evidenza
pubblica, appare erroneo sia dal punto di vista dogmatico, sia dal punto di vista del regime giuridico.

5. Le principali implicazioni di regime

Le principali implicazioni di regime possono essere cos sintetizzate:


anzitutto, dato che la formazione della volont negoziale della pubblica amministrazione racchiusa in atti
a regime amministrativo, per la relativa patologia non potr trovare applicazione la disciplina civilistica, ma
dovr trovare applicazione la disciplina tipica dei vizi degli atti amministrativi, disciplina che prevede, l
annullabilit ,non la nullit, e che comprende il vizio dell eccesso di potere;
in secondo luogo, la qualificazione degli ad evidenza pubblica come atti amministrativi negoziali consente
di risolvere sia la questione concernente la responsabilit precontrattuale, sia quella riguardante le
conseguenze dell annullamento dell aggiudicazione sul contratto: per quel che riguarda il primo aspetto,
necessario tener presente che ancora oggi la giurisprudenza esclude la possibilit di configurare una
responsabilit precontrattuale a carico dell amministrazione, tutte le volte che questa si sia avvalsa di una
procedura di evidenza pubblica (e questo perch tale procedura sarebbe estranea alla fase privatistica delle
trattative vere e proprie e della formazione del contratto).
Questa conclusione, non pu essere condivisa, perch errato il suo presupposto: in quanto molti atti dell
evidenza pubblica concorrano a formare la cd. Volont contrattuale dell amministrazione e che il bando di
gara ovvero la lettera-invito hanno la funzione di invitare i privati a presentare le offerte; sicch, almeno da
tale momento, si pu affermare con certezza che sussiste la trattativa.
Da quanto detto, si deve dedurre, dunque, che non esiste alcun ostacolo alla riconoscibilit della
responsabilit precontrattuale.
Sulla seconda questione riguardante le conseguenze dell annullamento dell aggiudicazione sul contratto: l
orientamento della Suprema Corte di cassazione quello per cui l annullamento dell aggiudicazione non
provoca effetti caducanti automatici sul contratto, ma fa venir meno solo la legittimazione dell organo
stipulante alla relativa conclusione; il contratto, sarebbe, annullabile, ma soltanto dinanzi al giudice ordinario
e su domanda della sola amministrazione.
Tale soluzione non pu essere condivisa perch presuppone che gli atti in cui si articola l evidenza pubblica
non siano interni, ma siano esterni alla formazione della volont contrattuale dell amministrazione e
forniscano solo la legittimazione dell organo competente a stipulare il contratto. Scartata questa soluzione,
neppure quella prospettata dal giudice amministrativo ,per cui lannullamento degli atti della procedura di
evidenza pubblica provoca la nullit del contratto per carenza del consenso, pu essere condivisa perch essa
prevede uninammissibile ipotesi di nullit sopravvenuta(la nullit deve essere genetica ossia deve inficiare il
contratto ab origine).
Secondo una terza opzione interpretativa, l annullamento dell aggiudicazione comporta effetti caducanti
sul contratto anche questa interpretazione appare, insoddisfacente, perch essa, da un lato, tutela con la
massima efficacia il terzo concorrente (illegittimamente escluso) e l amministrazione, ma, dall altro, lascia
del tutto scoperta la posizione dell altro contraente, che sia in buona fede.
Per risolvere il problema necessario ricorrere ai meccanismi di trasmissione dell antigiuridicit previsti dal
diritto privato per cui l annullamento di una deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in
buona fede, in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera medesima; applicando questa disciplina ai
contratti ad evidenza pubblica, la posizione del soggetto contraente non precipita, a causa dell annullamento
degli atti di evidenza pubblica precontrattuale, dal momento che tutelata la sua buona fede; in caso
contrario l annullamento dell aggiudicazione avr effetti travolgenti anche per il contratto, dando cos al
ricorrente di raggiungere un effettivo risultato di giustizia sostanziale.

Capitolo VI Gli accordi amministrativi

1. Il contratto di diritto pubblico: cenni storici e comparatistici

Nel nostro sistema di diritto amministrativo la questione del contratto di diritto pubblico stata affrontata
anzitutto dal punto di vista dogmatico; infatti, il dibattito stato intessuto sul seguente interrogativo:
possibile che il potere amministrativo, anzich assumere la sua consueta configurazione di atto unilaterale,
sia esercitato in forma concordata e costituisca oggetto di un vero e proprio contratto con i soggetti
interessati?
Il problema stato dibattuto, in questi termini, sin dagli inizi del secolo scorso, anche perch gi all epoca vi
era la presenza di istituti difficilmente inquadrabili nella categoria dell atto unilaterale: tali erano, ad es., le
concessioni di pubblici servizi, le quali, invero, non potevano fare a meno di apposite convenzioni, attraverso
le quali venivano precisati i rapporti tra concedente e concessionario. Nonostante ci, la dottrina ha sempre
avanzato numerose resistenze ed obiezioni all ammissibilit dell istituto: tali resistenze, in particolare,
facevano leva sul carattere paritario del contratto e sulla mancanza di una norma-base che ne avallasse l
esistenza nel diritto positivo.
L ostracismo dottrinale ha, pertanto, indotto la giurisprudenza a ricorrere ad una categoria pi complessa,
costituita dalla cd. concessione-contratto: si tratta, pi precisamente, di una fattispecie a doppio grado, cos
denominata perch consistente, da un lato, in un atto amministrativo unilaterale (con il quale l
amministrazione dispone in modo autoritativo di un bene pubblico o di un pubblico servizio, in modo tale da
costituire specifici diritti in capo al concessionario) e, dall altro lato, in un contratto intercorrente tra l
amministrazione concedente ed il concessionario (attraverso cui vengono disciplinati gli aspetti obbligatori
di natura patrimoniale, che scaturiscono dall uso del bene o dall esercizio del pubblico servizio).
In ogni caso, necessario sottolineare che, nonostante la categoria della concessione-contratto abbia riscosso
notevole successo in giurisprudenza, col passare del tempo, essa ha manifestato i propri limiti: da un lato,
infatti, stato osservato che il provvedimento, senza il contratto, sarebbe risultato del tutto incapace di
produrre effetti, a prescindere dalla convenzione; dall altro lato, invece, stato osservato che la convenzione
non avrebbe potuto limitare la propria efficacia ai soli aspetti patrimoniali. Le obiezioni esposte hanno,
pertanto, convinto molti autori a riconsiderare il problema dogmatico del contratto di diritto pubblico,
avvalendosi, a tal fine, anche dell esperienza di altri Paesi e, in particolare, di quella francese e tedesca.
In Francia, infatti, sono stati da tempo ammessi i cd. contracts administratifs (contratti amministrativi), i
quali sono sottoposti a regole speciali di diritto pubblico ed assoggettati (sotto il profilo del contenzioso) alla
competenza dei Tribunali amministrativi.
Al contrario, il regime del contratto (che vincola l amministrazione ed il contraente) assoggettato agli
stessi vizi del consenso del contratto di diritto privato (va precisato, per, che tale disciplina privatistica non
impedisce ai terzi la possibilit di impugnare l atto, al fine di ottenerne l annullamento, secondo i princpi
del diritto amministrativo). bene tener presente, inoltre, che l amministrazione dispone, nella fase di
esecuzione, anche di particolari prerogative, che danno luogo all esercizio di poteri unilaterali (si pensi, ad
es., al potere di revoca, nonch al potere di modificare, in modo unilaterale, l assetto contrattuale per
sopravvenute esigenze di interesse pubblico): si tratta, com facile intuire, di poteri che accentuano la
connotazione pubblicistica dell istituto. In Germania, invece, da molto tempo stata teorizzata la figura dei
cd. Verwaltungsvertrge (si tratta, in dettaglio, di contratti diretti a costituire, modificare o estinguere un
rapporto giuridico di diritto pubblico); al riguardo, particolare rilevanza assume la disciplina che concerne la
patologia del contratto: questi, infatti, sottoposto al regime della nullit (e non a quello dell annullabilit,
come accade, di norma, per gli atti amministrativi illegittimi); tutto ci, come si pu facilmente notare, non
fa che manifestare l orientamento del legislatore tedesco a configurare l istituto secondo connotati
privatistici.

2. L articolo 11 della legge 241/90 e le sue principali tesi interpretative

Il problema interpretativo del contratto di diritto pubblico, all interno del nostro ordinamento giuridico,
stato risolto con l introduzione dell art. 11L. 241/90; attraverso questa disposizione, infatti, il nostro
legislatore ha disciplinato, per la prima volta, due specifiche categorie di accordi:
gli accordi integrativi (diretti a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale);
gli accordi sostitutivi del provvedimento (diretti, invece, a sostituirsi allo stesso); va precisato, tra l altro,
che gli accordi cos denominati prendono anche il nome di accordi facoltativi, in virt del fatto che la
possibilit di sostituire, integralmente o in parte, il provvedimento finale rimessa alla scelta dell
amministrazione. necessario sottolineare, per, che, nell ambito della disciplina di cui all art. 11 L.
241/90, la giurisprudenza ha ricondotto anche la figura dei cd. accordi necessari, vale a dire quelle figure
che, anche se producono effetti simili a quelli di un provvedimento amministrativo, la legge ha strutturato in
forma contrattuale (si pensi, ad es., alla concessione di servizi ovvero alla convenzione di lottizzazione).
In ogni caso, occorre precisare che quel che stato detto fino a questo momento concerne soltanto gli accordi
tra amministrazione e privati (cd. accordi verticali, cos denominati perch i soggetti contraenti assumono
una diversa posizione); non bisogna dimenticare, tuttavia, che l esperienza concreta conosce e disciplina
anche i cd. accordi orizzontali, vale a dire gli accordi stipulati tra amministrazioni pubbliche (invero, in virt
del d.lgs. 267/00, che disciplina l accordo di programma, e della L. 241/90, anche questi accordi devono
essere ricondotti nell alvo dell istituto generale di cui all art. 11).
In relazione al complesso di figure su analizzate si posto, ovviamente, il problema di stabilire il relativo
inquadramento sistematico; in quest ottica, sono state enucleate, in dottrina, quattro diverse chiavi di lettura:
la prima tesi, che potremmo definire panprivatistica, concepisce l accordo come un contratto di diritto
privato o, pi precisamente, di diritto comune (inteso, questo, come il diritto che disciplina l azione dei
privati cittadini tra di loro e che trova nel codice civile la sua pi viva espressione); questa teoria, in
particolare, trova la sua ragion d essere nella disposizione contenuta nel co. 2 dell art. 11 L. 241/90, il quale,
infatti, stabilisce che agli accordi si applicano, ove non diversamente previsto, i princpi del codice civile in
materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili;
come la prima, anche la seconda tesi interpretativa configura gli accordi come contratti di diritto privato,
ma riconosce a questi ultimi un autonomia ristretta; in altri termini, secondo questa teoria, l azione
amministrativa, attraverso l accordo, non perderebbe il suo quadro di riferimento, ma, al contrario,
conserverebbe tutti i vincoli normativi che avvolgono la potest amministrativa (come se fosse esercitata
unilateralmente); questi vincoli, perci, si applicano anche nel caso in cui si proceda alla stipulazione di un
accordo, limitando, cos, l autonomia privata dell Amministrazione. Detto, ci, bene tener presente, per,
che il quadro normativo deve essere pur sempre valutato secondo logiche privatistiche: infatti, sempre ai
sensi del co. 2 dell art. 11, la normativa di riferimento deve essere apprezzata secondo i canoni privatistici
(se ne deduce, pertanto, che la violazione degli stessi produrr la nullit dell accordo per violazione delle
norme, ex art. 1418 c.c.).
Cos ragionando, la costruzione in esame porta ad inquadrare gli accordi, ex art. 11, nei cd.
Verwaltungsvertrge, disciplinati dalla legge tedesca;
il terzo inquadramento, che potremmo definire del contratto di diritto pubblico, si fonda, invece, sul
convincimento che l azione amministrativa per accordi conserva non solo il quadro di riferimento prima
richiamato, ma anche il regime tipico degli atti amministrativi: a cominciare dalla relativa patologia, vale a
dire dai tre ben noti vizi di legittimit (violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere). In un
contesto del genere, la disciplina codicistica (co. 2 dell art. 11), come si pu notare, non sostituisce la
disciplina pubblicistica, ma si aggiunge ad essa: in altri termini, alla disciplina privatistica viene riconosciuta
una cd. funzione sussidiaria rispetto alla disciplina pubblicistica, nel senso che essa chiamata a coprire tutti
i profili degli accordi che fuoriescono dal regime dell atto amministrativo.
La costruzione in esame porta, pertanto, ad assimilare gli accordi, di cui all art. 11, ai cd. Contracts
administratifs dell ordinamento francese;
infine, l ultima tesi interpretativa, che potremmo definire prevalentemente pubblicistica, riprende i
presupposti della costruzione teorica analizzata in precedenza, con un unica saliente differenza: la teoria in
esame, infatti, esclude che gli accordi, ex art. 11, possano essere inquadrati nel genus del contratto
(mancando, perci, il contratto, saranno applicabili pochissime norme codicistiche).
In quest ottica, allora, gli accordi, ex art. 11, risulterebbero disciplinati prevalentemente dal diritto pubblico
e dal regime dell atto amministrativo (al contrario, la disciplina privatistica troverebbe un campo di
applicazione assai limitato e, comunque, di scarso rilievo).

3. La natura giuridica degli accordi amministrativi ex art. 11 L. 241/90

A questo punto, necessario prendere una posizione tra le su analizzate ricostruzioni sistematiche; nel far
ci, per, utile, innanzitutto, escluderele due che potremmo definire estreme, a cominciare dalla
costruzione cd.panprivatistica, la quale, invero, trascura la fondamentale circostanza che gli accordi ex art.
11 (i cd. accordi facoltativi) sostituiscono, in tutto o in parte, provvedimenti amministrativi e trascura, oltre
modo, il fatto che i suddetti accordi traggono la propria disciplina dal procedimento amministrativo
(rappresentando un modo di conclusione dello stesso procedimento, in alternativa all atto unilaterale dell
Amministrazione). Quest aspetto, del resto, stato, di recente, fatto proprio dalla Consulta, la quale, infatti,
con sent. 204/04 ha riconosciuto testualmente che la facolt di stipulare accordi ex art. 11 presuppone l
esistenza del potere autoritativo: se ne deduce, pertanto, che, dal momento che la posizione iniziale fatta
valere dall Amministrazione costituita da una potest amministrativa, non vi pu essere, in tema di
accordi, la sostituzione di una piena autonomia privata alla potest amministrativa e, di conseguenza, l
assoggettamento al solo diritto comune (o privato).
Del pari da escludere l interpretazione prevalentemente pubblicistica, in considerazione del fatto che non
v nulla che consenta di distinguere (da un punto di vista morfologico-funzionale) gli accordi dai contratti:
invero, gli accordi non solo contengono tutti gli elementi elencati dall art. 1321 c.c., ma ai sensi dell art.
1372 c.c. l accordo , per cos dire, un contratto pienamente vincolante tra le parti, dato che l
Amministrazione, attraverso l accordo, esaurisce il suo potere discrezionale (e il vincolo contrattuale, che ne
deriva, non pu essere annullato se non per sopravvenute esigenze di interesse pubblico).
Di conseguenza, si pu affermare con certezza che gli accordi si presentano come una fattispecie in cui vi
la presenza di un contratto (espressione di autonomia negoziale nell esercizio di diritti soggettivi) e di un
esercizio dipotest amministrativa (posizione sostanziale, che si esprime, di regola, nel provvedimento, quale
esercizio del potere amministrativo).
Una volta eliminate le soluzioni estreme, la scelta deve, pertanto, cadere sulle due costruzioni teoriche
residue; al riguardo, occorre sottolineare, innanzitutto, che si tratta di una questione di stretto diritto positivo,
che non pu essere condizionata da premesse politologiche: in effetti, in questi ultimi anni, si preferito
dare, molto spesso, una lettura privatistica alla materia degli accordi; questa preferenza, tuttavia, stata
fondata sulla necessit di garantire un rapporto paritario tra cittadini e pubblica amministrazione, allo scopo
di eliminare le prerogative di quest ultima (concepite come veri e propri privilegi).
Ma, come detto pocanzi, la soluzione deve essere ricercata sul terreno del diritto positivo: in questa
prospettiva, quindi, risulta abbastanza chiaro, ad avviso di chi scrive, che l art. 11 L. 241/90 configura l
accordo come una fattispecie inquadrabile nell istituto definito, storicamente, come contratto di diritto
pubblico.
In particolare, le ragioni che depongono a favore di questa soluzione sono numerose, ma, in questa sede,
sufficiente elencarne solo alcune: anzitutto, bene tener presente che l art. 11 disciplina allo stesso modo gli
accordi sostitutivi di provvedimento e gli accordi sul contenuto discrezionale del provvedimento (cio, gli
accordi integrativi); in entrambi i casi, dunque, l accordo presenta la stessa natura e lo stesso regime.
Tuttavia, se si considera il secondo tipo di accordo (quello integrativo), non si pu non riconoscere che
questa fattispecie contempla, in ogni caso, un provvedimento finale (manifestazione del potere
amministrativo); e, poich il provvedimento finale, in tal caso, espressione dell accordo integrativo, si
deve giungere alla conclusione che questo tipo di accordo costituisce, a sua volta, esercizio di potere
amministrativo ( per questo motivo che non si pu parlare, in queste ipotesi, di autonomia privata).
Ovviamente, la soluzione disposta per gli accordi integrativi vale anche per gli accordi sostitutivi, in virt
dell accennata identit di regime, ex art. 11 L. 241/90. Del resto, anche a voler considerare solo questi ultimi
(quelli sostitutivi), l art. 11 fornisce ulteriori conferme a quanto fin qui esposto: infatti, per gli accordi in
esame, il co. 3 dell art. 11 stabilisce che gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi
controlli previsti per questi ultimi (cio, previsti per i provvedimenti). In particolare, dovendosi trattare dei
medesimi controlli previsti per il provvedimento sostituito, vengono qui in considerazione i controlli di
legittimit (tipici degli atti amministrativi): ed invero, per l autorit che opera il controllo, un permesso di
costruire, un nulla-osta all apertura di un centro commerciale o un espropriazione per pubblica utilit
rimangono sempre il risultato dell esercizio di una potest amministrativa, a prescindere dal fatto che essi
siano ricompresi in un accordo, ex art. 11, o, come accade di regola, in un atto unilaterale.
Le stesse considerazioni valgono anche per i soggetti terzi, che (in alcune circostanze) possono essere lesi da
accordi stipulati inter alios (cio, tra altri soggetti): si pensi, ad es., all accordo sostitutivo di permesso di
costruire ed alla posizione dei proprietari dei fondi confinanti (che sono titolari di interesse legittimo
oppositivo, in relazione all osservanza della disciplina urbanistica ed edilizia vigente); si pensi, ancora, alla
posizione (di interesse legittimo pretensivo) del terzo concorrente per una concessione di pubblico servizio,
conclusa con una convenzione stipulata con un altro contraente.
In questi casi, la tutela giurisdizionale del terzo non pu essere diversa da quella accordata agli stessi terzi
dall ordinamento amministrativistico: tale tutela, dunque, non pu che consistere nel ricorso diretto all
annullamento dell atto (nel nostro caso, l accordo), per i consueti e noti vizi di legittimit (incompetenza,
violazione di legge ed eccesso di potere).

4. Le implicazioni di regime

a) la fase di formazione Sulla base dei criteri su enunciati, possibile, a questo punto, analizzare le
principali implicazioni relative al regime degli accordi; nel far ci, appare utile distinguere la fase di
formazione da quella di esecuzione degli accordi stessi.
In particolare, per quel che concerne la fase di formazione, bisogna tener presente, innanzitutto, che alla
manifestazione di volont della pubblica amministrazione si applicano i consueti vizi degli atti
amministrativi (il che impedisce l applicabilit, ad essa, dei vizi del consenso, cos come disciplinati dal
codice civile).
In secondo luogo, non bisogna dimenticare che il terzo (come gi detto) pu impugnare un accordo (al quale
non ha preso parte), chiedendone l annullamento per i vizi di legittimit su esposti (il che comunemente
riconosciuto dalla giurisprudenza).
Al contrario, l altro contraente (cio, il soggetto che ha stipulato l accordo con l Amministrazione) pu far
valere gli eventuali vizi della volont, i quali, infatti, non sono coperti dalla disciplina pubblicistica: anche
questa implicazione accolta dalla giurisprudenza, la quale, infatti, da un lato, sottolinea il carattere
privatistico della tutela accordata all altro contraente e, dall altro, esclude che quest ultimo possa
impugnare l accordo per vizi di legittimit.
Tutto ci conferma che l accordo, pur essendo un vero e proprio contratto, espressione, da parte dell
Amministrazione, di potest amministrativa; e dimostra, inoltre, che la disciplina privatistica non va a
sostituire quella pubblicistica, ma va ad aggiungersi a questa, disciplinando quegli aspetti contrattuali non
coperti da quest ultima ( in questo senso che deve essere inteso l inciso in quanto compatibile, di cui al co.
2 dell art. 11). All accordo, invero, potranno essere applicate tutte quelle norme codicistiche che non siano
precluse dal particolare regime della volont dell Amministrazione: si pensi, ad es., alla nullit per
inesistenza o illiceit della causa ovvero alla impossibilit, illiceit o indeterminabilit dell oggetto del
contratto.
Qualora, poi, l accordo venga annullato (su impugnazione dei terzi o in sede di autotutela, da parte dell
Amministrazione) per i richiamati vizi di legittimit, l annullamento provocher la caducazione dell intero
assetto dei rapporti da esso costituito: ci si spiega in considerazione del fatto che l annullamento si
ripercuote sull assenso dato dall Amministrazione all accordo medesimo.
In questo senso, dunque, non si pu non notare una profonda e sostanziale differenza tra gli accordi, ex art.
11, ed i contratti ad evidenza pubblica, analizzati precedentemente: ed infatti, nel contratto ad evidenza
pubblica, pur sussistendo una procedura amministrativa, si deve prendere atto che attraverso di essa si forma
la volont contrattuale dell Amministrazione (che rappresenta manifestazione di autonomia privata della
stessa).
Sussistendo, altres, una netta separazione tra la fase di formazione della volont e la conclusione del
contratto, nei contratti ad evidenza pubblica il collegamento tra l eventuale vizio inficiante la volont e le
ripercussioni sul contratto segue il regime dettato, in generale, per l annullamento delle delibere delle
persone giuridiche e relative conseguenze (artt. 23, co. 2 e 25, co. 2 c.c.): di conseguenza, si potr parlare di
invalidit derivata di diritto privato (e non di invalidit derivata di diritto pubblico, dal momento che il
contratto non presenta alcun contenuto pubblicistico, essendo espressione della capacit di agire di diritto
privato).
Negli accordi amministrativi, al contrario, l elemento pubblicistico entra nel contratto: in questo caso,
infatti, la manifestazione di volont espressa dall Amministrazione costituisce esercizio del potere
amministrativo (si consideri, ad es., che, attraverso l accordo, l Amministrazione autorizza, concede,
espropria, etc., producendo, per tale aspetto, lo stesso effetto dell atto unilaterale); pertanto, a differenza di
quanto accade per i contratti ad evidenza pubblica, qui l eventuale vizio che dovesse inficiare la volont un
vizio dell accordo ed il relativo annullamento colpisce direttamente l accordo medesimo (in relazione agli
accordi, valgono, perci, le normali regole procedimentali).

b) la fase di esecuzione Anche la fase di esecuzione degli accordi presenta varie manifestazioni di potest
amministrative (mettendo, con ci, ancor pi in risalto la differenza sostanziale rispetto ai contratti ad
evidenza pubblica, i quali, invero, in tale fase, sono interamente assoggettati al diritto privato); il che
giustifica, tra l altro, l attribuzione delle controversie (relative alla fase di esecuzione) alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo. A conferma di quanto detto, proponiamo il seguente esempio: si
consideri il provvedimento posto in esecuzione dell accordo integrativo ed il recesso(dallo stesso accordo)
per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ex co. 4 dell art. 11 L. 241/90: in tal caso, il recesso, in virt
di quanto esposto in questo capitolo, dovr essere considerato espressione del medesimo potere
amministrativo (tra l altro, trattandosi di un atto unilaterale, tale recesso presenta tutte le caratteristiche del
provvedimento amministrativo). Tuttavia, occorre anche prendere atto che la fase dell esecuzione quella in
cui trovano pi ampia applicazione i princpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti (art. 11,
co. 2); il che presuppone, dunque, la necessit di inquadrare il singolo accordo nelle principali categorie
civilistiche (ad es., contratti sinallagmatici, contratti associativi, etc.). In particolare, nel caso in cui l
accordo dovesse risultare inquadrabile nella categoria dei contratti sinallagmatici [cos denominati perch
entrambe le parti (l Amministrazione e l altro contraente) assumono l obbligazione di eseguire una
prestazione, di dare oppure di fare], la controprestazione dellAmministrazione pu ben consistere nell
emissione del provvedimento concordato: ad es., la convenzione di lottizzazione comporta l obbligo, per l
Amministrazione, di rilasciare i permessi di costruzione ivi previsti, sia pure a fronte di particolari
prestazioni del privato (quali, ad es., la cessione di aree o la costruzione di opere di urbanizzazione).

Capitolo VII Diritto pubblico e privato nell azione amministrativa

1. Per entrare nel tema

Negli ultimi anni si assistito, da un lato, ad una drastica riduzione dellintervento pubblico in quei campi
che, tradizionalmente, erano coperti dal diritto amministrativo (si pensi, ad es., alla disciplina del
commercio) e, dall altro, ad una cospicua privatizzazione di rapporti disciplinati, fino a quel momento, dal
diritto pubblico(si pensi, ad es., al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni).
Per converso, per, si assistito anche ad un ampliamento non indifferente della sfera di competenza del
diritto amministrativo, sia per quel che concerne l istituzione di nuovi organismi (si pensi, ad es., alle
Autorit indipendenti), sia per quel che riguarda l assoggettamento alla disciplina pubblicistica di alcune
attivit svolte da soggetti privati.
Ed proprio in questo contesto normativo che bisogna inquadrare il co. 1 bis dell art. 1 L. 241/90 (cos come
introdotto dalla L. 15/05), che rappresenta la norma-base dell attivit di diritto privato dell
Amministrazione; questa disposizione, infatti, stabilendo che la pubblica amministrazione, nell adozione di
atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge disponga
diversamente, pone una particolare regola generale (la pubblica amministrazione agisce secondo le norme
del diritto privato); tuttavia, l efficacia di questa regola, come si pu facilmente notare, viene subordinata a
due specifiche condizioni:
che si tratti di adottare atti di natura non autoritativa;
che la legge non disponga diversamente.
Ora, chiaro che la disposizione in esame si presenta ricca di implicazioni, che devono essere analizzate con
particolare attenzione: in quest ottica, necessario, anzitutto, sottolineare che il rinvio alle norme di diritto
privato deve essere globale e non, al contrario, limitato a determinate categorie o settori; di conseguenza, in
quest ambito, trovano applicazione non solo le norme concernenti il regime giuridico degli atti di diritto
privato, ma anche le norme regolatrici di tali atti (il tutto, naturalmente, in un quadro di privatizzazione
sostanziale, non condizionato da princpi pubblicistici).
Per quel che riguarda, poi, le due condizioni poste dalla norma oggetto d esame, bene tener presente che la
prima (atti di natura non autoritativa) sembra voler far riferimento ad un dato ontologico (vale a dire, ad una
cd. condicio sine qua non): si vuole dire, in altri termini, che, se l atto presenta natura autoritativa, esso deve
essere necessariamente pubblicistico.
In relazione, invece, alla seconda condizione (salvo che la legge non disponga diversamente), va osservato
che il co. 1 bis, mediante questo inciso, vuole far riferimento a quegli atti che, pur essendo di natura non
autoritativa, sono, per espressa scelta del legislatore, assoggettati alla disciplina pubblicistica.
Orbene, alla luce di quanto esposto in questa sede, i problemi che ne derivano discendono proprio dalla
difficolt di individuare questi atti di natura non autoritativa: ci in considerazione del fatto che, da un lato,
la legge non si preoccupa di stabilire cosa si debba intendere per atto di natura autoritativa e, dall altro lato,
in considerazione del fatto che la locuzione in esame fa riferimento ad una categoria di atti estremamente
controversa.

2. L enucleazione a contrario degli atti di natura non autoritativa

A) Secondo una primo orientamento, nella categoria degli atti autoritativi si fanno rientrare tutti quegli atti
che sono considerati come espressione dell esercizio del potere amministrativo. Un impostazione del
genere pare che si possa, senza dubbio, condividere, soprattutto se si tiene conto del fatto che essa non solo
stata accolta in una recente sentenza della Corte costituzionale (204/04), ma anche stata recepita dal
legislatore penale nel biennio 90-92: stabilisce, infatti, l art. 357, co. 2 c.p. che pubblica la funzione
amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla
formazione e dalla manifestazione della volont della pubblica amministrazione o del suo svolgersi per
mezzo di poteri autoritativi o certificativi. Alla luce di ci, appare, dunque, evidente come l ampia nozione
di atti autoritativi presa qui in considerazione ricopra un area molto vasta dell azione amministrativa: essa,
invero, ricopre non soltanto la categoria dei provvedimenti, ma anche quella degli accordi amministrativi, ex
art. 11 L. 241/90.
Di conseguenza, rimarrebbero fuori dalla nozione di atti autoritativi e, per converso, costituirebbero atti di
natura non autoritativa i contratti di diritto comune e di diritto privato speciale (compresi gli appalti di
lavori, servizi e forniture), nonch gli altri casi di atti incidenti su rapporti assoggettati, a termini di legge, al
diritto privato (tali sono, ad es., i rapporti di lavoro con la pubblica amministrazione) e, infine, gli atti della
cd. evidenza pubblica, i quali, infatti, sfociando in un contratto di diritto privato, non costituiscono
espressione di potere amministrativo in senso tecnico (al riguardo, per, bene precisare che, anche se gli
atti di evidenza pubblica non presentano natura autoritativa, l assoggettamento alla disciplina pubblicistica
viene, in ogni caso, imposto per espressa previsione del legislatore, che, di fatto, li sottrae alla disciplina di
diritto privato).
B) In una seconda categoria di atti autoritativi si fanno rientrare, invece, tutti quegli atti provvedimentali
capaci di produrre effetti unilaterali nella sfera giuridica altrui.
Accogliendo, dunque, la nozione in esame risulterebbero automaticamente esclusi dal novero degli atti
autoritativi non soltanto gli atti di evidenza pubblica, ma anche gli accordi amministrativi, ex art. 11: questi
ultimi, infatti, essendo atti consensuali, producono effetti giuridico-contrattuali propri e fuoriescono, dunque,
dalla categoria degli atti unilaterali.
Tuttavia, questo indirizzo interpretativo non pu essere affatto condiviso: necessario tener presente, infatti,
che gli accordi presentano, in ogni caso, una connotazione di regime, che, da un lato, ne impone l
equiparazione agli atti autoritativi e, dall altro, li sottrae alla disciplina privatistica; del resto, bisogna anche
considerare il fatto che essi non sono assoggettati, in blocco, alle norme di diritto privato (come si esprime il
co. 1 bis dell art. 1), ma sono assoggettati ai princpi del codice civile su obbligazioni e contratti in quanto
compatibili (ex art. 11, co. 2) col regime dell atto amministrativo (in funzione integrativa, ma non
sostitutiva, della disciplina pubblicistica).
C) Infine, in una terza ed ultima categoria di atti autoritativi la recente dottrina inserisce i soli provvedimenti
restrittivi (o, comunque, quelli che non presuppongono il previo consenso, nel senso di domanda o istanza
da parte del cittadino richiedente).
Ora, come si pu facilmente intuire, qualora si accolga quest accezione del termine, il novero degli atti
autoritativi risulterebbe ancor pi circoscritto rispetto a quelli analizzati poco sopra: infatti, rimarrebbero
esclusi da tale ambito non solo gli atti estranei alle prime due nozioni, ma anche tutti i provvedimenti
ampliativi (concessioni, autorizzazioni, sovvenzioni, etc.), nonch tutti gli atti che fanno riferimento al
rapporto di pubblico impiego e gli atti organizzatori; di conseguenza, neppure questa nozione appare idonea
a tracciare la linea di demarcazione tra l area del diritto pubblico (autoritativa) rispetto a quella privata (non
autoritativa). Invero, in relazione agli atti ampliativi, occorre considerare che, per quel che concerne le
autorizzazioni e le concessioni, la stessa L. 241/90 prevede, all art. 20, un regime tipicamente pubblicistico:
essendo, infatti, il silenzio della pubblica amministrazione equiparato ad un provvedimento espresso di
assenso, esso stato assoggettato al potere di annullamento d ufficio per vizi di legittimit, in vista del
perseguimento dell interesse pubblico. Per quanto riguarda, invece, gli atti di organizzazione (degli enti
pubblici economici) sufficiente richiamare il combinato disposto degli artt. 2, co. 1 e 63, co. 1 d.lgs.
165/01, che disciplinano, rispettivamente, il potere di organizzazione ed il potere del giudice ordinario del
lavoro, in ordine alla disapplicazione degli atti amministrativi presupposti: ora, se si considera, da un lato,
che questi ultimi (cio, gli atti amministrativi presupposti) sono, appunto, atti organizzatori e che, dall altro,
il potere di disapplicazione riguarda eventuali vizi di legittimit, se ne deve dedurre che questi atti
appartengono alla sfera del regime pubblicistico.
Lo stesso discorso pu valere, infine, per le procedure concorsuali dirette all assunzione dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni e per i rapporti di pubblico impiego, ex art. 3 d.lgs. 165/01: questa disposizione,
infatti, stabilisce che le controversie relative al personale di diritto pubblico sono devolute al giudice
amministrativo.

3. Le funzioni del co. 1 bis nel quadro dell attivit dell Amministrazione

Alla luce delle su analizzate nozioni, necessario a questo punto operare alcune valutazioni:
innanzitutto, occorre prendere atto che, al fine di stabilire il campo di operativit del diritto privato, ex art.
1, co. 1 bis L. 241/90, l ampiezza della nozione di atti autoritativi poco rilevante, in virt del fatto che,
come visto, ci che non viene ricompreso nell ambito delle nozioni pi ristrette(la seconda e la terza, in
precedenza analizzate) , in ogni caso, ricondotto per volont del legislatore alla disciplina pubblicistica;
al contrario, particolarmente rilevante il ruolo che qui gioca il riparto di giurisdizione ai fini dell
inquadramento di singole fattispecie nell ambito del diritto pubblico; del resto, che l assoggettamento alla
giurisdizione del giudice amministrativo rappresenti un requisito essenziale del carattere pubblico (non
privato) della fattispecie, dimostrato dalla dottrina e dalla giurisprudenza francese, che ad esso si ispirano
al fine di rendere concreta la distinzione tra attivit di diritto pubblico ed attivit di diritto privato dell
Amministrazione;
infine, necessario considerare il fatto che l eventuale spostamento di fattispecie, provocato dal co. 1 bis,
dal campo di applicazione pubblicistico a quello privatistico , sulla base dell analisi fin qui esposta,
pressoch limitato; infatti, non bisogna dimenticare che le principali fattispecie, che, per tradizione, sono
assoggettate al diritto amministrativo, continuano a rimanere tali (nonostante la presenza dell art. 1, co. 1
bis), sia perch sono espressione di un attivit autoritativa e sia perch continuano ad essere assoggettate alla
disciplina amministrativa per volont del legislatore.
Alla luce di ci, per stabilire, dunque, quali possano essere i principali atti inquadrabili concretamente nell
alvo del co. 1 bis dell art. 1 L. 241/90, bisogna, in realt, volgere l attenzione a tutti quei casi che, vuoi per
la loro incerta collocazione, vuoi perch caratterizzati dalla produzione di effetti unilaterali (anche se
incorporati in contratti di diritto privato), sono stati erroneamente accreditati, da parte della dottrina e della
prassi, di connotati pubblicistici, credendo che il diritto pubblico fosse il diritto naturale dell
Amministrazione. In particolare, questo modus operandi stato giustificato in virt del cd. indirizzo
panpubblicistico; quest ultimo, invero, nonostante si sia sviluppato intorno alla seconda met del secolo
scorso, ha protratto i suoi effetti fino ai giorni nostri: si pensi, tanto per fare un esempio, che, in relazione al
contratto di appalto di opere pubbliche, stato attribuito carattere provvedimentale (e, dunque,
amministrativistico) ad istituti che, viceversa, presentano caratteri notoriamente privatistici (come il recesso
unilaterale, la rescissione per inadempienza, l ordine di sospensione dei lavori, l approvazione del collaudo
e la determinazione sulla revisione dei prezzi).
Ovviamente, in questa sede potrebbero essere proposti molti altri esempi, ma quel che preme sottolineare, in
realt, che, nell agire della pubblica amministrazione, la presunzione che il diritto pubblico costituisca la
regola ed il diritto privato l eccezione non pu, oggi giorno, essere condivisa; tant che, ad avviso di chi
scrive, il merito del co. 1 bis dell art. 1 L. 241/90 sta proprio nell essere riuscito a sancire un principio
opposto: quello, cio,in base al quale l attivit non autoritativa della pubblica amministrazione si
presume di diritto privato (sempre salva diversa disposizione di legge).
Ma, i meriti del co. 1 bis non si esauriscono qui: infatti, necessario tener presente che, dal momento che l
attivit di diritto privato si estende a tutto ci che non manifestazione di attivit autoritativa, la disposizione
in esame presuppone chiaramente la pi ampia capacit di diritto privato da parte della pubblica
amministrazione, nel senso che a quest ultima deve essere concessa la possibilit di utilizzare tutti gli
strumenti a disposizione dei privati (stante il rinvio, operato dal co. 1 bis, alle norme di diritto privato).

4. L art. 1 L. 241/90 e le norme-base che esso pone

Dopo questa breve disamina sul ruolo dell art. 1, co. 1 bis L. 241/90 non si pu concludere il discorso qui
esposto senza tentare di fissare i rapporti tra questa norma ed i co. 1 e 1 ter, che lo precedono e lo seguono,
nell ambito dell art. 1.
In quest ottica, occorre osservare, anzitutto, che il co. 1 dell art. 1, parlando in generale di attivit
amministrativa, fornisce all osservatore una nozione alquanto generica, in virt del fatto che in essa vi si
potrebbe far rientrare non soltanto l attivit pubblicistica, ma anche quella privatistica; e vi si potrebbero
ricomprendere sia le operazioni materiali che gli atti giuridici veri e propri.
In realt, e volendo limitare l attenzione solo a questi ultimi (atti giuridici), si deve giungere alla conclusione
che il co. 1 si riferisce esclusivamente all attivit di diritto pubblico e non anche a quella di diritto privato
dellAmministrazione: ci, del resto, lo si pu dedurre dal fatto che l art. 1 fa riferimento a quelle attivit, in
cui il perseguimento dei fini determinati dalla legge deve avvenire secondo le modalit previste dalla stessa
L. 241/90 (infatti, dal momento che la novella in esame disciplina l attivit provvedimentale in quanto tale
assoggettata al regime pubblicistico , se ne deve dedurre che il co. 1 rappresenta, a sua volta, la norma-base
dell attivit di diritto pubblico dell Amministrazione, cos come il co. 1 bis costituisce la norma base della
sua attivit di diritto privato). Impostata la questione in questi termini, nell alvo del co. 1 vi rientrano,
ragionando a contrario (sulla base, cio, di quanto disposto dal co. 1 bis) gli atti di natura autoritativa,
nonch gli atti che la legge assoggetta, in ogni caso, al regime pubblicistico.
Per quel che concerne, invece, il co. 1 ter va detto che anch esso si occupa di attivit amministrativa, che sia
esercitata, per (a differenza del comma precedente) da soggetti privati; ovviamente, anche in tal caso il
concetto di attivit amministrativa deve essere interpretato ed inteso sulla base del co. 1 bis: infatti, bisogna
tener presente che il co. 1 ter richiama il co. 1 e questo, come detto in precedenza, ricomprende tutta l
attivit non assoggettata al diritto privato, ex co. 1 bis (dunque, anche in questo caso, deve trattarsi di atti
autoritativi o di atti a questi equiparati dalla legge).
In relazione al co. 1 ter si rende necessaria, infine, una precisazione: occorre considerare, invero, che mentre
molto difficile che soggetti privati siano preposti all esercizio di attivit autoritativa (anche se un classico
esempio lo ritroviamo nella legge sulla espropriazione per pubblica utilit, ove il relativo compito pu,
infatti, essere affidato al concessionario, sulla base dell art. 6 D.P.R. 372/01) certo pi facile che un
soggetto privato sia preposto ad un attivit equiparata, per legge, a quella autoritativa (un esempio, in tal
senso, offerto dagli atti di evidenza pubblica in gare di appalti comunitari).

Capitolo VIII I contratti e gli accordi transattivi della Pubblica Amministrazione

1. La transazione cos come disciplinata nel codice civile

L art. 1965, co.1 c.c. definisce la transazione come il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche
concessioni, pongono fine ad una lite gi cominciata o prevengono una lite che pu sorgere tra di loro.
La transazione un contratto che, nella pratica, assume una fondamentale importanza ed al quale le parti
ricorrono allo scopo, come detto, di evitare liti giudiziarie; essa presuppone l esistenza di una controversia
tra le due persone che stipulano, le quali, proprio allo scopo di porre fine alla lite, si fanno reciproche
concessioni: ci significa che entrambe rinunciano ad alcune delle proprie pretese (ovviamente, queste
reciproche concessioni possono presentare il contenuto pi vario, cos come, del resto, si evince dal co. 2
dell art. 1965 c.c.).
Ad ogni modo, volendo presentare l istituto in esame in modo pi chiaro, appare utile avanzare un semplice
esempio: supponiamo che Tizio abbia venduto una certa quantit di merci a Caio e ne pretenda, dunque, il
pagamento, affermando che le merci vendute erano esenti da qualsiasi tipo di vizio; Caio, invece, pretende
una riduzione del prezzo del 30% ed anche il risarcimento del danno, affermando che le merci presentavano
molti vizi.
Ora, se le parti seguono la strada della lite giudiziaria, il giudice accerter la fondatezza o meno delle loro
pretese e si pronuncer di conseguenza; se, al contrario, seguono la via della transazione, concorderanno le
reciproche concessioni: le parti, ad es., possono concordare che Caio paghi un prezzo ridotto del 30%, ma
non ottenga il risarcimento del danno oppure che Caio paghi un prezzo ridotto del 10% ovvero, ancora, che
paghi il prezzo intero, ma ottenga gratuitamente da Tizio una certa quantit di merce, e cos via.

2. La transazione degli enti pubblici economici secondo Enrico Guicciardi

Il tema della transazione degli enti pubblici economici talmente legato al nome del suo fautore, Enrico
Guicciardi, che risulta ancora fermo alla sua dottrina; non si pu non riconoscere, tuttavia, che, dal momento
che ormai sono trascorsi pi di 70 anni dalla pubblicazione del suo noto saggio (La transazione degli enti
pubblici), l argomento in esame merita una necessaria quanto utile rispolverata, soprattutto in
considerazione del fatto che completamente mutato il quadro normativo di riferimento.
Prima di far ci, per, utile richiamare preliminarmente i meriti e i limiti del pensiero giucciardiano:
invero, bisogna tener presente che, attraverso la sua opera, Guicciardi ha tentato, con estrema chiarezza, di
dimostrare l ammissibilit e la necessariet della transazione degli enti pubblici sia nei rapporti di diritto
privato, sia nei rapporti di diritto pubblico, superando, in tal modo, le diffidenze degli autori dell epoca
(siamo alla fine degli anni 40), soprattutto in relazione a questa seconda tipologia di transazione: da questo
punto di vista, ovviamente, il pensiero guicciardiano, presentando un attualit sorprendente, contribuisce,
ancora oggi, a far da scuola alla dottrina contemporanea.
Ci che, al contrario, risulta alquanto datato il pensiero dell autore in ordine ai casi in cui potrebbe
concludersi una transazione della pubblica amministrazione, nonch in ordine alla forma della transazione
stessa: e, in effetti, quanto alla forma, quest ultima concepita dal Guicciardi come un atto amministrativo
unilaterale, che produce effetti bilaterali (vale a dire, per l Amministrazione e per la controparte-ricorrente),
al momento dell accettazione da parte dell interessato.
Per quel che concerne, invece, i casi nei quali l istituto della transazione pu ritenersi ammissibile,
Guicciardi circoscrive il fenomeno in esame all ipotesi in cui, dinanzi all impugnazione di un atto
amministrativo (atto che l Amministrazione vuole conservare), la transazione abbia ad oggetto la rinuncia
all impugnazione (da parte dell interessato ricorrente) a fronte di un sacrificio (ad es., esborso di una
cospicua somma di denaro) da parte dell Amministrazione: in questo caso, specifica l autore, il motivo dell
atto di transazione rappresentato dall interesse pubblico racchiuso nell atto che l Amministrazione intende
conservare; viceversa, la causa dell atto di transazione costituita dalla desistenza della controparte (la
quale viene tacitata grazie all esborso di una somma di denaro). Partendo da queste premesse, il Guicciardi
giunge, cos, alla conclusione che le transazioni della pubblica amministrazione su rapporti sorti da un atto
amministrativo lasciano intatto l atto medesimo: anzi, egli precisa che proprio questo lo scopo precipuo
dell istituto.
Ora, a prescindere dalle perplessit che questa teoria pu suscitare, appare, comunque, fuor di dubbio che la
conclusione prediletta dall autore deriva dalle sue premesse ricostruttive: Guicciardi, infatti, non poteva
accettare la configurazione di una vera e propria transazione di diritto pubblico (intesa, questa, come atto
bilaterale e contrattuale, implicante l esercizio di potest amministrative da parte dell Amministrazione) per
il semplice motivo che egli escludeva, a priori, la possibilit di configurare l esistenza di un vero e proprio
contratto di diritto pubblico.
Oggi, al contrario, gli operatori giuridici sono consapevoli del fatto che, con l introduzione dell art. 11 L.
241/90, la ricostruzione del Guicciardi ormai superata: non a caso, stata proprio l entrata in vigore di
questa disposizione (mediante la quale hanno acquisito cittadinanza nel nostro ordinamento i contratti di
diritto pubblico) a rendere necessaria e utile una rivisitazione del tema.

3. La transazione dell Amministrazione nei rapporti di diritto privato


La transazione, cui partecipa l Amministrazione, nei rapporti di diritto privato espressamente prevista
dalla legge: questa, pi precisamente, disciplina sia la transazione in generale, sia la transazione in specifici
campi di applicazione (si pensi, ad es., all art. 239 d.lgs. 163/06, che regola la transazione negli appalti
pubblici, ovvero all art. 32 d.lgs. 80/98, che regola la transazione nel rapporto di lavoro subordinato con
Amministrazioni pubbliche). Va da s che le fattispecie concrete, da cui possono scaturire i presupposti per la
nascita di una transazione, sono tante quante le possibili obbligazioni di diritto privato (ex lege o contrattuali)
che fanno capo all Amministrazione.
Detto ci e volendo entrare nel merito della vicenda, si deve, anzitutto, osservare che l esigenza di
addivenire ad una transazione pu scaturire da problemi legati alla validit, all interpretazione ovvero all
esecuzione di contratti di diritto privato dell Amministrazione, siano o meno stipulati in base ad una
procedura di evidenza pubblica; non da escludere, per, che si possa addivenire ad una transazione di
diritto privato anche all interno di un contratto che, nel complesso, da qualificare come contratto di diritto
pubblico; invero, questi contratti possono prevedere, accanto all esercizio di poteri amministrativi, anche
prestazioni che ricadono nell ambito del diritto comune (si pensi, ad es., alle prestazioni, a contenuto
patrimoniale, che sono poste a carico del privato ovvero a carico dell Amministrazione): in questi casi,
dunque, si deve dedurre che la transazione ricade totalmente nell ambito dell art. 1965 c.c.
Tuttavia, quel che bisogna mettere qui in evidenza che la transazione in esame riguarda in modo specifico
la pubblica amministrazione e questo fa emergere, di conseguenza, la delicatezza del tema: nell ipotesi su
descritta, infatti, la transazione potrebbe cagionare un immediato depauperamento del patrimonio pubblico
(sia per ci che riguarda gli esborsi, che potrebbero essere non giustificati, sia per quel che concerne i minori
introiti, anch essi, in ipotesi, ingiustificati). Non a caso, va tenuto presente che la transazione presuppone
una preliminare valutazione dei rischi e dell eventuale durata del contenzioso e comporta, altres, la proposta
(o l accettazione) di una soluzione intermedia tra i suddetti rischi (che devono essere concreti) e la pretesa
della pubblica amministrazione: in questo, infatti, che consistono le reciproche concessioni. Nonostante
ci, per, v anche da dire che la convenienza di un aprioristica soluzione di compromesso (rappresentata
appunto, dalla transazione), dipendendo da valutazioni di tipo soggettivo, non affatto sicura, soprattutto se
si considera il meticoloso sistema di erogazione della spesa pubblica e di riscossione delle entrate, che non
lascia, invero, spazio alcuno a valutazioni di tipo soggettivo.
Al fine di risolvere quest inconveniente, allora, gi il legislatore fascista, attraverso l art. 14 r.d. 2440/23
(sulla Contabilit di Stato), aveva ritenuto opportuno assoggettare le ipotesi transattive, superiori ad un certo
valore, al parere obbligatorio del Consiglio di Stato e dell Avvocatura dello Stato; e anche se il primo
(quello, cio, del Consiglio) oggi divenuto facoltativo (a partire dal 1997), non mancano, tuttavia, occasioni
nelle quali esso sovente richiesto, soprattutto nelle transazioni di maggior rilievo.
Ad ogni modo, al di l del previo parere, quel che, ad avviso di chi scrive, appare decisivo, ai fini di un
corretto inquadramento della transazione, che l Amministrazione, nell aderirvi, fornisca un adeguata
motivazione (sia in relazione al quadro del potenziale contenzioso in essere, sia in relazione
ai rischi che esso potrebbe comportare): soltanto agendo in questo modo, infatti, risulteranno limitati i rischi
dell operazione transattiva.

4. Transazioni di diritto privato aventi ad oggetto rapporti pubblicistici

Volendo adesso analizzare i rapporti di diritto pubblico (cio, le relazioni concernenti il binomio potest-
interesse legittimo), la tipologia da prendere in considerazione quella concepita (come unica) dal
Guicciardi: si tratta, in particolare, delle transazioni dirette a salvaguardare l atto amministrativo e i suoi
effetti, i quali, come detto in precedenza, comportano la rinuncia, da parte del privato, ad impugnare l atto,
purch l Amministrazione offra un adeguata controprestazione (consistente nella cessione di un bene o, pi
spesso, nell esborso di una somma di denaro).
Ovviamente, le transazioni di questi tipo, come si pu facilmente intuire, non soltanto eliminano il rischio di
ben pi elevati esborsi (che potrebbero essere addossati alla pubblica amministrazione all esito del giudizio
di impugnazione), ma salvaguarda anche e soprattutto l assetto dei rapporti (costituiti dall atto
amministrativo) che l Amministrazione ha interesse a mantenere in vita: per queste ragioni, si deve ritenere
che le transazioni in esame sono del tutto giustificate (anche nell ottica del principio di buona
amministrazione): facendo ricorso all esperienza concreta, una transazione di questo tipo si pu rinvenire, ad
es., nell ipotesi in cui, a fronte dell impugnazione di un occupazione d urgenza e dichiarazione di pubblica
utilit dell opera, l Amministrazione espropriante devolva al proprietario una somma di denaro a titolo di
ristoro (superiore a quella prevista dall accordo di indennit), assicurando, cos, la prosecuzione dell iter
espropriativo unilaterale.
Tuttavia, bene precisare che, in queste ipotesi, Guicciardi ritiene che potrebbero sussistere i presupposti
della transazione solo nel caso in cui l Amministrazione nutra dei dubbi circa la legittimit o meno dell
atto amministrativo impugnato; non, invece, se l Amministrazione sia convinta dell illegittimit dello
stesso. Francamente, per, quest ultimo limite non pu essere condiviso: infatti, se si prende in
considerazione il fatto che la pubblica amministrazione ha la possibilit di mantenere in vita un atto da essa
considerato illegittimo, non attivando i propri poteri di annullamento d ufficio, se ne deve dedurre che essa
pu, in ogni caso, transigere (pu, cio, addivenire ad una transazione) anche nel caso in cui sia
perfettamente consapevole dell illegittimit dell atto emesso.
Ovviamente, un operazione del genere (transazione su atto illegittimo con conseguente esborso di denaro
pubblico) non deve essere necessariamente valutata in modo negativo (in altri termini, essa non deve essere
letta nel significato di acquisto del silenzio del ricorrente sulle proprie illegittimit): possibile, infatti, che l
illegittimit di un proprio atto (proprio, cio, dell Amministrazione) scaturisca da un mutato orientamento
giurisprudenziale o da una dichiarazione di incostituzionalit della norma applicata ovvero, ancora, da un
antigiuridicit comunitaria di quest ultima (tali atti, invero, non possono essere addebitati all
Amministrazione, la quale, pertanto, con la transazione, tende a conservare il mantenimento dei rapporti
scaturenti dall emissione dell atto, la cui possibile illegittimit non , come visto, ad essa imputabile).
Detto ci, bisogna, per, tener presente che questo tipo di transazione non rientra assolutamente nell ambito
del diritto pubblico, perch essa, di per s, non comporta esercizio di potest amministrative, ma, al
contrario, dato che essa tocca particolari profili patrimoniali, va ad inserirsi correttamente nell alvo dell
autonomia negoziale di diritto privato dell Amministrazione.
Alla luce di queste considerazioni, si deve, perci, concludere dicendo che i casi individuati dal Guicciardi
come transazioni di diritto pubblico sono, invece, ad avviso di chi scrive, contratti transattivi di diritto
privato (art. 1965 c.c.) aventi, per, ad oggetto rapporti pubblicistici: ci significa, dunque, che il negozio
transattivo di diritto privato, mentre il rapporto transatto di diritto pubblico.

5. La transazione di diritto pubblico

Perch sussista una vera e propria transazione di diritto pubblico necessario, dunque, che l accordo
transattivo (negozio e rapporto) sia inquadrabile, per intero, nella categoria dei contratti di diritto pubblico.
Ora, il nostro ordinamento conosce una categoria generale di questo tipo di transazione: si tratta, ad avviso di
chi scrive, della transazione sugli accordi ex art. 11 L. 241/90; bene precisare, tuttavia, che se tale
acquisizione, da un lato, risulta capace di eliminare la principale preclusione a suo tempo individuata da
Guicciardi (il quale, infatti, negava l esistenza di un vero e proprio contratto di diritto pubblico), dall altro
lato non riesce a risolvere il problema dell ammissibilit del negozio transattivo di diritto pubblico, anche
perch la nostra legge sul procedimento non prevede espressamente gli accordi in funzione transattiva (a
differenza della legge tedesca). In questa sede, perci, occorrer stabilire se sia possibile riconoscere anche
agli accordi ex art. 11 i connotati tipici di una transazione; tali connotati, in particolare, sono costituiti da
specifici presupposti (res dubia e disponibilit dei diritti oggetto della lite), da un contenuto definito
(reciproche concessioni) e da una causa tipica (composizione della lite attraverso, appunto, le reciproche
concessioni). Ora, tralasciando il presupposto di fatto della res dubia, appare utile focalizzare l attenzione,
innanzitutto, sul fondamentale presupposto della disponibilit dei diritti: invero, si deve constatare che, nell
ambito degli accordi (con particolare riferimento agli accordi endoprocedimentali e a quelli sostitutivi), l art.
11 L. 241/90 ha chiaramente riconosciuto all Amministrazione la capacit di disporre del pubblico potere,
ovviamente nei limiti della discrezionalit di cui quest ultimo sia connotato (non a caso, la legge specifica
che si tratta di accordi sul contenuto discrezionale di un provvedimento amministrativo, che l accordo
medesimo predetermina o sostituisce).
Risolta in questi termini la questione relativa alla disponibilit dei diritti, occorre analizzare, in secondo
luogo, il contenuto dispositivo dell accordo transattivo: a tal proposito, va tenuto presente che l accordo,
avendo ad oggetto una transazione, deve per forza consistere in reciproche concessioni.
In realt, necessario rilevare (sempre in riferimento a questo punto) che lo stesso risultato (vale a dire, le
reciproche concessioni) pu, talvolta, essere raggiunto anche nel quadro dell esercizio unilaterale della
potest amministrativa: si pensi, ad es., al caso in cui, nel corso di un procedimento amministrativo, il
soggetto potenzialmente destinatario di un provvedimento restrittivo manifesti la sua disponibilit a subirlo,
purch il provvedimento stesso assuma un carattere meno pregiudizievole e che l amministrazione provveda
in tal senso.
Ad ogni modo, per, bene precisare che, anche se non vi sono dubbi circa il fatto che le Amministrazioni
continuano a manifestare una particolare preferenza per l agire unilaterale (sia pure all esito di un
procedimento, che vede la partecipazione attiva dei soggetti interessati), vi sono, tuttavia, dei casi in cui la
complessit degli impegni reciproci (cio, delle reciproche concessioni) non pu essere affatto racchiusa nel
provvedimento unilaterale: sicch, se si passa dal caso pi semplice (in cui la prestazione del privato consiste
nella mera rinuncia all impugnazione) ai casi pi complessi (nei quali, da un lato, l esercizio del potere
viene regolato anche per il futuro e, dall altro lato, gli impegni del privato devono consistere in vere e
proprie obbligazioni) si intuisce, allora, come lo strumento dell accordo diventi necessario.
A questo punto, per, la domanda d obbligo: si tratta di vere transazioni di diritto pubblico? Posta in altri
termini: la causa dell accordo potr assumere una connotazione transattiva? Per rispondere a questi due
interrogativi appare opportuno proporre qualche esempio concreto: si pensi, innanzitutto, al caso in cui, nel
corso di un procedimento espropriativo, l opposizione del proprietario interessato, rispetto alla
localizzazione di un opera pubblica, assuma i connotati di un vero e proprio preannuncio di impugnazione;
in questo caso, se l Amministrazione decide di intavolare una trattativa, allo scopo di raggiungere un
accordo che comporti l espropriazione di alcune aree appartenenti al proprietario, diverse da quella prevista
in origine, ma sempre idonea a realizzare l opera pubblica (ad es., un diverso tracciato di una strada
pubblica), tale accordo (quasi certamente endoprocedimentale) acquisisce una sicura configurazione
transattiva.
E lo stesso discorso pu essere fatto anche nel caso in cui l accordo venga raggiunto a giudizio (di
impugnazione) instaurato: si pensi, ad es., all ipotesi in cui sia espropriata una vasta area allo scopo di
destinarla a verde pubblico; in questo caso, qualora il proprietario decidesse di impugnare il provvedimento,
perch ritiene che quell area sia assolutamente necessaria allo svolgimento della propria attivit industriale,
l Amministrazione pu addivenire ad un accordo mediante il quale al proprietario espropriato viene concessa
la possibilit di conservare una parte dell area, in modo tale da soddisfare le sue esigenze.
E gli esempi, ovviamente, potrebbero continuare, anche con riferimento ad accordi sostitutivi di
provvedimenti ampliativi: si pensi, ad es., al caso in cui, una volta impugnato il diniego di concessione
edilizia (che era stato opposto per comprensibili ragioni estetico-urbanistiche, non canonizzate, per, in
strumenti urbanistici generali), venga raggiunto un accordo che consenta al richiedente la possibilit di
realizzare l originario progetto, a patto, per, che sia integrato da una serie di opere che limitino al minimo l
impatto negativo sull ambiente e con rinuncia ad ogni pretesa risarcitoria.
Tuttavia, nonostante la validit degli esempi avanzati, si potrebbe ancora dubitare che quelli proposti vadano
ad integrare dei veri e propri accordi transattivi: infatti, se si segue l opinione della dottrina dominante, ad
avviso della quale la causa di detti accordi consisterebbe nel perseguimento del pubblico interesse, non vi
sarebbe alcuno spazio per l esistenza di una causa tipicamente transattiva. Questa opinione, per, non appare
affatto condivisibile: ad avviso di chi scrive, infatti, in questo tipo di accordi, l interesse pubblico non
rappresenta, in realt, n la causa, n il motivo dello stesso, in virt del fatto che qui la causa deve essere
comune alle parti e, di conseguenza, non pu consistere nell interesse pubblico, che fa capo, in quanto tale,
alla sola Amministrazione.
Ne deriva, pertanto, che la causa degli accordi esaminati in questa sede deve necessariamente consistere
nella funzione transattiva degli stessi.

6. L applicazione ed il regime delle transazioni di diritto pubblico

Le osservazioni avanzate fino ad ora ci consentono, dunque, di configurare l ammissibilit delle transazioni
di diritto pubblico (cio, delle transazioni nell esercizio di potest pubblicistiche).
Ma, v di pi: invero, senza giungere all estremo di sostenere che tutti gli accordi ex art. 11 presentano, in
fondo, un connotato transattivo (tant che parte della dottrina ritiene che una delle funzioni essenziali dell
accordo proprio quella di evitare un contenzioso, cio una lite giudiziaria), si pu, in ogni caso, affermare
che la valenza transattiva costituisce un quid pluris, cio quell elemento in pi che pu indurre alla
conclusione di un accordo, in luogo del solito esito unilaterale del procedimento amministrativo (il quale, del
resto, solo in rari casi riesce a raggiungere il medesimo risultato pratico). Questo, per, non significa che la
pubblica amministrazione possa concludere accordi transattivi come e quando voglia, in considerazione del
fatto che tali accordi devono, comunque, rispettare tutti i parametri dell azione amministrativa e possono
essere, altres, stipulati solo nei limiti della discrezionalit: invero, considerando che gli accordi ex art. 11
sono dei contratti, nei quali l Amministrazione partecipa come titolare di poteri amministrativi ed ai quali,
dunque, si applica il regime pubblicistico dell esercizio del potere (al quale si affianca la disciplina
codicistica delle obbligazioni e dei contratti, in quanto compatibili) risulta con estrema evidenza che gli
accordi, anche quelli transattivi, devono, in ogni caso, osservare tutti i vincoli di legittimit del
provvedimento amministrativo, in tutto o in parte sostituito.
Trattandosi, poi, di potere discrezionale, non solo troveranno applicazione i consueti limiti di legittimit, ma
l Amministrazione dovr anche agire allo scopo di perseguire l interesse pubblico primario (che, in questo
tipo di accordi, assume il ruolo non di causa tipica, ma di causa del potere, vale a dire come scopo che deve
muovere l agire dell Amministrazione).
Accanto all interesse pubblico, negli accordi transattivi si affiancano, poi, due cd. interessi secondari: l
interesse dell altro contraente e l interesse diretto a dirimere o a prevenire una controversia. Questi due
interessi, a loro volta, devono essere valutati e bilanciati con l interesse pubblico primario: di conseguenza,
se il perseguimento di quest ultimo si pu conciliare con la soddisfazione degli interessi secondari, l
accordo pu essere concluso (in caso contrario, lo stesso accordo transattivo da escludere in radice).

Capitolo IX Interessi legittimi e risarcimento dei danni

1. Il problema della risarcibilit degli interessi legittimi pretensivi

Il problema della risarcibilit degli interessi legittimi ha rappresentato, nel nostro Paese, uno dei problemi pi
difficili da risolvere, soprattutto se si considera il fatto che, in relazione ad esso, la giurisprudenza ha
espresso una costante posizione di chiusura (fondata, quest ultima, sulla nozione di ingiustizia del danno, ex
art. 2043 c.c.: danno che stato sempre interpretato come contra jus, cio come danno realizzato con lesione
di diritti).
bene precisare, per, che quest interpretazione non aveva escluso in toto la possibilit, per il cittadino, di
richiedere il risarcimento dei danni derivanti dall emissione di provvedimenti amministrativi illegittimi:
invero, la stessa giurisprudenza aveva stabilito che questa possibilit ricorreva nell ipotesi in cui fossero stati
emessi provvedimenti restrittivi illegittimi e, in quanto tali, annullati (l annullamento, infatti, faceva
riemergere l originaria posizione di diritto soggettivo, che era stato temporaneamente degradato ad interesse
legittimo, a causa del potere amministrativo).
Al contrario, sempre la giurisprudenza escludeva che si potesse proporre ricorso avverso un illegittimo
diniego di provvedimento ampliativo: in questo secondo caso, infatti, a differenza di quello precedente, non
riemergeva una posizione di diritto soggettivo neppure a seguito dell annullamento del diniego. A dire il
vero, per, non erano mancati tentativi, da parte della dottrina, di giustificare il risarcimento del danno anche
in questi ultimi casi: basti pensare, ad es., che, talvolta, era stata ammessa la risarcibilit del sacrificio subito
dal proprietario a causa dell illegittimo diniego della concessione edilizia, sul presupposto che si trattasse
della lesione di un vero e proprio diritto soggettivo, temporaneamente degradato ad interesse legittimo. Ma si
trattato, ad ogni modo, di un impostazione che la giurisprudenza ha sempre disatteso; e non senza motivo:
invero, bisogna tener presente che, nel momento in cui si richiede il rilascio di una licenza, di un
autorizzazione o di un permesso di costruire, l attivit edificatoria non pu mai essere considerata un diritto
soggettivo del proprietario del fondo (che avanza la richiesta); tant che, in mancanza del provvedimento
ampliativo in esame, l attivit edificatoria risulta illecita, sia sotto il profilo penale, sia sotto il profilo
amministrativo.
La situazione, del resto, non muta affatto se si focalizza l attenzione sulla circostanza che sia stato emesso
un provvedimento illegittimo di diniego e che detto diniego sia stato, poi, annullato: e ci perch l
annullamento ripristina semplicemente la situazione preesistente, che, come detto, non pu essere qualificata
di diritto soggettivo. Quanto detto si giustifica, pi precisamente, in considerazione del fatto che diritti
soggettivi e potest amministrative non possono coesistere all interno di uno stesso rapporto: le potest,
invero, implicano l altrui soggezione, mentre i diritti soggettivi escludono un tale status.
In definitiva, dunque, la posizione del proprietario del fondo che richiede una licenza, un autorizzazione
ovvero una concessione edilizia (e resta) di interesse legittimo; di interesse legittimo al momento della
richiesta e permane tale al momento dell annullamento dell illegittimo diniego (o rifiuto): si tratta, infatti, di
un interesse legittimo pretensivo, mediante il quale il richiedente tende ad acquisire alla propria sfera
giuridica (attraverso il rilascio del relativo provvedimento) un cd. bene della vita, che ancora non gli
appartiene.

2. La soluzione prospettata: interesse legittimo e bene della vita

Ai fini della nostra analisi (ammissibilit del risarcimento dei danni derivanti dall emissione di
provvedimenti amministrativi illegittimi), necessario tener presente, in realt, che non sussistono ostacoli
(n di diritto positivo, n di carattere dogmatico). Infatti, a ben vedere, ostacoli di diritto positivo non sono
rinvenibili n nell art. 28 Cost., n nell art. 2043 c.c.: in particolare, l art. 28 Cost., anche se garantisce e
riconosce il risarcimento dei danni per lesione di diritti, non esclude affatto la possibilit di risarcire gli
interessi legittimi (in tal senso, del resto, si espressa la stessa Corte costituzionale: sent. 35/80).
Dal canto suo, l art. 2043 c.c., pur parlando di ingiustizia del danno, non presuppone in alcun modo che
debba trattarsi di un danno contra jus: non a caso, la stessa giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza dell
illecito aquiliano in numerose fattispecie nelle quali non si pu certo parlare di lesioni di un diritto soggettivo
(ma, ad es., di aspettativa o di altro ancora). Siffatte argomentazioni, tuttavia, non consentono di dare per
dimostrata la risarcibilit dell interesse legittimo; bisogna specificare, infatti, che una risarcibilit di questo
genere pu essere comprovata soltanto se si fornisce una costruzione dell interesse legittimo in termini di
posizione giuridica sostanziale e non semplicemente formale (formale , ad es., la costruzione, proposta da
una parte della dottrina, dell interesse legittimo inteso come interesse alla legittimit dell atto: in questo
caso, invero, com facile intuire, la legittimit dell atto non rappresenta affatto un bene della vita).
Sulla base di queste considerazioni, dunque, occorre prendere atto che, affinch sia possibile ammettere il
risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di un interesse legittimo, necessario che si accolga la
costruzione di quest ultimo in termini, appunto, di interesse ad un bene della vita: il che significa, in caso di
interesse legittimo pretensivo, che l interessato deve dimostrare la sussistenza di una pretesa (che sia tutelata
da un punto di vista giuridico) a svolgere una determinata attivit o ad ottenere uno determinato vantaggio,
che l ordinamento giuridico subordina al rilascio di un provvedimento amministrativo (concessorio,
autorizzatorio, etc.).
Messa la questione in questi termini, occorre, a questo punto, saggiare la validit della costruzione
sostanziale dell interesse legittimo: nel far ci, necessario, innanzitutto, osservare che una costruzione del
genere appare giustificata dalla circostanza che l interesse legittimo, se presenta, da un lato, una situazione
di soggezione (se confrontato con il potere, di cui intessuta la potest amministrativa), dall altro lato,
presenta anche una posizione pretensiva (se confrontato con la componente doverosa della stessa potest
amministrativa); pertanto, l interessato ha l onere di dimostrare che questa pretesa (pretensione) abbia,
come punto di riferimento, il bene della vita da conseguire (e non solo le particolari modalit di esercizio
della potest). Ci possibile, ovviamente, solo nel caso in cui la fattispecie normativa, che disciplina il
potere amministrativo, stabilisca non soltanto le modalit di quest esercizio (si tratta delle cd. norme
strumentali), ma anche il presupposto, il contenuto ed i limiti dello stesso (si tratta delle cd. norme
sostanziali): quando questo accade si pu accertare, obiettivamente, se la pretesa del cittadino corrisponda o
meno ai presupposti stabiliti dall ordinamento per il rilascio del provvedimento favorevole richiesto e, in
caso di accertamento positivo, si pu ben affermare che detta pretesa al conseguimento del bene della vita
riconosciuta e tutelata (sussiste, in altri termini, una vera e propria posizione sostanziale).
Un esempio pu aiutare meglio a comprendere quanto detto pocanzi: si pensi alla materia dello jus
aedificandi, in cui la potest concessoria risulta vincolata, per quel che riguarda i presupposti, il contenuto ed
i limiti, dalla legge, dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici. Ora, in virt di questo vincolo, si pu,
senza dubbio, affermare che l interesse all edificazione giuridicamente riconosciuto dall ordinamento: e
questo interesse (pretesa) pu essere qualificato come posizione giuridica sostanziale. Ne consegue, pertanto,
che, in caso di mancata concessione del provvedimento richiesto e sussistendo i presupposti citati, lo jus
aedificandi presenta tutti i connotati necessari perch ricorra l ingiustizia del danno ed il conseguente diritto
al risarcimento dello stesso. Questa conclusione, per, deve essere precisata ulteriormente, nel senso che
occorre stabilire quando una tale risarcibilit possa essere affermata in concreto: in quest ottica, allo scopo
di provare la sussistenza del danno (che, nel caso dell interesse legittimo, consiste in un mancato guadagno),
il richiedente deve dimostrare che avrebbe dovuto conseguire il bene della vita preteso.
In realt, per, ai fini della prova e della certezza del danno, necessario distinguere a seconda che l
interesse legittimo sia correlato o meno a potest amministrative discrezionali: ed invero, nel primo caso
(potest discrezionale), la certezza del danno non pu essere raggiunta; al contrario, nel secondo caso
(potest vincolata), la sussistenza del danno, consistente nel mancato conseguimento del bene della vita, pu
essere accertata con estrema sicurezza, in considerazione del fatto che, qualora sussistano tutti i presupposti
previsti per il rilascio del provvedimento vincolato (come nel caso dello jus aedificandi), si pu dire che il
conseguimento del bene della vita (provvedimento concessorio) garantito dall ordinamento, sia pure
attraverso il modulo dell interesse legittimo e non del diritto soggettivo; di conseguenza, nel caso in cui l
attivit edificatoria (bene della vita) venga illegittimamente negata dall Amministrazione, emerge un
evidente danno, che dovr essere risarcito.
3. La disciplina comunitaria e la scelta giurisprudenziale

Una prima conferma alle tesi esposte giunta dalla normativa comunitaria: ci riferiamo, in particolare, alle
direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, che, disciplinando i mezzi di ricorso relativi agli appalti pubblici, hanno
imposto agli Stati membri l obbligo di introdurre particolari strumenti idonei ad accordare un risarcimento
danni alle persone lese dalla violazione della disciplina concernente, appunto, le procedure di affidamento
degli appalti di livello comunitario.
In questa sede, in ogni caso, si focalizzer l attenzione sulla disciplina contenuta nella direttiva 92/13, in
considerazione dell importanza del suo contenuto: stabilisce, infatti, questa disposizione comunitaria, che,
qualora la richiesta di risarcimento dei danni sia limitata ai costi di partecipazione alla gara, sufficiente
dimostrare, oltre alla violazione della normativa comunitaria, la sussistenza di chances di aggiudicazione.
In realt, per, se si osserva bene, da questa norma si pu desumere, a contrario, che la tutela risarcitoria pu
ben spingersi al di l del mancato guadagno, purch, beninteso, il concorrente riesca a dimostrare non solo l
illegittimit della mancata aggiudicazione e la sussistenza di possibilit (chances) di vittoria, ma anche la
esistenza di tutte le condizioni per risultare lui vincitore; ricorrendo tali condizioni (il che non agevole, ma
neanche impossibile), il concorrente fornisce, cos, la prova della lesione della sua posizione pretensiva: e
poich tale posizione, nel nostro ordinamento giuridico, di interesse legittimo si pu, senz altro, affermare
che la disciplina contenuta nella direttiva comunitaria 92/13 ne garantisce, ricorrendone i presupposti, la
risarcibilit.
Ed cos che, in effetti, questa disciplina stata intesa ed applicata dalla nostra giurisprudenza: tant che la
Suprema Corte di cassazione, nel 1993, ha limpidamente affermato che, in tal modo, viene riconosciuta per
la prima volta, nell ordinamento giuridico italiano, la risarcibilit del danno derivante da atti della
pubblica amministrazione lesivi di interessi legittimi (quali sono, di norma, le posizioni soggettive di cui
sono titolari i partecipanti ad una gara di appalto pubblico). Ovviamente, bene precisare, a tal proposito,
che la decisione della Corte di cassazione, pur riferendosi al solo settore degli appalti, ha assunto le
sembianze di un vero e proprio precedente: a partire da questa pronuncia, invero, la questione relativa alla
risarcibilit degli interessi legittimi ha trovato, in pratica, conclusioni pi generalizzanti ed univoche. Ed in
questo contesto giuridico che si viene ad innestare la fondamentale sentenza 500/99 delle sezioni unite della
Cassazione: in dettaglio, per poter comprendere l importanza di questa decisione, necessario, innanzitutto,
porre in evidenza la nozione di interesse legittimo che la Corte accoglie. In particolare, tale nozione, essendo
fondata sull interesse ad un bene della vita (argomenta il Collegio), assicura la consistenza di una posizione
giuridica sostanziale, meritevole, per ci soltanto, di una tutela risarcitoria da parte dell ordinamento, in
caso di illecita lesione da parte dell Amministrazione.
Tuttavia, occorre specificare che l interesse ad un bene della vita si atteggia in maniera differente, a seconda
della potest (restrittiva o ampliativa della sfera dei destinatari) attivata dall Amministrazione: di qui,
pertanto, la distinzione tra interessi legittimi oppositivi (interesse alla conservazione del bene della vita) e
pretensivi (interesse all acquisizione del bene della vita) che, soprattutto in tema di illecito aquiliano,
manifesta tutta la sua utilit.
bene precisare, per, che il problema della risarcibilit concerne, in realt, i soli interessi legittimi
pretensivi, dal momento che, in caso di illecita lesione di un interesse legittimo oppositivo (come nell
ipotesi, ad es., di emissione di un provvedimento restrittivo illegittimo), riemerge, una volta annullato il
provvedimento, la preesistente posizione di diritto soggettivo, che era stato degradato temporaneamente ad
interesse legittimo. In conseguenza di ci, appare, allora, utile ribadire quanto gi affermato in precedenza:
particolare rilievo assume, innanzitutto, la distinzione tra violazione di norme formali e violazione di norme
sostanziali da parte della pubblica amministrazione;
in secondo luogo, viene in risalto la distinzione, operata all interno dell interesse legittimo pretensivo, tra
quelle posizioni che possono dirsi o meno a risultato garantito, a seconda della potest, discrezionale ovvero
vincolata, dell Amministrazione: solo per le prime (quelle, cio, a risultato garantito) possibile parlare,
infatti, di risarcimento del danno, in quanto solo per esse il soggetto interessato pu dimostrare il pregiudizio
patito (stante la vincolativit dell agire della pubblica Amministrazione) per la mancata acquisizione del
bene della vita.
Detto ci, al fine di provare concretamente la legittimit del risarcimento danni, occorre procedere, come ha
espresso la stessa Corte di cassazione, ad un giudizio prognostico sulla fondatezza o meno dell istanza, onde
stabilire se il pretendente fosse titolare di una situazione che era destinata ad un esito favorevole e risultava,
quindi, giuridicamente protetta.
4. Le principali vicende successive

La richiamata sent. 500/99 ha raggiunto i risultati su descritti sulla base di una concezione dell illecito
aquiliano (art. 2043 c.c.) inteso come diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva assunta dall
interessato: ad avviso della Corte, infatti, la lesione della posizione giuridica soggettiva fonte, vero, di
danno ingiusto; ma tale posizione pu avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse
legittimo o di interesse, comunque, rilevante per l ordinamento.
Chiarito questo punto fondamentale, va, in ogni caso, precisato che, in relazione agli interessi legittimi, il
risarcimento danni riguarder, come gi detto in precedenza, solo quelli pretensivi, non anche quelli
oppositivi: in relazione a questi ultimi, invero, qualora venga accertata la lesione dell interesse, si proceder
all annullamento del relativo provvedimento (si pensi, ad es., all occupazione, da parte dell
Amministrazione, di un area, protrattasi nel tempo, sulla base di un provvedimento illegittimo e, poi,
annullato); tale annullamento, di conseguenza, far riemergere l originaria posizione di diritto soggettivo
(che il provvedimento aveva degradato ad interesse legittimo); a questo punto, dunque, sar proprio il
redivivo diritto soggettivo a giustificare la richiesta di risarcimento dei danni.
Viceversa, in relazione all interesse legittimo pretensivo (che, in realt, era l unica figura che necessitava di
una specifica tutela giuridica) il discorso diverso: in questo caso, invero, l interesse legittimo permane
anche (anzi: soprattutto) in seguito all annullamento dell atto, mediante il quale l Amministrazione ha
negato all interessato il rilascio del provvedimento ampliativo richiesto; e tale annullamento non solo riapre
il circuito dell azione amministrativa (in ordine alla richiesta avanzata dal cittadino), ma consente, altres, al
giudice la possibilit di accertare la fondatezza della pretesa sostanziale che si assume lesa e per la quale il
cittadino medesimo richiede il ristoro risarcitorio.

Capitolo X La trasmissione dell antigiuridicit

1. I rapporti tra atti e le modalit di trasmissione dell antigiuridicit

Come stabilito dal Consiglio di Stato nel 1998, in relazione al rapporto intercorrente tra atto preparatorio e
provvedimento, l illegittimit di un atto amministrativo si trasmette, in via derivata, ad un altro (atto), solo
quando sussista tra i due un nesso procedimentale ovvero un rapporto di presupposizione.
Viceversa, in relazione al rapporto intercorrente tra atto presupposto e atto presupponente (o
consequenziale), il Consiglio di Stato ha stabilito, nel 1982, che l illegittimit, in via derivata, di un
provvedimento amministrativo pu configurarsi solamente nei riguardi di atti ai quali il primo (il
provvedimento) sia collegato da un nesso di consequenzialit.
Ora, come si pu notare, dietro queste due nozioni di illegittimit derivata si nascondono due diverse
modalit di trasmissione dell antigiuridicit; e ci dipende dalla diversa struttura che caratterizza gli atti
preparatori, da un lato, e gli atti presupposti, dall altro: infatti, i primi (gli atti preparatori), pur facendo
parte della sequenza procedimentale, non sono assolutamente idonei a produrre effetti esterni autonomi; al
contrario, i secondi (gli atti presupposti) fanno anch essi parte della sequenza procedimentale, ma sono
dotati (a differenza dei primi) di un autonoma efficacia, in ipotesi, anche lesiva.
Pertanto, alla luce di questa distinzione, facile comprendere come i vizi che inficiano gli atti preparatori si
ripercuotano sul provvedimento finale (conclusivo del procedimento): quest ultimo, invero, essendo il primo
atto ad efficacia esterna ed assorbendo in s tutti i vizi del procedimento, potr essere dichiarato illegittimo e,
dunque, annullato [e ci a prescindere dalla forma del vizio che inficia l atto preparatorio (ad es., parere
obbligatorio mancante ovvero parere emesso da un organo incompetente, etc.)].
Diverso , invece, il rapporto che intercorre tra atto presupposto ed atto che lo presuppone (cd.
presupponente): infatti, qualora l atto presupposto dovesse risultare autonomamente lesivo, lo stesso potr (e
dovr) essere immediatamente impugnato (nei termini stabiliti a pena di decadenza) indipendentemente dall
atto consequenziale (presupponente); del resto, se cos non fosse, non si potrebbe, invero, parlare di
invalidit derivata dell atto consequenziale, il quale potrebbe, tutt al pi, essere impugnato in via autonoma
(questo significa, in altri termini, che soltanto la tempestiva impugnazione dell atto presupposto che
consente di mantenere in vita il circuito di trasmissione che lega quest ultimo all atto consequenziale).
A questo punto, per, necessario porsi il seguente e fondamentale quesito (che costituisce, poi, il vero
nocciolo della questione in esame): perch via sia la cd. invalidit derivata dell atto consequenziale v
bisogno di porre nel nulla l atto presupposto (che sia autonomamente lesivo) o, invece, sufficiente la
dichiarazione di mera antigiuridicit dell atto presupposto (cos come sostenuto da autorevole dottrina: in
particolare, Sandulli)? Ovviamente, la risposta al su citato interrogativo non pu che trovare una soluzione
positiva: questo significa che l atto presupposto deve essere immediatamente impugnato, perch solo in tal
modo, qualora esso risulti viziato, potr essere annullato (ne consegue, pertanto, che l antigiuridicit dell
atto presupposto rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente ai fini della trasmissione dell
invalidit all atto consequenziale). Il che, tra l altro, comporta (ragionando a contrario) che l atto
presupposto, ove non venga autonomamente impugnato nei termini di decadenza, non potr mai comportare
il trasferimento di vizi invalidanti sull atto consequenziale (si tratta del cd. effetto preclusivo); non solo: v
anche da considerare la non secondaria circostanza secondo la quale l atto presupposto illegittimo, qualora
non venga impugnato nei termini previsti dalla legge, finisce per condizionare l efficacia dell atto
consequenziale (eventualmente impugnato in via autonoma), nel senso che ne comporter la legittimit, se ad
esso conforme, e, viceversa, l illegittimit, se ad esso difforme (si pensi, ad es., al rapporto intercorrente tra
bando ed esclusione dalla gara ovvero a quello intercorrente tra piano regolatore e permesso di costruire) In
definitiva, dunque, si pu concludere dicendo che l atto presupposto illegittimo (che sia immediatamente
produttivo di effetti lesivi), se non impugnato entro i termini previsti a pena di decadenza, finisce per avere,
nell ordinamento amministrativo, un trattamento del tutto simile a quello dell atto legittimo.

2. Regolamenti ed atti amministrativi

Il tema del rapporto intercorrente tra regolamento ed atto amministrativo applicativo (del regolamento)
presenta caratteristiche differenti (da quelle in precedenza analizzate), in considerazione del fatto che, in
questo caso, l atto presupposto (cio, il regolamento) un vero e proprio atto normativo [il quale, tra l altro,
pu anche essere disapplicato qualora contrasti con un atto-fonte di rango superiore (ad es., la legge)].
Nonostante, per, la presenza di connotati diversi, v da dire, comunque, che la sostanza del fenomeno non
cambia: infatti, necessario constatare che, nel caso in cui il regolamento si presenti illegittimo (per vizi
propri o per contrasto con una fonte gerarchicamente superiore) e tale illegittimit risulti rilevante per le sorti
del successivo provvedimento applicativo, il giudice amministrativo, prima di pronunciarsi su quest
ultimo, proceder al previo annullamento (o, quanto meno, alla disapplicazione) del regolamento.
E a tale risultato il giudice perviene sia nel caso in cui vi sia un contrasto tra provvedimento e regolamento
(cd. rapporto di antipatia), sia nel caso in cui il provvedimento si presenti come una riproduzione fedele ed
integrale del regolamento (cd. rapporto di simpatia): ed invero, nella prima ipotesi, la disapplicazione del
regolamento illegittimo serve a mantenere in vita il provvedimento (che, salvo autonomi vizi) risulter, in tal
modo, legittimo); nel secondo caso, invece, la disapplicazione del regolamento rappresenta un passaggio
necessario affinch il provvedimento possa essere annullato.
In conclusione, si pu, dunque, affermare che, per i regolamenti, vale lo stesso discorso esposto, in
precedenza, in relazione all atto presupposto (autonomamente produttivo di effetti lesivi): ci significa, in
altri termini, che, in tutti questi casi, perch il provvedimento finale risulti illegittimo, non sufficiente che la
norma ovvero l atto presupposto risultino, a loro volta, illegittimi, ma necessario che vengano anche resi
inefficaci (in via definitiva, attraverso l annullamento, ovvero nel singolo giudizio, con la disapplicazione).

3. Atti amministrativi, contratti ad evidenza pubblica ed accordi ex art. 11

Passando adesso ad esaminare i rapporti che intercorrono tra i contratti ad evidenza pubblica, da un lato, e gli
accordi ex art. 11 L. 241/90, dall altro, con i rispettivi atti che li precedono, bisogna, anzitutto, considerare il
fatto che, al di l della struttura contrattuale che li accomuna, si tratta, in ogni caso, di istituti completamente
differenti: motivo per il quale si rende necessaria una disamina separata.
Ora, per quel che concerne i contratti ad evidenza pubblica occorre specificare che la loro invalidit o
inefficacia risulta collegata all annullamento della procedura di aggiudicazione: di conseguenza, si deve
prendere atto che la semplice illegittimit degli atti che caratterizzano la sequenza di evidenza pubblica non
produce alcuna conseguenza invalidante sul contratto, se non previo annullamento della relativa procedura di
aggiudicazione. Quest ultima, infatti, un atto a regime amministrativo (oltre che dotato di effetti innovativi
ed eventualmente lesivi dei terzi pretermessi, vale a dire esclusi); ragion per cui, gli effetti della procedura
risultano vincolare non soltanto l Amministrazione, ma anche l aggiudicatario ed i terzi, a prescindere dalla
sua legittimit; ne consegue, dunque, che solo attraverso l annullamento di detta procedura (secondo i
canoni dell atto amministrativo) che si potr parlare propriamente di inefficacia del contratto (scaturente
dalla procedura di aggiudicazione) ai sensi degli artt. 23, co. 2 e 25, co. 2 c.c.: in altri termini, la
trasmissione dell antigiuridicit dall atto presupposto (la procedura di aggiudicazione) al contratto potr
avvenire solo a seguito della caducazione dell aggiudicazione e non a prescindere da essa.
Diverso , invece, il quadro ricostruttivo in cui si muove l accordo ex art. 11 L. 241/90: invero, partendo dal
presupposto in virt del quale l istituto in esame deve essere inquadrato nell ambito dei contratti di diritto
pubblico, occorre osservare che questi ultimi mutuano il proprio regime da quello dell atto amministrativo
(anche se integrato con i profili civilistici, per tutti gli aspetti non coperti dalla disciplina pubblicistica); ci
in considerazione del fatto che l accordo, dal punto di vista della pubblica amministrazione, rappresenta
esercizio di potest pubblicistiche discrezionali (di conseguenza, la volont espressa dall Amministrazione
non pu che essere assoggettata, anzitutto, al regime dell atto amministrativo).
In secondo luogo, bisogna evidenziare l importanza della distinzione, prevista dallo stesso art. 11, tra accordi
integrativi ed accordi sostitutivi dei provvedimenti: soltanto attraverso questi ultimi, infatti, l accordo
produce effetti (in ipotesi, lesivi nei confronti dei terzi) anche esterni; ma quel che preme sottolineare in
questa sede che l accordo, in quanto sostitutivo di provvedimento, si pone, rispetto agli atti della serie
procedimentale che, com ovvio, lo precedono (a cominciare dalla partecipazione dei cittadini al
procedimento amministrativo) nell identico rapporto che si insatura tra il provvedimento conclusivo del
procedimento e gli atti preparatori dello stesso: con la naturale ed inevitabile conseguenza che i vizi di questi
ultimi si ripercuotono sull accordo conclusivo (sostitutivo).
E lo stesso discorso pu essere fatto in relazione al rapporto tra accordo integrativo e provvedimento
attuativo dello stesso, pur se a parte invertite, dal momento che, in tal caso, l accordo (integrativo) a
fungere da atto preparatorio del successivo provvedimento.
Quanto detto, ovviamente, non esclude che anche nel campo dei contratti di diritto pubblico (dunque, degli
accordi) possano emergere, nel corso del procedimento, atti ad efficacia esterna, capaci di produrre effetti
lesivi del possibile destinatario: si pensi, ad es., alle procedure di affidamento di taluni accordi cd. necessari
(concessioni di pubblici servizi, concessioni di beni pubblici, etc.), che, di regola, presuppongono una
selezione, prima, ed una scelta, dopo, tra pi possibili concorrenti, con tutte le implicazioni del caso in ordine
all immediata impugnabilit di alcune prescrizioni del bando, delle eventuali esclusioni, e cos via.

4. Il rapporto tra atto illegittimo e fatto illecito

Appare opportuno, in chiusura di argomento, dedicare una particolare attenzione al rapporto che intercorre
tra atto illegittimo e fatto illecito: anche in questo caso, infatti, si pone l annoso problema della
trasmissibilit dell antigiuridicit (dall atto illegittimo al fatto, che, proprio per tale ragione, viene
considerato illecito); e si pone, altres, il problema di stabilire se, ai fini di questa trasmissibilit, sia
sufficiente la semplice dichiarazione di illegittimit dell atto amministrativo oppure sia necessario anche il
suo annullamento. Il che implica anche un raffronto (in un ottica di illecito) tra atto illegittimo (e, come tale,
annullabile) ed atto nullo ovvero tra atto illegittimo e mero comportamento ad esso susseguente (si pensi, ad
es., all occupazione di fatto di un bene): si tratta, infatti, di stabilire, ai fini dell illecito, se l atto illegittimo
(che non sia pi impugnabile) debba essere equiparato all atto legittimo ovvero all atto nullo ed al
comportamento di mero fatto.
Ovviamente, non v dubbio alcuno che, ad avviso di chi scrive, si debba accedere alla prima delle due
ipotesi su esposte, perch diversamente si trascurerebbe la forza giuridica del provvedimento, racchiusa nella
sua attitudine a realizzare un assetto di interessi (che incompatibile con ogni pretesa di illiceit dello
stesso).
Per rendere chiaro il concetto appare utile avanzare un semplice esempio (come parametro si prender a
modello un atto ablatorio o restrittivo): si consideri il caso dei danni lamentati dal proprietario espropriato a
causa di un illegittima espropriazione; in tale ipotesi, se l atto trova, comunque, applicazione, l espropriato
non pu lamentare alcun danno contra jus, perch a causa della persistente efficacia dell atto (illegittimo)
non risulta pi proprietario del bene e l espropriante che lo utilizza e ne dispone (vale a dire, l
Amministrazione) non fa altro che esercitare un proprio diritto (il che elimina in radice ogni illecito).
Da quanto detto si evince, dunque, che, per poter giungere ad un giudizio di illiceit, l unica strada
percorribile quella di ritenere il provvedimento amministrativo inidoneo (a causa della sua illegittimit) a
regolare la fattispecie: il che pu verificarsi o attraverso l annullamento dell atto o attraverso la sua
disapplicazione (previa impugnazione dello stesso nei termini indicati dalla legge). In conclusione, pertanto,
si pu affermare che, cos come necessaria l impugnazione e la successiva caducazione dell atto
presupposto affinch l atto consequenziale risulti inficiato a titolo di illegittimit derivata, ad analoghe
conclusioni si deve pervenire in ordine alle ripercussioni dell atto (nell esempio proposto in precedenza: l
illegittima espropriazione) sul comportamento, affinch quest ultimo risulti illecito.

Potrebbero piacerti anche