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l'infermit che determina lo stato di mente che esclude la

capacit a quale non pot resistere .1

La stessa sovrabbondanza delle espressioni che entrano in

gioco allude all'estrema complessit del problema. Senza

voler entrare troppo nelle definizioni di natura psichica,

occorre comunque ricordare che il codice del 1930 nel parlare

di vizio di mente aveva come riferimento una concezione di

pazzia o di malattia mentale per molte ragioni del tutto

diversa da quella attuale.

Diversa , perch a quel tempo la psichiatria era diversa dalla

psichiatria attuale e aveva a disposizione un apparato

trattamentale contenitivo come manicomi, letti di

contenzione, elettroschock, esso stesso patogeno, che non

faceva che cronicizzare la malattia. Gli psicofarmaci, il cui uso

inizia a diffondersi negli anni cinquanta, erano ancora

sconosciuti. La psicoanalisi non era ancora entrata nella

1 art. 64, Codice dei delitti e delle pene, 1810 in GRASSI, NUNZIATA, Infermit di mente
e disagio psichico nel sistema penale, 2003, Padova, p.35
cultura italiana dell'epoca, se non in modo del tutto marginale,

e la psichiatria sociale era ancora in divenire. 2

Il fatto che permangono nel nostro ordinamento le formule

lessicali adottate da un legislatore che aveva di fronte a s

una concezione della malattia mentale ormai del tutto

superata crea evidentemente dei problemi nel delicato lavoro

interpretativo che, segnando i confini della nozione di

infermit di mente, segna altres i confini tra proscioglimento

e condanna.

Non solo per la contiguit lessicale ma, soprattutto per l'uso

alternativo, spesso improprio dei due termini, vi la necessit

di chiarire i rapporti tra infermit e malattia.

Gi il legislatore del 1930 aveva considerato il termine

malattia troppo restrittivo, tanto pi che all'epoca le malattie

mentali erano tipizzate e catalogate secondo gli schemi delle

teorie positiviste ed organiciste, cosicch qualsiasi stato di

2 G.JERVIS, 1975, 49 in GRASSI, NUNZIATA, Infermit di mente e disagio psichico nel


sistema penale, 2003, Padova, p.35
sofferenza psichica estraneo a tali catalogazioni non era

considerato in senso proprio una malattia mentale.

L'approccio organicistico al disturbo mentale, che trova le sue

origini alla fine dell'ottocento, si situa all'interno di quella

concezione medico-positivistica secondo la quale ogni

comportamento personale si riduceva ad un problema di

fisiologia neuromuscolare.

La stessa normalit si spiegava sulla base di correlati

neuroatomici e neurofisiologici.

Le malattie mentali, stando alle affermazioni dell'allora illustre

medico e psichiatra tedesco Griesinger, dovevano configurarsi

come malattie del cervello e pi specificamente, sosteneva

Wernicke, come malattie dell'organo cerebrale di

associazione, il quale, se rilassato, provoca in un soggetto

rappresentazioni e giudizi errati in contraddizione tra loro e

con la realt.

Il paradigma medico abbraccia anche l'orientamento

nosografico che trova nel Kraepelin il primo fautore e in base


al quale per l'identificazione di una malattia mentale non

tanto importante cercare un substrato biologico, quanto

assicurare la sua appartenenza ad una classificazione medica

precedentemente costruita.

Una simile impostazione determina di conseguenza, un

crescente disinteresse nei confronti del singolo malato,

considerato semplicemente un terreno su cui verificare la

riproducibilit in concreto di quanto classificato in teoria.

Nei lavori preparatori del codice penale e del codice di

procedura penale del 1930 veniva affermato che il vizio di

mente va inteso come conseguenza d'infermit fisica o

psichica clinicamente e patologicamente accertabile.

La giurisprudenza, da parte sua, riconosce che il termine

infermit esprime un concetto pi ampio di quello di

malattia , ma ribadisce il rate nella classificazione scientifica

delle infermit, nella categoria dei malati di mente potrebbero

rientrare anche i soggetti affetti da nevrosi e psicopatie, nel


caso che queste si manifestano con elevato grado di

intensit.3

E ancora : Ai fini della sussistenza del vizio parziale o totale

di mente, l'infermit di mentale, anche se esprime un

concetto pi ampio di quello di malattia, deve, tuttavia,

dipendere da una causa patologica non necessariamente

inquadrabile nelle figure tipiche della nosografia clinica, ma

sempre tale da alterare i processi dell'intelligenza e della

volont .4

In dottrina, invece, per l'orientamento restrittivo possiamo

citare l'opinione di Manzini che afferma : Siamo cosi giunti,

per esclusione, ad isolare la infermit di mente nelle sue sole

forme cliniche, non senza avvertire che ogni trattato di

psichiatria ne ha una propria, e che esse vanno

continuamente mutando, come le conclusioni della scienza da

cui provengono.5

3 Cass. I, 9 APRILE 2003, N. 19532

4 Cass. I, 6 Aprile 1987, n.808

5 MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. II, p.119


La tesi opposta viene invece sostenuta, tra gli altri, da

Mantovani. Egli afferma: Vengono al riguardo in

considerazione, anzitutto, le malattie mentali vere e proprie,

quelle alterazioni, cio, delle funzioni intellettive o volitive

dell'agente che turbano la percezione, la memoria, l'ideazione

, la volontariet, ecc. Si discute molto, tra gli psichiatri, se

tali infermit di mente, derivino tutte da un'alterazione

organica del cervello, o possano anche avere un carattere

meramente funzionale. E mentre da alcuni si ritiene che

debbano sempre essere riportate ad una anomalia organica,

per altri, invece, esse non hanno una base fisiologica

dimostrabile. Dal che, deriva che, ai fini di sceverare e

valutare le malattie, necessario ricorrere a criteri puramente

patogenetici e sintomatologici, i quali sono, specie questi

ultimi, quanto mai vaghi, incerti e mutevoli. Non occorre,

invero, perch si possa ammettere vizio di mente, che la

malattia mentale si trovi gi circoscritta e determinata, ma

basta qualsiasi disturbo morboso dell'attivit psichica che sia

tale da togliere la capacit d'intendere e di volere. Occorre, in


altre parole, che l'anomalia psichica giunga a negare la

presenza di una personalit morale nel soggetto agente, la

quale mancando rende l'individuo non in grado di valutare i

nessi che lo uniscono al mondo esterno, o facendo si che egli

sia incapace di ergersi al di sopra degli stimoli o dei motivi che

lo spingono all'azione, per dominarli, frenarli o compiere tra

essi una scelta..6

Alla luce delle considerazioni svolte, possiamo oggi ritenere

superato, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, il dato

puramente ed automaticamente classificatorio. Possiamo

conseguentemente affermare che, ai fini del giudizio sulla

capacit d'intendere e di volere, non interessa tanto che la

condizione del soggetto sia esattamente catalogabile nel

novero delle malattie elencate nei trattati di medicina, quanto

che il suo disturbo abbia in concreto l'attitudine a

compromettere gravemente la capacit sia di percepire il

6 BETTIOL-L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, p.486


disvalore del fatto commesso, sia di recepire il significato del

trattamento punitivo. 7

Dottrina e giurisprudenza, sono concordi nel ritenere che

l'infermit in questione, possa essere anche non mentale.

L'infermit di cui all'art. 88, cos come all'art. 89, pu avere

origine, difatti,anche da una malattia fisica, sia pure a

carattere transitorio.

Esempi ne possono essere il delirio determinato da uno stato

febbrile o ancora la confusione mentale determinata

dall'azione infettiva e tossica del paratifo.

A sostegno di una simile conclusione, adducibile un

argomento letterale. Gli art. 88 e 89 parlano non gi di

infermit mentale, bens genericamente di infermit tale da

provocare uno stato di mente che esclude l'imputabilit.

Va inoltre osservato che parlare di infermit che si riflette sullo

stato mentale una dicotomia inaccettabile per i medici. Ci,

7 G. FIANDACA E. MUSCO, DIritto Penale, p. 338


in realt, pi per difetto di terminologia che per un difetto

concettuale.

Per il medico, difatti, l'infermit di mente un concetto

univoco quale che ne sia l'eziologia. I medici, quindi, guardano

al risultato, anche se la causa patogena un'infermit

biologica e non mentale.

Porre l'attenzione sulle conseguenze a carico della psiche,

prescindendo dalla natura patologica che le ha determinate,

non permette una corretta lettura dei disposti in cui

menzionata "l'infermit psichica", che un fatto giuridico

assai pi delineato di quello contemplato dall'art. 88, laddove

la legge esige in tutto e per tutto una infermit, dunque

anche non mentale, con effetti negativi sulla capacit

d'intendere e di volere.

Non pu dirsi che tale variante terminologica sia puramente

ellittica.
L'infermit psichica richiesta allorch va precisato il

presupposto dell'applicazione di un certo di misura di

sicurezza.

L'ospedale psichiatrico giudiziario (art.222 c.p.) sarebbe, ad

esempio, assolutamente inappropiato nei casi di esclusione o

diminuzione della capacit di intendere e di volere causati da

patologia non afferente alla psiche.8

Cass. n. 958/1991

A sostegno di un'origine non solo da malattia mentale ma

anche da malattia fisica dell'infermit, si esprime anche la

giurisprudenza.

La Cassazione si esprime in tali termini: Gli artt. 88 e 89 del

codice penale che disciplinano, rispettivamente, l'infermit

totale o parziale di mente, come cause che escludono o

diminuiscono notevolmente l'imputabilit, ossia la capacit di

intendere e di volere, postulano l'esistenza di una vera e

8 FERRIO, Psichiatria e clinica forense, II, Utet, torino 1959, p. 770, in AMISANO,
Incapacit per vizio totale di mente ed elemento psicologico del fatto, Torino, p. 33
propria malattia mentale, ossia di uno stato patologico,

comprensivo delle malattie (fisiche e mentali), in senso

stretto, che incidono sui processi volitivi e intellettivi della

persona o delle anomalie psichiche, che seppure non

classificabili, secondo precisi schemi nosografici, perch

sprovvisti di una sicura base organica, siano tali, per la loro

intensit da escludere totalmente o scemare grandemente la

capacit di intendere,ossia la capacit del soggetto di rendersi

conto del valore delle proprie azioni, e, quindi ad apprenderne

il disvalore sociale,e di volere,ossia l'attitudine del soggetto ad

autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che ne

motivano l'azione e, comunque, in modo coerente con le

rappresentazioni apprese, del colpevole. 9

Come si evince da questa sentenza, l'infermit deve

riverberarsi sullo stato mentale ma non richiesto che derivi

esclusivamente da malattia mentale potendo derivare anche

da malattia fisica; ci che conta che essa produca

9 Cfr, Cass., n. 958 del 1991


conseguenze che annichiliscono, o diminuiscono, la capacit

d'intendere o di volere, o entrambe.

Un profilo da sviluppare a questo punto della trattazione

attiene alla circostanza che, per potersi parlare di

inimputabilit, l' alterazione della mente deve dipendere da

un'infermit sussistente al momento del fatto e rilevante in

ordine al fatto commesso, nonch tale da incidere

concretamente sulla capacit d'intendere e di volere del

soggetto.

In merito a tale questione si pone il seguente interrogativo: si

ha non imputabilit solo allorch il reato commesso trovi una

delle sue condizioni causali nell'infermit riscontrata

nell'agente, o per contro, quel che unicamente conta che

l'illecito venga posto in essere da un soggetto in stato

d'infermit, pur se l'infermit non abbia nulla a che vedere

con l'illecito perpetrato?

Nel primo senso si sono espresse le Sezioni Unite della

Cassazione affermano: , infine, necessario che tra il


disturbo mentale e il fatto di reato, sussista un nesso

eziologico, che consenta di ritenere il secondo casualmente

determinato dal primo. La dottrina ha da tempo posto in

rilievo come le pi recenti acquisizioni della psichiatria

riconoscano spazi sempre pi ampi di responsabilit al malato

mentale, riconoscendosi che, pur a fronte di patologie

psichiche, egli conservi una " quota di responsabilit".

L'esame e l'accertamento di tale nesso eziologico si appalesa

necessario al fine di delibare non solo la sussistenza del

disturbo mentale, ma le stesse reali componenti connotanti il

fatto di reato, sotto il profilo psico-soggettivo del suo autore,

attraverso un approccio non astratto ed ipotetico, ma reale ed

individualizzato, in specifico riferimento, alla stessa sfera di

possibile, o meno, autodeterminazione della persona cui

quello specifico fatto di reato medesimo si addebita e si

rimprovera; consente, quindi, al giudice di compiutamente

accertare se quel rimprovero possa essere mosso per quello

specifico fatto, se, quindi, questo trovi, in effetti, la sua genesi

e la sua motivazione nel disturbo mentale che in tal guisa


assurge ad elemento condizionante della condotta: il tutto in

un'ottica, concreta e personalizzata, di rispetto dell'esigenza

generalpreventiva, da un lato, di quella individualgarantista,

dall'altro. I fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di

mente, rientrano nel concetto di "infermit " anche i "gravi

disturbi della personalit ", a condizione che il giudice ne

accerti la gravit e l'intensit, tali da escludere o scemare

grandemente la capacit di intendere o di volere, e il nesso

eziologico con la specifica azione criminosa.10

Per quanto attiene al secondo orientamento pensiamo aun

reato societario o fallimentare commesso da chi risulti affetto

da paranoia omicida.

Lo sganciamento trova il suo punto di forza nella dizione

normativa. La legge non enuncia la necessit di un rapporto

eziologico tra infermit e reato. La lettera della norma richiede

contestualit tra illecito e infermit.

10 Cass. Sezioni Unite, 8 marzo 2005, n. 9163 in GALLO, Appunti di diritto penale,
volume V l'imputabilit, Torino, pag. 52,53
Il primo orientamento ha dalla sua la logica della prevenzione,

funzione indiscutibile della legge penale. Tuttavia, nella

risoluzione dell'iniziale interogativo, la nente va a cosa

potrebbe accadere di un condannato, ad esempio per

bancarotta fraudolenta, affetto da pesanti turbi sessuali o,

addirittura, omicide. La posta in gioco, la sorte di una

persona che si sa totalmente inferma di mente, pur

limitatamente ad una sola zona, funzione, o della psiche. 11

L'interrogativo qui esposto ha soluzioni differenti da interprete

a interprete, e in considerazione del fatto che gli interpreti in

questione sono degli operatori particolari del diritto, quali i

giudici, ci difficilmente accettabile. Auspicabile risulta

essere, quindi, un intervento legislativo che sia in grado,

attraverso una regolapositiva, di risolvere il dilemma.

L' ultimo profilo da tenere in considerazione che la capacit

di intendere e di volere pu essere completamente esclusa

11 GALLO, Appunti di diritto penale, volume V, L'imputabilit, Torino, 54


anche da una infermit transitoria, purch sia sempre tale da

far venire meno i presupposti dell'imputabilit.

Per contro, nella prassi applicativa si propende per una

possibile affermazione di responsabilit nei cd. intervalli

di lucidit, con la specifica che per tale si intende uno stato di

lucidit sufficientemente avulso dalle influenze che la malattia

pu esercitare sulla psiche complessiva dell'individuo. 12

Si pensi ad esempio all'epilessia. Sul punto si espressa la

Cassazione affermando che : L'epilessia non costituisce di per

s una malattia che comporti uno stato permanente di

infermit mentale nel soggetto; la incapacit di intendere o

volere invece ravvisabile nel momento del raptus, vale a

dire allorch il malato colto da una crisi epilettica che,

provocando movimenti e spasmi incontrollabili possa

determinare movimenti degli arti e del corpo dei quali il

malato, in quel momento, non pu rendersi conto. 13

12 G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto Penale, p. 342

13 Cass. 16 gennaio 1996 n. 3031


Tuttavia, non tutta la dottrina concorte sulla deciosione

espressa dalla corte. Vi chi come Nuvolone sostiene che il

malato di mente, anche se si trova in un periodo di lucidit,

solo apparentemente sano, e la sua azione criminosa non pu

non ritenersi manifestazione della sua malattia .14

14 NUVOLONE, Il sistema, 263, in G. FIANDACA E. MUSCO, DIritto Penale, p. 342

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