il Ducato

Ritorno
alla natura di Veronica Ulivieri
veronica.ulivieri@gmail.com

Viaggio nelle campagne di Urbino

dove l’agricoltura biologica
è nata quasi quaranta anni fa
 il Ducato
Oggi le aziende del settore nella provincia sono 245, più di 80 solo a Urbino

La capitale del biologico

Negli anni ‘70, i pionieri hanno dimostrato che si poteva vivere facendo un’agricoltura sana e senza chimica

N
egli anni Settan-
ta nelle campa-
gne intorno a Ur-
b i n o s i s t a va
muovendo qual-
cosa che poi si sa-
rebbe rivelato all’avanguardia.
Vent’anni dopo il grande esodo
dalle campagne, in tanti, da tut-
ta Italia e dall’estero, stavano ar-
rivando nelle Marche con l’in-
tenzione di ritornare alla terra
facendo agricoltura biologica.
La zona di Urbino sembrava il
luogo perfetto: i terreni e le case
coloniche costavano poco e
nella zona non c’erano grandi
industrie e fonti di inquina-
mento.
L’idea era quella di ricomincia-
re la storia da dove i vecchi agri-
coltori fuggiti nelle aree urbane
l’avevano lasciata. O di racco-
gliere il testimone da quei pochi
che erano rimasti. Come fece
Gino Girolomoni, che nel 1977 a
Isola del Piano, venti chilometri
da Urbino, fondò insieme ad al-
cuni amici la cooperativa agri-
cola Alce Nero, una delle prime
aziende agricole biologiche in
Italia e la prima al mondo a pro-
durre pasta integrale biologica.
L’esperienza di Girolomoni ha
spinto tante persone a cambia-
re vita o, in certi casi, a rimane-
re in campagna dove avevano
vissuto fino a quel momento.
Ha dimostrato che si poteva an-
cora vivere di agricoltura e, so-
prattutto, che si poteva farlo
senza la necessità di usare pe-
sticidi e concimi chimici. Sul
territorio ha costituito un mo-
dello e un esempio per molti
agricoltori. E ha contribuito a
diffondere una cultura del con-
sumo sano anche tra i cittadini.
Solo a Urbino, le aziende che
fanno produzioni biologiche
sono, secondo la Regione, più di
80; 245 in tutta la provincia.
Molte sono piccole fattorie con
pochi ettari di terra e qualche
decina di animali. Ma nella zo-
na esistono anche cooperative
come Campo e Terrabio e azien-
de di trasformazione come Pro-
meteo, nate tra la fine degli anni
Settanta e l’inizio degli anni No-
vanta.
Quando sono state create le pri-
me aziende, in Italia non esiste-
vano ancora leggi sull’agricol-
tura biologica: ognuno faceva
secondo i propri principi e, ol-
tretutto, quel tipo di coltivazio-
ne non aveva nessun riconosci-
mento. Le prime norme sono
arrivate nel 1991, anno in cui è
entrato in vigore il regolamento
2092 della Comunità europea,
che ha stabilito i dettami da se-
guire nella produzione e ha
creato un regime di controlli dei
prodotti per tutelare i consu-
matori. Oggi ogni agricoltore
deve pagare da solo un organi-
smo di controllo che certifichi i
suoi prodotti come biologici. La stalla della fattoria di Cal Bianchino di Luigia e Carlo Comandini
Ma in Italia c’è confusione: que-
sti organismi sono una ventina prezioso che gli agricoltori bio-
e lavorano secondo standard logici danno alla tutela dell’am-
I NUMERI DEL BIO NELLE MARCHE
diversi. Nel 1992 (Regolamento biente. L’agricoltura biologica è un metodo di coltivazione che
2078) poi, la Comunità europea Nelle Marche la cultura del bio-
ha inserito tra le misure di so- logico è forte e consolidata: fa- esclude l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi.
stegno all’agricoltura anche gli cendo un semplice calcolo a Secondo il Sinab (Sistema d’informazione nazionale sul-
aiuti ai contadini biologici, per partire dai dati Ismea del 2007, l’agricoltura biologica), alla fine del 2008 in Italia erano
risarcirli di quel mancato reddi- si ottiene che il 5,74% delle
to che deriva da una produzio- aziende agricole marchigiane coltivati a biologico più di un milione di ettari, circa l’8%
ne minore e allo stesso tempo sono biologiche. Dato che col- dell’intera superficie agricola. Nelle Marche, gli ettari a
più costosa. In Italia, gli aiuti loca le Marche al pari della Ca- biologico erano più di 67.200, circa il 13,5% della super-
vengono erogati dalle Regioni. labria (5,84%) e seconde alla Ba-
Nelle campagne di Urbino, per silicata, dove il rapporto è addi- ficie agricola utilizzata a livello regionale, contro la media
esempio, un contadino che col- rittura dell’8,17%. Questa diffu- nazionale pari a circa il 7,8%. Percentuale inferiore a
tiva grano duro riceve un con- sione delle aziende biologiche è
tributo di 140 euro a ettaro, 220
Basilicata, Calabria e Sicilia, ma superiore a tutte le
stata indubbiamente favorita
se coltiva mais o sorgo e 470 se dalla presenza di Alce Nero e, in regioni dell’Italia centrale.
coltiva ortaggi e piccoli frutti. Ci seguito, di molte altre esperien- A livello regionale, nella provincia di Pesaro e Urbino gli
sono contributi anche per l’al- ze simili. Dopo di loro in molti
levamento biologico: chi ha un hanno lasciato l’università e il
agricoltori biologici sono 245, il 17% in più di quelli di
bovino da latte può ricevere fino lavoro per tornare alla terra. Macerata e Ascoli Piceno e addirittura il 45% in più di
a 180 euro annui, 80 euro per un Queste cooperative, questi con- quelli di Ancona. Sono poche, invece, nel territorio di
ovino e 30 per un suino. Ma que- tadini, hanno dimostrato che
sti aiuti, che non aumentano or- tornare indietro a un’agricoltu-
Pesaro e Urbino le aziende in conversione e quelle
mai da anni e vengono spesso ra più naturale è ancora possibi- miste, segno che nella provincia si è raggiunto ormai un
pagati in ritardo, non servono a le. Molti li hanno seguiti e oggi equilibrio.
riconoscere anche il contributo Urbino è quasi un’isola felice.

Elena Viganò, docente di Economia agraria, spiega l’evoluzione del fenomeno

“Qui una rete di imprenditori innovatori”

ti? ni all’azienda? spesso stranieri, che migravano da zone

E
lena Viganò insegna Economia
agraria all’università di Urbino e si
occupa delle tematiche legate al
biologico.
Come è avvenuto lo sviluppo del biolo-
gico in Italia?
“Si possono distinguere due fasi. Prima
del 1990 l’agricoltura biologica era prati-
cata da imprenditori innovatori, per
scelta non economica. Poi nel 1991 la
Comunità europea ha stabilito le regole
della produzione biologica e, a partire
dal 1992, ha iniziato a erogare gli aiuti
per il mancato reddito, un elemento di
forte attrattività anche per quegli agri-
coltori che non avevano motivazioni
ideologiche. Questo spiega perché, do-
po un periodo di boom, dal 2002-2003, di
fronte a incentivi rimasti stabili, anche il
numero delle aziende bio in generale
non cresce”.
Gli incentivi troppo bassi hanno sco-
raggiato gli agricoltori meno agguerri-
“Sì, insieme agli alti costi che le aziende
devono pagare all’ente che certifica la
loro produzione come biologica e agli
adempimenti burocratici troppo pesan-
ti. E poi c’è il fatto che il guadagno pro-
veniente dalla vendita dei prodotti non è
sempre remunerativo”.
Perché?
“C’è il problema dell’incontro tra la do-
manda e l’offerta. Se i produttori vendo-
no alla grande distribuzione organizza-
ta (gdo), questa paga loro prezzi non re-
munerativi perché per essere competiti-
va deve tagliare i costi di produzione. Più
remunerative per il produttore sono le
vendite tramite i piccoli negozi al detta-
glio, i gruppi di acquisto solidale (gas) o
direttamente in azienda. Un aspetto
molto importante sono gli acquisti pub-
blici per le mense: creano un mercato
per gli agricoltori ed educano i cittadini”.
Andrebbero potenziati i canali più vici-
“Se l’obiettivo è allargare il mercato, la
gdo è quella che può fare di più. Anche i
gas però possono avere questa funzione,
ma devono migliorare la loro organizza-
zione, altrimenti rimangono fenomeni
di nicchia”.
La differenza di prezzo dei prodotti bio-
logici è tutta giustificata dai maggiori
costi di produzione?
“I costi di produzione sono effettiva-
mente più alti, ma i prezzi onerosi sono
dovuti anche a un numero eccessivo di
intermediari o al fatto che alcuni di loro
lucrano margini troppo elevati. Le
aziende di solito hanno un potere di con-
trattazione più basso sul prezzo”.
Perché nelle Marche e in particolare
nella zona di Urbino c’è stato uno svi-
luppo maggiore rispetto ad altre regio-
ni?
“Perché qui si è creata alla fine degli an-
ni Settanta una rete di agricoltori, molto
inquinate. Persone che credevano mol-
to in questo tipo di agricoltura si sono
spostate qui e hanno avuto un effetto di
contaminazione, come accade per tutti
gli imprenditori innovatori”.
I consumatori di biologico sono sempre
informati e consapevoli?
“Non del tutto. Devono ancora imparare
tante cose, per esempio a mangiare frut-
ta e verdura di stagione. Serve un’educa-
zione al consumo, che dovrebbe essere
compito delle Regioni”.
In Italia c’è la consapevolezza dell’im-
portanza dell’agricoltura biologica e
dei suoi meriti ambientali?
“A livello di Ministero teoricamente c’è
molta attenzione, ma in pratica c’è an-
cora da fare parecchio. Nessuno dà un
premio agli agricoltori biologici per i lo-
ro meriti di tutela ambientale. Questo fe-
nomeno si chiama fallimento del merca-
to”.

2

Gino Girolomoni guida la cooperativa Alce Nero dal 1977
“M
i
con-
side-
r o
uno
d e i
pochissimi contadini che sono
tornati alla terra dopo che l’ave-
vano abbandonata. Ma l’esodo,
che non avevo scelto e che era
naturale, mi ha insegnato a sa-
pere del mondo tutto il resto che
la natura non può dire”. Così Gi-
no Girolomoni si presentava nel
1981, all’inizio del suo primo li-
bro Ritorna la vita sulle colline.
Emigrato in cerca di lavoro, Gi-
rolomoni è tornato a Isola del
Piano poco più che ventenne e,
dal 1970 al 1980, è stato sindaco
del suo paese. Figlio di contadi-
ni, nel 1974 ha deciso che quella
sarebbe stata anche la sua stra-
da e ha messo su con la moglie
un piccolo allevamento di vac-
che da latte. Tutto è partito da un
edificio abbandonato in cima a
una collina, il trecentesco mo-
nastero di Montebello, che ha
trasformato nella sua casa. Nel
1977, quando in Italia si parlava
pochissimo di agricoltura senza
chimica, è nata la cooperativa
biologica Alce Nero. Alla base
del progetto, una sfida cultura-
le: “Se i nostri padri sono vissuti
su queste campagne per secoli,
senza strade maestre, senza
elettricità, senza telefono, sen-
za acqua in casa, senza soldi, ri-
uscendo a far sposare i figli e a
diventare vecchi, noi, che dis-
poniamo di tutte queste cose,
possibile che non ne siamo ca-
paci?” (Alce Nero grida, 2002).
Fin dall’inizio Girolomoni, 64
anni e una sguardo caparbio e
imperturbabile, è a capo della
cooperativa. Sono passati più di
trent’anni e di cose ne sono suc-
cesse. Le soddisfazioni, ma an-
che i sacrifici, le bocche da sfa-
mare e i sequestri di pasta per
diciassette anni (perché la pa-
sta, se integrale, non poteva dir-
si tale e perché se la si chiamava
biologica si era accusati di pub-
blicità ingannevole). Girolomo-
ni è oggi una delle guide spiri-
tuali dell’agricoltura biologica,
l’Alce Nero (il capo indiano che
dà il nome alla cooperativa) dei
contadini.
Gino Girolomoni e l’esperienza di Alce Nero
Il sogno di una terra
pulita e ripopolata
nato più di 30 anni fa
no. (Tante volte nei suoi libri Gi-
rolomoni ha paragonato i con-
tadini ai nativi americani, “con-
finati nelle campagne come gli
indiani nelle riserve”, ndr) Solo
quindici anni dopo abbiamo
scoperto che si era convertito al
cristianesimo e aveva fatto il
missionario tra gli indiani”.
La cooperativa è riuscita a evi-
tare lo spopolamento di Isola
del Piano?
“Il calo degli abitanti di Isola del
Piano, che adesso sono 600, si è
fermato quando siamo nati noi.
Percorrendo per otto chilometri
la strada che da qui va a Urbino,
si incontrano 20 aziende agrico-
Com’è nata l’idea di creare Alce le, di cui 18 sono biologiche e no-
Nero? stre socie. È la via europea del-
“Io all’inizio sono venuto qui per l’agricoltura biologica”.
ricostruire il monastero di Mon- Lei ha fatto molti sacrifici per
tebello, non per fare il biologico. recuperare il monastero di
Quello è venuto dopo. Tutta Montebello, fondato nel Tre-
questa zona era stata abbando- cento dal beato Pietro Gamba-
nata dalle quattordici famiglie corta. Qual è per lei il rapporto
che ci vivevano, e io e i miei ami- tra la fede e il lavoro?
ci, nel 1977, abbiamo lanciato “La mia storia personale è se-
questa sfida: vogliamo recupe- gnata dal cattolicesimo e io ten-
rare quel territorio e riportarci lo go la religione come linea da se-
stesso numero di gente che ci guire. L’agricoltura è il pane
abitava. L’agricoltura era l’unico quotidiano, la fede sono le idee
modo per realizzare questo e per fondanti che mi ispirano. Sulla
noi si poteva fare solo biologica, scelta di fare biologico ha influi-
senza continuare ad avvelenare to anche la volontà di essere ‘cu-
il suolo, l'acqua e i cibi”. stode del giardino’”.
Perché una cooperativa e non Fin dagli anni Settanta lei ha
una società? sempre organizzato convegni e
“Perché ho capito che per ripor- incontri, invitando a Montebel-
tare qui quattordici famiglie do- lo numerosi intellettuali. Per-
vevo coinvolgerle in un progetto ché ha sentito questo bisogno?
comune, non come dipendenti, “Per crescere, perché il mondo è
ma come soci”. complesso e per comprenderlo
Perché avete scelto per la vostra servono punti di riferimento.
cooperativa il nome di un sa- Ho sempre invitato persone che
cerdote degli indiani d’Ameri- hanno idee anche diverse dalle
ca? nostre, l’importante è la loro co-
“Nel libro Alce nero parla di John erenza”.
Neihardt, questo sacerdote rac- Il suo modello di azienda agri-
conta la storia degli indiani co- cola è riproducibile?
me la vedevano loro, e non dal “Sì, ma occorre una dote che
punto di vista dei vincitori. Per non è molto diffusa, la cultura. Il
questo abbiamo deciso di dedi- segreto è fare delle cose innova-
care il nome della nostra espe- tive prima degli altri e una cosa
rienza a questo saggio america- che aiuta molto è il radicamento
LA COOPERATIVA ALCE NERO
La cooperativa conta oggi 30 soci e 50 dipendenti, per un
fatturato annuo di sette milioni di euro. Il negozio Alce Nero
ha aperto a Urbino nel 1979, tempi in cui i prodotti biologici
si potevano trovare solo a Milano o a Roma. Il mulino è stato
costruito nel 1980, nel 1989 è stato realizzato il pastificio.
Poi i magazzini, la locanda e l’agriturismo. Molto importante
è l’aspetto culturale del progetto: fin dall’inizio, a Montebello,
sono stati organizzati corsi di agricoltura biologica e convegni
con intellettuali come Paolo Volponi, Massimo Cacciari, Fabio
Tombari. Il marchio storico è stato per decenni il cavallino,
attualmente di proprietà della Alce Nero Mielizia. La società,
creata nel … dalle cooperative Alce Nero e Conapi, ha com-
prato il marchio quando Gino Girolomoni ha deciso di uscire
dal progetto. Adesso,il marchio della cooperativa - che si
chiama tutt’ora Alce nero - è la piantina stilizzata del mona-
stero di Montebello.
territoriale: noi siamo figli del
luogo dove siamo nati, come un
albero o come una faina, e lì è più
facile attecchire, a patto che di
quel posto si conosca tutto”.
In Terre, monti e colline (1992),
scriveva che Alce nero avrebbe
dovuto essere “una cura omeo-
patica per le ferite della mente”.
Ci è riuscita?
“Credo di sì. Venti tesi di laurea
su di noi e le tante persone che ci
vengono a cercare da tutto il
mondo sono il segno che, semi-
na semina, qualcosa nasce”.
Qual è il segreto del vostro suc-
cesso?
“La qualità e la credibilità delle
persone che hanno partecipato
a questo progetto”.
Pensa che la filiera corta possa
essere una soluzione ai proble-
mi di distribuzione delle azien-
de biologiche? E perché voi fate
poca filiera corta?
“E’ una soluzione importante e
che va sostenuta. Io sento il pe-
so di vendere la pasta in Giap-
pone e Stati Uniti. Con il nostro
pastificio potremmo produrre
la pasta per tutti gli abitanti del-
la provincia di Pesaro e Urbino,
ma è impossibile per noi vince-
re la pubblicità dei grandi mar-
chi. Pensi che su sette milioni di
euro annui di fatturato, solo
600.000 euro vengono dalle
vendite in Italia, tutto il resto de-
riva dalle esportazioni all’este-
ro”.
La vostra esperienza ha ispira-
to molti contadini. In tanti sono
venuti a Urbino per fare il bio-
logico.
“Per diffondere il biologico ho
tenuto più di 400 incontri dalla
Svizzera italiana alla Sicilia. A
Urbino è venuta gente straordi-
naria, ma secondo me non ha
saputo unire le forze per fare si-
stema, per creare un modello da
esportare. Non siamo riusciti,
me compreso, a fare qualcosa di
determinante per il nostro terri-
torio, abbiamo lavorato ognuno
per noi stessi”.
Quali sono le prospettive futu-
re per Alce Nero?
“Stiamo raddoppiando la capa-
cità produttiva del pastificio e
stiamo puntando all’autosuffi-
cienza energetica investendo in
energia eolica, fotovoltaica e a
biomasse”.
Negli ultimi tempi si parla di
una crisi di valori nell’agricol-
tura biologica e del venir meno
di una base ideologica nelle
aziende. E’ d’accordo?
“Tutte le aziende agricole che si
sono fatte promotrici del biolo-
gico qui sono rimaste pure. Ma a
livello nazionale, c’è un 30% che
mi convince poco: sono i mar-
chi della grande distribuzione
che non riescono a dire dove
prendono le materie prime. C’è
un biologico vero e uno che si
accontenta dei requisiti mini-
mi, ma è un problema di idee e
di finalità delle aziende, non di
DOSSIER
dimensioni. La nostra azienda è
cresciuta molto, ma in quasi
quaranta anni, il 5% all’anno”.
Perché non vendete i vostri pro-
dotti nella grande distribuzio-
ne, come fanno altri marchi
biologici?
“Abbiamo venduto la pasta alla
Coop quando dovevamo far la-
vorare il pastificio, ma oggi non
lavoriamo più con la grande dis-
tribuzione, perché secondo noi
non ha la cultura per vendere
prodotti di qualità. Vendiamo ai
gas e ai negozi di biologico”.
Quali prospettive per il settore
biologico?
“Io ho dei grossi dubbi su una ul-
teriore crescita del settore, dati
sia dalle politiche dell’Unione
europea, che è un moloch che si
mangia tutto e che non fa gli in-
teressi dei piccoli produttori, sia
dal Codex alimentarius (insie-
me di regole sugli alimenti ela-
borate da Fao e Oms, ndr), un
cavallo di Troia che nasconde
disposizioni pericolose”.
Quali sono invece i maggiori
problemi?
“I rapporti con la pubblica am-
ministrazione che continua a
produrre regole e obblighi bu-
rocratici che sono di ostacolo
anziché di aiuto. Poi non ci aiu-
tano le ristrettezze economiche
delle famiglie, anche se le perso-
ne, magari di meno, il biologico
lo comprano lo stesso”.
Secondo i dati del sociologo
Gianpaolo Fabris, i consumi
biologici hanno tenuto alla cri-
si e sono aumentati negli ultimi
anni. Pensa che ci possa essere
una crescita ulteriore?
“Sì, per quanto riguarda i con-
sumi dei privati, ma non mi
aspetto che questo aumento
venga dalle pubbliche ammini-
strazioni. Nella zona di Urbino
c’è una sensibilità importante
per i consumi, dovuta anche al-
la nostra presenza quaranten-
nale“.
Lei ha scritto spesso che il bio-
logico non può crescere da solo,
ma dovrebbe essere accompa-
gnato dallo sviluppo di altri set-
tori come la bioedilizia, il ri-
sparmio etico, le medicine al-
ternative, le energie rinnovabi-
li. Secondo lei si sta andando in
questa direzione?
“Secondo me no. Il problema è
che non abbiamo il tempo per
aspettare i cambiamenti. Gli er-
rori che abbiamo fatto si evolvo-
no molto più velocemente delle
idee per risolverli”.
Alce Nero può guidare nella zo-
na di Urbino l’evoluzione verso
uno stile di vita più sostenibile?
“Sì, ma a una condizione quasi
irrealizzabile: che le nostre idee
entrino a gestire l’amministra-
zione comunale e l’università. E
servirebbe anche una banca an-
corata al territorio e attenta alle
aziende della zona. Solo così le
nostre idee potrebbero attec-
chire”.
3
 il Ducato
Gli agricoltori di Urbino raccontano le loro storie, segnate da amore per la natura,

“Siamo venuti qui per viv

Il sogno della campagna
uando si sono incontrati,
alla produzione dei salumi nel
H
enri David Thoreau, scrittore americano amante
della natura che per due anni visse nella foresta,
scriveva nel 1854: “Andai nei boschi perché deside-
ravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti
essenziali della vita (…), per non scoprire in punto
di morte che non ero vissuto. (...) Volevo vivere pro-
base di tutto c’è il rapporto fondamente e succhiare tutto il midollo della vita”. I contadini bio-

Q Luigia Minnetti e Carlo

Comandini erano all’u-
niversità. Lei faceva Giurispru-
denza, lui Farmacia, ma en-
trambi sognavano la campa-
gna: “avevamo tutti e due que-
sta grande passione e abbiamo
lasciato gli studi per fare i con-
tadini”, racconta Luigia. All’ini-
zio non è stato facile: “Siamo
partiti solo con la produzione
vegetale e facevamo anche altri
lavori per tirare avanti. Poi ab-
biamo deciso di dedicarci all’al-
levamento”.
In questo momento, all’azien-
da agricola di Cal Bianchino,
dove abitano da una quindicina
d’anni, ci sono 50 maiali e una
ventina di mucche. “Facciamo
tutta la filiera dalla carne, dall’i-
nizio alla fine: produciamo da
soli i cereali per i mangimi e ar-
riviamo fino alla macellazione e
nostro laboratorio”.
Luigia e Carlo vendono i loro
prodotti direttamente in azien-
da e riforniscono il gruppo di
acquisto solidale di Pesaro. “E’
importante che le persone ven-
gano qui e controllino come
produciamo: quella è la vera
certificazione. Il marchio bio-
logico alla fine sminuisce il va-
lore del contadino, perché c’è
bisogno di qualcuno che dica
che tu sei valido”. Avere la certi-
ficazione biologica su tutta la
filiera, spiega Luigia, ha un co-
sto molto elevato e comporta
troppi oneri burocratici: “Da
qualche anno abbiamo limita-
to la certificazione solo alle
produzioni vegetali. Per noi
conta molto di più la fiducia dei
consumatori rispetto alle carte
degli enti di certificazione. I
clienti ormai sono amici, alla
umano”.
A Cal Bianchino, oltre ai maiali
e alle mucche, ci sono anche
logici di Urbino, quando si domanda loro perché hanno scelto
questo mestiere, rispondono allo stesso modo. Roberto Podgor-
nik, Richard e Verena Menghin, Urs e Maya Abderhalden, Carlo e
Luigia Comandini sono venuti a Urbino proprio per questo; Luca
conigli, piccioni, polli, oche e
quaglie: “La biodiversità per Albergati, che qui ci è nato, ha continuato la strada dei genitori.
noi è molto importante e ci sia- Con parole meno poetiche rispetto a Thoreau, spiegano che han-
mo accorti che limita anche i no scelto l’agricoltura “per vedere se si poteva vivere diversamen-
danni dovuti ai parassiti che te”. Se era possibile cioè passare le giornate in modo meno frene-
proliferano nel letame delle tico, senza darsi al consumismo sfrenato, senza rimanere imbot-
mucche”, spiega Luigia. Tutti
questi animali poi, contribui-
scono a garantire l’autosuffi-
cienza della fattoria: “Siamo
completamente autonomi, la
nostra azienda è a ciclo chiuso.
Il prossimo passo sarà l’auto-
sufficienza energetica, investi-
remo nel fotovoltaico o nell’eo-
lico”. Il lavoro in campagna è fa-
ticoso e qui non si fanno i soldi,
“anche se - riflette Luigia - ab-
biamo un tenore di vita altissi-
mo, pochi mangiano sano co-
me noi”.

La fattoria biodinamica
dre invece aveva un albergo. Io però ho sempre

F
anno attenzione alle forze cosmiche e alla
loro influenza sulle piante, spargono nei
campi composti particolari, fatti con leta-
me, piante officinali, quarzo. Verena e Richard
Menghin, originari dell’Alto Adige ma residenti a
Urbino da quasi trenta anni, non si limitano al
biologico, fanno il biodinamico. Seguono cioè
una serie di regole e di pratiche ideate nel 1924
dall’intellettuale tedesco Rudolf Steiner, inven-
tore dell’antroposofia (una filosofia che sostiene
l’esistenza di un mondo spirituale comprensibi-
le per l’uomo). “Facciamo biodinamico da circa
venti anni, ma non saprei dire di preciso come
abbiamo iniziato. Ci interessavamo già a Steiner
e probabilmente è per questo che ci siamo avvi-
cinati anche al biodinamico”, spiega Verena.
La scelta di venire nelle Marche non è stata ca-
suale, qui era più facile partire dal nulla con una
piccola azienda. “In Alto Adige i terreni costava-
no troppo, qui invece in quel periodo la chiesa
svendeva le parrocchie con un po’ di terra intor-
no. Anche questo era uno stabile della curia, qui
vicino c’è la chiesa di san Marino”. All’inizio, Ve-
rena e Richard hanno dovuto imparare tutto dai
vicini: “Mio marito era figlio di contadini, mio pa-
voluto fare questo lavoro fin da piccola”. Un so-
gno, è vero, ma, ammette Verena, la vita in cam-
pagna è dura. Preparare i composti, spruzzarli
nei campi, allevare gli animali è faticoso. “Per fa-
re il biodinamico ci vuole molta motivazione,
perché al lavoro di ogni giorno si aggiungono gli
impegni dei preparati e un calendario da rispet-
tare. Io la motivazione la ricevo ogni anno dal
convegno delle donne biodinamiche, dove trovo
la forza anche per lavorare nei campi quando tut-
ti vanno al mare”.
Oltre a un piccolo orto e un pollaio per i consumi
familiari, Verena e Richard producono formaggio
e vino, che vendono direttamente in azienda o ai
gruppi di acquisto solidale di Urbino e Fossom-
brone. L’agricoltura biodinamica prevede il ciclo
chiuso, “perché è importante che il letame venga
dall’azienda”, spiega Verena. Ma “l’autosufficien-
za - continua - è un’altra cosa, è una chiusura ri-
spetto al mondo esterno, che invece è bello”. L’a-
zienda di Verena e Richard non è un organismo
chiuso: qui vengono organizzate diverse iniziati-
ve, come i corsi per imparare a fare il pane e i dol-
ci o a decorare le uova di Pasqua.

Solo frutta e ortaggi rari

C
onsiderare Luca Albergati
un semplice agricoltore
biologico sarebbe ridutti-
vo. Oltre a produrre ortaggi di
varietà antiche infatti, Luca ha
una fattoria didattica e, punto
d’orgoglio della sua azienda,
dal 2003 gestisce per conto del-
la Regione cento ettari di bosco.
“Il mio progetto di recupero
ambientale ha vinto su più di
170. Gratuitamente, ho ripulito
otto chilometri di sentieri. La
speranza è che le persone,
quando vanno a fare una pas-
seggiata, si fermino alla mia
azienda per fare spesa di verdu-
re”.
Un aspetto che preme molto a
Luca è la tutela della biodiversi-
tà: “Nei miei orti coltivo solo va-
rietà antiche: dal punto di vista
organolettico, sono quelle mi-
gliori, ma non si trovano in com-
mercio. Semino zucche e pomo-
dori rari e d’estate, per abbellire
l’orto, coltivo i girasoli giganti,
che arrivano fino a quattro me-
tri”, racconta. Anche lungo i suoi
sentieri Luca ha scoperto tipi di
piante quasi scomparse: “Sono
meli e peschi molto particolari.
Sono riuscito a rintracciare il lo-
ro nome e ho preparato una
piantina per segnalare gli alberi,
così chi va a fare una passeggia-
ta li può vedere”.
Negli ultimi anni, le vendite di-
rette in azienda sono aumenta-
te: “Vengono soprattutto fami-
glie con bambini piccoli. Le per-
sone hanno capito che com-
prando direttamente dal conta-
dino si risparmia”. Luca, socio
della cooperativa Terrabio, ogni
settimana vende i suoi prodotti
ai mercati rionali di Urbino e ri-
fornisce i gruppi di acquisto so-
lidale di Urbania, Pesaro e Fano.
Fare l’agricoltore biologico è un
mestiere duro: “Gli aiuti comu-
nitari arrivano in ritardo e sto
ancora aspettando un rimborso
dalla Regione per calamità na-
turale. Nel 2005 una nevicata ha
distrutto una serra, facendo un
danno di 55.000 euro. In quattro
anni nessuno ci ha dato una ri-
sposta e per andare avanti ab-
biamo dovuto vendere una par-
te dei terreni”.
L’azienda di Luca è nata ventu-
no anni fa. La scelta di fare l’a-
gricoltore, spiega, è venuta qua-
si da sé: “Ho sempre fatto questo
lavoro, è una passione che ho
dentro. Ho imparato da mia
nonna, che è sempre vissuta in
campagna ed è morta a 104 an-
ni”.

4

ricerca dell’autosufficienza, attenzione alla biodiversità e alle energie rinnovabili
vere in modo diverso”
tigliati nel traffico, respirando aria pulita e potendo ogni sera te-
nere tra le mani il prodotto del proprio lavoro. Un pezzo di for-
maggio, una fetta di pane, un barattolo di miele, una manciata di
cereali o di farina, un bicchiere di latte, un mazzo di spighe.
Lavorare la terra diventa un modo per riappropriarsi del frutto del-
la propria fatica e prendersi una rivincita, tornando a vivere in
Una casa e 20 caprette
quei luoghi da dove la gente è fuggita cinquanta anni fa in cerca
“L
delle comodità cittadine. La vita nei campi mette sempre a dura o fai tu? Con i tuoi ani-
prova: non ci sono vacanze, non c’è riposo se fuori gli animali mali?”. Sono queste le
aspettano il cibo o il fieno deve essere tagliato. Quello che spinge prime domande che
queste persone a vivere in modo diverso, talvolta anche radicale, le persone fanno a Urs Abder-
è la passione. E il desiderio di riconquistare un rapporto autenti- halden quando vanno a com-
co con l’ambiente e il territorio. Per questo le vite dei contadini prare il suo yogurt e i suoi for-
biologici urbinati non si possono raccontare senza narrare anche maggi. “Qui vengono in tanti.
la storia delle loro aziende. Ecco le loro storie di terra e, insieme, Le persone si fidano di me per-
di vita. ché ho una piccola azienda, or-
mai sanno come lavoro”.
Urs vive in una vecchia casa co-
lonica e lavora soprattutto con
i gruppi di acquisto solidale
della provincia. Originario di
Zurigo, in Svizzera, a Urbino ci
è arrivato nel 1978 insieme a un
gruppo di musicisti che nella
città ducale tenevano un corso
di musica antica. A venti anni,
Urs sapeva solo che voleva vi-
vere in campagna e fare il con-
tadino. “I miei genitori non era-
no agricoltori, ma i miei zii, do-
ve andavo a trascorrere le va-
canze, lavoravano la terra. Il
Al centro, Roberto
Podgornik con le
spighe del grano
antico
Gentilrosso.
Da sinistra, in
senso orario:
i maiali della fat-
toria Cal bianchi-
no di Carlo e
Luigia Comandini,
i pomodori
dell’orto di Luca
Albergati,che tute-
la la biodiversità,
un vitello durante
la poppata nella
stalla di Urs
Abderhalden,
i formaggi
prodotti da
Verena e Richard
Menghin
biologico lo conoscevo da
quando ero bambino, già a
scuola facevamo l’orto bio”,
racconta. “All’inizio, venire in
Italia con i miei amici mi sem-
brava semplicemente l’occa-
sione per fare un’esperienza,
poi io e mia moglie abbiamo
deciso di rimanere e abbiamo
cercato casa”.
Per fare l’agricoltore, ha lascia-
to un lavoro da tecnico e si è tra-
sferito in una casa dove all’ini-
zio, oltre all’elettricità e l’acqua
calda, mancava anche una mu-
lattiera che la collegasse con la
strada asfaltata. “Quando sia-
mo arrivati qui non sapevamo
niente. Dovevamo imparare
tutto. All’inizio lavoravamo per
mangiare, poi, quando sono
arrivati i figli, ci siamo specia-
lizzati nella lavorazione del lat-
te”.
Vicino alla casa, c’è la stalla,
La via di Gandhi
“A
vevo vent’anni e lavo-
ravo in fabbrica, ma
non mi interessava fa-
re carriera. Sono stato folgora-
to dalla dottrina di Gandhi: ho
finito di leggere la sua autobio-
grafia, mi sono licenziato e so-
no andato via”. Così Roberto
Podgornik, che vive a Urbino
con la famiglia da circa trenta
anni, racconta come, all’im-
provviso, ha deciso di cambia-
re vita. Amante della letteratu-
ra e della musica, la sua azien-
da agricola l’ha voluta chiama-
re Fattoria dei cantori, in
omaggio alle sue passioni.
Qui Roberto, con la moglie e le
figlie, produce miele di acacia e
millefiori, farina, pane, crac-
kers e ortaggi. “Per il contadino
- spiega - è importante trasfor-
mare da solo i prodotti e crear-
si lui un mercato, senza sven-
derli alla grande distribuzione.
La Coldiretti dice che per ogni
euro pagato dal consumatore
al supermercato, solo 16 cente-
simi vanno intasca all’agricol-
tore. Così sarebbe impossibile
andare avanti”. Roberto vende
direttamente in azienda o al
mercato della Coldiretti di Pe-
saro, rifornisce i gruppi di ac-
quisto solidale e un negozio di
Urbino.
Per i primi anni della sua vita da
contadino, ha lavorato anche
come autotrasportatore per Al-
ce Nero: “Quando siamo arri-
vati qui Gino Girolomoni aveva
creato da poco la cooperativa.
Ricordo che mi alzavo alle due
di notte per portare i prodotti
da Isola del Piano in tutta Ita-
lia”.
Nell’azienda c’è anche una fat-
toria didattica. I bambini delle
scuole elementari e medie ven-
gono a imparare le varie attivi-
DOSSIER
con tre mucche e una ventina
di capre. Sul tetto, i pannelli fo-
tovoltaici. Intorno, sette ettari
di terreno, usati per il pascolo.
Come vogliono le regole comu-
nitarie dell’allevamento biolo-
gico, gli animali devono passa-
re il maggiore tempo possibile
all’aperto e avere abbastanza
spazio per muoversi. In un et-
taro ad esempio, possono stare
2 vacche da latte o 13 capre. An-
che il cibo poi, deve essere bio
e per curare le malattie è obbli-
gatorio usare medicine omeo-
patiche. “Alle mie capre dò solo
fieno e cereali, non uso mangi-
mi, perché non si sa che cosa
c’è dentro”. Pensando ai primi
anni, Urs ricorda l’atmosfera
vivace che si respirava nel
Montefeltro: “Quando siamo
arrivati qui, Alce Nero era nata
da un anno e nelle campagne
c’era fermento”.
tà che si fanno in campagna: il
pane, l’apicoltura, l’alleva-
mento degli animali. Durante
una delle ultime iniziative, i ra-
gazzi della scuola media di Ur-
bania sono venuti alla fattoria
per piantare più di cinquecen-
to alberi. “Erano così entusia-
sti del loro lavoro che si sono
anche dimenticati di fare me-
renda a metà mattina”.
Una delle cose più importanti
da insegnare ai ragazzi, spiega,
è la rivalutazione del lavoro
manuale e della cultura conta-
dina, caratterizzata dal valore
dell’autosufficienza e della
multifunzionalità. “È impor-
tante che la gente ritorni a fare
le cose in modo autonomo. Noi
fabbrichiamo da soli anche
mobili, canestri, coperte con il
telaio. Il contadino è un'attivi-
tà totale, in cui l’uomo può ma-
nifestare tutte le sue capacità,
anche quelle artistiche. Quan-
do un agricoltore fa l'orto o po-
ta una pianta fa un'opera d'ar-
te”, spiega appassionato Ro-
berto.
Nei campi e nel frutteto della
Fattoria dei cantori crescono
piante dai nomi antichi: il gra-
no Gentilrosso, tipico delle
Marche, e meli che danno frut-
ti di varietà quasi scomparse
(la Parmea dorata, la Ruggine,
la mela dell’abbondanza).
Proprio attraverso i suoi cam-
pi, più che con le parole, Ro-
berto è riuscito a convincere a
passare al biologico anche il
suo vicino, Orazio Tancini. “Per
il futuro - racconta Roberto -
sto pensando di comprare un
mulino e magari di creare una
cooperativa con gli agricoltori
vicini. Un marchio piccolo, ma
affidabile, che punti sulla qua-
lità”.
5
 il Ducato
Campo, Prometeo e Terrabio sono le maggiori realtà imprenditoriali di Urbino
Il business naturale funziona
Pur con diverse strategie di mercato, tutte queste aziende esportano all’estero: Europa, ma anche Usa e Dubai
C
ampo, Prometeo,
Te r r a b i o. S o n o
queste le principa-
li realtà imprendi-
toriali del settore
biologico nella zo-
na di Urbino. Le prime due so-
no state fondate da persone
fuoriuscite da Alce Nero per
mettersi in proprio, la terza è
l’ultima nata, ma è anche quel-
la più grande.
La cooperativa Campo, 30 soci
e un milione e 400.000 euro di
fatturato annuo, è nata a Isola
del Piano nel 1978, un anno do-
po Alce Nero. A differenziarla
da gran parte delle aziende bio-
logiche è la scelta di commer-
cializzare prodotti di base, cioè
di largo consumo ed economi-
camente accessibili a tutti. “Al
punto vendita di Fossombrone,
un pacco di pasta da mezzo chi-
lo costa 68 centesimi, una latti-
Crescono gruppi di acquisto e vendita diretta
La spesa della fiducia
V
enti o 30 anni fa, il punto
di riferimento dei consu-
matori biologici erano i
negozi specializzati, di solito
piccoli e piuttosto rari. Adesso,
secondo una ricerca del 2005
sul consumo biologico e solida-
le, coordinata dall’università
Cattolica di Milano, i piccoli
punti vendita sono rimasti il
luogo preferito per il 31, 4% dei
consumatori bio, mentre il
51,1% fa la spesa nei supermer-
cati e la parte restante delle per-
sone si divide tra mercati (11%),
acquisto diretto dai produttori
(15,7%) e acquisto on line
(0,3%).
Nelle Marche ci sono una qua-
rantina di negozi specializzati,
quindici nella provincia di Pesa-
ro e Urbino. I primi a nascere, al-
la fine degli anni Settanta, sono
stati i punti vendita Alce Nero a
Urbino e Fossombrone, che og-
gi hanno un fatturato annuo su-
periore ai 200.000 euro. L’ultimo
nato è l’Emporio Altra econo-
mia di Fano, aperto pochi mesi
fa dalla cooperativa sociale Ge-
rico. “Il nostro progetto mette in
rete una trentina di agricoltori
biologici marchigiani, ma non è
un semplice punto vendita. Qui,
oltre ad alimenti, vestiti e deter-
6
na di pelati da 400 grammi 64
centesimi, e lo stesso prezzo co-
sta più o meno una lattina di le-
gumi”, spiega Lorenzo Masso-
ne, presidente della cooperati-
va da quindici anni. “Penso che
il biologico non possa esistere e
andare avanti se tutti continua-
no a fare prodotti di nicchia.
Noi commercializziamo ali-
menti di massa, che tutti posso-
no permettersi”, continua.
Il lavoro principale della Cam-
po consiste nel comprare pro-
dotti da altre aziende italiane e
straniere e metterli sul mercato
con il proprio marchio. Una
sorta di garanzia per il consu-
matore: “Usiamo le nostre
competenze agricole nella
scelta attenta dei prodotti e dei
fornitori”. In Italia, la coopera-
tiva lavora molto con i gruppi
d’acquisto solidale e con alcuni
negozi, ma il fatturato viene per
sivi, le persone possono trovare
servizi, come il risparmio etico
ed il turismo sostenibile. Orga-
nizziamo anche attività per i
bambini delle scuole e incontri
per gli adulti”, spiega Andrea
Ceccarelli, presidente della co-
operativa. I prezzi di frutta e ver-
dura sono decisi insieme dai di-
versi fornitori, “in modo che
non ci sia rivalità, ma collabora-
zione” e, una volta alla settima-
na, i produttori vengono all’Em-
porio per incontrare i consuma-
tori e rispondere alle loro do-
mande.
Una tendenza all’incontro, alla
“socializzazione” dell’espe-
rienza della spesa e del consu-
mo che emerge anche dalla for-
te crescita, negli ultimi anni, di
vendita diretta, gruppi di acqui-
sto solidale e mercatini. “Cer-
cando il prezzo più convenien-
te, il consumatore ha finito per
trovare altro, e molto di più. Nel
campo alimentare, per esem-
pio, ha incontrato i farmers’
market, che restituiscono un
rapporto diretto con i produtto-
ri e riducono l’impatto ambien-
tale dei trasporti”, spiega il so-
ciologo Gianpaolo Fabris nel-
l’ultimo rapporto dell’Osserva-
torio permanente sui consumi.
l’80% dalle esportazioni all’e-
stero: oltre all’Europa, i prodot-
ti della Campo arrivano anche
in Australia, Giappone e Dubai.
Prometeo srl, fondata nel 1991
da Massimo Fiorani, deve la sua
fortuna alla riscoperta del far-
ro, “l’antenato del grano”, in Ita-
lia e in Europa. Anzi, è stata l’a-
zienda di Urbino, spiega Fiora-
ni, “a produrre per prima in Ita-
lia la pasta di farro, dopo aver
selezionato le diverse varietà di
questo cereale”. Tutela della
biodiversità e del lavoro agrico-
lo sono le parole chiave dell’at-
tività dell’azienda: “Stipuliamo
un contratto di semina con i
contadini e garantiamo un
prezzo costante ed equo per il
loro raccolto. Nel 2009 abbia-
mo pagato il farro agli agricol-
tori dai 36 ai 38 euro al quintale,
circa il 50% in più rispetto al
prezzo fatto dai grossisti”. Una
Secondo la Coldiretti, i mercati
della fondazione Campagna
amica (che però contano anco-
ra pochi produttori biologici)
sono oggi più di 500, cresciuti
del 360% nell’ultimo anno. Ma i
farmers’ market in Italia sono
molti di più: spesso, come il
mercatino di Urbino, sono orga-
nizzati direttamente dai Comu-
ni, senza alcun legame con le as-
sociazioni di categoria, e in quel
caso possono essere aperti solo
agli agricoltori biologici. Secon-
do l’ultima indagine Biobank,
oggi i biomercatini sono 225, il
10% in più rispetto al 2007. Leg-
gendo il rapporto 2009 di Fabris,
si vede che il 37% degli italiani
conoscono i mercati del conta-
dino, mentre il 56% delle perso-
ne intervistate fa acquisti diret-
tamente in azienda, il 25% con
una certa frequenza. In partico-
lare, le aziende biologiche con
vendita diretta sono 2.176, il
32% in più rispetto a due anni fa.
Accanto alla vendita diretta e ai
mercatini, troviamo i gas, i
gruppi d’acquisto solidale, co-
nosciuti, secondo Fabris, dal
25% degli italiani, ma in costan-
te crescita (stando ai dati Bio-
bank, negli ultimi due anni sono
aumentati del 68%). Come dice
scelta per “favorire la sopravvi-
venza degli agricoltori seri e di
qualità, che non possono esse-
re tenuti subalterni alle aziende
di trasformazione”.
Il fatturato annuo di Prometeo,
circa due milioni di euro, viene
soprattutto dalle vendite in Ita-
lia, ai gruppi di acquisto solida-
le e ai negozi specializzati.
“Esportiamo i nostri prodotti
anche negli Stati Uniti, in Cana-
da, in Belgio e in Giappone, ma
l’Italia rimane il nostro merca-
to di riferimento”, spiega Fiora-
ni.
Ultima nata è la cooperativa
Terrabio, creata nel 1997 da
Maurizio Gambini insieme ad
altri agricoltori. Da due anni
commercializza anche prodot-
ti finiti con il proprio marchio,
ma le attività principali riman-
gono lo stoccaggio, la prima la-
vorazione e il confezionamen-
Il produttore di formaggio biologico Pier Luigi Nieddu
la parola stessa, si tratta di grup-
pi di famiglie che fanno la spesa
in aziende (di solito biologiche)
del territorio, sostenendo l’eco-
nomia locale, limitando l’in-
quinamento per il trasporto
delle merci e riuscendo anche a
risparmiare. Secondo il sito re-
tegas.org, questi gruppi sono in
tutto un migliaio: il primo è na-
to nel 1994, ma il maggiore svi-
luppo c’è stato dal 2003 in poi.
Proprio l’anno in cui è nato an-
che il gas di Urbino, creato dal-
le persone che lavorano alla
bottega dei prodotti equo soli-
dali. “Il nostro gas – spiega Jaco-
to delle materie prime (soprat-
tutto cereali e legumi) per le
aziende di trasformazione. “La
nostra cooperativa - spiega
Gambini - oggi lavora 20.000
tonnellate all’anno di prodotto
biologico e rifornisce aziende
italiane, tedesche, austriache e
francesi”.
Dodici mila ettari coltivati, die-
ci milioni di fatturato, 70 soci:
Terrabio è una cooperativa in
rapida crescita. Al contrario di
altri agricoltori-imprenditori
biologici, Gambini non è per
niente spaventato dalle sfide
poste dal mercato: “Non pos-
siamo ignorare il 90% dei con-
sumatori che fanno la spesa nei
centri commerciali. Per questo
stiamo pensando di usare il
marchio Sorgente, di proprietà
della cooperativa, per avviare
una linea di prodotti da distri-
buire nei supermercati”.
po Cherchi, una delle colonne
portanti del gruppo – rifornisce
regolarmente una quarantina
di famiglie, e altrettante in mo-
do saltuario. Lavoriamo con
produttori che conosciamo di-
rettamente, perché per noi la fi-
ducia è meglio di qualunque al-
tra certificazione”. Nelle Mar-
che, i gas sono in tutto una cin-
quantina. Molti, spiega Ales-
sandro Panaroni, coordinatore
della rete gas a livello regionale,
è nata grazie all’impulso della
cooperativa marchigiana Mon-
do solidale, che si occupa di
commercio equo.

Nonostante la crisi, sono aumentati dell’8% solo nel 2009
Crescono i consumi bio
Acquisti dettati dalla cura di sé stessi e dalla responsabilità verso gli altri e l’ambiente
N R
ella provincia di
Pesaro e Urbino,
i prodotti biolo-
gici hanno suc-
cesso, soprat-
tutto grazie alla
sensibilità dei consumatori e
alla presenza nella zona di tan-
ti agricoltori e trasformatori
biologici. Anche in questo pe-
riodo di crisi, dicono i nego-
zianti e confermano gli studio-
si, i consumi di prodotti biolo-
gici e naturali non sono dimi-
nuiti, anzi.
La tendenza al consolidamen-
to dei consumi del settore non
è solo urbinate, ma nazionale,
e dura ormai da qualche tem-
po. Il consumo di alimenti bio-
logici era considerato, negli
anni Settanta e Ottanta in Italia
una scelta ideologica, fatta con
la volontà di contrapporsi al si-
stema produttivo capitalistico
e all’agricoltura industriale.
Poi questi prodotti hanno ini-
ziato ad arrivare sugli scaffali
dei supermercati e anche i con-
sumatori con un grado di istru-
zione medio e un reddito non
necessariamente altissimo
hanno iniziato a considerarli
più sani e di maggiore qualità.
Negli ultimi dieci anni, il con-
sumo bio è uscito dalla nicchia
di pochi consumatori consa-
pevoli ed è entrato nelle borse
della spesa di molti italiani. Se-
condo un processo più ampio
di diffusione della sensibilità
sociale e ambientale che conti-
nua ad andare avanti, anche di
fronte alle difficoltà economi-
che delle famiglie. “Pur oscura-
ta dalla crisi economica in atto,
procede l’evoluzione dell’at-
teggiamento dei consumatori
in termini di maggiore atten-
zione per la natura e la respon-
sabilità sociale delle imprese,
per i diritti dei lavoratori, per la
provenienza e l’uso delle risor-
se impiegate, la riscoperta del
“genius loci” (cioè dei tratti ti-
pici del luogo, ndr), la ricerca di
un rallentamento dei tempi di
vita”, scrive il sociologo Gian-
paolo Fabris nel rapporto 2009
dell’Osservatorio permanente
sui consumi.
Mentre calano i consumi per-
ché le famiglie hanno meno
soldi in tasca, il biologico tiene.
Secondo i dati diffusi dall’Os-
servatorio di Fabris nel 2009,
nell’ultimo anno il settore “ha
registrato un più 8% al consu-
mo e un più 7% alla produzio-
ne”. Il numero di chi consuma
spesso prodotti biologici è pas-
sato, dal 2008 al 2009, dal 19% al
27%.
Secondo la ricerca del 2005 sul
consumo biologico e solidale,
coordinata dall’università Cat-
tolica di Milano e illustrata nel
libro “La spesa responsabile” di
Laura Bovone ed Emanuela
Mora, cinque anni fa coloro
che consumavano qualche
volta o spesso i prodotti bio
erano il 62,5% degli intervista-
ti, il 9,2% coloro che consuma-
vano biologico regolarmente e
prevalentemente.
Le motivazioni che spingono le
persone a spendere di più per
fare la spesa sono varie. Spesso,
alla responsabilità salutista
La frutta e la
verdura che si
acquistano tra-
mite i gas sono
sempre di sta-
gione. A fianco,
il pane prodot-
to dalla Fattoria
dei cantori di
Roberto
Podgornik
verso noi stessi si accompagna
la responsabilità verso l’am-
biente e verso gli altri, soprat-
tutto nel caso di prodotti soli-
dali (che spesso convivono con
i consumi bio).
Non bisogna dimenticare però
che i consumi che seguono par-
ticolari tendenze, come appun-
to il biologico, sono anche un
pezzo della nostra identità:
consumiamo bio per sentirci e
apparire più buoni, più consa-
pevoli, più informati. Il 54,5%
dei consumatori di alimenti
bio, spiegano Laura Bovone ed
Emanuela Mora, li scelgono
perché sono genuini, il 13,1%
perché rispettano l’ambiente, il
12,8% perché non contengono
organismi geneticamente mo-
dificati. Tra le altre motivazioni,
c’è anche la paura in seguito a
episodi di frode e allarme ali-
mentare, come la mucca pazza.
Secondo i dati forniti da Fabris,
il 43% del campione è convinto
che “se la gente mangiasse solo
alimenti biologici avrebbe una
salute migliore” e il 27% si di-
chiara disposto a pagare di più
per gli alimenti biologici. Ma il
prezzo, per i consumatori, ri-
mane il problema principale,
seguito da quello dell’informa-
zione e dei controlli sulla pro-
duzione. Il 72% del campione
consumerebbe più alimenti
biologici se fossero un po’ meno
costosi, il 61% se ci fossero più
garanzie sulla loro naturalità.
L’etichetta, infatti, non ispira
fiducia ai consumatori: secon-
do la ricerca del 2005 coordi-
nata dalla Cattolica, il 47,6%
degli intervistati si fida poco o
per niente della scritta “pro-
dotto biologico” sulla confe-
zione degli alimenti.
Nel loro libro, Laura Bovone ed
Emanuela Mora hanno anche
tratteggiato un profilo abba-
stanza preciso del consumato-
re biologico tipo. Di solito, ha
tra i 35 e i 54 anni e ha un alto
potere d’acquisto (liberi pro-
fessionisti o dirigenti) o, pur
avendo un reddito più limita-
to, ha un’elevata istruzione
(insegnanti, ricercatori). Spes-
so, il consumatore biologico è
impegnato nella società civile,
abita al nord o al centro Italia
ed è donna (le donne, spiegano
le autrici, hanno più fiducia ri-
spetto agli uomini nella possi-
bilità di manifestare forme di
critica e di libertà attraverso il
consumo).
All’acquisto di prodotti biolo-
gici, sottolineano le studiose,
si affianca nel 57% dei casi
quello di prodotti equi, a ripro-
va che c’è “una tipologia nuova
di consumatore, che unisce al-
la ricerca del benessere e alla
tutela della salute anche una
certa attenzione nei confronti
dell’eticità e della responsabi-
lità”.
DOSSIER
L’esperta
“Alimenti
che ci fanno
sentire
meno a rischio”
oberta Bartoletti è
professore associa-
to di Sociologia dei
consumi all’univer-
sità di Urbino.
Che cosa spinge le persone a
comprare prodotti biologici,
oltre al desiderio di mangiare
cibi sani?
“Il consumo di prodotti biologi-
ci risponde al bisogno di sicu-
rezza nella società del rischio.
L’incertezza e la percezione del
rischio aumentano con la cre-
scente distanza tra produzione
e consumo, che rende difficile
per i consumatori individuare i
responsabili a cui affidare la
propria sicurezza alimentare e,
di conseguenza, la propria salu-
te”.
I consumi biologici sono sem-
pre di nicchia o ormai riguar-
dano la massa?
“Nell’ambito delle varie opzioni
di consumo alimentare respon-
sabile, il biologico è tra le forme
più di massa, perché richiede
relativamente basse competen-
ze. Basti pensare che è ricono-
scibile facilmente da marchi or-
mai ampiamente codificati e
che i prodotti bio si trovano
ovunque, anche nella grande
distribuzione, e quindi sono fa-
cilmente accessibili. Rimane
sempre il problema del costo
elevato, che può essere proibiti-
vo per le fasce di consumatori
più deboli economicamente. Il
consumo biologico è comun-
que una tendenza trasversale,
che attraversa diverse fasce di
consumatori”.
Spesso chi consuma biologico
cerca anche una certa autosuf-
ficienza alimentare. Per esem-
pio fa da solo il pane. Perché se-
condo lei?
“Perché si vuole riconquistare il
I PRIMI GAS controllo sul consumo attraver-
so un rinnovato impegno nella
L’idea di sostegno produzione. E’ un fenomeno in
all’agricoltura locale, controtendenza rispetto alle di-
namiche classiche della società
alla base dei gas, è
industriale, che ha separato
nata negli anni produzione e consumo e li ha al-
Sessanta in lontanati progressivamente”.
La crisi ha fatto aumentare gli
Germania e in incontri tra consumatori e pro-
Giappone. Negli duttori bio (+11% di vendite di-
Usa, dagli anni rette in azienda nel 2009 secon-
do la Coldiretti). Quale può es-
Ottanta ad oggi sere il risultato di questo incon-
sono nate più di tro tra due mondi diversi anche
13.000 piccole culturalmente?
“Può essere il segnale di un cam-
associazioni (dette biamento negli stili di acquisto,
community-suppor- con investimenti crescenti di
ted agriculture) che tempo e conoscenza nella ricer-
ca e nella scelta e valutazione
permettono a consu- dei prodotti. È un fenomeno che
matori e agricoltori può avere effetti anche sui cana-
di condividere rischi li tradizionali della distribuzio-
ne. Occorrerà però valutare se si
e benefici di coltiva- tratta sempre di una tendenza
re la terra. Prima diffusa o di nicchia, che riguar-
dell’inizio della sta- da gruppi di consumatori parti-
colarmente attenti e competen-
gione, i membri ti”.
della csa pagano ai È possibile che uno stile di vita
più rispettoso dell’ambiente si
produttori una quota
affermi grazie ai produttori
fissa e in cambio biologici?
ricevono, ogni setti- “Sì, ma la loro presenza deve as-
sociarsi a iniziative di sensibi-
mana, frutta e ver- lizzazione e di coinvolgimento
dura fresche. dei consumatori. Non basta cer-
to l’apposizione di un marchio”.
7
 il Ducato
I progetti delle macrofiliere e dei distretti rurali, all’insegna del localismo
I cibi naturali dietro casa
Cresceranno ancora le vendite dirette in azienda, i mercati del contadino e i gruppi d’acquisto solidale
U
n giorno, se il
progetto regio-
nale che parte in
questo periodo
si realizzerà
completamen-
te, le Marche ospiteranno cin-
que grandi filiere di prodotti di
qualità, cioè biologici o co-
munque ottenuti con regole
precise. Cereali, produzioni
biologiche, carni bovine e sui-
ne, latte bovino. Un progetto su
cui la Regione punta molto, vi-
sto che, per finanziarlo, è pron-
ta a spendere in totale 17milio-
ni e 500.000 euro. Soldi a cui si
aggiungeranno tutti gli altri
aiuti regionali all’agricoltura
previsti dal Piano di sviluppo
rurale.
Due importanti realtà azienda-
li del territorio urbinate, Terra-
bio e Alce Nero, presenteranno
due progetti distinti di macrofi-
liera dei cereali biologici. “Il no-
stro obiettivo - spiega Maurizio
Gambini, presidente della co-
operativa Terrabio - è far cono-
scere il prodotto biologico mar-
chigiano, che è fatto con più se-
rietà rispetto a quello di altre
zone d’Italia e d’Europa”. “Dopo
anni in cui abbiamo lavorato
ognuno per noi stessi, questa è
l’occasione per fare qualcosa di
determinante per il nostro ter-
ritorio. È l’opportunità per riac-
quistare una leadership nazio-
nale e internazionale nel mer-
cato dei cereali, ma anche di pa-
sta e farina”, puntualizza Gino
Girolomoni, presidente di Alce
Nero, che ha realizzato il pro-
getto insiema alle cooperative
Montebello di Isola del Piano
(Pesaro e Urbino) e Italcer di
Osimo (Ancona).
Diversa, ma con finalità simili, è
l’idea, ancora molto vaga, dei
distretti biologici, cioè aree in
cui si promuove lo sviluppo del-
le coltivazioni biologiche. Solu-
zione che sarebbe adatta al ter-
ritorio marchigiano, in cui ci so-
no zone, come Urbino, con una
forte presenza di produttori
biologici. In base al decreto le-
gislativo 228 del 2001, che ha
definito i distretti rurali e quelli
agroalimentari di qualità, i di-
stretti biologici dovrebbero
avere, secondo studiosi come
Roberta Farina, caratteristiche
intermedie: produzioni di qua-
lità certificate e, allo stesso tem-
po, legate strettamente al terri-
torio.
A Urbino, spiega Elena Viganò,
docente di Economia agraria, ci
sono già tutte le condizioni per
costituire un distretto biologi-
co, “ma il lavoro da fare per rea-
lizzarlo concretamente è anco-
ra molto. Per esempio, sarebbe
importante che esistessero rap-
porti di collaborazione tra le
aziende, perché se non c’è co-
operazione si può andare lon-
tano lo stesso, ma si va più len-
tamente”. Gli effetti sarebbero
molto positivi: “Potrebbe na-
scere una rete di commercializ-
zazione con prezzi giusti per i
consumatori e per i produttori,
in modo che tutti abbiano la
possibilità di mangiare sano”.
Una zona franca da pesticidi e
concimi chimici, che sarebbe
molto utile anche nel caso della
presenza, in futuro, di coltiva-
zioni geneticamente modifica-
te: “In questo modo, i campi sa-
rebbero protetti da contamina-
zioni transgeniche”. Gli agricol-
tori di Urbino sono d’accordo:
“Il distretto sarebbe utile, ma a
gestirlo dovremmo essere noi, e
non i politici, che conoscono
ancora troppo poco la nostra
realtà”.
L’idea dei distretti rimanda alla
tendenza che gli americani
chiamano “post-biologico”: un
biologico basato non solo sul-
l’assenza di sostanze chimiche,
ma anche sulla vicinanza tra
luogo di produzione e luogo di
consumo. Così si diminuiscono
i chilometri percorsi dalle mer-
ci, e quindi anche l’inquina-
mento causato dal loro traspor-
A sinistra,
un banco
del mer-
cato del
contadino
di Urbino.
L’aspetto
del locali-
smo
diventa
sempre
più impor-
tante
per con-
sumatori
e produt-
tori
to. E’ il biologico di produttori e
consumatori più consapevoli,
che vogliono ortaggi e frutta
biologici e sostenibili dalla se-
mina all’acquisto. Se questa
tendenza, come prevedono
molti esperti, crescerà, allora
c’è da aspettarsi che continue-
ranno ad aumentare le vendite
direttamente in azienda, i mer-
cati dei contadini e i gruppi
d’acquisto solidale.
Il concetto del chilometro zero
e della filiera corta non è nuovo
ma, negli ultimi tempi, l’ele-
mento del localismo (“questo lo
fanno vicino a casa mia, quindi
è più fresco e più buono”) è sta-
to rivalutato. “La maggiore at-
tenzione al chilometro zero -
spiega Elena Viganò - è legata
anche alla crisi economica in
atto. Quando in un territorio c’è
un problema economico e oc-
cupazionale, le persone inizia-
no a riflettere sul fatto che forse
è meglio comprare prodotti del
posto. In questo modo, alimen-
tano il circuito della creazione
DOSSIER
del reddito locale”.
Sono tante le prospettive di svi-
luppo del biologico, ma il setto-
re in Italia potrà svilupparsi ul-
teriormente? “Sì, ma è opportu-
no che l’Unione europea au-
menti gli incentivi agli agricol-
tori. Oltre all’effetto mercato,
che sta andando bene, bisogna
considerare anche l’effetto isti-
tuzionale”, chiarisce Elena Vi-
ganò. Da questo punto di vista,
“servono maggiori incentivi e
costi di certificazione più bassi
per gli agricoltori. La differenza
di costo tra prodotti convenzio-
nali e biologici non dovrebbe
pagarla tutta il consumatore,
che di fatto ha diritto a mangia-
re sano, ma dovrebbe essere co-
perta in parte dagli aiuti pubbli-
ci”.
A Urbino nei prossimi anni au-
menteranno sicuramente le
vendite dirette e probabilmen-
te nasceranno nella zona altri
gruppi d’acquisto solidale e
mercati del contadino. Aprirà
anche un negozio sul modello
dell’Emporia altra economia di
Fano, che mette insieme chilo-
metro zero e cultura della soste-
nibilità. In alcuni casi, il contat-
to diretto tra produttori e con-
sumatori porterà anche alla dif-
fusione di stili di vita più rispet-
tosi dell’ambiente. La Regione
potrà contare su qualche filiera
di qualità e forse su alcuni di-
stretti biologici. Ma ci saranno
anche tante aziende medio-
piccole che rimarranno fuori da
questi grandi progetti. Per loro
in futuro non sarà semplice cre-
scere ancora di dimensioni e ar-
rivare a competere con le azien-
de più grandi. “L’unica soluzio-
ne per le piccole fattorie - spie-
ga Elena Viganò - è quella di ri-
unirsi in cooperative. Purtrop-
po però non accade spesso,
perché lo spirito cooperativo
non si acquisisce da un giorno
all’altro”.