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Uomo forte o leader empatico?

Meglio la
democrazia.
di Lelio Demichelis

Ilvo Diamanti ha cercato con una sorta di interpretazione autentica


di attenuare limpatto mediatico prodotto dallindagine Demos di fine
gennaio, che dimostra quanto sia diffusa, tra gli italiani la domanda di
uomo forte. Un risultato, quello del sondaggio, decisamente
inquietante e preoccupante per chi ha a cuore la democrazia, la libert
e sogna (magari laicamente e kantianamente) persone/individui capaci
di autonomia, ma ben sapendo che lautonomia assoluta non pu
esistere, che sempre relativa, perch si costruisce solamente nella
relazione e nel dialogo con gli altri oltre che con lAltro che il mondo;
e che quindi e conseguentemente sogna di una capacit di
partecipazione attiva e responsabile alla polis, rifuggendo
dalleteronomia/eterodirezione, dal conformismo, dalla servit
volontaria. Invece, ricordava Diamanti, dal 2004 a oggi i sondaggi del
suo Osservatorio Demos ribadiscono questa tendenza crescente, che
raggiunge il suo picco a novembre 2016 (epoca dellultimo sondaggio),
con 8 italiani su 10 favorevoli alluomo forte. Otto su dieci significa
commenta Diamanti - praticamente, (quasi) tutti i cittadini.

Ma la chiosa di Diamanti che qui proveremo a chiosare a nostra volta


- non modifica la realt dei fatti. E la sua distinzione tra autorit e
autoritarismo si scontra con i modelli culturali dominanti;con cento
anni di teoria delle organizzazioni e di psicologia del lavoro;e
soprattutto con tre decenni di neoliberismo pi ordoliberalismo (che
vogliono lautorit del mercato e lautoritarismo della politica per il
buon funzionamento del mercato). Usando ora anche il populismo alla
Trump (luomo forte/imprenditore globale che dice di voler proteggere i
deboli e gli impoveriti dalla crisi, ma che ha unAmministrazione quasi
tutta complesso militare e industriale globale). Trump con il quale la
globalizzazione certo non muore, ma si ristruttura in nazionalismi e in
nuove forme di competizione (divide et impera, per fare grande
lAmerica), con una nuova divisione internazionale del lavoro e del
profitto tecno-capitalista. Daltra parte, la maggioranza del No al
referendum costituzionale del 4 dicembre stato soprattutto contro
Renzi, pi che a favore di questa Costituzione, altrimenti non si
spiegherebbe la contraddizione evidente tra il votare No per difendere
questa Costituzione partecipativa, solidale, democratica, contraria a
ogni potere autocratico, e poi invocare luomo forte, gi ben
rappresentato da Matteo Renzi.
Neoliberismo & ordoliberalismo.

Ma restiamo alla questione, importante, sollevata da Diamanti. Il


neoliberismo e lordoliberalismo (si veda anche il nostro Ordoliberalismo
2.0, sempre in Pensieri lunghi luglio 2016) cercano di costruire, sia pure
con strategie diverse ma convergenti, un uomo nuovo religiosamente
tecno-capitalista e uno Stato sul modello del mercato e dellimpresa. Di
pi: luomoforte/leader economico-leaderpolitico neoliberista
manipolativo nella costruzione del consenso per s (e/o per limpresa),
e comunque tende a cancellare o ridurre il potere della societ civile
(e,nellimpresa, del sindacato), preferendo il rapporto diretto e
personale (divide et impera, ancora) tra s e il popolo(quindi,
populista) o tra s e il lavoratore-individuo (nelle norme contrattuali e
nelle forme sempre pi individualizzate di lavoro, permesse da quel
mezzo potentissimo di connessione/produzione che si chiama
rete/piattaforma) o tra s e la massa dei lavoratori (come Marchionne
ai tempi del referendum a Pomigliano). E dunque, distinguere tra
luomo forte autoritario e la forma apparentemente soft del leader
carismatico, empatico e magari visionario sempre la visione
neoliberista e ordoliberale delluomo nuovo micro-capitalista di se
stesso - non cambia la natura del processo degenerativo della
democrazia.

Autorit o autoritarismo?

Daltra parte, cos lautorit richiamata da Diamanti?Un


termine/concetto scivoloso - come quello di potere e di legittimit -
usato per definire pratiche anche diverse tra loro ( cfr., Mario Stoppino, in
Bobbio, Matteucci, Pasquino, Dizionario di politica, Utet). E scivoloso e
ambiguo soprattutto oggi in tempi di soft power e di biopolitica, ma
anche di pratiche di governance che aggirano il government e
soprattutto il demos sovrano. Pi vicino agli scopi di questa riflessione
ci sembra invece il concetto di autoritarismo (ivi), definendosi autoritari
quei regimi che praticherebbero il comando riducendo lattenzione alla
costruzione del consenso (ipotesi tuttavia non certa, posto che
lautoritarismo pu nascere anche per costruzione del consenso);
parlando poi di personalit autoritaria quando si realizzano due
atteggiamenti psicologici particolari, come la disposizione
allobbedienza e ladulazione per chi detiene la forza o il potere; e di
ideologia autoritaria quando si pone enfasi soprattutto sulla gerarchia.
Autoritarismo dove tuttavia (ancora Mario Stoppino) centrale il
principio di autorit e quindi del comando apodittico e
dellobbedienza incondizionata,nonch la riduzione della
partecipazione dal basso. Ma anche nella leadership, il problema
centrale quello della relazione tra chi guida e chi guidato o si lascia
guidare, quindi anche un problema di forza della leadership e di
debolezza di chi si lascia guidare (Dizionario di politica, cit., voce
Leadership).

Mentre sempre vera la definizione di leader come di colui che,


allinterno di un gruppo, detiene una posizione di potere tale da influire
in misura determinante sulle decisioni di carattere strategico,
esercitando tale potere attivamente, legittimandosi nelle aspettative
del gruppo (ivi) ma sempre, aggiungiamo, a scapito della democrazia
(anche rappresentativa) e della libert dei singoli. Perch cercando la
leadership, come pure luomo forte, il gruppo cede comunque potere e
sovranit e rinuncia ad esercitarlo in prima persona, passando da
cittadino (anche nellimpresa) a quasi-suddito.

La tentazione delluomo forte.

Caratteri che sembrano ben presenti nella tentazione delluomo forte-


leader degli italiani (e degli americani, con Trump e dei russi con Putin,
eccetera), mentre il comando apodittico e lobbedienza incondizionata
sono solo diventate pi liquide e soprattutto brevi rispetto al passato,
ma non per questo meno violente nel loro apparire, pronte a cercare e
poi a consumare velocemente (come per le merci anche qui vi un
processo di invecchiamento psicologico politico) gli uomini forti/leader
del momento, scegliendoli tra ci che offre il mercato (politico, ma
soprattutto economico). Pure la gerarchia che sembrerebbe
impossibile in tempi di rete e di scomposizione/destrutturazione
incessante di tutte le forme gerarchiche non scompare. Tutti
dimenticando quelli che cercano luomo forte o il leader carismatico,
entrambi sempre perfettamente funzionali e coerenti con il sistema -
che il vero uomo forte-leader globale oggi impersonale, perch il
mercato, la tecnica (il tecno-capitalismo come religione, come
teologia e come teleologia), la Silicon Valley (oligopolio e insieme
oligarchia della costruzione dellimmaginario collettivo), perch loro
sono i comandi apodittici (lo chiedono i mercati, bisogna essere
flessibili, occorre adattarsi al cambiamento tecnologico, eccetera) e
nostra lobbedienza incondizionata allo spread, al dover essere
connessi, ai signori del silicio (secondo EvgenyMorozov).

Ma ripartiamo dallinizio. Scrive Diamanti, su la Repubblica del 2


febbraio: L'Uomo Forte, che ottiene tanti consensi fra gli italiani, non
un nuovo Mussolini. Un Duce. Non manifesta una richiesta di
"autoritarismo". Piuttosto: di "autorit". Cio: di una leadership dotata
di legittimit. E aggiunge: Questa domanda, nel corso degli anni, si
progressivamente "personalizzata". Indirizzata sulle persone. Perch i
partiti e le associazioni di rappresentanza hanno perduto i legami con
la societ. Mentre le istituzioni di governo - locale, centrale, e ancor
pi, europee - sono apparse sempre pi lontane. E conclude: Meglio
non stupirsi, allora, se cresce la domanda di un Uomo Forte.
"Autorevole" non "autoritario". Un "leader", non un "dittatore". Che non
significa "populista". Ma lo pu diventare, se non trova risposta nei
partiti. Nelle istituzioni democratiche, nelle organizzazioni di
rappresentanza politica e sociale. Questa societ allergica ai vincoli e
alle regole. Figurarsi se accetterebbe figure troppo "forti". Basta vedere
che fine ha fatto Silvio Berlusconi. Le difficolt che incontra Matteo
Renzi. La "forza" del leader sta nella capacit di dare volto e voce ai
cittadini. In cerca di valori, ma anche di persone in cui riconoscersi. Per
non sentirsi deboli. E disorientati.

Dimenticando tuttavia che proprio in questa ricerca di persone in cui


riconoscersi per non sentirsi soli, sta tutta la debolezza dellindividuo
cos come del demos.

La democratura tecno-capitalista.

E qui, appunto, cominciano i problemi con la tesi di Diamanti, perch


questo uomo forte che non un dittatore ma un leader, che
autorevole ma non autoritario (ma, come visto, le due figure si
sovrappongono sempre, luomo forte un leader, il leader deve essere
un uomo forte, anche se il suo potere sembra esercitato in modo soft,
biopolitico pi che disciplinare), comunque lesito di una ormai
cronica de-socializzazione di tutti e di ciascuno e di svuotamento della
democrazia praticata dal tecno-capitalismo (la nuova democratura,
utilizzando il neologismo di Pedrag Matvejevic, appena scomparso). E
quindi i problemi riguardano anche la figura del leader e della sua
conciliabilit o meno con la democrazia, con lautonomia dei soggetti,
con la loro capacit di partecipazione: che massima se il demos (con
il cittadino) conserva la propria sovranit, che invece minima se il
demos si de-sovranizza mediante una delega al leader, come alluomo
forte in senso tradizionale. Somigliando sempre pi ai liberi servi di cui
parlava Gustavo Zagrebelsky nel suo bellissimo saggio sulla Leggenda
del Grande Inquisitore di Dostoevskij, Leggenda dove, davanti alla
scelta tra due poteri: una del Cristo liberante ma
responsabilizzante; e laltra dellInquisitore assoggettante ma de-
responsabilizzante, gli abitanti di Siviglia scelgono lInquisitore, proprio
perch leader dotato di autorit e di leadership e quindi in grado di
prendersi cura dei bisogni degli abitanti del pane quotidiano, in
opposizione a un Cristo capace solo di promettere un pane celeste.

La richiesta delluomo forte, come del leader in cui riconoscersi per


non sentirsi deboli e disorientati, dunque leffetto diretto e voluto di
incessanti processi di de-socializzazione, di isolamento, di falso
individualismo, di falsa responsabilizzazione individuale, di offerte di
amicizia solo virtuale, di una condivisione finalizzata in realt solo alla
messa al lavoro della vita intera di ciascuno dentro ad un modello iper-
capitalista (e anche la rete iper-capitalista), dove la vita deve
diventare capitale e il capitale si appropria (facendosi forma e norma)
della vita individuale e collettiva. Luomo forte/leader carismatico e
insieme populista (Trump, Putin, Renzi, Grillo, eccetera), la risposta
che il sistema crea dentro di s e per s quando il disorientamento, la
paura, la debolezza esistenziale raggiungono livelli troppo rischiosi per
la tenuta e la riproducibilit del sistema stesso. Attivare
manipolandola - la richiesta dal basso di un uomo forte-leader, una
delle biopolitiche (in termini di compensazione emotiva delle negativit
che ha prodotto) che il sistema pu produrre per attenuare gli effetti
delle sue tanatopolitiche sociali. Garantendo la stabilizzazione e la
riproducibilit del sistema e insieme la normalizzazione di ciascuno,
che si sente accolto e protetto dallo stesso sistema che lo ha indebolito
e impoverito. Usando Michel Foucault e la sua analisi sulla nascita del
potere moderno (in Sicurezza, territorio, popolazione e Nascita della
biopolitica entrambi Feltrinelli), luomo forte cos come il leader
carismatico sono forme anchesse del vecchio potere pastorale
cristiano delle origini, che appunto Foucault considera come il
paradigma del potere moderno. Potere di un pastore che guida il
gregge, che il gregge riconosce come suo pastore e in cui si riconosce
e da cui cerca protezione, il pastore occupandosi (consolando,
tranquillizzando, accudendo, prendendosi cura) di tutti e di ciascuno e
soprattutto delle anime smarrite o inquiete, riportando ordine nel
sistema.

Limpresa e/o la democrazia.

Daltra parte, se il modello di societ quello dellimpresa, allora per


capire cosa sta accadendo bisogna guardare non solo alla scienza
politica, ma soprattutto a un buon manuale di management delle
risorse umane: perch se lo Stato unimpresa noi siamo diventati
allora le sue risorse umane (e governati come delle risorse umane) e
non pi cittadini; se limpresa il modello, allora limprenditore o il
manager e il leader politico (e il modo con cui gestiscono le risorse
umane), non possono che essere congrui e coerenti con il modello.
Certo, anche il manager e limprenditore sono cambiati, limpresa non
pi la caserma che era la Fiat negli anni 50 e 60, oggi limpresa si
considera come una virtuosa comunit di lavoro, monistica se non
monastica, olistica, armonica, senza conflitto (da portare a zero,
secondo il toyotismo e la produzione snella) e dove il lavoro non pi
una prestazione in cambio di un salario (con il costo umano
dellalienazione, tuttavia ancora garantendo una separazione tra tempi
di vita e tempi di lavoro), ma una collaborazione con limpresa come
scriveva gi quarantanni fa il filosofo della tecnica Gnther Anders ( ne
Luomo antiquato, Bollati Boringhieri, 2003, vol. II) . Una collaborazione
che ovviamente diversa, nella percezione che crea, da una semplice
prestazione e che maschera (producendo la massima integrazione
possibile del singolo nellorganizzazione), ma non elimina lalienazione
- perch nessun dipendente indipendente, nessun lavoratore
uberizzato o della conoscenza, nessun co-worker e nessuno
smartworker veramente padrone dei mezzi di produzione e del
prodotto del suo lavoro soprattutto se il padrone una piattaforma o
se limprenditore un algoritmo.

Motivare i dipendenti e portarli a introiettare la mission dellimpresa e


del mercato e del capitalismo e della tecnica questo lobiettivo delle
tecnologie di gestione delle risorse umane; anche se poi, e accanto vi
lenorme e super-sfruttato esercito industriale e virtuale di riserva fatto
di precari, di finti free-lance, di capitalisti personali, di finti imprenditori
di se stessi (in realt, diversamente subordinati a una impresa o a una
piattaforma). Per questo obiettivo servono manager (uomini o donne)
forti che siano leader capaci di empatia, di intelligenza emotiva
secondo Daniel Goleman, capaci, appunto di motivare pi che di
ordinare, di coinvolgere i dipendenti (chiamati ora infatti collaboratori)
nelle decisioni, favorendo la loro auto-attivazione e la loro auto-
responsabilizzazione (ma sempre riconoscendo, introiettandola, la
leadership di potere), e avere e promuovere una visione condivisa cos
che ognuno faccia ci che deve fare senza che sia necessario
ordinarglielo. Il manager postmoderno un uomo forte & insieme un
leader, un comunicatore per eccellenza, spesso (apparentemente)
non un capo gerarchico ma sa integrare ciascuno nellorganizzazione
dando un senso (ma quello dellimpresa, del capo/uomo forte e
visionario, del leader carismatico ed empatico) alla vita di ciascuno. Il
leader chi sa essere punto di riferimento senza esplicitarlo e senza
imporlo (quindi motivando meglio), riuscendo per di pi appunto
come un pastore religioso a prendersi cura del singolo e dellinsieme,
perch un motivatore, capace di infondere vitalit per la
mobilitazione totale di ciascuno,e di concedere autonomia a chi la
merita purch sciolga se stesso nellorganizzazione, lavorando per
lorganizzazione come se fosse cosa sua (e analoghi sono i processi
che concernono il leader/uomo forte politico).Ma, appunto, questa
una concezione religiosa del potere. Non liberale. Non democratica.
[Oltre ad essere molto retorica e molto storytelling, perch minoritaria
nel panorama offerto dalla realt, dove invece prevalgono esclusione,
marginalizzazione, soft-mobbing, dark-work, competizione, asticelle
della produttivit incessantemente portate in alto ma questo non
inficia il nostro ragionare partendo da Ilvo Diamanti].
Il nuovo & il vecchio.

Sembrano tecniche nuove e diverse da quelle del passato fordista e


taylorista. Ma non lo sono. E basta rileggere Taylor e la tecnica usata
per motivare loperaio Schmidt (un nome di fantasia) a trasportare ogni
giorno, sulla base delle previsioni dellorganizzazione scientifica, cio
da quanto deciso dallimprenditore o dal manager, 47 tonnellate di
materiale invece delle precedenti 12,5. Scriveva Taylor: Si trattava di
ottenere che Schmidt trasportasse 47tonn. di lingotti di ghisa al giorno
e che fosse contento di farlo. (). Chiamammo Schmidt fuori dalla
squadra e gli parlammo pi o meno cos: - Schmidt, sei un lavoratore
di prima categoria?() Voglio sapere se vorresti guadagnare 1,85
dollari al giorno o se ti accontenti di 1,15. Questo significa essere di
prima categoria? Beh, allora s, lo sono, rispose Schmidt. Bene, se
sei un lavoratore di prima categoria, domani caricherai questa ghisa su
questo vagone per la paga di 1,85 dollari. () Questo quanto fa un
lavoratore dalta stima(). E ci che pi importante, nessuna
rimostranza, perch un uomo di valore fa esattamente quello che gli si
dice, e non fa rimostranze, capito? Ovvero, Taylor agisce sulla
motivazione, sullo sviluppo dellautostima delloperaio Schmidt, sulla
estrazione di valore dal suo lavoro, sulla messa in competizione con gli
altri lavoratori del gruppo. Ma anche: (far) fare squadra. Scriveva
sempre Taylor, prendendo a modello una squadra di baseball: Ai
giocatori non si soltanto detto quale il modo migliore di fare ogni
movimento importante; ma essi sono stati istruiti e allenati alluopo per
molti mesi. E serve lallenatore, ovvero il leader, luomo forte. Alla
fine, si crea la squadra. E ciascuno si rende conto dellassoluta
impossibilit di vincere, se ciascun uomo della squadra non obbedisce
ai segnali o agli ordini dellistruttore con la maggior rapidit possibile
(F. Taylor, Lorganizzazione scientifica del lavoro - Etas). Fare squadra ieri,
fare squadra/team/gruppo, oggi. Anche Taylor era un motivatore, aveva
una visione, chiedeva collaborazione alloperaio Schmidt. Alcuni
sostengono, oggi, che Taylor dimostrasse, cos agendo, grandi doti di
leadership. Fino a trentanni fa, lo si sarebbe considerato un cinico
manipolatore della psiche umana, ma la mutazione antropologica
prodotta da neoliberismo & ordoliberalismo sembra essersi oggi
compiuta con pieno successo e nessuno pi ricorda (e ribadisce come
sia ancora un valore importante oltre che costituzionalmente prescritto
e prescrittivo) che trentanni fa ancora si cercava di portare la
democrazia oltre i cancelli delle fabbriche, mentre oggi tutti sembrano
accettare il principio per cui, nellimpresa e nello Stato-impresa non
pu e non deve esserci democrazia.

E allora, distinguere tra leader virtuoso e uomo forte cattivo


fuorviante. Con Kant, e con un poco di Foucault, diciamo che sono
entrambi sistemi di potere/sapere per mantenere ciascuno in una
condizione di minorit. Pericolosa per limpresa (a contrario, si
potrebbe pensare ad Adriano Olivetti, pur con tutti i suoi limiti e con i
limiti della sua idea di comunit). Pericolosissima per la polis (che non
unimpresa, ma qualcosa di molto meglio), se fosse davvero una polis
democratica).

Non di uomini forti abbiamo bisogno questa lultima nostra chiosa alla
chiosa di Diamanti - e neppure di leader carismatici e pastorali, etero-
normativi ed etero-direttivi (anche se abili motivatori/manipolatori) che
ci tengano comunque legati alle catene di un tecno-capitalismo ormai
divenuto forma totalizzante di vita. In nome della libert individuale, in
realt il tecno-capitalismo chiude la libert dentro una nuova gabbia
dacciaio weberiana, anche se virtuale. Di uomini e donne abbiamo
invece bisogno, consapevoli del loro potere come cittadini nella e per
la loro polis; consapevoli della loro responsabilit per s e gli altri, per
quellAltro che lambiente reale (che trentanni di neoliberismo e di
rincorsa alle nuove tecnologie virtuali ci hanno fatto dolosamente
dimenticare) e per le generazioni future. Costruendo una leadership
diffusa e senza leader, immaginando nuovamente idee e progetti
comuni e da sviluppare in-comune, attraverso una critica - come scrive
la francofortese Rahel Jaeggi (in Forme di vita e capitalismo, Rosenberg
& Sellier, 2016) - delle forme di vita capitaliste, una critica incisiva ed
estranea ad ogni paternalismo ed essenzialismo.

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