Sei sulla pagina 1di 11

Giovanna Borradori. FILOSOFIA DEL TERRORE.

Dialoghi con Jrgen Habermas e Jacques D


errida. Editori Laterza, Roma-Bari. Prima edizione 2003. Copyright 2003, Gius. L
aterza & Figli, per la lingua italiana. Il dialogo con Habermas stato tradotto d
a Federico Hermanin; il dialogo con Derr ida da Giuseppe Bianco. Propriet lettera
ria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari. * Il ventunesimo secolo gi se
gnato dal trauma del terrorismo. Che cosa si nasconde dietro al fondamentalismo
che lo alimenta e riproduce? Una reazione all'illumini smo e alla modernit, due c
apisaldi della filosofia occidentale, oppure una crisi autoimmune della societ gl
obalizzata? Habermas e Derrida, entrambi a New York e i ncalzati da Giovanna Bor
radori, si ritrovano in un lucido esercizio della ragion e e un appassionato app
ello alla giustizia. Giovanna Borradori vive a New York ed docente di Filosofia
al Vassar College. Il suo libro per i nostri tipi "Conversazioni americane con W
.O. Quine, D. Davidso n, H. Putnam, R. Nozick, A. C. Danto, R. Rorty, S. Cavell,
A. MacIntyre, Th.S. K uhn" (1991) stato tradotto in otto lingue. Ha anche curat
o la prima antologia di filosofia italiana contemporanea in lingua inglese intit
olata "Recoding Metaphy sics. The New Italian Philosophy (1989). INDICE. Prefazi
one. Ringraziamenti. Introduzione. Il terrorismo e l'eredit dell'Illuminismo: Hab
ermas e Derrida. PARTE PRIMA. Fondamentalismo e terrore. Un dialogo con Jrgen Hab
ermas. Habermas. Ricostruire il terrorismo. - 11 settembre: il primo evento stori
co mondiale. - Dal diritto internazionale classico a un nuovo ordine cosmopolita.
- Il terrorismo e la sfera pubblica. - La democrazia del linguaggio quotidiano.
- La violenza come comunicazione distorta. - La gabbia di ferro del fondamental
ismo. - Il progetto incompiuto della modernit. PARTE SECONDA. Autoimmunit, suicidi
reali e simbolici. Un dialogo con Jacques Derrida. Derrida. Decostruire il terr
orismo. - Il perdono decostruito. - I limiti dell'intervento. - Il perch di un no
me: 11 settembre. - Trauma e autoimmunit.
-
Responsabilit religiose. Le condizioni della tolleranza. Eccessiva violenza? La p
romessa europea. all'Introduzione. a: "Fondamentalismo e terrore. Un dialogo con
Jrgen Habermas". a: "Habermas. Ricostruire il terrorismo". a: "Autoimmunit, suici
di reali e simbolici. Un dialogo con Jacques Derrida". a: "Derrida. Decostruire
il terrorismo".
Note Note Note Note Note ***
per Lucia e Gerardo Zampaglione, i miei piccoli grandi eroi PREFAZIONE. I libri
di filosofia richiedono generalmente un lungo periodo di incubazione nel la ment
e dei loro autori. Kant medit per dieci anni sulla "Critica della ragion p ura" e
chiam questo periodo il decennio silenzioso. Spinoza lavor per gran parte del la su
a vita all'"Etica", che venne pubblicata postuma. Socrate non scrisse mai u na s
ola riga. Il caso di questo libro diverso, perch stato concepito nel giro di poch
e ore a New York, la mattina dell'11 settembre 2001. Io ho vissuto l'11 settembr
e in presa diretta: separata dai miei figli, rimasti isolati nelle loro scuole a
lle estremit opposte della citt, e da mio marito, un gi ornalista accorso sotto le
torri in fiamme, che si salvato per miracolo fuggendo a piedi al momento del cr
ollo. Dalla mia prospettiva, l'incredibile si scatenat o all'improvviso, nel pie
no di una splendida mattinata di sole di fine estate, t ramutatasi inspiegabilme
nte in una sorta di apocalisse. Tutte le comunicazioni s i interruppero di colpo
: n telefono n Internet funzionavano pi, nessun trasporto pu bblico era pi disponibi
le, gli aeroporti furono chiusi, e cos pure le stazioni fer roviarie e i ponti. C
ome il resto del mondo, ho visto la tragedia dispiegarsi su llo schermo televisi
vo; diversamente dal resto del mondo, sapevo che a una cinqu antina di isolati d
a casa mia dozzine di persone si stavano gettando da novanta piani di altezza, a
lcune tenendosi per mano e altre da sole. Mentre il World Tra de Center implodev
a, l'escalation degli eventi mi sembrava completamente aperta: il Pentagono in f
iamme, il Presidente profugo dell'aria, il Vicepresidente nasc osto in un rifugi
o segreto, la Casa Bianca evacuata, mentre la notizia di un'esp losione al Campi
doglio aveva prodotto un fuggi-fuggi di senatori e deputati. Fin o al momento in
cui giunse la conferma che il quarto aereo era caduto in Pennsyl vania, anch'io
, come tanti altri, rimasi convinta che il peggio dovesse ancora a rrivare. Anch
e se, come naturale, il grado di coinvolgimento personale varia da caso a ca so,
ogni newyorchese ricorda con precisione che cosa stesse facendo alla notizia ch
e due jet di linea, pieni di passeggeri e di carburante, si erano schiantati con
tro i due grattacieli pi alti di Manhattan. Avvocati di Wall Street e tassisti pa
chistani, negozianti coreani e attori di Broadway, portieri e docenti univers it
ari, tutti hanno una storia da raccontare. Persino i bambini hanno la loro sto r
ia, di solito colorata d'incredulit, paura e solitudine. La mia la storia di un f
ilosofo in un momento di terrore, un momento che, purtro ppo, temo si sia esteso
a un'intera epoca: il tempo del terrore. Come ogni altra storia, anche la mia i
ntrecciata in maniera unica con la vita del suo narratore , e quindi ha inevitab
ilmente a che fare con l'Europa e la tradizione filosofica europea, della quale
Jrgen Habermas e Jacques Derrida rappresentano forse le due pi grandi voci viventi
. Assordata dall'urlo della miriade di sirene che si preci pitavano "downtown" e
sola nel mio appartamento dell'East Side, ricordo di aver cercato di pensare al
la realt della mia vita al di l del momento presente. Sia Hab
ermas che Derrida, rammentai a me stessa, dovevano venire a New York - separatam
ente e per ragioni indipendenti - nel giro di poche settimane. Mi domandai se s
a rebbero ancora stati in grado di arrivare. Come avrebbero reagito a questa tra
ge dia? Sarei mai stata capace di chiederglielo? Habermas e Derrida giunsero a N
ew York secondo i piani originari e io ho avuto i l privilegio di raccogliere le
loro reazioni all'attacco terroristico pi devastan te della storia: i miei dialo
ghi con ciascuno di loro costituiscono il nucleo di questo libro. Nonostante i m
olti riferimenti ad avvenimenti di cronaca, il filo rosso che li percorre da cim
a a fondo la volont di analizzare filosoficamente le questioni pi urgenti che circ
ondano i temi del terrore come stato mentale e del terrorismo come problema poli
tico. Per esempio: vero che il diritto internaziona le divenuto obsoleto di fron
te alle minacce subnazionali e sovranazionali? Chi s ovrano e su chi? E' utile v
alutare la globalizzazione attraverso le nozioni di c osmopolitismo e di cittadi
nanza mondiale? La nozione politica e filosofica di di alogo, cos importante in o
gni strategia diplomatica, davvero uno strumento di com unicazione universale? O
ppure il dialogo una pratica appartenente a una tradizio ne culturale specifica,
che a volte potrebbe rivelarsi semplicemente inadeguata? E infine, a quali cond
izioni il dialogo un'opzione realistica? L'ideologia esplicita dei terroristi re
sponsabili degli attacchi dell'11 settemb re esprime il rifiuto della modernit e
della secolarizzazione. Dal momento che qu esti concetti sono stati articolati p
er la prima volta dai filosofi dell'Illumin ismo, la filosofia chiamata alle arm
i, perch chiaro che pu offrire un contributo u nico all'interpretazione di questa
delicata giuntura geopolitica. Nel mio saggio introduttivo, "Il terrorismo e l'e
redit dell'Illuminismo: Habermas e Derrida", s ostengo questa tesi alla luce dell
e letture nettamente distinte che l'uno e l'al tro forniscono dell'Illuminismo.
Inoltre, cerco di indagare la relazione tra fil osofia e storia e identifico due
modelli alternativi di impegno politico che ser viranno al lettore per capire i
l contesto in cui si inseriscono i contributi di questi due filosofi. I dialoghi
contenuti in questo volume non soltanto fanno luce sugli 'stili di pe nsiero' d
i Habermas e Derrida, ma mettono in gioco il nucleo centrale dei loro q uadri te
orici. In ciascuno dei saggi critici che li accompagna il mio sforzo dir etto ad
isolare le argomentazioni sul terrorismo e mostrare come si integrano ne lle lo
ro filosofie rispettive. Questi due saggi, intitolati "Habermas. Ricostrui re il
terrorismo" e "Derrida. Decostruire il terrorismo", consentiranno al letto re d
i percorrere lo stesso sentiero che ha condotto due filosofi eminenti a ragg iun
gere determinate convinzioni sul significato del terrorismo e l'esperienza de l
terrore. Per la prima volta in questo libro Habermas e Derrida hanno accettato d
i compari re fianco a fianco, rispondendo a una serie di domande parallele. Appr
ezzo molto la loro disponibilit a fare questo passo sul terreno dell'11 settembre
e in risp osta alla minaccia del terrorismo mondiale. Quella mattina, Habermas
si trovava nella sua casa di Stamberg, nel sud della Ge rmania, dove vive da mol
ti anni. Derrida era invece in Cina, a Shanghai, per una serie di lezioni. La no
tizia lo colse mentre sedeva in un caff con un amico. Que sto libro racconta anch
e le loro storie. In entrambi i dialoghi ciascuno dei due si racconta: ovvero, e
labora sul significato di essere a New York, una citt che entrambi amano, nel per
iodo immediatamente successivo al giorno pi sanguinoso del la sua storia. Entramb
i hanno vissuto in prima persona il clima di terrore causa to dagli attacchi all
'antrace e la devastazione emotiva che chiunque poteva perc epire anche solo cam
minando per strada. Tuttavia, la loro anche la storia di que llo che ha spinto d
ue grandi filosofi ad esporre l'architettura portante del lor o pensiero al pi di
fficile dei compiti: la valutazione di un evento storico unico e irripetibile. I
n considerazione del rischio e della grande sicurezza di s che richiede tale comp
ito, per un filosofo questa una storia molto personale da racc ontare. L'incontr
o con uno dei giorni pi devastanti della loro maturit ha stimolato - sia in Haberm
as che in Derrida - reazioni assolutamente genuine: cio, reazioni che ri flettono
con originalit il modo di pensare di ognuno. Il dialogo con Habermas den so, com
patto e lineare. Il suo uso quasi spartano del linguaggio gli permette di
passare da un concetto all'altro, producendo l'effetto di stabilit e lucidit prop
rio della filosofia classica tedesca. Diversamente, il dialogo con Derrida segue
una strada pi lunga e tortuosa, che a volte si apre su ampi paesaggi, altre si a
ffaccia su canyon cos profondi che il fondo rimane invisibile. La sua spiccata s
e nsibilit per ogni tipo di sottigliezza linguistica fa s che il modo in cui Derri
da pensa sia inseparabile dalle parole con cui espresso. La magia di questo dial
og o, che procede a ritmo serrato ma accessibile, sta in quella combinazione di
inv entiva e rigore, argomentazione e asserzione, di cui Derrida maestro insuper
ato. Un altro grande filosofo francese, Blaise Pascal, addit in queste coppie i d
ue r egistri della filosofia: l'"esprit de finesse" e l'"esprit de gometrie". Non
ostante le notevoli differenze di approccio, entrambi i filosofi sostengono c he
il concetto di terrorismo sfuggente e che proprio questa sua elusivit il maggi o
re pericolo nell'arena politica globale presente e la pi grande sfida del futuro
. Ad esempio non chiaro su quale base il terrorismo possa rivendicare un contenu
to politico ed essere separato dalla mera attivit criminale. Rimane da verificar
e se ha senso parlare di terrorismo di Stato, se plausibile la distinzione fra t
e rrorismo e guerra, e infine se ragionevole che uno Stato o una coalizione di S
ta ti dichiarino guerra, in modo non soltanto metaforico, ad altro da un'entit po
lit ica. Troppo spesso il termine 'terrorismo' usato dai media occidentali e dal
Dip artimento di Stato americano come un concetto ovvio, insieme a tutte le dis
tinzi oni che sussume in s: quelle tra terrorismo nazionale e internazionale, loc
ale e globale, sono solo due tra molte altre. Habermas ricostruisce la possibili
t di attribuire un contenuto politico al terror ismo in funzione del realismo dei
suoi obiettivi, per cui esso acquisterebbe un contenuto politico solamente a po
steriori, ovvero retroattivamente. Nei moviment i di liberazione nazionale, osse
rva Habermas, abbastanza comune che chi consider ato un terrorista, e possibilme
nte anche condannato come tale, venga a far parte , in seguito ad un'improvvisa
svolta degli eventi, della nuova leadership. Poich il tipo di terrorismo emerso c
on l'11 settembre non pare avere obbiettivi politi ci realistici, Habermas ne re
spinge il contenuto politico. Su questa base trova allarmante la decisione di di
chiarare guerra al terrorismo perch gli conferisce u na legittimazione politica.
Inoltre Habermas preoccupato per la progressiva perd ita di legittimit a cui sono
sottoposti i governi degli Stati democratici e liber ali, che vede esposti sist
ematicamente al rischio di reagire in maniera eccessiv a contro un nemico sconos
ciuto. Si tratta di un pericolo serio: imminente a live llo dei singoli Stati, d
ove la militarizzazione della vita ordinaria potrebbe mi nare il funzionamento d
el regime costituzionale e restringere le possibilit di pa rtecipazione democrati
ca; ma in prospettiva presente anche a livello internazion ale, dove l'uso delle
risorse militari potrebbe rivelarsi sproporzionato o ineff icace. Derrida, dal
canto suo, guarda alla decostruzione della nozione di terrorismo co me l'unica l
inea di condotta responsabile, perch l'uso pubblico di questa nozione finisce per
dare una mano proprio ai terroristi. Tale decostruzione consiste ne l mostrare
che nessuna delle distinzioni che si applicano comunemente al terrori smo in rea
lt sostenibile. Secondo Derrida, non solo il terrorismo fondamentalment e indisti
nguibile dalla guerra, ma non nemmeno possibile tracciare una separazio ne conce
ttuale rigorosa tra terrorismo nazionale e internazionale, locale e glob ale. Se
si afferma l'impossibilit di assegnare predicati alla sostanza 'terrorism o', lo
si priva di significato, e quindi anche di un progetto politico. Secondo Derrid
a, la lotta al terrorismo implica anche un'attenta vigilanza al ra pporto tra te
rrore e sistema di comunicazione globalizzato, iniziato sotto l'egi da del bomba
rdamento di immagini sugli attacchi dell'11 settembre. Con la ripeti zione osses
siva del ricordo dell'evento traumatizzante, i sopravvissuti cercano di provare
a se stessi di essere in grado di resistere all'impatto di ci che potr ebbe ancor
a accadere. Dopo l'11 settembre, noi tutti siamo stati esposti a quest o meccani
smo, che mette in risalto il terrore pi come possibilit futura che come e vento pa
ssato. Derrida sconcertato dall'atteggiamento superficiale dei media, ch e hanno
contribuito ad amplificare la forza di quest'esperienza traumatica. Ma a nche s
eriamente preoccupato della possibilit che i terroristi sfruttino a loro va ntagg
io i network tecnologici e informatici. Malgrado tutto l'orrore al quale ab
biamo assistito, dice Derrida, non impossibile pensare che un giorno guarderemo
all'11 settembre come l'ultimo esempio della relazione fra terrore e territorio,
l'ultima esplosione di un teatro arcaico della violenza, destinata a colpire l'
immaginazione. Gli attacchi del futuro - qualora venissero usate armi chimiche
e batteriologiche, o se fossero prese di mira le comunicazioni digitali - potreb
b ero essere silenziosi, invisibili e difficilmente immaginabili. Di fronte a qu
esti rischi devastanti, sia Habermas che Derrida si appellano a un a reazione di
portata mondiale che definiscono nei termini di una transizione da l diritto in
ternazionale classico, tuttora ancorato al modello ottocentesco dell o Stato-naz
ione, ad un nuovo ordine cosmopolitico, di cui dovrebbero diventare a ttori poli
tici le istituzioni internazionali e le alleanze continentali. In prat ica, ques
ta transizione potrebbe esigere anche la creazione di nuove istituzioni internaz
ionali. Non c' dubbio per entrambi che il primo passo consista nel raffo rzare qu
elle gi esistenti, da un lato perfezionando il loro profilo diplomatico, e dall'a
ltro incoraggiando i singoli Stati, particolarmente quelli pi influenti s ulla sc
ala planetaria, a rispettarne le deliberazioni. Sul fronte teorico, la le gittim
azione di nuovi attori internazionali richiede un riassestamento critico d el si
gnificato di sovranit. Tanto Habermas quanto Derrida affermano a tale riguar do i
l valore dell'ideale illuminista di cittadinanza mondiale e di diritto cosmo pol
itico. Secondo Kant, il pi grande teorico di questo ideale, si tratta della co st
ruzione di una comunit universale in cui tutti i membri hanno diritto a presenta r
si nella societ degli altri in virt del loro diritto al comune possesso della sup
erficie della terra. Se e quando una comunit siffatta esister, una violazione dei d
iritti in una parte del mondo sar avvertita ovunque. Solo a queste condizioni sa
r possibile, come ha scritto Kant, avere la certezza che stiamo avanzando verso la
pace perpetua. *** RINGRAZIAMENTI. Vorrei esprimere tutta la mia gratitudine a Jr
gen Habermas e Jacques Derrida per aver accettato di seguirmi nella sfida di que
sto libro. Sono cresciuta sui loro testi, spesso cercando di immaginare che "per
sone" si nascondessero dietro a due menti tanto portentose. Quest'occasione mi h
a permesso non soltanto di vederli al lavoro, un'esperienza che mi ha letteralme
nte trasformata, ma anche di conosc ere da vicino due gentiluomini europei nel s
enso pi autentico del termine: due pe rsone che hanno vissuto molto e molto inten
samente, le cui capacit intellettuali non oscurano mai un senso di profonda umani
t. Voglio anche ringraziare il mio carissimo amico e collega Michael Murray, senz
a il quale questo libro non sarebbe certo quello che , e forse non sarebbe mai st
at o terminato. E' difficile trovare parole capaci di descrivere il sostegno che
mi ha offerto: Michael ha letto e rivisto ogni pagina di questo libro, in tutte
le sue fasi, facendomi dono della sua conoscenza filosofica inesauribile e del
suo acume analitico. So quanto gli devo e gli sono grata con tutto il cuore. Que
sto progetto ha una data di nascita tragica: 11 settembre 2001. Quel giorno e ne
i mesi successivi mio fratello, Pietro Borradori, mi stato molto vicino, insi em
e alla mia amica di sempre, Mariangela Zappia-Caillaux, che non ha mai cessato d
i incoraggiarmi, emotivamente e professionalmente, ripetendomi che questo prog e
tto rappresentava un contributo utile e ancora unico nel suo genere. Un grazie a
nche ad Alvin Mesnikoff, che mi ha sorretto nei momenti pi grigi e tumultuosi. So
no grata inoltre a tre amici cari: Richard J. Bernstein, da cui ho tratto ispi r
azione filosofica e umana per anni; James Traub che, con la sua intelligenza e i
l suo "humor" implacabile, mi ha fatto ridere quando era per me la cosa pi impor
tante da fare; e Brooke Kroeger, la donna pi forte che conosca, per il suo affett
o e per aver da sempre creduto in me. Tra le persone verso le quali mi sento pi
in debito ci sono il mio editor presso la University of Chicago Press, David Bre
nt, e Giuseppe Laterza. Il loro sostegn o, affetto e amicizia sono stati davvero
preziosi. Vorrei inoltre ringraziare Al
essandro de Lachenal per il suo ottimo lavoro di revisione del testo e i due tra
duttori dei dialoghi, Federico Hermanin e Giuseppe Bianco. Questo libro mi ha f
atto capire quanto sia importante sentirsi apprezzati dalla propria istituzione
accademica. Sono pertanto grata al Vassar College e al suo p residente, Frances
D. Fergusson, al mio direttore di dipartimento, Douglas Winbl ad e all'assistent
e amministrativa del dipartimento, Kathy Magurno. A Vassar vor rei anche ringraz
iare tutti i miei studenti, che hanno fatto il tifo per me e mi hanno sempre ten
uto su di morale. Un grazie particolare al mio assistente, Max Shmookler, e a Za
chary Allen, la cui passione per la filosofia e dedizione al mi o progetto non s
aranno facili da dimenticare. I miei due figli, Lucia e Gerardo Zampaglione, son
o stati dei sostenitori favolo si di questo libro. Hanno capito che rappresentav
a molto per me e hanno sopporta to le mie assenze prolungate da casa e dalla lor
o vita. Per questo li voglio rin graziare. Infine, ultimo nella lista ma primo n
el mio cuore, mio marito, Arturo Zampaglion e. Avendo vissuto mano nella mano la
tragedia dell'11 settembre, questo anche il "suo" libro. Quel giorno, e ogni gi
orno successivo sino ad oggi, Arturo non mi ha dato nulla di meno che il suo amo
re incondizionato. *** FILOSOFIA DEL TERRORE. Dialoghi con Jrgen Habermas e Jacqu
es Derrida. Introduzione. IL TERRORISMO E L'EREDITA' DELL'ILLUMINISMO: HABERMAS
E DERRIDA. Ci si potrebbe chiedere se il dibattito sull'11 settembre debba sping
ersi fino a d una ridiscussione degli ideali politici dell'Illuminismo. La tesi
di questo li bro che non solo necessario, ma anche urgente dal punto di vista po
litico. Tanto gli attentati dell'11 settembre quanto le reazioni diplomatiche e
militari che essi hanno suscitato richiedono un riesame, in tutta serenit, del pr
ogetto politi co e degli ideali morali dell'Illuminismo. Habermas e Derrida sott
olineano che il sistema giuridico e politico alla base de l diritto internaziona
le e delle istituzioni multilaterali esistenti abbia origi ne nell'esperienza fi
losofica dell'Illuminismo, inteso come l'orientamento intel lettuale della moder
nit formatosi a partire da un certo numero di testi chiave. S e ci vero, chi altri
se non un filosofo ha strumenti migliori per esaminare criti camente l'adeguate
zza della struttura esistente rispetto ai suoi precedenti stor ici? Potrei inolt
re aggiungere che la battaglia contro il terrorismo come concet to politico, e c
ontro il terrore come stato psicologico, non una partita a scacc hi. Non ci sono
regole preesistenti: non c' una distinzione tra mosse lecite e mo sse illecite e
nessuna base sulla quale decidere quale sia la mossa migliore. No n ci sono dei
pezzi identificabili. Infine, se anche ci fosse una scacchiera, no n sarebbe un
o spazio circoscritto, ma coinciderebbe con quello che Kant ha chiam ato il comun
e possesso della superficie della terra. Fin dai suoi albori in Grecia , la filos
ofia si trovata di fronte a labirinti concettuali di questo tipo. Dal momento ch
e il suo ambito di competenza si modifica strada facendo, pi di ogni al tra disci
plina essa sa riorientarsi una volta che tutti i punti di riferimento s embrano
essersi polverizzati. Questa esattamente la condizione in cui ci troviam o di fr
onte a un concetto elusivo come quello di terrorismo e all'esperienza di terrore
che esso irradia. Nei dialoghi raccolti in questo libro Derrida e Habermas hann
o sottolineato i ri schi dell'approccio pragmatico che evita di riconoscere e af
frontare la compless it teorica sottesa alla nozione di terrorismo. Nell'ultimo p
aragrafo di questo sa ggio esporr le ragioni che entrambi offrono a giustificazio
ne di questo avvertime nto. Tuttavia, per consentire al lettore di apprezzare ap
pieno le tesi di Haberm as e Derrida, vorrei prima chiarire la singolarit della p
osizione in cui si trova
la filosofia di fronte a un evento storico d'importanza mondiale quale stato l'
11 settembre. Nel prossimo paragrafo discuter infatti se e quale tipo di contribu
to la filosofia possa dare all'interpretazione di un evento storico, colto nell
a sua assoluta unicit. La mia tesi che la natura di tale contributo dipende dalla
definizione di responsabilit filosofica: a questo riguardo, proporr la contrappos
i zione di due modelli di impegno: quello pi angloamericano dell'"attivismo politic
o" , basato sulla scelta personale se impegnarsi o meno, e per quale causa, e qu
ell o pi europeo della "critica sociale", per cui la filosofia stessa si sente gi
da s empre impegnata a interrogare i dilemmi del suo tempo. Seppure in modi dive
rsi, sia Habermas che Derrida mi paiono allineati su un'interpretazione della re
spons abilit filosofica come critica sociale, ossia come risposta ai dilemmi pi tr
aumati ci del ventesimo secolo: il colonialismo, il totalitarismo e l'Olocausto.
Dopo l '11 settembre e le sue conseguenze geopolitiche mi pare lecito sospettar
e che il terrorismo globale costituisca il trauma inaugurale del nuovo millennio
. - "La filosofia ha qualcosa da dire sulla storia?" Con un'affermazione divenut
a famosa, Aristotele spieg che, se la filosofia studia i princpi universali e la s
toria degli eventi unici e irripetibili, la poesia att ivit teoretica e pi elevata
della storia (1). La sua affermazione si basa sul gener e poetico della tragedia.
Dall'"Orestiade" all'"Antigone", secondo Aristotele og ni tragedia greca mostra
la fondamentale aspirazione a comprendere (e, per quant o possibile, anche a sp
iegare) i sentimenti e i conflitti interiori dei protagon isti. Poich la tragedia
cerca di dare un senso razionale e universale al fascio d i emozioni che domina
no l'esistenza umana, percorre un sentiero parallelo a quel lo della filosofia.
Al contrario, dato che la storia non ruota attorno a princpi universali, rimane i
mpenetrabile all'analisi filosofica. Se seguiamo il ragionam ento di Aristotele,
non c' alcun principio universale evidente in base al quale, nel 1812, Napoleone
dovesse spedire in Russia cinquecentomila soldati, mandandon e al macello quatt
rocentosettantamila. Nello stesso modo in cui la filosofia non offre nulla alla
comprensione della campagna russa di Napoleone, si potrebbe di re che non ha nul
la di interessante da aggiungere sull'11 settembre, il quale, s econdo questa in
terpretazione, emerge come un ennesimo fatto di sangue. A partire da Aristotele
l'indifferenza della filosofia nei confronti della stori a ha dominato la tradiz
ione occidentale fino alla met del diciottesimo secolo (2) , quando la Rivoluzion
e francese e quella americana rivelarono come nel presente alberghi la possibili
t di una rottura radicale con il passato. Solo allora la fi losofia cominci a valu
tare se la ragione potesse o meno avere una struttura moral e intrinseca e una r
esponsabilit sociale, e se, su queste basi, la filosofia dove sse sviluppare una
relazione pi stretta con la storia. Nonostante la sua inclinaz ione conservatrice
, Kant ammir lo spirito rivoluzionario che, nella sua lettura, aveva dato all'ind
ividuo un senso di indipendenza rispetto all'autorit presente e passata. A Kant e
a molti altri filosofi dell'Illuminismo fu subito chiaro che l'autoaffermazione
della ragione ha un impatto storico, perch solo la ragione in grado di indicare
come trasformare il presente in un futuro migliore. Tuttavia, per Kant la ragion
e rimase una facolt mentale di cui ogni individuo dotato sempli cemente perch appa
rtiene alla specie umana e la cui forza interamente indipendent e dalle continge
nze della storia. Una sola generazione dopo Kant, Hegel fece l'ultimo passo nel
ridurre la distanz a tra la storia e la filosofia sostenendo che la ragione essa
stessa storicament e determinata. Secondo Hegel la ragione non una facolt mental
e astratta di cui so no forniti tutti gli esseri umani e di cui ciascuno si pu se
rvire autonomamente d al suo tempo, ma determinata dal modo in cui l'individuo s
i concepisce come memb ro di una comunit. Se la capacit di pensare non solo influe
nzata, ma anche determi nata, dal tempo e dalla cultura, solamente lo studio del
la storia in grado di ri velare chi siamo e il nostro ruolo nel mondo. Secondo l
a prospettiva hegeliana, poich la stessa ragione a dipendere dalla storia, l'asse
rzione aristotelica deve essere ribaltata: a parte la filosofia, nulla pi filosof
ico della storia. La relazione tra storia e filosofia influenza il significato d
elle nozioni di re sponsabilit e di libert. Se la ragione procede indipendentement
e dalla storia, l'a
gente razionale pu esercitare la razionalit come unit autonoma, le cui scelte deriv
ano soltanto dalla sua volont e dai suoi bisogni individuali. Attorno alla met de
l diciannovesimo secolo, la tradizione liberale svilupp questa concezione di auto
n omia individuale con la nozione di libert negativa, secondo la quale io sono li
be ro quando sono lasciato solo, senza interferenze e in grado di scegliere come
vo glio (3). La risposta di Hegel e dei suoi eredi, tra cui Marx e Freud, fu ch
e qu esta concezione illusoria, poich non si domanda per quale motivo gli individ
ui fa cciano le scelte che fanno. Dato che ogni scelta di fatto limitata dall'ac
cesso di ognuno a determinate risorse - economiche, culturali, educative, psicol
ogiche , religiose, tecnologiche - l'idea che le persone possano fare delle scel
te senz a alcuna interferenza esterna, anzich renderle pi libere le lascia in bala
delle fo rze che dominano il loro tempo. Credere che non vi sia nulla di pi filos
ofico della storia significa sostenere ch e la vera libert inizia con la consapev
olezza che le scelte individuali si forman o in continua tensione con le forze c
ircostanti. La libert, in questa accezione, direttamente proporzionale alla capac
it di acquisire controllo su tali forze, men tre nel caso contrario sarebbero que
ste ultime a controllarci. La filosofia, qui ndi, non solo "pu", ma "deve" contri
buire alla discussione pubblica sul significa to dell'11 settembre, un evento ch
e ha avuto un impatto enorme sul nostro modo d i comprendere il mondo e noi stes
si. - "Due modelli di partecipazione pubblica: l'attivismo politico e la critica
soc iale". Nel ventesimo secolo la valutazione della relazione tra la filosofia
e il presen te ha avuto un impatto decisivo sul modo in cui i filosofi hanno co
ncepito e vis suto la loro responsabilit sociale e politica. Vorrei distinguere t
ra due modelli di impegno sociale e politico, pi o meno in linea con l'approccio
liberale e con la discendenza hegeliana: dar loro i nomi di "attivismo politico"
e "critica soc iale". Il filosofo inglese Bertrand Russell e la filosofa Hannah
Arendt, nata in Germania ma in seguito emigrata negli Stati Uniti, li incarnano
rispettivamente . Entrambe queste figure si sono impegnate in politica al punto
da diventare deg li intellettuali pubblici. Tuttavia, a mio avviso, hanno concep
ito i rapporti tr a filosofia e politica da punti di vista diametralmente oppost
i. Mentre Russell consider l'impegno politico come una questione di scelta person
ale, basandosi sul l'assunto che la filosofia si dedica alla ricerca delle verit
eterne, per Arendt la filosofia legata a filo doppio alla storia e possiede quin
di un rilievo polit ico intrinseco. La distinzione tra attivismo e critica socia
le chiarisce il cont esto in cui vanno letti i contributi di Habermas e Derrida
al dibattito sull'11 settembre e sul terrorismo globale (4). Figura monumentale
nel campo della logica, della metafisica e della filosofia de lla matematica, Ru
ssell stato anche uno tra i pi notevoli attivisti politici ad o perare sulla scen
a internazionale del ventesimo secolo. La storia del suo impegn o politico si es
tende dalla prima guerra mondiale sino alle ultime fasi della Gu erra fredda. Pa
cifista convinto, trascorse sei mesi in carcere nel 1918. Durante gli anni Venti
e Trenta scrisse libri che fecero scalpore sulla liberazione ses suale, sull'ob
solescenza dell'istituzione matrimoniale e su modelli educativi pr ogressisti. D
opo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1950, dive nne membro a
ttivo della campagna per il disarmo nucleare. Fu uno dei responsabil i della cre
azione dell'Atlantic Peace Foundation e della Fondazione Bertrand Rus sell per l
a pace, dedicata allo studio del disarmo e alla difesa delle popolazio ni oppres
se. Il Tribunale Russell, cos denominato proprio in suo onore, condann gl i Stati
Uniti per genocidio nella guerra in Vietnam. Russell mor nel 1970 all'et d i novan
tantotto anni. La figura pubblica di Russell fu quella dell'attivista politico p
erch considerava l'impegno sociale come il suo personale contributo a questioni d
i portata e urg enza collettiva. L'attivista politico, secondo la definizione ch
e sto cercando d i delineare, pu scegliere in tutta libert se impegnarsi politicam
ente o no e per q uale causa. Ammettere la possibilit che esista una scelta di qu
esto tipo signific a sottoscrivere la concezione liberale della libert, secondo l
a formula vivi e las
cia vivere: questa concezione accorda al soggetto il potere di agire e deliberare
indipendentemente da vincoli storici e sociali. Una condizione dell'attivismo p
olitico di Russell che la storia riconosca alla f ilosofia la stessa libert negat
iva che la societ riconosce all'individuo. Dal mome nto che l'empirismo l'orienta
mento filosofico che lega la conoscenza all'esperie nza diretta del mondo, esso
appare a Russell in grado di garantire alla filosofi a completa indipendenza dal
le pressioni della storia. L'unica filosofia che offre una giustificazione teoric
a allo spirito della democrazia ["temper of mind"] l' empirismo (5). Ed in parte
cos perch la democrazia e l'empirismo (i quali sono intim amente interconnessi) non
richiedono che i fatti vengano distorti nell'interesse della teoria (6). Prendia
mo ad esempio la controversia tra il sistema geocentric o di Tolomeo e il sistem
a eliocentrico di Copernico. L'osservazione empirica ci dice che Tolomeo aveva t
orto e che Copernico aveva ragione. Per Russell la respo nsabilit della filosofia
, nel modo in cui viene portata avanti nelle universit del mondo occidentale democ
ratico, , almeno nelle intenzioni, parte integrante della ricerca della conoscenz
a; essa punta allo stesso tipo di distacco perseguito dal la scienza e non gli r
ichiesto, da alcuna autorit, di giungere a conclusioni util i al governo (7). Per
un attivista politico come Russell, la specificit del contributo di un filoso fo
consiste nel condividere con il pubblico i suoi strumenti analitici, aiutando lo
a pensare problemi complessi con lucidit, a separare gli argomenti validi da q u
elli non validi, a schierarsi con i primi rifiutando i secondi. Noam Chomsky il
filosofo che pi di ogni altro ha proseguito questa tradizione russelliana dell'a
ttivismo politico, come risulta chiaro dal suo ultimo pamphlet sull'11 settembre
(8). Per contrasto, la vita e l'impegno politico di Hannah Arendt forniscono un
a dive rsa definizione del filosofo come figura pubblica. Arendt, una tra i magg
iori pe nsatori politici del ventesimo secolo, fece esperienza diretta della tra
gedia na zista in Germania, da cui ripar negli Stati Uniti per non tornare mai pi
a risiede rvi. Figlia unica di una famiglia di ebrei laici, all'et di ventitr anni
aveva gi p ubblicato la tesi di dottorato. Nel 1933, in seguito all'incendio del
Reichstag di Berlino, fu arrestata assieme alla madre e interrogata in carcere
dalla poliz ia per pi di una settimana. Rilasciata, scapp attraverso la Cecoslovac
chia e la Sv izzera per arrivare a Parigi dove trascorse sette anni lavorando pe
r conto di or ganizzazioni ebraiche che coordinavano l'immigrazione di bambini i
n Palestina. N el 1940 si spos per la seconda volta con un tedesco di sinistra, n
on ebreo, da po co rilasciato dopo due mesi di detenzione. Prima della fine dell
'anno Arendt fu internata, di nuovo con la madre, in un campo di concentramento
per nemici strani eri dal quale scapp, si riun al marito e, raggiunta Lisbona, si im
barc su una nave d iretta a New York. Una volta negli Stati Uniti, fu una voce cr
itica nei confront i del movimento sionista, ritenendolo pi interessato alla Pale
stina che all'Europ a. Una delle cause difesa da Arendt durante i suoi primi ann
i americani fu la fo rmazione di un esercito ebraico che combattesse a fianco de
gli Alleati. Dal 1933 fino al 1951, quando finalmente ottenne la cittadinanza am
ericana, parl di s come di una persona senza Stato. Mor all'et di sessantanove anni, d
opo aver insegnato in diverse universit statunitensi e aver scritto per giornali
e riviste in qualit di intellettuale pubblico. Se l'impegno principale della filo
sofia di Russell la ricerca della conoscenza i ndipendentemente da ogni relazion
e storica, secondo Arendt la prima responsabili t della filosofia verso le leggi
e le istituzioni che, per definizione, si evolvo no con il passare del tempo; es
se non indicano soltanto il confine tra gli inter essi pubblici e privati, ma de
scrivono anche i rapporti tra cittadini. Nei suoi due libri pi importanti, "La co
ndizione umana" (1958) e "Le origini del totalitar ismo" (1951), Arendt sottolin
ea la necessit che la filosofia riconosca la debolez za del diritto e delle istit
uzioni che vede ancora pi accentuata dall'inizio dell a modernit, intesa come para
digma storico e culturale. Questa la ragione per cui Arendt interpreta il suo ru
olo di filosofo come critico della modernit: ovvero, u n attento osservatore dell
e sfide poste al pensiero dalla storia europea moderna . Tra queste il concetto
di totalitarismo figura come la sfida pi importante. La tesi di Arendt che mentre
la tirannia favorisce l'assenza di leggi, i due reg
imi totalitari della prima met del ventesimo secolo, il nazismo e lo stalinismo,
non sono stati privi di leggi, ma hanno imposto la legge come un dato inesorabil
e: ecco perch le leggi sulla superiorit della razza sono state concepite in chiav
e biologica come leggi naturali e il principio economico della lotta di classe s
t ato presentato come una necessit storica. Secondo l'interpretazione di Arendt i
l totalitarismo costituisce un pericolo politico specificamente "moderno", che u
ni sce una coercizione inedita e serializzata a un'ideologia secolare totalizzan
te (9). Il terrore totale praticato nei campi di sterminio e nei gulag non tanto i
l m ezzo quanto l'essenza del governo totalitario (10). L'essenza del terrore non
cons iste nell'eliminazione in serie di tutti coloro i quali vengono percepiti c
ome d iversi, ma nello sradicamento della differenza "nelle" persone, nell'annie
ntamen to della loro individualit e capacit di azione autonoma. Il monopolio del p
otere r icercato dai regimi totalitari pu essere ottenuto e salvaguardato soltanto
in un m ondo di riflessi condizionati, di marionette senza la minima traccia di
spontane it. Proprio perch le risorse dell'uomo sono cos grandi, egli pu essere pie
namente do minato solo quando diventa un esemplare della specie animale 'uomo' (1
1). La reificazione che Arendt presenta come l'essenza del totalitarismo non si
limi ta alle vittime degli omicidi di massa compiuti nei lager o nei gulag, ma s
i app lica anche agli stessi esecutori. Nel 1961 la rivista New Yorker le chiese d
i segu ire il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, catturato in Argenti
na dai servizi segreti israeliani e processato a Gerusalemme, dove alla fine ven
ne gius tiziato. La corrispondenza di Arendt da Israele ruppe il suo lungo e vol
ontario silenzio riguardo alla questione ebraica, iniziato con la creazione dello
Stato di Israele e con il fallimento degli sforzi di Judah Magne che miravano al
la creaz ione di una federazione democratica e binazionale in Palestina. Il repo
rtage di Arendt, successivamente pubblicato in forma di libro (12), incentrato s
ulla desc rizione di Eichmann come un individuo ottuso, passivamente adagiato su
l suo temp o e incapace di esaminare criticamente le sue azioni criminali. Arend
t si soffer m sul modo di parlare di Eichmann, pieno di clich, sulla sua apparente
mancanza di odio nei confronti degli ebrei e sul suo orgoglio di essere un citt
adino ligio alla legge. Nella sua sconsiderata ordinariet, Eichmann le apparve co
me la vera e propria incarnazione della banalit del male, un'espressione divenuta c
elebre che A rendt coni sui banchi del tribunale di Gerusalemme (13). Senza dubbi
o la ferma convinzione di Arendt che la filosofia debba prendersi cur a e proteg
g

Potrebbero piacerti anche