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Il sonetto

Dante il mover gli di del cherubino


E d'aere azzurro e d'r lo circonfuse:
Petrarca il pianto del suo cor, divino
Rio che pe' versi mormora, gl'infuse.
La mantuana ambrosia e 'l venosino
Miel gl'impetr da le tiburti muse
Torquato; e come strale adamantino
Contro i servi e' tiranni Alfier lo schiuse.
La nota Ugo gli di de' rusignoli
Sotto i ionii cipressi, e de l'acanto
Cinsel fiorito a' suoi materni soli.
Sesto io no, ma postremo, estasi e pianto
E profumo, ira ed arte, a' miei d soli
Memore innovo ed a i sepolcri canto.
Il bove
Tamo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor minfondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento
Lagil opra de luom grave secondi:
Ei tesorta e ti punge, e tu co l lento
Giro de pazenti occhi rispondi.
Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;
E del grave occhio glauco entro laustera
Dolcezza si rispecchia ampo e queto
Il divino del pian silenzio verde.
Davanti a San Guido
I cipressi che a Blgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e Ben torni omai
Bisbigliaron vr' me co 'l capo chino
Perch non scendi ? Perch non ristai ?
Fresca la sera e a te noto il cammino.
Oh siditi a le nostre ombre odorate

Ove soffia dal mare il maestrale:


Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean gi male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perch fuggi rapido cos ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!
Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d'un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei
Guardando lor rispondeva oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
Or non pi quel tempo e quell'et.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrit.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virt:
Non son pi, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro pi.
E massime a le piante. Un mormorio
Pe' dubitanti vertici ondeggi
E il d cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brill.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe' parole:
Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu n sai n puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L'umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso pien di voli,
Com' allegro de' passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da' fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Ed ioLontano, oltre Apennin, m'aspetta
La Titt rispondea; lasciatem'ire.

la Titt come una passeretta,


Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
N io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano!
Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta?
E fuggano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Gi de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch' s sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co 'l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavit.
O nonna, o nonna! deh com'era bella
Quand'ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest'uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
Deh come bella, o nonna, e come vera
la novella ancor! Proprio cos.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi pi:
Forse, nonna, nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo l su.
Ansimando fugga la vaporiera
Mentr'io cos piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo


Rosso e turchino, non si scomod:
Tutto quel chiasso ei non degn d'un guardo
E a brucar serio e lento seguit.

I due orfani
Fratello, ti do noia ora, se parlo?
Parla; non posso prender sonno. lo sento
rodere appena... Sar forse un tarlo...
Fratello, l'hai sentito ora un lamento
lungo nel buio? Sar forse un cane...
C' gente all'uscio... Sar forse il vento...
. Odo due voci piane piane piane...
Forse la pioggia che vien gi bel bello .
Senti quei tocchi? Sono le campane .
Suonano a morto? Suonano a martello? .
Forse... Ho paura... Credo che tuoni:
come faremo? Non lo so, fratello:
stammi vicino: stiamo in pace: buoni.
lo parlo ancoro, se tu sei contento.
Ricordi, quando per la serratura
veniva lume? Ed ora il lume spento.
Anche a que' tempi noi s'avea paura:
si, ma non tanta. Or nulla ci conforta,
e siamo soli nella notte oscura .
Essa era l, di l di quella porta;
e se n'udiva un mormorio fugace,
di quando in quando. Ed or la mamma morta.
Ricordi? Allora non si stava in pace
tanto, fra noi... Noi siamo ora pi buoni...
Ora che non c' piu chi si compiace
di noi... che non c' pi chi ci perdoni.

La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era gi alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

5 L in fondo la cavalla era, selvaggia,


nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
10 era mia madre; e le dicea sommessa:
O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
15 il primo dotto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non tocc mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi luragano,
tu di retta alla sua piccola mano.
Tu chhai nel cuore la marina brulla,
20 tu di retta alla sua voce fanciulla.
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea pi mesta:
O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
25 lo so, lo so, che tu lamavi forte!
Con lui ceri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra londate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
30 nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perch facesse in pace lagonia...
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

35 O cavallina, cavallina storna,


che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dov pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
40 con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi leco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perch udissimo noi le sue parole.
45 Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre labbracci su la criniera
O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritorner pi mai!
50 Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu lhai veduto luomo che luccise:
esso t qui nelle pupille fise.
55 Chi fu? Chi ? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio tinsegni, come.
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con lunghie vuote:
60 dormian sognando il rullo delle ruote.
La tessitrice
Mi son seduto su la panchetta
come una volta ... quanti anni fa?
Ella, come una volta, s'e' stretta
su la panchetta.

E non il suono d'una parola;


solo un sorriso tutto pieta'.
La bianca mano lascia la spola.
Piango, e le dico: Come ho potuto,
dolce mio bene, partir da te?
Piange, e mi dice d'un cenno muto:
Come hai potuto?
Con un sospiro quindi la cassa
tira del muto pettine a se'.
Muta la spola passa e ripassa.
Piango, e le chiedo: Perche' non suona
dunque l'arguto pettine piu'?
Ella mi fissa timida e buona:
Perche' non suona?
E piange, piange Mio dolce amore,
non t'hanno detto? non lo sai tu?
Io non son viva che nel tuo cuore.
Morta! Si', morta! Se tesso, tesso
per te soltanto; come, non so:
in questa tela, sotto il cipresso,
accanto alfine ti dormiro'.
La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole pi nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
pi rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
n il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre

che hai nome


Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
pi sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
pi roco
che di laggi sale,
dall'umida ombra remota.
Pi sordo e pi fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
pi folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra pi fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
s che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,

i denti negli alveoli


son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
CONSOLAZIONE
valori familiari, semplicit, dolcezza, castit forse resi con eccessivo esibizionismo.
Non pianger pi. Torna il diletto figlio
a la tua casa. stanco di mentire.
Vieni; usciamo. Tempo di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto quasi un giglio.
Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancra per noi qualche sentiero.
Ti dir come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.
Ancra qualche rose ne' rosai,
ancra qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancra
sorrider, se tu sorriderai.
Ti dir come sia dolce il sorriso
di certe cose che l'oblo afflisse.
Che proveresti tu se fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?

Tanto accadr, ben che non sia d'aprile.


Usciamo. Non coprirti il capo. un lento
sol di settembre; e ancor non vedo argento
su 'l tuo capo, e la riga ancor sottile.
Perch ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po' di sole,
un po' di sole su quel viso bianco.
Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose...
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l'anima tua sogna.
Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sar come al tempo lontano.
Io metter ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla ancor distrutto.
Sogna, sogna! Io vivr de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivr. La lieve ostia che monda
io la ricever da le tue dita.
Sogna, ch il tempo di sognare giunto.
Io parlo. Di': l'anima tua m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende
quasi il fantasma d'un april defunto.
Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.
Sogniamo, poi ch' tempo di sognare.
Sorridiamo. la nostra primavera,
questa. A casa, pi tardi, verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.
Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,
allora, qualche corda; qualche corda
ancora manca. E l'ebano ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.

Mentre che fra le tende scolorate


vagher qualche odore delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come un fiato
debole di viole un po' passate,
soner qualche vecchia aria di danza,
assai vecchia, assai nobile, anche un poco
triste; e il suono sar velato, fioco,
quasi venise da quell'altra stanza.
Poi per te sola io vo' comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna,
sopra un antico metro, ma con una
grazia che sia vaga e negletta alquanto.
Tutto sar come al tempo lontano.
L'anima sar semplice com'era;
e a te verr, quando vorrai, leggera
come vien l'acqua al cavo de la mano.
LE STIRPI CANORE
I miei carmi son prole
delle foreste,
altri dell'onde,
altri delle arene,
altri del Sole,
altri del vento Argeste.
Le mie parole
sono profonde
come la redici
terrene,
altre serene
come i firmamenti,
fervide come le vene
degli adolescenti,
ispide come i dumi,
confuse come i fumi
confusi,
nette come i cristalli
del monte,
tremule come le fronde
del pioppo,
tumide come la nerici
dei cavalli

a galoppo,
labili come i profumi
diffusi,
vergini come i calici
appena schiusi,
notturne come le rugiade
dei cieli,
funebri come gli asfodeli
dell'Ade,
pieghevoli come i salici
dello stagno,
tenui come i teli
che fra due steli
tesse il ragno.
Apriamo i vetri
24 maggio
Giace anemica la Musa
sul giaciglio de vecchi metri.
A noi, giovani, apriamo i vetri,
rinnoviamo laria chiusa!
Lantico spirito? morto.
Entro al sudario della storia
sta nel mausoleo della gloria:
e Lazzaro solo risorto.
Pace alle cose sepolte!
E tu pure sei morto: il vento
dellarte non gonfia due volte
la tua vela, o Rinascimento;
il vento chor le chiome carezza
fumanti delle vaporiere,
le chiome lunghe e nere
della novella giovinezza.
O padri, voi foste voi.
Sia benedetta la vostra memoria!
A noi figli or la nostra
vita: noi vogliamo esser noi!
Sul ritmo del nostro core i canti
modular, se la gioia trabocchi,
vogliamo piangere co nostri occhi,
le amarezze de nostri pianti.
Apriamo, o giovani, lora!
Entri la freschezza pura

della palpitante natura,


entrino i brividi dellaurora
nella chiusa stanza. Oltre i monti
son altri monti, oltre i piani
son altri piani, e pi lontani
cerchi di pi larghi orizzonti.
Che voci nuove dallinfinita
vastit de nembi e degli azzurri?
Liuteggiano nuovi susurri
dalle profondit della vita,
dalle profondit selvose?
Al pigolo de nidi risponde
il tremolo delle fronde,
il fremito delle cose. Col lume del grande occhio nero,
del grande occhio fascinatore,
ci attira oltre gli spazi, oltre lore
la fatalit del mistero.
Studenti furiosi
Presto! Su! Alzatevi! Correte!...
La terra ci partorisce! Siamo noi, i neonati!
Milano sta per mettere al mondo
un nuovo futurista!
Ora gettiamo a terra quest'altra vetrina
piena di vasi e di cristalli....
Fragore di valanga, di terremoto!...
l'ora della ricreazione!
Passando via, si fracassano coi bastoni
le vetrate che pensano e guardano....
Poich, insomma, rispondeteci,
chi vi ha dato
diritto di dormire?... La polizia, siamo noi!
Polizia del disordine e della libert!
A grandi passi si va per le vie riconquistate,
alta la testa, come re, con la spavalderia
e la superbia dei capitani vittoriosi. naturale!
Lo vedete! La Citt tutta intera
sta supina, atterrita davanti a noi!
Fanciullaggini, dite?
E altri brontolano: Vandalismi indecenti!...
Per conto mio, mi auguro di morire prima
d'aver perduto le mie deliziose fanciullaggini
e i miei cari vandalismi!...
Io non sar mai due vecchierelli tremanti,
un vecchio cuore, un vecchio corpo

incollati come due cani


sotto le risate di quelle folli educande
che sono le stelle!...
Sia maledetto il giovane che adora il suo letto
e che non casca dal sonno tutto il giorno
per aver scatenati i suoi istinti durante la notte!
Sia maledetto il giovane che non convinto
di essere diventato, finalmente,
padrone della citt, dopo mezzanotte,
con tutti i suoi sputacchi lanciati a ventaglio
sull'ordine carceriere
e sul sinistro come-si-deve della societ!
Zingari
Forse la vita vera.
Il carro dipinto,
i cavalli selvatici docili, ebbri di vento,
le belle figlie in cenci,
la mensa a bivacco furtiva sotto gli astri,
la strada bianca del mondo.
Io torner nella prigione potente
dove comando
e sono comandato:
io sfrener di rabbia i miei puledri ideali
sulla pista del sogno, a cuore morto, a stanca sera:
e per lamore
mendicher la mendicante mia a qualche buio di strada.
Io pago la carne con mano che sembra
chiedere anzi donare elemosina.
E la mia vita
una rete di fogne
dove altro non luce che locchio del sorcio.
O Zingari, scoiatemi vivo, allo spiedo arrostitemi
fra due tronchi di selva!
Sono un poverissimo figlio di civili
che adora la barbarie.
Milano
Fa parte di una raccolta intitolata PAROLE. Successivamente confluita nel canzoniere.
Fra le sue pietre e le tue nebbie faccio

villeggiatura. Mi riposo in Piazza


del Duomo. Invece
di stelle
ogni sera si accendono parole.
Nulla riposa della vita come
la vita.
La Capra
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia derba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quelluguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perch il dolore eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
A mia moglie
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nellandare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sullerba
pettoruta e superba.
migliore del maschio.
come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Cos, se locchio, se il giudizio mio
non minganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessunaltra donna.

Quando la sera assonna


le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se lincontri e muggire
lodi, tanto quel suono
lamentoso, che lerba
strappi, per farle un dono.
cos che il mio dono
toffro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che dun fervore
indomabile arda,
e cos ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro langusta
gabbia ritta al vederti
salza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in s si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo

ritoglierle? chi il pelo


che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai questarte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi unaltra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che laccompagna.
E cos nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessunaltra donna.
AMAI
Amai trite parole che non uno
osava. Mincant la rima fiore
amore,
la pi antica difficile del mondo.
Amai la verit che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che pi non labbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
Incontro in circolare
Alta, bruna, fiancuta,
sotto un soprabito disadorno,
la bella ragazza confusa
nella misera folla
d'una vettura circolare interna,

pareva sorda a ogni affanno.


Ferma sul corridoio, un po' appartata,
le sue gambe di statua
sostenevano gli urti
come solido ponte un fiume in piena.
Non gloria in lei spirava,
non frenesia di vita o giovinezza,
ma una decisa e forte indifferenza
luceva nei suoi occhi assorti e aguzzi.
Era di quelle
romane bellezze
che son rare anche a Roma,
dove mai non s'incontrano
senza un muto stupore.
Era un grande segreto
della vita di Roma
che m'appariva in luogo men propizio,
nella forma pi degna.
Donde veniva, ove andava
la bella romana chiomata
di lucidi e ricci capelli?
Quale mestiere o cura attribuirle?
Spostandosi verso l'uscio
trov qualcuno con cui discorrere
famigliarmente.
E mi volgeva le spalle
alte com'ali tese.
Al Colosseo discese leggermente,
scomparendo ai miei occhi, oim, per sempre.
Ed subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed subito sera.
VENTO A TINDARI
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sullacque
Delle isole dolci del dio,
oggi massali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,


assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve maccompagna
sallontana nellaria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure dombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte danima.
A te ignota la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro lesilio,
e la ricerca che chiudevo in te
darmonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo mha cercato.

LETTERA ALLA MADRE


Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera

e giusta nella misura d'amore


per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo. - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fugg di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, cos pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di piet,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.
ALLE FRONDE DEI SALICI.
E come potevamo noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sullerba dura di ghiaccio, al lamento
dagnello dei fanciulli, allurlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Vola alta, parola
Vola alta, parola, cresci in profondit,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacch talvolta lo puoi sogno che la cosa esclami
nel buio della mente
per non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento

da sola, senza il caldo di me


o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza
La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?
Notizie a Giuseppina dopo tanti anni
Che speri, che ti riprometti, amica,
se torni per cos cupo viaggio
fin qua dove nel sole le burrasche
hanno una voce altissima abbrunata,
di gelsomino odorano e di frane?
Mi trovo qui a questa et che sai,
n giovane n vecchio, attendo, guardo
questa vicissitudine sospesa;
non so pi quel che volli o mi fu imposto,
entri nei miei pensieri e n'esci illesa.
Tutto l'altro che deve essere ancora,
il fiume scorre, la campagna varia,
grandina, spiove, qualche cane latra
esce la luna, niente si riscuote,
niente dal lungo sonno avventuroso.
CHI SONO?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
5
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
10 "malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c' che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
15 "nostalgia".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente

20

davanti al mio cuore


per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.

La fontana malata

Clof, clop, cloch,


cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch 1
gi,
nel cortile 2,
la povera
fontana
malata 3;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace...
di nuovo.
Tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore 4
mi preme.
Si tace,
non getta
pi nulla.
Si tace,
non s'ode 5
romore
di sorta,

che forse...
che forse 6
sia morta?
Orrore!
Ah! no 7.
Rieccola,
ancora
tossisce.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch.... 8
La tisi
l'uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto...
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria 9!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte 10,
mi uccide
quel suo
eterno
tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,

magari...
magari
morire.
Madonna!
Ges!
Non pi!
Non pi!
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure 11.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch

Rio Bo
Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, non vero?
Paese da nulla; ma per,
c' sempre di sopra una stella,
una grande magnifica stella,
che a un di presso
occhieggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.
Una stella innamorata! Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande citt.

E lasciatemi divertire
Tri, tri tri
Fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu, ihu.
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
Cuc rur,
rur cuc,
cuccuccuruc!
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche,
Sono la mia passione.
Farafarafarafa,
Tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la... spazzatura
delle altre poesie,
Bubububu,
fufufufu,

Fri!
Fri!
Se dun qualunque nesso
son prive,
perch le scrive
quel fesso?
Bilobilobiobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!

Ara Mara Amara


In fondo alla china,
fra gli alti cipressi,
un piccolo prato.
Si stanno in quell'ombra
tre vecchie
giocando coi dadi.
Non alzan la testa un istante,
non cambian di posto un sol giorno.
Sull'erba in ginocchio
si stanno in quell'ombra giocando.
Soldati
Si sta come
dautunno
sugli alberi
le foglie.
Veglia
Unintera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata

volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene damore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Sono una creatura
Come questa pietra
del S. Michele
cos fredda
cos dura
cos prosciugata
cos refrattaria
cos' totalmente
disanimata
Come questa pietra
il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
San Martino del Carso
Di queste case
Non rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
E il mio cuore
Il paese pi straziato

La Madre
E il cuore quando d'un ultimo battito
avr fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come gi ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m'avr perdonato,
ti verr desiderio di guardarmi.
Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
IN MEMORIA
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
Di emiri di nomadi
Suicida
Perch non aveva pi
Patria
Am la Francia
E mut nome
Fu Marcel
Ma non era Francese
E non sapeva pi
Vivere
Nella tenda dei suoi
Dove si ascoltava la cantilena
Del Corano
Gustando un caff

E non sapeva
Sciogliere
Il canto
Del suo abbandono
Lho accompagnato
Insieme alla padrona dellalbergo
Dove abitavamo
A Parigi
Dal numero 5 della rue des Carmes
Appassito vicolo in discesa
Riposa
Nel camposanto dIvry
Sobborgo che pare
Sempre
In una giornata
Di una
Decomposta fiera
E forse io solo
So ancora
Che visse
Lisola
A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s'inoltr
E lo richiam rumore di penne
Ch'erasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell'acqua torrida,
E una larva (languiva E rifioriva) vide;
Ritornato a salire vide
Ch'era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata a un olmo.
In s da simulacro a fiamma vera
Errando, giunse a un prato ove
L'ombra negli occhi s'addensava
Delle vergini come
Sera appi degli ulivi;
Distillavano i rami
Una pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s'erano appisolate
Sotto il liscio tepore,

Altre brucavano
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato da fioca febbre.
Commiato
Gentile
Ettore Serra
poesia
il mondo l'umanit
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata nella mia vita
come un abisso

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