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> IL REALISMO MINIMO
Ho letto in vari siti di internet o in articoli di pagine culturali che
sarei coinvolto nel lancio di un Nuovo Realismo, e mi chiedo di che
si tratti, o almeno che cosa ci sia di nuovo (per quanto mi riguarda)
in posizioni che sostengo almeno dagli anni Sessantae che avevo
esposte poi nel saggio Brevi cenni sull'Essere, del 1985.
So qualche cosa del Vetero Realismo, anche perch la mia tesi di
laurea era su Tommaso d'Aquinoe Tommaso era certamente un
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senza per questo mettere in dubbio un rapporto quasi veterorealistico con le cose di cui si parla. Caso mai verrebbe messo in
dubbio il sapere degli universali, non la credenza anche fortissima
nella persistenza dei particolari e nella nostra capacit di conoscerli
per quel che sono (e in tal senso sarei tentato di ascrivere a una
temperie postmoderna anche la teoria kripkiana della designazione
rigida - e infine ricordiamo che il passaggio da Tommaso a
Ockham, se sancisce la rinuncia agli universali, non mette in crisi i
concetti di realt e di verit).
Quello che piuttosto emerge (nel cosiddetto postmodernismo
filosofico), passando attraverso la decostruzione (sia quella di
Derrida sia quella d'oltre oceano, che solo un articolo prodotto
dall'industria accademica americana su licenza francese)e le forme
del pensiero debole, un tratto molto riconoscibile (su cui in effetti si
accentra la polemica di Ferraris), e cio il primato ermeneutico
dell'interpretazione, ovvero lo slogan per cui non esistono fatti ma
solo interpretazioni. A questa curiosa eresia avevo da gran tempo
reagito, a tal segno che a una serie di miei studi degli anni Ottanta
avevo dato nel 1990 il titolo I limiti dell'interpretazione, partendo
dall'ovvio principio che, perch ci sia interpretazione ci deve essere
qualcosa da interpretare-e se pure ogni interpretazione non fosse
altro che l'interpretazione di una interpretazione precedente, ogni
interpretazione precedente assumerebbe, dal momento in cui viene
identificata e offerta a una nuova interpretazione, la natura di un
fatto - e che in ogni caso il regressum ad infinitum dovrebbe a un
certo punto arrestarsi a ci da cui era partito e che Peirce chiamava
l'Oggetto Dinamico. Ovvero ritenevo che, quand'anche
conoscessimo I promessi sposi solo attraverso l'interpretazione che
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Riflettiamo su questo NO, che sta alla base di quello che chiamer
il mio Realismo Negativo. Il vero problema di ogni argomentazione
decostruttiva del concetto classico di verit non di dimostrare
che il paradigma in base al quale ragioniamo potrebbe essere
fallace. Su questo pare che siano d'accordo tutti, ormai. Il mondo
quale ce lo rappresentiamo certamente un effetto
d'interpretazione, e sino a ieri lo interpretavamo come se i neutrini
viaggiassero anch'essi alla velocit della luce e forse domani
dovremo deciderci a cambiare idea mettendo in crisi una presunta
costante universale. Il problema piuttosto quali siano le garanzie
che ci autorizzanoa tentare un nuovo paradigma che gli altri non
debbano riconoscere come delirio, pura immaginazione
dell'impossibile. Quale il criterio che ci permette di distinguere tra
sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico (perch esistono
pure persone che dopo averlo assunto si gettano dalla finestra
convinti di volare, e si spiaccicano al suolo-e badiamo, controi
propri propositie speranze),e affermazioni accettabili sulle cose del
mondo fisico o storico che ci circonda? oniamo pure, con Vattimo (
Oltre l'interpretazione, p.100) una differenza tra epistemologia, che
la costruzione di corpi di sapere rigorosi e la soluzione di
problemi alla luce di paradigmi che dettano le regole la verifica
delle proposizioni (e ci sembra corrispondere al ritratto che
Nietzsche d dell'universo concettuale di una data cultura) e
ermeneutica come l'attivit che si dispiega nell'incontro con
orizzonti paradigmatici diversi, che non si lasciano valutare in
basea una qualche conformit (a regole o, da ultimo, alla cosa), ma
si danno come proposte poetiche di mondi altri, di istituzione di
regole nuove. Quale regola nuova la Comunit deve preferire, e
quale altra condannare come follia? Vi sono pur sempre, e sempre
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Non importa che queste cose siano state dette un tempo. In seguito
abbiamo per cos dire sbattuto la testa contro qualche evidenza
che ci ha convinto che non si poteva pi dire quello che si era detto
prima.
Naturalmente ci sono dei gradi di costrizione. Si prendano due
esempi, la confutazione del sistema tolemaico e quella
dell'esistenza della Terra Australis Incognita come una immensa
calotta- fertilissima - che avrebbe avvolto l'emisfero sud del pianeta.
Quando vigevano le due ipotesi, ora refutate, il mondo noto
permetteva di essere spiegato in modo verosimile e ragionevole: la
teoria tolemaica per secoli ha dato ragione di moltissimi fenomeni,
e la persuasione dell'esistenza di una terra australe ha incoraggiato
innumerevoli viaggi di scoperta, che di quella terra avevano persino
toccato le presunte propaggini.
Poi si scoperto che il sistema copernicano (con le varie correzioni
apportatevi sino a Keplero) spiegava meglio i fenomeni celesti, e
che la Terra Australe in quanto calotta globale non esiste.
Potremmo persino pensare che un giorno - anche se per ora la
teoria eliocentrica risponde a pi quesiti e ci permette pi previsioni
di quanto non potesse la teoria geocentrica - emerga un sistema
pi esplicativo che mette in crisi entrambe le teorie. Ma per ora noi
dobbiamo scommettere sul sistema di Keplero, come se fosse
vero, e non possiamo usare pi la teoria geocentrica. Quanto alla
Terra Australe, nella misura in cui dobbiamo prestar fede ai dati di
una esperienza provata da migliaia di testimo
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ne limitato.
Credo che ci siano dei rapporti tra questo mio modestissimo
Realismo Negativo (per cui avvertiamo qualcosa fuori di noie dalle
nostre interpretazioni solo quando riceviamo un diniego)e l'idea
popperiana per cui l'unica provaa cui possiamo sottoporre le nostre
teorie scientifiche quella della loro falsificabilit. Non sapremo mai
definitivamente se una interpretazione giusta ma sappiamo con
certezza quando non tiene.
Credo di essermi attenuto a questo principio di realismo negativo
sin da quando, all'inizio degli anni Sessanta, nel sostenere
l'indispensabile collaborazione del fruitore a ogni testo artistico,
intitolavo il mio libro Opera Aperta. Questo apparente ossimoro
mirava a sostenere che l'apertura, potenzialmente infinita, si
misurava di fronte all'esistenza concreta dell'opera da interpretare.
Che era poi da parte mia una ripresa dell'idea pareysoniana che
l'interpretazione si articola sempre in una dialettica di iniziativa
dell'interpretee fedelt alla forma da interpretare.
Infinite sono le interpretazioni possibili del Finnegans Wake ma
neppure il pi selvaggio tra i decostruzionisti pu dire che esso
racconta la storia di una contessa russa che si uccide gettandosi
sotto il treno.
Potrei tradurre questa mia idea di Realismo Negativo in termini
peirceani. Ogni nostra interpretazione sollecitata da un Oggetto
Dinamico che noi conosceremo sempre e solo attraverso una serie
di Oggetti Immediati (l'Oggetto Immediato essendo gi un segno,
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