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COMPLEMENTI DI ALGEBRA LINEARE E

PREREQUISITI SU NORME E SPAZI


METRICI

In questo file raccolgo alcune cose che, pur non rientrando in senso stretto
tra gli argomenti di Calcolo Numerico, sono necessarie per la comprensione
di quanto si dira nel file AlgLinNumerica-3. Il primo capitolo contiene due
importanti teoremi di algebra lineare, rispettivamente il Teorema di Gershgorin
ed il Teorema di Perron-Frobenius, dei quali non si fa menzione nel testo di
Algebra Lineare. Il Teorema di Gershgorin ci dice dove cercare gli autovalori di
una matrice. Il Teorema di Perron-Frobenius tratta di una importante classe di
matrici, quelle a valori reali non negativi. Il Capitolo 2 e dedicato alle norme
non-euclidee. In esso devo usare una quantita di cose prese dalla topologia degli
spazi metrici. Molte di esse rientrano tra gli argomenti dei corsi di Analisi, anche
se nei corsi di Analisi I e II non possono essere presentate con la generalita di
cui qui abbiamo bisogno. Richiamo queste nozioni nel terzo capitolo di questo
file.
Nel Capitolo 2, ogni affermazione e corredata di dimostrazione, ma non
pretendo certo che lo studente porti tutte queste dimostrazioni all esame. Le
ho inserite solo perche in letteratura non e facile trovarle tutte insieme.
Nel file AlgLinNumerica-3, in qualche occasione dovremo menzionare derivate
di funzioni a valori complessi di variabile complessa. Nel Capitolo 4 di questo
file richiamo succintamente quel poco che ci serve sapere su questo argomento.

INDICE
Capitolo 1

Due teoremi di algebra lineare.

Pagina 2.

Capitolo 2

Norme.

Pagina 8.

Capitolo 3

Nozioni basilari su spazi metrici.

Pagina 29

Capitolo 4

Cenni sulla derivazione in ambito complesso.

Pagina 39

1
1.1

Due Teoremi di Algebra Lineare


Teorema di Gershgorin e raggio spettrale

Data una matrice A = (ai,j )ni,j=1 Mn (C), per i = 1, ..., n si ponga


P
i = j6=i |ai,j |,
Di = {z C | |z ai,i | i },

P
|
i = j6=i |aj,i |,
|
|
Di = {z C | |z ai,i | i },

e infine
|

D = ni=1 Di ,

D| = ni=1 Di

D(A) = D D| .

Teorema 1.1 (Gershgorin) Gli autovalori di A appartengono tutti al sottoinsieme D(A) di C.


Dimostrazione. Nel seguito ci fara comodo usare la seguente convenzione: dato
un vettore X = (xi )ni=1 indichiamo con [X]i la sua i-esima coordinata, cioe
[X]i = xi .
Sia un autovalore di A con autovettore V = (vi )ni=1 . Sia k {1, 2, ..., n}
un indice tale che |vk | sia massimo, cioe |vk | |vi | per ogni i = 1, 2, ..., n.
Ovviamente |vk | > 0, perche V 6= O. Siccome AV = V , risulta [AV ]i = vi
per
n. In particolare, [AV ]k = vk . D altra parte [AV ]k =
Pn ogni i = 1, 2, ...,P
n
a
v
.
Quindi
k,i
i
i=1
i=1 ak,i vi = vk , cioe
X
( ak,k )vk =
ak,i vi .
i6=k

Passando ai moduli, e rammentando che il modulo di una somma non supera


mai la somma dei moduli degli addendi, si ottiene
X
| ak,k | |vk |
|ak,i | |vi |.
i6=k

P
Dividendo per |vk | otteniamo che |ak,k | i6=k |ak,i ||vi |/|vk |. Ma |vi |/|vk |
P
1 per come si e scelto k. Pertanto | ak,k | i6=k |ak,i |, cioe Dk . A
maggior ragione, D . Il fatto che D| segue subito da questo, rimpiazzando A con la sua trasposta At e rammentando che A ed At hanno gli stessi
autovalori.
C.D.D.
L insieme D(A) definito come sopra si chiama dominio di Gershgorin di A.
Invece il massimo tra i moduli degli autovalori di A si chiama raggio spettrale
di A (rammento che l insieme degli autovalori di A e lo spettro di A). Indichiamo il raggio spettrale di A col simbolo (A). Il precedente teorema fornisce
una limitazione superiore per (A). Infatti, indicando con (A) il massimo dei
moduli degli elementi di D(A), e ovvio che:
Corollario 1.2 (A) (A).

Esempio 1. Sia

2i 1 i
0
1
1
1

1
A = 2i
1+i

La matrice A e hermitiana. Quindi tutti i suoi autovalori sono reali. Pertanto ci


interessa solo l intersezione DR (A) := D(A)
Rdi D(A) con il sottocampo R
di C. Si vede subito che DR (A) = [2 2, 3 + 2]. Pertanto, se cerchiamo di
localizzare meglio gli autovalori di A tabulando il suo polinomio
caratteristico,
2 o superiori a
sappiamo
che
non
serve
considerare
valori
inferiori
a
2

3 + 2. Il polinomio caratteristico di A e p(t) = t3 7t + 1. Tabuliamolo per


valori interi a partire da 0. In base a quel che si e detto, sappiamo in partenza
che possiamo considerare solo interi compresi tra 3 e 3. Calcolando p(t) per
questi valori di t otteniamo:
t
... 3
p(t) ... 5

2 1 0
1
2 3 ...
7
7 1 5 5 7 ...

Abbiamo dunque una soluzione tra 3 e 2, una compresa tra 0 ed 1 e l


altra tra 2 e 3. Per saperne di piu potete applicare uno dei vari metodi di
approssimazione, come il metodo di bisezione oppure il metodo delle corde,
o quelle delle tangenti, o delle secanti (vedi file AlgLinNumerica-3.pdf). Per
esempio, una prima applicazione del metodo delle corde vi dice che la prima
soluzione e un po piu a sinistra di 2 7/12, la seconda si trova non troppo
lontano da 1/6 e la terza un po piu a destra di 2 + 7/12.
Esempio 2. Sia

2
1
A=
0
0

1
1
1
0

1 0
0 1

1 1
2 0

Rappresentando C sul piano reale, D e l unione di quattro dischi di raggio 2 e


centro rispettivamente 1, 0, 1 e 2 mentre D| e l unione di due dischi di raggio
2 e centro 1 e 2 rispettivamente ed un disco di raggio 3 e centro 1 (a rigore
dovremmo anche menzionare un disco di centro 2 e raggio 1, ma e contenuto
in quello di centro 1 e raggio 2). Il dominio D(A) = D D| consiste dunque
dell unione di tre dischi, tutti di raggio 2 e centro rispettivamente 1, 0 ed 1.
Quindi DR (A) = [3, 3].
Forti di questa informazione, possiamo metterci alla ricerca degli autovalori
reali di A, sempre che ve ne siano. Da quanto si e detto, devono trovarsi tutti
nell intervallo [3, 3]. Il polinomio caratteristico e p(t) = t4 2t3 2t2 + 6t 2.
Tabulandolo per valori interi compresi tra 3 e 3 si trova
... 3 2 1
t
p(t) ... 97 10 7

0 1 2 3 ...
2 1 2 25 ...

Quindi ci sono radici tra 2 e 1 e tra 0 ed 1. In effetti, di radici reali ce n e solo


due, una appunto tra 2 e 1 e l altra tra 0 ed 1, come si puo capire studiando
meglio l andamento di p(t) nell intervallo [3, 3]. Dunque ci sono anche due
radici non reali, necessariamente coniugate tra loro perche p(t) ha coefficienti
reali. Sappiamo che si trovano dentro D(A). Nel file AlgLinNumerica-3.pdf si
dira come fare per localizzarle meglio.
Avvertenza. In genere matrici simili, pur avendo lo stesso spettro (e quindi lo
stesso raggio spettrale) hanno dominii di Gershgorin diversi. Per esempio, siano
A e B come sotto:




1
0
0 1
A=
,
B=
.
0 1
1 0
Allora A B. Tuttavia D(A) = DR (A) = {1, 1} mentre D(B) = {z C||z|
1} DR (B) = [1, 1].
Per questo motivo non ha alcun senso definire il dominio di Gershgorin di
una trasformazione lineare mentre ha perfettamente senso parlare del suo raggio
spettrale.

1.2

Teorema di Perron-Frobenius

Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita sul campo R dei numeri reali e
sia E = (E1 , ..., En ) una base di V. Indichiamo con C(E) l insieme dei vettori
di V che rispetto ad E hanno tutte le coordinate positive, mentre indichiamo
con C(E) l insieme dei vettori che rispetto a E non hanno alcuna coordinata
negativa. Chiamiamo C(E) cono simpliciale aperto di vertice O e base E, e C(E)
cono simpliciale chiuso. Considerando V come uno spazio metrico prendendo
come distanza quella indotta da un dato prodotto scalare in precedenza scelto
su V, non importa quale, C(E) risulta essere l interno di C(E), questo a sua
volta e la chiusura di C(E) mentre C(E) \ C(E) e la frontiera di entrambi. Ma
non intendo insistere su questi aspetti topologici. Mi limito a definire le faccie
di C(E).
Dato 6= J {1, ..., n}, indichiamo con C J (E) l insieme dei vettori X
C(E) tali che xi = 0 per ogni i 6 J, ove (xi )ni=1 = (X)E e la n-pla di coordinate
di X rispetto ad E. Chiamiamo C J (E) la faccia di C(E) di tipo J. Si noti che
abiamo assunto J sottoinsieme proprio di {1, .., n} e non vuoto. Quindi C J (E)
e sempre contenuto nella frontiera C(E) \ C(E) di C(E) ed e sempre piu
grande di {O}. Quando J consiste di un solo elemento l insieme C J (E) e una
semiretta. In tal caso lo si dice uno spigolo di C(E).
Si usa anche definire l interno CJ (E) di C J (E) come l insieme dei vettori
X per cui xj > 0 per ogni j J, ma nel seguito non faro alcun uso di questa
ulteriore definizione. Aver definito l interno C(E) di C(E) e sufficiente per
quel che devo dire.
Sia ora una trasformazione lineare di V in se, cioe L(V). Si dice che
e positiva rispetto ad E se (C(E)) C(E) e non e la trasformazione
nulla. Equivalentemente, (C(E)) C(E). Sia positiva rispetto ad E. Se
4

nessuna faccia di C(E) e -invariante allora si dice che e anche irriducibile.


Ovviamente, e riducibile se non e irriducible.
Proposizione 1.3 Sia L(V) e sia A = (ai,j )ni,j=1 la matrice che rappresenta rispetto ad E. Allora e positiva rispetto ad E se e solo se ai,j 0
per ogni scelta di i, j = 1, ..., n. Supposto che sia positiva, e riducibile se e
solo se esiste una matrice permutazionale P tale che


A1,1 A1,2
1
P AP =
O
A2,2
con A1,1 ed A2,2 matrici quadrate di ordine k ed n k rispettivamente e 0 <
k < n.
La dimostrazione e facile. La lascio come esercizio al lettore.
Teorema 1.4 (Perron-Frobenius) Sia L(V) positiva rispetto ad E e irriducible. Sia () il suo raggio spettrale, cioe il massimo tra i moduli degli
autovalori di , reali o complessi. Allora:
(1) () > 0 (cioe non tutti gli autovalori di sono nulli).
(2) () e un autovalore di . E semplice ed il suo autospazio e generato da
un vettore V0 appartenente all interno C(E) di C(E). Inoltre, per ogni sottospazio lineare S di V, se (S) S allora o S C(E) = {O} oppure V0 S.
(3) Siano 0 > 1 > ... > r i moduli degli autovalori di , reali o complessi,
presi in ordine decrescente (quindi 0 = (), per quanto detto al punto (2)).
Allora esistono interi positivi s, m0 , ..., mr e numeri complessi 0 , ..., r di modulo rispettivamente 0 , 1 , ..., r tali che per ogni k = 0, 1, ..., r gli autovalori di
di modulo k sono i seguenti, ed hanno tutti molteplicita mk se k 6= 0:
k,h = k e

i2h
s

= k (cos

2h
2h
+ i sin
),
s
s

h = 0, 1, ..., s 1.

(4) Con s come in (3), risulta s > 1 se e solo se e possibile permutare i vettori di
E in modo che la matrice che rappresenta rispetto a questo nuovo ordinamento
di E abbia la seguente conformazione:

O O ... O A0
A0 O ... O O

O A0 ... O O

..
.. ... ..
..
O O ... A0 O
ove A0 e un opportuna matrice quadrata (eventualmente di ordine 1) ed O sta
ad indicare la matrice quadrata nulla dello stesso ordine di A0 . Indicato con n0
l ordine di A0 , risulta s = n/n0 .

La dimostrazione di questo teorema e troppo complessa per poterla dare qui.


Rimandando per essa al testo The Theory of Matrices di Gantmacher. Qui mi
limito a fare qualche commento, fissare un po di terminologia e discutere alcuni
esempi.
1.2.1

Commenti

1) Dalla seconda parte di (2), rammentando che ogni somma di autospazi di


e -invariante, segue che, oltre ai multipli tV0 di V0 con t > 0, il cono chiuso
C(E) non contiene altre combinazioni lineari non nulle di autovettori di . In
particolare, non contiene autovettori con autovalore diverso da ().
2) Nella parte (3) del teorema, come k possiamo prendere uno qualunque degli
autovalori di modulo k . In particolare, possiamo prendere 0 = 0 = ().
Con questa scelta, 0,0 = 0 .
Si ha m0 = 1 per (2). Quindi abbiamo s autovalori di modulo massimo,
tutti semplici, uno dei quali coincide con 0 e tutti gli altri salvo al piu uno
sono non-reali. Precisamente, se s e dispari allora 0 e l unico autovalore reale
di modulo massimo. In particolare, se s = 1 allora 0 e l unico autovalore
di modulo massimo, reale o complesso. Se invece s e pari allora ci sono solo
due autovalori reali di modulo massimo, vale a dire 0 e 0 . In particolare, se
s = 2 allora 0 e 0 sono gli unici autovalori di di modulo massimo. Si noti
che, se tutti gli autovalori di sono reali (come quando A e simmetrica, per
esempio), il numero s puo valere solo 1 oppure 2.
3) Sempre con riferimento a (3), se risulta r = 0 (e quindi r = 0) allora
k,h = 0 per ogni h = 0, ..., s 1. In tal caso 0 e un autovalore di . La sua
molteplicita e smk .
4) Dalla parte (4) del teorema risulta che s e un
di n. Questo risulta
Pdivisore
r
anche dalla parte (3). Infatti (3) implicaP
che s k=0 mk = n. Ne segue che la
r
matrice A0 di cui in (4) ha ordine n0 = k=0 mk .
Come osservato sopra, se tutti gli autovalori di sono reali allora s puo
valere solo 1 oppure 2. Quindi, siccome s e un divisore di n, se tutti gli autovalori di sono reali ed n e dispari allora necessariamente s = 1.
5) La parte (4) del teorema puo formularsi anche come segue: s > 1 se e solo
se k e riducibile per qualche intero k > 1. Per di piu, se s > 1 allora s e il
piu piccolo intero k > 0 per cui k sia riducibile. I valori di k per cui k e
riducibile sono i multipli di s.
1.2.2

Definizioni

L autovalore 0 = () ed il suo autovettore V0 di cui al punto (2) del precedente


teorema, con V0 preso di norma 1 se si vogliono evitare ambiguita, vengono
detti rispettivamente autovalore ed autovettore principali di . Pero nel file

AlgLinNumerica-3.pdf definiremo autovalori principali per trasformazioni lineari


arbitrarie di uno spazio in se. L autovalore 0 e principale in quel senso se e
solo se s = 1. Per evitare confusioni, chiamo 0 autovalore fondamentale di e
V0 autovettore fondamentale. Chiamiamo il numero s periodicita di .
1.2.3

Esempi

Sia n = 4. Tutte
rispetto ad E.

1 1
1 1
A=
1 1
1 1

0
0
C=
1
1

0
0
1
1

le seguenti matrici rappresentano trasformazioni positive


1
1
1
1

1
1
,
1
1

1
1
0
0

1
1
,
0
0

0
0
1
0

0
0
0
1

1
0
,
0
0

0
0
1
0

0
1
0
0

1
1
.
1
1

0
1
B=
0
0
0
0
D=
0
1

Le matrici A, B e C corrispondono a trasformazioni irriducibili. Invece D


e riducibile. Infatti la trasformazione rappresentata da D stabilizza la faccia
C {2,3} (E). Gli autovalori di D sono facili da calcolare. Riordiniamo la base
E = (E1 , E2 , E3 , E4 ) cosi: (E2 , E3 , E1 , E4 ). Allora D viene rimpiazzata da
questa matrice:

0 1 0 1
1 0 0 1

D0 =
0 0 1 0 .
0 0 1 1
Si vede ora subito che gli autovalori di D0 sono 1 e 1, con molteplicita rispettivamente 3 ed 1. Questi sono dunque anche gli autovalori di D. Quindi in
questo caso le cose vanno in modo molto diverso da come sarebbe previsto dal
Teorema di Perron-Frobenius. E ora chiaro che quel teorema non si puo applicare a trasformazioni riducibili.
Consideriamo invece A. Questa matrice ha periodicita 1. I suoi autovalori
sono 4, semplice, e 0, triplo. Con la notazione usata nel teorema di PerronFrobenius, abbiamo dunque 0 = 0 = 4, 1 = 1 = 0, m0 = 1 ed m1 = 3.
Passiamo a B. Essa rappresenta una permutazione ciclica dei vettori della
base. Quindi i suoi autovalori sono le quattro radici quarte di 1, cioe 1, 1, i e
i. In questo caso s = 4 e 0 = 0 = 1 (e ovviamente m0 = 1).
Consideriamo infine C. Ha periodicita 2. E facile vedere che i suoi autovalori sono 1, 1 e 0, con 1 e 1 semplici e 0 doppio. Abbiamo dunque m0 = 1,
m1 = 2, 0 = 0 = 1 e 1 = 1 = 0.

Norme

Nel Capitolo 8 del testo si sono introdotte le norme definendole a partire dai
prodotti scalari. Precisamente, dato uno spazio euclideo V, cioe uno spazio
vettoriale V definito su R o su C e munito di un prodottopscalare h., .i, si e
definita la norma ||X|| di un vettore X V ponendo ||X|| = hX, Xi. Diciamo
euclidea una norma definita in questo modo.
Questa definizione di norma e del tutto naturale, ma in certi casi presenta
qualche svantaggio. Per esempio, puo rendere i calcoli troppo pesanti. Si
puo allora desiderare di sostituire quel concetto di norma con un altro piu
permissivo, che ci conceda di considerare anche norme diverse da quelle euclidee,
ma definite in modo tale da rendere i calcoli piu agevoli. Naturalmente, per fare
questo bisogna salvaguardare alcune condizioni. Precisamente, se sostituiamo
una norma ||.||1 con un altra, diciamola ||.||2 , piu facile da adoperare, bisognera
che i risultati ottenuti usando ||.||2 siano in accordo con quelli che avremmo
ottenuto con ||.||1 se avessimo avuto la pazienza di portare tutti i calcoli in
fondo. Per esempio, vorremmo che se una successione di punti di V tende ad
un qualche punto quando si usa la distanza d1 associata a ||.||1 , essa continui a
tendere a quel punto anche se si usa la distanza d2 associata a ||.||2 , anche se
con diversa velocita, eventualmente; e viceversa. Allo scopo basta che d1 e d2
definiscano la stessa topologia su V, cioe che per ogni insieme X di punti di V
l insieme X sia aperto per d1 se e solo se lo e per d2 (cfr Capitolo 3). Vedremo
che questo si puo fare.
Nel seguito K sta indifferentemente per R o C e V sta sempre ad indicare un
dato spazio vettoriale su K, non necessariamente di dimensione finita.
Nel seguito impiegheremo liberamente varie nozioni prese dalla teoria degli
spazi metrici, come convergenza, continuita ecc. Si tratta di banali generalizzazioni di analoghe nozioni che il lettore ha certamente incontrato nei corsi di
Analisi I o II, sicche dovrebbero risultargli familiari. Ad ogni modo le richiamiamo nel Capitolo 3.

2.1

Definizioni

Una norma su V e una funzione : V R tale che


(N 1)
(N 2)
(N 3)

(X) = 0 X = O, (X V);
(xX) = |x| (X) (X V, x K);
(X + Y ) (X) + (Y ) (X, Y V).

Da (N2) con x = 0 si ottiene subito che (O) = 0. Quindi la (N1) puo anche
scriversi cosi:
(N 10 ) (X) = 0 X = O,

(X V).

La proprieta (N3) e detta disuguaglianza triangolare. Da essa e dal fatto che


(O) = 0 e (X) = (X) (come risulta da (N2)) si ricava subito che
(N 4)

(X) 0,

(X V).
8

Infatti 0 = (O) = (X X) (X)+(X) = (X)+(X) = 2(X). Quindi


(X) 0. Infine,
(N 5) |(X) (Y )| (X Y ),

(X, Y V).

Infatti (Y ) (X) + (Y X) per (N3) (si rammenti che Y = X + (Y X)).


Quindi (Y ) (X) (Y X). Analogamente (X) (Y ) (X Y ). Ma
(X Y ) = (Y X). Quindi |(X) (Y )| (X Y ).
Poniamo d (X, Y ) = (X Y ) e chiamiamo d la distanza associata alla
norma . Risulta:
(D1) d (X, Y ) = d (Y, X), (X, Y V);
(D2) d (X, Y ) = 0 X = Y, (X, Y V);
(D3) d (X, Y ) d (X, Z) + d (Z, Y ), (X, Y, Z V).
(D1) e (D2) seguono subito da (N2) ed (N1) mentre (D3) segue da (N3) sostituendovi X ed Y con X Z e Z Y rispettivamente. Le proprieta (D1)-(D3)
ci dicono che d e effettivamente una distanza nel senso del Capitolo 3, e quindi
(V, d ) e uno spazio metrico. Invece la coppia (V, ) e detta uno spazio normato.
Stabiliamo subito una proprieta delle norme che tornera utile in seguito.
Lemma 2.1 La funzione e uniformemente continua (ove si intende che su
V prendiamo la distanza d mentre su R prendiamo la solita distanza d(x, y) =
|x y|).
Dimostrazione. Infatti |(X) (Y )| (X Y ) = d (X, Y ) per (N5) e la
definizione di d . L uniforme continuita di segue subito da questa disuguaglianza. (Questa dimostrazione e essenzialmente la stessa della Proposizione
3.15 del Capitolo 3; del resto, questo lemma e solo un caso speciale di quella
proposizione.)
C.D.D.
Ho usato il simbolo per indicare norme, ma di solito si scrive ||X|| anziche
(X) e ||.|| anziche . Cosi faremo anche qui, nel seguito. Analogamente,
scriveremo d anziche d .
Siano ||.||1 e ||.||2 due norme e d1 e d2 le distanze ad esse associate. Le norme
||.||1 e ||.||2 si dicono equivalenti se esistono numeri reali a, b > 0 tali che
(E1) a||X||1 ||X||2 b||X||1 ,

(X V).

Equivalentemente:
(E10 )

1
b ||X||2

||X||1 a1 ||X||2 ,

(X V).

Chiaramente (E1) equivale alla sequente proprieta


(E2)

a d1 (X, Y ) d2 (X, Y ) b d1 (X, Y ),

(X, Y V),

ed (E1) alla seguente:


(E20 )

1
b d2 (X, Y

) d1 (X, Y ) a1 d2 (X, Y ),
9

(X, Y V).

Quindi norme equivalenti definiscono distanze equivalenti, e pertanto definiscono


la stessa topologia su V (vedi Capitolo 3). Il problema discusso all inizio di
questo capitolo ammette dunque la seguente risposta: se ||.||2 e equivalente a
||.||1 nel senso sopra specificato, allora possiamo sostituire ||.||1 con ||.||2 .
Scriviamo ||.||1 ||.||2 per dire che due norme ||.||1 e ||.||2 sono equivalenti.
Proposizione 2.2 La relazione e una relazione di equivalenza. (Cfr. Capitolo 3, Proposizione 3.16.)
Dimostrazione. Ovviamente e riflessiva. L equivalenza di (E1) ed (E1) ci
dice anche che e simmetrica. Per la transitivita, sia ||.||1 equivalente a ||.||2 e a
||.||3 . Quindi esistono numeri reali positivi a, b, c, d tali che a ||X||1 ||X||2
b ||X||1 e c ||X||1 ||X||3 d ||X||1 . Pertanto cb ||X||2 ||X||3 ad ||X||2 .
Dunque ||.||2 ||.||3 .
C.D.D.

2.2

Alcune norme notevoli

Chiaramente, le norme euclidee sono norme nel senso sopra specificato. E anche
ovvio che se ||.|| e una norma allora per ogni numero reale k > 0 la funzione
k ||.|| e una norma, equivalente a ||.||. Piu in generale, sia un automorphismo
di V e poniamo ||X|| = ||(X)||. Allora ||.|| e ancora una norma. Lascio al
lettore la dimostrazione di questa affermazione, come esercizio.
Supponiamo che dim(V) = n < . Assegnato su V un prodotto scalare
h., .i, indichiamo con ||.||2 la norma euclidea ad esso associata. D ora in poi
attribuiremo sempre questo senso a questo simbolo.
Presa in V una base ortonormale E = (E1 , ..., En ), identifichiamo V con
Vn (K) prendendo E1 , E2 , ..., En come versori. In accordo con questa convenzione
scriviamo X = (xi )ni=1 per dire che (X)E = (xi )ni=1 . Con questa scelta della
base si ha che
n
X
||X||2 = (
|xi |2 )1/2 .
i=1

Questa uguaglianza ci suggerisce la sequente generalizzazione. Per ogni numero


reale p 1 poniamo
n
X
||X||p = (
|xi |p )1/p .
i=1

In particolare, con p = 1 si ottiene ||X||1 =

Pn

i=1

|xi |. Infine poniamo

||X|| = maxni=1 |xi | (il massimo dell insieme {|xi |}ni=1 ).


Proposizione 2.3 Le funzioni ||.||p e ||.|| sopra definite sono norme.
Schema di dimostrazione. Sappiamo gia che ||.||2 e una norma. Quindi possiamo limitarci a considerare ||.||p con p 6= 2 ed ||.|| . Le proprieta (N 1) ed
(N 2) sono ovvie sia per ||.||p che per ||.|| . La dimostrazione che ||.|| e ||.||1
10

soddisfano (N 3) e facile. La lasciamo al lettore. Invece dimostrare (N 3) per


||.||p con p 6= 1, 2 e piu laborioso, specialmente se p non e intero. Rimandiamo
per questa dimostrazione alla letteratura.
C.D.D.
La norma ||.|| e detta norma del sup. Essa e il limite di ||.||p al divergere
di p, nel senso che ||X|| = limp+ ||X||p per ogni X V. La norma ||.|| e
forse quella che piu si discosta dalla norma euclidea, ma e anche quella di piu
agevole impiego nei calcoli.
Proposizione 2.4 Tutte le norme ||.||p (p 1) sono equivalenti tra loro ed
equivalenti alla norma ||.|| .
Dimostrazione. Per ogni
Pnp 1 e per ogni scelta di numeri x1 , x2 , ..., xn K
risulta maxni=1 |xi |p i=1 |xi |p n maxni=1 |xi |. Quindi ||X|| ||X||p
n1/p ||X|| per ogni X V. Pertanto ||.|| ||.||p . Dunque anche ||.||p ||.||q
per ogni scelta di p, q 1, per la Proposizione 2.2.
C.D.D.
Quindi, qualunque sia la norma con cui partiamo, possiamo sempre sostituirla con una particolare norma che per qualche motivo preferiamo alle altre,
per esempio con ||.|| o con ||.||1 , reinterpretando poi nella norma originaria i
risultati cosi ottenuti.
Ritorneremo su questo punto nella prossima sezione (Teorema 2.11), ove
dimostreremo che se dim(V) < allora tutte le norme definibili su V (tutte,
non solo le norme ||.||p e ||.|| ) sono tra loro equivalenti.
Concludo questa sezione con un esempio di norma ove in un certo senso
si mescolano due norme diverse. Sempre nell ipotesi che dim(V) = n < ,
supponiamo che n sia pari: n = 2m. Per ogni X = (xi )ni=1 poniamo
||X||1,2 =

m p
X

|x2i1 |2 + |x2i |2 =

i=1

|x1 |2 + |x2 |2 +

p
p
|x3 |2 + |x4 |2 + ... + |xn 1|2 + |xn |2 .

Non e difficile verificare che ||.||1,2 e effettivamente una norma. Lascio questo
compito al lettore. Osservo invece che ||.||1,2 e equivalente alle norme ||.||p e
||.|| . Questo segue dal Teorema 2.11, ma lo si puo anche dimostrare facilmente
in modo diretto, come segue.
Osserviamo innazitutto che per ogni coppia di numeri x, y K risulta 21 (|x|+
p
|y|) |x|2 + |y|2 |x| + |y|. La seconda disuguaglianza e ovvia. Per quanto
riguarda la prima, essa e equivalente ad (|x| + |y|)2 4(|x|2 + |y|2 ), che a sua
volta equivale a 0 3|x|2 + 3|y|2 2|x| |y|. Quest ultima disuguaglianza segue
subito dal fatto che 3|x|2 + 3|y|2 p2|x| |y| = 3(|x| |y|)2 + 4|x| |y|.
Dal fatto che 12 (|x| + |y|) |x|2 + |y|2 |x| + |y| si ricava subito che
1
2 ||X||1 ||X||1,2 ||X||1 . Quindi ||.||1,2 ||.||1 . Per la Proposizione 2.4, la
norma ||.||1,2 e equivalente a ciascuna delle norme ||.||p ed alla norma ||.|| .

11

2.3

Spazi normati di dimensione finita

Per tutta questa sezione si assume che V abbia dimensione finita: dim(V) =
m < . Il campo K puo essere indifferentemente il campo R dei numeri reali
o il campo C dei numeri complessi. Indichiamo con ||.|| una norma assegnata su
V e con d la distanza associata a ||.||. Dimostreremo i seguenti fatti:
(1) In V munito della distanza d tutti gli insiemi chiusi e limitati sono compatti
(Teorema 2.12). In altre parole, siccome in ogni spazio metrico tutti gli insiemi
compatti sono chiusi e limitati (vedi Capitolo 3, Lemma 3.3), in (V, d) gli insiemi
compatti sono precisamente quelli chiusi e limitati.
(2) Lo spazio V munito della distanza d e completo, cioe in esso tutte le
successioni di Cauchy convergono (Teorema 2.13). In altre parole, siccome in
ogni spazio metrico tutte le successioni convergenti sono di Cauchy (Capitolo 3,
Sezione 3.5), in V le successioni convergenti sono precisamente quelle di Cauchy.
(3) Tutte le norme definibili su V sono tra loro equivalenti (Teorema 2.13).
Prima di tutto dimostreremo che (1) vale se prendiamo ||.|| = ||.||1 . Forti di
questo fatto dimostreremo (3). Avendo dimostrato (3) sara facile dimostrare
che (1) e (2) valgono qualunque sia la norma ||.|| scelta su V.
2.3.1

Il caso di ||.|| = ||.||1

In questa sottosezione consideriamo la norma ||.||1 , definita relativamente ad


una data base E = (E1 , E2 , ..., Em ) di V. Si intende dunque che, parlando di
successioni limitate o convergenti di vettori di V oppure insiemi chiusi, limitati
o compatti di punti di V, ci si riferisce alla distanza d1 associata a ||.||1 .
Premettiamo un lemma sulle successioni numeriche limitate.
Lemma 2.5 Una successione di numeri reali, se e limitata, contiene sottosuccessioni convergenti.
Dimostrazione. La dimostrazione di questo lemma si trova in quasi tutti i manuali di Analisi I, ma non e male richiamarla. Sia (xn )
n=0 una successione limitata
di numeri reali. Poniamo A0 = {xn }
n=0 , insieme dei valori assunti dalla successione. Se l insieme A0 ammette punti di accumulazione allora la successione
(xn )
n=0 contiene sottosuccessioni convergenti, per il Lemma 3.5 del Capitolo 3.
In tal caso abbiamo finito. Supponiamo dunque che A0 non contenga punti di
accumulazione. Allora tutti i suoi punti sono isolati. Se qualche termine (xn )
n=0
si ripete infinite volte allora (xn )
n=0 contiene una sottosuccessione costante, che
ovviamente e anche convergente.
Supponiamo allora che A0 non ammetta punti di accumulazione e che ogni
termine di (xn )
n=0 ricorra nella successione solo un numero finito di volte. Vedremo che la combinazione di queste due ipotesi conduce ad un assurdo. Con
questo il lemma sara dimostrato. L insieme A0 , essendo limitato, ammette
12

un estremo inferiore ed un estremo superiore. Ma siccome A0 non ammette


punti di accumulazione, il suo estremo inferiore (superiore) e anche il suo minimo (massimo). Sia dunque a0 il minimo di A0 . Siccome a0 e il minimo di
A0 , a = xn0 per un opportuno n0 . Per le ipotesi assunte su A0 , da un certo
punto in poi tutti i termini di (xn )
n=0 sono > a0 , cioe esiste un numero naturale k0 > 0 tale che xn > a0 per ogni n k0 . Poniamo A1 = {xn }nk0 . L
insieme A1 si trova nelle stesse condizioni in cui si trova A0 . Infatti, siccome
A1 A0 ed A0 non ammette punti di accumulazione, nemmeno A1 ne ammette.
E siccome nessun termine di (xn )
n=0 ricorre nella successione infinite volte, a
maggior ragione altrettanto vale per (xn )
n=k0 . Quindi A1 ammette un minimo
a1 = xn1 > a0 per un opportuno n1 k0 ed esiste k1 > k0 tale che xn > a1 per
ogni n k1 . Poniamo A2 = {xn }nk1 . Ovviamente A2 A1 . L insieme A2
si trova nelle stesse condizioni in cui si trovano A0 ed A1 . Quindi A2 ammette
un minimo a2 = xn2 > a1 per un opportuno n2 k1 ed esiste k2 > k1 tale che
xn > a2 per ogni n k2 . Poniamo A3 = {xn }nk2 ... E cosi via. In questo
modo otteniamo una successione strettamente crescente a0 < a1 < a2 < ... di
numeri reali presi rispettivamente da A0 , A1 , A2 , ..., quindi tutti appartenenti ad
A0 perche A0 A1 A2 .... Siccome tutti gli ak stanno in A0 , nessuno di
essi supera il massimo di A0 . Pertanto la successione (ak )
k=0 e superiormente
limitata. Quindi ammette un estremo superiore, diciamolo b. D altra parte

(ak )
k=0 e strettamente crescente. Quindi b e di accumulazione per {ak }k=0 .

Ma {ak }k=0 A0 . Quindi b e di accumulazione anche per A0 , contro le ipotesi


assunte su A0 .
C.D.D.
Lemma 2.6 Sia K = R. Allora ogni successione in V, se e limitata, contiene
sottosuccessioni convergenti.
Dimostrazione. Sia (Xn )
n=0 una successione in V, limitata. Quindi esistono
un punto P V ed un numero reale r tale che d1 (Xn , P ) r per ogni n.
Possiamo sempre prendere P = O. Quindi ||Xn ||1 r per ogni n.POvvero, se
m
xn,1 , ..., xn,m sono
Pm le coordinate di Xn rispetto ad E, cioe Xn = i=1 xn,i Ei ,
abbiamo che i=1 |xn,i | r per ogni n = 0, 1, 2, .... Quindi anche |xn,i | r
per ogni i = 1, ..., m e per ogni n = 0, 1, 2, .... Pertanto per ogni i = 1, ..., m
(0)
la successione numerica i = (xn,i )
n=0 e limitata. Per il Lemma 2.5, la
(0)
successione 1 ammette una sottosuccessione convergente (xnk ,1 )
k=0 . Per ogni
(1)
(1)
(1)
i = 1, 2, ..., m poniamo xk,i = xnk ,i e i = (xk,i )
.
k=0
(1)

(0)

Per definizione, la sottosuccessione 1 di 1 e convergente mentre, per


(1)
ogni i = 2, 3, ..., m, la successione i e limitata, in quanto sottosuccessione
(0)
(1)
di i , che e limitata. Per il Lemma 2.5 la successione 2 ammette una
(1)
(2)
sottosuccessione convergente (xnk ,2 )k=0 . Per ogni i = 1, 2, ..., m poniamo xk,i =
(1)

(2)

xnk ,i e i

(2)

= (xk,i )
k=0 .
(2)

(1)

La successione 1 e convergente in quanto sottosuccessione di 1 , che e


(2)
convergente, la successione 2 e convergente per come la si e definita e, per
(2)
ogni i = 3, 4, ..., m, la successione i e limitata, in quanto sottosuccessione di
13

(1)

i , che e limitata.
Procedendo in questo modo perveniamo infine ad una m-pla di sottosuc(m) (m)
(m)
(0) (0)
(0)
cessioni convergenti 1 , 2 , ..., m di 1 , 2 , ..., m rispettivamente, selezionate prendendo una opportuna successione h0 , h1 , h2 , ... di numeri naturali
e scegliendo per ogni j = 0, 1, 2, ... il termine hj -esimo da ciascuna delle succes(0)
sioni i . Cosi Xhj = (xhj ,1 , xhj ,2 , ..., xhj ,m ) e il termine hj -esimo della originaria successione di vettori (Xn )
n=0 . Quindi, posto Yj = Xhj ed yj,i = xhj ,i , si
ha Yj = (yj,1 , ..., yj,m ), (Yj )
e
una sottosuccessione di (Xn )
n=0 e, per ogni
j=0
(m)

(m)

e convergente, per come la


i = 1, 2, ..., m, i = (yj,i )
j=0 . La successione i
si e costruita. Indichiamo con ai P
il suo limite. La differenza yj,i ai tende a 0
m
al divergere di j. Pertanto anche i=1 |yj,i ai | tende a 0. P
m
Ma questo significa che ||Yj A||1 0, ove si e posto A = i=1 ai Ei . Vale

a dire, la sottosuccessione (Yj )j=0 di (Xn )n=0 ora costruita converge al punto
A.
C.D.D.
Corollario 2.7 Sia K = C. Allora Ogni successione in V, se e limitata, contiene sottosuccessioni convergenti.
Dimostrazione. L insieme dei vettori di V forma anche uno spazio vettoriale
VR su R di dimensione 2 dim(V) = 2m. Possiamo anche ottenere una base
ER = (E1,2 , E2,1 , E2,2 , ..., Em,1 , Em,2 ) di VR dalla base E = (E1 , ..., Em ) in
precedenza assegnata su V ponendo Ej,1 = Ej ed Ej,2 = iEj per j = 1, 2, ..., m.
La norma ||.||1 di V, definita relativamente a E coincide con la norma ||.||1,2 di
VR definita relativamente ad ER . Ma, come osservato alla fine della Sezione
2.2, la norma ||.||1,2 e equivalente a ciascuna delle norme ||.||p di VR (definite
relativamente a ER ). In particolare, e equivalente alla norma ||.||1 di VR relativa
a ER . La conclusione ora segue dal Lemma 2.6 applicato a VR .
C.D.D.
Lemma 2.8 Ogni insieme chiuso e limitato di punti di V e anche compatto.
Dimostrazione. Sia A un insieme chiuso e limitato. Siccome A e limitato,
ogni successione di punti di A e limitata. Quindi per il Lemma 2.6 (nel caso di
K = R) o il Corollario 2.7 (se K = R) essa contiene sottosuccessioni convergenti.
Siccome A e anche chiuso, i punti limite di queste sottosuccessioni appartengono
ad A (Capitolo 3, Sezione 3.4). Quindi A soddisfa le ipotesi del Teorema 3.7 del
Capitolo 3. In virtu di quel teorema, A e compatto.
C.D.D.
Da questo lemma segue subito che in V palle chiuse e sfere, essendo insiemi
chiusi e limitati, sono anche compatte. Faremo uso di questo fatto nella prossima
sottosezione.
Lemma 2.9 Lo spazio metrico (V, d1 ) e completo.
Dimostrazione. Le successioni di Cauchy sono limitate. Quindi contengono
sottosuccessioni convergenti, per il Lemma 2.6. D altra parte, una succesione

14

di Cauchy che contenga una sottosuccessione convergente e anch essa convergente (Capitolo 3, Sezione 3.5). Quindi in V tutte le succesioni di Cauchy sono
convergenti.
C.D.D.
Nota. Dai lemmi 2.8 e 2.9 segue subito che lo spazio metrico R con l usuale
distanza d(x, y) = |xy| e completo e che in esso un insieme e chiuso e limitato
se e solo se e compatto. Si noti che in R tutte le norme ||.||p e ||.|| conicidono
con la funzione che ad ogni numero reale x associa il suo valore assoluto |x|.
2.3.2

Il caso generale

Come nella precedente sottosezione, indichiamo con d1 la distanza associata alla


norma ||.||1 definita relativamente ad una data base E = (E1 , E2 , ..., Em ) di V.
Lemma 2.10 Ogni norma di V e uniformemente continua relativamente alla
distanza d1 .
Pm
Pm
Dimostrazione. Dati in V due vettori X = i=1 xi Ei ed Y = i=1 yi Ei , per le
proprieta (N5), (N3) ed (N2) risulta
m
m
X
X
((xi yi )Ei ) =
|(X) (Y )| (X Y ) = ( (xi yi )Ei )
i=1

m
X
i=1

|xi yi |(Ei )

m
X

i=1

|xi yi | = ||X Y ||1 = d1 (X, Y ).

i=1

ove si e posto = maxm


i=1 (Ei ). Questo basta per concludere che e uniformemente continua relativamente a d1 .
C.D.D.
Possiamo ora dimostrare il teorema principale di questa sezione.
Teorema 2.11 Tutte le norme definibili su V sono tra loro equivalenti.
Dimostrazione. Siano e 0 due norme su V. Sia S = {X | ||X||1 = 1}
la sfera di centro O e raggio 1, relativamente alla distanza d1 . Nello spazio
metrico (V, d1 ), l insieme S e limitato ed e chiuso (Capitolo 3). Quindi e
compatto, per il Lemma 2.8. D altra parte sia che 0 sono continue (Lemma
2.10). Quindi anche / 0 e continua (vedi piu avanti, Sezione 2.6, Proposizione
2.26). La funzione / 0 e definita su V \ {O}, che contiene S. Possiamo dunque
considerare l immagine 0 (S) di S mediante / 0 . Per il Corollario 3.9 del
Capitolo 3, l insieme 0 (S) e compatto, quindi chiuso e limitato. Ma 0 (S) e
un sottoinsieme di R ed ogni sottoinsieme chiuso e limitato di R ammette un
massimo ed un minimo. Quindi / 0 ammette massimo e minimo su S.
Indichiamo con a il valore minimo assunto da / 0 su S e con b il valore
massimo. E ovvio che a > 0. Infatti (X)/ 0 (X) = 0 solo se X = O, ma
O 6 S.

15

Risulta dunque a (X0 )/ 0 (X0 ) b per ogni X0 S. Dato ora un


arbitrario vettore X 6= O, poniamo X0 = X/||X||1 . Quindi X0 S ed X =
||X||1 X0 . Per la (N2) risulta (X) = ||X||1 (X0 ) e 0 (X) = ||X||1 0 (X0 ).
Quindi (X)/ 0 (X) = (X0 )/ 0 (X0 ). Ma a (X0 )/ 0 (X0 ) b. Quindi
a (X)/ 0 (X) b, vale a dire: a 0 (X) (X) b 0 (X). Abbiamo supposto
X 6= O, ma queste ultime disuguaglianze valgono in modo banale anche per
X = O. Quindi 0 .
C.D.D.
Questo teorema ci dice che, nel caso di dimensione finita, tutte le proprieta topologiche di successioni, insiemi o funzioni, quali convergenza di una
successione, compattezza di un insieme, continuita di una funzione, ecc., non
dipendono dalla norma scelta. Quindi tutto quanto dimostrato per ||.||1 vale
anche per ogni altra norma. In particolare:
Teorema 2.12 Qualunque sia la norma ||.|| presa su V, ogni insieme di punti
che sia chiuso e limitato relativamente alla distanza d associata a ||.|| e anche
compatto.
(Vedi Lemma 2.8.)
Teorema 2.13 Qualunque sia la norma ||.|| presa su V, indicata con d la distanza ad essa associata, lo spazio metrico (V, d) e completo.
(Vedi Lemma 2.9.)
Teorema 2.14 Qualunque sia la norma ||.|| presa su V, ogni altra norma di V
e uniformemente continua relativamente alla distanza d associata a ||.||.
(Vedi Lemma 2.10.) Quest ultimo teorema costituisce un miglioramento del
Lemma 2.1.
2.3.3

Un controesempio in dimensione infinita

Come si puo vedere dal seguente esempio, nessuno dei teoremi precedenti resta
valido in dimensione infinita.
Consideriamo lo spazio V (K) di tutte le successioni a valori in K che sono
costantemente 0 da un certo punto in poi.
P
p 1/p
Data una successione X = (xn )
n=0 possiamo porre ||X||p = (
n=0 |xn | )

e ||X|| = maxn=0 |xn |, come si e fatto nel caso di dimensione infinita. Siccome
della successione X sono tutti nulli da un certo punto in poi,
P i termini
p
|x
|
e
in
realta una somma finita e max
n
n=0 |xn | e il massimo di un
n=0
insieme finito. Sicche le precedenti definizioni sono perfettamente legittime.
Come nel caso di dimensione finita, non e difficile dimostrare che le funzioni
||.||p e ||.|| sono effettivamente norme. Esse pero non sono tra loro equivalenti.
Per esempio, dato un numero naturale k consideriamo il vettore Vk = (vk,n )
n=0
ove vk,n = 1 se n k e vk,n = 0 se n > k. Risulta ||Vk || = 1 mentre
||Vk ||p = k. Quindi ||Vk ||p /||Vk || = k diverge al divergere di k. Pertanto non
16

puo esistere alcun numero reale a > 0 tale che a ||Vk ||p ||Vk || per ogni k.
Quindi ||.||p 6 ||.|| .
In modo simile si puo fare vedere che ||.||p non e continua relativamente
alla distanza d associata a ||.|| . Infatti, per ogni intero positivo k definiamo
p
Wk = (wk,n )
se n k p e wk,n = 0 se n > k p . Allora
n=0 ponendo wk,n = k
||Wk ||p = 1 per ogni k. Invece ||Wk || = k p . Quindi Wk tende a O nello spazio
metrico (V (K), d ) mentre ||Wk ||p non tende a 0. Infatti e costantemente
uguale ad 1.
Sia poi ||.|| una qualunque delle norme ||.||p o ||.|| e consideriamo la sfera
S = {X | ||X|| = 1} di centro O e raggio 1. Per ogni k sia Uk il k-esimo versore di
V (K), cioe Uk = (uk,n )
n=0 ove uk,n = 0 se n 6= k ed uk,k = 1. E evidente che
Uk S per ogni k = 0, 1, 2, ..., ma e altrettanto evidente che dalla successione
(Uk )
k=0 non si puo estrarre nessuna sottosuccessione convergente. Quindi, per
il Teorema 3.6 del Capitolo 3, l insieme S non e compatto. Tuttavia, essendo
una sfera, e sia chiuso che limitato. Dunque il Teorema 2.12 viene a cadere.
Infine, V (K) non e completo, qualunque norma si scelga tra le ||.||p o ||.|| .
Consideriamo infatti la seguente successione (Ak )
k=0 di vettori di V (K) ove
n
Ak = (ak,n )
con
a
=
2
se
n

k
ed
a
=
0 se n > k. Non e difficile
k,n
k,n
n=0
vedere che la successione (Ak )
e
di
Cauchy
per
ciascuna
delle norme ||.||p e
k=0
||.|| . Essa pero non converge ad alcun vettore di V (K). Infatti l unica cosa
che potrebbe fungere da suo limite potrebbe essere la successione (2n )
n=0 , che
pero non appartiene a V (K).

2.4

Convergenza di successioni

Sia ||.|| la norma assegnata su V e d la distanza ad essa associata. Nel seguito


scriviamo Xn A per dire che una successione (Xn )
n=0 di punti di V tende ad
un punto A V nello spazio metrico (V, d).
2.4.1

Proprieta elementari

Valgono per le successioni in V proprieta analoghe a quelle delle successioni


numeriche.
Proposizione 2.15 Supponiamo che Xn A ed Yn B. Allora:
(1) kXn kA per ogni k K.
(2) Xn + Yn A + B.
(3) kXn + hYn kA + hB per ogni scelta di k, h K.
Dimostrazione. Risulta ||kXn kA|| = ||k(Xn A)|| = |k| ||Xn A|| per (N2).
La (1) segue subito da questo. La (2) segue dal fatto che ||Xn + Yn A B|| =
||(Xn A) + (Yn B)|| ||Xn A|| + ||Yn B||, per (N3). Infine, (3) segue
immediatamente da (1) e (2).
C.D.D.
Proposizione 2.16 Se Xn A allora ||Xn || ||A||.
Dimostrazione. Questo segue subito dal Lemma 2.1 e da note proprieta delle
funzioni continue (Capitolo 3).
C.D.D.
17

2.4.2

Convergenza di successioni normalizzate. Il caso generale

Per tutta questa sottosezione (Xn )


n=0 e una data successione di vettori, tutti
diversi da O. Siccome per ipotesi Xn 6= O per ogni n, possiamo considerare
anche la successione normalizzata (Xn /||Xn ||)
n=0 .
Proposizione 2.17 Supponiamo che Xn A con A 6= O. Allora
A
Xn

.
||Xn ||
||A||
Dimostrazione. Osserviamo intanto che
Xn
A
Xn
Xn
Xn
A

.
||Xn || ||A||
||Xn || ||A|| ||A|| ||A||
Quindi
||
|

A
Xn
Xn
Xn
A
Xn

|| ||

|| + ||

|| =
||Xn || ||A||
||Xn || ||A||
||A|| ||A||

1
1
1

| ||Xn || +
||Xn A||
||Xn || ||A||
||A||

per (N3) ed (N2). D altra parte, ||Xn || ||A|| per la prima parte del corollario.
Quindi 1/||Xn || 1/||A|| tende a 0 mentre la successione (||Xn ||)
n=0 e limitata.
Inoltre ||Xn A|| 0 perche Xn A per ipotesi. Quindi Xn /||Xn || A/||A||
tende ad O, cioe Xn /||Xn || A/||A||.
C.D.D.
Nel seguito, dato un prodotto scalare h., .i su V, si assume che ||.|| sia
la norma euclidea associata a quel prodotto scalare. Sappiamo dalla disuguaglianza di Cauchy-Schwartz che per ogni coppia di vettori X, Y V, entrambi
diversi da O, risulta
|hX, Y i|
1
||X|| ||Y ||
e vale = se e solo se X ed Y sono proporzionali. Nel caso reale questa disugd
uaglianza e uno dei vari fatti che motivano la decisione di definire l angolo XY
tra X ed Y come l arcocoseno di hX, Y i/||X||||Y ||. In accordo a tale definizione,
X ed Y vengono detti ortogonali quando hX, Y i = 0 e questa definizione di ortogonalita viene trasportata di peso al caso complesso. Nel caso reale si sa
anche di piu: risulta
(+)

hX, Y i
||X||
= 1 se e solo se X =
Y
||X|| ||Y ||
||Y ||

e quindi anche
()

hX, Y i
||X||
= 1 se e solo se X =
Y.
||X|| ||Y ||
||Y ||

Vedremo che anche questo resta vero nel caso complesso. Cominciamo col dimostrare un lemma, valido sia nel caso reale che nel caso complesso.
18

Lemma 2.18 Per ogni coppia di vettori X, Y V, diversi da O, risulta:


1 X
Y 2
hX, Y i
X
Y 2
||

|| |
1| ||

|| .
2 ||X|| ||Y ||
||X|| ||Y ||
||X|| ||Y ||
Dimostrazione. Rammento che abbiamo indicato con K il campo degli scalari
di V. Trattero solo il caso di K = C. Il caso reale e piu facile e, comunque, e
incluso nel caso complesso.
hX,Y i
Poniamo z = ||X||||Y
|| ed indichiamo con e il modulo e l argomento di z.
Quindi z = (cos + i sin ) e la parte reale di z e cos = (z + z)/2. Siccome
||.|| e per ipotesi la norma euclidea associata a h., .i, risulta
||

X
Y 2
X
Y
X
Y

|| = h

i=
||X|| ||Y ||
||X|| ||Y || ||X|| ||Y ||

hX, Y i
hX, Xi hY, Y i
hY, Xi
+

=
||X||2
||Y ||2
||X|| ||Y || ||X|| ||Y ||

= 1 + 1 z z = 2(1 cos ).
D altra parte
|

hX, Y i
1|2 = (1 cos )2 + ( sin )2 = 1 + 2 2 cos .
||X|| ||Y ||

Quindi tutto si riduce a dimostrare che


()

(1 cos )2 1 + 2 2 cos 2(1 cos ).

Ma 1 per la disuguaglianza di Cauchy-Schwartz, quindi 1 + 2 2 cos


2 2 cos . La seconda disuguaglianza di () e dimostrata. Passando alla
prima disuguaglianza, (1 cos )2 = 1+2 cos2 2 cos . Siccome cos2 1,
(1 cos )2 1 + 2 2 cos . Con cio la dimostrazione di () e completata.
C.D.D.
hX,Y i
Dal Lemma 2.18 segue subito che ||X||||Y
|| = 1 se e solo se X/||X|| = Y /||Y ||,
che e quanto asserito da (+). La () segue subito da (+) sostituendo X con X,
hX,Y i
oppure Y con Y . Quindi, anche nel caso complesso, si ha che ||X||||Y
|| = 1
(rispettivamente 1) se e solo se X = tY per qualche numero reale t > 0
(rispettivamente, < 0). Possiamo dunque definire, anche nel caso complesso, la
semiretta

L+ (X) = {tX | t R, t 0}
individuata da un vettore X. Analogamente, L (X) = {tX | t R, t 0}.
Si osservi pero che, mentre nei reali L+ (X) L (X) = L(X), nei complessi
L+ (X) L (X) rappresenta solo una minima parte della retta L(X).
Dal Lemma 2.18 segue di piu di quel che si e detto ora:

19

Proposizione 2.19 Sia A 6= O ed Xn 6= O per ogni n. Allora


Xn
A

||Xn ||
||A||

se e solo se

hXn , Ai
1.
||Xn || ||A||

hXn ,Ai
Nel seguito, se ||X
tende ad 1 diremo piu sbrigativamente che L+ (Xn )
n ||||A||
+
tende ad L (A). Con questa convenzione, possiamo riformulare il Corollario
2.19 cosi: Xn /||Xn || A/||A|| se e solo se L+ (Xn ) tende ad L+ (A).

2.4.3

Successioni normalizzate. Il caso di dimensione finita

Per tutta la durata di questa sottosezione si suppone che dim(V) < . Sotto
questa ipotesi, per il Teorema 2.11, tutte le norme che possiamo dare su V sono
tra loro equivalenti. Quindi nel dire che una successione converge ad un dato
punto o che e di Cauchy, non importa a quale norma ci si riferisca: tutto quello
che possiamo dire riferendoci alla distanza associata ad una particolare norma
resta vero per qualunque altra norma.
L equivalenza tra tutte le norme definibili su V permette di dare formulazioni
piu forti ai risultati stabiliti nella sottosezione precedente. Per esempio, le
conclusioni delle Proposizioni 2.17 e 2.17 valgono anche se la norma ||.|| usata

per normalizzare la successione (Xn )


n=0 in (Xn /||Xn ||)n=0 ed A in A/||A||
non coincide con quella cui ci si riferisce quando si dice che Xn A o che
Xn /||Xn || A/||A||.
Nella Proposizione 2.17 si era supposto che Xn A, ma la successione normalizzata (Xn /||Xn ||)
n=0 potrebbe (esistere e) convergere ad un punto (necXn
|| = 1 per
essariamente di norma 1 per la Proposizione 2.16 e perche || ||X
n ||

(N2)) anche se (Xn )n=0 non converge a nulla oppure tende a O. Per esempio,
in V2 (R), la successione Xn = (n, n2 ) non tende a nulla ma Xn /||Xn || =
(1/n, 1) (0, 1). Oppure si consideri Xn = (1/n, 1/n2 ). Qui Xn O, ma
Xn /||Xn || = (1, 1/n) (1, 0). Ci si puo chiedere se in casi come questi una
convergenza Xn /||Xn || A/||A|| possa dipendere dalla scelta della norma ||.||.
La seguente proposizione assicura che, nelle ipotesi assunte su V, questo non
succede.
Proposizione 2.20 Ferma l ipotesi che dim(V) < , siano ||.|| e ||.||0 due
norme definite su V. Siano A e (Xn )
n=0 un punto ed una successione di punti
di V. Supponiamo che A 6= O ed Xn 6= O per ogni n. Allora
Xn
A
Xn
A

se e solo se

.
||Xn ||
||A||
||Xn ||0
||A||0
Dimostrazione. E sufficiente dimostrare che se Xn /||Xn || A/||A|| allora
Xn /||Xn ||0 A/||A||0 . Supponiamo dunque che Xn /||Xn || A/||A||. Siccome
una succesione converge in ||.|| se e solo se converge in ||.||0 (perche dim(V) < )
Xn
A
dobbiamo solo dimostrare che || ||A||
0 ||X ||0 || 0. Con argomenti simili a quelli
n
impiegati nella dimostrazione della Proposizione 2.17 si trova che
||

A
Xn
||A||
A
Xn
||A||
||Xn ||
Xn

||
||

|| + |

| ||
||.
||A||0
||Xn ||0
||A||0
||A|| ||Xn ||
||A||0
||Xn ||0
||Xn ||
20

A
Per ipotesi, || ||A||

Xn
||Xn || ||

0. D altra parte

||A||0
||Xn ||0
A
Xn 0

| ||

||
||A|
||Xn ||
||A|| ||Xn ||

Xn
A
||X
||0 0 perche Xn /||Xn || A/||A|| per ipotesi.
per (N5). Inoltre || ||A||
n ||
Quindi ||Xn ||0 /||Xn || ||A||0 /||A||. Pertanto risulta anche ||Xn ||/||Xn ||0
||A||/||A||0 , per note proprieta delle successioni numeriche. Quindi

||A||
||Xn ||

0.
0
||A||
||Xn ||0
A
In definitiva, || ||A||
0

Xn
||Xn ||0 ||

0.

C.D.D.

In breve, la Proposizione 2.20 ci dice che, qualora volessimo sostituire una

successione di punti (Xn )


n=0 con la sua normalizzazione (Xn /||Xn ||)n=0 , siamo
liberi di scegliere la norma ||.|| che ci risulti piu comoda. La nostra scelta non
avra ripercussioni sui risultati che otterremo. La Proposizione 2.20 ci permette
anche di dare una formulazione piu forte alla Proposizione 2.19. Nella Proposizione 2.19 ci si riferiva alla norma euclidea, ma sappiamo dalla Proposizione
2.20 che, nelle ipotesi assunte su V, possiamo sempre sostituirla con qualunque
altra norma. Quindi:
Teorema 2.21 Sia A 6= O ed Xn 6= O per ogni n. Qualunque sia la norma
||.|| scelta in V, la successione Xn /||Xn || tende ad A/||A|| se e solo se L+ (Xn )
tende ad L+ (A).
Forse il lettore si chiedera perche tanta insistenza sulle successioni normalizzate. Normalizzare una successione e sempre utile. Intanto, si evita
di dover operare con vettori che, per essere troppo lontani da O o troppo
vicini a O, potrebbero produrre inconvenienti nei calcoli (quelli veri, eseguiti
da una macchina). Inoltre, una successione normalizzata giace tutta sulla sfera
S = {X | ||X|| = 1} di raggio 1 e centro O. L insieme S e chiuso e limitato,
quindi compatto per il Teorema 2.12 della sezione seguente e perche stiamo supponendo che dim(V) < . Quindi la successione in questione contiene qualche
sottosuccessione convergente (Capitolo 3, Teorema 3.6). In molti casi, individuare sottosuccessioni convergenti agevola lo studio del comportamento di una
successione. Infine, come ci dice il Teorema 2.19, il passaggio dalla successione

(Xn )
n=0 alla sua normalizzata (Xn /||Xn ||)n=0 permette di capire se la semiretta
+
L (Xn ) si avvicina o no ad una data semiretta L+ (A), anche se la successione
(Xn )
n=0 di per se non tende a nulla.
2.4.4

Velocita di convergenza

Sia Xn A. Possiamo stimare la velocita con cui gli Xn si avvicinano ad A in


due modi diversi, ottenendo cosi due nozioni diverse di velocita di convergenza,
rispettivamente assoluta e relativa.

21

Siccome per ipotesi Xn A, la successione (||Xn A||)


n=0 e infinitesima. Possiamo prendere il suo ordine di infinitesimo come velocita assoulta di
convergenza della successione (Xn )
n=0 .
Ma possiamo anche voler paragonare la distanza ||Xn A|| con ||Xn Xn+1 ||
o con ||Xn1 Xn ||, vale a dire ||Xn A|| oppure ||xn+1 A|| con ||Xn Xn+1 ||.
Non avendo motivi per preferire il confronto di ||Xn A|| con ||Xn Xn+1 ||
a quello di ||Xn+1 A|| con con||Xn Xn+1 ||, salomonicamente optiamo per
il confronto ||Xn A|| + ||xn+1 A|| con ||Xn Xn+1 ||, considerando cos il
rapporto
rn :=

||Xn A|| + ||A Xn+1 ||


||Xn Xn+1 ||

ove si conviene che rn = se Xn = Xn+1 6= A e che rn = 1 se Xn =


Xn+1 = A. Definiamo poi sn := sup
n=0 rn (con la convenzione che sn =
se rm = per qualche m n) ed s := inf
n=0 sn (con la convenzione che
sia considerarsi maggiore di qualunque numero reale). Si noti che, per la
disuguaglianza triangolare, risulta rn 1 per ogni n. Quindi s 1. Poniamo
:=

1
s 1

con la convenzione che 1 = , 1/ = 0 e 1/0 = . Prendiamo come


misura della velocita relativa con cui la successione (Xn )
n=0 tende ad A. Il
massimo della velocita si ha con = ed il minimo con = 0.
La velocita assoluta non cambia se sostituiamo la norma ||.|| con un altra
norma ad essa equivalente. Infatti, sia ||.||0 tale che ||a ||X|| ||X||0 b ||X||
per ogni X V, per opportuni scalari a, b con 0 < a b. Allora
a ||Xn A|| ||Xn A||0 b ||Xn A||.
0
Quindi le successioni (||Xn A||)
n=0 ed (||Xn A|| )n=0 sono infinitesime dello
stesso ordine. La velocita relativa invece puo cambiare. Infatti risulta


a ||Xn A|| + ||Xn+1 A||
||Xn A||0 + ||Xn+1 A||0
max 1,

,
b
||Xn Xn+1 ||
||Xn Xn+1 ||0

||Xn A||0 + ||Xn+1 A||0


b ||Xn A|| + ||Xn+1 A||

.
||Xn Xn+1 ||0
a
||Xn Xn+1 ||
Quindi, se 0 e la velocita relativa con cui gli Xn tendono ad A, ma calcolata
con la norma ||.||0 , in genere risulta 0 6= . Pero, come il lettore puo verificare
da se, risulta 0 = 0 se e solo se = 0.
Esempio 1. Sia V = V2 (R) e sia ||.|| = ||.||2 (norma euclidea) ed ||.||0 = ||.||
(norma del sup). Consideriamo la successione (Xn )
n=1 , ove
Xn := (

n+1 n1
,
).
n
n

22


Si vede subito che Xn (1, 1). Posto A := (1, 1), risulta ||Xn A|| = 2/n.
Quindi la successione (||Xn A||)
n=1 e infinitesima del primo ordine. Risulta
invece
||Xn A|| + ||Xn+1 A||
= 2n + 1.
||Xn xn+1 ||
Quindi sn = per ogni n. Pertanto s = e la velocita relativa di convergenza e = 0. Rimpiazzando ||.|| con ||.||0 , otteniamo ||Xn A||0 = 1/n
(ancora una successione infinitesima del primo ordine) e
||Xn A||0 + ||Xn+1 A||0
= 2n + 1
||Xn xn+1 ||0
(come con la norma euclidea). Quindi la velocita relativa e ancora 0.
Esempio 2. Con V, ||.|| e ||.||0 come nell esempio precendente, dato con
0 < < 1, poniamo Xn = (1 n , 1 + n ). Quindi Xn (1, 1). Posto
A := (1, 1), risulta ||Xn A|| = 2n . Sicche la successione (||Xn A||)
n=0 e
infinitesima dello stesso ordine di n . Risulta poi
1+
||Xn A|| + ||Xn+1 A||
=
.
||Xn Xn+1 ||
(1 + 2 )1/2
Quindi sn = s = (1 + )/(1 + 2 )1/2 e la velocita relativa risulta
(1 + 2 )1/2 (1 + + (1 + 2 )1/2 )
(1 + 2 )1/2
=
> 2 + 1.
2
1/2
2
1 + (1 + )

Si noti che tende a al tendere di a 0 e tende a 2 + 1 al tendere di ad


1. Sostituiamo ora ||.|| con ||.||0 . Risulta ||Xn A||0 = n mentre
=

||Xn A||0 + ||Xn+1 A||0


2
=
.
||Xn Xn+1 ||0
1
La velocita relativa risulta ora
0 =

1
1
=
< 1.
2/(1 ) 1
1+

Essa tende ad 1 al tendere di a 0 e tende a 0 al tendere di ad 1. Pero e


sempre 0 < 0 < 1 perche per ipotesi 0 < < 1. Se ammettessimo = 1, con
= 1 avremmo Xn = (0, 2) per ogni n. Se invece = 0, allora Xn = (1, 1) per
ogni n. In entrambi i casi la velocita relativa risulterebbe pari ad , qualunque
norma si usi.

2.5

Norme di trasformazioni lineari

Come nel testo, indico con L(V) lo spazio vettoriale delle trasformazioni lineari
di V in se. Anche in L(V) si possono considerare norme. Pero, una volta
che sia assegnata una norma su V, non tutte le norme che si possono definire
23

su L(V) si accordano con essa. Inoltre, la composizione di funzioni struttura


L(V) come un algebra. Le norme da considerare in L(V) dovranno anche tener
conto di questo. Per rendere queste considerazioni meno fumose, fissiamo due
definizioni.
Diciamo che una norma ||.||L assegnata sullo spazio vettoriale L(V) e compatibile con la composizione, o anche che e una norma per l algebra L(V), se
(C1) ||||L ||||L ||||L ,

(, L(V)).

Diciamo che ||.||L e compatibile con una data norma ||.|| di V se


(C2) ||(X)|| ||||L ||X||,

(X V, L(V)).

Se ||.||L e compatibile con una data norma ||.|| di V lo e anche con infinite
altre. Per esempio, e compatibile anche con k||.|| per ogni k > 0. Esempi meno
banali di questo sono impliciti nella sezione seguente.
2.5.1

Norme di Turing e di Schur-Frobenius

Sia dim(V) = n < . Quindi dim(L(V)) = n2 , cioe L(V)


= Vn2 (K). Sicche,
assegnato un isomorfismo tra Vn2 (K) e L(V), possiamo definire le norme di L(V)
mediante quelle di Vn2 (K). Precisamente, data una base E = (Ei )ni=1 di V, per
ogni L(V) sia E () = (ai,j )ni,j=1 la matrice che rappresenta rispetto ad
E. Possiamo allora considerare le seguenti norme:
||||,L = maxi,j |ai,j |, (norma del sup);
v
uX
u n
|ai,j |, (norma euclidea).
||||2,L = t
i,j=1

La norma ||.||,L non e compatibile con la composizione, ma lo e n ||.||,L


(lascio al lettore la verifica di questa affermazione). La norma n ||.||,L viene
di solito indicata col simbolo ||.||T ed e chiamata norma di Turing. Invece
la norma ||.||2,L e compatibile con la composizione (la dimostrazione non e
difficilissima, ma preferisco tralasciarla). Viene chiamata norma di Schur o
anche di Frobenius. La indicheremo col simbolo ||.||E .
Indicata con ||.||2 la norma euclidea di V associata al prodotto scalare naturale per la base E e con ||.|| la norma del sup di V, sempre relativa alla base E,
sia la norma di Turing ||.||T che quella di Schur-Frobenius ||.||E sono compatibili
tanto con ||.||2 che con ||.|| . Lascio la dimostrazione al lettore.
2.5.2

Norme indotte

A una norma di L(V) si puo richiedere qualcosa di piu della semplice compatibilita con una data norma di V. Supponiamo di nuovo che dim(V) = n <
e sia assegnata su V una norma ||.||. Sia L(V).

24

Lemma 2.22 Nelle ipotesi ora assunte su V, la funzione e uniformemente


continua, qualunque sia la norma ||.|| presa su V.
Dimostrazione. Per il Teorema 2.11, non e restrittivo assumere che ||.|| sia la
norma del sup o quella euclidea. Sia ||.||L una norma su L(V) compatibile con
||.||. Per esempio, per quanto detto alla fine della sottosezione 2.5.1, possiamo
prendere ||.||L = ||.||E oppure ||.||L = ||.||T . Risulta allora
||(X) (Y )|| = ||(X Y )|| ||||L ||X Y ||.
L uniforme continuita di segue subito da cio.

C.D.D.

Per la linearita di e per la (N2) si ha che


X
||(X)||
= ||(
)||,
||X||
||X||

(X V, X 6= O).

X
Quindi, siccome || ||X||
|| = 1,

supX6=O

||(X)||
= sup||X||=1 ||(X)||.
||X||

Al solito, sia S = {X V | ||X|| = 1} la sfera di centro O e raggio 1. Siccome


per ipotesi dim(V) < , l insieme S e compatto (Teorema 2.12). Definiamo
inoltre una funzione : V R ponendo (X) = ||(X)||.
Lemma 2.23 La funzione , ristretta ad S, assume un massimo ed un minimo.
Dimostrazione. La funzione e continua (anzi uniformemente continua, per il
Lemma 2.22). Daltra parte anche ||.|| e continua (anzi uniformemente continua,
per Lemma 2.1). Quindi , essendo composizione di due funzioni (uniformemente) continue, e (uniformemente) continua. D altra parte S e compatto.
La conclusione segue come nella dimostrazione del Lemma 2.10.
C.D.D.
Nota. Nel Lemma 2.23 avremmo potuto dire di piu: infatti S e anche connesso
(Capitolo 3). Siccome funzioni continue portano connessi in connessi (Capitolo
3), (S) e anche connesso. Essendo connesso e compatto, deve necessariamente
essere un intervallo chiuso.
Definiamo ora una norma ||.||L in L(V) ponendo ||||L uguale al massimo
assunto da su S. La chiamiamo la norma indotta su L(V) dalla norma ||.||
scelta su V.
Teorema 2.24 La funzione ||.||L ora definita e effettivamente una norma ed
e compatibile sia con la composizione che con la norma ||.|| scelta in V.

25

Dimostrazione. E ovvio che ||.||L soddisfa la proprieta (N2). Dimostramo che


verifica anche (N1). Supponiamo che ||||L = 0. Quindi (X) = O per ogni
X S. Sicche (X/||X||) = O per ogni X 6= O. Ne segue che = O.
Passiamo ora alla (N3). Si ha || + ||L = max||X||=1 ||(X) + (X)|| per
definizione. D altra parte
max||X||=1 ||(X) + (X)||
max||X||=1 ||(X)|| + max||X||=1 ||(X)|| = ||||L + ||||L .
Quindi || + ||L ||||L + ||||L , come asserito in (N3). Per quanto riguarda
la compatibilita con ||.||, sia X 6= O. Allora
||(X)|| = ||X|| ||

X
(X)
|| = ||X|| ||(
)||
||X||
||X||

||X|| max||Y ||=1 ||(Y )|| = ||X|| ||||L .


Quindi ||.||L e compatibile con ||.||. Infine
||||L = max||X||=1 ||((X))|| max||X||=1 ||||L ||(X)||
per la compatibilita con ||.||. D altra parte
max||X||=1 ||||L ||(X)|| = ||||L max||X||=1 ||(X)|| = ||||L ||||L .
Quindi ||||L ||||L ||||L .

C.D.D.

Esempi. Come nel paragrafo 2.5.1, sia E () = (ai,j )ni,j=1 . Allora:


Pn
(1) La norma di L(V) indotta da ||.|| e ||||L = maxni=1 j=1 |ai,j |.
P
n
(2) La norma di L(V) indotta da ||.||1 e ||||L = maxnj=1 i=1 |ai,j |.
p
(3) La norma di L(V) indotta da ||.||2 e ( ), ove e l aggiunta di
(la trasposta nel caso reale) e ( ) e il raggio spettrale di .
Tralascio le dimostrazioni. Il lettore le puo trovare in ogni buon testo di Calcolo
Numerico.
2.5.3

Trasformazioni lineari da uno spazio in un altro

Fin qui abbiamo considerato norme solo per trasformazioni lineari di V in se,
ma si possono definire anche per trasformazioni lineari da V ad un altro spazio
W. In particolare, nel caso che tanto V che W abbiano dimensione finita, si
posono definire norme analoghe a quelle di Turing e di Schur-Frobenius. Si puo
cosi generalizzare la dimostrazione del Lemma 2.22, ottenendo che se tanto
V che W hanno dimensione finita, allora ogni trasformazione lineare da V a
W e uniformemente continua. Questo ci permette di definire norme indotte
anche per trasformazioni lineari da V a W, ferma l ipotesi che V e W abbiano
dimensione finita. Non entro nei dettagli.
26

Osservo invece che, vedendo K come spazio vettoriale di dimensione 1 su se


stesso, la funzione che ad ogni x K associa il suo modulo |x| e una norma in
K. Anzi, tutte le norme definibili su K differiscono da questa per un coefficiente
reale positivo. Possiamo dunque chiederci se i funzionali lineari di V, che sono
trasformazioni lineari da V a K, siano continui. Se dim(V) < la risposta e
affermativa:
Proposizione 2.25 Se dim(V) < ogni funzionale lineare : V K e
uniformemente continuo.
Dimostrazione. Questa proposizione si ottiene subito come caso speciale da quel
che si e detto sopra prendendo W = K, ma la si puo dimostrare anche direttamente. Sia : V K un funzionale lineare. Scelta una base E = (E1 , ..., En )
in V, esistono scalari a1 , ..., an tali che, se (x
P1 n, ..., xn ) sono le coordinate di un
vettore X C rispetto a E, risulta (X) = i=1 ai xi . Quindi
Pn
|(X) (Y )| = |(X Y )| = | i=1 ai (xi yi )|

Pn

i=1

|ai | |xi yi | a

Pn

i=1

|xi yi | = a ||X Y ||1

ove a = maxni=1 |ai |. L uniforme continuita di segue.

C.D.D.

La proposizione 2.25 ha molte conseguenze importanti. Vediamone una.


Ogni iperpiano affine di V si puo vedere come la retroimmagine di un elemento
di K mediante un opportuno funzionale lineare. In ogni spazio metrico tutti
i singoletti sono insiemi chiusi. Sappiamo inoltre che la retroimmagine di un
insieme chiuso mediante una funzione continua e un insieme chiuso (Capitolo
3, Proposizione 3.8). Infine, se dim(V) < tutti i funzionali lineari di V sono
continui (Proposizione 2.25). Pertanto quando dim(V) < tutti gli iperpiani
di V sono insiemi chiusi. Siccome ogni sottospazio affine di V e intersezione
di un numero finito di iperpiani e l intersezione di un numero finito di insiemi
chiusi e sempre un insieme chiuso, anche tutti i sottospazi affini di V sono
insiemi chiusi.
Nel caso che K = R possiamo definire semispazi aperti o chiusi di V: un
semispazio aperto (rispettivamente, chiuso) e la retroimmagine di una semiretta
aperta (chiusa) di R mediante un funzionale lineare di V. Per la Proposizione
2.25 e la 3.8 del Capitolo 3, se dim(V) < i semispazi aperti (chiusi) di V sono
insiemi aperti (rispettivamente, chiusi).

2.6

Qualche proprieta delle funzioni continue

Nella proposizione seguente raccogliamo alcune proprieta su funzioni continue


da sottoinsiemi di V a V o a K, ove K e visto come spazio metrico con la distanza d(x, y) = |x y|. Nel seguito, date due funzioni e , definite ciascuna
su un sottoinsieme di V e con a valori in K e a valori in V o in K, considereremo la moltiplicazione , definita dalla clausola ()(X) = (X)(X). La
notazione non tragga in inganno: non si scambi per la composizione di con
(composizione peraltro impossibile se dim(V) > 1)
27

Proposizione 2.26 Vale quanto segue.


(1) Dato a K, la funzione che ad ogni X V associa a e continua.
(2) Dati due sottoinsiemi A1 e A2 di V, siano 1 e 2 funzioni da A1 e A2 a K.
Indichiamo con 1 + 2 e 1 2 le funzioni che ad ogni X A1 A2 associano
rispettivamente 1 (X) + 2 (X) e 1 (X)2 (X). Se entrambe le funzioni 1 e 2
sono continue, allora sia 1 + 2 che 1 2 sono continue.
(3) Sia una funzione continua da un sottoinsieme A di V a K. Poniamo
A0 = {X A | (X) 6= 0}. La funzione 1/ che ad ogni X A0 associa
1/(X) e continua.
(4) Dati due sottoinsiemi A e B di V, siano e funzioni continue da A a V
e da B a K, rispettivamente. La funzione che ad ogni X A B associa
(X) (X) e continua.
(5) Dati due sottoinsiemi A1 e A2 di V, siano 1 e 2 funzioni continue da A1
e A2 a V. La funzione 1 +2 , che ad ogni X A1 A2 associa 1 (X)+2 (X),
e continua.
Le dimostrazioni di queste proprieta sono essenzialmente le stesse che si usa
dare per analoghe proprieta di funzioni da R ad R. Le lasciamo al lettore.
Combinando (2) con (4) e (5) si ottiene subito che, date funzioni continue

,
P1m..., m da V a V e 1 , ..., 2 da sottoinsiemi di V a K, anche la funzione
i=1 i i e continua. In particolare, siccome le funzioni costanti sono continue,
combinazioni lineari di funzioni continue sono continue.
Nella proposizione precedente ci siamo limitati a considerare funzioni da
sottoinsiemi di V a V oppure a K, ma e evidente che nulla vieta di considerare
funzioni da sottoinsiemi di V ad un altro spazio vettoriale W su K anziche solo
funzioni da V a V.

28

3
3.1

Nozioni basilari su spazi metrici


Prime definizioni

Uno spazio metrico e una coppia S = (S, d) ove S e un insieme (e i suoi elementi
sono chiamati punti di S) e d e una funzione da S S ad R, chiamata distanza,
soddisfacente proprieta analoghe alle (D1), (D2) e (D3) della sezione 2.1, cioe:
(D1) d(x, y) = d(y, x), (x, y S);
(D2) d(x, y) = 0 x = y, (x, y S);
(D3) d(x, y) d(x, z) + d(z, y), (x, y, z S).
La proprieta (D3) viene detta disuguaglianza triangolare. Da essa si deduce
facilmente la seguente proprieta (cfr. Capitolo 2, (N5)):
(D4) |d(x, y) d(x, z)| d(y, z),

(x, y, z S).

Infatti d(x, y) + d(y, z) d(x, z) per (D3). Quindi d(x, z) d(x, y) d(y, z).
Analogamente d(x, y) d(x, z) d(z, y), scambiando i ruoli di y e z. Ma
d(z, y) = d(y, z) per (D1). La (D4) segue.
Dato a S ed un numero reale r > 0, la palla aperta di centro a e raggio r
e l insieme S(a, r) dei punti di S a distanza < r da a:
S(a, r) = {x S | d(x, a) < r}.
Chiaramente, a S(a, r). Infatti d(a, a) = 0 < r.

3.2

Punti e insiemi

Si dice che un punto a e interno ad un insieme A S, o anche che A e un


intorno di a, se esiste una palla aperta S(a, r) interamente contenuta in A. Si
dice invece che a e esterno ad A se e interno al complementare S \ A di A,
esiste cioe una palla di centro a che resta interamente al di fuori di A. Se a non
e ne interno ne esterno ad A, cioe ogni palla di centro a contiene sia punti di
A che punti di S \ A, allora si dice che a e di frontiera per A. Se ogni palla di
centro a contiene qualche punto di A (eventualmente anche solo a) allora si dice
che a e di aderenza per A. Se ogni palla di centro a contiene infiniti punti di A
(equivalentemente, ogni palla di centro a contiene punti di A diversi da a) allora
si dice che a e di accumulazione per A. Se a A ed esiste una palla S(a, r)
tale che S(a, r) A = {a} (equivalentemente, esiste una palla S(a, r) tale che
S(a, r) A e finito) allora si dice che a e un punto isolato di A.
E chiaro che un punto a e di aderenza per un insieme A se e solo se o e
di accumulazione o e isolato, e punti isolati non sono mai di accumulazione.
Inoltre, un punto e di aderenza per A se e solo se o e interno ad A (nel qual
caso e anche di accumulazione) o e di frontiera. I punti di frontiera sono tutti
punti di aderenza, quindi o isolati o di accumulazione. In particolare, se a e
di frontiera per A ma non appartiene ad A, allora e di accumulazione per A.
Un punto e di frontiera per A se e solo se e di frontiera per il complementare

29

S \ A di A. Un punto e interno (esterno) ad A se e solo se e esterno (interno)


ad S \ A. Un punto e esterno ad A se e solo se non e di aderenza per A.
o

L interno A di A e l insieme dei suoi punti interni. La frontiera F r(A) di


A e l insieme dei suoi punti di frontiera. La chiusura A di A e l insieme dei
punti di aderenza di A. Cioe, siccome i punti di aderenza sono o interni o di
o
frontiera, A = F r(A) A. L esterno di A e l insieme dei punti esterni ad A.
Per quel che si e detto sopra, A ed il suo complementare S \ A hanno la
stessa frontiera, l esterno di A e l interno di S \A e coincide col complementare
S \ A della chiusura di A. Analogamente, l interno di A e l esterno di S \ A e
coincide con il complementare S \ (S \ A) della chiusura S \ A di S \ A.

3.3

Insiemi aperti e chiusi

Un insieme A S si dice aperto se coincide con il suo interno, cioe tutti i suoi
punti sono interni. Lo si dice invece chiuso se coincide con la sua chiusura, cioe
contiene tutti i suoi punti di frontiera. E immediato vedere che un insieme e
aperto (oppure chiuso) se e solo se il suo complementare e chiuso (rispettivamente, aperto). E anche ovvio che l interno di un insieme e sempre aperto e
la chiusura di un insieme e sempre un insieme chiuso.
Puo capitare che un insieme sia al tempo stesso aperto e chiuso. Per esempio, questo e il caso per S ed . In genere, S e sono gli unici insiemi che
godano di questa proprieta, ma in genere non significa sempre.
Proposizione 3.1 Valgono le seguenti proprieta:
(1) L unione di una famiglia di aperti e sempre un insieme aperto.
(2) L intersezione di una famiglia finita di aperti e sempre un insieme aperto.
(3) L intersezione di una famiglia di chiusi e sempre un insieme chiuso.
(4) L unione di una famiglia finita di chiusi e sempre un insieme chiuso.
(5) La frontiera di un insieme e sempre un insieme chiuso.
Dimostrazione. L affermazione (1) e ovvia. Per dimostrare la (2), sia {Ai }ni=1
una famiglia finita di aperti ed a ni=1 Ai . Per ogni i = 1, ..., n esiste ri > 0
tale che S(a, ri ) Ai . Consideriamo il piu piccolo tra questi ri . Per fissare le
idee, sia esso r1 . Allora S(a, r1 ) S(a, ri ) per ogni i. Quindi S(a, r1 ) ni=1 Ai .
La (2) e dimostrata.
Le affermazioni (3) e (4) seguono subito da (1) e (3) passando ai complementari, e rammentando che il complementare di un aperto (un chiuso) e chiuso
o

(aperto). Infine la (5) segue da (3) rammentando che F r(A) = A\ A= AS \ A.


C.D.D.
E facile vedere che la chiusura A di A e il piu piccolo insieme chiuso
contenente A, cioe e chiuso (come gia si e detto) ed e contenuto in ogni
altro insieme chiuso che contenga A. La (3) della Proposizione 3.1 permette di
caratterizzare A anche come l intersezione di tutti i chiusi contenenti A.

30

Esempi ovvi ma importanti. Ovviamente, le palle aperte sono insiemi aperti.


L esterno di una palla aperta S(a, r) e l insieme {x S | d(x, a) > r} e la
chiusura di S(a, r) e la palla chiusa
S(a, r) = {x S | d(x, a) r}.
La frontiera di S(a, r) e l insieme dei punti a distanza esattamente r da a. La
si chiama sfera di centro a e raggio r. Per la (5) della Proposizione 3.1, e un
insieme chiuso.
Si vede subito che il complementare di un singoletto e un insieme aperto.
Quindi i singoletti sono insiemi chiusi. Questa conclusione si puo ottenere anche
dalla (3) della Proposizione 3.1, osservando che {a} e l intersezione di tutte le
palle chiuse di centro a. Siccome i singoletti sono insiemi chiusi, dalla (4) della
Proposizione 3.1 segue immediatamente che ogni insieme finito e chiuso.
Per la (1) della Proposizione 3.1, un unione di palle aperte e sempre un
insieme aperto. D altra parte, ogni punto di un insieme aperto e contenuto in
una palla aperta contenuta in quell insieme, per definizione. Quindi gli insiemi
aperti sono precisamente le unioni di palle aperte.

3.4

Connessione, limitatezza e compattezza

Proposizione 3.2 Sia A S. Le tre seguenti condizioni si equivalgono:


(1) Non esistono due insiemi aperti A1 ed A2 tali che A1 A 6= =
6 A2 A,
A1 A2 A = ed A A1 A2 .
(2) Non esistono due insiemi chiusi A1 ed A2 tali che A1 A 6= 6= A2 A,
A1 A2 A = ed A A1 A2 .
(3) Per ogni insieme B, se B A 6= =
6 (S \ B) A, allora A F r(B) 6= .
Dimostrazione. Le proprieta (1) e (2) si equivalgono. Per rendersene conto
basta rammentare che il complementare di un insieme aperto (chiuso) e chiuso
(aperto), che A1 A2 A = se e solo se (S \A1 )(S \A2 ) A e che A1 A2 A
se e solo se (S \ A1 ) (S \ A2 ) A = .
Dimostriamo che (1) (3). Supponiamo che (3) sia falsa. Allora esiste
B S tale che B A 6= 6= (S \ B) A ma F r(B) A = . Siano A1 ed
A2 l interno e l esterno di B. Siccome F r(B) A = e F r(B) = F r(S \ B)
risulta B A = A1 A e (S \ B) A = A2 A. Quindi, siccome per ipotesi
B A 6= =
6 (S \ B) A, si ha che A1 A 6= =
6 A2 B. Ovviamente
A1 A2 A ed A1 A2 A = perche A S = B (S \ B) A1 A2 ed
A1 A2 B (S \ B) = . Quindi (1) e falsa. Pertanto (3) (1), vale a
dire: (1) (3).
Dimostriamo che (3) (1). Supponiamo che (1) sia falsa. Siano A1 , A2
due aperti tali che A1 A 6= 6= A2 A, A1 A2 A = ed A A1 A2 .
Chiaramente A2 e contenuto nell esterno di A. Siccome i punti di A stanno in
A1 o in A2 , essi sono tutti o interni od esterni ad A1 . Quindi nessuno di essi e
di frontiera per A1 . Quindi A1 e un insieme tale che A1 A 6= =
6 (S \ A1 ) A
e, tuttavia, F r(A1 ) A = , contro quanto affermato da (3). Dunque anche (3)
e falsa. Pertanto (1) (3), cioe (3) (1).
C.D.D.
31

Un sottoinsieme A S si dice connesso se soddisfa una delle proprieta


(1), (2) o (3) del Lemma 3.2 (e quindi le soddisfa tutte, siccome sono tra loro
equivalenti).
Un insieme A S si dice limitato se esiste una palla (aperta o chiusa, non
fa differenza) che lo contenga. Usando la disuguaglianza triangolare, e facile
vedere che se A S(a, r) per un opportuna scelta di a ed r, allora per ogni
punto a0 esiste un numero reale r0 tale che A S(a0 , r0 ). Quindi, nel parlare di
limitatezza di insiemi, possiamo anche decidere di scegliere un punto una volta
per tutte e considerare solo palle centrate su quel punto.
Si dice che una famiglia {Ai }iI di insiemi e un ricoprimento di un insieme
A se A iI Ai . Sia {Ai }iI un ricoprimento di un insieme A. Se tutti gli
insiemi Ai sono aperti il ricoprimento {Ai }iI si dice aperto. Se {Ai }iI consiste
di un numero finito di insiemi allora si dice che {Ai }iI e un ricoprimento finito.
Un insieme A si dice compatto se da ogni suo ricoprimento aperto se ne
puo sempre estrarre uno finito. Equivalentemente, rammentando che il complementare di un aperto (chiuso) e chiuso (aperto) e che il passaggio al complementare scambia unioni con intersezioni, un insieme A e compatto se e
solo se per ogni famiglia {Ai }iI di insiemi chiusi, se A (iI Ai ) = allora A Ai1 Ai2 ... Aik = per qualche sottosinsieme finito {i1 , i2 , ..., ik }
di I.
Proposizione 3.3 Ogni insieme compatto e chiuso e limitato.
Dimostrazione. Sia A un insieme compatto. Per dimostrare che A e chiuso
basta fare vedere che F r(A) A. Per assurdo, sia a F r(A) \ A. Per ogni
numero reale r > 0 sia Ar = S \ S(a, r). Quindi Ar e un aperto. D altra parte
r>0 S(a, r) = {a}. Quindi r>0 Ar = S \ {a} A, perche a 6 A. Dunque
{Ar }r>0 e un ricoprimento aperto di A. Siccome per ipotesi A e compatto,
possiamo estrarre da {Ar }r>0 un ricoprimento finito. Ovvero, esistono r1 , ..., rn
tali che A ni=1 Ari . Possiamo sempre supporre che r1 sia il piu piccolo tra
r1 , ..., rn . Quindi Ar1 Ari per i = 2, 3, ..., n. Ne segue che ni=1 Ari = Ar1 , e
pertanto A Ar1 . Ma questo significa che S(a, r1 ) A = , contraddicendo l
ipotesi a F r(A).
Dunque A e chiuso. Per quanto riguarda la limitatezza, preso a caso un
punto a, la famiglia {S(a, r)}r>0 e un ricoprimento aperto di S, quindi anche
di A. Ma A e compatto. Quindi possiamo estrarre da {S(a, r)}r>0 un ricoprimento finito di A, diciamo S(a, r1 ), ..., S(a, rn ). Possiamo sempre suppore che
rn sia il piu grande tra r1 , ..., rn . Ma allora A S(a, rn ). Quindi A e limitato.
C.D.D.
Nota. Se S e lo spazio metrico definito da una norma su uno spazio vettoriale
di dimensione finita allora e anche vero l inverso della Proposizione 3.3: ogni
insieme chiuso e limitato e compatto (Sezione 5, Teorema 2.12). Ma in altri
spazi questo e falso.
Proposizione 3.4 In ogni spazio metrico, ogni sottoinsieme chiuso di un insieme compatto e compatto.
32

Dimostrazione. Sia A compatto e B A chiuso. Sia {Bi }iI un ricoprimento


aperto di B. Allora {S \ B} {Bi }iI e un ricoprimento aperto di A. (Si noti
che S \ B e aperto, perche B e chiuso.) Siccome A e compatto, possiamo
estrarre da {S \ B} {Bi }iI un ricoprimento finito di A, diciamolo B. La
famiglia B (se S \ B 6 B) oppure B \ {S \ B} (se S \ B B) e un ricoprimento
finito di B formato ma membri della famiglia {Bi }I . In definitiva, abbiamo
estratto da {Bi }iI un ricoprimento finito di B.
C.D.D.
Esempi. (1) In R, con l usuale distanza d(x, y) = |x y|, gli insiemi connessi
sono gli intervalli (aperti, chiusi, o aperti da una parte e chiusi dall altra), i
singoli punti, le semirette (con o senza l origine), la retta R ed il vuoto . Tra
questi insiemi, , i punti e gli intervalli chiusi sono anche compatti. Si lascia al
lettore la dimostrazione di queste affermazioni.
(2) Ovviamente, una palla (aperta o chiusa) o una sfera sono insiemi limitati.
Inoltre, palle chiuse e sfere sono insiemi chiusi. Sicche, se S e lo spazio metrico
definito da una norma in uno spazio vettoriale reale o complesso di dimensione
finita, palle chiuse e sfere sono insiemi compatti, per il Teorema 2.12. In dimensione infinita, quest ultima affermazione non e piu vera.
(3) Sia S lo spazio metrico definito da una norma in uno spazio vettoriale V
reale o complesso. Tutte le palle (aperte o chiuse) e le sfere di S sono connesse.
Tralascio la dimostrazione. Anche tutti i sottospazi affini di V sono connessi.
Nel caso reale possiamo anche considerare semispazi, intersezioni di semispazi
e intersezioni di semispazi e sottospazi affini. In particolare, simplessi. Tutti
questi insiemi sono connessi.

3.5

Successioni

Si dice che una successione (xn )


n=0 di punti di uno spazio metrico S = (S, d)
tende (o converge) ad un punto a S, e si scrive xn a, se ogni palla aperta
di centro a contiene tutti i termini di (xn )
n=0 da un certo punto in poi. Equivalentemente, ogni intorno di a contiene tutti i termini di (xn )
n=0 da un certo
punto in poi. Se xn a si dice anche che a e il limite della successione (xn )
n=0
e si scrive a = limn xn .
Si vede subito che se xn a ed xn b allora a = b, cioe il limite, se
esiste, e unico. E anche ovvio che, se (xn )
n=0 e convergente, allora tutte le
sue sottosuccessioni sono convergenti ed hanno lo suo stesso limite di (xn )
n=0 .
E facile vedere che se xn a allora a e di aderenza per l insieme {xn }
n=0 .
Quindi, se tutti i punti xn appartengono ad un dato insieme A e se xn a,
allora a A. In particolare, se A e chiuso allora a A.

Date due successioni (xn )


n=0 ed (yn )n=0 , supponiamo che xn a. Allora
yn a se e solo se d(xn , yn ) 0.
Una successione (xn )
n=0 si dice di Cauchy se per ogni numero reale r > 0
esiste un numero naturale nr tale che d(xn , xm ) < r per ogni scelta di n, m nr .
E immediato dimostrare che ogni successione convergente e di Cauchy. E
anche facile dimostrare che una successione di Cauchy e convergente se ammette
sottosuccessioni convergenti. Tuttavia, in uno spazio metrico possono anche
33

esistere successioni di Cauchy che non convergono a nulla. Uno spazio metrico
ove tutte le successioni di Cauchy sono convergenti si dice completo.

Una successione (xn )


n=0 si dice limitata se l insieme {xn }n=0 e limitato.
E facile vedere che ogni successione di Cauchy e limitata. In particolare, ogni
successione convergente e limitata.

3.6

Ancora sulla compattezza

Lemma 3.5 Data una successione (xn )


n=0 , sia a un punto di accumulazione

per l insieme {xn }


n=0 . Allora (xn )n=0 ammette sottosuccessioni che convergono ad a.
Dimostrazione. Siccome a e di accumulazione per {xn }
n=0 , preso ad arbitrio
un numero reale r0 > 0 la palla S(a, r0 ) contiene infiniti termini di (xn )
n=0
diversi da a. Sia xn0 uno di essi. Poniamo r1 = d(a, xn0 )/2. Ovviamente
r1 < r0 /2. La palla S(a, r1 ) contiene infiniti termini xn 6= a con n > n0 . Sia
xn1 uno di essi e poniamo r2 = d(a, xn1 )/2. Si noti che r2 < r1 /2 < r0 /22 .
La palla S(a, r2 ) contiene infiniti termini xn 6= a con n > n1 . Sia xn2 uno di

essi... In questo modo si costruisce una sottosuccessione (xnk )


k=0 di (xn )n=0
ove d(xnk , a) < r0 /2k per k = 0, 1, 2, .... Dunque (xnk )
tende
ad
a.
C.D.D.
k=0
Teorema 3.6 Sia A un insieme compatto e sia (xn )
n=0 una successione di
punti di A. Allora almeno una tra le sottosuccessioni di (xn )
n=0 e convergente
(e necessariamente converge ad un punto di A siccome A, essendo compatto, e
anche chiuso).
Dimostrazione. Poniamo X = {xn }
n=0 . Se l insieme X ammette punti di accumulazione la conclusione segue dal Lemma 3.5, senza dover usare la compattezza
di A.
Supponiamo dunque che X non ammetta punti di accumulazione. Allora
ogni punto a A o e esterno ad X oppure e un punto isolato di X. Quindi
per ogni a A esiste una palla aperta Sa di centro a tale che o Sa X =
(quando a 6 X) oppure Sa X = {a} (se a X). In breve, X Sa {a}. D
altra parte, {Sa }aA e un ricoprimento aperto di A ed A e compatto. Quindi
esiste un sottoinsieme finito {a1 , a2 , ..., ak } di A tale che X ki=1 Sai . Ma
X Sa {a}. Quindi X = X ki=1 Sai = ki=1 X Sai {a1 , ..., ak }. Cioe,
X e finito. Ma questo puo essere solo se qualche termine della successione

(xn )
n=0 ricorre in essa infinite volte, cioe (xn )n=0 contiene una sottosuccessione
costante. Ovviamente, una successione costante e anche convergente. C.D.D.
Vale anche l inverso del Teorema 3.6.
Teorema 3.7 Sia A un insieme tale che ogni successione di punti di A contiene
sottosuccessioni che convergono a punti di A. Allora A e compatto.
La dimostrazione e troppo tecnica per poterla dare qui. La tralascio. Il
lettore interessato la puo trovare in ogni testo di Analisi ove si dia abbastanza
spazio alla teoria degli spazi metrici.
34

3.7

Funzioni continue

In questa sezione S1 = (S1 , d1 ) e S2 = (S2 , d2 ) sono due spazi metrici dati. Una
funzione f : S1 S2 si dice continua in un punto a S1 se per ogni palla
aperta Sf (a) di S2 di centro f (a) esiste una palla aperta Sa di S1 di centro a
tale che f (Sa ) Sf (a) . Equivalentemente, per ogni intorno A di f (a) preso in
S2 , la retroimmagine f 1 (A) e un intorno di a in S1 . La funzione f si dice
continua se e continua in ogni punto di S1 .
Proposizione 3.8 Sia f : S1 S2 . Le seguenti proprieta si equivalgono:
(1) f e continua.
(2) Se A S2 e aperto allora f 1 (A) e aperto.
(3) Se A S2 e chiuso allora f 1 (A) e chiuso.
Dimostrazione. Siccome S1 \ f 1 (A) = f 1 (S2 \ A) e siccome il complementare
di un insieme aperto (chiuso) e chiuso (aperto), la (2) e la (3) si equivalgono.
Proviamo che (1) implica (2). Sia A S2 aperto. Allora per ogni a f 1 (A),
A e un intorno di f (a). Per la continuita di f , f 1 (A) e un intorno di a.
Quindi f 1 (A) e un intorno di ogni suo punto. Vale a dire, tutti i punti di
f 1 (A) sono interni ad f 1 (A). Cioe f 1 (A) e aperto.
Passando all implicazione inversa, assumiamo (2). Preso a S1 , consideriamo un intorno B di f (a). Esso contiene una palla aperta S(f (a), r) di centro
f (a). La retroimmagine f 1 (S(f (a), r) e un insieme aperto, per (2). Ovviamente, a f 1 (S(f (a), r)). Quindi f 1 (S(f (a), r) e un intorno di a. A
maggior ragione, f 1 (B) f 1 (S(f (a), r) e un intorno di a. Si e cosi visto
che f e continua in a. Essendo a arbitrario, f e continua.
C.D.D.
Corollario 3.9 Sia f : S1 S2 continua e sia A S1 .
(1) Se A e connesso allora f (A) e connesso.
(2) Se A e compatto allora f (A) e compatto.
Dimostrazione. Per dimostrare (1) supponiamo che f (A) non sia connesso.
Allora esistono in S2 due aperti B1 e B2 tali che B1 f (A) 6= =
6 B2 f (A),
B1 B2 = e B1 B2 f (A). Siccome f e continua, entrambi gli insiemi
f 1 (B1 ) ed f 1 (B2 ) sono aperti, per la (2) della Proposizione 3.8. Inoltre
f 1 (B1 )A 6= =
6 f 1 (B2 )A, f 1 (B1 )f 1 (B2 ) = e f 1 (B1 )f 1 (B2 )
A. Quindi A non e connesso. La (1) e dimostrata.
Passiamo a (2). Sia A compatto e sia {Bi }iI un ricoprimento aperto di
f (A). Per la (2) della Proposizione 3.8, f 1 (Bi ) e aperto per ogni i I.
Quindi {f 1 (Bi )}iI e un ricoprimento aperto di A. Siccome A e compatto,
da esso si puo estrarre un ricoprimento finito, diciamolo
{f 1 (Bi1 ), f 1 (Bi2 ), ..., f 1 (Bik )}.
A sua volta {Bi1 , Bi2 , ..., Bik } e un ricoprimento finito di f (A), estratto da
{Bi }iI . Qundi da ogni ricoprimento aperto di f (A) si puo estrarre un ricoprimento finito. Cioe f (A) e compatto.
C.D.D.

35

Proposizione 3.10 Una funzione f : S1 S2 e continua se e solo se per ogni

successione (xn )
n=0 in S1 , se (xn )n=0 converge allora (f (xn ))n=0 converge ed
f (limn xn ) = limn f (xn ).
Dimostrazione. Supponiamo che f sia continua e sia xn a in S1 . Siccome f
e continua in a, per ogni palla S(f (a), r) in S2 esiste una palla S(a, r0 ) in S1
tale che f (S(a, r0 )) S(f (a), r). D altra parte, siccome xn a, da un certo
punto i poi tutti gli xn stanno in S(a, r0 ). Quindi da un certo punto i poi tutti
gli f (xn ) stanno in S(f (a), r). Data l arbitrarieta di r > 0, questo prova che
f (xn ) f (a).
Viceversa, supponiamo che f non sia continua. Dunque esiste un punto
a S1 tale che f non e continua in a. Quindi esiste una palla S(f (a), r) di S2
tale che ogni palla S(a, 1/n) di S1 contiene un punto xn con f (xn ) 6 S(f (a), r).
Ma allora xn a mentre f (xn ) 6 f (a).
C.D.D.
Proposizione 3.11 Sia f : S1 S2 , sia S3 = (S3 , d3 ) un altro spazio metrico
e g : S2 S3 .
(1) Sia a S1 . Supponiamo che f sia continua in a e g sia continua in f (a).
Allora la funzione composta gf e continua in a.
(2) Se tanto f che g sono continue allora anche gf e continua.
Dimostrazione. La (2) segue subito da (1). Dimostriamo la (1). Per ogni intorno
A di g(f (a)) l insieme g 1 (A) e un intorno di f (a), perche g e continua in
f (a). Analogamente, f 1 (g 1 (A)) e un intorno di a perche f e continua in a.
In definitiva, la retroimmagine mediante gf di un intorno di g(f (a)) e sempre
un intorno di a. Cioe gf e continua in a.
C.D.D.
Resta ancora da vedere sotto quali condizioni l inversa di una funzione
invertibile continua sia anch essa continua. Premetto un lemma.
Lemma 3.12 Supponiamo che f : S1 S2 sia invertibile e continua e cha S1
sia compatto. Allora, per ogni sottoinsieme A S1 , se A e aperto anche f (A)
e aperto.
Dimostrazione. Sia A aperto e, per assurdo, f (A) non sia aperto. Allora
F r(f (A)) f (A) 6= . Sia b F r(f (A)) f (A). Siccome b F r(f (A)) ogni
palla aperta di S2 di centro b contiene qualche punto che non sta in f (A), necessariamente diverso da b perche b f (A). Ragionando come nella dimostrazione
del Lemma 3.5 possiamo costruire una successione (yn )
n=0 contenuta tutta in
S2 \ f (A) e tale che yn b. Siccome f e invertibile, per ogni n esiste un
unico punto xn S1 \ A tale che f (xn ) = yn . Per il Teorema 3.6, siccome S1
e compatto la successione (xn )
n=0 contiene una sottosuccesione convergente,
diciamola (xnk )
k=0 . Sia a il limite di questa sottosuccessione. Siccome tutti gli
xn appartendono ad S1 \ A, che e chiuso, anche a appartiene ad S1 \ A. D
altra parte, f e continua ed f (xn ) = yn per ogni n. Quindi, per la Proposizione

3.10, siccome (xnk )


k=0 converge ad a la successione (ynk )k=0 tende a f (a). Ma

(ynk )k=0 , essendo una sottosuccessione di (yn )n=0 , che tende a b, deve anch
36

essa tendere a b. Quindi f (a) = b, per l unicita del limite. Ma b f (A) ed f


e invertibile. Dunque a A, mentre si era gia visto che a S1 \ A. Abiamo
cosi raggiunto una contraddizione, che possiamo rimuovere solo concludendo
che f (A) e aperto.
C.D.D.
Proposizione 3.13 Supponiamo che f : S1 S2 sia invertibile e continua e
cha S1 sia compatto. Allora anche l inversa f 1 di f e continua.
Dimostrazione. Posto h = f 1 , se A S1 allora f (A) = h1 (A). Per il Lemma
3.12, se A e aperto allora h1 (A) e aperto. Quindi h soddisfa la (2) della
Proposizione 3.8. Pertanto h e continua.
C.D.D.
La Proposizione 3.13 puo essere migliorata, sostituendo l ipotesi che S1 sia
compatto con altre ipotesi piu deboli. Per esempio, ferma l ipotesi che f sia
invertibile e continua, assumiamo che per ogni punto a S1 esista un intorno
compatto A di a tale che f (A) sia un intorno di f (a). Allora f 1 e continua.
Lascio la dimostrazione al lettore.
Per finire, diamo la definizione di uniforme continuita. Una funzione f :
S1 S2 si dice uniformemente continua se per ogni numero reale > 0 esiste
un numero reale > 0 tale che d2 (f (x), f (y)) < non appena d1 (x, y) < . E
ovvio che una funzione uniformemente continua e anche continua, ma non ogni
funzione continua e uniformemente continua.
Teorema 3.14 Se S1 e compatto, ogni funzione continua da S1 a S2 e anche
uniformemente continua.
Dimostrazione. Sia S1 compatto ed f : S1 S2 continua. Per assurdo, f non
sia uniformemente continua. Esiste dunque un numero reale r > 0 tale che,
per ogni > 0 si possono sempre trovare due punti x, y S1 con d1 (x, y) <
ma d2 (f (x), f (y)) r. In particolare, per ogni intero positivo n esistono due
punti xn , yn S1 tali che d1 (xn , yn ) < 1/n mentre d2 (f (xn ), f (yn )) r. Si
e supposto che S1 sia compatto. Quindi per il Teorema 3.6 la successione

(xn )
n=1 contiene una sottosuccessione convergente (xnk )k=1 . Sia a il limite di
questa sottosuccessione. Siccome d1 (xnk , ynk ) < 1/nk < 1/k per k = 1, 2, 3, ...
anche la sottosuccessione (ynk )
Quindi, siccome f e conk=1 tende ad a.

tinua, tanto (f (xnk ))


che
(f
(y
))
tendono
a f (a). Ma allora la disnk k=1
k=1
tanza d2 (f (xnk ), f (ynk )) deve tendere a 0 al divergere di k, mentre per ipotesi
d2 (f (xnk ), f (ynk )) non scende mai al di sotto di r. L assurdo cosi raggiunto ci
obbliga a concludere che f e uniformemente continua.
C.D.D.
Concludo con una generalizzazione del Lemma 2.1 del Capitolo 3. Indichiamo con dR l usuale distanza in R, definita dalla clausola dR (x, y) = |x y|.
Fissato un punto a S1 sia da : S1 R la funzione che ad ogni punto x S1
associa la sua distanza d(a, x) da a.
Proposizione 3.15 La funzione da , vista come funzione da S1 allo spazio metrico (R, dR ), e uniformemente continua.
37

Dimostrazione. Per la (D4) risulta |da (x) da (y)| d(x, y). Questo basta per
concludere.
C.D.D.
Fin qui abbiamo solo considerato funzioni da uno spazio metrico S1 ad un
altro spazio metrico S2 , ma quanto si e detto vale anche per funzioni da un
sottoinsieme A di S1 ad S2 . Del resto, la distanza d1 di S1 , ristretta ad A A,
struttura A come uno spazio metrico. Sicche, in realta, sostituendo S1 con A
non facciamo altro che sostituire S1 con un altro spazio metrico.

3.8

Equivalenza tra distanze

Due distanze d1 e d2 definite sullo stesso insieme di punti S si dicono equivalenti,


e si scrive d1 d2 , se esitono due numeri reali k, h > 0 tali che
(E) k d1 (x, y) d2 (x, y) h d1 (x, y),

(x, y S),

ovvero
(E 0 )

1
h d2 (x, y)

d1 (x, y) k1 d2 (x, y),

(x, y S).

(Cfr. Capitolo 2.) Gli argomenti usati nel Capitolo 2 per dimostrare che la
relazione tra norme e una relazione di equivalenza si possono riformulare per
la relazione ora definita tra distanze, ottenendo cosi che:
Proposizione 3.16 La relazione e una relazione di equivalenza.
Lascio i dettagli al lettore.
Proposizione 3.17 Sia d1 d2 . Per ogni a S, ogni palla aperta di S1 =
(S, d1 ) con centro a contiene una palla aperta di S2 = (S, d2 ) con lo stesso centro
a. E viceversa.
Dimostrazione. Sia kd2 d1 hd2 . Allora:
{x S | d1 (x, a) < r} {x S | d2 (x, a) < r/h},
{x S | d1 (x, a) < r} {x S | d2 (x, a) < r/k}.

C.D.D.

Corollario 3.18 Sia d1 d2 . Per ogni punto a e per ogni insieme A, se A


e un intorno di a nello spazio metrico S1 = (S, d1 ) lo e anche nello spazio
metrico S2 = (S, d2 ).
Quindi se un punto e interno, oppure esterno, di frontiera, di aderenza, di
accumulazione o isolato per un dato insieme in S1 tale resta in S2 . L interno,
la frontiera e la chiusura di un insieme sono gli stessi in S1 ed in S2 . Gli insiemi
aperti o chiusi di S1 sono gli stessi di S2 . Idem per compatti e connessi. Se una
successione tende ad un dato punto in S1 a quel punto tende anche in S2 . In
breve, d1 e d2 definiscono su S la stessa topologia. Non e difficile dimostrare
anche che se una successione e di Cauchy in S1 lo e anche in S2 . Insomma,
tutto quello che si puo dire in S1 resta vero in S2 .

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Cenni sulla derivazione in ambito complesso

Dato un sottoinsieme U di C, sia f una funzione da U a C e sia c U , di


accumulazione per U . Come nel caso reale, si dice che f e derivabile in c se esiste
un numero complesso tale che il rapporto incrementale (f (z) f (c))/(z c)
tende a al tendere di z a c, vale a dire: per ogni palla aperta S in C di
centro esiste una palla aperta Sc di centro c tale che se z Sc (U \ {c})
allora (f (z) f (c))/(z c) S . Se questo e il caso, il numero e detto
derivata di f in c ed e indicato con f 0 (c), oppure anche (df /dz)z=c . La retta
(c, f (c)) + L(1, f 0 (c)) di C 2 viene presa come tangente al grafico (t, f (t))tU di f
nel punto (c, f (c)). L applicazione lineare dfc : z 7 f 0 (c)z si dice differenziale di
f in c. Ovviamente, se f e derivabile in c allora (f (z) f (c) dfc (z c))/(z c)
tende a 0 al tendere di z a c. Come nel caso reale, se una funzione e derivabile
in c allora e continua in c.
Per il lettore che sappia cosa sono le derivate parziali di una funzione reale
di piu variabili reali, aggiungiamo quanto segue. Siano g ed h la parte reale
ed il coefficiente della parte immaginaria di f , viste come funzioni da R2 a R.
Cioe f (z) = g(X) + ih(X), ove z = x + iy ed X = (x, y) R2 . Si dimostra
che f e derivabile in c = a + ib se e solo se sia g che h ammettono entrambe le
derivate parziali in C = (a, b) e per di piu
 
 
 
 
h
g
h
g
=
,
=
.
x X=C
y X=C
y X=C
x X=C
Inoltre, se f e derivabile in c allora (df /dz)z=c = u + iv ove
 
 
 
 
g
h
g
h
u=
=
, v=
=
.
x X=C
y X=C
y X=C
x X=C
Come nel caso reale, si dice che f e derivabile su U se (ogni punto di U e di
accumulazione per U ed) f e derivabile in ogni punto di U . Se f e derivabile
su U , la funzione che ad ogni punto z U associa f 0 (z) e chiamata derivata
(prima) di f e viene indicata con f 0 oppure D(f ). Se f 0 e a sua volta derivabile,
la sua derivata viene indicata con f 00 (oppure D2 (f )) e viene chiamata derivata
seconda di f . Derivate terze, quarte ecc. sono definite in modo analogo.
Valgono per le derivate in ambito complesso le stesse regole che in ambito
reale: le costanti hanno derivata nulla, la derivata della funzione identita e la
costante 1, (f + g)0 = f 0 + g 0 , (kf )0 = kf 0 , (f g)0 = f 0 g + f g 0 , (1/f )0 = f 0 /f 2 ,
(f /g)0 = (f 0 g f g 0 )/g 2 ecc. In particolare, (cz n )0 = cnz n1 e pertanto
n
n
X
X
(
ci z i )0 =
ici z i1 .
i=0

i=1

Ai fini di quelle che saranno le nostre necessita nel file AlgLinNumerica-3


non occorre dire altro. Certamente, quel pochissimo che ho detto qui non e sufficiente per una piena comprensione della differenziazione in ambito complesso
in tutti i suoi aspetti, ma per questo ci sono i corsi di Analisi Complessa.

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