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ASSOCIAZIONE PIAN DEI CILIEGI

RITIRO DI MEDITAZIONE VIPASSANA


NOVEMBRE 2005
CONDOTTO DA
LETIZIA BAGLIONI
E la prima volta che vengo qui a Pian dei Ciliegi. Entrando
dalla porta dellufficio mi sono trovata nella sala della
biblioteca e ho visto un manifesto davanti a me, cera
questa scritta: Sono arrivato, Sono a casa. Per qualcuno
di voi questo posto familiare, ed possibile che in un
luogo come questo, dove si pratica il Dhamma, ci si senta a
casa, ma a me quella scritta ha ricordato la nostra vera
casa.
Perch meditiamo? Perch meditare?
Per risvegliarci alla nostra vera casa, per ritornare a casa.
Questa frase: la nostra vera casa ci parla della
consapevolezza, del cuore liberato; lho presa da Achaan
Chah, monaco tailandese della tradizione della foresta che
scomparso qualche anno fa. Amava molto parlare del cuore
puro, della pura consapevolezza.
Cos la mia casa? Se mia mi deve accogliere, se divento
unintrusa, un ospite, non la mia vera casa; a casa mia
posso rilassarmi, non ho bisogno di un abito particolare, non
ho bisogno di avere maschere come quando mi presento al
mondo.
Come scoprire la nostra vera casa? E un luogo dove, prima
di tutto, mi sento a mio agio, la non falsit: la nostra
vera casa accoglie tutto, se accoglie solo qualcosa non
abbastanza grande. Quindi la casa della consapevolezza: il
conoscere, latto del conoscere, include il bene e il male, il
piccolo e il grande, la luce e il buio. Cosa significa quando
diciamo
"praticare
la
consapevolezza"?
Io
sono
consapevole? Io mi sforzo di essere consapevole? A volte
non sono consapevole.... Per me c il conoscere, il
riconoscere qui e ora: la mente distratta, oppure: la mente
concentrata, oppure: la mente piena di passione, di
desiderio, di bisogno, davidit; o riconoscere che la mente
piena dodio, di tensione, oppure grande, vasta, piena
delle qualit della gioia partecipe, della compassione,
dellequanimit. Riconoscere quando c oscuramento o
quando c libert.

Cos che pu riconoscere qui e ora le cose cos come sono,


senza giudizi, senza escludere nulla, senza trattenere:
cos?
A differenza di una casa fisica che in qualche modo ci
confina, ci fa sentire protetti e sicuri ma al tempo stesso
sentiamo limpatto di uscirne fuori, chiss, in mezzo a
pericoli o ad estranei, la nostra vera casa viene sempre con
noi. Cosa intendo per "noi"? Se mi risveglio al momento
presente c questo atto intuitivo di fare attenzione qui e
ora: c l'attenzione alla presenza corporea: peso, calore,
estensione... c l'esperienza di essere un corpo qui, che
contenuto nella coscienza, nella consapevolezza; c il
silenzio, il silenzio della mente, e dal silenzio della mente
sorgono pensieri, ed cos per tutti (le mie parole sono
pensieri posti in parole); c una sorta di tremolio interiore,
una sensibilit, un umore, unatmosfera felice o triste, con
pi o meno energia. C un senso di presenza. C il vedere:
forme, colori... c ludire: questa voce ma anche i suoni
nella stanza, c lodorare, c un vago gustare, c un senso
del toccare: posso sentire in questo momento il contatto con
la terra, c un senso di fermezza che deriva dal contatto
con la terra, questo spazio che accoglie il corpo. Tutto questo
sono io, e tutto questo accade anche in ciascuno di voi; il
contenuto varia, nelle vostre menti accadono pensieri di
contenuto diverso, lumore, le percezioni saranno diverse,
lidea di dove siamo, chi siamo, le reazioni alle mie parole
saranno diverse, il senso della forma fisica cambier, cos
come la risposta all'impatto sensoriale. Ma per tutti noi c la
presenza, la consapevolezza, e allinterno (per cos dire) di
questa consapevolezza, di questa pura presenza, c' il
processo di quelli che nel buddhismo si chiamano khandha
(gruppi, aggregati, l'insieme delle esperienze psicofisiche).
"Io", cos come mi definisco in ogni attimo di esperienza,
sorgo allinterno della consapevolezza.
Ci che pu conoscere e riconoscere non un oggetto, non
lo troviamo mai, un po come andare alla ricerca dei nostri
occhi: possiamo vedere con gli occhi ma non possiamo
vedere i nostri occhi; posso usare uno specchio, ma quando
guardo nello specchio vedo il riflesso dei miei occhi, non i
miei occhi.

Quindi meditare per scoprire la nostra vera casa, la nostra


vera natura, un paradosso. E qualcosa che non possiamo
vedere come un oggetto, che non possiamo scoprire come
qualcosa che andiamo a cercare, che non possiamo
acchiappare, che non possiamo definire concettualmente;
ma possiamo esserlo, risvegliarci a esserlo. Quando parlo di
sati-sampajaa
(ricordo
del
momento
presente,
attenzione qui ed ora e chiara comprensione) a questo mi
riferisco, a una presenza viva che risponde; e in questo
spazio di presenza si manifestano le esperienze fisiche e
mentali. Portare alle mente le cose cos come sono, i fatti: e
in questi fatti non c nulla di bene e nulla di male, in s e
per s. Dhamma una parola che si riferisce agli
insegnamenti del Buddha, ma significa anche realt, il modo
di essere delle cose, il fatto: in questo momento cos;
com' il corpo ora? Il corpo cos. Come sono i pensieri
ora? Sono cos. Latto di connettersi, il conoscere si
connette, e c un ricevere, unattenzione. Cosa riceve?
Riceve il dhamma, ci che , il fatto.
Dunque in meditazione piuttosto che dire Io faccio questa
certa cosa, dal punto di vista della personalit, cambio
punto di vista; non ho bisogno che le cose della vita
cambino, cambio la prospettiva. Sapete che il primo fattore
dell'ottuplice sentiero il retto approccio", o retta visione,
retta
prospettiva.
Noi
siamo
ordinariamente
nella
prospettiva della personalit: mi identifico con la mia storia,
con: sono triste, sono felice, sono bravo, ho questo
problema, ho questa virt. Quando pratichiamo il dhamma e
ci svegliamo al momento presente la prospettiva cambia,
non cambia il contenuto, il contenuto quello che , cambia
la prospettiva. La prospettiva : "Buddho" (che significa
etimologicamente Sveglio, ci che sente, che qui, che
riconosce, pienamente vigile, che capace di rispondere).
BUDDHO CONOSCE IL DHAMMA: questa facolt che
intuitiva, non qualcosa di creato, costruito, conosce il fatto,
conosce le cose cos come sono. Questo lapproccio, la
posizione che ci incoraggiamo a vicenda a prendere.
Ogni qualvolta sorgeranno pensieri, percezioni sulla
meditazione, sullo stato danimo, commenti, giudizi sugli
altri, sul passato, sul futuro, sul tempo... lasciamoli venire,
cos com. E come latto di ricordarmi allimprovviso:
Bene, cosa c in questo momento? Ah! Questo e quest

altro. C un pensiero nella mente che dice: Sei un


pessimo meditante, stai sempre ad agitarti, o un umore che
dice: Oh! finalmente una seduta come dio comanda!
Invece di prendere tutto ci come un pregio personale o un
difetto personale, noi facciamo voto di prendere unaltra
prospettiva: ricordarci BUDDHO CONOSCE IL DHAMMA, il
dhamma cos, le cose sono cos come sono, ma le cose
cos come sono cambiano sempre. Come sono le cose? Vallo
a vedere, qui, ora!
Per ricordare le qualit del dhamma, c una frase in lingua
pali, si dice: Sanditthiko akaliko ehipassiko: presente qui e
ora, senza tempo, che invita a investigare (o, in parole
povere: vieni a vedere!).
Dhamma non laccumulo delle nozioni che ho appreso
dagli insegnanti, dai libri, su quello che ha detto il Buddha;
s, questo un livello, che pu essere utile; non linsieme
delle tecniche che io mi ricordo, che mi porto appresso dal
passato, dhamma quella realt, quel fatto che mi invita a
investigare; dopo che lho visto [schiocca le dita] lo lascio
andare; quando ritorna, un ricordo. Quando riflettiamo nel
momento presente, che cos il momento presente? Nel
linguaggio meditativo corrente c un po un mito del
momento presente: dovrebbe essere magico, meraviglioso...
ma io mi sveglio al momento presente e posso trovare
disagio, paura, freddo, tristezza, o una voce tirannica e
giudicante che mi ossessiona. La connessione al momento
presente possibile solo se c un senso di fiducia: va bene
essere qui, posso fidarmi a essere qui. Il momento presente
non ci d garanzia dessere piacevole, non ci d garanzia di
essere nulla, lignoto. Nel momento presente contenuto il
passato, il corpo stesso reca traccia del proprio passato: dei
genitori, del cibo, degli impulsi e delle tendenze della
coscienza, dei pensieri, delle tendenze emotive. Nello stato
danimo che ciascuno di noi vive c la nostra storia fino a
questo momento, come abbiamo vissuto le nostre vite, nel
bene e nel male. Poi possono esserci dei ricordi, ma anche
questi ricordi sorgono nel presente, dal tessuto del momento
presente. Possono sorgere ricordi carichi di tristezza o
rimorso o gioia e lumore cambia: questo Il linguaggio di
citta, il linguaggio del cuore; nel citta quello che si sente
un moto, unenergia, poi su quello si costruisce il ricordo. Nel
momento presente c il passato e c anche il futuro,

perch il nostro corpo, inteso come corpo vivente, sensibile,


in interazione con il proprio ambiente, reca anche
premonizioni dei futuri possibili: a volte si manifesta come
timore a volte come speranza, a seconda che i futuri
possibili siano vissuti come desiderabili o da temere.
BUDDHO CONOSCE IL DHAMMA. Quando prendo rifugio nel
dhamma non prendo rifugio in qualcosa di certo, di definito,
ma in qualcosa che mi invita ad andare a vedere, che
cambia costantemente, che contiene in s passato, presente
e futuro. Prendo rifugio in qualcosa denorme. Dal punto di
vista della personalit non affidabile. Prendere rifugio nel
dhamma veramente, con il cuore, con il corpo, non come un
mero fatto intellettuale, significa esporsi allincertezza. Non
facile, infatti la tendenza prendere rifugio nelle OPINIONI
sul momento presente. Perch unopinione pu dirmi
qualcosa che magari orribile o angosciante, ma almeno
solida, definita, mi dice una volta per tutte come stanno le
cose. Cosa pu significare prendere rifugio nel dhamma?
Essere ben coscienti, prima di tutto, di quando prendiamo
rifugio in unopinione, di quando qualcosa in me si rifiuta
categoricamente di aprirsi allincerto.
Il primo rifugio ha questa caratteristica: puoi solo essere
Buddho, non puoi conoscerlo, non un oggetto.
Il secondo rifugio, il Dhamma, ha la caratteristica piuttosto
inquietante di essere elusivo, sempre mutevole, misterioso.
Il momento presente, quando veramente c unapertura,
perch non sempre cos, come camminare su una corda
tesa, sul filo del rasoio, e c il vuoto intorno, quando non hai
lopinione a cui sorreggerti, quando lasci andare (opss!). Il
momento presente un margine, come la cresta dellonda,
ma stare sulla cresta dellonda non la nostra idea della
pace, la nostra idea della pace stabilit, sicurezza, la
cresta dellonda non d queste garanzie. E anicca :
incerto, inaffidabile, elusivo, ambiguo, mutevole.
La pratica della meditazione un invito a scoprire questa
qualit della realt, questa qualit incerta ed elusiva; non
facile mettercisi in contatto, perch fa paura al nostro
condizionamento emotivo. Per questo importante un
tirocinio mentale: abbiamo bisogno di un certo grado di
stabilit, fede, fiducia, per aprirci a ci che instabile;
abbiamo bisogno di sentirci accettati, accolti, ammessi al
momento presente per poterci aprire a qualcosa che

misterioso. Queste due funzioni della fiducia e della stabilit


vengono coltivate attraverso la pratica del samadhi
(raccoglimento, concentrazione) e della virt, che fanno da
base al discernimento, alla saggezza. La funzione del
discernimento quella di riconoscere le varie qualit mentali
e sapere come maneggiarle: il discernimento conosce la
rabbia e conosce la gentilezza amorevole, e sa come
maneggiarle. E saggezza nella misura in cui discerne e sa
come maneggiare. Sa anche che esprimere luna (dentro o
fuori di s) porta a certi risultati, esprimere laltra porta ad
altri risultati.
La pratica di stabilizzare la mente fornisce il grado di fiducia
e l'equilibrio necessario per poter affrontare la scoperta del
Dhamma, cio lesperienza di ci che impermanente,
ambiguo, di ci che incerto, che mutevole.
RIFUGIO NEL SANGHA: in questo contesto mi piace pensare
al sangha non tanto come a un gruppo di persone, ma come
a una comune aspirazione a una virt basata sulla saggezza.
Gianni ci ha gentilmente ricordato certi atteggiamenti che
possono essere utili al nostro ritiro qui. Ora prenderemo i
cinque precetti. Che cosa sono i precetti? Come possiamo
intenderli? Cos come le raccomandazioni che Gianni ci ha
fatto? Una serie di regole mi pu intimidire o mi pu far
ribellare o mi pu indurre al conformismo: Atteniamoci a
queste regole altrimenti far una cattiva figura o gli altri mi
rifiuteranno!. In che senso allora rifugio nel sangha invece
che rifugio nel conformismo?
Vi dico la mia esperienza personale. Venendo qui, vedendo
voi, sapendo che alcuni di voi vengono da lontano e hanno
fatto notevoli sforzi (di tempo, energia, economici,
organizzativi...) per essere qua, pensando a questa buona
volont che esprime anche un senso di coraggio... per alcuni
di voi venire a un ritiro qualcosa di familiare, rasserenante,
per qualcun altro pu essere un fattore di incertezza, di
ansia, magari tanto tempo che non fa un ritiro, potrebbe
pensare: Ce la faranno le mie ginocchia? Ce la far a
sopportare il freddo? Ce la far a sopportare me stessa tutto
questo tempo in silenzio? Ce la far a rimanere sveglia se
linsegnante parla a questo ritmo tutte le sere?...". Ci vuole
coraggio, impegno, energia. Quando penso a questo, alla
generosit di Gianni che mette a disposizione questo luogo,

a tutti coloro che lo sostengono con il loro lavoro, con le loro


offerte in denaro, quando vedo il giardino, gli alberi, la
piccola casetta dove sono ospitata cos ben curata, cos ben
costruita, quando entro in questa stanza e penso che, s,
tutto incerto, ma ho una certa fiducia che voi non mi
aggredirete, almeno fisicamente, e io mimpegno a fare
altrettanto, so che qui, almeno come aspirazione, si coltiva
la gentilezza, la non violenza. Quando penso che ricever
del cibo che qualcuno cucina ... provo gratitudine,
apprezzamento, mi sento onorata di essere qui, penso che ci
sono molti luoghi nel mondo che sono molto duri, rapporti
difficili, competitivi, situazioni violente, nelle quali molto
difficile mantenere fiducia e stabilit. Quindi provo
gratitudine, apprezzamento, non qualcosa di strabiliante,
accanto alla gratitudine ci possono essere le mie solite cose,
quelle che mi porto appresso da anni: Potrebbe essere
meglio, poteva essere..., i timori, i giudizi, le ansie... ma
quando
provo
gratitudine
e
apprezzamento,
spontaneamente, anche se non conosco i precetti, se non
conosco il buddhismo, mi guardo intorno, e se una cosa
bella, se una cosa lapprezzo, faccio di tutto per onorarla.
Nel prendere i precetti vorrei suggerirvi, solo un
suggerimento come tutto quello che vi dir, di connettervi
con cosa significa per voi essere qui insieme agli altri in
questo posto, mentre camminiamo, mangiamo, mentre
usiamo lacqua, la carta igienica, mentre ci rivolgiamo agli
altri se abbiamo bisogno di parlare, mentre ci sediamo sul
cuscino o entriamo in rapporto con le creature che
incontriamo fuori: gli insetti, gli uccelli.... Connetterci con
questa gratitudine, vedere nel cuore, spontaneamente, che
cosa nasce, fare del nostro meglio per essere in tutto
questo, con buona volont, per non fare del male a noi
stessi, per non fare del male agli altri, io penso che questo
basti.
Qui abbiamo loccasione per poterci rilassare, perch
nessuno tender - pu sempre succedere, ma possiamo
avere una sufficiente fiducia che nessuno vorr approfittarsi
di noi, estorcerci qualcosa, e soprattutto che nessuno ci far
pressioni. Tutti siamo soggetti a pressioni di un certo tipo,
nel lavoro che facciamo, se non altro perch ci pagano, e ci
sentiamo in dovere di tirare fuori qualcosa; l a volte non
conta la stanchezza, o il fatto che non ce la facciamo, ce la

dobbiamo fare. Tutte le volte che ci sentiremo stanchi, in


difficolt, comunque voi definiate la difficolt in meditazione,
ogni volta che vi sentite in difficolt, suggerisco, riflettete su
dove siamo, sulle qualit che creano questa situazione, e da
l scaturisce letica, scaturisce il desiderio di fare del bene. Il
rifugio nel sangha per me una scoperta, sangha non un
dato di fatto. Ci saranno volte che guardandoci intorno nella
stanza sentiremo gioia per la presenza di altri esseri, ci
saranno momenti, immagino specie di mattino presto, che
proveremo irritazione a vedere la faccia di un altro essere
vivente, ci potr essere giudizio o paura del giudizio. Questo
cos, umano, c questo quando ci si incontra. Che cos'
prendere rifugio nel sangha? Che devo voler bene a tutti? E
tutti mi devono voler bene? Se qualcuno si azzarda a non
volermi bene gliela far pagare? Questo non rifugio nel
sangha, questo a me pare un baratto. Per se io ricordo
queste qualit, ricordo che noi siamo qui insieme e tutti
cerchiamo di fare del nostro meglio, lirritazione del mattino
pu essere vista come dhamma e ha il suo corso, non ho
bisogno di aggrapparmi, non ho bisogno di respingerla, la
gentilezza amorevole l, non ho bisogno di aggrapparmi,
non ho bisogno di respingerla. C una posizione centrale
equanime.
Certo, se decido di agire, la saggezza mi dice: agisci
sullonda della gentilezza, non agire sullonda dellirritazione,
perch le conseguenze sono diverse. Potrebbe venire il
pensiero di rubare, potrebbe darsi, perch no, lavidit fa
parte dei normali condizionamenti umani; se io posso
concedermi di vedere quellintenzione, di lasciarla parlare, di
sentirla, ci saranno molte meno probabilit che io mi ritrovi a
toccare qualcosa o a intascare qualcosa che non mi spetta.
Quella consapevolezza, quella possibilit di farlo emergere
alla piena coscienza, mi protegge, mi d la scelta, mi dice:
Ohh! questa lintenzione di appropriarmi di qualcosa,
prendere qualcosa; posso lasciarla essere, non devo
mascherarla, non devo nasconderla, e il comportamento
scaturisce da una scelta cosciente.
Questo per me il rifugio nel sangha, rifugio nel senso di
responsabilit della propria pratica che non si basa sul
moralismo, sulla paura di una punizione, sul desiderio di una
ricompensa, si basa sul conoscere qui e ora cosa sta
accadendo.

-------------------------------------Nellessere presenti, in contatto, abbiamo incontrato


esperienze positive, liberanti, ma abbiamo certamente
incontrato anche difficolt, fatica, scoraggiamento, disagio
fisico, disagio mentale, paura, un senso di impotenza, di non
essere adatti al compito, forse la sensazione di non farcela.
Al tempo stesso sono certa, avendo potuto ascoltare alcuni
di voi, avendo visto i vostri volti, avendo potuto cogliere
qualcosa della vostra esperienza, che stata anche una
giornata in cui si imparato qualcosa, si visto qualcosa di
come siamo, di come funziona la nostra mente, il nostro
cuore. Certamente, se pensiamo alla meditazione solo come
una pratica, una tecnica, un metodo che nel giro di 45
minuti di seduta, di alcuni giorni di ritiro, ci deve far arrivare
alla fine della sofferenza, forse andiamo incontro alla
frustrazione.
Poich siamo abituati nelle nostre attivit "mondane",
quotidiane, ad apprendere qualcosa - un'abilit, unarte, un
insieme di nozioni - sempre per una finalit pi o meno
immediata, giudichiamo se un successo o un fallimento a
seconda che limpegno che abbiamo profuso nellacquisire
quellabilit e poi nellapplicarla dia dei risultati: se i risultati
compensano limpegno e la fatica diciamo che un
successo.
Mi ricordo che da ragazzina studiavo il pianoforte, e avevo
una mano piccolina, un po grassoccia; i primi esercizi che si
fanno sono i cosiddetti martelletti e non consistono nel
suonare il pianoforte come si potrebbe immaginare, ma sono
un esercizio quasi ginnico: le dita si devono abituare una a
una a fare un movimento di percussione del tasto; allora,
essendo la mia mano cos comera, sentivo la goffaggine di
questa piccola mano, il peso delle dita che non volevano
alzarsi pi di tanto, e quando si tratt di fare accordi ed
estensioni mi resi conto che le mie mani non arrivavano
dove dovevano arrivare. Ricordo i primi tempi, quando
facevo questi esercizi e pensavo: Ma io non sto suonando il
pianoforte, stavo facendo solamente ginnastica; e data la
tensione, il comprensibile desiderio di apparire non troppo
incapace agli occhi dellinsegnante, lintero corpo faceva
ginnastica, a volte anche sudavo, ricordo la tensione al collo,

alle spalle, ero completamente presa da questa cosa di


abbassare e alzare le dita per imparare.
Il passo successivo fu cominciare a muovere queste dita,
queste mani, in successioni di suoni non particolarmente
significative (nel pianoforte si fanno le scale): chiamarla
musica sarebbe esagerato. Poi lesercizio consisteva
nell'introdurre un certo ritmo, una certa fluidit, ma se
ascoltavo i suoni che provenivano da quel battere i tasti,
certo non erano particolarmente dilettevoli. Poi arriv il
momento del primo piccolo brano. In cosa consiste un brano
musicale? Un insieme di suoni e di silenzi che uno appresso
allaltro danno un qualche senso, una qualche impressione,
non solo "suoni" ma qualcosa che noi chiamiamo "musica".
Mi ricordo all'inizio il senso di frustrazione perch non
riuscivo ad ascoltare la musica, i primi tempi tutta la mia
attenzione era concentrata sulle dita che si muovevano,
sullandare su e gi della mano, sullocchio che doveva
seguire la partitura. Era di nuovo un esercizio molto fisico,
non riuscivo ad ascoltare, tant vero che era la mia
insegnante che mi correggeva, che mi diceva: vai pi lenta,
pi veloce... e mi chiedevo: Quando potr suonare il
pianoforte? Quando potr suonare della musica? B, forse
non ero unallieva cos dotata, c voluto un bel po, fino a
quando arriv un giorno magico quando in un attimo le mani
si muovevano, locchio guardava la partitura e miracolo, mi
ritrovai ad ascoltare la musica. Cera della musica nella
stanza che usciva fuori da qualche parte e la potevo
ascoltare, magia della magia, usciva dalle mie mani e
gradualmente da quando fui in grado di ascoltare la musica
che le mie mani stavano producendo potei anche udire cose
come pi forte, pi piano, qui il tocco deve essere pi
delicato... cominciai a intuire che a seconda del peso, del
tocco, quel suono era diverso e cos via; a un certo punto del
tirocinio musicale si ricava una certa soddisfazione dal fatto
che, dopo tanti sforzi, dopo tanti esercizi, si pu suonare, e
se uno ha anche lambizione di diventare concertista
metter ancora pi impegno e dedizione e si sentir
ripagato quando riuscir a esprimere lanima della musica,
e tutto nato da quel piccolo esercizio ginnico delle dita.
Da un certo punto di vista il tirocinio meditativo si pu
equiparare a quello musicale; possiamo avere la sensazione
che ci sia una serie di stadi e che questi ci portino a un

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punto in cui c della musica, comincia a sentirsi unanima, e


ci sentiamo ripagati dello sforzo. Chi si imbarcato in questa
impresa pu sostenere che s, effettivamente, dopo un certo
tempo le ginocchia non facevano pi tanto male stando
seduti, che ha imparato a concentrare la mente, che ha visto
e compreso cose che prima non vedeva e comprendeva, che
ha trovato una gioia, una pace, una completezza che forse
prima non sentiva. Tuttavia il rapporto tra quello che
facciamo nella pratica spirituale e la musica che esce fuori
nelle nostre vite non cos diretto, non cos evidente o
lineare. In altri termini: la qualit della musica, del senso che
emerge dalla nostra pratica, pu esserci fin dallinizio, fin da
quei martelletti, cos come si pu perdere strada facendo
anche quando si arriva a suonare Bach, Brahms. Questa
una cosa misteriosa che fa del cammino spirituale, e della
meditazione come parte di un tirocinio spirituale, qualcosa
che non equiparabile a un tirocinio nelle arti "mondane".
Questo ci sgomenta, misteriosamente, segretamente,
perch ci rendiamo conto che a volte i conti non tornano,
nella pratica spirituale.
Oggi ascoltandovi mentre parlavate delle vostre esperienze
questo punto mi sembrato chiaro: a volte noi ci
accostiamo alla pratica aspettandoci un determinato
risultato, ad esempio il superamento di una certa afflizione,
di un certo nodo fisico o mentale. Faccio certi passi nella
pratica e arrivo a un punto in cui mi dico: B, allora? Dov'
il premio qui? Cosa dovrebbe succedere? Dov la musica
qui? Dov il bello in tutto ci? Non so se vi riconoscete in
questo, arriva un punto in cui ci si accorge che si tocca il
limite, la frustrazione, il "non capisco". Quello il momento
in cui si impara, si impara che "questo dukkha", questa
la sofferenza. C la sofferenza, la sofferenza cos, nel
cuore umano, cos per tutti, quando si incontra il limite c
la frustrazione, quando c il non sapere, quando c quella
grande forza dentro di noi che resiste al momento presente,
e quella forza che resiste, che dice "non voglio", che
vorrebbe superare lostacolo o che vorrebbe ottenere
qualcosa, che vorrebbe distruggere i problemi, vorrebbe
travalicare i problemi, o vorrebbe che le cose fossero diverse
da come sono qui e ora: quando ci si identifica con queste
due forze (che nel buddhismo si definiscono attaccamento e

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avversione), che sono due facce della stessa medaglia, per


tutti noi c dolore, c frustrazione, c scontentezza.
Credo che a volte tanto impegno, tanta dedizione, tanti
esercizi di martelletto, possano s portarci, per esempio in un
ritiro, a udire un po della musica, ma magari non la
musica che ci aspettavamo, non la musica che volevamo
sentire, ci sembra di aver sprecato tempo, oppure non
riusciamo a vedere, ci sembra che il nostro processo si sia
fermato, sia carente, ci sia qualcosa che non vada... cos
immagino sia anche per voi. Emerge della musica, si scopre
qualcosa, si vede qualcosa, si comprende qualcosa, ma c
una parte di noi consciamente o inconsciamente che dice:
Ma non era questo che volevo, non era questo che cercavo,
non era questo che volevo vedere.
La parola vipassana significa vedere in profondit. Con il
tempo questa parola ha assunto il significato di una tecnica,
di un metodo. Usiamo il termine vipassana per distinguerla
da altri tipi di meditazione, ma in realt il Buddha parlava di
vipassana non come un metodo ma come un processo: il
vedere in profondit certe cose; il termine usato con
parsimonia nei sutta, non lo incontriamo di frequente. Quindi
ci sono s tante tecniche e tanti metodi, ma in definitiva lo
scopo vedere in profondit. Non sempre "vedendo in
profondit" la musica che ascoltiamo quella che ci
aspettavamo. Questo il paradosso di un cammino
spirituale: da una parte ci chiede lo stesso tipo di dedizione,
di processo graduale che potremmo avere nello studio del
pianoforte, ad esempio, poi per, quando ci confrontiamo
con la nostra effettiva esperienza, con quello che veramente
sperimentiamo in una seduta, in un ritiro, o nella vita
quotidiana se siamo intenti a essere consapevoli, non
sempre si accorda con le idee che possiamo avere sulla
pratica o le idee di quello che dovrebbe succedere.
Allora perch meditare?
Meditare va bene se mi porta in un luogo migliore di quello
da cui sono partita? Sembra ragionevole, per non cos
lineare. In altri termini: in un tirocinio meditativo dobbiamo
fare i conti con il fatto che le cose non sono lineari; magari
nella giornata di oggi abbiamo imparato qualcosa, abbiamo
visto qualcosa della verit, abbiamo iniziato a intuire un

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piccolo scenario che pu esserci al di sotto di ci che noi


pensiamo, di ci che noi crediamo, di ci che immaginiamo.
Cos come quando, facendo un puzzle, mettiamo insieme
due o tre pezzi e questi non creano ancora un disegno
completo, non sembrano nulla, sono solo due o tre pezzi di
un puzzle. Ci vuole fiducia: ma che pu voler dire? Che di e
di arriver dove dico io? Si tratta solo di tempo, energia,
dedizione? Forse
Nella mia esperienza, e pensando anche a quello che ho
ascoltato dai miei insegnanti, non proprio cos, non si
tratta solo di questo di e di arrivi in un posto che non ti
aspettavi, arrivi a: questo dukkha, queste sono le cause di
dukkha.
Il punto che la terza nobile verit, che annuncia che c
una fine della sofferenza, e che questa cessazione, questa
fine, la posso contemplare qui e ora, se vi ricordate, il
Buddha la descrive come l'effetto del lasciar andare,
dellabbandonare, come lammorbidirsi di questa sete, di
questo attaccamento, di queste due forze: quella che
trattiene o si sporge in avanti e quella che respinge o fugge.
E ne parla come di un senso di liberazione, di abbandono,
come di un gran sollievo. Inoltre dice che la terza nobile
verit, questa esperienza della cessazione, deve essere
realizzata, che qualcosa di cui bisogna rendersi conto, a
cui bisogna aprirsi, a cui bisogna risvegliarsi. Ed chiaro,
diventa a un certo punto chiaro in un percorso meditativo,
che la cessazione della sofferenza, labbandono delle
resistenze, dellattaccamento, di quella sete che causa la
sofferenza, non qualcosa che si pu evocare a freddo o che
pu avvenire semplicemente ripetendo una serie di
istruzioni ricevute. Diventa chiaro che la chiave per arrivare
a quel momento di liberazione passa attraverso la seconda
nobile verit. La prima verit conoscere e accogliere
dukkha in prima persona, e la seconda avere
dimestichezza profonda con il desiderio, l'attaccamento o
l'avversione, il volere che le cose siano in un certo modo,
non volere che le cose siano in un certo modo; e con la
possibilit di lasciar andare questo, la possibilit di rilassarlo.
Non si pu fare un salto, occorre lavorare fino al punto in cui
arriviamo a prendere contatto con queste realt, e una volta
che prendiamo contatto con la realt dei fatti, cosa ci vuole
l? A me le prime qualit che vengono in mente sono le

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qualit della pazienza, della fiducia, della gentilezza; questo


perch il lasciar andare, che lo sciogliersi della resistenza,
lo sciogliersi dellavversione, oppure lo sciogliersi di
quellansia di ottenere, di conseguire, di arrivare, non
qualcosa che la volont cosciente pu operare, non
qualcosa che lo sforzo pu produrre, il frutto di un
processo, qualcosa di estremamente organico, cio il lasciar
andare qualcosa che avviene spontaneamente quando c
stata una sufficiente comprensione di com' lattaccamento,
com' la resistenza.
Come se io dicessi di voler lasciar andare questorologio: ma
se io non lho neanche preso in mano... posso ignorare
lorologio, s, posso buttar via lorologio, posso commentare
circa lorologio, ma non posso conoscere cosa significa
lasciar andare se prima non lho preso in mano e poi
stringendo, stringendo, devo accorgermi che le dita, il
gomito, la spalla si contraggono, e poi inizio a sentire questa
contrazione e a partire da questa contrazione posso aprire la
mano. A questo punto non sto buttando via l'orologio ma
semplicemente rilascio il braccio.
Immaginando che questo orologio sia lo stato mentale, i
pensieri, emozioni, o lesperienza del momento presente
comunque essa sia, cosa vuol dire lasciar andare?
Spesso per "lasciar andare" noi intendiamo lignorare, senza
veramente entrare in contatto; oppure, una volta che
l'abbiamo preso in mano e ci accorgiamo che lo stiamo
stringendo, non ci accorgiamo che siamo noi a stringerlo, lo
viviamo come se lorologio venisse da noi a torturarci, ad
angosciarci, come se si imponesse alla nostra mano, ci
stremasse, ci facesse chiudere la mano, ci facesse tendere,
come se lorologio fosse venuto da noi e ci tenesse
paralizzato il braccio. Dico: Oddio, come faccio a liberarmi
di questorologio? Come faccio? Perch non riesco a lasciar
andare questorologio?". E in tutta questagitazione, che
deriva dal fatto di sentire che questorologio mi tiene
paralizzata e non se ne vuole andare e io vorrei tanto
liberarmene, mi sfugge il fatto: qual il fatto? Che io lo sto
tenendo con le dita ben serrate.
E questa comprensione non la pu dare nessuna tecnica,
nessun ritiro, di per s, qualcosa che simpara solo e
veramente attimo per attimo, mettendosi in contatto con il

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momento presente, essendo disposti a imparare pezzettino


per pezzettino come stanno le cose in verit. C un
momento in cui mi accorger che c un movimento, che sto
stringendo le dita; pertanto il rapporto si inverte, non pi
lorologio che mi viene a importunare (e il compito mio
cercare di buttarlo a mare) ma comincer a sentire che
quello che sta avvenendo questo stringere. Dir: Ah!,
avvertir che c resistenza, perch stringere anche tenere
lontano, o che c attaccamento; quasi naturalmente, per
compassione, per gentilezza, comincer a distendere la
mano. A questo punto lorologio avr pochissima
importanza, il frutto del lavoro non sar che ho messo gi
lorologio: il sollievo, la liberazione, dato dal braccio che si
pu distendere. Possiamo contemplare la cessazione anche
per un attimo, quando il desiderio lasciato andare,
lavversione lasciata andare; c un attimo di sollievo, di
pace: la pace non consiste nel fatto che lorologio (o lo stato
mentale) non c pi, stato distrutto, quello non
interessava gi pi, avevamo gi capito che il problema era
la contrazione del braccio. Quello di cui godo nella pratica
della consapevolezza, quando il processo si messo in moto
in profondit, quello che godo la distensione del braccio,
quello che godo la libert del fatto che adesso posso usare
la mano; per fare che cosa? per prendere oggetti, per
spostarli... o semplicemente posso riposare, capite? E'
completamente diverso il rapporto che avremo con gli
oggetti mentali, le esperienze che attraversano la nostra
mente o che percepiamo nel nostro corpo.
Pazienza, fiducia e gentilezza amorevole sono qualit del
cuore indispensabili se vogliamo resistere fino al momento
in cui abbiamo questa intuizione profonda, perch come
vedete bene per sperimentare questo sollievo che
assolutamente a portata di mano (non che dobbiamo
aspettare cento vite, a portata di mano) necessario
passare attraverso il processo in cui noi percepiamo le cose
in modo distorto, sentiamo che c qualcosa che viene a
disturbare la mente e ci sentiamo impotenti a reagire, a
rispondere. Quando ci sentiamo cos, quando incontriamo
limpotenza o la frustrazione, il dubbio, il senso di chi me lo
fa fare, perch abbiamo ancora pochi pezzetti del puzzle,
ancora non ha un senso compiuto, che fare? E l non servono
altre tecniche, altre istruzioni, altre sedute, altri ritiri, perch

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uno scatto del cuore che deve avvenire, e uno scatto del
cuore non pu avvenire a comando, una coltivazione di
unintera vita. La fine della sofferenza non si fa sul cuscino di
meditazione e nemmeno nella camminata.
Il Buddha ha parlato di un ottuplice sentiero, in cui quella
che noi definiamo "meditazione" in senso stretto occupa tre
degli otto fattori. Si parla infatti di una retta visione, o un
retto modo di vedere le cose, si parla di un retto modo di
parlare, di esprimersi nella vita quotidiana, si parla del modo
di guadagnarsi da vivere, si parla del modo in cui noi ci
atteggiamo nei confronti della nostra mente, si parla di retto
sforzo, di retta intenzione, in altri termini di come ci
nutriamo, di che cibo diamo al nostro cuore, di quali pensieri
intratteniamo di norma, ora dopo ora, e poi anche dellarte
del raccoglimento e della coltivazione della presenza
mentale. Quindi di un ottuplice sentiero. Inoltre, le qualit
che menzionavo prima , la pazienza, la gentilezza
amorevole, la fiducia, sono cose che si coltivano nella vita,
giorno dopo giorno, che nutrono il cuore, e al tempo stesso
sono anche il frutto di una pratica meditativa ben compresa:
pian piano ci che apprezziamo di una seduta : Ah! Qui
posso mettere in pratica un po di pazienza, qui posso avere
un po pi di gentilezza amorevole, qui c una qualit di
compassione nei confronti di un mio dolore, qui posso essere
paziente nei confronti della mia impazienza di voler subito
risolvere le cose, qui posso accogliere con dolcezza questo
dolore che sembra non volersene andare. Lentamente
possiamo scoprire queste qualit dentro di noi e coltivarle
nella vita quotidiana; e poi vedere che possono essere al
centro della nostra pratica meditativa, capire che la fase
cruciale della nostra pratica meditativa quando non pi
scorporata dalla nostra vita ma diventa qualcosa di
integrato, che ha un senso, che un momento di tutta una
direzione della nostra vita; e l c uno scatto, succede
qualcosa.
Per me, se penso a quel momento (dico un momento ma
stato ed un processo) la cosa pi importante che sento di
aver incontrato lumilt. Non ho mai pensato tanto al
successo/fallimento nella mia pratica meditativa, fin
dallinizio mi aspettavo che il percorso sarebbe stato diverso
rispetto a quello delle cose ordinarie, quindi non stavo

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troppo a giudicare se le cose stessero andando bene o male;


per lo stesso, ricordo che questa qualit (chiamiamola
umilt) stata quella che mi ha consentito una presenza pi
piena nella meditazione. Umilt per me significa abbracciare
quello che c, non pretendere, vedere le pretese e vedere la
bellezza, la dolcezza dellimparare quello che la vita mi sta
insegnando, quello che la mente mi sta proponendo, quello
che lesperienza del ritiro mi ha messo di fronte.
Comprendere che la bellezza, la grazia, il dono, il frutto, la
benedizione, quel pezzettino di verit che mi venuto
incontro, lesperienza che ho fatto. Questa lumilt.
Laddove c spesso un grosso programma che ci portiamo
dietro, per cui tutto quello che non corrisponde a questo
programma sia conscio sia inconscio un fallimento, non
vale la pena, non ci d gioia, non ci possiamo congratulare
con noi stessi, siamo un po appesantiti. Questo il motivo
per cui meditare, limparare a meditare, pu essere cos
faticoso, ma non ci rendiamo conto che quello che lo rende
faticoso sono le aspettative o sono le resistenze o i paragoni
o la paura o il senso di sfiducia: crediamo di non aver capito
bene unistruzione o che dobbiamo metterci pi forza...
ognuno di noi ha le sue strategie e penser che gli manchi
qualcosa.
E molto importante, quando intraprendiamo un cammino
spirituale, avere un insegnante o degli amici che ci
incoraggino a sentire che dove siamo va bene, che quello
che stiamo sperimentando ora va bene cos com, e che al
tempo stesso ci suggeriscano di notare con quale
atteggiamento stiamo vivendo l'esperienza, che cosa c
davvero nella nostra mente. Come dire: da una parte la
pratica mi ha portato a conoscere questo, e questo mi sta
bene, dallaltra mi rendo anche conto che: Ah! Mi faccio
guidare dalla fretta, ecco perch; o mi faccio guidare da
questo scoraggiamento, ecco perch. Pian piano
cominciamo a vedere il rapporto tra la nostra tensione, o
insoddisfazione o difficolt, e atteggiamenti di questo
genere che ci portiamo dentro e a cui aderiamo. Quando
cominciamo a scoprire questi rapporti cominciamo ad avere
pi fiducia che le cose possono cambiare. Se smetto di
contrarre le dita qualcosa cambia.

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Poi, sempre parlando di fiducia, c un altro elemento su cui


riflettevo oggi pomeriggio: che una pratica di osservazione
come quella che facciamo qui una pratica estremamente
diretta, in cui si contempla la mente quando
accompagnata dallavversione, o dall'attaccamento, o da
altre emozioni disturbanti, e in cui quindi ci dev'essere
fiducia nel puro conoscere, una fiducia nel fatto che la
consapevolezza pu contenere quellesperienza, pu
sostenerla. A questo livello, in questa pratica non ci sono
bene e male, c la capacit di relazionarsi a quello che c;
ma un approccio di questo tipo non pu mai essere disgiunto
dallaltro approccio, cio la coltivazione di qualit salutari
della mente (internamente ed esternamente), perch questo
un elemento fondante per la fiducia. Perch allinizio,
quando si sente parlare di "base della mente", di
consapevolezza, di puro conoscere, quando non si ha ancora
esperienza di questo potenziale, si pu non avere fiducia, o
la fiducia pu essere piccola, da cui la paura di non riuscire a
reggere certi stati mentali ed emotivi.
Per questo
importante coltivare nella vita quotidiana e nella pratica
meditativa le qualit salutari: rendersi conto che nel cuore
c altro che afflizione, rendersi conto che nella nostra vita
quello che possiamo offrire qualcosa di pi dei nostri
condizionamenti.
Penso
in
particolare
ai
brahmavihara
(gentilezza,
compassione empatica, gioia partecipe, equanimit), che
un modo per parlare della luminosit del cuore, di come la
mente-cuore pu rispondere alle situazioni, alle persone, al
mondo interno, in maniera sana, salutare. Penso che le
conosciate tutti; la prima la gentilezza amorevole, la
qualit del cuore che opposta allavversione, che abbiamo
tutti, la proviamo in molti casi: siamo in grado di accogliere
e ricevere, di non essere rifiutanti, e quando riconosciamo
questa qualit dentro di noi possiamo svilupparla; cos come
la compassione, che un modo liberante e sano di
rispondere alla sofferenza, o a ci che debole, vulnerabile,
piuttosto che devi cambiare, piuttosto che lindifferenza, o
la crudelt; poi c la gioia partecipe o apprezzamento che
la capacit del cuore di provare gratitudine per ci che
buono e bello, a tutti i livelli e ovunque si manifesti, e infine
lequanimit, forse la pi
difficile da vedere. Spesso
pensiamo allequanimit come se dovessimo essere

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insensibili a quello che succede, come se dovessimo restare


impassibili, per un calcio nello stinco o una carezza hanno
un diverso sapore, una diversa sensazione. Equanimit non
significa sentirli nello stesso modo ma poter accettare che a
volte c' il calcio nello stinco e a volte la carezza, sentirli
entrambi, poterli sentire senza aderire ad entrambi. La
fiducia si coltiva anche attraverso la scoperta del nutrimento
che ci danno gli stati del cuore salutari, oltre che vedendo la
pratica meditativa allinterno di un processo a largo respiro,
che il nostro cammino spirituale.

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