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Francesco Angioni

Sulla mito-storia della Massoneria1


La continuità storica tra corporazioni romane, medioevali e logge massoniche,
fantasia o realtà?

L’immaginario collettivo massonico si fonda su due avvincenti illustrazioni dell’origine


delle logge massoniche: la prima consiste in una sorta di millenarismo che assegna
una frattura o iato tra cultura religiosa e cultura laica, la cosiddetta “secolarizzazione”
che spiegherebbe la nascita delle logge massoniche come polluzione della
secolarizzazione della società europea insulare e continentale; la seconda è che le
stesse logge siano il prodotto conseguente alle Universitas2 (corporazioni o gilde)
medievali che a loro volta sarebbero una diretta continuazione storica dei Collegia
(corporazioni di mestiere) romani. Una tesi che le attuali ricerche storiografiche ha
abbandonato per rilevare una netta discontinuità tra le corporazioni romane, quelle
medioevali e le logge della Massoneria “moderna”.
Ci sono due livelli d’interpretazione della somiglianza tra i tre distinti fenomeni delle
corporazioni romane, quelle medioevali e le logge massoniche. Un livello
interpretativo sarebbe che tutti e tre hanno le comuni caratteristiche di religiosità e
occultismo, dunque di spiritualismo sia in senso general-generico sia esoterico-
iniziatico, l’altro livello interpretativo che giustificherebbe il primo è una sorta di
continuità storica tra i tre fenomeni, come se fossero intrecciati da lineari relazioni di
causa-effetto. L’attribuzione del generico termine di spiritualità o spiritualismo non
consente una disamina delle dinamiche di tale caratteristica e pertanto non può qui
essere presa in esame. Diverso è il caso dei caratteri mistico-religiosi e magico-
esoterici attribuiti a corporazioni e logge. E di questo si parlerà in seguito.
A questa fascia di interpretazioni si aggiunge una tesi di più ampia dimensione che il
cosiddetto fenomeno socioculturale della “secolarizzazione”. C’è subito da dire che
tale denominazione ha suscitato e suscita ancora molte discussioni in ambito
storicistico, assegnando difformi definizioni e metodologie d’analisi. La tesi da parte
di certi Autori in ambito massonico è che l’affermarsi e svilupparsi delle logge
moderne dal XVII secolo in poi sarebbe l’effetto di un lento processo di
secolarizzazione che differenzierebbe il Medioevo inteso come un’epoca d’alta
spiritualità dal periodo post-rinascimentale caratterizzato da sempre più elevati livelli
1 Il presente testo è pubblicato in Critica Massonica n. 0 – 2017 pp. 10-46.
2 La parola universitas aveva nel Medioevo un duplice significato, quello inerente le corporazioni e in Italia
quello relativo alla città o comune, così denominate da Carlo I d’Angiò (universi cives unione dei cittadini). Nel
diritto romano si distinguevano tre tipologie di Universitates: rerum o facti, personarum, iuris. Le
corporazioni erano universites personarum, persona giuridica che accomunava persone
dello stesso mestiere. Vivace è la discussione sulla distinzione tra le parole universitas e
corpora, in particolare al senso astratto di “tutto” (universitas) in epoca romana, come in
Ciceroni, Plinio il Vecchio, Apuleio e Tertulliano. Nel III secolo è il giurista Gaio che per primo
con la parola universtitas accomuna societas, Collegium e simili riferendosi a un insieme di
uomini, ma come enti pubblici distinti dai singoli privati. Si veda il trattato sulle corporazioni
romane di Andreas Groten Corpus und universitas, Römisches Körperschafts- und
Gesellschaftsrecht: zwischen griechischer Philosophie und römischer Politik, Mohr Siebeck, 2015, nel quale
si rileva la difficoltà di conoscere con precisione le attività delle corporazioni romane per la carenza
documentaria.
di secolarizzazione. La complessa problematica della secolarizzazione, volendo
adottare questa nominalizzazione, esposta in questi termini semplicistici crea
perplessità, infatti si ripropone una vetusta logica storiografica per cui eventi
successivi sono legati ai precedenti con modalità lineare e causalistica. Questa
logica fu alla base di certe analisi d’importanti esponenti dell’Illuminismo che
riprendevano le ancora più antiche modalità d’analisi storiografica; tuttavia già allora
furono sottoposte a serrata critica da coevi studiosi che negavano la linearità
causalistica dei fenomeni storici evidenziandone un diverso procedere. Ciò che
maggiormente colpisce è che accettando la tesi delle logge massoniche come
risultato della secolarizzazione si verrebbero a incrinare i presupposti legami di
spiritualità tra le corporazioni di diverse epoche e le logge. A queste problematiche il
presente saggio cerca di dare delle risposte critiche.
Innanzitutto si deve osservare che le tesi sopra accennate si basano sull’idea della
continuità storico-culturale dei caratteri iniziatici ed esoterici dei Collegia romani,
delle Universitates medioevali e delle logge massoniche moderne. Con questa idea
si assegna un crisma esclusivo, esoterico-iniziatico, alle logge per poi assegnare lo
stesso crisma ad altri fenomeni storico-sociali precedenti, in altre parole si tratta di
un’evidente inferenza di un accadimento presente su accadimenti precedenti e cioè
si capovolgono le relazioni causa-effetto. Appare evidente l’adesione acritica di tanti
“massonologi” al paradossale cum hoc vel post hoc, ergo propter hoc [con
questo o dopo di questo, dunque a causa di questo].

Mito-storia della massoneria


In ambito massonico la mito-storia ha un particolare fascino e tra le tante mitologie
sulle origini della massoneria moderna la più celebrata è quella della sua diretta
derivazione dalle corporazioni medioevali. La tesi è lineare: si afferma che esistendo
in epoca romana le corporazioni di mestiere a queste seguirono in continuità storica
quelle medievali e da queste nel XVII e XVIII secolo le logge massoniche. L’ipotesi
segue una logica di “causazione necessaria” appunto sul principio lineare di causa-
effetto (le corporazioni romane hanno causato alla fine le logge massoniche, nello
stesso senso che le logge massoniche sono la necessaria conseguenza delle
corporazioni romane); un intendere la storia come un continuum, uno svolgimento
senza interruzioni dei processi socioculturali ove ogni evento è effetto dei precedenti
e causa dei successivi, senza rotture e ritorni, legando nel caso in esame Collegia a
Universitates e a Logge. Ovviamente nella logica deterministica del cum hoc vel
post hoc, ergo propter hoc, un fatto che è comparso assieme a un altro o
successivo deve essere necessariamente legato causalmente al precedente; tale
costrutto logico rigidamente razionalista prende in esame solo i fattori scelti e non
tutti quelli che possono contribuire a escludere il legame causale.
La massoneria moderna nei secoli XIX e XX ha modificato il carattere esoterico in
occultista privilegiando gli aspetti misterici, segreti, magici e iniziatici degli esoterismi
e assegnando ad essi un carattere esclusivamente spiritualista a differenza degli
esoterismi antichi che erano oltre la valenza spiritualista o per meglio dire teologale
anche un modo di accedere ai misteri della natura e del cosmo; una cifra dichiarativa
che natura e cosmo sono regolate da leggi metafisiche ma anche fisiche, per cui si
ebbero esoterismi empirici e spiritualisti, dove in questi secondi la ricerca empirica
era la base di una ricerca metafisica e spirituale. In questo quadro speculativo della
massoneria neomoderna si è sviluppata la tesi di assegnare alle corporazioni romane
e medievali degli intimi scopi e principi sacrali e religiosi di carattere iniziatico ed
esoterico, cosa che giustificherebbe gli aspetti pure iniziatici ed esoterici delle logge
massoniche. Dalla precedente logica della causazione di eventi si adotta l’antistorica
logica del post hoc, ergo ante hoc, ciò che viene dopo giustifica ciò che era prima,
eliminando la linea temporale per cui paradossalmente il presente causa il passato.
Senza entrare nel merito di una puntuale critica di questo pseudo-metodo
storiografico, la tesi della continuità tra le associazioni di mestiere romane, quelle
medioevali e le logge massoniche necessita di un maggior approfondimento delle
caratteristiche dei primi due fenomeni che giustificherebbero il terzo, facendo
attenzione alla semantica utilizzata nelle diverse epoche per i tre fenomeni. Il modo
di procedere, tipico di una certa mito-storiografia massonica, è una metodologia
antica e usata all’inizio del 1700 da James Anderson quando scrisse la parte “storica”
delle Constitutions of Free Masons del 1723, poi ampliata nell’edizione del 1738. Già
alla fine del XVIII secolo il giovane Herder, storicista e massone, dimostrò
l’infondatezza del metodo storiografico causalistico e dell’idea della storia come
progresso lineare di eventi.
La questione è che i fautori della continuità storica e operativa tra le corporazioni
romane, quelle medioevali e le logge massoniche del Seicento e Settecento non
possono dimostrarla con documenti accertati, giacché essi non esistono, ma solo
fideisticamente dichiararla.

La secolarizzazione
Sempre nella mito-storia massonica appare un terzo procedere, più corretto
metodologicamente ma che tuttora in ambito storiografico suscita controversie per
certe indeterminatezze delle definizioni utilizzate3. Qualcuno avanza la tesi che le
logge massoniche inglesi nacquero come prodotto conseguente alla
“secolarizzazione” della cultura europea, distinguendosi dalle corporazioni muratorie
che invece erano intima parte di una cultura religiosa, non secolarizzata. La
secolarizzazione, in estrema sintesi, è un processo nel quale una società o cultura
perde i suoi connotati di religiosità o confessionali con la conseguenza della
separazione delle istituzioni sociali e statali da quelle religiose influenzando i processi
culturali di popoli e nazioni. In altre parole, un lento svolgimento di eventi per cui a
una religiosità all’inizio pervadente le istituzioni civili e la cultura di una società si
sovrappongono forme di laicità che separano il mondo religioso da quello profano.
Un tale processo è oggetto di molte discussioni tra gli storici che ancora non hanno
chiarito definitivamente il concetto di “secolarizzazione”, ma anche per il fatto che si
è assegnata la definizione di secolarizzazione a un insieme di eventi di grande
complessità che gli storici da soli, senza l’apporto di altre discipline umanistiche e
sociali, difficilmente riescono a risolvere se non in singoli aspetti. Il termine
secolarizzazione dunque sembra più il titolo di un modello interpretativo di particolari
fenomeni piuttosto che una teoria capace di spiegare lo svolgersi di un processo
storico-culturale durato più di mille anni per l’intero mondo occidentale4.

3 G. Marramao in Cielo e terra. Genealogia della secolarizzazione, Laterza, 1994, ricostruisce in modo
esaustivo la nozione di secolarizzazione e le dispute attorno a tale nozione.
4 Queste ipotesi parastoriche non tengono conto del fatto che le associazioni di mestiere non furono

un’esclusiva del mondo occidentale, esistendo forme simili anche in paesi mediorientali, si veda come
A ben vedere il termine “secolarizzazione” può essere fuorviante o almeno è da usare
quando circoscritto alla condizione in cui la nazione e lo Stato passano dalla
condizione “confessionale” a quella “aconfessionale”. La questione è più complessa,
nel senso che i processi strutturali della società non abbandonano la “religiosità” ma
è la “sacralità” che si ritira dal suo onnicomprensivo valore, valore che dava
significato a ogni forma di organizzazione sociale. Invece che di secolarizzazione si
dovrebbe parlare di crisi del sistema di religiosità totalizzante, quello che Hans
Blumenberg definisce «assolutismo teologico»5, sistema che socialmente permeò i
secoli dal Medioevo alla Riforma e che si concluse formalmente con la Rivoluzione
Francese, per cui si potrebbe dire che il XVIII e specialmente il XIX secolo furono
piuttosto i secoli della “grande secolarizzazione”. In conclusione si ripresenta la
logica del post hoc, ergo ante hoc per cui una secolarizzazione iniziata in un certo
secolo viene accreditata ai secoli precedenti.

Secolarizzazione e laicizzazione
I processi di secolarizzazione infatti non significano l’abdicazione delle forme
istituzionali religiose (chiese, culti, precetti e dogmi, fedi), queste rimangono ben
presenti combattendo con ogni mezzo ogni manifestazione socioculturale contraria.
Sull’altra parte della barricata ci sono i processi produttivi che è difficile ricondurre a
schemi di secolarizzazione, essendo tali per loro natura. La logica della massoneria
moderna come conseguenza (sic) della secolarizzazione parte dal preconcetto che i
processi produttivi medioevali in era di assolutismo teologico fossero intrisi di
spiritualismo senza considerare che se un’istituzione religiosa può secolarizzarsi è
difficile il processo inverso, che un’istituzione secolare si “spiritualizzi” perdendo i
suoi connotati secolari6. Questa considerazione sulla spiritualizzazione delle
corporazioni sia romane che medievali avanzata da una certa pubblicistica
massonica probabilmente deriva da una superficiale lettura di specifici aspetti
culturali del Medioevo, quando l’unico ceto acculturato, i clerici con in testa Tommaso
d’Aquino, riprendevano il “disprezzo per la concretezza” di cifra platonica 7 legando
economia e moralità8. A rigore, il carattere di religiosità e di fratellanza di mestiere

indicazioni non esaustive: Randi Deguilhem e Suraiya Faroqhi Crafts and Craftsmen of the Middle East:
Fashioning the Individual in the Muslim Mediterranean, I.B.Tauris, 2005. Le corporazioni di mestiere in certi
paesi sono ancora presenti per antica tradizione, si veda Thomas Weyrauch Craftsmen and Their Associations
in Asia, Africa and Europe, VVB Laufersweiler, 2001.
5 Si veda Blumenberg, Hans, La legittimità dell'età moderna, Marietti, Genova, 1992, seconda parte:

“Assolutismo teologico e autoaffermazione umana”.


6 Sono esistiti dei rari casi nel Nord Europa di gilde commerciali che per varie ragioni persero il loro carattere

economico mutandosi in confraternite dedite ad attività solidaristiche, ma furono casi singoli che non
giustificano una generalizzazione.
7 Per un’analisi del pensiero di Tommaso d’Aquino sulle problematiche economiche si veda S. Sangalli Il

lessico settoriale delle realtà e dei fatti economici nell'opera omnia di s. Tommaso d'Aquino: esame filosofico
del suo insieme, Gregorian Biblical BookShop, 2005.
8 Tale “disprezzo” derivava dalla valutazione, posteriore all’epoca omerica e di Temistocle, che si dava agli

artigiani (technites o demiurgoi) considerati un ceto inferiore appellandoli con termini abbastanza vili come
bausoi, edraioi, kathemenoi per l’attività sedentaria e penosa o per la condizione di dipendenza mercenaria
con il termine dispregiativo di chrematistai. Questo atteggiamento culturale fu teorizzato da Aristotele [Pol. III,
3, 4 e VI, 4, 5] negando agli artigiani il rango di cittadini, come Sparta che negava ai cittadini ogni attività
manuale riservandola agli schiavi, a differenza dell’Atene di Pericle dove gli artigiani ricchi potevano assurgere
a importanti cariche pubbliche. Nell’Egitto tolemaico le attività artigianali erano sotto stretto controllo statale.
In epoca romana gli artigiani chiamati dalle diverse fonti mercenarii, opifices, operarii, artificies si riunivano nei
citati Collegia controllati dallo stato, specialmente sotto Diocleziano. Maggiore potere ed autonomia dallo Stato
più marcato di quello economico9 apparteneva piuttosto alle corporazioni greche
d’era classica10.
In posizione più mediata Max Weber colloca i processi di secolarizzazione del mondo
occidentale dentro un’ineluttabile totalizzante «razionalizzazione», un «destino
dell’Occidente» predestinato e di antiche radici, in un ampio percorso storico-
religioso di «disincantamento del mondo» che respinge «tutti i metodi magico-sacrali
di ricerca della salvezza»11. La “razionalizzazione” werberiana potrebbe
corrispondere al processo di organizzazione logico-razionale della società
istituzionale e i “metodi magico-sacrali” alla sacralità totalizzante delle società
primitive, mentre il “disincantamento” è appunto l’abbandono del senso del sacro
verso il senso religioso istituzionalizzato o, volendo, la perdita dell’incanto aristotelico
davanti al cosmo con la ricerca delle leggi che lo regolamentano. Più concretamente
il ragionamento di Weber è da intendere in un processo di laicizzazione piuttosto che
di secolarizzazione. Ha dunque un certo rilievo la distinzione tra “secolarizzazione” e
“laicizzazione”; il primo termine come già detto è relativo a quei processi
socioculturali nei quali la perdita del senso del sacro non implica necessariamente
l’eliminazione delle forme religiose che rimangono collegate a quelle più
specificatamente sociali sincreticamente assegnando al superiore potere civile una
volontà divina, mentre il secondo termine definisce il distacco del senso del sacro e
delle forme religiose da quelle istituzionali della società, quando cioè le istituzioni
sociali rimuovono dai propri caratteri costituenti qualunque riferimento o aspetto
religioso o magico-sacrale. Più precisamente, la società laicizza le istituzioni e,
mutando significato alla parola sacro, assegna alle istituzioni un valore sacrale privo
di ogni senso e significato metafisico, una sacralità di solo significato civile.
In riferimento all’associazionismo di mestiere se proprio si vuole parlare di
secolarizzazione ciò ha un qualche senso per le gilde di commercianti e prima per le
realtà associative nelle società nordiche con antiche usanze anche precristiane,
associazionismi di fratellanza che avevano caratteri più marcatamente spiritualisti e
religiosi. Riguardo alle corporazioni di mestiere invece le formulazioni ritualistiche,
comuni a ogni manifestazione pubblica sia in epoca romana che medievale, non
assumevano un carattere tale da individuarle come associazioni religiose o
parareligiose e quindi è difficile parlare di secolarizzazione essendo le corporazioni
dal loro sorgere di sostanziale natura secolare e senza funzioni spiritualiste.
Concretamente, le corporazioni di mestiere fin dai tempi dei greci e latini non avevano
abbandonato il senso religioso ma avevano perso il senso sacrale del proprio
operare; la sacralità si era ridotta a forme cerimoniali, non era quindi il sacro che le
definiva come opera di valore sovra-umano. Questa perdita avvenne molto prima
nella storia umana, si perse dal momento in cui i processi di socializzazione e di
organizzazione sociale (il senso dell’appartenenza a una comunità e alle sue forme
organizzative) si fecero più complessi, si “civilizzarono” dalle comunità tribali a quelle
regionali e nazionali. Nelle comunità tribali o di clan, quelle non ancora organizzate

si ebbero sotto Giustiniano.


9 Cfr. Luciana Aigner Foresti Antichità classica, Jaca Book, 1993, pp. 196-197.
10 Esiste una documentazione posteriore al I secolo a.C. sull’esistenza di corporazioni greche di attori a Napoli,

Siracusa e Reggio. Cfr. Nicola Savarese Teatri romani: Gli spettacoli nell’antica Roma, Cue Press, 2015, p.
71.
11 Si veda Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni 1982 e Economia e società, Comunità,

1980.
in strutture istituzionali geopolitiche più allargate, il sociale s’identificava con il
religioso nello schema del “religioso-sociale” e l’aspettativa umana configurava in
senso sacrale ogni attività, nel senso che i fenomeni religiosi o di fede assieme agli
aspetti sociali, individuali e di gruppo, si fondevano in un “assoluto sacrale” e
conseguentemente ogni fenomeno sociale era caratterizzato da cerimonialità e
ritualità che gli davano significato sacrale; l’assoluto sacrale in quelle ere
s’identificava con un “assoluto spirituale”. Quanto più le comunità assestandosi in
forme stanziali si ampliavano e si organizzavano istituzionalmente tanto più la
religione si ordinava in strutture e il sistema sociale si desacralizzava; si passava al
“sociale-religioso” dove le aspettative elidendo il sacro si trasferivano sul piano del
sociale mentre il religioso si conservava sotto le forme della pratica istituzionalizzata,
creando le gerarchie religiose e i diversi culti. Dunque, schematicamente il processo
graduale di “desacralizzazione” si sviluppò in una condizione in cui sociale e religioso
assieme costituivano un “assoluto teologico” ove l’intera società e le sue istituzioni
erano pervase da questa religiosità assoluta per cui il teologale dettava anche le
regole sociali e condizionava quelle istituzionali che sviluppavano delle proprie
ritualità e cerimonialità ormai prive di sacralità anche se con formale religiosità; ciò
però non può essere definito come “assoluto spirituale”, in quanto le strutture sociali
di tipo commerciale, militare e per certi versi di potere non si connotano per il loro
valore spirituale e non producono di per sé un senso di spiritualità.
Si giunse infine all’inizio del XIX secolo alla fase della separazione tra il sociale
istituzionalizzato e la religiosità istituzionalizzata, il cosiddetto ”assoluto laico” nel
quale il civile e il religioso si separano con possibili reciproci antagonismi. Il senso
religioso nei termini di “assoluto teologico” pervase la storia europea dal Medioevo
fino alla fine del XVIII secolo quando si avviò la rottura del patto tra Stato e Chiesa e
si sperimentarono le prime forme di Stato aconfessionale, laico. Causa e
conseguenza a livello culturale fu la messa in discussione della morale come solo e
universale sistema di comportamento religioso; un processo che si evidenziò nella
seconda metà del XVII secolo e in quello successivo nei paesi europei con un
dilagante fermento innovativo sul rapporto tra persona, Stato e religione, un processo
che Hegel formalizzò con la distinzione tra morale ed etica.
Tornando alla tesi delle logge massoniche come prodotto della secolarizzazione del
mondo occidentale l’affermazione è troppo generica per avere un valore esplicativo,
inoltre si danno per scontate troppe cose che invece dovrebbero essere
singolarmente e criticamente valutate. Accettando acriticamente questa tesi la
conseguenza dell’affermazione sarebbe che le logge di fine XVII e inizio XVIII secolo
fossero forme di secolarizzazione di un precedente fenomeno, quello delle
corporazioni medioevali che a loro volta sarebbero state espressioni di una realtà
socioeconomica caratterizzata dal religioso-spiritualista, non secolarizzata né
laicizzata. Per logica conseguenza alle nascenti logge massoniche quindi
mancherebbe il senso spirituale che avrebbe caratterizzato le corporazioni romane
e medievali. In altri termini, secondo questa tesi il collegamento con il mondo del
sacro e con il senso di spiritualità verrebbe a mancare e la massoneria sarebbe un
riflesso della desacralizzazione e secolarizzazione della società, come a dire che le
logge sono a pieno titolo espressione della cultura dominante desacralizzata e dei
cambiamenti secolarizzati che si svolgono nella società.
Dal punto di vista formale questa idea ha una qualche sua suggestione e attendibilità.
C’è da considerare che le logge seicentesche seppure secretate e ben separate dalla
società civile erano comunque costituite da uomini ben inseriti nella realtà
socioculturale dell’epoca e che di questo processo di secolarizzazione non erano
immuni. La questione però non viene posta dai cultori dell’idea della secolarizzazione
massonica in questi termini, essi ne fanno un processo durato diversi secoli,
processo che però gli storici ancora non hanno risolto per le problematiche sopra
accennate e la loro idea è che ci sia un processo causalistico-lineare nella storia
delle società occidentali. L’idea probabilmente viene da una acritica assunzione della
filosofia illuministica e anche di tradizione precedente specialmente della chiesa
cristiana che poneva effettivamente la storia umana come processo progressivo
lineare-causalistico, una visione storicistica che Herder e molti altri contestarono.
Un’analisi più attenta e meno pregiudiziale mostra che gli uomini che costituirono le
prime logge alla fine del 17° e inizio 18° secolo erano uomini che perseguivano
piuttosto gli ideali di una cultura “laicizzata” che si stava sviluppando nel loro tempo
e che vollero costituire una nuova realtà più moderna con regole assolutamente
innovative i cui richiami a dei fenomeni culturali e a una realtà sociale di altri tempi
(corporazioni medioevali) avevano solo valore ideale e allegorico. Vediamo allora
che cosa erano nella realtà storica le tre istituzioni preposte alla costruzione di edifici
civili e religiosi.

Collegia romani
In una certa pubblicistica massonica si addebitano alle prime forme romane di
cooperazione del lavoro manifestazioni di esoterismo e di ritualismo iniziatico che
proseguirebbero nella storia nelle corporazioni e gilde medioevali, pure queste
permeate di esoterismo e con pratiche iniziatiche, fino alla massoneria moderna,
decretando una sorta di continuità spiritualistico-misterologica. Come detto le
associazioni di mestiere romane non erano chiamate corporazioni ma Collegia o
anche corpora opificum quando ricevevano un riconoscimento giuridico12. Ogni
organizzazione comunitaria era un Collegium e infatti pure quelle religiose dei
pontefici, degli àuguri, dei feziali, dei luperci, degli arvali, dei salî, delle vestali erano
Collegia13. Questi Collegia religiosi avevano stretti legami con la vita civile e politica,

12 Corpora deriva dalla denominazione giuridica di corpus habere, nel senso di associazione giuridicamente e
legalmente riconosciuta dallo Stato. Per cui le persone si definivano corporati, legati da un contratto e relative
obbligazioni, da cui la parola corporazione. Le attività lavorative fuori dalle corporazioni erano giuridicamente
definite illicita e pertanto certe associazioni non legitima erano talora soppresse.
13 I pontifices, cinque in origine, erano i conoscitori delle cose sacre con l’autorità di consigliare in materia di

religione. In seguito la stretta relazione tra cose religiose e civili diede al Pontifex un potere quasi assoluto in
materia giurisprudenziale, potere superiore agli altri Collegia sacerdotali. Di questo Collegium facevano parte
solo i patrizi, ma dopo il 300 a.C. anche i plebei poterono diventare pontifex, per cui il numero passò a nove
membri. Per lungo tempo i membri erano cooptati, solo nel 104 a.C. la legge Domizia decretò la nomina per
elezione pubblica. Tito Livio nel suo Ab Urbe condita libri, X, 6 cita gli àuguri (augures) come sacerdoti
provenienti dalle antiche tribù dei Ramnes, Titienses, Luceres, i soli proponibili alla funzione religiosa di
interpretare la volontà degli dei. Sempre Livio nel libro primo annota che i feziali (fetiales) avevano la funzione
religioso-diplomatica di dichiarare guerra a un altro popolo per bocca e atti del capo, il pater patratus Populi
Romani, l’unico a poter stipulare trattati per conto del popolo romano con un apposito cerimoniale e simbologie
di valenza sacrale più che religiosa. Essi erano l'immagine dell'Urbe dentro e fuori di essa. Gli arvali (arvales)
costituivano un antico collegio sacerdotale i cui membri erano scelti tra le famiglie patrizie. Con l'inizio
dell'Impero Augusto ne fece parte d'autorità riorganizzando il Collegium. Fu dissolto nel IV secolo con l'avvento
del cristianesimo. Altro collegio sacerdotale era quello del salî, (salii) distinta tra salii palatini e salii quirinales,
tutti scelti tra le famiglie patrizie. La loro funzione era quella di officiare il passaggio da tempo militare a tempo
civile. Cerimonie che terminavano con opulenti banchetti citate da Cicerone e Orazio Flacco. Le vestali
prefigurando le prime forme del citato assoluto teologico. Tuttavia è da osservare
che la scelta dei membri era fatta con modalità non iniziatiche ma di cerimonialità
religiosa e civile assieme. Di ben altro aspetto erano le religioni misterico-iniziatiche
che si coltivavano fuori dalle cerimonialità religioso-civili come quelli eleusini,
dionisiaci, orfici, sabazi e cabirici e in epoca più avanzata quelli mitraici e attisici e
altri di derivazione egizia e persiana14. Queste religioni proprio per il loro carattere
iniziatico non potevano essere professate in condizioni sociali ed economiche,
politiche e culturali aperte ai profani15 e dunque neppure nelle corporazioni. Ciò non
toglie che forme di tradizione religiosa antica fossero presenti nelle classi sociali
meno acculturate, ma esse erano accolte più come forme di vita associativa che
riservata e che l’espandersi delle conquiste romane portassero culti esotici che
suscitavano emozioni e curiosità specialmente nella fase di decadenza dell’impero,
stabilendo un netto confine tra la pietà popolare e le classi più acculturate16, culti che
nel popolo assumevano spesso forme orgiastico-entusiaste come nei culti dai forti
inquinamenti orientali di Dioniso e di Cibele, che però in ristretti circoli avevano rituali
iniziatico-misterici17. Ugualmente è da rilevare che i culti religiosi, anche misterici,
presso il popolo erano semplificati e resi accessibili a differenza delle forme più
iniziatiche, riservate a pochi18.
Le informazioni sui Collegia e Corpora (collegi e associazioni di mestiere) romani
sono rare in epoca repubblicana e più numerose in quella imperiale; costituite per lo
più da iscrizioni (se ne conoscono complessivamente 196) e da alcuni riferimenti di
Livio, Tacito19, Cicerone, Plinio e altri minori e successivamente in epoca tardo-
imperiale dai molti giuristi che trattavano di problematiche conflittuali tra Stato e
Collegia o della definizione delle loro regolamentazioni interne. Queste notizie
trattano quasi sempre dei rapporti tra i Collegia e lo Stato, specialmente il fabrorum
che era il più rappresentativo raccogliendo molte diverse attività manifatturiere, e

(vestales) erano originariamente quattro e poi sei, sorteggiate tra le bambine sempre di famiglia patrizia. La
cerimonia d'investitura era officiata dal Pontifex Maximus. Esse, liberate dalla patria potestà, avevano speciali
privilegi civili e religiosi. Erano vincolate alla verginità. Il Collegium delle vestali fu abolito dal cristiano Teodosio
I nel 391.
14 Le principali religioni misteriche romane a carattere iniziatico erano la religione eleusina derivante dai culti

di Demetra e Persefone, quelli orfici con i culti di Dioniso ed Orfeo, quello frigio di Attis e quello importato dai
Cabiri della Samotracia. Sono da citare anche i culti della Grande Madre Cibele, quelli del persiano Mitra e di
derivazione egizia di Serapide, Iside e Osiride. Per un quadro generale delle religioni presenti nella Roma
antica si veda Jacqueline Champeaux La religione dei romani, Mulino 2002.
Mulino, 2002
15 Cfr. Jean Bayet La religione romana: storia, politica e psicologica, Ed. scient. Einaudi, 1959, p. 203.
16 Cfr. Arnaldo Momigliano (a cura di) Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico,

Volume 5,Parte 1, Ed. di Storia e Letteratura, 1975, p. 19. L’Autore mette in discussione, stante la assoluta
scarsità di documenti, che gli stessi culti di Iside, Cibele o Serapide fossero culti esoterici e se esistessero dei
loro caratteri iniziatici.
17 Cfr. Giulia Sfameni Gasparro Interpretazioni gnostiche e misteriosofiche del mito di Attis, in Studies in

Gnosticism and Hellenistic Religions: Presented to Gilles Quispel on the Occasion of His 65th Birthday,
Education and Society in the Middle Ages and RenaissanceVolume 91 di Études préliminaires aux religions
orientales dans l'Empire romain, a cura di Raymond van den Broeck, Maarten Jozef Vermaseren, Brill Archive,
1981, pp. 376-377. L’Autrice espone un’interessante analisi dell’influenza delle sovrainterpretazioni dei testi
antichi per opera di commentatori e studiosi successivi e di altre religioni, specialmente cristiani, e anche sulla
difficoltà, alla luce dell’attuale storiografia ed ermeneutica (ibidem p. 378) di stabilire quanto i caratteri esoterici
e iniziatici fossero prevalenti rispetto ad altri e di come sia difficile oggi stabilire una precisa definizione dei
termini “misterico” e “mistico” se non in modalità formale (ibidem n. 3. p. 377).
18 Si veda Antonio Virgili Culti misterici ed orientali a Pompei, Gangemi, 2008, Introduzione.
19 Livio e Tacito definiscono il Collegium come aggregazione di persone unite da un simile scopo.
illustrano anche la loro organizzazione amministrativa e i compiti pubblici che
dovevano svolgere, le obbligazioni statali e i privilegi in materia di imposte riservate
ai soli costruttori (sed artificium dumtaxat). Ciò che le caratterizzava in rapporto alla
società e alle autorità civile era il loro carattere di necessaria opera publicis
utilitatibus, in mancanza di ciò non erano riconosciute e non potevano operare 20. I
Collegia erano comunque di tre tipi diversi: professionali, religiosi e governativo-
amministrativi e la loro appartenenza non era saltuaria ma implicava una continuità.
A detta di Plutarco21 ci fu il riconoscimento ufficiale dei
Collegia opificum fin dall’età regale per le professioni
di falegnami, stavigliai, cuoiai, calzolai, tintori, calderai,
orefici e suonatori di flauto. Secondo il giureconsulto Gaio i
Collegia erano già presenti presso i greci che li chiamavano
ἑταιϱείαν (etaireìan) intese come associazioni politiche e
anche di mestiere, caratterizzate dalla solidarietà tra i propri
membri. I Collegia structorum (associazioni dei costruttori)
accorpavano molteplici professionalità, come gli arcuarii,
Plutarco
specializzati nella costruzione delle volte che implicavano
complesse strutture lignee di supporto alla costruzione. La stessa lavorazione della
pietra necessitava di diverse professionalità per cui esistevano i Collegia dei lapidarii,
marmorarii, quadratarii. Non dissimile il caso per la lavorazione del ferro che
contemplava i ferrarii, clavarii, tignarii, legnarii, centonarii, rectores materiarum22. I
Collegia in epoca repubblicana e imperiale non erano associazioni volontariamente
costituite ma costituite per legge senatoriale o imperiale e a cui era obbligatorio
associarsi, se si voleva operare si doveva esserne membri. A tali associazioni di
mestiere si concedevano, in cambio di corvée per pubblica utilità, degli speciali
privilegi come l’esenzione da certi obblighi pubblici, dal servizio militare e da imposte

20 Scrive il giureconsulto Gaio del III secolo: «Non è consentito a tutti senza distinzione costituire una società
(societas) [commerciale], un collegio (Collegium) (professionale) o una siffatta struttura corporativa (corpus):
questa materia è infatti rigorosamente disciplinata (coercetur) sia da leggi, sia da senatoconsulti, sia da
costituzioni imperiali. Soltanto per pochi scopi [di pubblica utilità] sono state consentite strutture corporative
(corpora) di tal genere: così è stato, appunto, consentito ai soci che riscuotono le entrate pubbliche o sfruttano
le miniere d’oro e di argento, o le saline, di costituirsi in strutture corporative (corpus habere). Parimenti
sussistono a Roma determinati collegi (Collegia), la cui struttura corporativa è stata confermata da
senatoconsulti e costituzioni imperiali come quella dei mugnai e certi altri (simili) e dei trasportatori marittimi,
che si trovano anche nelle province. 1. È poi proprio di coloro ai quali è stato concesso (permissium) di
costituirsi (corpus habere) in corporazioni (collegii societatis), in quanto componenti di un collegio
professionale, di una società commerciale o di altra organizzazione dello stesso tipo di avere, sull’esempio
della comunità politica (rei publicae), beni comuni, una cassa comune, e un rappresentante (actorem) o
sindaco (syndicum), per mezzo del quale, come nella comunità politica (re publica), possa essere attuato e
fatto tutto ciò che è necessario attuare e fare in comune (comuniter)». Cit. in Francesco Milazzo Affari, finanza
e diritto nei primi due secoli dell'impero - Atti del Convegno internazionale di diritto romano (Copanello, 5-8
giugno 2004), Giuffrè, 2012, p. 195. Anche Gaio nei suoi trattati non fa menzione di pratiche iniziatiche o
esoteriche nei Collegia e corpora romani.
21 In Numas, c. 17. Anche Gaio non fa menzione di pratiche iniziatiche o esoteriche nei Collegia e corpora

romani.
*L’immagine è gentilmente concessa da http://www.maquettes-historiques.net
22 Una lista completa delle corporazioni romane è data da Waltzing J.P. nel suo monumentale Étude historique

sur le corporations professionelles chez le Romains I-IV, Lovain, 1895-1900. L’Autore enumera
quarantacinque diverse corporazioni tra greche e latine; studi epigrafici più recenti ne hanno individuate altre,
al proposito si vede di Marcella Chelotti Epigrafia e territorio, politica e società: temi di antichità romane,
Edipuglia, 1994. Sulle corporazioni romane è anche rilevante il testo di Cameron Hawkins Roman Artisans
and the Urban Economy, Cambridge University Press, 2016.
straordinarie. La regolamentazione dei rapporti tra stato e Collegia era ben precisata
nell’impero bizantino e nelle regioni italiche sotto la sua dominazione fino al IX
secolo23.
Alcuni Autori latini riportano che il Collegium fabrorum aveva come ente protettore
Giano e che gli si
facevano sacrifici. Ciò
non stupisce, la pratica di
riferirsi a qualche divinità
o nume era molto diffusa
nelle attività sociali ed
economiche in ogni
epoca della cultura
romana e successiva24.
Si distingueva tra gli altri il
Collegium fabri tignari
(corporazione dei
costruttori e carpentieri)
poiché istoriava
orgogliosamente il
Roma in epoca costantiniana proprio altare sacrificale
L’immagine è gentilmente concessa da http://www.maquettes- con gli strumenti della sua
historiques.net arte25 ma solo come logo
o marchi della propria
attività, essi erano “segni” (in senso linguistico) o emblemi e non simboli; una sorta
di marchio di fabbrica in senso moderno.
I Collegia di imprenditori non erano organizzazioni a scopo religioso o sacrale ma
professionale, autorizzate e controllate dalle autorità civili. Di
Plinio si conosce uno scritto sul dibattito senatoriale de instituendo
collegium frabrorum26 a dimostrazione del fatto che l’istituzione di
un Collegium non avveniva spontaneamente ma che veniva
concessa a un gruppo di imprenditori che volevano instaurare un
rapporto economico-finanziario e fiscale con lo Stato (res
publica)27.
Dice Carrié: «à l’époque tardive tout les membres d’une
Tito Livio

23 Si ricorda che a Bisanzio Leone VI il Saggio (866-912) con il “Libro del Prefetto” regolamentò l’attività e
l’organizzazione interna delle associazioni di mestiere chiamate πολιτιϰά σωματεῖα (politicà somateìa) o
συστήματα (sustémata) di modo che le attività artigianali erano riunite in associazioni e l’ammissione di nuovi
artigiani era sotto controllo e accettazione di funzionari pubblici.
*L’immagine è gentilmente concessa da http://www.maquettes-historiques.net
24 Ad esempio, oggi protettori sono per gli albergatori San Giovanni Battista, i camerieri Santa Zita, i Vigili del

Fuoco, gli artificieri e altri hanno Santa Barbara, gli artigiani San Giuseppe, gli autisti San Cristoforo, gli
elettricisti Santa Lucia, e via dicendo.
25 Jinyu Liu, Collegia Centonariorum: The Guilds of Textile Dealers in the Roman West, Brill, Leiden-Boston,

2009, p.
26 Plinio, Pan. 54,.4, Ep. 10.34.
27 Tra il I secolo, nell’età di Plinio, e il II secolo vivacissima fu l’attività edile essendosi la popolazione di Roma

incrementata da 1 milione di abitanti a 1 milione e mezzo che vivevano in circa 48.000 edifici. Si veda
Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ed. 1949 Vol. XXIX e
profession faisaient ipso facto partie du collège correspondant»28 [in epoca tarda tutti
i membri di una professione facevano parte ipso facto del rispettivo collegio]. Questo
ipso facto, nel senso di automatismo, documenterebbe che anche nel tardo Impero i
Collegia non avevano una logica costitutiva iniziatica, ma vi entrava per diritto/dovere
della legge e chi ne era membro era chiamato co-ptarius, accettato dai membri del
Collegium con la formula del recipere in Collegium. Esistevano tuttavia dei Collegia
non riconosciuti e con valore religioso-solidale come i Collegia funeraticia, che si
occupavano dei funerali che avevano un alto valore sacrale. Da questi probabilmente
derivarono certe forme associative medievali solidaristiche e religiose, le cosiddette
“confraternite”.
Riguardo ai Collegia professionali in età
repubblicana e imperiale le informazioni,
desumibili solo da Livio e Cicerone, non
parlano di pratiche esoteriche,
misteriche o altro, né che l’ammissione e
l’organizzazione dei pontifices fosse di
tipo iniziatico; i due Autori citano solo
alcune regole amministrative per la loro
elezione, la composizione del direttivo e
poco più29, Plinio asserisce che il
Collegium dei Pontefici avesse solo funzioni religiose e non di amministrazione
pubblica30, e che tali funzioni erano di gelosa conservazione della religiosità
tradizionale31, ma altro non si sa. Insomma, le corporazioni d’epoca romana erano
costituite da imprenditori per patteggiare i propri interessi davanti alle autorità e
utilizzavano sofisticate tecniche professionali che non avevano nulla di esoterico e
anzi erano conosciute e applicate in tutto l’Impero32. Per una serie di ovvie ragioni

anche AA.VV. Roma antica, a cura di Andrea Giardina, Mondadori Milano, 2002. Numerosissime dovevano
essere le imprese coinvolte in questo sviluppo urbanistico, senza pensare alle opere d’urbanizzazione che
venivano avviate nell’enorme impero dell’epoca in Europa, Africa e Asia.
28 J.-M. Carrié, R. Lizzi Testa (éd.), Humana sapit. Études d’Antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini

(BAT, 3), Turnhout, 2002: « Les associations professionnelles à l’époque tardive, entre munus et convivialité »,
p. 309-332.
29 Si veda Mario Trommino, Il collegio dei pontefici nell’architettura costituzionale Romana - Dalla nascita ai

rapporti con i componenti dell’ordo sacerdotum, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria -
Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia, Dottorato di ricerca in Storia del pensiero e delle istituzioni
giuridiche romane, 2013-2014.
30 Cfr. La storia romana di Tito Livio, Vol. 2, trad. di C. Luigi Mabil, Tip. di Giuseppe Antonelli, Venezia, 1842,

p. 1275 (vers. lat.) e 1276 (vers. it.). Nel testo di Livio il Senato chiede al Collegium dei Pontefici un parere
sulle spese da affrontare per certi giochi. Il Collegium risponde che non è una questione religiosa e rimanda
al Senato. È probabile che il Senato volesse un parere sulla moralità di spendere eccessivamente per dei
giochi, ma i Pontefici non si fanno coinvolgere e distinguono nettamente tra questioni amministrative e
religiose.
31 Sempre Livio cita un caso nel quale una festività pubblica fu fatta ripetere per parere ponticale perché il

rituale fu svolto in modo errato avendo omesso un richiamo al senato e al popolo romano.
32 Un esempio è un’iscrizione della presenza del “Collegium fabror(um)” ai margini dell’Impero che è stata

trovata in Britannia, Chirchester (Novomagnus) databile nel periodo 43-410 e nella quale si legge che il
Collegium dedica un tempio a Nettuno e Minerva.
[N]eptuno et Minervae
templum
[pr]o salute do[mus] divinae
[ex] auctoritat[e Ti(beri)] Claud(i)
[To]gidubni r[eg(is) m]agni Brit(anniae)
[colle]gium fabror(um) et qui in eo
non c’era motivo di tenere segrete le conoscenze e le tecniche costruttive possedute
dai Collegia structorum, cosa invece necessaria nel Medioevo quando quelle
conoscenze e tecniche si erano perse collettivamente e venivano rielaborate solo da
chi ne aveva le capacità intellettuali e culturali e le metteva a disposizione di
organizzazioni disposte a pagare tali conoscenze. In quest’ultima epoca l’economia
era priva di controllo statale e la competizione tra corporazioni era assai vivace e
conveniva conservare il “segreto industriale” per ottenere le commesse. È noto che
era costume e norma perentoria delle corporazioni che alla fine dei lavori ogni
documento fosse distrutto, probabilmente per evitare che altre corporazioni
concorrenti potessero copiare le metodiche costruttive e infatti questo monopolio
tecnico-progettuale33 era difeso con patti interni di segretezza. Incidentalmente è
curioso notare che la pratica di distruggere i documenti fu ripresa dalle prime logge
massoniche che eliminavano alla fine dei lavori ogni traccia di ciò che apparteneva
ai rituali evitando accuratamente che trapelassero fuori dalla loggia massonica
informazioni su ciò che in essa si svolgeva. Ma questo certamente non giustifica una
continuità storica tra il passato e quel presente.
Di là dai Collegia religiosi o politici, i Collegia e i Corpi a carattere economico-
produttivo in questa loro funzione pubblica, laica ed economica non si differivano
dalle gilde e corporazioni medioevali, nel senso che nel Medioevo si proseguì la
tradizione organizzativa e professionale romana per scopi economici e non per
tradizione religiosa o iniziatica o esoterica. I rituali e le cerimonie di carattere civile e
politico rispondevano alla diffusa religiosità del tempo34 e con non poca disinvoltura
queste modalità religiose le si utilizzavano per una migliore appropriazione del
consenso sociale a diretti scopi politici, infatti le corporazioni erano connesse ai
potentati politici e religiosi che assicuravano le commesse.

[sun]ṭ d(e) s(uo) d(ederunt) donante aream


[… Pud]ente Pudentini fil(io) »; si veda on line: https://romaninscriptionsofbritain.org/inscriptions/91
Un’altra epigrafe funeraria rintracciata a Corbridge cita un “vessillario di Palmira” che gli esperti ritengono
portatore di vessillo di una corporazione, non esistendo nella terminologia militare e politica romana un tale
titolo. Altra epigrafe britannica interessante è quella di un membro del Collegium peregrinorum (persone libere
ma senza cittadinanza romana che in epoca claudia erano l’91 % della popolazione di 70 milioni di sudditi); si
veda ibidem …/69 Il termine di peregrinus fu utilizzato dal 30 a.C. al 212 d.C. Il lemma Collegium è quindi da
intendersi qui come aggregazione di persone. Numerose sono le epigrafi britanniche di persone che si
dichiarano adoratori di differenti divinità, sia appartenenti a gruppi sociali che professionali. In ogni caso è
evidente che le corporazioni professionali erano presenti nell’Impero e non solo sul suolo italico a
dimostrazione del loro carattere laico e secolare. Infatti nessuna epigrafe fa riferimento a culti misterici.
33 Sul monopolio tecnico-produttivo e sul protezionismo economico delle corporazioni, sulle sue ragioni e

ricadute socioeconomiche e sulle condizioni di segretezza delle conoscenze si veda Douglass C. North
Structure and Change in Economic History, ed. sc. 1981, p. 134 e anche Henry Pirenne Economic and Social
History of Medieval Europe, Harcourt, Brace, 1937.
34 Se però s’intende per esoterica una conoscenza professionale che è riservata a pochi “iniziati”, allora anche

la fisica quantistica è una conoscenza “esoterica”, riservata a una ristretta cerchia di specialisti della fisica,
“iniziati” mediante una laurea e successivi gradi di perfezionamento conoscitivo.
Si afferma talora che i costruttori romani possedessero
delle conoscenze esoteriche come quelle pitagoriche. Le
tesi elaborate da Pitagora e dai suoi discepoli e da tutta
la cultura aritmetica e geometrica dell’antichità erano
conoscenze sviluppate da un élite facente parte di
un’accademia di tipo culturale, simile a quella platonica
o aristotelica, con un più di scientificità e tali sapienze
rapidamente furono conosciute da tutti e applicate dai
romani per la loro funzionalità tecnica e non certo per la
loro “valenza” esoterica. La costruzione di un ponte, di
un circo o di una domus non assolveva scopi esoterici e
la presenza di eventuali affreschi o statue di richiamo
Euclide e Pitagora –
esoterico non giustificavano la costruzione in sé né
Geometria e Aritmetica
l’operatività di chi costruiva, ma eventualmente i bisogni
culturali e religiosi del committente. Le cerimonialità legate alle costruzioni di circhi,
terme, ponti o acquedotti erano dei rituali sociali con forte dimensione politica
ulteriormente validata da cerimonie religiose, così come i loro scopi d’edificazione.
Nel caso dei templi, come per ogni edificio religioso ovunque e sempre, le condizioni
erano diverse, ma l’eventuale modalità esoterica era riservata ai committenti e
all’edificio in sé e non addebitabile all’impresa costruttrice.
I principi aritmetico-geometrici del costruire erano noti a moltissime popolazioni che
si scambiavano tra loro queste conoscenze
e infatti le tecniche costruttive di un popolo
passavano rapidamente a un altro popolo e
senza speciali ritualità. Le opere edili civili
e religiose dei romani spargevano tali
conoscenze tecnologiche nell’intera
Europa romanizzata. Naturalmente non
erano conoscenze “popolari”, ma un
bagaglio scientifico-culturale di specialisti e
tecnici con elevata cultura, non erano cioè
riservate a maghi, esoteristi o iniziati. I
romani elaborarono autonomamente Officina di fabbro romano
alcune tecniche costruttive, come ad
esempio l’arco e la volta, ignote ai precedenti costruttori e questa elaborazione
veniva dall’approfondimento creativo delle tecniche apprese principalmente dagli
Etruschi, dai Greci, dagli Egizi e altre popolazioni mediorientali ed è difficile
rappresentare l’arco o la volta come un’elaborazione del pensiero iniziatico-
esoterico. Il fatto che certe elaborazioni “scientifiche” fossero sviluppate da comunità
riservate a specialisti, eruditi in particolari materie, come ad esempio le accademie
greche, elleniche o italiche, non fanno diventare ipso facto tali conoscenze come
iniziatico-esoteriche.
In definitiva i Collegia erano strutture economiche “secolari” in un mondo non
secolarizzato; un mondo impregnato di religiosità ma che presentava come in ogni
realtà sociale anche aspetti prettamente secolari e se in questi aspetti erano presenti
delle valenze ritualistiche e cerimoniali queste non sono necessariamente definibili
come iniziatiche o esoteriche.
Le Universitates medioevali
La dissoluzione statale dell’impero romano fu anche la dissoluzione giuridica delle
istituzioni conseguente al radicale cambiamento dell’economia europea ed
extraeuropea.
L’economia imperiale romana che
si fondava principalmente sulla
guerra e la conquista crollò. Nulla
rimase uguale a prima, lo jus
romanum si adattò alle peculiarità
dei nuovi conquistatori, non ultimi
gli imperatori d’origine non latina, e
alle loro tradizioni culturali anche
se ne rimase a fondamenta, per cui
le quotidiane realtà sociali
venivano mutuate in forme giurisprudenziali diverse. Alle comunità (i Collegia) di
persone con lo stesso mestiere non potevano subentrare istituzioni sociali
economicamente diverse, il momento storico non consentiva né salti ideologici né
economici od operativi. In un periodo di grave crisi economica ove l’oro non era più
la moneta di cambio35, quando i
commerci internazionali crollavano per
la mancanza di un’organizzazione
statale che li controllasse e
amministrasse, quando le città si
ridussero drasticamente dalle circa
duemila di epoca romana a villaggi di
decine di famiglie ci si organizzò
seguendo i locali costumi precedenti36.
Marchi di scalpellini su pietre di Coucy-le-Château
L’unica possibilità a una nuova
(v. fig. affianco) economia di mantenere una certa
solidità fu rappresentata dalle
37
Universitates (personarum) [associazioni di persone], strutture che
progressivamente si resero autonome dai poteri locali assicurando ai propri associati
delle forme di solidarietà e di controllo dell’esclusività delle conoscenze tecnologiche
a differenza di prima quando le innovazioni tecnologiche passavano da una parte
all’altra dell’Impero. La frantumazione del potere statale e istituzionale dell’impero
cambiò lo scenario. Le invasioni barbariche portarono nuove forme di
associazionismo basato sullo “affratellamento” caratterizzato da diversi criteri che
non erano quelli della parentela o della discendenza; erano le “consociazioni
volontarie” e libere che Gierke chiama Genossenschaften38 di genuino diritto

35 Si veda Mark Bloch Lineamenti di una storia monetaria d'Europa, Einaudi, 1981.
36 Si veda Marc Bloch Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, 20095, pp. 111-156.
37 Il termine è significativo anche oggi ove i luoghi preposti allo studio mantengono la parola che designava le

medievali corporazioni di studenti (universitas scholarum). La parola si ampliò nei secoli seguenti al concetto
di collettività di cittadini.
38 Cfr. O. Gierke Das deutsche Genossenschaftsrecht, vol. 1, Rechtsgeschichte der deutschen

Genossenschaft, Weidmann, 1868, pp. 9 e 21. Il concetto di “affratellamento degli artigiani” è stato avanzato
anche da W.E. Wilda in Das Gildewessen im Mittelalter, Rengen, 1831.p. 31.
germanico, contraddistinte dalle funzioni sia religiose che civili. Per non pochi storici
le corporazioni sorte negli agglomerati urbani dell’Alto Medioevo contribuirono a
sviluppare tali agglomerati in città, assumendo quindi anche un certo carattere
politico per i privilegi che ottenevano dalle autorità civili; specialmente in Inghilterra
questo processo ebbe una consistente rilevanza39. La forza politica delle corporazioni
si rafforzò sempre più tanto che nel XV secolo a Münster nessuno poteva essere
arrestato senza l’autorizzazione delle corporazioni e specialmente in Italia questo
potere fu molto forte40, ma anche in Inghilterra sotto Edoardo II al punto che ci furono
rivolte di piccoli borghesi contro le gilde dei commercianti che spadroneggiavano sui
cittadini più poveri e che imponevano tasse esose41; tale condizione di potere
direttivo, che si appoggiava a un riconoscimento religioso42, era anche presente
anche in Francia43.
Le nuove corporazioni dall’XI secolo in poi si rinserrarono in una difesa del proprio
know-how (conoscenze tecniche) di mestiere. Lo sviluppo tecnologico, prima
generalizzato e pubblico, diventò possesso privatistico all’interno di categorie
professionali sempre più esclusive e in forte competizione tra loro. Le corporazioni
riuscirono a conservare il principio presente nella legislazione dell’impero romano
per cui nessuno poteva svolgere una qualsiasi attività non agricola senza essere
membro di una gilda, indirizzata alle attività commerciali, o di una corporazione,
direttamente dedicata ad attività produttivo/manifatturiera. Le innovazioni scientifico-
tecnologiche non venivano pubblicizzate, rimanevano patrimonio esclusivo delle
singole professionalità, un capitale intellettuale protetto con meccanismi coercitivi in
nulla diversi dagli attuali segreti industriali che impongono alle dirigenze e
maestranze di non divulgare i processi produttivi alla concorrenza. In tal modo il
vincolo della segretezza assicurava alle corporazioni medievali una maggiore
capacità competitiva davanti alle altre corporazioni
dello stesso mestiere in quanto ogni processo
produttivo innovativo che comportava una maggiore e
più facile acquisizione di commesse doveva rimanere
all’interno delle superiori gerarchie operative. Da ciò
scaturirono meccanismi di accettazione dei nuovi
mestieranti su basi ritualistiche e cerimoniali che
determinano differenziazioni di livello professionale
ben articolate con una progressività conoscitiva del
mestiere sempre più sofisticata e riservata.

39 Si veda Ch Gross, The Gilde Merchant. A contribution to British Municipal History, vol. 2, Clarendon Press,
1890.
40 Cfr. M. Weber Economia e società - La città, Donzelli, 2003, p. 134.
41 Ibidem p. 77.
42 Ibidem, p. 75.
43 Ibidem, p. 72.
Vivace e senza rispetto era la lotta per l’acquisizione di importanti commesse come
ad esempio l’edificazione di sofisticate e imponenti costruzioni civili o religiose. Non
si hanno notizie storiche sulle manovre del cosiddetto spionaggio industriale che
probabilmente era ben dinamico e a ciò si poteva porre un freno imponendo con
modalità rituali la non divulgazione delle tecnologie e conoscenze che durante l’opera
si potevano acquisire. Il discorso sulla
segretezza delle tecniche costruttive (ancora
non esisteva un corpus teorico come
l’ingegneria o l’architettura in senso
moderno) a ben vedere sembra più un
formalismo che una realtà operativa, infatti
un bravo costruttore o artigiano che finita la
sua opera avesse voluto trasferirsi presso
una corporazione di altra regione o nazione
non aveva bisogno di particolari segni o gesti
per far riconoscere le proprie abilità
professionali e comunque queste erano
ormai un suo patrimonio personale che non
poteva ignorare e tali segni e gesti avevano più un significato cerimoniale che
iniziatico, una sorta di attestato professionale gestuale e verbale44.
Le ritualità interne alla corporazione per assicurare la solidità della corporazione
stessa dovevano avere quindi delle formulazioni di indiscutibilità che solo una loro
“sacralizzazione laica” poteva assicurare, tuttavia nel clima culturale di assolutezza
teologica la migliore sinecura era quella di ammantare di religiosità tali ritualità. A
livello individuale l’entrata nella corporazione come persona con buone potenzialità
di mestiere voleva dire uno sviluppo professionale altrimenti inattuabile, era quindi
un momento molto importante per chi voleva acquisire una perizia tecnica e per la
stessa organizzazione aveva anche il senso di aumentare e rendere stabile il proprio
capitale umano. Come detto, il sistema corporativo era assicurato da un sistema
giuridico locale e/o nazionale che su pressione delle stesse corporazioni e gilde non
consentiva di essere operativi se non appartenendo a un’associazione di mestiere,
riprendendo i dettati originali dello ius romanum.
Fino a che la situazione economica e produttiva visse una fase di stagnazione con
modesti livelli di stagflazione alle corporazioni era consentito di operare in modo
alquanto stabile; in realtà la situazione dei processi sociali di produzione erano
tutt’altro che solidi, la permanenza delle condizioni socioproduttive era in realtà
soltanto espressione di una rigidità artificiosa fondata sulla forza dei più potenti sui
più deboli. Le corporazioni e le gilde erano le forze potenti che dominavano la
struttura economico-produttiva, vere e proprie lobbies dell’epoca, con le quali anche
i poteri statali e istituzionali dovevano venire a patti. Esse avevano il positivo effetto

44 Alcuni documentano attestano che tra I Muratori (ma forse anche presso altre corporazioni e gilde) ci si
scambiassero dei gesti (modi particolari di stringere la mano o altro) e delle parole note solo a loro che
dimostravano il proprio ruolo professionale. Tuttavia in un’epoca ove le professionalità di un certo livello erano
rare e i nomi di chi le possedeva abbastanza noti dovrebbe far pensare che erano altri i modi per riconoscere
un certo livello di mestiere e che tali gesti e parole avessero più un senso cerimoniale. Inoltre le corporazioni
muratorie in ogni paese europeo erano molte ed è difficile credere che esistesse un modo univoco di
riconoscimento o che tutti conoscessero le formule di riconoscimento di tutte le corporazioni di un mestiere.
Nessuna formula segreta avrebbe potuto esistere per molti anni o secoli.
di rendere continuative le attività produttive e l’intera economia ma allo stesso tempo
la rigidità tecnico-economica negli aspetti strutturali e sovrastrutturali di tali
associazioni non poteva rispondere con la necessaria flessibilità ai mutamenti delle
società e delle istituzioni giuridiche e di governo, erano alla fine un fenomeno di
rigidità dentro una realtà estremamente mutevole. Il fatto che le corporazioni fossero
legate a stretto filo con le istituzioni politiche cittadine e nazionali non è
semplicisticamente giustificabile su un carattere di flessibilità delle corporazioni
stesse45, era piuttosto il necessario relazionarsi tra struttura economica e
sovrastruttura politica, una relazione che vedeva i poteri politici connessi alle
corporazioni rinunciare a intervenire nelle questioni interne delle corporazioni stesse,
al contrario dell’epoca romana quando le corporazioni erano sotto il controllo delle
leggi e della giurisprudenza dello Stato. Questa relazione però quando il potere civile
assumeva un’importanza primaria, come nelle situazioni di potere comunale, capace
anche di opporsi al potere imperiale, le corporazioni erano sottomesse alle leggi e
alle giurisprudenze dettate dal potere politico46.
È comunque da rilevare che dentro questa “rigidità” strutturale le corporazioni
espressero dopo il X secolo molte innovazioni tecnologiche e di organizzazione
produttiva47 rispetto al periodo dell’Alto Medioevo disastrato politicamente,
economicamente e legislativamente dalle invasioni barbariche.
Per comprendere questo fenomeno delle corporazioni di mestiere si deve andare
indietro nel tempo, alla fine dell’Impero Romano,
quando crollò da una parte il valore della moneta,
l’economia e l’industria e dall’altra quando il sistema di
valori religiosi latini dovette cedere il passo a culture e
religioni venute dall’area nordorientale europea e da
quella ellenistica e mediorientale.
L’economia tardo imperiale, con gli enormi territori
conquistati, si fondava ancora sulla grande massa di
schiavi che sostenevano l’agricoltura, la manifattura e
l’industria; una quantità talmente elevata da aver reso il
prezzo degli schiavi alla portata di quasi tutti gli uomini
liberi e perfino i liberti, schiavi affrancati, potevano
comprarne qualcuno48. In quest’epoca gli schiavi nella quasi totalità erano barbari di
regioni della cintura estrema dell’impero e neppure le teologie umanitarie del

45 Questa è una tesi proposta da Maarten Roy Prak nel suo Craft Guilds in the Early Modern Low Countries:
Work, Power and Representation, Ashgate, 2006.
46 Si veda E. Artifoni, Forme del potere e organizzazione corporativa in età comunale: un percorso

storiografico, in Economia e corporazioni. Il governo degli interessi nella storia d’Italia dal medioevo all’età
contemporanea, a cura di C. Mozzarelli, Milano 1988, pp. 9-40.
47 Si veda Sheilagh Ogilvie Rehabilitating the guilds: a reply, in Economic History Review, 61, 1, 2008, pp.

175–182. Jay S. Epstein nel suo Craft Guilds, Apprenticeship, and Technological Change in Preindustrial
Europe in The Journal of Economic History 1998, pp. 684-713, avanza una tesi, forse troppo entusiasta,
dell’apprendistato corporativo come fattore trainante dello sviluppo delle corporazioni nei termini di stimolo alla
distribuzione internazionale (tra regione e regione e tra paese e paese) delle conoscenze e invenzioni
tecniche. Una distribuzione conseguente alla migrazione interregionale degli “esperti di mestiere”, che
consentiva alle corporazioni di mettersi in vincente competizione con le realtà economico-produttive del
momento. Più approfonditamente la tesi è sviluppata nel suo Guilds, Innovation and the European Economy,
1400–1800, Cambridge University Press, 2008.
48 Sulla situazione della schiavitù e del servaggio nell’Alto Medioevo si veda Marc Bloch Lavoro e tecnica nel

Medioevo, Laterza, 20095, pp. 221-263 e per la denotazione di libero e di libertà pp. 29-71.
neocristianesimo greco-latino mettevano in dubbio la necessità della schiavitù.
È noto che tra i Collegia (corporazioni) dell’impero romano e le prime forme di
associazionismo di mestiere medioevale c’è un vuoto di quasi cinque secoli. Il crollo
dell’impero e del suo sistema economico lo si data dal V secolo49, ma le crisi erano
anche precedenti, e i Collegia in tali condizioni non
potevano più operare. Le prime corporazioni di
mestiere (Universitates) si avviarono tra la fine del X e
inizio del XI secolo quando l’economia generale
incominciò a riprendersi e si incrementarono gli scambi
commerciali interni ed esteri; fu l’epoca in cui le potenze
marinare specialmente italiane iniziarono il loro
sviluppo50. È dunque difficile dimostrare una diretta
continuità storica tra Collegia e Universitates. La
continuità era di logica produttiva poiché in mancanza
di alternative permaneva la condizione di accorparsi
sulla base dello stesso mestiere, ma ciò non era una
scelta e neppure una causa della creazione delle Universitates ma una conseguenza
di un’economia frantumata i via di ricostruzione. La differenza tra le due istituzioni
economiche, Collegia e Universitates, era netta, i Collegia operavano solo se
autorizzati dal potere politico e con regole definite dallo stato e non interne, mentre
le Universitates erano libere da ogni vincolo e le proprie regole erano stabilite dai
responsabili e amministratori della corporazione o gilda e gli stessi poteri statali e
giuridici non potevano intromettersi nelle questioni interne e nelle regolamentazioni
delle corporazioni specialmente, come detto sopra, in situazioni comunali; vedremo
poi che in ambito giuridico le cose non erano così nette. Nell’Impero nessuno poteva
svolgere un’attività se non apparteneva a un Collegium mentre questa regola per le
gilde e le corporazioni subentrò molto più tardi quando i poteri centrali e cittadini si
rafforzarono. Unica eccezione fu nelle regioni italiane sotto dominio bizantino dove
erano presenti nel VII secolo delle residuali corporazioni di tipo romano chiamate
scholae, sotto il controllo pubblico51. Nell’area nord-europea erano comunque
presenti nel VI secolo delle corporazioni e in particolare le gilde 52, però ambedue
erano più che altro delle confraternite caratterizzate dalla solidarietà tra i membri,
l’affratellamento di cui sopra. Sotto i Longobardi sussistevano rari casi di corporazioni
di mestiere che erano regolamentate (ad es. con l’editto di Rotari) come i magistri
comancini, costruttori con libertà di movimento da regione a regione e i saponai
piacentini. Le prime forme di regime monopolistico delle attività produttive,

49 Dalla fine del V sec. papa Gelasio proibisce ai cristiani di frequentare luoghi pubblici, cerimonie e feste
pagane. In quell’epoca, specialmente a Roma, i luoghi pubblici come terme, biblioteche, templi, accampamenti
militari urbani ed edifici istituzionali perdono la loro importanza e non vengono più frequentati, addirittura
vengono smantellati dai privati e Maiorano nel 458 emette un editto coercitivo sulle pratiche religiose in luoghi
pubblici. Nel V sec. e successivamente l’edilizia è confinata quasi solo nella costruzioni di chiese cristiane,
nuove o come per il Pantheon di Roma tramutate al culto cristiano. A proposito dell’attività edile, in particolare
cosmatesca, in Italia e nella Roma dell’Alto Medioevo si veda G. Tomassetti, Dei sodalizi in genere e dei
marmorari romani, in BCom, n.33 (1906), pp. 235-69.
50 Cfr. Gabriella Piccinni I mille anni del Medioevo, Pearson Italia, 2007, pp. 124-125.
51 In Summa Perusina - Adnotationes constitutionum codicum domini Iustiniani, a cura di F. Patetta, Bullettino

dell'Istituto di diritto romano 12, 1990.


52 La parola gilda viene dall’antico gjald, in gotico gild, in antico tedesco gelt, nell’antico sassone geld e

nell'anglosassone gield, tutte parole con il significato di confraternita.


corrispondendo tasse all’erario regio, si formarono nel XI secolo con i miniteria di
mercanti, pescatori, cuoiai, barcaioli, saponai. Nell’epoca della fine dei poteri centrali,
frantumati ormai tra nobili, feudatari e vescovi, le associazioni di mestiere assunsero
più precisi caratteri religiosi quando erano sottoposti ai vescovati perdendo così
quella natura di aggregazione di mestiere svincolata dalla religione come i Collegia
d’epoca imperiale. Il controllo da parte dei poteri pubblici si rafforzò nel periodo
comunale e dell’economia urbana impedendo alle attività d’interesse pubblico di
operare senza la vigilanza civile.
Le Universitates (corporazioni) medioevali nacquero in Europa53 con la fine del
feudalesimo e il sorgere delle libere attività economiche, libere per il disfacimento
delle istituzioni governative centrali. Per prime apparvero quelle mercantili; la prima
corporazione di mercanti apparve ufficialmente in Inghilterra nel 1087 e presto si
inserirono nel vissuto civile e amministrativo, mentre quelle artigianali sorsero subito
dopo, sempre in Inghilterra nel 1100 con quella dei tessitori di Oxford, ma in ruolo
subordinato alle mercantili dato che questi lavoratori erano esclusi dall’affiliazione
alle gilde mercantili54. Si hanno notizie indirette che nello stesso periodo apparvero
simili corporazioni in Germania e nelle Fiandre. Parallelamente, nella più ampia
organizzazione delle attività socio-economiche che comprendevano anche i collegi
professionali, le confraternite religiose e le consorterie nobiliari, si collocavano le
gilde di tipo mercantile e artigianale
Non esistono al momento documenti statutari prima del XIII e XIV secolo che illustrino
le pratiche delle corporazioni di mestiere e presumibilmente tutto era trasmesso
oralmente. Unico riferimento è L’Histoire des rois de Bretagne di Goffrey de
Monmouth ove si parla delle sette arti liberali e della geometria e di una leggendaria
storia del Mestiere (Craft) e dei doveri morali e professionali dei “muratori” (maçon).
Dopo, dal 1390 circa in poi si conoscono altri statuti di corporazioni muratorie noti
come Old Charges o Antiens Devoirs studiati dai fondatori della prima Grand Lodge
(1717) e idealmente alla base delle Constitutions of Free Masons redatte da

53 Le associazioni mestiere erano presenti in tutti i paesi occidentali fino all’Estremo Oriente. Si hanno notizie
di tali associazioni in tempi remoti della Cina e in India persino dal 400 a.C. Per l’India si veda: Jain, Dr. Beena
Guild organization in Northern India (from earliest times to 1200 bc), Delhi, 1990 e dove appare che qualunque
mestiere era organizzato in corporazione dai tempi più remoti; per la Cina si veda Morse, Hosea Gallou The
Gilds of China, with an account of the Gild Merchant or Co-Hong of Canton, London 2nd Ed. 1932, ove è nutrita
la lista di corporazioni di mestiere in molte città.
54 In Inghilterra si hanno notizie di guilds, corporazioni ma più esattamente confraternite religiose in molte città.

La parola inglese guild non distingue tra corporazioni, gilde e confraternite. Era presente nelle Orcadi in
periodo anglo-sassone una guild a Abbotsbury; poi la Guild of the Holy Cross di Abingdon, la Gild of the
Crucifix fondata nel 1369 in Althorp, la Gild of Corpus Christi del 1376 in Alvingham e molte altre decine.
Tuttavia di corporazioni di mestiere non si hanno dati anteriori al X-XI secolo; si veda il riguardevole elenco
delle guilds britanniche con una interessante bibliografia per quasi tutte le guilds redatto da Tom Hoffman
Guilds and Related Organisations in Great Britain and Ireland, Bozza, 2011. Hoffman citando il testo Merchant
and Craft Guilds. A History of The Aberdeen Incorporated Trades di Ebenezer Bain annota che la
denominazione di guild in Scozia era esclusivamente applicata alle associazioni od organizzazioni di mercanti
costituite dalla classe mercantile della comunità. Queste avevano diritti quasi identici tra loro che spesso
entravano in conflitto con quelli dei mercanti privati. Dal 1520 divenne usuale in alcune cittadine che
all’aggregazione di artigiani fosse assegnata un’autorizzazione (Seals of Cause) dai magistrati locali. Il potere
di formare associazioni e di eleggere i propri rappresentanti era conferito per legge del Parlamento e per potere
reale. Tali rappresentanti (deacons)però dovevano essere eletti con il consenso del consiglio comunale o dal
dirigente (chief officer) della città. Tali deacons avevano il potere giurisdizionale su tutti i membri, operai, servi
e apprendisti sulle questioni interne di artigianato e sulla condotta dei membri stessi.
Anderson (1723)55.
Elemento fondante di tali associazioni di mestiere, in particolare di quelle produttivo-
industriali, era la difesa del monopolio dell’attività e delle tecniche operative
possedute dai propri capimastri e il controllo della produzione. Specialmente nelle
mercantili era importante la qualità del lavoro svolto, per cui i regolamenti interni
stabilivano norme precise sulle materie prime da usare, gli strumenti e le tecniche di
lavorazione. Tali regolamenti definivano un’uguaglianza formale tra gli iscritti per
impedire la concorrenza sleale, pur se divisi gerarchicamente tra semplici lavoranti,
apprendisti e maestri con notevoli diversità economiche tra loro. L’apprendistato nelle
associazioni di mestiere era rigidamente codificato così come
le dispute tra affiliati erano esclusiva materia dell’associazione
e il cui appello in certe situazioni regionali era demandato solo
all’autorità regale; un classico esempio dell’estraneazione del
potere cittadino dalle questioni interne della corporazione. Le
corporazioni e le gilde erano amministrate con diversi livelli di
potere per le diverse attività svolte, insomma era un complesso
di attività amministrative, civili e operative che non erano
riducibili alla sola attività di cantiere. Dietro al cantiere c’era una
complessa articolazione di attività economiche, organizzative e
Marchio di scalpellino
tedesco con iscrizioni
di relazioni sociali e politiche che erano di competenza del
di epoca successiva gruppo dirigente e nel quale il ruolo del progettista o architetto
dell’opera da realizzare era sussidiaria. Il cantiere era l’ultima
fase di una grande operatività senza la quale nessun progetto avrebbe potuto
avviarsi56.
Una tesi alquanto diffusa tra alcuni storici è che in Francia nel XV secolo si fosse
sviluppata una particolare forma corporativa dei lavoranti, il compagnonnage, una
primordiale forma di coalizione operaia in opposizione alla gestione autocratica dei
maestri di corporazione. La tesi conflittuale è dubbia e difficilmente avvalorabile ma
probabile, infatti come si è visto sopra in certi casi il potere delle corporazioni creò
dei dissidi e dell’allarme sociale nelle classi inferiori.
Negli oltre cento documenti ufficiali conosciuti delle corporazioni medioevali e di
epoca successiva, sono pochi quelli che illustrano delle cerimonie di affiliazione o
accettazione di nuovi membri, che però non possono essere intese come iniziazioni
in senso stretto. Ugualmente i riferimenti di tipo religioso cristiano come parti di
preghiere o appelli alla divinità e santi, non davano uno specifico valore sacrale o
spirituale ai documenti, facendo parte di un’ufficialità ammantata del comune senso
religioso che allora imperava, quell’assolutismo teologico sopra citato dove nomina
sunt numina, dove le parole rispecchiano il divino anche nei documenti politici. In
definitiva queste attestazioni di religiosità non possono caratterizzare le corporazioni
come gruppi di spiritualità o comunque votati al sacro, che invece era ben altrimenti
espressa nei gruppi conventuali e nelle confraternite, associazioni connesse alle
corporazioni e gilde ma con diversi scopi e funzioni. In ogni modo era prevalente la
funzione di stabilità economica e di conservazione del potere politico istituzionale

55 Successive scoperte di documenti e statuti hanno incrementato le conoscenze storiografiche sulle


corporazioni medievali.
56 Brunelleschi non avrebbe potuto progettare e costruire a cupola del Duomo di Firenze senza la volontà

culturale politica e finanziaria di Cosimo dei Medici.


fino al XVI secolo, quando invece gli Stati assunsero un carattere geopolitico e di
controllo più ampio, quando si definirono maggiormente le prime forme di
professionalità indipendente dalle corporazioni e si svilupparono le conoscenze
tecniche al punto di non poter essere segretate. Ma fu il Seicento che avviò il
definitivo processo di dissoluzione delle corporazioni per complesse ragioni, sia
riguardo al loro potere civile e politico sia riguardo alla loro funzione economica, come
si vedrà di seguito.

La crisi delle corporazioni nel seicento


Nella mito-storia massonica si presenta il fenomeno delle gilde dei commercianti e
delle corporazioni di mestiere (di tipo produttivo) come se dal X e XI fino all’inizio del
XVIII secolo queste fossero rimaste uguali a se stesse e, con ingenua
generalizzazione, non avessero differenze normative interne, non fossero
regolamentate legislativamente dai poteri civili, non operassero organizzativamente
e funzionalmente in modo diverso e non avessero una distribuzione territoriale a
macchia di leopardo in tutta l’Europa. Inoltre non si considera che nei vari paesi le
corporazioni avevano nomi diversi e che spesso, come in Gran Bretagna (Inghilterra,
Scozia, Irlanda) si usava la stessa denominazione per realtà associative diverse,
accomunando ad esempio le corporazioni alle confraternite. È da dire però che una
conoscenza dei nomi delle corporazioni, sempre connessi all’attività svolta, rileva la
differenza dalle confraternite denominate da un riferimento prettamente religioso, un
luogo di culto, un santo o un elemento trinitario. Operando per applicazione del post
hoc, ergo ante hoc si giunge paradossalmente a ignorare la discontinuità della realtà
corporativa nel corso della storia e anche ogni analisi sulla situazione di profonda
crisi istituzionale ed economica delle corporazioni nel Seicento coincidente con il
sorgere delle prime logge non operative. Una tesi di continuità storico-sociale e
spirituale (sic) che non spiega perché in una situazione generalizzata di crisi
continentale delle corporazioni solo in Scozia e Inghilterra ci sarebbe stata tale
continuità. Si potrebbe affermare con una certa attendibilità che le logge massoniche
non sono effetto diretto delle corporazioni, ma furono la risposta “socioculturale” a
più complessi fenomeni tra cui la dissoluzione della funzione civile ed economica
delle stesse corporazioni.
Nel XVII secolo le mutate condizioni economiche delle nazioni europee videro per
più motivi decadere l’importanza delle corporazioni di mestiere. Questo fu un secolo
di grave crisi generale dovuta a plurimi fattori che da singolarmente non giustificano
le gravi problematiche generali ma la cui interazione ebbe sinergici risultati negativi.
Strutturalmente tali fattori furono: la diminuzione del volume degli scambi
commerciali internazionali per problemi locali, la regressione della produzione
agricola, le numerose guerre locali con il conseguente improvviso arresto
dell'incremento demografico, il ristagno dello sviluppo tecnologico e tutta una
numerosa serie di altri fattori minori sia strutturali sia sovrastrutturali.
Riprendendo il tema della segretezza, così
importante in ambito massonico, con il passare
del tempo, dal XVI secolo in poi, conservare il
segreto sulle tecnologie era un’impresa difficile
da realizzare; lo sviluppo scientifico faceva
comprendere, a chi aveva istruzione ed
esperienze professionali adeguate, i principî
tecnici un tempo gelosamente conservati;
ormai era possibile dal manufatto compiuto
Cattedrale di Siviglia risalire ai suoi principî costruttivo-teorici. Ciò
che però più importa è che le singole
professionalità da sole non potevano sopravvivere e con acume imprenditoriale le
corporazioni e le gilde si coalizzarono in strutture più ampie rispetto alla corporazione
del singolo mestiere. Se una volta nella costruzione di un grande edificio civile o
religioso venivano coinvolte molte corporazioni, quelle della muratoria della
carpenteria degli scultori e pittori dei fabbri vetrai ebanisti e tanti altri ancora, in
questa nuova realtà socioeconomica ognuna da sola vedeva ridursi drasticamente
le possibilità operative ed economiche. La soluzione fu obbligata: accorparsi in
strutture organizzative più ampie comprendenti plurime specializzazioni per ottenere
contratti e appalti vantaggiosi per tutti, assicurando così un’opera completa senza
dover costringere il committente a contrattare con
diverse corporazioni e subire il ricatto del “senza di
noi e alle nostre condizioni non finisci l’opera”. I
committenti ben consapevoli di avere finalmente una
capacità contrattuale maggiore davanti alle
corporazioni favorirono, sotto i plurimi aspetti della
giurisprudenza, della legislazione e della prassi
operativa, l’indirizzarsi ai risultati piuttosto che alle
modalità di raggiungimento dei risultati. La
competizione per il mercato degli appalti e la Cattedrale di Granada
conseguente razionalizzazione operativa misero in
secondo piano gli aspetti sovrastrutturali dell’operatività per cui all’efficacia si affiancò
con prepotenza l’efficienza e le costruzioni di grandi opere non durarono più alcuni
secoli ma pochi decenni. Efficacia ed efficienza tecnico-organizzativa fecero sì che i
legami con la storia e la cultura antica così come i riferimenti a simbolismi e misticismi
di varie matrici esoteriche assumessero delle modalità formali che miravano
all’estetica piuttosto che alla pedagogia del cittadino o del fedele e ciò è ben visibile
ad esempio nella facciata della cattedrale di Granada e nella successiva cattedrale
spagnola dei costruttori Churriguera di Siviglia. La sostanza si fece “invisibile”,
coperta da sovrastrutture grondanti la formalità “visibile” del tardo barocco e del
rococò che invase anche lo stile iconografico massonico. Neppure si può tralasciare
il fatto che certe conoscenze esoteriche come la cabalistica, portate a conoscenza
in Europa e specialmente in Italia dalla diaspora dei cabalisti ebrei dopo il 1492, ma
ugualmente tante conoscenze ermetiche, astrologiche, magiche non facevano parte
delle sapienze generali dei membri delle corporazioni essendo scritte in lingue come
il greco o l’arabo ignote alla massa della gente del Medioevo e conosciute solo a
ristretti circoli di clerici. Si deve arrivare al XVI secolo perché con le traduzioni di
Ficino e Pico della Mirandola queste conoscenze si allarghino a circoli più vasti. È
dunque difficile pensare, ancora una volta, che nelle corporazioni anteriori al XV
secolo si avessero nozioni esoteriche ben definite ma solo vaghe e frammentarie
informazioni introdotte da persone che avevano rapporti di vario tipo con paesi
lontani. Ma alla fine di questo secolo le situazioni economiche sociali e culturali,
comprese quelle religiose, cambiarono drasticamente.

Scienza e tecnica nel Basso Medioevo


Per le residuali corporazioni di mestiere seicentesche l’obiettivo contrattuale da
realizzare s’impose nei termini di una diversa tempistica realizzativa nel senso che
la possibilità di usufruire del risultato il prima possibile obbligava a una diversa
organizzazione del lavoro. Se prima l’intervento di una specializzazione veniva
condizionato da quello di altre specializzazioni da contrattualizzare nel corso
dell’opera, oramai si chiede alla stessa impresa (corporazione pluridimensionata di
mestieri) di assicurare nei tempi dovuti il risultato. Le nuove corporazioni di accorpati
mestieri potevano assicurare le richieste dei committenti che operavano per i più
disparati motivi alla realizzazione delle stringenti contingenze di un potere politico
molto variabile nello spazio e anche nel tempo, un potere ansioso di tramandarsi
prima di scomparire dalla faccia della politica e della storia.
Le normative interne medioevali di tipo esclusivistico con gli osteggiati ritualismi
religiosi, la logica aristotelica della pervadente gerarchia onnisciente in ogni ambito
dell’attività umana profana e spirituale si sfaldarono. Ora le professionalità individuali
rivendicavano la propria specificità, apponendo anche il nome dell’autore e l’anno di
realizzazione sulle opere e si videro sorgere le prime forme di socialità professionale
che prefigurano le future Trade Unions o sindacati. Le corporazioni non soddisfano
più i bisogni di affermazione professionale dei molti che non volevano aspettare i
lunghi tempi di passaggio da una categoria di professionalità a una superiore. Nel
Seicento ormai le opere sono firmate dal progettista o architetto e non più
anonimamente dalla corporazione. Pensare che l’anonimato della progettazione e
realizzazione abbia un significato di sacralizzazione opposta alla secolarizzazione
ovviamente non avrebbe senso, era solo il segno di tempi passati quando l’opera era
frutto di un’intera collettività e nella quale il singolo, architetto o manovale, non aveva
un suo personalistico significato socioculturale, tempo nel quale il singolo
s’identificava in una compagine sociale. In questa nuova epoca l’unica rimanenza
storica era il committente non in forma di personaggi storicamente definibili ma di
gruppi sociali operanti pubblicamente, per cui alla fine chi datava e significava l’opera
era il committente e non il realizzatore (corporazione), anche se per gli storici dell’arte
prioritario rimane il nome del progettista.
Dopo la fine del Medioevo le
conoscenze tecnologiche si
svilupparono rapidamente con
caratteri di “scientificità” che erano
riservati a pochi geniali personaggi.
Si fece avanti la figura del
realizzatore dell’opera che
imprimeva sull’opera stessa il
marchio della sua individualità
artistica e tecnica. Il Maestro come
figura intellettuale s’impose non
solo sul committente ma anche sull’intera collettività di operativi realizzatori
dell’opera, collettività che non identificava se stessa ma si rappresentava in un
magistrale individuo. A livello di attività costruttiva si tramanda il nome dell’architetto
ma non i nomi di decine di maestri delle tante specializzazioni che avevano
contribuito complessivamente all’opera. Esempio noto fu la costruzione della
cattedrale di Saint Paul di Londra di cui si sa molto del suo architetto, Christopher
Wren, ma poco o nulla della corporazione che la realizzò e dei suoi capimastri. Erano
i primi timidi passi costitutivi delle libere professioni.
Il fenomeno corporativo non può essere strappato dal contesto sociale, giuridico,
politico e culturale, per cui deve essere contestualizzato nelle situazioni di
macroeconomia e ; questa situazione di crisi di un passato in disgregazione appare
proprio con il sorgere del XVII secolo impregnato di problematiche non risolvibili con
gli schemi solutivi dei secoli passati e quindi con la crisi delle funzioni
socioeconomiche delle corporazioni.
D’altra parte poiché la Massoneria nasce in Inghilterra è al contesto dei territori
britannici (Inghilterra Scozia e Irlanda) che si deve guardare. Il XVII secolo è
drammatico: guerre e devastazioni delle campagne, con l’afflusso delle popolazioni
agricole nei più grossi centri abitati, in condizioni miserrime, favorirono le pestilenze.
La popolazione decrebbe drasticamente e così la manodopera 57. Le guerre di
religione nel XVI e XVII secolo distrussero le prosperose comunità monastiche,
principali comandatarie di grandi opere edili. Gli altri grandi comandatari, le corti reali
e nobiliari, dissipate le risorse economiche ridussero drasticamente gli investimenti
in rilevanti opere edili. Le corporazioni muratorie per mancanza di manodopera e di
commesse furono quelle che subirono la crisi maggiore. Con logica imprenditoriale
si mutarono in corporazioni multi-mestiere, come sopra detto, ma la crisi era
irreversibile, l’economia cambiava e l’imprenditoria si voltò verso la privatizzazione
non-corporativa. Incominciò a svilupparsi la borghesia imprenditoriale privata
affianco a quella finanziaria, commerciale e professionale. In tutto questo processo
abbastanza rapido la crisi non ebbe certo la caratteristica della decadenza spirituale,
la cosiddetta secolarizzazione. Le corporazioni muratorie si dedicarono
principalmente alle commesse civili, ricostruzioni di quartieri cittadini ed edifici
pubblici, costruzioni ove architetti e capimastri avevano pochi spazi d’espressione

57 Solo nei decenni a cavallo del 1600 e 1700 il processo s’invertì con un forte aumento demografico, la
ripopolazione delle campagne e l’incremento e miglioramento della produzione agricola e il conseguente
aumento del valore dei terreni e delle rendite fondiarie, lo sviluppo della produzione industriale e l’incremento
degli scambi commerciali interni ed esteri.
delle loro eventuali conoscenze mistiche ed esoteriche e ancor meno spirituali.
Puntando l’attenzione sulle corporazioni muratorie, riferendosi all’interessante
seppure tradizionalista testo di Thomas Carr (1911)58 sappiamo che in Gran
Bretagna fin dall’inizio del XVII secolo i cosiddetti “muratori” erano distinti in molte
categorie connesse al loro pratico operare. Principalmente c’erano i Free Mason,
membri effettivi della corporazione e poi altre specializzazioni utilizzate su comanda
e organizzate separatamente: i Wallers (costruttori di mura principalmente di
fortificazioni in pietra), gli Slaters (costruttori di tetti, in genere di ardesia), i Paviors
(costruttori di pavimenti in pietra, marmo o pietre dure), i Plaisteres (stuccatori e
imbianchini presenti a Londra già dal 1501), i Bricklayers (costruttori di mura in
mattoni) i Carpenters (carpentieri o maestri d’ascia). Nel 1604 in Oxford esisteva una
gilda chiamata The Company of Free Masons, Carpenters, Joiners, and Slaters of
the city of Oxford59. In Kendall nel 1667 la 12th Trade Company comprendeva Free
Masons, rough masons (tagliatori di pietre o spaccapietre), wallers, plaisterers,
slaters e carpenters. Sempre T. Carr riporta che nel 1761 in Gatesgate era presente
una curiosa aggregazione, accorpata nella Cosin Bishop of Durham, di varie
specializzazioni operative: Free Mason, Carvers (incisori di prima fattura della pietra),
Stonecutter (scalpellini), Sculptures (scultori), Brickmaker (fabbricanti di mattoni),
Tylers (piastrellisti), Bricklayers (muratori), Glaysiers (vetrai), Penterstainers (pittori
d’interni), Fonders (fonditori in bronzo) Neilers (fabbricanti di chiodi), Pewterers
(peltrai), Plumbers (idraulici), Millwrights (carpentieri di macchinari), Sadlers (sellai),
Bridlers (fabbricanti di briglie per animali), Trunkmakers (tracciatori di delimitazioni)
e Distillers (distillatori), dunque una serie di disparate specializzazioni artigianali e
professionali non necessariamente accomunate dagli stessi progetti operativi.
Ugualmente in Edimburgo erano incorporate nella St. Mary’s Chapel un’altra serie di
diverse specializzazioni, assieme ai Masons (muratori) c’erano i Coopers (bottai), gli
Upholterers (tappezzieri), Bowmakers (allibratori), Slaters, Glasiers, Painters,
Plumbers e Wrights (falegnami). Lo stesso Autore cita una cospicua serie di
aggregazioni di diverse professionalità in corporazioni operative. In termini moderni
si potrebbe dire che le corporazioni si andavano strutturando progressivamente in
Trade Unions o società d’impresa, perdendo tutte le caratteristiche operative e
culturali delle corporazioni di mestiere medioevali per cui non è possibile parlare in
questi non sporadici casi di un generale processo di secolarizzazione, trattandosi di
veri e propri meccanismi di adattamento imprenditoriale a inedite situazioni
economico-produttive. Questi andamenti storico-culturali dimostrano il carattere
fondamentalmente profano, laico, delle corporazioni e nessun documento
attualmente può consentire di parlare di un globale processo di secolarizzazione e di
una perdita dei caratteri spirituali, religiosi e sacrali, partendo da singole situazioni
per generalizzarle a tutta la società medioevale. La perdita dei cosiddetti valori sacrali
ritenuti fondanti di un mestiere non sarebbe allora causa del cambiamento
socioculturale (sovrastruttura in senso marxiano) ma conseguenza inevitabile del
mutamento della struttura sociale di produzione (sempre in senso marxiano). I
cambiamenti sovrastrutturali accompagnano, solidificano, danno spiegazione o
giustificazione, in una parola possono condizionare ma raramente determinano quelli

58Carr Thomas, The Ritual of the Operative Freemasons’, London, 1911


59Questa Company è citata anche da Robert Freke Gould in The Concise History of Freemasonry, Courier
Corporation, 2012, p. 77.
strutturali.

Logge massoniche
Nel XVII secolo inizia una nuova realtà. Le corporazioni di costruttori costituite dai
free-stone masons continuano le loro attività ma affianco si creano gruppi che
contraggono la generica definizione in free-masons e che non appartengono
operativamente alle corporazioni. L’uso dell’aggettivo free è principalmente
proveniente, nel Medioevo britannico, dalla esistenza di persone che, non essendo
servi o schiavi ma liberi, si aggregavano in forme associative dai differenti scopi e
anche coloro che avevano attività prettamente civili distinte da quelle corporative.
Dai rari dati documentali è più facile supporre che lateralmente alle corporazioni
fossero stati realizzate delle associazioni di influenti personaggi del mondo civile non
operativo che fiancheggiavano le corporazioni stesse dando ad esse un crisma di
maggiore significazione sociale di quanto potessero dare le confraternite dedite ad
attività solidaristico-religioso. Tipico in epoca più moderna, nei primi del Settecento
fu la figura di Christopher Wren, architetto inglese della
cattedrale di Saint Paul che apparteneva a un’associazione
legata alla corporazione di muratori di Londra senza esse
membro della corporazione, infatti il suo incarico di progettista
della cattedrale non gli fu affidato dalla corporazione ma dalla
municipalità londinese e sotto controllo ecclesiastico. Si
potrebbe allora avanzare una tesi oggi non facilmente
dimostrabile che nel quadro di una decadenza dell’importanza
politica, sociale ed economica delle corporazioni le
organizzazioni parallele e di supporto alle corporazioni
Sir Christopher Wren avessero assunto maggiore rilevanza anche per i componenti
di rango elevato che le costituivano e che si fossero strutturate
via via in forme organizzative con il carattere di logge massoniche nelle quali i membri
non erano operativi. È una tesi che può trovare un certo conforto nel fatto che i
membri operativi delle corporazioni presenti in tali strutture fossero una esigua
minoranza rispetto ai non operativi. A questi ultimi per distinguerli dagli operativi si
adottò la definizione di adopted o accepted, probabilmente per mantenere uno stretto
legame con la corporazione d’adozione ma dichiarandone la loro non appartenenza.
Si aggiunge un altro termine importante, quello di free, libero. Un termine pure ripreso
dalla tradizione storica delle corporazioni medioevali, ma con diverso significato. Non
è più il lavoratore che non è legato da un rapporto di servaggio o di schiavitù con un
padrone essendo membro di corporazione ma è colui che non appartiene a nessuna
istituzione artigiana o professionale (Métier o Craft), che opera individualmente con
un’impresa a carattere familiare. Allo stesso tempo l’aggettivo era assegnato
generalmente agli eruditi, militari, gentiluomini, nobili. Anche in epoche precedenti
non poche in Scozia erano le gilde che ammettevano dei freemen, operatori
indipendenti o semplici cittadini, e a questa tradizione probabilmente si può
addebitare nelle prime logge massoniche seicentesche scozzesi la presenza di
membri non operativi60.

60Nel 1611 fu costituita una gilda di mercanti in Alnwick (Northumberland) della quale potevano essere
ammessi anche i freemen, presumibilmente degli operatori indipendenti. Cfr. Tom Hoffman Guilds and Related
Organisations in Great Britain and Ireland, Bozza, 2011, p. 3. La stessa cosa avvenne, sempre per regola
Il termine libero in ambito massonico assunse un significato importante quanto quello
di accettato. Senza affrontare la questione linguistica delle diverse
sovrainterpretazioni del lemma libero conseguenti alle modificazioni socioculturali è
da ritrovare il suo significato originale, diverso dalla sovrainterpretazione
socioculturale che fu data tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo.
Originariamente, nell’era medievale, la parola libero non aveva un preciso e
generalizzato senso giuridico, dipendendo dai paesi, dai costumi sociali, dai momenti
storici e dunque determinando una grande variabilità di significati61. La parola quindi
non ha mai avuto nei tempi precedenti le moderne democrazie un significato
socialmente, giuridicamente, legislativamente e infine culturalmente solidificato a
causa della fluidità delle situazioni geopolitiche e socioculturali del Medioevo e delle
epoche successive. Infatti nell’Alto e Basso Medioevo in una stessa ampia regione
linguisticamente e culturalmente definita potevano esiste enclave di cultura lingua e
istituzioni diverse. Le stesse frontiere tra un paese e l’altro non erano definite da un
fiume, catena montuosa o altro, erano ampie regioni dove le culture e le lingue
nonché le istituzioni scorrevano e si mescolavano senza precisa determinazione con
facili mutazioni, cosa ulteriormente complicata dalle invasioni di certi popoli in altre
regioni che comportavano più o meno stabili cambiamenti normativi.
Il concetto di libero in sé non è definibile se non lo si raffronta con altri due, la schiavitù
e il servaggio, concetti derivanti dalle delucidazioni offerte dalle categorie giuridiche
e politiche regionali, per cui la stessa parola, libero servo e schiavo, assumeva diversi
significati, allo stesso tempo le parole servo e schiavo o servo e libero potevano
identificarsi sulla base di locali normative. Infatti lo stesso concetto di servaggio talora
si avvicinava a quello di libero dipendendo dagli obblighi dovuti a un’autorità
superiore; erano quindi gli obblighi dovuti che determinavano le sfumature di
significato, ad esempio il vassallaggio poteva essere considerato una forma di servitù
rispetto al nobile di rango superiore o dell’alto nobile con obblighi di servitù militare
rispetto al re o imperatore. Di conseguenza lo stesso concetto di libertà era
dipendente e condizionato dai maggiori o minori obblighi verso un’autorità superiore,
come a dire che la privazione della libertà era variabile ed erano i tribunali e istituzioni
legislative che dirimevano le controversie terminologiche, al punto che nel 1263 in
Francia il parlamento di Saint Martin d’hiver demandò la condizione servile al
consuetudo patriae [costume del paese], nel senso che ogni villaggio è un paese 62.
In conclusione il concetto di libero è risultante dalla definizione di schiavo e servo e
non il contrario. La variabilità delle obbligazioni in uso determina quindi un’estrema
difficoltà nell’assumere delle definizioni generiche rispetto ai citati termini e la
questione si è trascinata fino al XVIII secolo rilevando le differenze giuridiche e
legislative nei diversi paesi europei63. Ciò ovviamente assume un particolare

cittadina o interna, nelle gilde nel XVI e fino al XVIII secolo in Barnstaple (Devon) e anche in Bishop's Castle
(Shropshire), in Berwick Upon Tweed (Northumberland) ove erano presenti guilds religiose e anche di
mercanti, pellai, menestrelli. Altre ancora specialmente in Scozia.
61 Per queste osservazioni si fa riferimento a Mark Bloch Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, 20095.
62 Sulla condizione di schiavo, servo e libero nel Medioevo si veda March Bloch Liberté et servitude

personnelles au Moyen-âge, particullièrement en France – Contribution à une étude des classes, Mélanges
historiques, 1963, p. 286-355. Lo stesso Autore cita esempi simili in Germania e Inghilterra.
63 Sempre M. Bloch rileva come l’idea di servaggio si espliciti in hommage [ossequio] che implica il

riconoscimento della sudditanza a un potere superiore e il cambiamento anche con modalità ritualistiche delle
formalità di sudditanza. Si veda Bloch Les formes de la rupture de l'hommage dans l'ancien droit féodal,
Mélanges historiques, 1963, p. 189-209.
significato nell’ambito del lessico massonico adottato dalle Constitutions di Anderson
del 1723 nelle quali la parola free-stone masons non appare mai, probabilmente per
distinguere i nuovi massoni dagli operativi delle corporazioni di mestiere.
Oggi per parlare delle prime “logge massoniche” si fa riferimento a certi sodalizi
presenti nei primi del XVII secolo in Scozia. Di alcune di queste logge si hanno notizie
della loro esistenza, dei luoghi e date di riunione, dei nomi e professione dei loro
associati ma nulla di più. Non abbiamo alcuna informazione sui loro rituali iniziatici,
in che cosa questi consistessero, se fossero esoterici e a quali esoterismi si
relazionassero. Unica informazione interessante risultante da rari documenti è che
in certe logge gli associati erano in prevalenza borghesi e nobili di provincia con rara
partecipazione di appartenenti alle residuali corporazioni
muratorie, quasi a supporre che fossero questi ultimi a essere
“accettati” piuttosto che i primi. Le prime date che confermano
l’esistenza di logge massoniche risalgono al 164164 in Scozia
e poi in Inghilterra nel 164665, con la famosa annotazione nel
diario di Elias Ashmole del 1682, dalla quale si deduce che
esisteva a Londra una Masons’s Hall, probabilmente la sede
della corporazione dei muratori di Londra; più interessante è
il fatto, che non sembra abbia attirato l’attenzione degli
studiosi, è che Ashmole non parla di guild ma di lodge (senza
precisare la denominazione) ed è ragionevole supporre che la
Elias Ashmole
loggia a cui si riferisce fosse una organizzazione esterna alla
corporazione ma a essa legata se si riuniva presso la sede corporativa. Si avrebbe
quindi una conferma, se tale ipotesi è plausibile, che la loggia non era un’emanazione
della corporazione o che non era ad essa subordinata, in altre parole che non
sussisteva una filiazione diretta della loggia dalla corporazione.

64 In MQ 11.10.2004 si cita l’affiliazione di Sir Robert Moray il 20 maggio 1641 nella St Mary’s Chapel Lodge
di Edimburgo.
65 Cfr. Conrad Hermann Josten, Elias Ashmole (1617–1692). His Autobiographical and Historical Notes, his

Correspondence, and Other Contemporary Sources Relating to his Life and Work, Clarendon Press, Oxford,
1966, vol. II, pp. 395–396. Nel suo diario Ashmole, trentasei anni dopo [sic], annotava il 10 marzo 1682: «About
5 H: P.M. I received a Sumons to appeare at a Lodge to held the next day, at Masons Hall London» [Circa alle
5 del pomeriggio ho ricevuto una convocazione per essere presente alla Loggia che si terrà il prossimo giorno,
alla Masons Hall di Londra]. Il giorno successivo ancora annota: «11th Accordingly I went & about Noone were
admitted into the fellowship of Freemasons, Sir William Wilson Knight, Capt. Rich: Borchwick, Mr Will:
Woodman, Mr Wm Grey, Mr Samuel Taylour & Mr William Wise. I was the senior Fellow among them (it being
35 years since I was admitted). There were present beside myself the Fellowes after named. Mr Thos: Wise
Mr of the Masons Company this present yeare. Mr Thomas Shorthose, Mr William Hamon, Mr John Thompson,
& Mr Will: Stnaton. We all dyned at the Half Moone Tavern in Cheapside, at a Noble Dinner prepared at the
charge of the New-accepted Masons. » [Alle 11 di conseguenza, ci andai e circa a Mezzodì furono ammessi
nella fratellanza di Massoni, Sir William Wilson Knight, Capt. Rich: Borchwick, Mr Will: Woodman, Mr Wm
Grey, Mr Samuel Taylour & Mr William Wise. Ero il Compagno Anziano (essendo 35 anni da che fui
ammesso)… Pranzammo tutti alla Taverna della Mezza Luna in Cheapeside, ad un Nobile Pranzo predisposto
a spese dei Neo-accettati Massoni]; cfr. Josten 1966, vol. IV, pp. 1699–1701. Il suo diario con il titolo Memoires
of the Life of Elias Ashmole Esq, fu pubblicato nel 1717 a Londra; si veda l’editoriale su Ashmole in MQ
magazine del 11 ottobre 2004.
Nell’ambito della mito-storiografia si è prestata poca attenzione all’opera di
David Stevenson The Origins of Freemasonry: Scotland's Century, 1590-171066.
Stevenson con un’accurata ricerca documentaria ricrea la linea temporale del
processo di passaggio dalle logge operative a quelle speculative, avvenuto prima
della fine del XVII secolo e in Scozia prima che in Inghilterra, contestando le
asserzioni non documentabili della mito-storia massonica antistoricista. Un indirizzo
di “history-fiction” che lascia la strada dei documenti accertati per il sentiero del
possibile e inventato più che dell’immaginabile, un indirizzo di storia virtuale alla
quale si deve riconoscere non poca forza attrattiva. La storia della Massoneria,
osserva Stevenson, non è comprensibile solo nei suoi eventi interni: essa deve
comprendere le relazioni con il contesto dei suoi avvenimenti avvalendosi degli
apporti di altre discipline sociali e umanistiche. La documentazione sulle prime logge
speculative scozzesi del XVII secolo è ampia in Scozia, ma, per lo stesso periodo,
inesistente in Inghilterra. Quando Stevenson riporta che le prime logge create in
Scozia da non-operativi sembra siano state quelle di Canongate Kilwining (1677),
Canongate Leith (1688)67 e Hamilton (1695)68 non sta dicendo che la Massoneria
scozzese nasce alla fine del XVII secolo come altre logge inglesi, ma conferma che
quelle logge erano la conclusione di un processo avviato da tempo. Il merito di
Stevenson è quello di ricollocare la storia della Massoneria dentro la storia dei paesi
Britannici. Egli, parlando di “fasi” della storia della Massoneria (medievale,
rinascimentale e illuminista), identifica la centralità storica scozzese, in implicita
polemica con chi vuole fare una storia delle origini della
Massoneria esclusivamente di marca inglese.
Stevenson riconosce che i primi documenti degli Old
Charges o Old Constitutions muratori sono inglesi e che
non sono diversi da quelli di altre corporazioni; copie
scozzesi appaiono solo intorno nella metà del XVII
secolo. In questi Old Charges appare un accento
speciale alla moralità identificata nella Geometria e nei
richiami ad antiche costruzioni come quelle egizie e il Tempio di Salomone. Questi
richiami però non giustificano una relazione di continuità storica, della quale in Scozia
solo intorno all’inizio del XVII secolo si inizia a parlare. In Inghilterra la presenza di
gentlemen nelle logge appare solo intorno agli anni ’40 del 1600 e c’è da dire che lo
svolgersi del processo di “laicizzazione” delle logge inglesi è ancora oscuro. Allo
stesso tempo, come si è visto, in Scozia e in altri paesi la pratica di ammettere nelle
corporazioni persone non del mestiere (freemen), era abbastanza usuale prima del

66 David Stevenson The Origins of Freemasonry: Scotland's Century, 1590-1710, 1990, p. 207. Cambridge
University Press, Cambridge.
67 In Cannongate, antico sobborgo di Edimburgo erano presenti diverse corporazioni (dodici) raccolte nella

Convenery of Trades of Edinburgh che comprendeva fabbri (presenti già nel 1483), cappellai, tintori, pellai,
pellicciai, macellai, operai costruttori (ai quali si aggiunsero nel 1489 i bottai e nel 1633 i pittori, i fabbricanti di
tegole e quelli di setacci). C’erano poi costruttori edili (Masons) ai quali nel 1633 si aggregarono i costruttori di
archi e volte, i vetrai, i lattonieri e i tappezzieri. Anche presenti erano le guilds di sarti, panettieri, calzolai, orafi
e tessitori. Una gilda di mercanti era operativa nel XV secolo (1403) e il re Giacomo IV di Scozia ne fu membro
nel 1505, una presenza che dava grande prestigio alla gilda. Essa riordinò il proprio statuto, garantito dal re
Carlo II, nel 1691 ammettendo cittadini non mercanti. Cfr. Tom Hoffman Guilds and Related Organisations in
Great Britain and Ireland, Bozza, 2011, p. 253.
68 Cfr. David Stevenson The Origins of Freemasonry: Scotland's Century, 1590-1710, 1990, p. 207. Cambridge

University Press, Cambridge.


XVII secolo. La fase dell’influenza scozzese sulla protomassoneria inglese termina
alla fine del XVII secolo, quando nuovi stimoli intellettuali e culturali coinvolsero le
logge sia scozzesi sia inglesi, il razionalismo illuministico innanzitutto, e la
Massoneria prese un nuovo indirizzo. Stevenson rivendica al movimento massonico
scozzese un preciso e documentabile elenco di primogeniture delle manifestazioni o
aspetti che poi caratterizzeranno la Massoneria moderna:
- L’antico uso della parola 'lodge' nel senso massonico moderno, e che tali istituzioni
permanenti esistevano già
- Le minute di antichi libri ufficiali, e altre registrazioni di tali logge
- I primi tentativi delle logge di organizzarsi a livello nazionale
- I primi esempi di associazione alle logge di 'non-operativi' (persone che non erano muratori
operativi)
- Antiche evidenze di collegamento delle logge massoniche con specifiche idee etiche
espresse con l'uso di simboli
- Le prima testimonianze che segnalano che la massoneria è considerata come nefasta o
cospirativa
- I primi riferimenti al Masonic Word (Mondo Massonico)
- I primi “catechismi massonici” che espongono la Parola Massonica e descrivono le
cerimonie di iniziazione
- La prima apparizione dell'uso dei due gradi o dei gradi all'interno della Massoneria
- L’inizio dell’uso dei termini “apprendista entrato” e “compagno di mestiere” per questi gradi
- La prima testimonianza (all'interno della Loggia di Edimburgo) dell'emergere di un terzo
grado creato, per quanto riguarda i termini alternativi di compagno e maestro per lo stesso
grado, come rimando a gradi separati (o almeno di status)69.

Stevenson riconosce al tempo stesso diversi primati alla Massoneria inglese:


- Le prime copie degli Old Charges (non si conosce alcuna copia scozzese precedente alla
metà del XVII secolo)
- L'impiego molto diffuso della parola 'freemason', e l'uso del termine “Massone accettato”
- La prima loggia composta interamente di "non-operativi” (che può essere interpretata nel
senso di come fosse la Massoneria inglese, molto più di quella scozzese, una creazione
artificiale, e non qualcosa che nasceva esternamente dalle conoscenze e dalle istituzioni
dei lavoratori della pietra)
- La prima Gran Loggia70.

69 Scrive David Stevenson (p.7):


«Earliest use of the word 'lodge' in the modern masonic sense, and evidence that such permanent institutions
exist
Earliest official minute books and other records of such lodges
Earliest attempts at organising lodges at a national level
Earliest examples of 'non-operatives' (men who were not working stonemasons) joining lodges
Earliest examples of 'non-operatives' (men who were not working stonemasons) joining lodges
Earliest evidence connecting lodge masonry with specific ethical ideas expounded by use of symbols
Earliest evidence indicating that some regarded masonry as sinister or conspiratorial
Earliest references to the Mason Word
Earliest 'masonic catechisms' expounding the Mason Word and describing initiation ceremonies
Earliest evidence of the use of two degrees or grades within masonry
Earliest use of the terms 'entered apprentice' and 'fellow craft' for these grades
Earliest evidence (within the Lodge of Edinburgh) of the emergence of a third grade, created by a move towards
regarding fellow craft and master not as alternative terms for the same grade but as referring to separate
grades (or at least status)».
70 Ibidem p. 8:

«Earliest copies of the Old Charges (no Scottish copies are known which pre-date the mid seventeenth
century)
Widespread use of the word 'freemason', and use of the term 'accepted mason'
I muratori operativi in Scozia, ma c’è da dire anche in altri paesi, non differivano dagli
altri artigiani, però rispetto ai membri delle altre corporazioni e gilde proprio per la
loro attività potevano spostarsi da una regione all’altra con una certa libertà per nuovi
lavori. Sconcertante è il fatto che dal 1590 la corporazione fu l’unica, nel mondo
corporativo, a emergere per il suo sviluppo. È in
questo periodo che affiora l’importanza di William
Schaw, Maestro Reale dei Lavori (King's Maister o’
Wark)71. Stevenson riporta che Schaw emanò nel
1598 un codice di regole sull’organizzazione e
l’amministrazione dei muratori, seguito nel 1599 da
Firma di William Schaw sul secondo un secondo codice nel quale sono citate la Kilwinning
Statuto come "maister of wark" Lodge e le Logge di Edimburgh e Stirling; quella di
(maestro dei lavori) e "wairden of St. Andrew’s è menzionata in una minuta della loggia
the maisons” (guardiano dei
muratori) di Edimburgh. È in quegli anni (1600-1601) che
Schaw conferma come protettore della muratoria72
William Sinclair di Roslin, discendente di William 1°
conte di Caithness della famiglia normanno-scozzese
dei Sinclair, che fece edificare la famosa Chapel of
Rosslynd nella metà del XV secolo73.
Non si sa nulla dei segreti delle logge seicentesche, nei
documenti e minute di loggia ovviamente non si
riportano cose riservate e questo, come osserva
Stevenson74, crea non pochi problemi agli storici.
Tuttavia sono ben note le presenze di non operativi (freemen) in queste logge e si è
visto che tale pratica era abbastanza frequente in tante corporazioni e gilde europee
medievali in epoca media e alta. Neppure si hanno informazioni sul loro modo di
operare e definirle iniziatiche ed esoteriche è solo una supposizione. Altro mistero
sono le relazioni tra queste logge, che non potevano non esserci, anche se
probabilmente non assumevano le forme che si realizzarono nell’epoca del
cosmopolitismo massonico settecentesco.
Le domande di David Stevenson sono innanzitutto: «What were the secrets and
rituals of the operative masons and how had they acquired them?» [Quali erano i

Earliest lodge composed entirely of 'non-operatives' (which can be interpreted as indicating how English
masonry was, much more than Scottish, an artificial creation, not something that grew out of the beliefs and
institutions of working stonemasons). The earliest grand lodge».
71 Gordon Donaldson in Register of the Privy Seal of Scotland, 1581–1584, Scottish Record Office, 1982, vol.

8, pp. 276–277 no. 1676 riporta le funzioni di Schaw: «Grit maister of wark of all and sindrie his hienes palaceis,
biggingis and reparationis, – and greit oversear, directour and commander of quhatsumevir police devysit or
to be devysit for our soverane lordis behuif and plessur.' or, in current words; 'Great master of work of all and
sundry his highness' palaces, building works and repairs, – and great overseer, director and commander of
whatsoever policy devised or to be devised for our sovereign lord's behalf and pleasure».
72 Con atto del notaio Laurentius Robertson.
73 La cappella Roslin è un altro dei contestabili miti massonici che vorrebbero legare la famiglia Sinclair con i

Templari. In effetti le cronache riportano che un William Sinclair, Barone of Roslin e padre del Principe Henry
Sinclair morì nel 1358 in Lituania in una battaglia condotta dai cavalieri teutonici, ma non templari. La cappella
fu risparmiata da Cromwell ma sembra sia stata utilizzata come stalla dalle sue truppe. Essa fu restaurata da
James Sinclair nel 1736. È più probabile che il loculo ove appare una statua di cavaliere crociato con un angelo
sia un tributo all’antenato morto in Lituania, piuttosto che una dichiarazione di legame con i Templari.
74 Cfr. David Stevenson The Origins of Freemasonry: Scotland's Century, 1590-1710, 1990, p. 9.
segreti e i rituali dei muratori operativi e come li acquisivano?] e poi: «Why did men
who were not stonemasons wish to participate in the activities and secrets of the
stonemasons, and what sort of men were these non-stonemasons who joined
lodges?» [perché degli uomini che non erano lavoranti della pietra volevano
partecipare alle attività e ai segreti di quei lavoranti, e che tipo di uomini erano questi
non-lavoranti della pietra che volevano aderire alle logge?]. Alla prima domanda non
si può rispondere mancando le informazioni sui rituali e i cosiddetti segreti della
muratoria. Le corporazioni come si è visto non erano gruppi iniziatici e mancano dati
per affermare che svolgessero attività esoteriche, dunque i segreti erano
eventualmente segreti industriali e, se di segreti industriali si può parlare, questi
erano acquisiti non tramite speciali formule iniziatiche o esoteriche ma con
l’esperienza lavorativa e sotto la guida dei più esperti. Le tecniche costruttive più
complesse non erano alla portata di tutti, solo le rare persone istruite non clerici
potevano averle studiate ed elaborate. Ma allo stesso tempo c’è da dire che non
esisteva una scienza dell’architettura e dell’ingegneria, le metodiche costruttive
erano il prodotto dell’esperienza empirica, della coscienza degli errori fatti
precedentemente e dell’intelligenza e razionalità nel trovare le giuste soluzioni a
quegli errori. Quanto più sofisticato era questo procedere empirico, tanto più l’arte
del costruire si perfezionava. Dire “arte del costruire” è antitetico a “scienza del
costruire”; il metodo e le teorie verificate e ripetibili fondano la scienza e questa nel
Medioevo non esisteva. Esperienza, memoria tecnica, intelletto e ragione sono il
bagaglio conoscitivo dell’artista e infatti all’attività costruttiva si dava la definizione di
“arte” e poiché questa era applicata a importanti opere civili, militari e religiose,
sempre sotto la protezione delle più elevate cariche civili ed ecclesiastiche, diventava
“Arte Regia”, un modo di definirla che fu adottato anche nelle logge massoniche. Tra
autorità civili-religiose e corporazioni, non potendo fare a meno le une delle altre, si
era stabilito un patto di reciproco riconoscimento: come si è sopra accennato, il
potere civile cedeva alla corporazione molte sue prerogative, facendone quasi uno
Stato nello Stato, in cambio della garanzia della continuità dei cantieri e della pace
sociale.
Dunque la segretezza poteva avere senso solo per motivi di concorrenza tra
corporazioni ma, poiché si sa che i maestri muratori si spostavano in diverse regioni
lavorando per altre corporazioni, anche questa segretezza non era vera segretezza.
I rituali erano quasi certamente delle cerimonie finalizzate a impegnare il nuovo
lavorante a rispettare le regole della corporazione e i suoi compagni di lavoro e per
risolvere le problematiche che fossero sorte a non rivolgersi ad altra autorità che non
fosse il direttivo della corporazione; in cambio la corporazione s’impegnava a
garantire il lavoro e un compenso adeguato alle sue capacità, l’assistenza a lui e alla
famiglia in caso di bisogno e, in certe corporazioni, specialmente di commercianti,
che in caso di decesso la moglie lo avrebbe sostituito dentro la corporazione. Questi
patti erano molto impegnativi e sicuramente venivano svolti con adeguata
cerimonialità e un minimo di ritualizzazione propria di ogni corporazione.
C’è un’altra domanda da porsi: se le corporazioni fossero state iniziatiche ed
esoteriche, con richiami diretti a conoscenze e pratiche pagane, come ciò poteva
essere ammesso e concesso in un’epoca di assolutismo teologico, quando la Chiesa
interveniva con un capillare controllo sociale e con ferrea intransigenza contro ogni
forma di conservazione delle pratiche pagane? Qualcuno potrebbe rispondere che
queste pratiche esoterico-magiche erano il segreto delle corporazioni, ma è una
risposta che discende dal presupposto non dimostrabile che esistessero tali pratiche
ed è difficile credere che in tutte le regioni europee e in tutte le corporazioni di
mestiere un tale segreto si sia mantenuto per molti secoli senza che qualche
informazione potesse trapelare.
Con sottile ironia Stevenson rileva un certo snobismo nell’assegnare ai muratori di
cantiere «the work of respectable, educated gentlemen» [il lavoro di rispettabili, colti
signori]. L’Autore con accuratezza
semiologica osserva che ci sono dei limiti
alle interpretazioni possibili. Stevenson è
radicale e provocatorio quando
perentoriamente osserva che la
distinzione tra operativi e speculativi
vuole distinguere due fasi storiche: come
dice l’Autore, questa è una definizione (di
speculativi) molto bizzarra, che
sopravvaluta le differenze di status
sociale quando sostiene che la
La loggia Canongate Kilwining conferisce la laurea Massoneria moderna è iniziata allorché i
di poeta a Robert Burns
gentlemen entrarono nelle logge
operative. Di modo che la Massoneria sarebbe definita dal rango (rank) delle persone
che svolgono certe attività, e non dalle attività stesse75.
Osserviamo che la massoneria all’inizio del XVIII secolo usciva dalla segretezza delle
logge seicentesche e si collocava apertamente nella società, configurandosi come
associazione di carattere civile (Gran Loggia), in quanto immersa nella concretezza
sociale e culturale contingente e i cui membri dovevano avere una rilevante posizione
sociale. Ciò è bene evidenziato dalle liste di membri della Premier Grand Lodge nelle
quali tra i primi Gran Ufficiali figuravano in maggioranza i gentlemen (librai, scienziati,
eruditi), ma molto presto a questi si aggiunsero specialmente nelle alte cariche
esponenti della nobiltà e della ricca borghesia e di importanti intellettuali.
Le dichiarazioni da parte delle nuove logge massoniche di benevolenza e di altri
rapporti diretti con la collettività civile si emancipa però dalle sociali prescrizioni di
cultura religiosa delle precedenti epoche e di quel momento, e questo è certamente
una novità culturale. I fondatori erano persone abbastanza spesso aderenti alle
forme di religiosità sia deista sia latitudinaria, ma in un insieme abbastanza confuso
di tensioni anglicane, episcopali e di altri riformismi religiosi, nonché cattolici. Ciò che
comunque surrettiziamente unificava le diverse posizioni era l’idea di una “morale
universale" che si distaccava dalle specifiche espressioni morali delle tante chiese;
anche erano presenti e non rare le menti culturalmente operanti, come i libertini colti
e gli atei illuminati.
Questo mescolamento di aspettative religiose e anche politiche, tutte tese a rompere
con le sanguinose guerre di religione, diede luogo all’elaborazione non di una
generica spiritualità ma a una idea di morale universale dell’uomo che si esplicitò nel
primo articolo delle Constitutions of Free Masons del 1723.
La prima spiritualità massonica non aveva valenze strettamente religiose, era

75 «That would make the rank of a person doing certain things, not the things themselves, define
freemasonry.» Ibidem p. 12.
connessa alle nuove idee sorte dalla disillusione che la religione e la spiritualità
chiesastica potesse risolvere i problemi umani contingenti, elaborando nuovi modi di
interpretare il mondo, la natura e l’uomo in una chiave fondata sulla morale piuttosto
che sulla fede. I primi massoni volevano realizzare un’umanità nuova e più elevata
nell’oggi senza rimandare all’aldilà e questa era la loro idea di “progresso” umano.
Una sorta di rivoluzione culturale che laicizzava la tradizione di formale religiosità
delle corporazioni medioevali e gli stessi richiami alla Bibbia avevano il senso
allegorico di un modo di pensare e di agire estraneo alla religione codificata, perché
sempre nel primo articolo è esplicito il fatto che le religioni sono fenomeni legati alle
singole realtà sociali che tendono a imporle a tutti, violando la libertà di coscienza. Si
potrebbe allora affermare che le prime logge massoniche furono la prima forma di
laicizzazione, poiché si separava l’associazionismo massonico da ogni forma di
confessionalità religiosa e la laicizzazione non è la secolarizzazione.
Esistono documenti inglesi e anche scozzesi della fine del XVII secolo che
descrivono, anche in forma catechistica, certe ritualità che venivano svolte in alcune
logge. Unica osservazione da fare è che esse non rispecchiavano in alcuna forma le
corporazioni medioevali se non per qualche aspetto allegorico come l’adozione di
certi strumenti ritualistici e simbolici, come gli strumenti usati dai costruttori (squadra,
compasso, livella, scalpello, martello, grembiule di lavoro, ecc.) e la gerarchia interna
dei due gradi di Apprendista e Compagno. Ogni altra caratteristica delle logge
massoniche fu di estrema novità rispetto al passato, un passato che assunse la veste
di richiamo allegorico e non di continuità storica, ma piuttosto di contiguità ideale. La
fine di questa fase storica può essere congegnata con la creazione di un’inedita
struttura organizzativa, la Gran Loggia, che, estremizzando, potrebbe richiamare le
corporazioni dei plurimi mestieri del XVII secolo, quando diverse corporazioni si
federizzarono in un unico organismo.
Dai dati di fatto attualmente conosciuti nei precedenti associazionismi di mestiere
romani o medievali non esistevano rituali iniziatici, ugualmente non si hanno notizie
di pratiche esoteriche ma eventualmente di pratiche a carattere di pubblica religiosità
e di interna cerimonialità istituzionale. Gli stessi ruoli assegnati agli “ufficiali di loggia”
nella Premier Grand Lodge non esistevano in epoche precedenti e le nuove “logge”
non corrispondevano come struttura organizzativa alle corporazioni. Unica
eccezione può essere stata quella dell’uso del termine Waren, Guardiano
Sorvegliante assegnata a Schaw, però allora nel senso di garante davanti all’autorità
pubblica, ruolo diverso da quello delle logge massoniche settecentesche.
La “loggia” nella nuova semantica definiva il gruppo di affiliati, mentre tutti sanno che
originariamente era una struttura edile presente nel cantiere che adempieva alle
funzioni di deposito e di riunione e che estensivamente talora si applicava alla
corporazione.
La parola loggia (sin. in inglese di lodge) nell’inglese del XVII e XVIII secolo aveva il
significato di piccolo edificio o di abitazione del portiere di una casa e il verbo to lodge
era quello di alloggiare, allocare in abitazione temporanea76. Il riferimento nell’ambito

76 Si veda in A complete dictionary of the English language, 1797, By THOMAS SHERIDAN, A.M. the fourth
edition, vol, II, London, pr. for Charles Dilly et al., 1767: « To LODGE, Iodzh'. v. a. To place in a temporary
habitation; to afford a temporary habitation; to place, to plant; to hx, to settle; to place in the memory; to harbour
or cover; to afford place to; to lay flat. - To LODGE, lòdzh'. v. n. To reside, to keep residence; to take
a,temporary habitation; to take up residence at nsight; to lie flat. - LODGE, Iodzh'. f. A small house in a park
or forest; a small house, as the porter's lodge». Si veda anche: An Universal Etymological ENGLISH
del costruire è evidente, la loggia è una costruzione dove riporre qualcosa e riunirsi,
dunque è un termine usato per definire una struttura dalle plurime funzioni all’interno
del cantiere di lavoro. Anche pensando che certi cantieri potevano operare per
decine di anni non si può ritenere che tale struttura fosse parte costitutiva della
corporazione, che svolgeva le sue attività in altre sedi più adeguate e dentro la città.
La loggia era un edificio più o meno stabile nel quale innanzitutto lavoravano i
progettisti dell’edificio preparando i piani costruttivi e dando le direttive operative del
cantiere e gestendo le questioni amministrative più immediate. In essa probabilmente
si svolgevano riunioni tra i capimastri delle plurime attività che necessitavano alla
costruzione dell’edificio. Forse in qualche sua parte venivano anche custodite tutte
quelle strumentazioni specialistiche necessarie ai capimastri e architetti e anche
come archivio della documentazione amministrativa e operativa del cantiere. Alla fine
della costruzione, quando il cantiere veniva chiuso anche la loggia esauriva la sua
funzione. Riferendosi al luogo di riunione dentro i cantieri edili, aveva per i primi
massoni la suggestione di richiamare appunto questo senso di collettività riunita in
uno spazio ristretto e riservato, per uno scopo grandioso e di discussione su questioni
di rilevante importanza e forse questa fu la ragione di fondo della scelta del nome,
dandone un significato simbolico.
Ci sono domande alle quali sembra ci sia ritrosia da parte della massoneria ufficiale
al solo manifestarle. Le logge massoniche operavano in assoluta segretezza,
perché? Non era certo il costume delle corporazioni alle quale si rifacevano. La
risposta che le logge massoniche volessero ripercorrere simbolicamente o
allegoricamente i segreti operativi delle corporazioni è una risposta debole. Perché
svolgevano dei rituali cerimoniali di cui non si ha notizia negli allora conosciuti antichi
statuti corporativi se non verso la fine del XVII secolo? Erano quindi rituali che
nascevano da esigenze interne delle logge massoniche, era il bisogno di darsi una
solidità ideologica? Le risposte non possono che essere ipotetiche. Piuttosto
s’impone una domanda più seria: le prime ritualità delle logge alla fine del XVII secolo
erano veramente ritualità iniziatiche o solo cerimoniali, come lo erano quelle delle
corporazioni? Il concetto di iniziaticità non sembra appartenere alla prima
massoneria speculativa. Nella documentazione conosciuta si parla sempre e solo di
Accepted Free Masons, di accettati e non di iniziati (Initiated). Come dire che il nuovo
massone era accettato nella loggia e non iniziato alla massoneria e comunque
l’eventuale uso del termine Initiated aveva sempre il senso di accettazione77. Questa
è una problematica che ancora deve essere affrontata, quella del significato di
“iniziazione” massonica.
Il fatto che queste logge post-corporative fossero costituite da membri operativi aperti
a estranei non è una novità, come si è visto tale prassi sussisteva già in non pochi
casi sul suolo britannico da molto tempo. Più attendibile sarebbe la tesi che le prime
logge massoniche fossero circoli sussidiari non interni alle corporazioni e non
necessariamente creati dalle stesse corporazioni, ma piuttosto da cittadini di rilievo

DICTIONARY..., Twentieth Edition with considerable Improvements, by N. Bailey, London, 1763: «A LODGE
[loge. P.] a Hut or Apartment for a Porter of a Gate, &c. – To LODGE {loger, F. jelojian, Sax.] to lay up; to take
up Lodging in. - To LODGE [among Hunters] a Buck is faid to lodge, when he goes to Rest. - LOGE, a Lodge,
a Habitation. Chou».
77 Robert Cawdrey nel suo A Table Alphabeticall Of Hard Usual English Words, London, Printed by

I. R. for Edmund Weaver, 1604, definisce «Initiated: to begin, instruct, or enter into» [incominciare, istruire, o
entrare in].
della municipalità o liberi imprenditori e comunque non membri della corporazione o
sotto servitù, dunque freemen. Circoli nei quali si svolgevano varie attività anche di
discussione e studio su materie estranee a quelle tecniche trattate nei cantieri di
costruzione e che le eventuali tematiche scientifiche muratorie come la matematica
e la geometria fossero svolte all’interno di una visione più teoretica e da qui la corretta
denominazione di “logge speculative".

Conclusioni
La nascita della Gran Loggia nel 1717 sancì la definitiva rottura di una supposta
continuità storica tra logge massoniche e corporazioni operative definendo una
struttura organizzativa assolutamente originale con dei rituali innovativi e delle regole
inedite. Unica somiglianza con le corporazioni seicentesche risiede nel fatto che con
la crisi economica del Seicento le corporazioni divennero una sorta di Trade Unions
unificando disparati mestieri e che nei primi del Settecento diverse logge si vollero
federare in un’unica organizzazione.
All’interno di questo tema della continuità storica tra corporazioni romane, medioevali
e logge massoniche c’è un aspetto che meriterebbe un’apposita e più approfondita
trattazione, quello dell’asserita continuità spirituale in chiave esoterica tra i tre diversi
fenomeni. In sintesi, sia le corporazioni romane sia quelle medioevali e le logge
avrebbero svolto un’operatività ritualistica e un pensiero esoterico, che qualcuno
precisa come ermetico-esoterico, di valenza spiritualistica. L’affermazione è
difficilmente documentabile e al momento aspetta di essere. Dunque non sarebbe
questo esoterismo un elemento caratterizzante i due associazionismi di mestiere e
neppure lo sarebbe quello di una generica spiritualità. Non è questa la sede per una
disamina del carattere spirituale degli esoterismi, anche perché la stessa parola
spirituale è troppo generale e di difficile e complessa interpretazione. A loro volta
erano spiritualiste le logge massoniche della prima ora? Anche qui è impossibile dare
una risposta per la mancanza di informazioni, non sapendo neppure se svolgessero
attività esoteriche e di quali forme specifiche di esoterismo. Si sa che singoli massoni
del Settecento s’interessavano e appassionatamente di esoterismi vari, ma questo
non è sufficiente per avvalorare la tesi che le logge del ‘600 e del ‘700 fossero nella
generalità logge esoteriche e si deve arrivare intorno alla metà del XVIII secolo per
osservare una tale generalizzazione. Anche accettando l’argomentazione che
esoterismo e spiritualità s’identifichino la tesi che la massoneria originaria fosse
spiritualista è ancora da dimostrare. È più probabile che il baricentro culturale fosse
la moralità o meglio il tentativo di fondare una moralità slegata dai particolari culti
religiosi allora in forte contrasto tra loro, una moralità quindi più laica e civile che
spirituale.
In merito alle corporazioni medioevali non esistono documenti dall’Alto al Basso
Medioevo che dimostrino che tali corporazioni operassero
sulla base di una spiritualità riferibile in chiave esoterica e
ancor meno ermetica. L’ermetismo in particolare non è un
compiuto corpus teorico come potrebbe essere l’alchimia
o l’astrologia, esso apparve attorno al II secolo d.C. nella
cultura ellenistica e si sviluppò come un insieme intricato
di dottrine mistico-religiose, di astrologia semitica, di
elementi delle filosofie platoniche e pitagoriche, di
religiosità gnostiche e, pare, anche di richiami magici
egizi78. L’interpretazione degli esoterismi e specialmente
quelli ermetici in chiave spirituale-religiosa apparve nel
Rinascimento con il ritrovamento e la traduzione dei testi
esoterici antichi; specialmente nel XIX e XX secolo si
Hermes Trismegistus consolidò una sovrainterpretazione spiritualistica dei testi
ermetici e di altri esoterismi. È difficile provare che le
corporazioni medioevali e in particolare alcuni progettisti/architetti fossero a
conoscenza di questi testi non ancora tradotti in latino.
D’altro canto la vera questione è che manca al moderno concetto di “spiritualità”
massonica un preciso indirizzo e costrutto ermeneutico ed epistemologico e che con
questa parola general-generica si può intendere qualunque aspetto umano che non
sia di concretezza biologica. La cosa fondamentale tuttavia è che tale spiritualità
massonica non è definita in senso iniziatico e dire che essa è esoterica non risolve
la questione, ma crea ulteriore complicazione aggiungendo un termine che
anch’esso deve essere precisato nel suo valore iniziatico-massonico, perché i termini
“spirituale” ed “esoterico” non sono sinonimi e l’uno non qualifica l’altro, così come
“massonico” ed “esoterico”.
Nel linguaggio umano le parole servono a descrivere la realtà, visibile o invisibile,
fisica o metafisica, ma se le parole usate non vengono definite con precisione non si
descrive alcuna realtà.

78Non si conoscono le versioni originali del Corpus Ermeticum, una collezione di scritti ermetico-neoplatonici,
ma solo la traduzione greca risalente al XI secolo per opera del bizantino Michele Costantino Psello. Il suo
testo fu poi acquisito intorno al 1460 da Cosimo dei Medici che lo fece tradurre da Marsilio Ficino in latino.
Isaac Casaubon, nel De rebus sacris et ecclesiasticis del 1614 dimostrò che gli scritti ermetici non erano
anteriori all’epoca ellenistica e dubitò che Ermete sia mai esistito. Tale tesi ermenutica ancora non è stata
confutata.

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