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Dag Tessore

LA TEOCRAZIA FRA TRADIZIONE E MODERNITA


Prefazione
Parlare oggi di teocrazia pu certamente suscitare un qualche sconcerto, soprattutto se la si
qualifica come fenomeno non solo della tradizione ma anche della modernit. Ci significa
vedere in questo concetto arcaico e medievale di teocrazia qualcosa di attuale?
La risposta non pu che essere affermativa. Innanzi tutto, per, necessario fare chiarezza
sul significato di questa parola. Si dibattuto a lungo sulla distinzione fra teocrazia (potere di Dio) e
ierocrazia (potere della casta sacerdotale), o anche nomocrazia (potere della Legge) e si sostenuto
che quelle che noi abbiamo labitudine di chiamare teocrazie sono in realt ierocrazie (si pensi al
caso della Chiesa medievale).
Noi crediamo tuttavia che tali distinzioni siano pi terminologiche che sostanziali. Quando
diciamo teocrazia, infatti, intendiamo un sistema di governo e una societ regolate dalla Legge di
Dio ed, eventualmente, da quelle persone (sacerdoti, dottori della Legge, sapienti), che sono
riconosciute come custodi, conoscitori e legittimi interpreti della Legge divina. Teocrazia significa
dunque regolare la vita umana (in tutti i suoi aspetti) non secondo ci che sembra meglio a qualcuno
o alla maggioranza (legge umana, monarchica o democratica), ma secondo un dettame che si
riconosce come venuto dal Cielo per luomo.
Ci premesso, chiaro che non vi alcuna sostanziale differenza fra la teocrazia cristiana e
quella islamica, fra lebraica e linduista. Si tratta sempre di un rifarsi obbligatoriamente a una
Legge ( scritta o tramandata) ritenuta divina e fondamentalmente immutabile, la quale, essendo data
da Dio, vista come senzaltro la pi adatta a regolare correttamente la vita umana. E che,
soprattutto nel Cristianesimo, custodi e interpreti di questa Legge siano i sacerdoti e i vescovi,
rivestiti di potere e di onore, non ci permette di affermare che siano essi le vere autorit del
Cristianesimo: lautorit e rimane sempre la Legge divina, di cui i gerarchi della Chiesa non sono
che i portatori ed, eventualmente, gli interpreti.
Parlare di teocrazia, quindi, significa ritrovare una dimensione trascendentale, sovrumana
nel mondo tutto terreno della politica e della vita sociale. Parlare di teocrazia non significa
invece, come si potrebbe essere tentati di pensare, un mettere in luce le basi e i moventi politicoeconomici dei governi religioso-teocratici. Dal momento che nella nostra societ moderna
occidentale i valori spirituali e religiosi sono drasticamente soffocati e ghettizzati dallimperare
degli interessi materiali, economici, edonistici, siamo portati a credere che tutte le civilt di tutti i
tempi siano altrettanto materialiste quanto noi e ci siamo persuasi a dare per scontato che i motivi
religiosi di scelte politiche e sociali siano sempre soltanto pretesti che nascondono interessi
egoistici, economici, di potere, ecc. Dal momento che oggi ben difficilmente un occidentale
partirebbe a piedi per terre lontane, rischiando la morte, per andare a pregare sul Sepolcro di Cristo,
crediamo che anche i nostri antenati fossero cos grettamente materialisti e vuoti di spiritualit come
noi, e non riusciamo a vedere altra motivazione nelle spedizioni dei crociati, se non quelle stesse
che, uniche, potrebbero muovere noi oggi: lavidit di denaro, di potere e di piacere.
Ma una seria analisi storica e oggettiva quella che non proietta su ogni cultura e su ogni
epoca i nostri paradigmi occidentali moderni, tuttaltro che universali, ma che sa considerare
lalterit da un punto di vista che non sia il nostro, come dice molto bene Luciano Arcella nel
primo capitolo di questo volume. La nostra modernit invece continua strenuamente e
stoltamente ad esprimersi con i suoi concetti universali.
La teocrazia fra tradizione e modernit pu diventare cos un utile strumento per riflettere,
per rimettere in discussione le nostre certezze e i nostri pregiudizi. In un mondo quello
occidentale che si dichiara erede dellIlluminismo e dei suoi valori di tolleranza e di razionalit, ci

troviamo paradossalmente ad avere disimparato larte del dialogo rispettoso, della riflessione
intelligente e aperta. Mentre accusiamo tutti i diversi da noi di essere arretrati, chiusi nel loro
dogmatismo religioso, asserviti alla propaganda delle diverse dittature pi o meno religiose, non ci
accorgiamo di quanto dogmatismo e di quanta chiusura e intolleranza domini la nostra predicazione
della libert, della tolleranza, del dialogo. Crediamo di dare un luminoso esempio di dialogo tra
culture e religioni quando ci sediamo al tavolo di un colloquio in cui gli interlocutori, pur
appartenendo a religioni diverse, sono in realt tutti rigorosamente selezionati sulla base della loro
necessaria aderenza alla Grande Religione Universale dellOccidente: abbiamo quindi certo un
nobile contegno di dialogo, ascoltiamo, rispondiamo, ma a condizione che la pensino come noi, che
accettino cio i nostri assiomi di (teorica) tolleranza, laicit, democrazia, diritti umani, ecc. e purch
non si azzardino a non condividere con noi la predefinita condanna degli integralisti, dei terroristi e
di tutti coloro che non sono daccordo con noi.
Ora, il vero dialogo, la vera prova di intelligenza e di tolleranza ascoltare con rispetto e
accogliere le ragioni di chi veramente la pensa diversamente da noi, quindi ad esempio del mondo
dellestremismo islamico. Certamente non dialogo con lIslam ascoltare e parlare con quei
musulmani moderati che condividono i nostri stessi valori occidentali!
Ecco perch urgente da parte nostra ritornare ad apprendere che cosa significa
tolleranza, o meglio rispetto della diversit, un concetto e una pratica che abbiamo oggi
soffocato con un ottuso e fanatico dogmatismo, forse pi ancora che ai tempi dellInquisizione. Sar
utile allora riapprendere a fare i primi passi, come fa un convalescente dopo un lungo periodo di
ammorbamento e di letargo: cominciare cio ad ascoltare gli altri (soprattutto quando questi altri
hanno opinioni diverse dalle nostre) e a leggere, ad esempio, i capitoli di questo libro, non con la
nostra istintiva tendenza a giudicare e classificare (Questo coincide con la mia opinione: quindi
buono; questo non coincide con la mia opinione: quindi da condannare), ma cercando di avere un
orecchio aperto e una mente libera, nellintento di ascoltare le ragioni altrui, con rispetto e con il
sincero desiderio di ampliare il nostro angusto orizzonte di pensiero.
Si noter subito, a una prima lettura, quanto non solo i temi trattati in questo libro siano
variegati, ma anche quanto i singoli autori si differenzino per prese di posizione assai lontane una
dallaltra e talora dichiaratamente opposte. Ma qui appunto sta loccasione di esercitare un dialogo
autentico e un ascolto senza pregiudizi. Il calarsi, inoltre, in tematiche lontane dalla mentalit
odierna, ci permetter di vedere la nostra realt da una angolatura diversa. Per riprendere, ancora,
parole dal contributo di Arcella, possiamo dire che il vivere attualmente nella modernit, quali
soggetti creatori della sua realt e dei suoi valori (i valori occidentali), per positivi o negativi che
siano, certamente ci impedisce di analizzarli con occhi critici, visto che non possiamo prescindere
dal nostro punto dosservazione e dalla nostra morale visiva [...]. Oggi una prospettiva
tradizionale potrebbe costituire la reale presa di coscienza critica di chi vive questa modernit, una
occasione di smascheramento delle sue pretese universalistiche.
Calarsi in una prospettiva tradizionale (e questo volume ce ne offre molte occasioni,
presentando i volti della ierocrazia cristiana medievale e dellIslam fondamentalista, del
pitagorismo e delle religiosit sincretiche enteogene del Brasile) ci consente di relativizzare i
nostri valori e paradigmi che credevamo universali. Limportante cercare di vedere laltro dal suo
punto di vista, cosa che noi raramente facciamo, anche perch siamo abituati, soprattutto quando ci
troviamo di fronte a culture e mentalit molto lontane dalla nostra, ad applicare su tutte il nostro
criterio storicista: inglobiamo, cio, ogni espressione culturale, religiosa o filosofica nel nostro
criterio di storia cosiddetto scientifico, per cui lInduismo vedico va capito nel suo contesto
storico e cos pure lIslam estremista va letto alla luce del suo contesto storico-politico;
contestualizzazione di per s giusta e doverosa, sennonch essa rappresenta la nostra peculiare
metodologia storica, sostanzialmente marxiano-positivista, che non necessariamente lunico modo
corretto di esaminare i fenomeni storici e culturali.
Applicando il nostro parametro storicista a Platone, a Khomeini o a Urbano II, ci
autoproclamiamo giudici di costoro e ci poniamo sempre in una posizione di superiorit: a noi che

spetta dire quale sia stato il vero motivo per cui Urbano II ha proclamato la crociata. Quale fosse il
suo motivo, quello che egli affermava di volere, poco importa! Solo noi, infatti, abbiamo compreso
le vere dinamiche della storia, della religione, della psicologia e possiamo quindi dire lultima
parola e dare linterpretazione giusta su tutto. Partiamo cio sempre dal presupposto che Platone era
condizionato dal suo tempo e dai pregiudizi della sua epoca e cultura, che Khomeini era
condizionato dalla sua formazione culturale e religiosa e dal contesto politico del suo tempo, mentre
noi soli saremmo immuni da condizionamenti.
Il fatto che noi consideriamo che la teologia di Gregorio VII, ad esempio, una sua
personale visione del mondo (naturalmente condizionata dal suo tempo, dalla sua educazione e cos
via), che la filosofia politica di SantAgostino era anchessa solo un frutto della sua epoca, mentre la
nostra metodologia di indagine storica sarebbe, non anchessa frutto dei nostri condizionamenti,
bens la verit incondizionata e assoluta, al cui giudizio devono sottostare tutte le altre teorie che
si sono avvicendate nel corso dei secoli.
E inoltre evidente che questo storicizzare ogni cosa, ogni pensatore, ogni profeta, ogni
dottrina (eccetto la nostra), non solo un atteggiamento di inaudita superbia per la sua pretesa di
universalit e di inappellabilit, ma ci impedisce altres di trarre qualsiasi genere di insegnamento e
di arricchimento da coloro che ci hanno preceduto e che spesso hanno avuto intuizioni e intelligenza
ben pi di noi. Platone diventa cos, non una persona con cui dialogare alla pari, da cui possiamo
apprendere molte cose e che pu aiutarci a superare nostri pregiudizi o errori, bens rimane
semplicemente come un reperto, frutto del suo tempo e del suo contesto storico, da esaminare,
classificare ed etichettare.
Chi subisce un danno da tale trattamento non certo Platone, ma siamo noi, che, credendo di
essere infinitamente superiori a lui, ci precludiamo ogni possibilit di crescere, arroccandoci nella
nostra presunta sapienza universale e incondizionata e rifiutando sdegnosamente di farci insegnare
qualcosa o di farci correggere, ridimensionare e arricchire dal filosofo.
I filosofi e i sapienti dei tempi antichi, cos come i rappresentanti di religioni e culture
diverse dalla nostra occidentale moderna, potrebbero insegnarci molte cose utili per affrontare
meglio la vita e per trovare sagge soluzioni ai problemi (psicologici, politici, sociali...) che ci
assillano; ma per poter beneficiare di questo aiuto dobbiamo riconoscere di non essere onniscenti e
infallibili, dobbiamo riconoscere la relativit delle nostre cognizioni e dei nostri parametri di
pensiero e di giudizio, e dobbiamo accettare di attingere con umilt alle fonti della tradizione senza
immediatamente vanificarne il potenziale insegnamento per noi col relegarle e vincolarle a quel
ben determinato contesto storico e culturale.

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