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Si consideri un moto (ovvero una trasformazione quasi-statica) di un dato corpo continuo sotto
lazione di assegnate forze esterne.
La regione regolare dello spazio che rappresenta la posizione del corpo ad un certo istante si dice
configurazione del corpo in corrispondenza di quellistante.
Il passaggio da una configurazione allaltra si dice invece deformazione (o trasformazione) del
corpo.
Si sottolinea che con il termine deformazione non si intende necessariamente una trasformazione
che comporti una variazione di forma. Questultima sar detta nel seguito deformazione pura o
deformazione in senso stretto.
Si conviene di denotare con X i vettori posizione delle particelle della configurazione indeformata
(I) e con x i vettori posizione nella configurazione deformata (II). Si conviene inoltre di denotare
con X 1 , X 2 , X 3 e con x1 , x 2 , x3 rispettivamente le componenti di X e le componenti di x rispetto
al sistema di riferimento prescelto (coordinate cartesiane indeformate e deformate).
3
La funzione
x = (X ),
che descrive la deformazione da I a II (detta anche campo della deformazione), deve osservare le
seguenti propriet:
a) deve essere invertibile, per escludere compenetrazioni di materia (non pu accadere
che due particelle distinte in I possano coincidere nella configurazione deformata II,
ossia ad ogni X deve corrispondere una ed una sola x );
b) deve essere continua con la sua inversa, per escludere distacchi e/o fratture
allinterno del corpo (a particelle infinitamente vicine nella configurazione I devono
corrispondere particelle infinitamente vicine nella configurazione II e viceversa).
La deformazione pu anche essere decritta attraverso la funzione spostamento del corpo (o campo
dello spostamento o anche campo di spostamenti):
u (x ) = x
Per le ipotesi a) e b), la funzione u deve essere continua, anche se non necessariamente invertibile
(a punti distinti in I debbono s corrispondere punti distinti in II, ma ci non implica che punti
diversi debbano presentare necessariamente spostamenti diversi: ad esempio, una traslazione una
deformazione che soddisfa le propriet a) e b), pur comportando spostamenti uguali da punto a
punto).
Pi che la deformazione del corpo nel suo insieme (deformazione globale) interessa, usualmente, la
deformazione locale, ovvero la trasformazione degli intorni di materia.
Infatti, in campo tecnico, di fondamentale importanza la conoscenza dello stato di tensione del
corpo, il quale, come si vedr pi avanti, dipende essenzialmente dal modo in cui cambia la
posizione relativa delle particelle (trasformazione degli intorni), piuttosto che dalla deformazione
globale.
Allo scopo di introdurre la nozione di deformazione locale, si supponga che le componenti u i della
funzione u siano derivabili rispetto alle variabili X k e che tali derivate siano continue, ovvero che
u
u
u
u1
dX 1 + 1 dX 2 + 1 dX 3 = 1 dX i
X 3
X 2
X 1
X i
u
u
u
u
du 2 = 2 dX 1 + 2 dX 2 + 2 dX 3 = 2 dX i
X 1
X 2
X 3
X i
u
u
u
u
du 3 = 3 dX 1 + 3 dX 2 + 3 dX 3 = 3 dX i
X 1
X 2
X 3
X i
du1 =
u i
(derivate parziali delle componenti di spostamento) rappresentano le
X j
componenti di un tensore del 2 ordine, che di dice gradiente di spostamento e si indica con il
simbolo u (o grad u ).
In termini di tale tensore si pu scrivere:
In particolare, le quantit
du i = (u )ij d j
d u = u d
(1.1)
(1.2)
dove il secondo termine a secondo membro una funzione vettoriale che tende a zero pi
O( X )
= 0 .
rapidamente del modulo di X lim
0 ( X )
La (1.2) descrive la variazione della posizione relativa di particelle arbitrarie del corpo (particelle
con distanza relativa non necessariamente infinitesima).
5
Riassumendo:
deformazione globale:
x = ( X ) , oppure x = X + u ( X ) ;
deformazione locale:
d x = d X + u d X = (I + u ) d X .
d x = ds n
d = dS N
dS 2 = d X d X
ds 2 = d x d x = (d X + u d X ) (d X + u d X ) =
= dS 2 + d X u d X + u d X d X + u d X u d X =
= dS 2 + u d X d X + u d X d X + u u d X d X =
= dS 2 + dS 2 u + u + u u N N
ds 2 dS 2
T
T
= u + u + u u N N .
2
dS
Se ne deduce che la deformazione pura dellintorno si pu caratterizzare attraverso il tensore:
E=
1
T
T
u + u + u u
2
detto usualmente tensore della deformazione finita o tensore di Green Saint Venant.
Il tensore E simmetrico. Infatti risulta:
T
1
1
T
T
T
T
u + u + u u = u + u + u u = E ,
2
2
T
T
T
avendo tenuto presente che ( A B ) = B A , per ogni coppia di tensori A e B .
T
E =
E11 =
1 u1 u 2 u1 u1 u 2 u 2 u 3 u 2
+
+
+
+
2 X 2 X 1 X 1 X 2 X 1 X 2 X 1 X 2
Se almeno una delle sei componenti indipendenti di E non nulla, esister qualche versore N per
il quale la quantit
ds 2 dS 2
diversa da zero.
dS 2
Una semplificazione notevole nello studio della trasformazione degli intorni di materia si ottiene
passando alla cosiddetta teoria lineare o infinitesima della deformazione.
u i
siano in valore assoluto molto minori
X j
dellunit:
u i
<<1
X j
(dellordine di 10-310-5)
ovvero che le variazioni di spostamento tra le varie particelle del corpo siano in modulo molto
minori delle distanze tra le particelle stesse.
u u k
, che compaiono nelle espressioni delle componenti
In questa ipotesi, i termini del tipo k
X
X
i
j
u i
di E , sono trascurabili (in quanto infinitesimi di ordine superiore) rispetto ai termini
.
X j
Questi ultimi, pur essendo per ipotesi piccoli rispetto allunit, non possono essere trascurati a loro
volta, per non cadere nel caso banale E = 0 .
1
T
In definitiva, nella teoria infinitesima, il tensore E si pu ridurre al tensore = u + u ,
2
ovvero alla parte simmetrica del gradiente di spostamento.
Per questa ragione, questultimo tensore si dice usualmente tensore della deformazione infinitesima.
Se rappresenta la deformazione pura di un intorno di materia, nellambito della teoria
1
T
u u
2
rappresenti invece, nellambito della stessa teoria, una rotazione pura dellintorno. Al tensore si
d infatti il nome di tensore della rotazione infinitesima.
Riassumendo:
deformazione finita:
deformazione infinitesima:
rotazione infinitesima:
(
(
(
1
T
T
u + u + u u ;
2
1
= u + u T .
2
1
T
= u u .
2
E=
)
)
(torna allindice)
Questo paragrafo esplora il significato geometrico delle componenti della deformazione nellambito
della teoria infinitesima.
Si vedr che le componenti di pari indici del tensore ( 11 , 22 , 33 ) esprimono dilatazioni lineari
(o allungamenti percentuali) e che quelle di indici misti ( 12 , 23 , 31 ) esprimono invece scorrimenti
8
u k u k
(termini del secondo
X i X j
u k
(termini del primo ordine), si pu scrivere:
X i
u
u
u
ds = 1 dX 1 + dX 1 + 2 dX 1 dX 12 + 2 1 dX 12 ,
X 1
X 1
X 1
2
1
e anche:
ds1 d 1 +
u1
dX 1 .
X 1
9
Risulta quindi:
ds1 dS1 u1
= 11
dS1
X 1
Questultimo risultato mette in evidenza che la componente 11 del tensore esprime il rapporto
tra la variazione di lunghezza di un segmento infinitesimo inizialmente disposto lungo lasse X 1 e
la lunghezza iniziale del segmento stesso. Si tratta, evidentemente, di una quantit adimensionale,
che si dice usualmente dilatazione lineare nella direzione X 1 .
Significato del tutto analogo hanno le componenti 22 e 33 (dilatazioni lineari nelle direzioni X 2
e X 3 , rispettivamente).
utile osservare che la dilatazione 11 funzione solo della variazione della componente di
spostamento u1 nella direzione dellasse X 1 . Pertanto, nellambito della teoria infinitesima, un
segmento che conservi nella deformazione la sua proiezione lungo lasse X 1 , non subisce
dilatazione lungo tale direzione.
Bisogna tener presente, tuttavia, che questa
conseguenza della teoria infinitesima
accettabile solo quando i differenziali di
spostamento sono effettivamente molto piccoli
rispetto ai differenziali di posizione. Ad esempio,
nel caso della figura a lato, qualora il
differenziale di spostamento d u 2 sia reale e non
semplicemente amplificato per ragioni di
rappresentazione grafica, pur risultando d u 1 = 0
e quindi 11 = 0 , non si pu evidentemente
confondere ds1 con dS1 .
a1) Dilatazione lineare lungo una direzione N arbitraria.
Si consideri un segmento infinitesimo
nellintorno indeformato, questa volta lungo una
direzione arbitraria di versore N . Denotando
con dS la lunghezza iniziale del segmento e con
ds la sua lunghezza finale, alla quantit:
N =
ds dS
dS
10
b) Scorrimenti angolari
Si studi ora la quantit:
1 u
12 = 1 + 2
2 2 1
u
u
e si ponga 12 = 2 12 = 1 + 2 .
2 1
ds1 (1 + 11 )dX 1
ds 2 (1 + 22 )dX 2
Nello spirito della teoria infinitesima, con i simboli della figura precedente, si pu scrivere:
u2
dX 1
u
X 1
1 tg 1
2 ;
(1 + 11 ) dX 1 X 1
u1
dX 2
u1
X 2
2 tg 2
.
(1 + 22 ) dX 2 X 2
Risulta quindi:
in fin = 1 + 2
u1 u 2
+
= 12 ,
X 2 X 1
11
NM = in fin = N M n m
si attribuisce il nome di scorrimento angolare tra le direzioni N e M . possibile verificare che
risulta:
NM = 2 N M = 2 M N = MN
c) Dilatazione volumetrica
Si esamini in conclusione un intorno della configurazione indeformata a forma di parallelepipedo
retto, con i lati paralleli agli assi del riferimento cartesiano prescelto.
Siano dX 1 , dX 2 e dX 3 le misure dei lati di tale parallelepipedo, che a deformazione avvenuta si
trasformer, in generale, in un parallelepipedo non retto di lati dx1 , dx 2 e dx3 , per effetto degli
scorrimenti angolari intercorsi tra le direzioni X 1 e X 2 e X 3 .
12
u1
1 +
X
u 2
dv = det (I + u ) dX 1 dX 2 dX 3 = det
X 1
u 3
X
1
si pu scrivere:
u1
X 2
u
1 + 2
X 2
u 3
X 2
u1
X 3
u 2
dX 1 dX 2 dX 3
X 3
u
1 + 3
X 3
u
u
u
1 + 1 + 2 + 3 dV = (1 + 11 + 22 + 33 ) dV
X 1 X 2 X 3
Pertanto, alla traccia del tensore si pu attribuire il significato geometrico di dilatazione
volumetrica, ossia il significato di variazione percentuale di volume dellintorno:
e = tr ( ) = 11 + 22 + 33 =
dv dV
dV
Il risultato precedente mette in evidenza che la quantit e del tutto indipendente dalla scelta del
riferimento di partenza. Infatti, noto dallAlgebra che la traccia di un tensore una quantit
invariante rispetto ai cambiamenti di riferimento (al variare del riferimento cartesiano, cambiano
singolarmente le quantit 11 , 22 e 33 , ma la loro somma rimane invariata).
Si pu anche verificare agevolmente che si giunge alla stessa espressione di e anche partendo da un
intorno indeformato di forma qualsiasi (intorno sferico, cilindrico, ecc.).
13
Nellambito della teoria infinitesima della deformazione, si dicono dilatazioni principali e direzioni
principali di deformazione rispettivamente gli autovalori e gli autovettori N del tensore della
deformazione infinitesima, ossia i vettori N non nulli e gli scalari che soddisfano lequazione
vettoriale:
N =N
In virt della simmetria di , come noto dallAlgebra, sussistono i seguenti notevoli risultati:
a) ammette 3 autovalori reali 1 , 2 , 3 (non necessariamente distinti tra loro);
b) gli autovettori N i e N j corrispondenti a due autovalori distinti i e j sono tra loro
ortogonali, ossia si ha N i N j = 0 se i j ;
N = N i N i = i N i N i = i
i
(i non sommato)
La figura che segue mostra la deformazione di un intorno a forma di parallelepipedo con gli spigoli
paralleli ai versori della base delle direzioni principali di deformazione. Il parallelepipedo si
mantiene retto a deformazione avvenuta, anche se i suoi lati si dilatano rispettivamente di
1 , 2 e 3 .
Pur restando ortogonali, chiaro che le direzioni N 1 , N 2 e N 3 possono ruotare solidarmente
durante la trasformazione dellintorno, trasformandosi in direzioni diverse n1 , n 2 e n 3 .
14
ds1 (1 + 1 )dS1
ds 2 (1 + 2 )dS 2
ds3 (1 + 3 )dS 3
* = 0
0
2
0
(torna allindice)
Pu accadere che un dato campo di spostamenti u abbia in ogni punto, solo la parte antisimmetrica
del gradiente ( ( X ) = 0, X ).
Un campo di spostamenti di questo tipo si dice campo di spostamenti rigidi infinitesimi e si pu
dimostrare agevolmente che la parte antisimmetrica del suo gradiente uguale da punto a punto
( = cost ).
15
u( X ) = u( X 0 ) + ( X X 0 ) = u( X 0 ) + ( X X 0 )
dove il vettore assiale del tensore antisimmetrico , ed il termine u ( X 0 ) caratterizza una
traslazione del corpo.
Nella relazione precedente, il punto P di posizione X 0 si dice polo del campo di spostamenti rigidi
infinitesimi, mentre si dice vettore della rotazione del corpo intorno a P.
In definitiva, il campo di spostamenti suddetto di tipo roto traslatorio.
Cambiando il polo da X 0 a X 0 , cambia il vettore traslazione, mentre il vettore rotazione rimane
invariato. Si pu scrivere infatti:
u(X ) = u(X 0 ) + (X X 0 )
dove:
u(X 0 ) = u(X 0 ) + (X 0 X 0 )
In virt delle propriet del prodotto vettoriale, non difficile rendersi conto del fatto che la parte
rotatoria di un campo di spostamenti rigidi infinitesimi comporta spostamenti ortogonali sia alla
direzione del vettore rotazione che alla direzione della congiungente il generico punto Q del corpo
con il polo P (vedi figura che segue).
16
( )
Il vettore applicato P, individua un asse che contiene i punti del corpo che non subiscono
17
(torna allindice)
Si dice stato di deformazione di un corpo continuo la specificazione punto per punto del tensore
della deformazione infinitesima (teoria infinitesima) ovvero del tensore della deformazione
finita E (teoria finita).
Restando nellambito della teoria infinitesima, una prima classificazione degli stati di deformazione
si effettua sulla base del numero di autovalori di (dilatazioni principali) diversi da zero. Si
possono distinguere i seguenti casi:
c) stato di deformazione triassiale: le dilatazioni principali sono tutte diverse da zero;
d) stato di deformazione biassiale: una dilatazione principale nulla (ad esempio
3 = 0 ) e le altre due sono diverse da zero ( 1 e 2 0 );
e) stato di deformazione uniassiale: due dilatazioni principali sono nulle (ad esempio
2 = 3 = 0 ) e la terza diversa da zero ( 1 0 ).
In particolare, nel secondo caso, il piano individuato dalle due direzioni principali associate alle
dilatazioni principali non nulle (siano esse da esempio N 1 e N 2 ) si dice piano della deformazione e
lo stato di deformazione si dice anche piano.
Rispetto ad una qualsiasi base ortogonale {e1 , e 2 , e 3 N 3 } ( e1 , e 2 contenuti nel piano della
deformazione ma non necessariamente coincidenti con N 1 , N 2 ), la matrice associata al tensore
del tipo seguente:
11
= 12
2
0
12
2
22
0
Stati di deformazioni piani si incontrano in molti problemi di interesse tecnico, che coinvolgono
tipicamente i cosiddetti solidi ripetitivi. Si dicono tali i solidi cilindrici che abbiano uno sviluppo
longitudinale molto maggiore della maggiore dimensione della sezione retta e che siano caricati da
forze contenute nel piano della sezione retta e costanti lungo lasse (muri di sostegno, rivestimenti
dei tunnel, tubazioni in pressione, ecc.).
18
19
0 0
= 0 0
0 0
Quando il campo dei tensori costante da punto a punto di un corpo continuo ( = cost ), la
deformazione che esso esibisce particolarmente semplice e si dice omogenea.
Un esempio di deformazione omogenea si ha evidentemente nel caso di un campo di spostamenti
rigidi infinitesimi ( = 0 ovunque).
Pi in generale, assumendo = cost 0 e = cost 0 (se costante, anche deve essere
necessariamente costante, vedi le considerazioni svolte nel paragrafo precedente), il campo di
spostamenti associato ad una deformazione omogenea del tipo seguente:
u(X ) = u(X 0 ) + ( X X 0 ) + (X X 0 )
(6.1)
essendo X 0 il vettore posizione di un punto arbitrario della configurazione indeformata (polo del
campo di spostamenti), u ( X 0 ) lo spostamento di tale punto e il vettore assiale di .
(6.2)
u ( X ) = ( X X 0 )
(
(
(
)
)
)
(
(
(
)
)
)
(
(
(
)
)
)
(6.3)
u ( X ) = ( X X 0 ) = ( X X 0 )
u1 = 2 X 3 X 3(0 ) 3 X 2 X 2(0 )
u 2 = 1 X 3 X 3(0 ) + 3 X 1 X 1(0 )
u = X X (0 ) X X (0 )
1
2
2
2
1
1
3
(6.4)
20
11
=0
0 0
0 0 = cost
0 0
(6.5)
= 12
12
0
0
0 = cost
(6.6)
In maniera del tutto analoga si definiscono dilatazioni semplici lungo X 2 e lungo X 3 e scorrimenti
semplici tra X 1 e X 3 e tra X 2 e X 3 .
Volendo rappresentare graficamente le deformazioni omogenee descritte dalle (6.5) (6.6), si
faccia riferimento ad un corpo a forma di parallelepipedo, si identifichi X 0 con il baricentro del
corpo, si ponga in tal punto lorigine del sistema cartesiano di riferimento e si supponga, per
semplicit, u ( X 0 ) = 0 e = 0 .
Gli spostamenti dei vertici del parallelepipedo si ottengono sostituendo rispettivamente la (6.5) e la
(6.6) nella (6.3). Si lascia al lettore la cura di verificare che le direzioni principali di deformazione
N 1 , N 2 , N 3 dei due casi in esame corrispondono a quelle indicate nelle figure che seguono, e che
nel primo caso risulta: 1 = 11 , 2 = 3 = 0 (stato di deformazione uniassiale), mentre nel secondo
caso risulta: 1 = 2 = 12 , 3 = 0 (stato di deformazione piano).
Vista assonometrica.
21
/2
Vista assonometrica.
12
0
0
0
0 = cost
0
(6.7)
Si tratta di uno stato di deformazione biassiale nel piano {e1 , e 2 } . immediato verificare, infatti,
che N 3 e 3 una direzione principale di deformazione associata ad una dilatazione 3 nulla
(applicando il tensore in esame al versore e 3 , si ottiene un vettore con componenti pari agli
elementi della terza colonna della matrice e quindi risulta: e 3 = 0 = 0 e 3 ).
Applicando tale stato di deformazione omogeneo ad un corpo a forma di parallelepipedo di lati
2 L1 , 2 L2 e 2 L3 , operando le semplificazioni precedentemente introdotte ( X 0 = 0 , u ( X 0 ) = 0 ,
= 0 ) e facendo riferimento alla sezione rettangolare del corpo nel piano {e1 , e 2 } , si possono
calcolare le componenti di spostamento dei vertici A, B, C e D sostituendo la (6.7) nelle (6.3). Si
ottiene:
22
punto A ( L1 , L2 , 0)
u1 = 11 L1 12 L2
u 2 = 12 L1
u = 0
3
punto B (L1 , L2 , 0 )
u1 = 11 L1 12 L2
u 2 = 12 L1
u = 0
3
punto C (L1 , L2 , 0 )
u1 = 11 L1 + 12 L2
u 2 = 12 L1
u = 0
3
punto D ( L1 , L2 , 0 )
u1 = 11 L1 + 12 L2
u 2 = 12 L1
u = 0
3
Una rappresentazione grafica della deformazione in esame riportata nella figura che segue (si
assunto nel disegno 11 = 2 12 ; L1 = L2 ):
Vista assonometrica.
12
(11 )
det
11
12
2
2
= 0 2 11 12
=0,
= 0 (11 ) ( ) 12
( )
1 , 2 =
1
11 112 + 122 ,
2
12
(
11 1 ) + 12 = 0
2
2 =
12 1 = 0
( 1 ) 0
2
(11 1 )
12
12
1
2
2
2 11 11 + 12 + 2 = 0
2
2
12 1 11 11
+ 12
=0
2
2
2
2
11 + 11 + 12
tg = =
12
24
In conclusione, si vuole imprimere una rotazione rigida infinitesima allelemento deformato intorno
allasse principale N 3 e 3 , ossia una rotazione del tipo = e 3 , essendo 3 una quantit
scalare molto minore dellunit.
Gli spostamenti dei vertici dovuti alla rotazione si calcolano particolarizzando le (6.4) nella forma
seguente:
u1 = 2 X 3 3 X 2 = X 2
u 2 = 1 X 3 + 3 X 1 = X 1
u = X X = 0
1
2
2 1
3
X 2 = X 2 + u 2 = X 2 + 12 L1
X = X + u = X
3
3
3
3
25
26
(torna allindice)
Si consideri un elemento di volume a forma di parallelepipedo di lati 2L1, 2L2 e 2L3 e lo si riferisca
ad un sistema di riferimento ortonormale {O, e1 , e 2 , e 3 }, avente lorigine O in corrispondenza del
baricentro G e gli assi paralleli ai lati dellelemento. Si assegni allelemento uno stato di
deformazione infinitesimo di tipo omogeneo descritto dalla seguente matrice delle componenti
rispetto alla base cartesiana {e1 , e 2 , e 3 }:
11
= 12
2
13
2
12
2
22
23
2
13
2
23
33
Si richiede:
a) di determinare un campo di spostamenti corrispondente allo stato di deformazione assegnato
(si supponga nulla la rotazione infinitesima dellelemento e si assuma che il punto O
rimanga fisso);
b) di rappresentare graficamente tale campo di spostamenti, adottando un opportuno fattore di
amplificazione delle componenti di deformazione (ad esempio, un fattore pari a 103 );
c) di calcolare con metodo analitico ed attraverso la costruzione del cerchio di Mohr le
dilatazioni principali e le direzioni principali di deformazione;
d) di imprimere una rotazione = 10-3 radianti allelemento deformato, intorno alla direzione
principale associata alla dilatazione principale nulla, e di rappresentare graficamente tale
rotazione, amplificando opportunamente nel disegno il valore di .
Dati numerici:
L1 = n (numero di lettere del nome) cm
L2 = c (numero di lettere del cognome) cm
L3 = (n + c) / 2 cm
per m = 1, 2 o 3
11 = n x 10 4
22 = c x 10 4
12 = m x 10 4
33 = 13 = 23 = 0
per m = 4, 5 o 6
11 = m x 10 4
33 = n x 10 4
per m = 7, 8 o 9
22 = c x 10 4
33 = m x 10 4
13 = c x 10 4
22 = 12 = 23 = 0
23 = n x 10 4
11 = 12 = 13 = 0
A2.1. Moto ed equilibrio dei corpi, forze di massa e di superficie, leggi di Eulero. ......................... 29
A2.2. Vettore tensione su un elemento orientato di superficie. ......................................................... 32
A2.3. Il teorema del tetraedro di Cauchy. .......................................................................................... 36
A2.4. Le equazioni indefinite di equilibrio. ....................................................................................... 38
A2.5. Tensioni principali e direzioni principali di tensione............................................................... 42
A2.6. Il cerchio di Mohr per gli stati piani di tensione. ..................................................................... 45
A2.7. Arbelo di Mohr......................................................................................................................... 49
A2.8. Configurazione attuale e configurazione di riferimento. ......................................................... 50
A2.9. Esercizio proposto.................................................................................................................... 50
28
(A2.1)
che associa ad ogni particella P del corpo il suo vettore posizione x allistante t.
Limmagine di C mediante , e cio linsieme
x = (C,t),
rappresenta
la
configurazione
Fig. A2.1
Fig. A2.2
X C, t[t0, t1].
Una propriet fondamentale dei corpi che essi sono dotati di massa. Nella Meccanica classica si
assume che la massa di ogni parte P di un corpo sia una quantit scalare indipendente dalla
configurazione occupata dal corpo (principio di conservazione della massa). Si assume inoltre che
29
essa tenda a zero al tendere a zero del volume della parte e divenga in particolare nulla se il volume
di P nullo. Questultima propriet (assoluta continuit della massa rispetto al volume) assicura
lesistenza di una funzione densit di massa (x, t ) , definita sulla configurazione attuale del corpo,
tale che la massa della parte P si possa esprimere attraverso il seguente integrale di volume:
m(P) =
dv .
( )
(A2.2)
P, t
(x, t ) dv = ( ) (x, t ) dv ,
(P, t )
P , t
(A2.3)
nella quale t e t sono due arbitrari istanti del moto e P una parte qualsiasi del corpo.
Per analizzare il moto dei corpi necessario introdurre degli enti matematici, che siano in grado di
caratterizzare le interazioni tra il corpo in esame e lambiente che lo circonda.
Tali enti si classificano in forze a distanza e forze di contatto.
Le prime, dette anche forze di massa o di volume, agiscono sugli elementi di massa di un corpo e
derivano dalla interazione a distanza tra i corpi. In altri termini, esse sono le azioni che i corpi si
esercitano gli uni sugli altri, indipendentemente dal fatto che siano o meno in contatto tra loro. Si
assume che tali forze siano in rapporto con la massa dei corpi, con la propriet che la forza di massa
agente su di una generica parte P tenda a zero al tendere a zero della sua massa. Questa propriet
(assoluta continuit delle forze a distanza rispetto alla massa) comporta lesistenza di una funzione
densit della forza a distanza (per unit di volume) b(x, t ) , definita sulla configurazione attuale del
corpo, tale che la forza a distanza complessiva agente sulla generica parte P sia esprimibile
attraverso lintegrale di volume:
f m (P) =
b dv .
( )
P, t
(A2.4)
g dv .
(P, t )
(A2.5)
Pi complessa invece lespressione della funzione b(x, t ) nel caso delle forze di massa di origine
magnetica, elettrica o chimica, che daltra parte esorbitano dagli scopi di questo corso.
30
Si accetta comunemente lipotesi che siano trascurabili le forze a distanza esercitate sulla generica
parte P dalle altre parti dello stesso corpo.
Le forze di contatto, o forze di superficie, sono invece quelle azioni che i corpi, o i diversi elementi
di uno stesso corpo, si esercitano gli uni sugli altri per il fatto che sono tra loro a contatto. Su di esse
si ammette lipotesi di assoluta continuit rispetto allarea di contatto, ossia si ammette che al
tendere a zero dellarea di contatto di una parte P del corpo con altri corpi, o con altre parti dello
stesso corpo, tenda a zero la forza di contatto agente su di essa. Ci consente di introdurre una
funzione densit di forza di contatto t , detta tensione, sul cui significato ci si soffermer pi in
dettaglio nel paragrafo successivo.
La formulazione delle leggi fondamentali del moto dei corpi continui richiede che siano introdotte
due ulteriori quantit: la quantit di moto ed il momento della quantit di moto di un corpo.
Si dice quantit di moto della parte P allistante t la quantit vettoriale:
q (P, t) =
v dv ,
( )
(A2.6)
P, t
x
denota il vettore velocit della generica particella.
t
Si dice invece momento della quantit di moto di P allistante t, rispetto ad un dato punto O
(x x ) v dv .
( )
(A2.7)
P, t
Ci premesso, si possono ora enunciare le equazioni cardinali della dinamica dei corpi continui o
leggi di Eulero.
Si tratta di due postulati fondamentali, che stabiliscono che ad ogni istante del moto e per ogni parte
P del corpo, le derivate temporali della quantit di moto e del momento della quantit di moto
debbano uguagliare rispettivamente il risultante f di tutte le forze agenti su P (forze di massa e
forze di superficie) ed il momento risultante m 0 di tali forze (rispetto al punto O). In simboli:
q& (P, t) = f (P, t)
h& (P, t) = m (P, t)
0
(A2.8a)
(A2.8b)
Le leggi suddette rappresentano lestensione ai corpi continui delle ben note leggi di Newton della
dinamica dei sistemi di punti materiali.
La quantit di moto ed il momento della quantit di moto non sono grandezze indifferenti rispetto
ad un cambiamento di osservatore. Per chiarire meglio il senso di tale affermazione, si premette che
per osservatore si intende linsieme di un certo numero di corpi rigidi a distanza invariabile tra di
loro (ad esempio le pareti di un laboratorio, le stelle fisse, ecc.), detto sistema di riferimento, e di un
orologio per misurare il tempo. Due osservatori diversi misurano in maniera differente il moto di
uno stesso corpo in conseguenza del fatto che essi, in generale, sono in moto rigido relativo tra di
loro.
31
(A2.9a)
(A2.9b)
In altri termini, il sistema complessivo di forze agenti sulla generica parte dovr essere equivalente
a zero. Le (A2.9) si dicono anche equazioni cardinali della statica dei corpi continui.
Fig. A2.3
corpi.
Se, invece, lelemento S giace allinterno di (C), una qualsiasi scelta del verso di n individuer
una faccia positiva S + di S (situata dalla parte di n ) ed una faccia negativa S : si conviene di
far coincidere f con la forza di contatto esercitata, attraverso S , dalle particelle situate dalla
parte di S + sulle particelle situate dalla parte di S (Fig. A2.3).
32
Ak
(A2.10)
Lesistenza e la finitezza del limite (A2.10) discendono dalla ipotesi introdotta nel paragrafo
precedente circa la assoluta continuit delle forze di contatto rispetto allarea di contatto.
La grandezza t in genere funzione del punto x , della forma della superficie S e del tempo t. Si
ammette usualmente, tuttavia, che essa dipenda dalla forma di S solo attraverso la normale orientata
n (ipotesi o postulato di Cauchy):
t = t ( x , n, t ) .
(A2.11)
33
componenti di t
quelle di t
(3 )
(1)
(2 )
Con riferimento, ad esempio, al vettore tensione t , quando le quantit (T11 , T21 , T31 ) sono positive,
(1)
(1)
i componenti di t hanno gli stessi versi degli assi del sistema di riferimento. La componente T11 si
dice in particolare tensione normale sulla faccia di normale e1 (o x1 ) ed positiva se di trazione,
mentre le componenti T21 ,T31 si dicono tensioni tangenziali sulla stessa faccia. Denominazioni
analoghe si attribuiscono alle componenti dei vettori tensione sulle facce di normale e 2 ed e 3 .
Fig. A2.5
Fig. A2.6
(1)
(2 )
(3 )
Nella Fig. A2.5, i tre vettori tensione t , t e t sono riferiti a tre punti differenti (i baricentri
delle facce dellelemento di volume considerato).
Se si immagina, per, che lelemento di volume preso in esame si deformi progressivamente, fino a
(i )
degenerare nel punto x , il generico vettore tensione t tender nel limite al vettore tensione agente
in x sugli elementi di superficie aventi come normale e i . Le componenti dei tre vettori tensione
(1)
t ,t
(2 )
et
(3 )
T11 T12
T = T21 T22
T31 T32
(A2.12)
di modo che la j-esima colonna della matrice T raccolga le componenti del vettore tensione in x
sulle superfici di normale e j . In altri termini, lelemento di posto ij della matrice T fornisce la
componente lungo xi della tensione agente sulle giaciture di normale x j .
34
Si vedr nel paragrafo successivo che T rappresenta la matrice associata ad un tensore del secondo
ordine T rispetto alla base {e1 , e 2 , e 3 }. Tale tensore detto tensore delle tensioni o tensore di
Cauchy, funzione solo del punto e del tempo, ed associa ad ogni versore n il vettore tensione
agente sulla giacitura di normale n . In simboli:
T ( x, t ) = t ( x, n, t ) = n1 t
(1)
+ n2 t
(2 )
+ n3 t
(3 )
(A2.13)
T11 = 1 = x ,
T33 = 3 = z ,
(A2.14)
Le componenti tangenziali vengono invece spesso denotate con la lettera greca e con due indici:
T12 = 12 = xy ,
T13 = 13 = xz ,
T23 = 23 = yz ,
T21 = 21 = yx ,
T31 = 31 = zx ,
T32 = 32 = zy .
(A2.15)
Pa (N/m )
kg/m2
kg/cm2
t/m2
psi
Pa (N/m2)
1
9,807
9,807 x 104
9,807 x 103
6,895 x 103
kg/m2
1,020 x 10-1
1
104
103
7,031 x 102
kg/cm2
1,020 x 10-5
10-4
1
10-1
7,031 x 10-2
t/m2
1,020 x 10-4
10-3
10
1
7,031 x 10-1
psi
1,450 x 10-4
1,422 x 10-3
1,422 x 10
1,422
1
35
(torna allindice)
Ci si riferisca al problema di equilibrio di un corpo continuo C.
Fig. A2.7
Si consideri nella configurazione di equilibrio (C) un elemento di volume a forma di tetraedro,
avente tre facce parallele ai tre piani coordinati e la quarta faccia di orientazione qualsiasi n . Tale
elemento sia preso nellintorno di un dato punto x e sia infinitesimo, in modo da poter assumere la
funzione tensione costante su ogni faccia e la funzione densit delle forze di massa costante
allinterno del tetraedro (esso rappresentato in scala esagerata in Fig. A2.7).
In virt della prima legge cardinale della statica, deve risultare nullo il risultante di tutte le forze
agenti su . Ossia:
b dv + t (1) ds1 + t (2 ) ds 2 + t (3) ds3 + t ds = 0 ,
(A2.16)
avendo posto:
t (1) = t ( x, n = e1 );
t ( 2 ) = t ( x, n = e 2 );
t (3 ) = t ( x , n = e 3 ) ;
t = t ( x, n ).
(A2.17)
1
dv 1
= h.
dv = h dS
3
dS 3
36
(2 )
n2 + t
(3 )
n3 + t = 0 ,
1
h b al primo membro rispetto agli altri termini di
3
(A2.18)
La (A2.18) dimostra che il vettore tensione in x sulla faccia di normale n combinazione lineare
dei vettori tensione sulle altre tre facce del tetraedro.
Introdotto quindi il tensore T tale che:
(1)
T e1 = t ;
(2 )
T e2 = t ;
(A2.19)
(3 )
T e3 = t ;
dalla (A2.18) discende:
t = n1 T e1 + n2 T e 2 + n3 T e 3 = T (n1 e1 + n2 e 2 + n3 e 3 ) = T n .
(A2.20)
Fig. A2.8
t =Tn .
(A2.21)
Daltra parte, la tensione agente, nello stesso punto, sul lato negativo di S, ovvero la tensione
esercitata da P1 su P2, pari a:
( ) = T n
t =Tn =T n
= t .
(A2.22)
La (A2.22) esprime il cosiddetto principio di azione e reazione (o terza legge di Newton o anche
lemma di Cauchy).
Si pu osservare che tale relazione non rappresenta un ulteriore postulato della Meccanica, ma bens
una diretta conseguenza della prima legge di Eulero (da cui discende il teorema del tetraedro di
Cauchy).
Utilizzando la (A2.22) nelle (A2.19), si deduce che i vettori T e i rappresentano i vettori tensione
t
(i )
(i )
(i )
membro della (A2.20) associata la matrice T definita dalla (A2.12). Ad esso, come si gi detto,
si attribuisce il nome di tensore delle tensioni.
(torna allindice)
Si forniscono in questo paragrafo delle espressioni puntuali delle equazioni cardinali della statica
(A2.9), che chiamano in causa il tensore delle tensioni T e le forze di massa agenti su un corpo in
equilibrio.
Si consideri un elemento di volume P a forma di parallelepipedo, con le facce parallele ai piani di
un fissato riferimento cartesiano, allinterno della configurazione di equilibrio del corpo (Fig. A2.6).
Si denotino con x1 , x 2 , x3 le misure dei lati del parallelepipedo e con A, B e C i punti centrali
delle sue facce che hanno come normali uscenti gli opposti dei versori {e1 , e 2 , e 3 }. Sulle facce del
parallelepipedo agiscono le tensioni indicate nella figura che segue, mentre al suo interno agiscono
le forze di massa b .
Fig. A2.9
Risulta in particolare:
t
t
t
(1)
(x A + x1 e1 ) = t (1) (x A ) + t
(1)
x1
(2 )
(3 )
x1 + 0 ( x1 ) ,
(2 )
(x B + x2 e 2 ) = t
(2 )
(x B ) + t x 2 + 0 ( x 2 ),
x 2
(x C + x3 e 3 ) = t
(3 )
(x C ) + t x3 + 0 ( x3 ) ,
x3
(A2.23)
(3 )
38
T12 +
T12
x2 + 0 ( x2
x 2
T13
T11
T11 +
T12
T13 +
T13
x3 + 0 ( x3
x3
T11
x1 + 0 ( x1
x1
Fig. A2.10
Riferendosi ai valori medi delle componenti di tensione indicate nella figura precedente (Fig.
A2.10), ed al valore medio in P della quantit b1 , lequazione suddetta si scrive nella forma:
T11
T
x1 + 0 ( x1 ) x 2 x 3 + T12 + 12 x 2 + 0 ( x 2 ) x1 x 3 +
T11 +
x1
x 2
T
+ T13 + 13 x 3 + 0 ( x 3 ) x1 x 2 T11 x 2 x 3 T12 x1 x 3 T13 x1 x 2 + .
x 3
+ b1 x1 x 2 x 3 = 0 ,
passando
(A2.24)
al
limite
per
(A2.25a)
Analogamente, dalle altre due proiezioni della (A2.9a) lungo gli assi x 2 e x3 , possibile dedurre le
due seguenti equazioni differenziali:
T21 T22 T23
+ b2 = 0 ,
+
+
x1 x 2 x3
T31 T32 T33
+ b3 = 0 .
+
+
x1 x 2 x3
(A2.25b)
(A2.25c)
Le (A2.25), dette usualmente equazioni indefinite di equilibrio del corpo, debbono essere verificate
in ogni punto interno di una configurazione di equilibrio. Ad esse possibile attribuire la seguente
notazione compatta:
div T + b = 0 ,
(A2.26)
39
dove div T denota la divergenza del campo tensoriale T , ossia il campo vettoriale avente come iesima componente la quantit:
(div T )i =
Tij
x j
(A2.27)
Si prenda in esame ora lequazione cardinale (A2.9b) e la si proietti lungo lasse x3 , assumendo
come polo dei momenti lo spigolo P indicato in Fig. A2.11.
facile verificare che tale equazione scalare chiama in causa le sole componenti di tensione
mostrate nella figura che segue (Fig. A2.11), dove, per semplicit di notazione, si omesso di
indicare le quantit 0 ( xi ) .
T22 +
T23 +
T22
x2
x 2
T12 +
T12
x 2
x 2
T23
x3
x3
T21 +
T21
x1
x1
T13
T11
T11 +
T23
T11
x1
x1
T12
T 22
T13 +
T13
x3
x3
Fig. A2.11
Facendo attenzione ai bracci delle forze indicate in figura ed al segno dei momenti (la componente
secondo x3 di un vettore momento positiva se un osservatore disposto nel verso positivo di x3
vede il momento portare x1 su x 2 in verso antiorario), si ottiene:
40
x
x
T
T11 + 11 x1 + 0 ( x1 ) x 2 x 3 2 + T11 x 2 x 3 2 +
2
2
x1
T
+ T21 + 21 x1 + 0 ( x1 ) x 2 x 3 x1 +
x1
T
T12 + 12 x 2 + 0 ( x 2 ) x1 x 3 x 2 +
x 2
x
x
T
+ T22 + 22 x 2 + 0 ( x 2 ) x1 x 3 1 T23 x1 x 2 1 + .
2
2
x 2
T
x
x
+ T23 + 23 x 3 + 0 ( x 3 ) x1 x 2 1 T23 x1 x 2 1 +
2
2
x 3
(A2.28)
T
x
x
T13 + 13 x 3 + 0 ( x 3 ) x1 x 2 2 T13 x1 x 2 2 +
2
2
x 3
x
x
b1 x1 x 2 x 3 2 + b2 x1 x 2 x 3 1 = 0
2
2
(A2.29a)
Considerazioni analoghe a quelle fin qui svolte portano a dedurre dalle altre due proiezioni
dellequazione cardinale (A2.9b) (lungo gli assi x1 e x 2 ) i seguenti ulteriori risultati:
T13 = T31 ,
T23 = T32 .
(A2.29b)
(A2.29c)
Le (A2.29) dimostrano che il tensore delle tensioni simmetrico, ossia che risulta:
T
T =T .
(A2.30)
Ci comporta che le componenti tangenziali di T sono a due a due uguali tra loro. In particolare, le
tensioni tangenziali agenti sulle facce ortogonali di un elemento di volume cubico infinitesimo
concorrono o divergono entrambe dagli spigoli dellelemento (vedi Fig. A2.6).
Si dimostrato quindi che le leggi di Eulero, nel caso statico, equivalgono in forma locale alle
equazioni differenziali di equilibrio (A2.25) ed alla simmetria del tensore delle tensioni.
Questultimo risultato, in particolare, vale anche nel caso di un corpo in movimento, come si pu
agevolmente dimostrare. In tal caso, la simmetria di T deve essere verificata ad ogni istante del
moto.
41
t =T n
Fig. A2.12
Ci si chiede se esista una qualche direzione n tale che la tensione t (x, n ) abbia solo componente
normale = n . Una tale direzione si dice direzione principale di tensione in x e lo scalare si
dice tensione principale.
Il problema in esame coincide a tutti gli effetti con il problema del calcolo degli autovalori e degli
autovettori del tensore delle tensioni T (x ) . Esso, infatti, retto dallequazione vettoriale:
t = T n = n ,
(A2.31)
(T I ) n = 0 ,
(A2.32)
T31
T12
(T22 )
T32
n1 0
T23 n 2 = 0 ,
(T22 ) n3 0
T13
(A2.33)
(A2.34)
Il sistema omogeneo (A2.33) ammette soluzioni non banali ( n 0 ) se e solo se risulta nullo il
determinante della matrice dei coefficienti, ossia se e solo se risulta:
(T11 )
det T21
T31
T12
(T22 )
T32
T23 = 0 .
(T22 )
T13
(A2.35)
42
3 I1 2 + I 2 I 3 = 0 ,
(A2.36)
dove:
I 1 = T11 + T22 + T33 = tr (T ) ;
T12
T22
T
det
I 2 = det 11
+
T
T21 T22
32
T11 T12
I 3 = det T21 T22
T31 T32
(A2.37a)
( )]
T23
T11 T13 1 2
2
det
tr (T ) tr T ;
+
T33
T31 T33 2
T13
T23 = det T .
T33
(A2.37b)
(A2.37c)
Dalle (A2.37) si deduce in particolare che i coefficienti dellequazione (A2.36) (detta anche
equazione caratteristica o equazione secolare del tensore T ) sono quantit invarianti rispetto ad un
cambiamento di riferimento (si ricorda che sia la traccia che il determinante di tutte le matrici
associate ad uno stesso tensore sono tra loro identiche). Ci assicura che il calcolo delle tensioni e
delle direzioni principali non condizionato dalla scelta del sistema di riferimento.
Le quantit I 1 , I 2 , I 3 sono usualmente dette primo, secondo e terzo invariante del tensore delle
tensioni.
Una volta calcolate le tensioni principali 1 , 2 , 3 , la sostituzione di ciascuna di queste quantit
nel sistema (A2.33)-(A2.34) consente di determinare la direzione principale di tensione associata ad
ogni i .
Dalla simmetria di T discende anche che le direzioni principali associate a due tensioni principali
distinte sono tra loro ortogonali.
Pu capitare che una tensione principale sia radice doppia delle (A2.36), ad esempio 1 = 2 3 .
In questo caso, lo stato di tensione si dice cilindrico.
Se invece accade che la (A2.36) ammette
ununica radice tripla = 1 = 2 = 3 , tutte le
direzioni dello spazio sono direzioni principali di
tensione e quindi su una qualunque superficie
passante per il punto x in esame agisce solo una
tensione normale = n (vedi figura a lato). In
questo caso, lo stato di tensione si dice sferico o
anche idrostatico ( tale infatti lo stato di
tensione in un qualunque punto di un fluido in
quiete).
43
Unulteriore classificazione degli stati di tensione si pu effettuare sulla base del numero di tensioni
principali diverse da zero.
Se tutte le tensioni principali sono diverse da zero ( 1 , 2 , 3 0 ), lo stato tensionale si dice
triassiale. Dallesame della (A2.36) si deduce agevolmente che condizione necessaria e sufficiente
affinch ci accada che risulti I 3 0 .
Se invece una sola tensione principale uguale a zero (ad esempio 3 = 0 , 1 , 2 0 ), lo stato
tensionale si dice piano o biassiale. Condizione necessaria e sufficiente affinch ci accada che
risulti I 3 = 0, I 2 0 .
Se, infine, due tensioni principali sono nulle (ad
esempio: 2 = 3 = 0 ; 1 0 , vedi figura a lato),
lo stato tensionale si dice uniassiale (o
monoassiale).
Condizione
necessaria
e
sufficiente affinch ci accada che risulti
I3 = I2 = 0 .
Ovviamente stato escluso dalla trattazione
precedente il caso banale 1 = 2 = 3 = 0 , che
caratterizza uno stato tensionale nullo
( I 1 = I 2 = I 3 = 0 ).
Con le direzioni principali di tensione si pu costruire una base ortonormale {n1 , n 2 , n 3 } , che si dice
base principale di T . Rispetto ad essa, la matrice associata a T la seguente matrice diagonale:
1 0
T = 0 2
0
0
*
0
0 .
3
(A2.38)
44
(torna allindice)
Ci si riferisca al caso di uno stato di tensione piano e si supponga, per fissare le idee, che risulti
3 = 0 . Si introduca un sistema di riferimento ortonormale {O, e1 , e 2 , e 3 } tale che lasse e 3 coincida
con la direzione principale associata a 3 . Nelle ipotesi fatte, la matrice associata al tensore T
rispetto alla base { e1 , e 2 , e 3 } avr la terza colonna e la terza riga formate da elementi tutti pari a
zero:
T11 T12
T = T21 T22
0
0
0
0 .
3
(A2.39)
Si ricorda infatti che la terza colonna di T contiene le componenti del vettore T e 3 , che nullo per
ipotesi ( T e 3 = 3 e 3 = 0 ).
Se ora si considera una direzione qualsiasi dello spazio, di versore n = n1 e1 + n2 e 2 + n3 e 3 , risulta:
T11 T12
T n = T21 T22
0
0
0 n1 t1
0 n2 = t 2 .
0 n3 0
(A2.40)
dove:
t1 = T11 n1 + T12 n2 ; t 2 = T21 n1 + T22 n 2 .
(A2.41)
La (A2.41) mostra che il vettore tensione t (x, n ) , sempre contenuto nel piano { e1 , e 2 } (risulta
t 3 = 0 per qualsiasi scelta di n ). Per tale motivo il piano { e1 , e 2 } si dice piano delle tensioni.
45
In alternativa, si pu ricorrere alla costruzione grafica del cosiddetto Cerchio di Mohr, che si passa
ad illustrare.
Si introduca nel piano delle tensioni un sistema di riferimento ortogonale {P, n, m} avente lorigine
nel punto P in esame, lasse n inclinato di un angolo arbitrario rispetto a e1 e lasse m orientato
in modo che la coppia {n, m} non sia sovrapponibile nellordine alla coppia {e1 , e 2 } ( se si porta n
su e1 , m va a finire su e 2 ).
In Fig. A2.14 sono mostrati gli assi n e m , le
traccia nel piano delle tensioni della generica
giacitura di normale n e le componenti di
tensione n e n agenti su tale giacitura. La n
(componente normale) positiva se diretta
come n (ovvero se di trazione), mentre la n
(componente tangenziale) positiva se diretta
come m , ovvero se insegue in verso orario la
componente di tensione tangenziale agente sulla
giacitura di normale n (convenzioni di Mohr,
vedi Fig. A2.14).
Fig. A2.14
(A2.43a)
e raggio:
2
T T22
2
R = 11
+ T12 .
2
(A2.43b)
Esso si dice cerchio di Mohr del tensore delle tensioni, relativo al piano {e1 , e 2 } (Fig. A2.16).
46
Fig. A2.16
La tensione normale n e la tensione tangenziale n , corrispondenti al generico valore di , si
ottengono per via grafica tracciando dal primo polo del cerchio di Mohr P * Pm (T11 , T12 ) una retta
parallela a m, ovvero tracciando dal secondo polo P ** Pn (T22 , T12 ) una retta parallela a n .
Queste due rette intersecano il cerchio in uno stesso punto Q, che ha come coordinate proprio
( n , n ) . Il polo P * (o Pm ) si dice anche polo delle giaciture, mentre il polo P ** (o Pn ) si dice
anche polo delle normali.
Il cerchio di Mohr pu essere utilizzato in particolare per determinare le direzioni principali di
tensione n1 e n 2 che giacciono nel piano delle tensioni. Esse coincidono con le rette che uniscono
P ** con i punti in cui il cerchio interseca lasse n (punti in cui n = 0 ). Le giaciture ortogonali a
tali direzioni si ottengono invece unendo P * con gli stessi punti (Fig. A2.17). Le ascisse dei punti
di intersezione del cerchio con lasse n coincidono con le tensioni principali 1 e 2 .
Fig. A2.17
Con i simboli della Fig. A2.17, risulta:
47
2
1 = T + T
T T22
2
11 22 11
+ T12 ;
2
2
2 =
2T12
tg 2 =
,
T11 T22
(A2.44)
(A2.45)
0
T =
0
La costruzione del cerchio di Mohr (Fig.
A2.18) mette in evidenza che in questo caso
le tensioni principali 1 e 2 sono opposte
tra loro ed in modulo hanno lo stesso valore
della tensione tangenziale agente sulle
giaciture ortogonali agli assi x1 e x 2
( 1 = 2 = ).
Le direzioni principali di tensione sono
invece inclinate a 45 rispetto agli assi x1 e
x 2 . Uno stato tensionale di questo tipo si
dice di taglio semplice (o taglio puro).
Il secondo caso quello di uno stato
tensionale uniassiale, che in effetti pu
essere considerato come un particolare stato
di tensione piano. In questo caso, il vettore
tensione su qualsiasi giacitura sempre
diretto come la direzione principale associata
allunica tensione principale diversa da zero,
che si suppone essere 1 ( 2 = 3 = 0 ).
Considerato uno qualsiasi dei piani che
hanno come sostegno tale direzione
principale ed introdotto in esso un arbitrario
sistema di riferimento cartesiano {x1 , x 2 } , il
cerchio di Mohr relativo a tale piano
tangente allasse delle n (Fig. A2.19).
(A2.46)
Fig. A2.18
Fig. A2.19
48
(torna allindice)
La costruzione di Mohr relativa agli stati piani di tensione pu essere generalizzata al caso degli
stati triassiali ( 1 , 2 , 3 0 ), introducendo tre cerchi di Mohr, ognuno dei quali sia relativo ad un
piano ortogonale ad una direzione principale di tensione (cerchi principali di Mohr).
Il cerchio principale relativo alla direzione n i fornir le coppie ( n , n ) per {n, m} variabili nel
piano ortogonale a n i e consentir, in particolare, il calcolo delle direzioni principali diverse da n i
e delle relative tensioni principali.
comodo rappresentare i cerchi principali in un unico riferimento ( n , n ) (Fig. A2.20).
La regione di piano compresa tra le porzioni dei cerchi principali situate dalla parte delle n
positive di dice arbelo di Mohr ed possibile dimostrare che essa contiene tutte le possibili coppie
( n , n ) al variare della direzione n nello spazio. I punti interni di tale regione individuano, in
particolare, valori di n e n corrispondenti a vettori n che non giacciono in uno dei tre piani
principali.
Il suddetto risultato mette in evidenza che la minima e la massima tensione principale rappresentano
i valori estremi della componente di tensione normale (al variare della giacitura) ed inoltre che il
massimo valore di n (detto anche tensione tangenziale massima) pari al valore assoluto della
semidifferenza tra la massima e la minima tensione principale (Fig. A2.20).
Fig. A2.20
49
evidente, infatti, che in questo studio non si pu confondere la configurazione variata (C) con
(C).
A2.9. Esercizio proposto.
(torna allindice)
Con riferimento al seguente stato di tensione:
T11 T12
T = T21 T22
T31 T32
T13 257 0 40
T23 = 0 141 0 ( N / mm 2 MPa)
T33 40 0 237
50
51
(torna allindice)
Il comportamento elastico lineare tipico di
quei materiali che subiscono deformazioni
direttamente proporzionali alle sollecitazioni
ad essi applicate e che restituiscono
completamente tali deformazioni, ritornando
alla loro configurazione iniziale, quando le
sollecitazioni esterne vengono rimosse.
Si consideri, ad esempio, una molla di acciaio
di lunghezza iniziale l, alla quale sia applicata
una forza di intensit F via via crescente (Fig.
1). Per valori di F contenuti entro una certa
soglia, lesperienza insegna che un sistema di
questo tipo (detto usualmente dinamometro)
l
direttamente
subisce allungamenti
proporzionali alla forza F, secondo la legge di
Hooke: l = F (Robert Hooke, 1678). Il
coefficiente si dice deformabilit della
molla ed il suo reciproco k = 1 rigidezza
della molla.
Fig. 1
(1)
essendo C un tensore del quarto ordine (tensore di elasticit o delle rigidezze elastiche), ossia una
trasformazione lineare definita sullo spazio dei tensori del secondo ordine. Proiettando la (1) in un
arbitrario riferimento cartesiano, si ottengono le 9 relazioni scalari:
Tij = C ijhk hk
(2)
C ijhk = C jikh ,
(3)
Le 36 componenti indipendenti del tensore di elasticit sono dette coefficienti elastici (o rigidezze
elastiche) del materiale nel punto considerato. Se esse non variano da punto a punto il materiale si
dice omogeneo (in questo caso i coefficienti elastici si dicono pi specificamente costanti elastiche
del corpo).
Risulta conveniente ordinare le 6 componenti indipendenti dei tensori T e in due vettori colonna
e le 36 costanti elastiche indipendenti in una matrice quadrata C di tipo 6 x 6 (matrice di elasticit
o delle rigidezze elastiche del materiale), di modo che il legame elastico-lineare si possa esprimere
nella forma pi compatta:
T11 C11
T C
22 21
T33 C 31
=
T23 C 41
T31 C 51
T12 C 61
C12
C13
C14
C15
C 22
C 23
C 24
C 25
C 32
C 33
C 34
C 35
C 42
C 52
C 43
C 53
C 44
C 54
C 45
C 55
C 62
C 63
C 64
C 65
C16 11
C 26 22
C 36 33
C 46 23
C 56 31
C 66 12
(4)
In particolare, se risulta:
C ijhk = C hkij ,
(5)
ovvero se la matrice di elasticit C simmetrica, si dice che il tensore di elasticit gode della
propriet di simmetria maggiore, ovvero anche che il materiale iperelastico. In questo caso, le
costanti elastiche indipendenti si riducono da 36 a 21 (elementi della parte triangolare alta o della
parte triangolare bassa di C ).
Quando C invertibile, la matrice inversa di C si dice matrice delle deformabilit elastiche del
materiale e si denota con A .
Nel passaggio dal sistema di coordinate cartesiane X 1 , X 2 , X 3 ad un nuovo sistema X 1' , X 2 ' , X 3'
(ottenuto, ad esempio, attraverso una rotazione degli assi X 1 , X 2 , X 3 ), cambiano, in generale, le
componenti del tensore di elasticit, per cui loriginaria matrice delle rigidezze elastiche C si
trasforma in una differente matrice C' .
Ad esempio, nel caso del legno (Fig. 2), facile
intuire che la rigidezza del materiale nella
direzione X 1 delle fibre (coefficiente C11 )
maggiore della rigidezza lungo una qualsiasi
altra direzione X 1' ( C11 > C1'1' ).
Un comportamento analogo esibito dai
materiali formati da una matrice plastica
irrigidita con fibre di vetro o di carbonio lungo
direzioni preferenziali (materiali compositi). Si
dice in questo caso che il materiale
elasticamente anisotropo.
Fig. 2
Rimandando al paragrafo A3.3 lesame di qualche comportamento di tipo anisotropo, si passa ora
ad esaminare un comportamento elastico di tipo pi semplice, detto isotropo.
53
(torna allindice)
Un materiale elastico-lineare si dice isotropo se possiede costanti elastiche uguali in ogni
riferimento cartesiano ( C = C per effetto di ogni rotazione ed inversione degli assi).
E immediato verificare che un tale materiale possiede un numero di costanti elastiche indipendenti
molto minore di 36.
Per rendersi conto di ci, si ruotino, ad
esempio, gli assi X 1 , X 2 , X 3 di 90 intorno
a X 3 , portando X 1' a coincidere con X 2
(Fig. 3). In virt della definizione fornita,
in un materiale isotropo risulta C1'1' = C11 ,
ovvero C 22 = C11 , dal momento che lasse
X 1' coincide con X 2 .
Operando trasformazioni dassi analoghe a
quella precedente, si pu giungere a
dimostrare che un materiale isotropo
possiede solo due coefficienti elastici
indipendenti tra loro.
Fig. 3
In particolare, per un tale materiale, le relazioni scalari (2) si possono esplicitare nella forma:
T11 =
E
(11 + 22 + 33 )
11 +
(1 + )
1 2
T22 =
E
(11 + 22 + 33 )
22 +
(1 + )
1 2
T33 =
E
(11 + 22 + 33 )
33 +
(1 + )
1 2
(6)
T23 = 2 G 23 = G 23
T31 = 2 G 31 = G 31
T12 = 2 G 12 = G 12
Le (6) esprimono il legame costitutivo elastico-lineare isotropo. In tali relazioni compaiono i
coefficienti E , , G , detti rispettivamente modulo di Young (o modulo di elasticit normale),
coefficiente di Poisson (o coefficiente di comprimibilit trasversale) e modulo di elasticit
tangenziale. Di essi, come si gi detto, solo due sono indipendenti, ed infatti risulta:
G=
E
2 (1 + )
(7)
54
1
[T11 (T22 + T33 )]
E
22 =
1
[T22 (T11 + T33 )]
E
33 =
1
[T33 (T11 + T22 )]
E
23
1
=
T23
2G
23
(8)
= T23
G
31 =
1
T31
2G
31 = T31
G
12 =
1
T12
2G
12 = T12
G
(torna allindice)
Fig. 4
11 =
T11 ; 22 = 33 = T11 = 11 ; 23 = 31 = 12 = 0
E
E
(9)
Coefficiente
di Poisson
0.30
0.35
0.08 0.16
0.25
0.25
Modulo di Young E
(kN/mm2 = GPa)
207
72
20 35
90 125
700
Materiale
Acciaio
Alluminio
Calcestruzzo
Ghisa
Vetro
Tab. 1
12
/2
12
12
Fig. 5
(10)
56
il che si riscontra usualmente, dal momento che, come si gi osservato, tipicamente maggiore
di zero.
In conclusione, si prenda in esame leffetto di uno stato di tensione sferico su un materiale isotropo
( T11 = T22 = T33 = ; Tij = 0 per i j ). Dalle (8) si ricava che la matrice delle deformazioni di un
materiale isotropo in questo caso sferica ( 11 = 22 = 33 =
(1 2 ) ;
ij = 0 per i j ). In
E
particolare, ricordando che la traccia del tensore ( tr ( ) = e = 11 + 22 + 33 ) rappresenta la
dilatazione volumetrica degli intorni di materia, dalle (8) si deduce:
e=
(11)
K=
E
3 (1 2 )
(12)
Il requisito, irrinunciabile dal punto di vista fisico, che ad una tensione sferica di un certo segno
corrisponda una dilatazione volumetrica di pari segno, si traduce nella limitazione:
<
1
2
(13)
1
2
(14)
si dicono restrizioni a priori sui coefficienti elastici di un materiale isotropo. Esse rappresentano
condizioni di ammissibilit fisica del legame isotropo, verificate da tutti i materiali reali.
Si lascia al lettore la cura di verificare che in un materiale elastico-lineare ed isotropo le direzioni
principali di tensione coincidono sempre con le direzioni principali di deformazione.
57
(torna allindice)
Un comportamento elastico pi complesso di quello isotropo quello cosiddetto ortotropo. Esso
caratterizzato dal fatto che la risposta elastica del materiale non pi identica al variare della
direzione di sollecitazione, ma possiede bens qualche propriet di anisotropia.
Nel caso ortotropo, esiste, in particolare, un riferimento cartesiano X 1' , X 2 ' , X 3' , detto riferimento
naturale del materiale, rispetto al quale il legame elastico assume la forma seguente:
1 1 =
1
[T11 12 T22 13 T33 ]
E1
22 =
1
[T22 21 T11 23 T33 ]
E 2
33 =
1
[T33 31 T11 32 T22 ]
E3
1
=
T23
2 G23
1
23 =
T23
G23
31 =
1
T31
2 G31
1
31 =
T31
G31
1 2 =
1
T1 2
2 G1 2
1
1 2 =
T1 2
G1 2
23
(15)
Nelle (15), che generalizzano le (8), compaiono nove coefficienti elastici indipendenti e cio:
-
(16)
58
Si pu osservare che tra le (15) e le (8) sussiste in effetti qualche analogia formale. Dalle (15)
emerge, in particolare, che il legame ortotropo, quando viene riferito agli assi naturali, possiede le
propriet che a sollecitazioni uniassiali corrispondono solo dilatazioni lineari (longitudinali e
trasversali) e viceversa che a sollecitazioni di taglio puro corrispondono solo scorrimenti angolari,
al pari del caso isotropo.
Tuttavia, a differenza di un materiale isotropo, un materiale ortotropo perde queste propriet di
ortogonalit tra sollecitazioni normali e tangenziali in un riferimento cartesiano non coincidente con
quello naturale.
Unulteriore differenza tra il caso ortotropo e quello isotropo consiste nel fatto che, nel primo caso,
le rigidezze elastiche del materiale variano da direzione a direzione (i tre moduli di Young E1 , E 2 ,
E3 possono essere sensibilmente diversi tra loro, cos come i tre coefficienti di Poisson 1 2 , 1 3 ,
23 ed i tre moduli di elasticit tangenziale G1 2 , G1 3 e G23 ).
I coefficienti di Poisson di un materiale ortotropo sono generalmente maggiori di zero, ma esistono
tuttavia alcuni particolari materiali ortotropi per i quali alcuni di tali coefficienti sono negativi.
Il comportamento ortotropo caratteristico dei materiali compositi rinforzati con due ordini di fibre
ortogonali fra loro (compositi con fibre bidirezionali). In tali materiali, due dei tre assi naturali X 1' ,
X 2 ' X 3' coincidono con le direzioni delle fibre, mentre il terzo coincide con lasse ortogonale ai
due ordini di fibre. I moduli di Young nelle direzioni delle fibre sono ovviamente sensibilmente
maggiori di quello nella direzione ortogonale alle fibre. I primi due sono infatti dello stesso ordine
di grandezza del modulo di Young del materiale che compone le fibre (vetro, carbonio, ecc.),
mentre il terzo dello stesso ordine di grandezza del modulo di Young del materiale che compone
la matrice del composito (resina epossidica, fenolica, ecc). I moduli del composto si possono
determinare a partire dai moduli degli elementi componenti (fibre e matrice) invocando
considerazioni di micromeccanica e tenendo conto, in particolare, delle frazioni massicce o
volumetriche delle fibre allinterno del composito.
In Fig. 6 mostrata la risposta elastica nel piano X 1' , X 2 ' di una lamina in Glass/Epoxy (resina
epossidica rinforzata con fibre di vetro). La lamina sollecitata da uno stato di tensione
monoassiale lungo una direzione X 1 ruotata di un angolo rispetto alla direzione delle fibre X 1' .
Si pu osservare che, per diverso da 0 e da 90, la lamina subisce uno scorrimento angolare tra
lasse della sollecitazione X 1 e lasse X 2 ad esso ortogonale, pur essendo sollecitata in maniera
uniassiale. Si pu osservare, inoltre, che essa subisce una dilatazione 11 tanto pi grande quanto
pi lasse di sollecitazione si discosta dallasse delle fibre (rigidezza maggiore nella direzione delle
fibre).
59
E1 = 37.733GPa; E2 = 5.982GPa
12 = 0.30; G12 = 2.178GPa
fibre
2' 2
1' 1
2'
1'
= 00
2'
= 300
=150
1' 2
'
'
= 450
1'
2'
= 600
1'
2' 1
= 900
Fig. 6: Risposta elastica nel piano di una lamina in glass/epoxy al variare dellangolo tra lasse di sollecitazione e la direzione delle fibre
60
E1
.
2 (1 + 1 2 )
(17)
1
[T1 11 T T22 LT T33 ]
ET
22 =
1
[T22 T T11 LT T33 ]
ET
33 =
1
[T33 LT (T11 + T22 )]
EL
(18)
23 =
1
T23
2 G LT
1
23 =
T23
G LT
31 =
1
T31
2 G LT
1
31 =
T1 3
G LT
1 2 =
1
T1 2
2 GT
1
1 2 =
T1 2
GT
ET
.
2 (1 + T )
(19)
In conclusione si forniscono due tabelle, che mostrano un confronto tra le propriet fisicomeccaniche di alcuni tipici materiali compositi (materiali con matrice in resina epossidica e fibre in
grafite, kevlar o vetro), dellacciaio e dellalluminio (Tab. 2), nonch un confronto tra i rapporti
rigidezza/peso e resistenza/peso di tali materiali (Tab. 3).
Tab. 2
Tab. 3
62
I risultati mostrati in Tab. 3 mettono in evidenza che i materiali compositi sono caratterizzati da un
elevato rapporto tra la rigidezza elastica nella direzione delle fibre e la densit di massa (rapporto
E L / ). Questo rapporto sensibilmente maggiore di quello tra il modulo di Young e la densit di
massa dei pi comuni materiali metallici da costruzione (acciaio e alluminio), soprattutto nel caso
dei compositi con fibre in carbonio (grafite) o aramidiche (kevlar). Si tratta, cio, di materiali molto
leggeri ed al tempo stesso molto rigidi (e resistenti) nei confronti di sollecitazioni applicate lungo la
direzione delle fibre. Tale propriet li rende particolarmente idonei alle applicazioni ingegneristiche
che richiedono di contenere il pi possibile le masse strutturali (industria aeronautica,
automobilistica, navale, rinforzo strutturale, ecc.).
63
64
(torna allindice)
Si prenda in esame un corpo continuo C e lo si identifichi con una sua opportuna
configurazione di riferimento .
Il corpo sia sollecitato al suo interno da forze di massa di densit b (per unit di volume) e, su
una porzione p della frontiera , da forze di superficie di densit p.
Esso sia inoltre sottoposto a vincoli di tipo cinematico sulla porzione u di complementare
rispetto a p . Tali vincoli impongano che, su u , un qualsiasi campo di spostamenti u che il corpo
*
Fig. 1
Usualmente, il problema di equilibrio si formula nellipotesi che le deformazioni associate alla
trasformazione siano infinitesime, ipotesi riscontrabile in molti casi di interesse tecnico.
*
Si denotino con u, ( + ) e T rispettivamente il campo di spostamenti che porta il corpo da
a , il campo delle deformazioni infinitesime associato a u ed il campo delle tensioni che
sollecita il corpo nella configurazione . Com ben noto, lipotesi di deformazioni infinitesime
consente di riportare nella configurazione di riferimento il campo T e i campi delle forze
esterne p e b.
65
divT + b = 0
-
Tij
+ bi = 0 in ;
X
(1)
+ =
1
T
u + u
2
u j
1 u
*
ij + ij = i +
2 X j X i
in ;
(2)
T = C [ ]
= A [T ]
(3a)
( ij = Aijhk Thk ) in .
(3b)
Tn= p
(4)
u=u
(Tij n j = pi ) su p ;
(ui = ui* ) su u .
(5)
Le (1) (5) definiscono la cosiddetta formulazione mista (o a tre campi) del problema elastico.
I requisiti di regolarit richiesti alla soluzione {u, , T } sono deducibili agevolmente dalla struttura
delle equazioni differenziali (1) e (2). E evidente, infatti, che queste equazioni risultano ben poste
se u di classe C 2 () (ovvero se i campi scalari ui sono continui su con tutte le loro derivate
parziali fino al 2 ordine) e T e sono di classe C 1 () (ovvero se i campi scalari Tij e ij sono
continui su con le loro derivate parziali prime).
*
Il campo + caratterizza la deformazione infinitesima complessiva da a . Esso
*
composto dalla parte elastica e dalla parte anelastica (o distorcente) . La parte elastica si
legame costitutivo elastico-lineare (reazione elastica del corpo alle azioni esterne assegnate).
Nelle (3a) si indicato con C il tensore di elasticit o delle rigidezze elastiche de materiale
che compone il corpo, mentre nelle (3b) si indicato con A = C
elastiche.
Si ammette usualmente che entrambi i tensori del quarto ordine C e A godano delle propriet
di simmetria maggiore:
T
C = C C [ 1 ] 2 = 1 C [ 2 ] 1, 2 ;
T
A = A A [T 1 ] T 2 = T 1 A [T 2 ] T 1 , T 2 ,
(6a)
(6b)
e di positivit:
C [ ] > 0 0 ;
(7a)
A [T ] T > 0 T 0 .
(7b)
Tali propriet, come si vedr anche nel seguito, rappresentano infatti dei requisiti irrinunciabili
per la plausibilit fisica del legame costitutivo elastico-lineare.
Ad esempio, nel caso isotropo, agevole dimostrare che la simmetria di C e A verificata
per qualsiasi valore dei coefficienti elastici E e (modulo di Young e coefficiente di Poisson,
rispettivamente) e che la positivit di C e A soddisfatta quando risulta: E > 0 e 1 < < 1 / 2 , il
che si riscontra in tutti i materiali isotropi reali.
Le propriet di simmetria maggiore (6a) e (6b) equivalgono a richiedere che, rispetto ad una
qualsiasi base ortonormale, risulti:
C ijhk = C hkij ;
A ijhk = A hkij ;
(8)
ovvero che sia possibile scambiare tra loro i primi due indici e i secondi due indici che indicano le
componenti di C e A . Linterscambiabilit del primo indice con il secondo e del terzo indice con il
quarto (propriet di simmetria minori di C e A ) assicurata invece dal fatto che i tensori del
quarto ordine C e A associano tensori simmetrici a tensori simmetrici:
C ijhk = C jikh ;
A ijhk = A jikh .
(9)
In forma estesa, assumendo che il comportamento elastico sia di tipo isotropo, le (1) (5) si
scrivono come segue:
x1
x 2
x3
(10)
67
u1
x1
22 + *22 = 2
x2
u3
*
33 + 33 =
x 3
in ;
u
u
1
*
12 + 12
= 1 + 2
2 x2 x1
1 u1 u3
*
13 + 13 =
+
2 x3 x1
1 u3 u3
*
23 + 23 =
+
2 x3 x2
*
11 + 11
=
E
11 +
(11 + 22 + 33 )
(1 + )
(1 2 )
(
)
11
22
33
22
(1 + )
(1 2 )
=
33 + (11 + 22 + 33 )
(1 + )
(1 2 )
in ,
E
= 2 G 12 =
12
(1 + )
E
= 2 G 13 =
13
(1 + )
E
= 2 G 23 =
23
(1 + )
(11)
T11 =
T22
T33
T12
T13
T23
(12a)
ovvero:
1
1
= [T22 (T11 + T33 )]
1
= [T33 (T11 + T22 )]
E
in ;
1
(1 + )
=
T12 =
T12
E
2G
1
(1 + )
=
T13 =
T13
E
2G
1
(1 + )
=
T23 =
T23
E
2G
11 =
22
33
12
13
23
(12b)
68
(13)
u1 = u1
u2 = u2 su u .
u3 = u3
(14)
v u2 ,
w u3 ;
x 11 , y 22 , z 33 ;
xy 2 12 , xz 2 13 , yz 2 23 ;
x T11 , y T22 , z T33 ;
xy T12 , xz T13 , yz T23 .
Lesistenza della soluzione del problema elastico stata dimostrata da vari autori (Betti, 1872;
Fredholm, 1906; Friedrichs, 1946; Campanato, 1959; ecc.), con varie tecniche di tipo matematico,
sotto condizioni di notevoli generalit per quanto riguarda la forma del dominio e la regolarit
*
*
dei dati p, b, u , . Tali dimostrazioni, peraltro molto complesse, non rientrano negli scopi di
queste note.
Pi semplice , invece, la dimostrazione dellunicit della soluzione, per la quale si rimanda al
teorema di Kirchhoff ( A4.4).
(torna allindice)
Una notevole formulazione alternativa delle equazioni di equilibrio indefinite ed al contorno
fornita dal cosiddetto principio dei lavori virtuali.
Alla sua esposizione necessario premettere la seguente identit differenziale. Siano T e u
rispettivamente un campo tensoriale ed un campo vettoriale di classe C 1 su una regione . Il
campo T u (immagine di u attraverso T) un campo vettoriale anchesso di classe C 1 ( ) .
69
Riferendosi ad una qualsiasi base cartesiana ortonormale, la sua divergenza il seguente campo
scalare:
div (T u ) =
(T u ) i =
(Tij u j ) .
X i
X i
(15)
Applicando al secondo membro della (15) la regola di derivazione del prodotto, si ottiene:
div (T u ) = u j
Tij
X i
+ Tij
u j
X i
(16)
essendo T
il trasporto di T ; che
e che
div (T u ) = div T u + T u
(17)
avendo denotato con il punto () il simbolo di prodotto scalare tra vettori e tensori (somma dei
prodotti delle componenti omonime).
T
In particolare, se il campo T simmetrico ( T = T ), risulta:
div (T u ) = div T u + T u div T u = div (T u ) T u .
(18)
Ci premesso, si moltiplichi ora scalarmene il primo membro della (1) per un campo vettoriale
u , che sia di classe C 1 ( ) e tale che u = 0 su u . Si integri tale prodotto su e si sottragga a
tale termine lintegrale su p di (T n p ) u .
Se valgono la (1) e la (4), risulta evidentemente
(div T + b) u dV
(T n p ) u dS = 0 ,
(div T u + b u ) dV
(19)
regola
del
trasposto
( n T u p u ) dS =
[div (T u ) T u ] dV
(20)
(T u n p u ) dS .
Applicando ora il ben noto teorema di Gauss o della divergenza ( div v dV = v n dS , per
70
div (T u ) dV =
T u n dS =
T u n dS ,
(21)
1
T
u + u ,
2
si deduce in definitiva che il rispetto delle equazioni di equilibrio (1) e (4) impone che risulti:
b u dV +
p u dS =
T dV
(22)
b u dV +
p u dS .
(23)
T dV .
(24)
I termini (23) e (24) assumono il significato di lavori proprio in virt della piccolezza di u ,
che consente di assumere che le forze esterne ed interne al corpo non cambino la loro intensit e la
loro direzione durante la deformazione virtuale.
71
Allo scopo di comprendere in dettaglio il significato fisico del lavoro virtuale interno, si faccia
riferimento ad un intorno di materia a forma di parallelepipedo (Fig. 2). Si immagini, per
semplicit, che lo stato di deformazione virtuale di tale intorno sia piano nel piano X 1 X 2 e
decomponibile in una dilatazione semplice 11 = u1 / X 1 lungo X 1 , in una dilatazione semplice
22 = u2 / X 2 lungo X 2 e in uno scorrimento semplice 12 = u1 / X 2 + u2 / X 1 tra X 1 e
X 2 . In Fig. 2 sono rappresentate queste tre deformazioni virtuali elementari, a meno dello
spostamento di un vertice del parallelepipedo.
Fig. 2
Il lavoro virtuale elementare che le varie forze di superficie interne al corpo compiono per
effetto della deformazione virtuale dellintorno il seguente (vedi Fig. 2):
d Li = (T11 dX 2 dX 3 )
u1
u2
dX 1 + (T22 dX 1 dX 3 )
dX 2 +
X 2
X 1
+ (T21 dX 2 dX 3 )
u2
u1
dX 1 + (T12 dX 1 dX 3 )
dX 2 =
X 1
X 2
(25)
div T + b = 0 in
Le = Li u C ( ) : u = 0 su u .
T n = p su
(26)
(27)
in Le = Li u C 1 ( ) ,
(28)
dove
Le =
b u dV +
Li =
T dV ,
T n u dS ,
(29)
(30)
essendo
=
1
T
u + u .
2
(31)
La (28) rappresenta una formulazione integrale delle sole equazioni indefinite di equilibrio.
Nella espressione del lavoro esterno Le , a secondo membro della (29), compare il lavoro di tutte le
forze di superficie affioranti sulla frontiera del corpo, dato dalla somma del lavoro delle forze
affioranti sulla porzione libera p e del lavoro delle forze affioranti su u (reazioni vincolari). Ci
proprio in conseguenza del fatto che u non vincolato ad essere nullo su u .
73
Nel seguito ci si riferir alla (28) con il nome di Teorema del Lavoro Speso. Tale relazione
anche detta principio dei lavori virtuali del corpo libero da vincoli. Essa risulta molto utile per il
calcolo di spostamenti e rotazioni nelle strutture elastiche.
A4.3. Energia di deformazione elastica
(torna allindice)
Quando si considera un processo deformativo reale (e non virtuale), che porti il corpo ad
acquisire un certo campo di deformazioni infinitesime , il lavoro elementare speso dalle tensioni
interne per deformare il generico intorno si calcola dalla relazione:
d Li = T ( ) d dV ,
0
(32)
d Li = C [ ] d dV .
0
(33)
(34)
E noto dallAnalisi che essa un differenziale esatto se e solo se le derivate in croce dei
suoi coefficienti sono uguali tra loro, ossia se e solo se risulta:
(C ijhk hk ) =
(C rshk hk ) i , j , r , s .
rs
ij
(35)
Le (35) assicurano che lintegrale a secondo membro della (33) sia indipendente dal particolare
percorso deformativo che porta allo stato di deformazione . Sviluppando le derivate parziali a
primo ed a secondo membro della (35), si ottiene:
Cijhk
hk
= C rshk hk .
rs
ij
(36)
(37)
74
ovvero che C goda della propriet di simmetria maggiore. Il risultato ottenuto mette in evidenza il
significato fisico di tale propriet, al quale si era gi fatto riferimento nel A4.1.
Assumendo che la (37) sia soddisfatta, possibile calcolare lintegrale a secondo membro della
(33) scegliendo un qualsiasi percorso deformativo di comodo. Ad esempio, si pu scegliere il
percorso lineare: = con variabile nellintervallo [0, 1]. Si ottiene:
C [ ] d = C [ ] ( d )
= C [ ] d =
0
1
C[ ] .
2
(38)
Alla quantit:
() =
1
C [ ] ,
2
(39a)
1
C [ ] dV .
2
(39b)
1
C [ ] dV
2
(40a)
si attribuisce il nome di energia di deformazione elastica del corpo. Essa consente di esprimere il
lavoro di deformazione relativo allintero corpo attraverso la relazione:
Li = ( ) =
1
C [ ] dV .
2
(40b)
Vale la pena di sottolineare la differenza tra i due concetti di lavoro ed energia. La densit per
unit di volume del lavoro di deformazione lintegrale della forma differenziale T ( ) d lungo
un certo percorso deformativo. La densit di energia di deformazione invece la primitiva di tale
forma differenziale ed esiste quando il lavoro di deformazione dipende solo dagli stati di
deformazione iniziale e finale del percorso deformativo.
A titolo di esempio, si faccia riferimento ad una sbarretta sollecitata da uno stato di tensione
monoassiale lungo il suo asse X 1 (Fig. 3). Ammettendo che la sbarretta esibisca un comportamento
elastico-lineare ed isotropo, la sua funzione di risposta la seguente:
T11 = E 11
(37)
75
11
0
T11 ( 11 ) d11 .
(42)
Fig. 3
Facendo uso della (42), si ottiene:
11
T11 ( 11 ) d11 =
11
E 11 d11 =
1
E 112 .
2
(43)
1
E 112 rappresenta la densit di energia di deformazione della sbarretta.
2
Essa coincide con larea sottesa dalla funzione di risposta nellintervallo [0, 11 ] (Fig. 3).
La quantit ( 11 ) =
(torna allindice)
Si dimostrano di seguito alcune importanti propriet del problema elastico, note come Principio
di sovrapposizione degli effetti, Teorema di Clapeyron, Teorema di reciprocit e Teorema di
Kirchhoff (o di unicit della soluzione). Esse mettono in luce il significato fisico delle propriet di
simmetria e di positivit del tensore di elasticit.
Principio di sovrapposizione degli effetti
Siano s1 = {u1 , 1 , T 1 } e s2 = {u 2 , 2 , T 2 } due soluzioni dei problemi elastici di uno stesso corpo
76
Attesa la linearit delle equazioni (1)-(5) a base del problema elastico ed in particolare la linearit
del legame costitutivo (3), detti 1 e 2 due scalari qualsiasi immediato verificare che la terna
1 s1 + 2 s2 soluzione del problema elastico corrispondente alle azioni esterne 1 a1 + 2 a2 .
Teorema di Clapeyron
Sia s = {u, , T } una soluzione del problema elastico corrispondente alle azioni esterne p, b, u , .
Supposto che il tensore di elasticit sia dotato in ogni punto della propriet di simmetria maggiore,
lenergia elastica indotta nel corpo dalle azioni esterne coincide con la met del lavoro che le forze
b e T compierebbero se durante la deformazione conservassero il loro valore finale:
b u dV
T n u dS
T dV =
C [ ] dV .
(44)
Dimostrazione
*
a primo membro lintegrale di volume di T (lavoro distorcente), si ottiene la (44). Daltra parte,
il secondo membro di tale relazione, nellipotesi di simmetria di C , rappresenta il doppio
dellenergia di deformazione elastica ( ) . Chiaramente, il campo T soddisfa la condizione al
*
b u dV +
b u dV +
T 1 n u 2 dS
T 2 n u1 dS
T 1 2 dV =
*
T 2 1 dV = L(21e )
(45)
77
Dimostrazione
Applicando il Teorema del Lavoro Speso con T = T 1 = C [ 1 ] , b = b1 , u = u 2 e = 2 + 2 , si
ottiene:
*
(e)
L12
=
C [ 1 ] 2 dV .
(46)
L(21e ) =
C [ 2 ] 1 dV .
(47)
Daltra parte, i secondi membri delle (46), (47) sono uguali nellipotesi di simmetria di C .
Il teorema in esame detto pi specificamente Teorema di Betti (o I teorema di reciprocit) se le
azioni esterne corrispondenti a s1 e s2 sono solo di tipo forze (assenza di cedimenti e distorsioni).
E detto invece Teorema di Colonnetti (o II teorema di reciprocit) se le azioni esterne
corrispondenti ad una delle due soluzioni sono di tipo forze e le azioni esterne corrispondenti
allaltra soluzione sono invece di tipo puramente cinematico (cedimenti e distorsioni).
Esso detto infine Teorema di Volterra (o III teorema di reciprocit) se entrambe le soluzioni
corrispondono ad azioni esterne di tipo puramente cinematico.
I teoremi di reciprocit possono essere utilmente impiegati per effettuare controlli sui cosiddetti
coefficienti di influenza delle strutture elastiche (spostamenti prodotti da forze unitarie o, viceversa,
forze prodotte da cedimenti unitari). Essi inoltre vengono usualmente impiegati per la costruzione
delle linee di influenza di spostamenti o sollecitazioni per azioni esterne (statiche o cinematiche)
viaggianti su una struttura elastica.
Teorema di Kirchhoff (o di unicit della soluzione)
Nellipotesi che il tensore di elasticit C sia in ogni punto simmetrico e definito positivo, la
soluzione del problema elastico unica in termini di tensioni e di deformazioni ed determinata a
meno di uno spostamento rigido del corpo (eventualmente compatibile con i vincoli assegnati su
u ) in termini di spostamenti.
Dimostrazione
Si indichino con s1 = {u1 , 1 , T 1 } e s2 = {u 2 , 2 , T 2 } due soluzioni di uno stesso problema elastico e
si ponga:
u = u 1 u 2 , = 1 2 , T = T 1 T 2 .
(48)
C [ ] dV = 0 ,
(49)
79