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Sorprenderebbe non poco chi invitasse Caffara o uno dei docenti dellIstituto citato a presentare
ufficialmente il testo di AL. Chi rifiuta il testo nel suo cuore pulsante ossia nella fuoriuscita dal
modello ottocentesco di dottrina del matrimonio non pu certo presentarlo ufficialmente al clero,
se non avvalorando quella ermeneutica della rottura che fino a ieri questi stessi docenti
presentavano come il male peggiore. Confuso, qui, non il testo di AL, ma lo sguardo di chi non
coglie il senso epocale di questo passaggio di conversione ecclesiale e pretende di usare il CCC
come uno scudo contro la conversione di cui la Chiesa ha bisogno. Credo che questa reazione ponga
una questione decisiva: la discontinuit e la rottura non quella promossa da AL, ma quella
che scaturisce dalla pretesa secondo cui, a partire dalla fondazione dellIstituto Giovanni
Paolo II in poi, e fino allapocalisse, qualcuno possa monopolizzare la teologia del matrimonio,
costringendola in una visione unilaterale, clericale, apologetica e massimalista della
tradizione. Credo che il card. Caffarra, con grande chiarezza, abbia messo in luce i limiti di questa
breve tradizione massimalista, con aspetti di fondamentalismo, da cui AL ha saputo prendere
la giusta distanza. E naturale e comprensibile che Caffarra e successori non ne siano contenti.
Cionondimeno, il fatto che essi pretendano di dettare a Schoenborn e a Francesco la agenda
matrimoniale appare quanto meno come un eccesso di zelo, che sconfina pericolosamente in una
mancanza di senso del limite e che pu talvolta giungere anche ad una sorta di nera disperazione sul
ruolo che lo Spirito Santo gioca nella vita della Chiesa.